In fuga dal Presepe

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IN FUGA DAL PRESEPE Tutta Colpa della Maestra Natale 2013


I brani contenuti in questa raccolta sono stati pubblicati nel blog letterario “Tutta colpa della Maestra” svolgimento.blogspot.it a cura di Anna Wood, Roberta Lepri, Giorgio D’Amato Gianluca Meis e Federico Orlando. La proprietà dei diritti appartiene ai singoli autori e sono concessi a “Tutta colpa della Maestra” con Licence Creative Commons Natale 2013


La Sequoia di Natale Io e la mia dolce metà abbiamo una casetta piccina picciò. Ingresso-salone, cucina e stanza da letto. L’ingresso-salone dispone di due scomodi divani con annessa tv, il vero focolare della casa. Ma la mattina dell’ otto dicembre il camino della casa si spegne per ben trenta giorni, si fa l’alberello di natale. Piango. In condizioni normali, umile e semplice famigliola composta da solo due persone, comprerebbe un semplice umile alberello, d’addobbare con semplici umili luminarie. Lei acquistò sequoia di natale artificiale che per ovvie ragioni di spazio viene depositata, dopo esposizione natalizia, presso cantinola del fratello, che ogni anno aspetta questo momento per rinfacciarti la custodia del mostro…”ma non potevate comprarvi una casa più grande? Ma non potevate affittarvi un garage? Ma non potevate prenderne uno più piccolo?”…ma non potevo restare scapolo. La fatidica mattina dell’otto dicembre, come tradizione, crogiolandomi nel tiepido lettino, odo codeste uniche scontate parole urlate dall’ala nord della casa. Vabbè, insomma dalla cucina… “vai a prendere l’alberello stamane? Mio fratello ti aspetta!” Oddio l’alberello. L’orrido cognato. Mi alzo, pisciolavovesto e vado bestemmiando in cirillico. Ho una station wagon, modello agenzia funebre ultimo grido. Ma proprio ultimo. Ribalto le sedute e si trasforma in comodo loculo. Vado a prelevare la salma. L’orrido mi aspetta con sorriso ineffabile… “si fa l’alberello stamane?! E vai. Per un mese me lo levo dalle palle!...ma non potevate prenderne uno più piccolo? Ma non potevate affittarvi un garage? Ma non potevate…” sgaso, sputo e impennando mi proietto a razzo verso casa. Parcheggio con difficoltà anche perché il peso specifico della sequoia mi impedisce la giusta visuale visto che la station wagon impenna che manco Valentino Rossi vittorioso al traguardo. Distrutto con due protrusioni discali che ballano l’alligalli e bestemmiando in arcaico riesco, mio malgrado, a trascinare in casa il mostro. Inizia il vero dramma!...segue montaggio. Prima fase. La base della sequoia. Un accrocchio costituito da 3600 pezzi di viti, rondelle, dischi in puro acciaio nichelato che manco una selva d’ingegneri della NASA riuscirebbero nell’intento… sudo… bestemmio… ri-bestemmio, sbuffo come una locomotiva ma passata un’ora la base accrocchiata è pronta per infilzare il mostro. Vi chiederete, ma lei dov’è? La mogliera che fa? In che si cimenta? È al telefono. Come da prassi, perchè inizia una serie d’interminabili telefonate familiari… “uhhh fai l’alberello???...uhhh lo fai come l’anno scorso???” in sequenza la madre, la sorella, l’altra sorella, la nipote, l’altra nipote, il fratello… “ma non potevate prendervi una casa più grande?...ma non potevate prendervi in affitto un garage?...ma non potevate comprarvi un alberello più piccino?...” ma non ti esplode il cordless tra le mani??!! Seconda fase. La distribuzione dei rami. Prima quelli con il cerchietto blu… poi tutti quelli rossi… poi tutti quelli arancio… driinnn telefono… tua sorella…. poi tutti quelli gialli… poi tutti quelli blu… drinnnn telefono… tua madre…. ho le vertigini! Mi gira la testa. Ho un fantasmagorico arcobaleno davanti agli occhi. Ogni ramo va aperto per bene e assestato con cura per non provocare disastrosi crolli. Ho sete. Sudo. Bestemmio in lingue non note… driiinnn telefono…. tua nipote…. e intanto, la sequoia di natale cresce…


cresce… cresce… e la stanza si fa sempre più piccola… sempre più piccola… mi sento soffocare...aiuto… sfinito, alla trentesima telefonata, di “avete fatto l’alberello?” la sequoia sprezzante si erge maestosa in casa. Terza fase. Le luminarie. Un intreccio di 30 chilometri di fili e pisellini isterici. La tecnica è quella di mettersi addosso la filera ed iniziare a distribuirla girando intorno alla sequoia nella speranza di non impiccarsi nell’eroico tentativo. Attivate tutte le spine nella ciabatta di sorta si procede all’accensione. Al primo tentativo, salta il generale. Poi, quello della signora affianco. Poi, quello del condominio. Infine, si avverte un certo calo di tensione all’interno del perimetro del quartiere. Ma la sequoia s’illumina d’immenso. Quarta fase. L’appallinamento. Sedicimila palline di varie sfumature che vanno sistemate in base alla gradazione delle tonalità… “questa è bianco sporco… dove va? con quella beige?” chiedo in preda ad un delirium tremends e con un filo di voce… “tesoro ma che dici? non vedi? va con quella melange! ...non arronzare come sempre!!!” cadono dal cielo santi mai visti in vita mia. San Cristallino, protettore dell’acqua effervescente, Santa Bandola, protettrice delle bande sonore, Sant Indrogo, protettore delle rotonde. Alleluia. Maestosità del creato. Al calar del sole la sequoia è vestita di tutto punto. I pompieri vengono a fare una prova di carico e ci danno il permesso per l’esposizione per trenta magici giorni! Evviva. Sfilano tutti i parenti a visitare la salma, e tutti, dico tutti, fanno… “ooohhhhhh che bello!” ...tranne il cognato che dice… “ma non potevate farvi una casa più…” gli ficco il puntale in un occhio! Ora per un mese vedrò la tele dal pianerottolo fuori casa…sigh. I vicini, solidali e comprensivi, la sera mi portano sempre una fetta di panettone caldo. Viva il Santo Natale. AUGURI Bob Roberto Testa


La Straccivendola In

quel tempo Longines, Maria Extravergine e Giuseppe no Alpitur, non avendo trovato in Marlboro Betlemme (Palestina Camel Trophy) neanche un buco Polo in un albergo Jolly Hotels, dovettero accontentarsi di una stalla Manzotin. Essendo Maria Extravergine in stato Chicco Premaman, nella mangiatoia Mulino Bianco della stalla Manzotin nacque un bel bambino Agnelli di Dio Fiat Lux, catalizzato e con airbag di serie. Dopo sette secondi di pubblicità, puntuali arrivarono in visita i tre Re Sponsors, guidati dalla stella Negroni: Gasparri Telecom, Marchionne Ford e Baldassarri Ina Assitalia, che portarono in dono oro, un cesso e birra. Per la precisione oro Gold Market, un cesso Inda e birra Heineken. Un grande futuro IBM si annunciava per il bambinello FIAT: le nozze di Cana Tavernello, l’incontro con Simon Pietro Fisherman Friends, la moltiplicazione dei pani Barilla e dei pesci Findus tre per due, l’ultima cena McDonald, e la nascita di nuovi fermenti religiosi Yomo presso un’umanità Coca-Cola desiderosa di riscattarsi dalla mela Melinda e dal serpente monetario Fininvest. Per il momento però il bambinello Fiat riposava nella sua mangiatoia Mulino Bianco nella stalla Manzotin, nutrito Plasmon dal seno di Maria Parmalat, riscaldato da un bue Termozeta e accudito da un asino RAI messo gentilmente a disposizione dal Ministero della Pubblica Istruzione. Ma torniamo al vero, inquietante mistero di Marlboro Betlemme, dove stanno per cominciare a piovere come spumante Gancia avvisi di garanzia Kenwood. Si narra infatti che il bimbo Fiat sia cresciuto e vissuto in assoluta povertà UNICEF: ma allora chi ca*** si è imboscato tutto l’oro Gold Market? La mattina di Natale siamo andati a vedere il presepe sommerso. Però l’acqua del lago era troppo torbida. Non si vedeva un cristo. Nicola Pezzoli


L'addormentato Questa volta me lo devo scegliere io il posto per schiacciare il mio pisolino, non posso sempre stare sdraiato sulla terra umida e sporca di sterco di pecora o di vacca ad aspettare che rientri tutto il gregge o la coppia Rosina e Peppino, i due capi di bestiame che mi sono rimasti dopo l’ennesima pestilenza. Le pecore si sono riprodotte presto e adesso sono numerose e grassocce ma i due bovini se ne sono andati e non potranno riscaldare né la stalla né i suoi padroni. Ieri ero sotto un albero più secco e irriconoscibile il mio asino brucava l’ultima erba rimasta dopo l’ennesima nevicata, io dondolavo la testa una volta di qua e una volta di là per vincere la “canazza” che mi prende ogni pomeriggio e che non mi lascia in pace se non a notte fonda. Poi comincia la veglia forzata, l’insonnia, i pensieri, i mille problemi da risolvere: dal trovare un lavoretto a scovare una moglie con dote e fattoria, a racimolare qualche spicciolo per un bicchiere di vino caldo e schiumoso proprio come piace a me. Non posso arrampicarmi nelle tane e caverne di Betlemme, non ho più l’agilità di un tempo, le mie ossa scricchiolano ogni giorno di più, le mie ginocchia cedono più spesso rispetto all’anno scorso o forse a qualche settimana fa. Sono vecchio e dimenticato dagli uomini e da dio. Non è una bestemmia, mi sento proprio così, a quarantacinque anni non mi aspetta nessuno a casa, non si prende nessuno cura di me, né moglie, né figli che avrei tanto desiderato e invece guarda questi due in che stato stanno arrivando nella mia grotta preferita, quella più bassa e nascosta tra tutte, meno visibile e visitabile da animali e pastori; io però non ho nessuna intenzione di cedere la spelonca. Prima sono arrivato io e poi loro quindi... Io, dal canto mio, mi rintano in questo angolo buio e caldo che avevo scoperto in estate, il fieno è soffice, il sonno mi sta accompagnando verso il mio oblio, di loro mi occuperò dopo. Ma che sono queste grida da forsennata, sto sognando o son desto? Che sono questi gridolini di bambino appena nato? Che sia il figlio che non ho mai generato? Che è questa confusione di pastori sfaticati e impellicciati? Ho le visioni o sono già arrivato all’altro mondo? Che bendiddio davanti ai miei occhi, ritrovo tutto quello che non ho mai avuto, vabbé, questa volta mi giro dall’altra parte e contemplo l’oriente, mi provocherà meno incubi. Maria Letizia Mineo


ll cammello Guardalo il cammello, sembra che ti rida – lo fa con gli occhi appena socchiusi, masticando qualcosa che potrebbe essere il gambo duro di un carciofo che non vuol sfilacciarsi. Lo hanno fatto faticare quei tre scriteriati che prima guardavano in alto e poi litigavano se girare a destra oppure a sinistra. Il cammello nella sua posa da accovacciato poggia le palle per terra e pure loro si riposano – per tutto il cammino ballonzolavano a destra e a manca, prive di contenimento pesano e si allungano e potrebbero strisciare per terra (con o senza contributo di discorsi astrologico-filosofici che quei tre non mancano di fare). Lui sta seduto e osserva quei due vicino la mangiatoia, cornadure e orecchie lunghe, fiatano sul neonato, lo appestano con il loro alito da fieno rimasticato. Il cammello sorride, lui non ha di queste incombenze, è l’animale di tre intellettuali, non di un pastore schiavista – siede e gode del contatto delle palle con la terra morbida. Ci sono parecchie pecore in giro, alcune davvero carine, se solo fossero interessate ai forestieri si potrebbero combinare accoppiamenti goduriosi, niente che sia destinato alla procreazione. Immagina le palle del cammello, al sicuro, tra le gambe piegate, nell’alveo tra ventre e zampe. Tanti le mangiano, le tagliano con una lama, un gesto netto, tolgono la pelle che le ricopre e poi le grigliano, a fette sottili. Il cammello non per questo deve morire, le palle non sono come i polmoni, se ne può fare a meno: un cammello senza palle cammina ed è in grado di trasportare il suo padrone ancora per chissà quanti chilometri, forse ingrassa un po’ e di sicuro non si spinge più in fantasie accese quando guarda le piccole pecore che strappano il muschio e masticano. Chissà come sarebbe sentirsi sulle palle la lingua rasposa della capretta, pensa il cammello mentre passa una pastorella con il suo animaletto al guinzaglio. Ma anche la padroncina non è malvagia. Il cammello se la gode e sorride ancora più sornionamente. Lasciamo che il cammello si delizi di questo momento tranquillo di adorazione al nuovo nato e speriamo che nessuno senta la voglia di mangiare cose da cucina popolare, che gli umani non si sa mai, a volte gli gira e dicono Cumpa’, accendi il fuoco che stasera ci sono cose di capriccio. Giorgio D'Amato


San Giuseppe Lo ammetto, la mattina che mi disse di essere incinta andai su tutte le furie. Avevo il bastone in mano, indeciso se spezzarlo io, dalla rabbia, o lasciare che si spezzasse al contatto con la sua schiena. Sono fatto così: nell'indecisione optai per una terza via, e mi incamminai verso il Tempio. Rimuginavo dentro di me e maledivo il giorno che accettai di prenderla in casa. «Una ragazzina», mi dicevo. «Potrebbe essere mia figlia». Come avrei mai fatto a consumare le nozze con quel pensiero in testa? La camminata nervosa. Decine di parole tra le quali scegliere le più adatte a ripudiarla, restituirla a chi me l'aveva assegnata in sposa. Arrivai nel cortile del Tempio tutto sudato. Certe donne, intente a sistemare la mercanzia dei mariti per la giornata di preghiera imminente, si diedero di gomito quando mi videro. Presero a guardarmi con rispetto. C'era qualcosa, nei loro sguardi, che percepivo come un misto di ammirazione e rispetto. «Cosa avranno mai», mi chiesi? Cercai nella memoria se fossero state in passato mie clienti e se dunque avessero ancora per me della riconoscenza: un telaio rimesso a nuovo, o per qualche tavolo a cui avessi tolto fastidiosi difetti d'equilibrio. Smisi di pensarci una volta all'ingresso dell'area riservata agli uomini. «Stupido vecchio concentrati su questioni più importanti»! Furono calorose pacche sulle spalle a riaprire la mia mente ai dubbi. «E bravo Giuseppe!» «E chi l'avrebbe detto!» «Non hai perso tempo caro falegname!» «Si vede che le tue reni sono ancora quelle di uomo!» La notizia aveva fatto presto il giro della città! Quegli uomini si stavano complimentando con me, e in un modo che non avevo mai sperimentato prima! «Credono che il figlio sia mio»... Tutti quei sorrisi, quei complimenti, quelle strette di mano finirono per lusingarmi. Per la prima volta, e alla mia ormai veneranda età, mi stavano dando dell'uomo. Mi piacque quella sensazione. Cominciai a rispondere a ciascuno. A stringere mani, a ricambiare i sorrisi e gli auguri. Alla fine la rabbia si spense. «Credono che il figlio sia mio... Questa è la cosa più importante». Provai a stare il più dritto possibile con la schiena, sforzandomi di non trascinare troppo il bastone sulla sabbia. Tornai a casa sollevato. Oserei dire soddisfatto. Facemmo un patto, quella stessa sera, io e Maria. Le dissi solo che non avrei più voluto sentir parlare della visita di alcun Angelo. Quel figlio era mio. Avrebbe fatto il mio stesso mestiere e un giorno si sarebbe guadagnato, lui sì onestamente, lo sguardo riconoscente per qualche lavoro di falegnameria fatto a regola d'arte! E ci misi una croce sopra. Gianluca Meis


Il Fornaio Un

giorno come un altro. Per i più era semplicemente questo. Una notte come tante. Betlemme era spenta, illuminata unicamente da alcune stelle sparse in un profondo cielo, svuotato da ogni ostacolo. Tutta la città era cosparsa di una leggera rugiada notturna, accarezzata da un lieve vento pungente e piacevole. In quelle poche ore notturne si poteva percepire la tranquillità, quella positiva solitudine che riesce a dare vita ad un qualcosa che, in caso contrario, non si riuscirebbe a distinguere dalla morte. Questa era una sensazione che tutto il popolo di Betlemme non riusciva a cogliere, quasi certamente per paura. Tutto il popolo, eccetto una persona. Quella notte, alle pareti leggermente illuminate dalle stelle, contrastavano due piccoli focolai che riuscivano a colorare con le sfumature più calde i pochi metri circostanti. Uno di questi era un semplice loculo per il pane, che da solo riusciva a dare anima ad una città intera. Il silenzio del sonno era interrotto sporadicamente dal piacevole crepitio della legna che bruciava, e che riscaldava l'atmosfera adiacente. Amava quel lavoro. Le mattine al mercato si parlava spesso di lui, ci si domandava che tipo di persona potesse decidere di vivere di notte, trovando spesso come unica risposta quella che entrava in ogni dialogo: il danaro. Ma non era così, non per lui. Era stata una scelta, una scelta nemmeno ponderata, ma vissuta. Una scelta non di certo dettata solo dalla necessità. Più semplicemente lui aveva sempre vissuto la notte. La contemplava ogni giorno, ascoltava il suo silenzio, guardava l'infinito. Ma in realtà non è stato sempre così. Accadde un giorno che una persona gli insegnò a diventare freddo, ad essere freddo. Perché quello era l'unico modo per non provare dolore: la fiducia è un'arma a doppio taglio che spesso viene impugnata dalla persona che si ha davanti. Non serve specificare chi deve essere il bersaglio. Lo stesso freddo con cui aveva imparato ad avvolgere i suoi caldi sentimenti, era il freddo che di notte avvolgeva la città, la sua città. Il calore di quel forno gli serviva a ricordare che era vivo, che dentro ai molti involucri di ghiaccio, c'erano sensazioni calde, vive, che pulsavano tentando di uscire da quei bozzoli da lui stesso costruiti. In quei momenti si sentiva vivo, e non aveva paura d'esserlo. Stava sfornando un'altra pagnotta, quella sera, quando si accorse che si era bruciata da un lato, probabilmente perché i suoi pensieri lo avevano distratto nuovamente, come spesso accadeva. Stava per prenderla e gettarla, quando il sorriso di serenità si levò improvvisamente dal suo viso. La fissava, quasi impaurito, senza riuscire a sfiorarla. Quel lato, completamente nero e completamente sbagliato, gli smosse qualcosa. Perché gettarlo? Cos'aveva di sbagliato? Queste domande continuavano a confondere i suoi pensieri, senza dargli la possibilità di rispondersi. Il fuoco si era ormai spento nel forno, ma l'uomo era ancora lì, fisso davanti alla pagnotta bruciata. Raffreddata ed indurita dalla rigida temperatura circostante che aveva ricoperto il dolce avvolgere delle fiamme sulla legna, diventata cenere. L'abitudine lo aveva portato sino a lì, sino a quel giorno. L'abitudine a credere che, chiudere qualcosa in un recinto, potesse evitare di provare dolore, senza accorgersi che l'unica cosa che riusciva ad evitare, era la vita. In quel momento gli sembrava di essere davanti ad uno specchio: quella pagnotta, scottata dal fuoco, gli aprì nuovamente il cuore, lo stesso cuore che aveva subìto la sorte di quell'oggetto da lui creato. Il silenzio ed il freddo avevano conquistato il suo banco di lavoro e per la prima volta, dopo molto tempo, non riusciva più a sentirsi a casa, al sicuro. Fu quello il momento. Il momento in cui si mosse. Continuando a fissare la pagnotta fece un semplice sorriso. Il sorriso più vero che avesse mai fatto. Al sorgere del sole il suo forno era un luogo diverso. Abbandonato, freddo, vuoto ma pieno allo stesso tempo, pieno di pane. Non c'era nient'altro che pane. Splendido pane, pronto


alla vendita. Senza sbagli. Senza bruciature. Aveva lasciato dietro di sé tutto quello che non serviva più, un taglio netto per concludere, o forse per riprendere da dove si era fermato. Quella pagnotta bruciata fu l'unica cosa che portò con sé, forse perchè era la cosa che gli aveva fatto ricordare nuovamente cosa significasse vivere. Un giorno come un altro. Per i più era semplicemente questo. Una mattina come tante. Ma non per lui, non più. BiMan


In fuga dal Presepe I miei vicini di casa sono pronti da una settimana e io ogni anno mi ritrovo a fare opera di convincimento con le damine di Capodimonte e i cigni di cristallo di Boemia, li scuoto dal torpore della polvere e dalla comodità languida dei loro centrini di merletto. Devono farsi da parte per un periodo breve, che abbiano pazienza, alla fine li ripagherò con una spruzzata di vetril e una strusciata di panno morbido. Di solito, dopo il discorso del vetril, la trattativa si risolve al meglio, ma c’è sempre qualcuno di loro che si lamenta e millanta diritti di prelazione. La principessa di porcellana non sopporta di cedere il suo posto alla madonna, né i cigni flessuosi alle papere o peggio ancora alle pecore, ma non ci sono santi, ormai è deciso, devono sloggiare: dicembre dura solo un mese e i re magi sono in viaggio con i loro cammelli di plastica stampata. Il presepe lo preparo sul tavolino laterale della sala da pranzo, quello piccolo a mezzaluna con le gambe tornite. Nel mio presepe tutti i personaggi e gli animali e gli oggetti inanimati convergono in corteo verso la capannina, fanno a gara con la stella cometa a chi arriva prima, è un elenco lungo di gente di ogni estrazione sociale, spesso bigotti che lo fanno solo per mettersi in mostra, gli animali, le pecore ad esempio, si vede che non sono interessate, molte di loro tengono la testa bassa a brucare il piano del tavolino, sono bestie ottuse. Un laghetto di carta d’alluminio raccoglie per finta l’acqua finta che sgorga pochi centimetri sopra, dalla fessura tra gli elementi del termosifone, esce già calda, si può regolare la temperatura alla fonte. Il corso d’acqua scende lungo la parete di roccia di carta in una cascata graziosa che si dirige verso la capannina, poi la carta d’alluminio è ritagliata in una forma tonda, e questo è il laghetto del presepe, sulla cui superficie galleggiano per finta anatre oche e pecore piccole, non agnelli, pecore fuori scala, che non c’era posto per loro nel gregge sul vialetto d’accesso, qualcuno le avrebbe schiacciate. Lo steccato che delimita il vialetto è orientato in modo tale da accompagnare i visitatori verso l’ingresso, è uno strumento topografico utile per chi proviene da paesi lontani e non conosce la strada. Tutti si affollano, fanno ressa davanti alla capannina, al suo interno c’è la frenesia preparto, si capisce che tutto quell’ affollarsi non è gradito. Giuseppe gira in circolo, nervoso, cerca di trovare qualcuno che porti acqua calda e bende pulite, l’ha visto fare nei film western, è l’unica esperienza che ha sul parto, in compenso non ha nessuna esperienza sul concepimento. Maria si sente a disagio, osservata da tutta quella gente in un momento così intimo, ma non lo dà a vedere, finge di raccogliersi in preghiera, dio solo sa come si sente, le contrazioni che si fanno sempre più frequenti e dolorose, e la folla che si è raccolta sulla soglia non l’aiuta a rilassarsi. Si sente un brusìo di esse sussurrate sullo sfondo e il fastidio è amplificato dalle lucine led a intermittenza, di vari colori cinesi alternati. L’asino incrocia lo sguardo di Giuseppe, che già medita il suo piano da un paio di giorni, l’occasione giusta è l’ora di pranzo della vigilia, Giuseppe ha preparato tutto nei ritagli di tempo, ci ha messo un po’ a pensarci, non uno stratega ma è un semplice artigiano, uomo concreto e pratico. Carezza sulla testa il bue placido che rumina per finta il suo fieno finto, imbriglia l’asino, aiuta Maria a salire con molta difficoltà, dà un’occhiata intorno, i pastorelli sono intenti a consumare il loro pane casereccio, le pecore brucano il tavolo, altre figure sono appartate a fare due chiacchiere e fumare una sigaretta, due cani da pastore annusano le papere finte con le zampe dentro il laghetto argentato. Escono dal retro, che si affaccia direttamente a strapiombo sul bordo del tavolino, avanzano con cautela, è solo questione di far piano e prudenti, niente movimenti bruschi, a scendere però li aiuto io.


Una volta arrivati sul pavimento della sala da pranzo, dopo una piccola pausa di orientamento, s’incamminano lungo la fuga delle piastrelle di ceramica. Non ho visto bene dove si sono diretti. Raimondo Quagliana


Magi per caso: la vera storia di Baldassarre Addì, 25 dicembre dell'anno otto, Divi Augusti. Viaggerai insieme a dei veri Magi e nel frattempo ti spicci le cose tue. E io mi sono lasciato convincere. Mia moglie, per farsi bella col vicinato, si è affrettata a comprarmi sti frasciami e coi bagagli mi ha dato anche le tessere per il censimento: visto che c'ero, avrei anche obbedito all'editto di Augusto. Per compagnia, avrei avuto Gaspare, detto Asparinu, col quale, nel frattempo, avrei sbrigato qualche faccenduola di mercatura. Egli è del paese mio, anche se proprio vero Magio non è: si è comprato il titolo e ora gira col turbante. Si dice che la madre ebbe na botta di spavento e lo fece nero come la notte senza luna, ma c'è chi chiacchera su qualche saracinu di passaggio. Perciò ha sentito il bisogno di farsi Magio e ora tutti a scappellarsi. Ha insistito: comprati o turbanti ca passi per Magio pure tu e ti fanno anche lo sconto sulla nave! E così ho fatto. L'altro, Melchiorre, chillu cchiù anzianu, è nobile continentale: l'abbiamo incontrato sulla nave per l'Oriente ma era canuscenti cu Gasparinu e abbiamo viaggiato insieme. Ho capito subito che, con tutta l'aria intellettuale che teneva, avremmo avuto qualche problema. E così è stato: scendendo dalla nave, Melchiorre, s'è incaponito con una teoria tutta sua, farfuglia di astri e comete e da giorni lo seguiamo nta stu deserto cu sti cammelli, all'acqua e al vento, e non possiamo lamentarci perché è permaloso assà. -Nobile Melchiorre- ata scusà- ci avevate detto di girare dopo il monte a punta aguzza ma invece continuiamo sempre dritto... -Baldassarre, abbiate fiducia, sono certo che sia meglio proseguire tra questi monti seguendo la strada indicata dalla cometa. Scusate se vi arreco disturbo...ma siete sicuro che chista stella, che seguimmo, è chilla giusta? -Cometa, prego! E sulla direzione non v'è dubbio alcuno! Baldassà -s'intromette Asparinu a voce bassa- stativi bbuonu... non lu facimmu scuncintrà con queste sottigliezze... e poi- sorridendo conciliante- noi simmu Magi e seguimmo e comete. Senti, Asparì, con questa storia della cometa, ora mi avete proprio scocciato. A parte il fatto che voi, proprio Magio autentico, forse, non siete...e io manco nelle scarpe. Se non fosse per questo censimento non ci starei proprio dietro a stu fanatico....Ma, a proposito, siete proprio sicuri che la sezione giusta stava a Gerusalemme? Baldassà, l'editto parlava chiaro: dalla Britannia in giù si va a Roma e chi sta giù da Roma se ne deve annà a Gerusalemme e poi (schiacciando l'occhio) proseguiamo per gli affaricelli nostri. - Fate silenzio mi sconcentrate - tuona Melchiorre-… non discerno più il luminoso segnale .. Io credo veramenti -detto tra noi, Asparì- che l'unico vero segnali è chillo ca non gli hanno ancora fatto coppa a ssa capoccia che tiene dura come o marmo di Augusto. Io lo avevo detto che Gerusalemme stava a destra…ma lui sta fissato cu sta cometa. Ha letto Tolomeo! Baldassà, u sapimmo che i greci sono inaffidabili ma Melchiorre è uno che ha studiato ad Alessandria! -Ma quale Alessandria d'Egitto!!! - Silenzio, prego, ci interrompe brusco Melchiorre- vedo delle luci in lontananza! Sarà a cometa- faccio con aria di scherno-chistu sta proprio inguaiato bbuonu! Lasciàmmulu alle stelle sue e spicciamoci gli affari nostri.


Ma quali cometa? Risponde Asparino con una mano sulla fronte- Melchiorre sta nu pocu cecatu: Là in fondo ci stanno nu fuocherello e nu poco di pastori. Fanno segnali di accoglienza. Ncoppa a sta pietra c'è sta scritto Betlemme. Nu bue e n’asinello se stanno a scornà dintra na grotta. Mi pare di vedè contadini che si sbracciano…. Ci dirigiamo, infatti, verso una grotta illuminata da un grande fuoco attorniato da gente affaccendata. - Appropinquiamoci lieti ai rustici festosi. -Ci dice contento Melchiorre indicandoci la grotta. I rustici?! Ma chistu è proprio pazzu. Asparì, famme o piacere, giriamo bordo e iamme ja. Baldassà ama truvà lu mumentu giustu.- mi risponde serio- Tengo un piano: avviciniamoci alla grotta e mentri lui si “appropinqua”...noi ci dileguammo.... Asparì è la prima cosa giusta che ti sento dire da dieci giorni! Ma che fanno, perché sono così contenti, ballano e cantano.... Ma che dicono tu li capisci? A me mi pare turco aramaico e poi tutta sta confusione pi nu bue e n'asinello che stanno a scalcià mmienzu a paglia dintra na grotta. Mah! Questi sono provinciali, caro Asparì, mica hanno visto mai gli spettacoli del circo Massimo. -Pace a voi o rustici festosi -proferisce solenne Melchiorre- potreste indicarci per favore la strada per Gerusalemme? Siamo Magi autentici diretti alla sezione di Gerusalemme per il censimento. Ma che fa -Asparì- non lo vede che non capiscono una mazza? Quelli ridono e gli fanno cenni indicando la grotta. Facciamo così: contiamo fino a tre e via! I sacchetti sono ncoppa o cammello? No, veramente li ho dati al nobile Melchiorre... mi ha detto che li conservava lui... -Noooo! Ma si pazzo?!! E perché mai? Teneva pure lui capitali da trasferire nelle province? Come hai fatto a fidarti? Ma, aspetta, che fa? Guarda i sacchetti dove sono! Indico a Gasparino la zona in basso vicino ad una mangiatoia: i sacchetti con l'oro, l'incenso e la mirra per il contrabbando con i farisei, stanno nascosti sotto la mangiatoia. Sangue di San Gennaro! Ma che dici Baldassà...San Gennaro nu n'è ancora nato! Ma è già Santo, Asparì...non perdiamo tempo con queste quisquilie....ma guarda bene: mi pare ci stia nu nicarello sopra la mangiatoia coi genitori a lato. Furbo come un lupo l'amico tuo! Vedi nascondiglio che si trovò, Asparì -dico in preda alla stizza- come abbiamo fatto a non capire quello che tramava il continentale?! Io te lo avevo detto fin dall'inizio, ma tu cu sto titolo di Magio che ti sei comprato ti sei lasciato abbindolare....Chillo teneva il tono dolce, la parlata forbita, ma aveva già organizzato tutto! Alla prima occasione ci avrebbe fatto sparire il malloppo. Per tutte le veline di Augusto, hai ragione Baldassà: malloppi e buoi dei paesi tuoi! Sorridi Asparì che ci vengono tutti incontro....appena lui si gira verso il bue e l'asinello, noi con un balzo fulmineo ci ripigliamo i sacchetti, tu prendi i cammelli e via... Zitto che si avvicina.... Melchiorre, torna indietro verso di noi come per dirci qualcosa ma io lo interrompo subito. Ehi nobile Melchiorre- gli dico- vi sta a chiamà quella bella acquaiola laggiù! E gli indico una figliola mora con un orcio in testa, belloccia assà. -Ma davvero? Dove trovasi ubicata la dolce pulzella? Mentre Melchiorre si allontana baldanzoso, mi avvicino per recuperare il maltolto. Asparì statti accuorto!...Eh che bello o bambiniello, ma quanto è bello,...biondo con i boccoli...ma che strano.... Baldassà non pirdemu tempu! Fa Asparino preoccupato guardandosi attorno circospetto. Li ho presi! Non si sono accorti di nulla. Asparì, curri che li ho sotto o mantello, presto, veloce... Cominciamo a correre in direzione opposta a quella da dove siamo venuti, I cammelli dietro.


Baldassà....mi sta venendo un male al petto -dice Asparìno affannato- mettiamoci in coppa a sti cammelli ….ca tengo u bue e l'asinello attaccati dietro! Curri, Asparì, curri!! Maria Luisa Florio


La Mangiatoia C’era il sole quando sono nata e mi hanno esposto fuori ad asciugare. Le tavole che erano servite per costruirmi avevano ancora il profumo dell’olivo. Quel giorno ero fuori e fantasticavo. Sapevo come mi chiamavo. Il falegname lo aveva ripetuto più volte mentre mi levigava.”Ma guarda che fatica per questa mangiatoia. Ho spuntato tre volte la pialla e ancora non ne vuole sapere.” Lui si arrabbiava ma lo sapevo che in qualche modo mi voleva bene. Lo sentivo quando con le sue mani ruvide mi accarezzava, quasi mi solleticava ed io godevo di quella piccola intimità che mi regalava. Fuori al sole fantasticavo sul mio futuro. Una mangiatoia. M’immaginavo ricoperta di succulente primizie a ricchi ricevimenti nel centro di una reggia. Oppure sognavo di essere posta in stalla dove ero rispettata e osannata come una regina, dispensatrice di foraggi per saziare dolci bestiole che venivano riconoscenti alla mia tavola. Quando ho conosciuto il mio padrone, ho capito che qualcosa nel mio quadro idillico non andava. Il ragazzotto mi aveva preso in consegna caricandomi su un ciuchino e ballonzolando per due giorni e due notti, piena di polvere e acciacchi, eravamo arrivati in un posto sperduto. Una grotta freddissima dove l’asinello finalmente si era riposato ed io ero stata messa nel centro. C’era anche un altro ospite in quel posto sperduto, un ruminante, che mi aveva guardato torto, continuando a biasciare qualcosa d’indefinibile. Poi è arrivato il resto della banda. Oche, paperi, pecore, galline di tutto e tutti a mangiare da me. La loro mangiatoia, sempre piena di erba e foraggi, era diventata il punto di raccolta di tutti questi animali. Il ragazzotto, con un bastone incurvato e con la compagnia di un cane, era sicuramente un pastore. Usciva la mattina presto con il gregge e tornava dopo qualche giorno per lavorare il latte delle pecore. Così nei giorni che lui non c’era facevo da balia al resto della marmaglia che viveva nella grotta. Niente banchetti lussuosi o stalle curate. Ero lì fra decine di animali che starnazzano fra loro sotto lo sguardo, attendo del bue e dell’asinello, che comunque si facevano i fatti loro. Una mattina però successe una cosa strana. La gallina da qualche tempo non raspava più intorno alla stalla, se ne stava buona in disparte, pensierosa. Il pastore era da poco partito con il gregge e mi aveva lasciato piena di paglia fresca. Appena il pastorello si era allontanato la gallina aveva fatto un balzo andando ad accoccolarsi nel mio centro. Si era aggiustata le piume e dopo aveva cominciato ad aspettare. Gli altri animali gli giravano intorno curiosi, fino a quando ha cominciato a spingere facendo uscire tre cose ovali. Adesso va via, pensai, invece rimase lì per diversi giorni, fino a quando da quelle strane forme non uscirono dei pulcini, bruttini all’inizio, ma ben presto diventarono bellissimi, con piume dorate e occhietti furbi. Ero così emozionata che avrei voluto piangere. Non durò molto, ma mi sono sentita un po’ madre anch’io. Comunque la mia vita era abbastanza noiosa, sempre nel centro della stalla, con tutti i miei animali intorno, il pastorello che portava il fieno fresco, il bue e l’asinello che a volte erano anche utili, perché il loro fiato nelle notti fredde era l’unica cosa che riusciva a scaldarmi. Le notti erano veramente lunghe. Gli animali dormivano. Il pastore appoggiato al suo bastone sorvegliava sonnecchiando le pecore ed io guardavo le stelle pensando che i miei sogni potevano ancora avverarsi. Quella notte, il firmamento era di uno splendore unico. Faceva freddo nemmeno il fiato dei miei compagni riusciva a scaldarmi. Il pastorello era andato via la mattina, dopo aver sistemato del fieno fresco e profumato. Era notte fonda, quando un uomo e una donna si avvicinarono alla grotta. Lei aveva un volto bellissimo, emanava una luce che non avevo


mai visto. Ma soffriva. Si lasciarono andare sulla terra della grotta e lui l’abbracciò, fino a quando lei non lanciò un urlo di dolore. Non riuscii a vedere quello che succedeva, ma ero tranquilla, del resto come lo erano i miei due amici, stranamente silenziosi. Il silenzio fu interrotto da un vagito e da quel momento i miei sogni si avverarono. La donna mise delicatamente il piccolo dentro di me. Il piccolo dormiva, sereno. Non riuscivo a fare altro che custodire quel neonato, infatti, non capii cosa stava succedendo. Il cielo si riempì di angeli, e un poco alla volta arrivarono tutti: i pastorelli, le pecore, le galline, le oche. Silenziosi si misero intorno a me che vigilavo quel dono. La donna non aveva occhi per quel piccolo che adesso non dormiva, ma sorrideva a tutti. L’uomo silenzioso guardava la sua famiglia. La stalla era diventata una reggia. C’era l’amore. Ed io piccola mangiatoia, avevo coronato il mio sogno. Avevo in me un tesoro e lo proteggevo come una madre difende suo figlio. Ora potevo ritornare a dispensare foraggi e fieno. Nulla sarebbe stato uguale a prima. Nel mio grembo avevo un piccolo re, lo sentivo. E ne fui sicura quando il cielo s’illuminò e una stella cometa si pose sopra di noi. Cinzia Giuntoli


Beghe a Betlemme Il presepe in questione era uno di quelli validi, aveva tutti i canoni espressi a regola d’arte: muschio secco raccolto in una giornata d’inverno in un boschetto umbro, farina tipo “00” appositamente comprata dal mulino del signor Banderas e tutte le pecorelle erano state testate per non cadere mai, né se fosse arrivato un bambino, né se avesse soffiato la bora triestina, né nella prova della curva dell’alce. Insomma un presepe 2.0. San Giuseppe, che tutti chiamavano Beppino, era contento che tutto fosse perfetto, in fondo era lui che dirigeva i lavori: e le colline così, e il castello di Erode più in là, e ti pare il modo di mettere un ponte; queste e altre beghe da capocantiere di Betlemme. Beppino era un faro per tutti, sapeva sempre cosa fare e in quali scatoloni fossero stati messi i pezzi. Insomma, una sicurezza. Venne il momento in cui anche la stella cometa venne posata sulla grotta e tutti i pastori presenti applaudirono di gioia, si stringevano la mano e ordinavano delle lenticchie calde dalla statuina all’angolo. Ma Beppino non riuscì a rilassarsi nemmeno per un attimo, infatti arrivò un Erode tutto arrabbiato che nemmeno avesse incontrato i re magi, infatti dovevano ancora arrivare. Prese di lato Beppino e gli disse: “Senti, Beppino, ok che qui non sono tanto ben visto, che non sono proprio l’anima della festa, che come popolarità sono secondo solo al legionario romano, ma ehi... ci sono anch’io e non ho mai dato fastidio”. Beppino ascoltava, non capiva ed Erode continuava: “Premesso questo, perché non c’è rispetto? Quest’anno mi trattano peggio degli altri anni. Ma ti pare, io ne ho le ziggurat piene di voi e del muschio che ti entra ovunque, perfino nelle mutande”. Così diceva Erode. Beppino gli disse di calmarsi, che non sapeva cosa stava succedendo e di spiegarsi meglio. Erode arrivò al dunque: una statuina si era calata le braghe e a chiappe all’aria si era messa a fare quella grossa accanto al muro del suo castello. Una cosa inconcepibile! Beppino decise di andare subito a vedere cosa stesse succedendo, perché un comportamento del genere non era ammissibile in un presepe natalizio, tanto meno in uno che era un 2.0. Arrivarono al castello e videro che si era fatta una certa folla tutt’attorno, pastori curiosi per lo più, ma c’era anche il tale che portava sempre la lanterna accesa, forse per far luce sulla cosa. In effetti la statuina con le braghe calate c’era e guardava tutti con area spaesata. Beppino gli chiese cosa stesse facendo e gli disse che se non l’avesse finita subito, sarebbe tornata nello scatolone insieme agli addobbi vecchi o mezzi rotti. Ma quello gli rispose una lunga serie di sproloqui in spagnolo, incapibili da tutto il resto del presepe che bazzicava solo di italiano, perché era un presepe italiano, di ebraico, perché volevano rappresentare bene il loro personaggio e alcuni anche di cinese perché erano stati prodotti là. Insomma nessuno riusciva a capire quella statuina, che intanto, levatasi in piedi, mostrò a tutti i suoi attribuiti di plastica. Il tipo, sempre a braghe calate, cercava di argomentare alla folla, che intanto era raddoppiata per tanto successo che stava riscuotendo l’accaduto, ma che continuava a non capire. Sopraggiunse, remota e lenta, anche la vecchia che filava e annusando un po’ la faccenda andò da Beppino. C’è da precisare che la vecchia che fila, nel presepe rappresenta il diavolo, e quindi, uno che sa tutte lingue del mondo. Andò da Beppino e gli spiegò la situazione: “Senti, siccome vedo che non avete una mezza idea di chi sia questa statuina, te lo dico io che so lo spagnolo. Questa statuina è il “Caganer” e viene dal presepe catalano, per questo parla spagnolo e per questo che non l’abbiamo mai visto prima”. Beppino disse alla vecchia di spiegare la situazione alla statuina estera e di fargli capire che quello non era il suo posto e che Erode non era proprio dell’umore adatto. Il Caganer e la vecchia cominciarono a parlare ed ad un tratto, lo spagnolo si guardò intorno


ancor più spaesato di prima e capì di essersi sbagliato alla grande. Chiese un paio di volte scusa, si tirò su i pantaloni, si sistemò il berretto rosso sulla testa e fece per andarsene, ma prima porse la mano a San Giuseppe con toni diplomatici e chiedendo scusa di nuovo. Giuseppe gliela porse a sua volta, dovere di un capo di rappresentanza e lo fece scortare al di dà delle colline da uno dei pastori che doveva portare al pascolo il suo gregge. Appena il Caganer si allontanò, cercò di pulirsi la mano sulla prima cosa che trovò, sfortunatamente la tunica regale di Erode che esplose di rabbia e ritirandosi nel castello minacciò di fare una strage degli innocenti coi fiocchi. Beppino sospirò, aveva risolto il problema e tutto si era sistemato. Ma ancora una volta non poté riposare a lungo, infatti arrivarono due re magi con l’aria dispiaciuta e preoccupata. Alla domanda del perché fossero solo in due, risposero: “E’ quello sprovveduto di Baldassarre! Ha nascosto della marijuana dentro l’incenso dicendo che i cani non l’avrebbero mai trovata lì! Beh, l’han fermato alla frontiera e vogliono metterlo dentro!”. Beppino sorrise amareggiato e, con Gaspare e Melchiorre al seguito, andò a vedere come poteva risolvere anche quell’inghippo. Andrea "Knulp" Roma


La natività in 90 minuti Gentili signore e signori buonasera, è il vostro Al Caruso che vi parla e vi saluta. Siete collegati col circuito internazionale di Nazareth, dove sta per avere inizio l'ultima tappa del 'Mille e una Notte verso la Natività: 90 chilometri in 90 minuti'. Ai nastri di partenza, in pole position abbiamo Gaspare, Melchiorre e Baldassare della scuderia dei Re Magi, a bordo del bue, quattro zampe motrici motore muu a fieno regime. Dietro di loro, in seconda fila rispettivamente Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno della scuderia dei Nipoti di Babbo Natale a bordo del 'ciuccio', versione napoletana dell'asino, motore quattro zampe, alimentato a lava del Vesuvio, per un percorso senza macchie. Percorso complicato 90 chilometri da Nazareth a Bethlem, passando per Jerusalem. Tempo mite, fondo stradale in condizioni precarie a causa della pioggia di meteoriti cadute nelle 24 ore precedenti. I corridori sono piazzati ai nastri di partenza...Mancano pochi secondi al via...Partiti! Scatto imperioso del bue guidato da Melchiorre, che con una zampata veloce si porta al comando della corsa, tallonato a due secondi dall'asino di Bertoldo che a sua volta precede Gaspare, Cacasenno Bertoldino e il compagno di squadra Baldassare, tutti indietro con tempi di ritardo compresi tra il minuto e il minuto e mezzo. Intanto ai box...ops nella grotta Mastro Geppetto affila il bastone e Giuseppe nel frattempo aiuta la Madonna che mastica una carota nell'attesa del Travaglio di 'bambinello' Gesù. Giuseppe, papà che non vede l'ora di esserlo, ha già aperto un libretto di risparmio a nome del bambinello, presso la Cassa di Risparmio di Bethlem, a tal proposito, intervistato dai nostri microfoni nei giorni scorsi ha detto: "Questa scelta m'è costata quattro soldi", già lì si mostrava speranzoso di aver fatto la cosa giusta, illuminato dal Padre Eterno. Torniamo alla gara: Ci segnala il nostro Ciccio Meri dalla regia, che le due squadre hanno a bordo alcuni doni da dare alla Sacra Famiglia: oltre ai classici oro, incenso e mirra, i magi pare siano passati dalla Sikania, per portare con loro alcuni assaggi gastronomici ovvero sfinciuni, frittola, e stigghiole, innaffiate da un bel bicchiere di zibibbo, che come dicono dall' Isola felice 'sù fatti rà bella vieru' ops...volevo dire roba da leccarsi i baffi, per chi li ha... tanto per gradire. Intanto ad assistere la Madonna per il parto è arrivato niente popodimeno che dall'Italia, il celebre medico e farmacista Carlo Erba, che ha un alito pesante oltre al mal di gola... Peccato per lui: avrà dimenticato a casa il Tantum Verde. Siamo a metà gara e il bue ha le zampe sgonfie, sarà per questo che Gaspare decide di rientrare in stalla per un rifornimento, così i Nipoti di Babbo Natale passano in testa. L'asinello va avanti a passo folto, senza problemi, sembra spedito verso il traguardo ma...che succede? I giudici di gara guidati da Gianni Pettenati espongono la bandiera di colore giallo, ciò significa che: "finchè vedrai...sventolar bandiera gialla, tu vedrai che qui si balla ed il tempo volerà!". I Nipoti di Babbo Natale clamorosamente si ritirano abbandonando l'asino a ridosso di una curva e vanno a far baldoria, con alcune odalische medio-orientali. A fine corsa, il giudice di gara dirà di averli squalificati perchè positivi ad un controllo antidoping; avevano infatti abusato oltre i limiti consentiti dalla legge della polvere d'incenso, che tra i suoi effetti collaterali puo' far girare la testa e far perdere il senso del tempo e dello spazio; sarà per questo che Bertoldo esclamò: "sembra di andare nel futuro, in un mondo mondano". Ci siamo quasi ma improvvisamente Melchiorre si arrabbia coi compagni di avventura affermando: "Beh, abbiamo finito tutti gli assaggi!" Baldassare risponde: " E ora cosa regaliamo?" E alla fine Gaspare realizza: "UN MAZZO DI FIORI". I Re Magi, a bordo del bue e del recuperato asinello, strada facendo arrivano a destinazione in tempo per assistere al parto nella grotta. "Amici telespettatori collegati via satellite, il Travaglio è arrivato alla fine e le nostre telecamere immortalano l'evento:


Eccolo, è nato! E' nato!, il figlio di Dio è nato". In coro i Re Magi affermano: "E' stato un lungo viaggio ma ne è valsa la pena". Bene, cari amici vicini e lontani. In questi casi si dice missione compiuta. Grazie per averci seguito fin qui, vi auguro la buonanotte e soprattutto Buon Natale. Sabino Bisso


In fuga -Brindiamo! -Sì! Brindiamo! -Versa ancora anticchia ì vino! -Aracio! Viri ca t’immriachi! Ihihihih! -Ma finiscila! Inchi ccà! ... Senti, Vicé, ma sicunno tìa chi succere docu? ‘un ti ricordi niente? -E cchi sacciu, spuntò ‘na stedda ddà n’capo e tutti vinniru a taliari ddù picciriddu. Dicono che è volontà di Dio... -Capisciu. ‘Un ti ricordi niente.. Mah?! Cose strane! ‘un mi criri nuddu... -Seh, u sacciu io chi cose strane cà viri tu. Cose ‘i tavierna... -No! No! L’à ffiniri i pigghiarimi ppì fissa! Sugnu serio! Tu un mi canusci a mmia! -No? Picchì? Cuntamillo tu, allura, cù sì? -Io sugnu u rre maggio! -Seh! Arrivò! ù re maggio! E giugno e luglio runne sù? -T’ù giuru viero! Ma picchì ‘un m’ha cririri?! Bell’amico! -Seh? Sì u rrè? E chiddi chi ssù? Chiddi! Talé ddà! Cuntamo: unu, rue e tri! Chiddi sù i tre re maggi! -E cù t’ù rissi cà i re maggi sunnu tri? Sicuru sì? Io ti ricu ca erano quattro! Quattro erano! -Ho capito! I miei omaggi Rré Iachino! Ma s’à sentito dire mai un ré cà si chiama Iachino? -Picchi? Che? Chi ci vulissi diri? Intanto, Gioacchino mi chiamo! Baldassarre e Gaspare ti parono megghiu come nnomi di rré? Mechiorre già fa esotico... Ma Gaspare? T’ù ‘mmaggini? “Sparinoooo! Acchiana cà ti scurdasti à corona!” -Vabbè, vabbè. Talè, và cuntaccillo a n’avutru sta minchiata cù buotto! In primisis: ‘un s’à sentito dire mai “i quattro maggi”. Di secundisis: se sei Re, sua maestà, dov’è il suo scettro? Sua Maestà, dov’è il suo mantello? Sua maesta dov’è la sua corona e le incommensurabili ricchezze? Talè, và fatti ‘na caminata... -Tu perché dividi il desco con me e ingurgiti questo scadente vino ottenebrando la tua coscienza? -Ma come parli? Ma che magia è? -Parlo la lingua che mi insegnò mia madre. Perché anche tu adesso smetti di parlare in volgare? Forse inizi a credere alle mie parole? -E quindi sul serio tu sei... Lei è... -Ebbene sì mio ignaro ed ebbro amico. Sono Re Gioacchino. Espropriato di ogni diritto e di qualunque dignità. Gioacchino il pazzo. Gioacchino l’ubriacone. Dopo il manicomio non si riabilita nemmeno un Re. Cancellato dalla storia, cancellato dall’anagrafe. Cancellato dal presepe, quasi. -Presepe? E cchi mminchia é? Oh... mi scusasse... Mi scusi sua Maestà.. Cos’è di grazia questo prisepe? -Non preoccuparti Vicé, no è ca ora t’à sforzare ì parrare diverso, parra comu ti viene... -La ringrazio sua Altezza! Ma è più forte di me! Sono confuso... -E sia...parla come preferisci... -Non mi ha risposto... cosa è questo pre...presepe? -Non sei curioso di sapere come mi sono ridotto così? Non ti ricordi di avermi già conosciuto tanti anni fa? -Da bambini? No, non ricordo... Ma come avrei potuto frequentare un principe da bambino? -Tanti anni fa, stavo camminando col mio cammello. Ero con gli altri tre Re Magi. Seguivamo la stella cometa. Eravamo da tanti giorni in viaggio. Eppure avevo la


sensazione che fossimo fermi sempre allo stesso punto. Gli altri non ci facevano caso, anzi mi dileggiavano... -Eh? -Mi sfottevano con cattiveria. Son sempre stato un bambino sensibile, che percepiva cose che gli altri non vedevano. Loro mi dicevano “Noi facciamo il volere di Dio. Se non sei d’accordo puoi pure abbandonare questa spedizione” -Aspetta... Ma i re sono arrivati in paese da una settimana, a te ti conosco... Maestà io la conosco da almeno un mese... Se lei dice che era con loro... i conti non tornano... -Io risposi loro che non era un problema la volontà di Dio o che non avessi fede in Lui.. Ma il fatto è che la mano di Dio l’ho visto in faccia, a un centimetro dalla mia faccia. Aveva le unghie lunghe e le dita sporche di marmellata. Capisci? -Veramente... mio signore.. no! -Ho iniziato a bere perché ho visto qualcosa che non sono in grado di sopportare e che non posso condividere con nessuno. Ci osservano. Ci controllano. Siamo delle statuine nelle loro mani. E’ tutta una messinscena. Sono anni che è così. Ripetiamo sempre la stessa scenetta. E nessuno si ricorda niente, tranne me. Io mi ricordo. Mi ricordo che il primo anno ero un re. Mi ricordo della mano di Dio che abbatté tutto. C’era una voce lontana che gridava “No, sangu miu! ‘Un si fà! ‘Un si tocca ù presepe! Fra poco lo dobbiamo levare! Non perdere i pezzi sai?!”. Nessuno mi ha creduto! Mi hanno emarginato! Ed era una scoperta troppo dura per restare sano. La mia mente non ha retto. Ci controllano. Ci guardano, Per qualche strano motivo ci manipolano, ci posizionano. E ci guardano. Anno dopo anno! Vieni! Vieni qua! Andiamo a bere dell’acqua! Vieni al ruscello! -Ma io non voglio acqua, sua Maestà! E non è neanche la sua bevanda preferita...non so se mi spiego... -Taci! Vieni qua! Ecco! Prova a raccogliere l’acqua dal ruscello col tuo bicchiere! Vedi niente di strano? -Ma...questa...questa non è acqua! E un sottilissimo strato di metallo! Uno specchio! Ma cosa vuol dire? -E dalla nostra bottiglia, vuoi dirmi cosa esce? -Niente! Non esce niente! Aiuto! AIUTO! Sto impazzendo! E’ uno scherzo di cattivo gusto! E’ una magia? -Non è uno scherzo amico mio... E’ il presepe. Il presepe è tutto. Il presepe è l’universo conosciuto. Quello che ci è dato di vivere. Il presepe siamo, io e tu. Quel bambinello. Quegli animali. Quel pastore. Quel muschio finto. Ci guardano. Ci controllano. Ci manipolano. Guarda bene dietro la stella cometa: c’è un filo. Una volta l’ho seguito. Porta fuori dal presepe. Ho rotto il filo, sono caduto e..indovina..la magica luce della stella cometa si è spenta. Finchè non è tornata di nuovo una mano gigante, diversa stavolta, più grande, che mi ha raccolto e ha aggiustato il filo, facendo risplendere di nuovo tutto. Ci osservano. Ci trattano come oggetti. E quando si stancano di noi ci infilano in delle piccole bare, avvolti da lenzuoli di carta con lettere e immagini stampate. “Fuogghi ì giurnale” li chiamano. Ci usano. E poi ci posano. Ora lo hai visto. Non sono pazzo. -Ma perché non me l’hai detto mai? Perché? Possiamo fare qualcosa, ci possiamo coalizzare. Creiamo una fuga dal presepe! -Io te l’ho detto, caro Vincenzo. Tutti gli anni. E ogni anno te lo dimentichi. E devo ricominciare daccapo. E non c’è più tempo per fare nulla. Arriva ù Fuogghiu ì giurnale ed è subito buio. -E perché dirmelo adesso? Per rovinarmi la vita? -Beh, amico mio... te l’ho già detto, ogni anno. Perché credi di dividere il desco con me? E ingurgiti questo scadente vino ottenebrando la tua coscienza? Hai già applicato la tua fuga. La fuga dalla coscienza. L’unica differenza è che anno dopo anno riusciamo a fare questa conversazione sempre più velocemente. Non ci rimane che non impazzire e


aspettare il prossimo anno. Magari il prossimo anno faremo in tempo a svegliarci in tre. E poi vedremo. -Non ce la faccio! Dammi da bere! La bottiglia è finta! Maledetto presepe! -Fai piano. Dobbiamo resistere. Col tempo saremo abbastanza per preparare una fuga. Intanto dobbiamo essere bravi. Non farci scoprire. -Ci osservano... -Sì, Vicé. -...ci controllano.. -Buon Natale, Vicé -...ci manipolano.. -Buon Natale a tutti voi. -...ci trattano come statuine.. -Mi raccomando, siate buoni. -...siamo nel presepe... -Fate beneficenza -...ci comandano di nascosto.. -E comprate bei regali. Brindiamo! -Brindiamo! -Sì! Brindiamo! Davide Torres


L'asinello Come si sta bene, finalmente al chiuso, con un bel po’ da mangiare ! In realtà la paglia non era per noi, doveva servire a riscaldare il piccolo appena nato ma , dopo un’occhiata d’intesa con il bue , abbiamo deciso di approfittarne : in fondo lo hanno messo in una mangiatoia ! Ci siamo abbuffati e abbiamo iniziato a soffiare sul cucciolo per scaldarlo, per non sentirci troppo in colpa. Sono entrati dei pastori e non ci hanno degnato d’uno sguardo, la loro attenzione è rivolta tutta al cucciolo e ai genitori , è uno scambio di complimenti “che bel bambino” e di battute “ tutto sua madre, guarda che nasino” “no, ha gli occhi di suo padre”. Secondo me non somiglia a nessuno dei due, ma si sa, io non capisco nulla, sono ignorante ! Man mano la stalla si è riempita: straccivendolo, lavandaia , fornaio , sarta, acquaiola, pescivendolo, suonatori, vetraio , scultore , tutto il villaggio si è riunito qui . Ormai fa un caldo insopportabile, il bambino è diventato tutto rosso, possiamo smettere di soffiare. Per ultimi sono arrivati tre uomini ben vestiti, sono scesi dai loro cammelli, si sono inginocchiati e hanno preso dei pacchetti . Non so cosa siano , ma i genitori non la smettevano più di ringraziare “non dovevate disturbarvi, per noi è un onore avervi qui”. Dopo le frasi di rito hanno detto che il piccolo è in pericolo, bisogna portarlo via, partire al più presto. Partire ? Cosa sentono le mie orecchie ! No no , mi spiace, non ho nessuna intenzione di muovermi da qui, e quando voglio sono testardo, dovranno tirarmi fuori a forza. Sabrina Ercole Bidetti


Un Presepe Ricordi in bianco e nero. Sigle e statuine di un presepe-carillon con tanta stagnola luccicante. Mi frulla in testa una roulette. Ogni tanto rallenta e se mi concentro, riesco a sentire i commenti scontati e rassicuranti del presentatore di turno. E ora ecco a voi. . . Mister Volare col suo Blu dipinto di blu! Guardo intensamente. Attendo l’uomo volante. Dalla porticina in fondo alla televisione, compare un omino piccolo piccolo che si avvicina gesticolando e saltellando. Sembra un insetto dentro un bicchiere o un pesce in un acquario. A un certo punto lo vedo uscire dal video con le braccia protese in un abbraccio a tutta la famiglia. Mamma è in delirio. Nonna bofonchia che è molto meglio quello piccoletto e antipatico che canta Granada. Le arriva una gomitata che le fa quasi sputare la dentiera. Poi parte un do potentissimo. La mia nonnina si accascia dolorante sopra il grumo di plaid dove dorme Fufi. Per un nano-secondo, un miagolio di pelo e vibrisse schizza via modello dentifricio e sembra schiantarsi sulla TV! Poi vola letteralmente in aria facendo rotolare via il plaid che gli è rimasto impigliato agli artigli. Nel parapiglia, nonna è finita per terra. Gesù Maria. Mamma esce di corsa dal bagno e si appiccica al video. Da dietro sembra Lucia Mondella (quella del Trio) con tutti i bigodini colorati che si illuminano. Ma senti che voce! E che bell’uomo! D’un tratto, anche le tende ingrigite e sfilacciate si accendono di un azzurro luminoso e pieno tipo il mantello della Madonnina di Lourdes con l’acqua benedetta che sta sul comò in corridoio. Beh, proprio benedetta non è più perché se l’è bevuta il mio cagnolino quando lo volevo curare che non stava bene. Pace all’anima sua. L’importante è che non lo sappia nonna, altrimenti mi scomunica. Ora la giostra ricomincia a girare. Ci è salito sopra uno piccoletto con gli occhi sbarrati che fa strani balletti. Si chiama Don Lurio. Sarà il parroco del presepe- carillon, penso io. Nessuno capisce mai quello che dice. Quando c’è lui tutti ridono e si divertono. Magari venisse anche al mio paese. Allora sì che la chiesa si riempirebbe. Ma mi sa che Don Lurio frequenta altre parrocchie. Ho sentito la vicina che lo sussurrava a mia madre con la mano sulla bocca. Finito il balletto con le Lole Falane di turno, la roulette riprende a roteare. Dopo due giri di convenevoli per salutare questo e quello, il presentatore torna al centro della pedana e, tutto compiaciuto, annuncia la prossima cantante: E ora ecco a voi . . . Marcella Bella! Voilà, les jeux sont faits! Ogni volta lo stesso aggettivo e la stessa ritualità. Tamponandosi la fronte con un fazzoletto, il presentatore, infatti, pronuncia sempre immancabilmente le stesse parole: è proprio un gran peccato che voi telespettatori non possiamo vedere il colore dei suoi magnifici occhi! Lei abbassa lo sguardo, fa la ritrosa e si schernisce timida. Ma tu guarda che modestina! dice mia zia. Ora le luci svaniscono. Nell’ombra si sta per riprodurre un miracolo. Come a Napoli con San Gennaro, anche qui un corpo solido, diciamo pure uno stoccafisso, si sta per sciogliere in un gorgheggio degno di un usignolo. Un fenomeno davvero unico. Mio padre, da ore e ore catatonico sul divano, all’improvviso esce dal suo torpore, smette magicamente di scaccolarsi e, per due minuti due, diventa quasi intonato. Silenzio: il microfono gracchia. Suspense. Ora parte. Mi verrebbe da scappare in camera dalla vergogna quando lo sento canticchiare come un pirla di certe ‘’montagne verdi ‘’e di un “coniglio dal muso nero”. Questa canzone ormai mi esce dalle orecchie. All’oratorio c’è anche nel jukebox e le suore la mettono in continuazione. E mentre cantano a squarciagola, ci mostrano senza pudore tutti i loro molari marci appestandoci con un alito da topo morto. Conosco bimbi che non si son più ripresi. Vista la mia agitazione, i “grandi” mi hanno messa per terra con tanti fogli bianchi sul tappeto. Su piccina, disegna il coniglietto che ti piace tanto e le montagne alte alte! Un


nervoso! Meno male che c’è Fufi con me. Marcella non la sopporto. Mi sembra la mia Maestra che mi suggerisce quali pennarelli usare per i miei disegni. Le montagne però io continuo a farle marroni e bianche, al massimo rosa, come le scarpine della Barbie. Alzo lo sguardo imbronciata: ma quando finisce sta pizza? Ondeggia la capoccia afro di Marcella che alla fine della canzone raccoglie tutti i coniglietti sotto la sua tunica da figlia dei fiori, modello Hair. Poi scalciando arriva una scalmanata con le lentiggini che si dimena come un’ossessa e ti fa venire il saltarello solo a guardarla. Mi fa venire il vomito con la sua pappa al pomodoro. Bleah. Vorrei vedere lei alle prese con Suor Paolina quando te la caccia in gola con l’imbuto. Alla fine, giusto prima della pubblicità, tocca sempre allo sfigato di turno. Questa volta è Gino Paoli, l’“uomo morto” come la chiama mio padre; e il suo grigiore malinconico è perfetto per il pettegolume sulle prime canzoni, tanto lui ‘chances’ di vittoria non ne ha proprio, dice stizzita la vicina che ogni sabato si piazza a vedere la tv da noi. Si pronuncia ‘shons’, le fa notare nonna che ha lavorato a servizio da una certa contessa Pon Pon de la Poule. Insomma quando partono le ciance sulle ‘shons’, vuol dire che dello sfigato non gliene frega proprio più nulla a nessuno. Al massimo parlano del suo tentato suicidio e di quella scheggia di pallottola che c’ha ancora conficcata nel cuore. D’altronde, uno che canta di un soffitto viola se le va anche a cercare, dice nonna. Non capisco, ma tanto non m’importa un fico secco di Paoli e sono troppo contenta che adesso c’è la pubblicità che così mi gusto Calimero. Lui non ha bisogno di presentazioni. Anche se ci fosse la televisione a colori quel povero piccoletto sarebbe condannato a ripetere sempre la stessa solfa. Mi fa proprio una gran tenerezza. Ho deciso: il prossimo anno lo metto nel Presepe al posto di Gesù Bambino. Bea Ary


Gesù in fuga dal Presepe (magari non mi vede nessuno...) Fuggì via nella notte. Gattonando leggero. Maria, esausta, aveva chiuso beatamente gli occhi e Giuseppe stava rintuzzando il fieno al bue e all'asinello, ché pure loro avevano bisogno di un occhio. Scivolò fuori mezzo nudo e quegli starnutini compulsivi erano l'unico segnale di vita nel buio rischiarato da un traffico astrale particolarmente intenso, quella sera. Riuscì ad approdare ad una bottega dimessa, proprio di fianco la stalla, si avvoltolò alla meno peggio in uno straccio a portata di manina e - lucido - uno dei primi pensieri ad attraversargli la mente fu che, come primo impatto, non era di certo il massimo, ma sempre meglio che restare in quella mangiatoia... Perlomeno aveva smesso di starnutinire e non vedeva l'ora di vagarsene autonomamente per il mondo. Il suo mondo. Solo allora si accorse di due pastorelli mogi e silenziosi accovacciati in un angolo. Gesù li guardò sorpreso e, miracolosamente, parlò. “Da dove venite?” “Dalla striscia di Gaza, un posto orribile dove da tempo meditavamo di venire via, e quando abbiamo visto tutti questi pastori in viaggio verso Betlemme, ci siamo uniti; ma ora siamo sfiniti ed affamati”. Gesù, in un lampo, si collocò esattamente nel drammatico momento storico. Poco più in là, nella semioscurità, scorse un agnellino spelacchiato, sembrava sperso ed infreddolito. “E tu da dove arrivassi?” chiese Gesù, che già sfoggiava un ottimo, per quanto precoce, equilibrio sulle gambettine ma, in quanto a parlare, seppur universalmente ed anche con gli animali, doveva misurarsi tra condizionale e congiuntivo, destinati per lungo tempo a perpetrarsi misteri oscuri al pari di quelli di Fatima... “Arrivo da una favela brasiliana, volevano trasformarmi in una manciata di arrosticini per sfamare qualche bimbo malnutrito e salvarlo da morte sicura, ma pensavo non fosse ancora la mia ora, ed allora ho puntato queste terre, dove sembra prediligano pani e pesci, forse camperò qualche giorno in più”. Il piccolo, ma già consapevole, Gesù cominciava a farsi un'idea... Comparve allora un ragazzino nero come la pece, un prototipo di extracomunitario, emaciato ma sorridente, parlò lui per primo stavolta: “Anch'io arrivo da lontano, e volevo portare un piccolo dono al Salvatore, ma nel Centro d'Accoglienza dell'isoletta dal quale fuggo di nuovo, mi hanno spogliato di tutto. Sapresti indicarmi dove trovarlo?” Nello stesso istante una vecchina piagata ed inferma, seminascosta nell'oscurità, per una volta complice, riuscì a biascicare qualche parola: “Sei tu il Messia? Volevo solo vederti una volta prima di morire, ho raccolto le ultime forze per fuggire da una clinica lager dove sarei morta tra l'indifferenza, il sudiciume e la cattiveria” Gesù ebbe chiaro in quell’istante che il compito prospettatogli dal Padre giusto a grandi linee, era veramente improbo. Avrebbe avuto bisogno di riposo e conforto, e di riordinare le idee, almeno per un po'. Pensò ai suoi genitori, a quest'ora in preda all'angoscia, a non vederlo, salutò, rincuorandoli, i suoi piccoli nuovi amici e fece ritorno verso la stalla... La sua missione era decisamente senza precedenti ed ora, con all'orizzonte Giuseppe e Maria visibilmente scossi, ricominciò a starnutire, pensando che quell'allergia al fieno, dall'alto dei Cieli, gliela avrebbero potuta almeno risparmiare, mentre si facevano luce, tra i


suoi primi pensieri compiuti, anche strani rimpianti di umanissima matrice, sÏ, insomma, se è vero che chi ben comincia è a metà dell'opera, la prossima volta avrebbe preteso, invece di una stalla fatiscente, almeno un lussuoso cinque stelle. Comete, ovviamente. Franco Battaglia


Baldassarre Ci siamo di nuovo, mi succede tutti gli anni in questo periodo. Non ne posso più di questo cimento ricorrente, mi sembra davvero di far le stesse cose da secoli, mi trascino avanti e indietro con i miei cofanetti impreziositi da gioielli, le mie urne d’oro, la mia stola di pelliccia… beh, quella magari… mi dà un tono un po’ chic, come la corona. Ecco com’è ridotto uno come me, tutto chic et chéque, che si fregia di un nome altisonante che mi piace ricondurre a quel suo vecchio significato di “Dio protegga il Re”, un augurio, una speranza, una certezza, un baluardo contro il caos! Viva il Re! Viva il Re! Viva il Re! Le trombe liete squillano Viva il Re! Viva il Re! Viva il Re! E no, tutti gli anni che il sole manda in terra sono qui a correre dietro a una stella, sul cammello o a piedi perché devo sempre vedere che cosa mi forniscono per spostarmi di volta in volta, come se fosse facile fare decinaia e decinaia di leghe con le masserizie in mano, nemmeno fossi un mercante qualsiasi, roba da farsi venire un’anchilosi del polso come neanche un santone indiano con la piantina che gli vegeta nella mano disseccata riuscirebbe a fare. Tutta colpa del Bondone, poi, se inseguo la coda di una stella: gliel’ha fatta lui perché doveva riempire il buco nell’affresco, ‘st’imbrattagessi. Sono anche stanco dei miei compagni di viaggio, i quali di punto in bianco sono diventati due non si sa perché. Uno ha la grazia di un oritteropo che balla la conga, e l’altro è politicamente corretto da secoli prima che inventassero un concetto come questo, buono solo per far star calmi i deficienti. Dovrebbero anche essere miei fratelli, ma io che ne so? Forse nostro padre era il re di Gondor: quello vecchio avrà come minimo due o trecento anni più me, e quello più giovane pare un profugo di Minas Morgul. Mi viene da ridere quando penso che ci hanno fatti tutti santi, giusto perché non sono nemmeno sicuri di quanti fossimo; tre è una cifra di comodo, il ternario fa sempre tanto fine in qualsiasi religione. Santi… come se dovessimo fare per forza qualcosa o averla fatta. Ti lavi i denti tutti i giorni, lucidi bene le scarpe del cammello, tra un oppio e una mirra tiri fuori due o tre frasette sibilline e via che ti proclamano santo, così puro che al posto della cacca fai cubetti di marmo. Ma va’ a dar via i ciap, ti e el to camel.. Follie! Follie! Delirio vano è questo! Dopo tanti anni di onorato servizio voglio darmi un po’ a delle occupazioni che mi gratifichino! Sempre libera degg’io Folleggiare di gioia in gioia, vo’ che scorra il viver mio pei sentieri del piacer. Ho bisogno di evadere, al diavolo tutto! Voi restate qui con i pastorelli, le pecorelle, lo arrotino, la culla, il bove, la capanna e tutti gli strafanti che ha fatto il kitsch vostro! Io me ne vado, addio! (Go west) Life is peaceful there (Go west) Lots of open air (Go west) To begin life new


(Go west) This is what we'll do (Go west) Go west (Go west, go west) (Go west) Mauro Melon


Il Bue Piazza San Pietro. Una notte di dicembre. Prova luci. Domenica, il Santo Padre si affaccerà dal balcone per benedire il presepe in diretta mondiale. Bassa all’orizzonte, una striscia rosa sembra portare tutto il peso della notte. Il silenzio si fa ancora più misterioso. L’ineluttabile attesa è sempre più ossessiva. Non c’è nulla che la possa fermare. Solo la morte. Sulla piazza danzano ombre di uomini e cavi elettrici. Davanti alla natività, una suora sta delicatamente sistemando le statuine; viene pregata di allontanarsi. Dopo qualche minuto di sospensione, la grotta di cartapesta si illumina di una luce soffusa. Qualche gatto che stava riposando tra il bue e l’asinello, infastidito da tanta luce, sgattaiola via lasciando solo un solletico di vibrisse sulle terrecotte mute. Tutti gli occhi dei pellegrini già in coda dalla sera prima si rivolgono alla Madonna quasi a implorare un miracolo, una lacrima, un sorriso. La presenza del bue e dell’asinello, invece, riceve scarsa attenzione, non più di un rapido assenso, una presa d’atto formale. Forse, solo un corvo appollaiato sull’obelisco guarda dall’alto con più insistenza. Sarà perché ha notato qualche stranezza? Quando le luci si spengono e tutti se ne vanno, dalla grotta esce uno sbuffo di vapore che si alza evanescente verso il cielo come un ruminare di nebbia. L’indomani, la piazza è gremita e anche il sole allo zenit assiste rapito all’omelia del Santo Natale. Dentro la grotta,intanto, è una tiritera continua. Un muggito dopo l’altro. Il bue non si dà pace. – Quello di prima, il tedesco, sono sicuro che avrebbe preferito una bel tigrotto di peluche a riscaldare il bambinello. E poi giù di encicliche per toglierci di mezzo, salvo poi concederci la grazia della presenza ornamentale. – Ma quando mai? – lo sbertuccia l’asinello, sfoderando un sorriso berlusconiano – Lui, il tedesco, non si sarebbe mai sognato di cambiare neanche una zolla del suo presepe e i suoi amati gatti se li teneva ben stretti sotto la sottana! Attento che se continui così al posto tuo ci mettono una pecora! – Mi hai proprio rotto i mappamondi. Tu daresti ragione anche a Hitler per un po’ di biada!Io c’ho la mia dignità da difendere! E poi già lo fanno quei bastardi dei cinesi. Dovrai abituarti a stantuffare molto di più, Quelle pecorone tutte uguali pensano solo a brucare. I mappamondi intanto girano così vorticosamente che nel presepe si alza un frullio misto di paglia, stagnola e muschio. All’improvviso, nello stupore generale, la capanna comincia sussultare come in preda a un terremoto. E proprio nel momento clou della benedizione, ecco che comincia a muoversi su quattro zampe, modello drago cinese. Dopo aver sfilato sotto lo sguardo costernato di suore impallidite e fedeli sempre più sgomenti, e seminando il panico generale, il bue si scrolla di dosso la capanna lasciandola tutta ammaccata sul selciato. Più indietro sulla pedana, Giuseppe e Maria sembrano precipitare dentro un’apocalisse di vuoto. Dietro di loro, solo polvere di stella cometa e aureole rotte.


- Sei pazzo! Torna indietro - urla l’asinello mentre sfreccia incollato ai garretti del compagno bovino. Sembra una corrida. I due galoppano per la piazza e alla fine si infilano dentro una fenditura tra la folla, non prima di aver concimato per bene ogni sampietrino. Una volta di là dal colonnato, l’asinello, manco fosse un cardinale in odore di licenziamento, continua a ragliare: – Sei crudele, come puoi fare questo al Papa più buono del mondo? Senti come piange dal balcone! Sembra una Belen addolorata! – Altro che Belen! Insomma, che ce ne frega a noi? Adesso s’arrangiano. Sua Santità emerita, come non avesse avuto altri problemi da risolvere, ha voluto scassare la minchia e puntualizzare, mortacci sua, che io e te non ci stavamo quella notte? E allora che si impicchino lui e tutta la Curia! Sta attento, quel tir t’ha lisciato il pelo. – Uff, si stava meglio quando si stava peggio, te lo dico io… e poi adesso la musica è cambiata, appunto, c’è Papa Francesco! Lui è tanto buono… Forse ci riprendono per l’Epifania e finalmente si mangia un po’ di biada come Cristo comanda! – Ma lascia perdere, quello sarebbe d’accordo con noi, è uno con le palle. E muoviti, che ci aspettano al presidio! I poveracci hanno bisogno di noi!Fa un freddo porco! Il ciuccio smette di ragliare. Con le orecchie penzoloni e il muso più triste di un cocker abbandonato segue il compagno lungo il Corso, tra Babbi Natali di tutte le nazionalità in una Chinatown zeppa di gatti dorati sornioni e mutandine rosse fosforescenti. A un certo punto, come folgorato sulla Via di Damasco o come un cieco che riacquista la vista, l’Asinello vede per la prima volta il mondo schifido che ha intorno: – Che tristezza. Hai ragione… Stamattina, prima di uscire dalla stalla del capo dei Forconi, ho sentito sua moglie che si lamentava. Le avevano rifilato una sola in un negozio di cinesi. Un presepe senza di noi. Così li fanno quei cani. Non c’è più religione. In Russia, al posto nostro mettono stufe a forma di Matrioska. In Cina, il bambinello lo fanno femmina, tanto loro a noi cristiani ci schifano proprio. E poi vaglielo a spiegare a mia zia Bufala che al posto mio ci può mettere una giraffa, tanto è uguale. Non c’avrà mica avuto ragione Papa Ratzi con la storia del relativismo culturale? – Ma che cacchio te ne frega? – lo ammonisce il bue – Te lo do io il presepe! Adesso bisogna lottare sennò di questo passo, ci macellano, altro che storie. – Insomma, di tornare indietro non se ne parla, eh? – Vedi un po’ tu. Io no di certo. Cosa vuoi che me ne importi di tornare a far la bella statuina per accontentare sta massa di pecoroni! Meglio i forconi! L’asinello si ferma sul ciglio del raccordo anulare e con gli occhioni tristi tristi si volta indietro verso il Cupolone. Si stava bene dentro le proprie certezze asinine. Sente sul suo manto ormai spelacchiato, il calore del fiato di mille bambini e mille focolari. Ma ha il cuore che gli batte forte, il suo destino è intrecciato a quello del compagno bovino. E non è più tempo di fiabe. Passa di là un esagitato, li guarda. Hanno ancora la targhetta pennellata a mano da Fra Sisto nell’800. Non fanno in tempo a scansarsi, che sentono un botto tremendo poco distante. E’ una bomba carta. C’è un fuggi-fuggi generale. Un no-global col megafono urla: – Popolo bue, è ora di svegliarsi! Sull'asfalto rimangono i cocci di una fuga in attesa di una storia nuova. Bea Ary


La stella cometa Che fenomeno! Io sono la stella cometa, sono speciale, ho trovato il bambino. Ogni anno tanta gente mi prende da una scatola di cartone, mi spolvera e mi posiziona sopra una capanna. Una vecchia storia; anni e anni di splendore. Per secoli non mi sono fermata mai e tutti mi guardano da ogni parte; ho anche perso la coda, ma mutilata risplendo ancora. Il cielo pieno di stelle, le mie sorelle, sembra un presepe, le case da lontano diventano piccole. Sono carica di luce perenne, costante guida per tutti i viaggiatori, ora messa da parte; sostituita da un piccolo aggeggio in plastica che emette suoni; ha una voce incorporata che ti parla, mica la coscienza che non la senti ma ti infastidisce. Anni di conti astronomici superati. "Mettiamoci al lavoro, è importante, c'è una popolazione che attende, l'umanità aspetta il nostro lavoro, troviamo le coordinate giuste. Bedda Matri! I conti astronomici mi mettono in crisi. Gaspare, non nominare il nome di Maria invano e poi non sono conti geometrici ma astrofisici: aspetta proviamo a 360 gradi, troppo raro trovarla così, a 180 gradi e dividiamo l'emisfero a metà, visione parziale ma equa. Ma va! partiamo dai 90 gradi, è quella la posizione migliore: la storia comincia sempre da li, fidati!" "Ti avevo detto di metterlo a caricare, sei fatto vecchio, Melchiorre, sono già 2012 presepi e non ti ricordi le cose che ti dico. Il navigatore non funziona così! Ti ricordo che la stella cometa è andata in pensione tra stelle non cadenti e desideri non goduti. Ora abbiamo Tom Tom, un nuovissimo navigatore satellitare come regalo di Natale. Pensa che lo voleva pure Babbo Natale ma non è riuscito a ottenerlo; l'hanno dato a noi; noi abbiamo la priorità, si tratta del bambino Gesù. I cammelli erano vecchi e stanchi e l'anno scorso ne sono morti due così abbiamo un piaggio vespone di colore rosso. Il navigatore è nostro, usiamolo come si deve. Non capite? Adesso possiamo arrivare dappertutto! Domani si parte, mi raccomando, e non dimenticare di portare il Tom Tom con noi. "Esegui una inversione a U non consentita"...una voce cretina ripete 2 o 3 volte: cerchiamo il bambino Gesù, Maria e Giuseppe. Dobbiamo trovare quel posto: scriviamo il nome della strada, il luogo, e lui programma la traiettoria e seguiamo la voce. Comodo e facile. Rinunciamo a notti di cammino, a firmamenti spettacolari che vediamo la folgorante bellezza del cielo, del cosmo, a notti stellate che restano. "Dai Gaspare prendi il gps e scrivi via della Natività - zona stalla sconosciuta, Betlemmedicono che giorno venticinque ci nascerà il bambinello Gesù e che non hanno trovato altro; il bue e l'asinello sono imbalsamati. Ora si usa il metano "a tutto gas" in pacchetti per riscaldare l'universo intero; mezzi nuovi. Che ne sai tu? " Non so cosa portare con noi: vada per l'oro ma incenso e mirra non li vuole nessuno - solo odore e fumo profumato. Con il gps faremo prima, così poi possiamo andare in Cristoteca a ballare prima che chiuda. Tranquillo Melchiorre, starà aperta tutta la notte per festeggiare la nascita del bambin Gesù, ma non ci saranno confetti solo qualche botto. Bene, allora domani partiamo tutti insieme: ci stringiamo tre sul vespone - destinazione Betlemme; vedremo una luce, il navigatore lo griderà, siete arrivati: stalla! dobbiamo solo stare attenti a non perdere questo aggeggio tra la paglia. Fra un anno ci servirà. Io: tante volte alzo gli occhi al cielo ti cerco, ti vedo brillare, ti osservo, ti seguo ancora. La stella cometa: non ci sono nuvole, solo stelle e siamo in due a brillare di più. La profezia ha anticipato a lungo la tua venuta ed eccoti visibile a tutti, ora. Dopo la morte di


Ison, colpita dal Sole arrivi tu, Lovejoy: sei un'altra stella cometa apparsa all'improvviso sopra di loro e ora siamo in due. Una nuova stella? che bello! Mi farai compagnia. Antonella Tarantino


Il bambin Gesù Siamo in Paradiso e Dio si sta affannando

a cercare il suo arcangelo preferito.

Dio: Ma dove ti sei cacciato? Gabriele, dove sei? Gabriele: Eccomi signore, sono qui. Dio: Ma qui dove che non ti vedo? Gabriele: Signore ma dove ha lasciato gli occhiali? La sua presbiopia aumenta di eternità in eternità! Dio: E’ vero, ed ultimamente sono anche un po’ distratto. penso che sia giunto il momento di metter su famiglia: mi sento solo e con la vecchiaia che incombe è meglio avercelo un erede, che ne pensi? hai il libero arbitrio, puoi parlare, certo stando attendo alle parole che dici. Gabriele: Ma Signore, voi siete Dio, e non avreste neanche bisogno di portare gli occhiali, se non fosse che vi siete fissato con il fatto che dobbiamo essere avanti! Ma avanti dove? Dio: Gabriele, Gabriele… senti, fatti un giro sulla Terra e vedi se c’è qualche fanciulla che può fare al caso mio. Gabriele: In effetti, mio Signore, l’ho anticipata: ci sarebbe una certa Maria di Nazareth, minorenne, ancora illibata che potrebbe fare al caso suo. Dio: Bene. Abbiamo qualche foto della fanciulla? Posso vederla prima? Gabriele: Ma Signore, quante volte le devo ricordare che lei è Dio? Dio: Si è vero, ma queste cose del 3000 d. C. mi piacciono. Va bene, vada per Maria. Ma se non erro non è fidanzata con quel bonaccione di Giuseppe? Gabriele: Appunto, Signore. Dio: Io t' ho capito a te, Gabriele. Va bene, domani, 25 marzo dell’anno zero, nel tardo pomeriggio andrai a trovarla e le dirai come stanno le cose. L’indomani Gabriele indossò il suo abito da paraninfo e, come rimasti con Dio, si recò a casa della vergine all’ora stabilita. Maria aveva appena finito di lavare i piatti e si era recata in camera sua a prendere il telaio, che una luce l’abbagliò e una voce le disse - Ave o Maria, hai trovato grazia presso Dio, darai al mondo suo figlio, e lo chiamerai Gesù! Maria per qualche istante rimase come presa dalla botta, poi rispose - com' è possibile ciò, io non conosco uomo. Gabriele la rassicurò - nulla è impossibile a Dio. Detto questo, scomparve. Maria in cuor suo pensò - e ora chi glielo dice a Giuseppe? Dio, che vede tutto e sa tutto, a meno che non decida di fare sbiellare Gabriele, si accorse della preoccupazione di Maria, allora fece in modo, nei mesi a venire, che andasse tutto bene, e così fu. Non c' erano dubbi: lui era Dio! Appena Gesù fu concepito, cominciò in cielo un certo trambusto. Per prima cosa, quando arrivò chiese - chi è mio padre? L’arcangelo Gabriele, che ebbe l’incarico da Dio di essere il suo tutore in cielo finché non fosse nato sulla Terra, gli rispose - Gesù, tu sei il figlio di Dio. Gesù: ma dici sul serio? Non mi stai prendendo per il cu … Che c’è? Gabriele: Giovanotto, cerchiamo di moderare i termini che qui siamo in Paradiso. Gesù: Il figlio di Dio… senti come suona bene! Gabriele: Eh caro mio, ancora che hai visto? Gesù: E mia madre chi è, tu la conosci? Gabriele: Tua madre si chiama Maria ed è una vergine!


Gesù: Certo, mi sarebbe piaciuta una mamma con un nome come Luana o Jessica, ma anche Maria non è male. Sul fatto che sia vergine poi, non fa una piega! Gabriele: ehm, non ti ho ancora comunicato che sulla terra tuo padre sarà un certo Giuseppe, un carpentiere. Gesù: L' avevo detto che mi sembrava troppo bello per essere vero, allora io sarò il figlio di un poveraccio? Gabriele: No, tu sei il figlio di Dio, ma sulla Terra sarai affidato a Giuseppe. Gesù: Non sono ancora nato e già siamo ai servizi sociali. Cominciamo bene, proprio bene! Gabriele: E non sai ancora come andrà a finire! Dio: Gabrieelee, Gesùu, dove siete? Dove vi siete nascosti? Gabriele: Signore, lo sa bene dove siamo. La verità è che le piace fare questo giochetto: l’ha fatto con Adamo ed Eva , e tutti sappiamo com’è andata a finire; l’ha fatto con Caino e Abele e tutti sappiamo com’è andata a finire, non vorrei che con me ci fossero problemi. Dio: Gabriele, smettila di petulare e fammi conoscere l’erede. Gabriele: Gesù esci fuori e fatti conoscere. lui sa e vede tutto, lo fa apposta per farmi impazzire. Gesù, intimidito dall’immensità e dall’eternità di Dio, rispose con un fil di voce-Buongiorno Signore, sono Gesù, suo figlio! Dio gli sorrise, lo accarezzò e gli chiese - Come ti trovi in Paradiso, ragazzo?. Gesù ovviamente gli rispose - da Dio, Signore! Dio: Bene, ti ha già informato di tutto Gabriele? Gesù: E io che ne so. Dovrebbe chiederlo a lui, Signore. Dio: Hai perfettamente ragione, figliolo. Gabriele, hai informato il ragazzo della sua missione terrena? Gabriele: Ma lo devo informare di tutto? proprio di tutto? non è meglio se scopre le cose a poco a poco? Non vorrei traumatizzarlo ulteriormente, già gli devo dire della sua nascita! Gesù: Gabriè, mi devo preoccupare? Gabriele: No, ma che vai pensando! Intanto sono trascorsi nove mesi, che in Paradiso corrispondono ad una partita di scopone scientifico tra angeli e santi. Ci siamo. Il bambinello sta per nascere. Gabriele racconta a Gesù il periodo prima del parto e gli fa le ultime raccomandazioni evitando accuratamente di metterlo al corrente del suo futuro. Gabriele: Cesare, ha emanato un editto e i tuoi genitori sono costretti ad andare a Betlemme per il censimento. Tua madre comincia ad avere i dolori del parto, ma non c’è anima viva che li accoglie. Giuseppe, dopo aver tanto girato, infine, trova una capanna e decide di passarvi la notte insieme alla sua sposa, all’asinello che avevano con loro, e a un bue. Ma che hai? Gesù perché fai quella faccia? Gesù: Cerco di capire quando finirà la presa per il cu … Che c’è?! Gabriele: Te l’ho già detto, niente turpiloquio in Paradiso! Gesù: Ah, il mio sarebbe turpiloquio, ma se sono tue le strooo …! Che c’è? Gabriele: E se ti dicessi che a trentatré anni ti crocifiggeranno? Gesù: Sento che sto per nascere. Me la racconti un’altra volta questa storiaaaaa.. Gabriele: Signore, suo figlio è appena nato! Dio: Bene, Gabriele, manda gli angeli sulla terra ad avvisare gli uomini che è nato il figlio di Dio. Evita, per il momento, di farlo capire a Erode. Accendi la stella cometa, ma rendila visibile solo a quei tre di maggio: come si chiamano? Gabriele: Intende i re magi, Signore: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Dio: Sì, intendo proprio loro. Per il momento è tutto. Durante questo scambio di battute tra Dio e Gabriele, nasce Gesù, che ahimè, realizza: Gabriele gli ha detto sempre la verità! Com’era quella cosa dei trentatré anni?


Il bambinello cominciò a gridare ma gli astanti pensarono che si trattasse del vagito di un neonato, in verità Gesù urlava per la consapevolezza e l’orrore della realtà. Pensò Appena tutti si addormentano, me ne vado - il problema però era che in quella stalla c’era un via vai interminabile di persone, animali, vari ed eventuali. Quasi quasi fuggo come Ulisse dal Ciclope, mi nascondo sotto la pancia di una pecorella, tanto qui ce ne sono tantissime. Non se ne accorgerà nessuno - poi ebbe un’illuminazione quando venne a fargli visita una donna che portò con sé un neonato, nato proprio da pochi giorni. Questa per abbracciare e congratularsi con Maria, poggiò il bambino accanto a Gesù nella mangiatoia. Non l’avesse mai fatto. Gesù in un lampo si cambiò di posto con lo sprovveduto, tanto erano tutt’e due avvolti in fasce, erano senza capelli entrambi, ed in più il figlio di Dio contava molto sul fatto che, essendo fresco di nascita, magari la madre ancora non c'aveva fatto l'occhio. Aspettò trepidante che finissero i convenevoli. La donna dopo che salutò Maria, fece due coccole a quello che pensava essere il re dei re, prese in braccio quello che credeva essere suo figlio e andò via. Mai fuga fu così perfetta: gli unici testimoni il bue e l’asinello. In effetti trattandosi dell’ evasione del figlio di Dio non poteva essere altrimenti. Lucia Immordino


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