Bere, Mangiare... Scrivere

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Racconti selezionati per il Festival di Serravalle www.svolgimentoblog.com



Una voglia Raimondo Quagliana

Voglia di prugne con la pancetta croccante, come dei piccoli involtini, al centro la prugna secca snocciolata, intorno ci arrotoli la striscia di pancetta e la fermi con uno stecchino. Il compendio perfetto dei contrasti, dolce salato, morbido croccante, caldo freddo. Sono stuzzichini collaudati da lungo tempo, li facevo quando ero ancora sposato, tutte le volte che mia moglie invitava i suoi amici a cena. Sapevo che non piacevano a nessuno, così come io non piacevo molto agli amici di mia moglie, e la bilancia era pari. Gli amici chiacchieravano e si scambiavano gridolini, io mangiavo le mie prugne con la pancetta croccante e mi scolavo pure un paio di bicchieri di vino rosso. Stanotte non resisto, ne preparo una decina allineate sulla piastra, pronte per l’aggressione veloce del grill che in tre minuti le renderà fragranti e scottanti. Credo che le mangerò tutte, poi ditemi qualsiasi cosa tanto non vi ascolto, qui in casa mia faccio quello che voglio. Dormo mangio guardo la tv, poi mangio di nuovo. Queste prugne con la pancetta croccante non me le voglio fare scappare, ci ho speso anche del tempo per trovare le prugne adatte, non quelle snocciolate della California tutte appiccicose di sciroppo di glucosio, le migliori si comprano nel negozio di alimentari marocchino vicino alla stazione, asciugate al sole mediterraneo, non importa se hanno il nocciolo, toglierlo è una penitenza, ma sono più compatte e consistenti. Basta. Apro il forno, metto dentro, e fra tre minuti tiro fuori gli stuzzichini caldi caldi, un profumo che tutti gli amici di mia moglie arricciavano il naso e cercavano il divano. Intanto che sfrigolano, apro una bottiglia di sirah, ne bevo solo un bicchiere, non devo esagerare. Toc toc, mi è sembrato di sentire bussare, toc toc toc, come di nocche sul vetro, ma da dove proviene, dal forno? Forse il calore ha risvegliato la pancetta che vuole esprimere la sua gratitudine per essere stata scelta fra tante altre al banco salumeria? In effetti stamattina era ancora tesa, adesso si sta sciogliendo. Ascolti, signora pancetta, non c’è bisogno di ringraziarmi, è una cosa così normale per me, lo faccio con piacere, di mangiarla. Stia buona lì, intorno alla sua prugna secca, che avrà modo di esprimere i suoi ringraziamenti più tardi, nel piatto, e insieme a lei ci sarà il norcino e l’enologo e il contadino, tutta un’allegra compagnia. Anzi, già che ci siamo, apparecchio anche per loro. Mi giro a prendere delle altre forchette, poi mi rendo conto che mi sto prendendo in giro, nessun maiale sarebbe contento di essere mangiato da me, né sotto forma di pancetta croccante, né di salsicce o altri insaccati succulenti. Si ritroverebbe in un posto di merda, un postaccio buio affollato da parti di animali e altre cose, dove tutti si scambiano gomitate involontarie e bestemmie e stridore di denti. Una discarica dove si sono ammassati per anni


i miei peccati di gola, dove convivono formaggi semistagionati e sovracosce di tacchino, pere williams e pane e panelle, verdure gratinate e crema pasticcera, salsicce lunghe col finocchietto e anacardi tostati salati. Tutto il cibo ingurgitato in cinquant’anni è lì a ricordarmi che lo spazio disponibile non è illimitato, già siamo al livello di guardia. Quando il cibo avrà riempito la pancia, strariperà per trovare sfogo nei canali secondari, s’incuneerà nel sistema nervoso, risalirà fino al cervello, prenderà possesso delle sinapsi e allora ci sarà da ridere. I miei gesti saranno guidati da un broccolo romanesco, da un suino nero dei Nebrodi, oppure avrò uno sformato di fagiolini al posto del cervello, o una gelatina di anguria con gocce di cioccolato e fiori di gelsomino. Una vera sciccheria. Prugne con la pancetta croccante, mi ricordano i tempi del matrimonio, il compendio perfetto dei contrasti, dolce salato, morbido croccante, caldo freddo. Ora che ci penso non mi sono mai piaciute e poi, ogni volta che le preparavo, non c’è mai stato un maiale disposto a ringraziarmi.

Il gelato Bea Ary

I scream, you scream, we all scream for ice cream! Sorrido ripensando a Benigni e mi diverte quel geniale gioco di parole che poi diventa danza ipnotica dentro una prigione. Daunbailò . É un viaggio in bianco e nero di Jim Jarmush. Un viaggio sul confine. Una lingua impastata di erranza che lentamente si contamina di follia. Tempo di ricreazione: Comincio a sussurrare la filastrocca: I scream, you scream, we all scream for ice cream! Improvviso bisogno di tornare bambino, di impiastricciarmi di gelato. Mi sento libero e leggero. Saltello da un suono all’altro. Magia del calembour. Mi piace cullare la mia tristezza con parole di panna. Il mio cuore le scalda finché non si sciolgono in rime d’assenza. E così riesco a evadere dalla mia claustrofobia. Mi basta anche un piccolo cono, mi basta anche solo il suo magico suono. Credo che se dovessi visualizzare la quantità di crema gelato che ho sognato in tutta la mia vita, non basterebbe una misura convenzionale. Dovrei ricorrere a un tipo di capacità che anche la mia pur fervida immaginazione faticherebbe a concepire senza cadere preda di una bulimica vertigine. Eppure, il piacere sempre rinnovato e bambinesco che può recarmi una semplice palletta di morbida crema è inversamente proporzionale a tutte le riserve auree di gelato immaginario. Non m’importa se finisce. Tanto quella generosa sostanza informe e inattingibile è nella mia mente un dogma, una certezza, una panacea


deliziosa. Essa preesiste alla più vorace e divorante libido. Un deposito di felicità intatta e colorata. Come una lingua eterna in attesa di frasi perfette. Un desiderio inesauribile che si rinnova ogni volta in declinazioni diverse. Distese burrose di verde pistacchio, bassorilievi di vaniglia e croccante, riccioli vezzosi di amarena e pinnacoli di cioccolato. Ecco, davanti a me un vasto oceano zuccheroso, una marea di placide ondine al fiordilatte leggermente increspate da meringhe e cassate. Più in là, un vortice di gianduia e baci di dama. E sullo sfondo tutte le sfumature del cielo e del sole d’agosto nel reparto dedicato ai gelati alla frutta. Un cono gelato fu il mio primo intenso bacio d’amore. Lo ricevetti in piccoli cucchiaini dalle mani di mia madre e poi, più grandicello, allungando le mie manine ancora paffute sul bancone del gelataio al mare. E poi ancora molte volte, e tutte sempre nuove e ineffabilmente uniche. Il gelato mi illumina quando sono spento. Mi distende quando sono teso. Mi ringiovanisce quando mi sento un rottame . Il gelato è come un libro amato, più lo divori e più ti manca. Per questo si ricomincia sempre ad averne voglia. Una voglia atavica di ricreazione. La ricreazione della magia perfetta, quella che ci riporta bambini e assetati di meraviglia. La stessa magia che provo nella scrittura.

Sensi Chiara

Bere evoca una sensazione e nasce da un desiderio. Mangiare evoca una sensazione e nasce da un desiderio. Scrivere evoca e traspone una sensazione, la ferma ma non la blocca. Sensazione. Il sentire non può essere insegnato come materia da apprendere. É per questo che ognuno Beve, Mangia e Scrive in maniera differente. Sentimenti collegati all’istinto. L’istinto è lasciarsi andare. Se si ha la possibilità di non ritirarsi impauriti, può diventare possibile coglierne l’aspetto di gioia. Come fare l’amore, giocando insieme. (differentemente la fine potrebbe essere “…e vissero infelici e contenti.”) Ieri sera a letto sento all’improvviso il desiderio di dormire con te. Dormire, l’intimità massima, richiama tutti i 5 sensi, ma anche la capacità di lasciarsi andare completamente all’altro, affidarsi. Come accade quando si fa l’amore pienamente. Come quando si mangia e si beve con gusto e per il gusto. Stamattina al risveglio sei lì che ti aggiri dentro di me, come se ti avessi bevuto, come se mi avessi bevuto, come se noi ci fossimo assaporati. Nonostante tu non ci sia fisicamente. Scrivere? posso solo scrivere sulla pelle perché sento la tua impronta, ed il suo calco è capace di rendere presente te concretamente assente.


E mentre l’olio caldo passa sulla mia schiena insieme alle pietre che massaggiano per sviluppare calore, il mio calore nasce dal desiderio di te. L’impronta di te. Le impronte possono essere amate, odiate o ripudiate. Così come il cibo, se percepite come pericolose. Ma io sento che i nostri capelli si sfiorano. La pelle è in attesa. Voglio mangiare con te, voglio bere con te. Voglio annusare te. Perché il sapore passa sempre per l’odore. Chimimagica. Scrivere? Come posso? Perché di tutti gli istinti l’unico che non voglio è quello di immobilizzare. Scrivere solo il corso di noi che assaporiamo l’un l’altro non come entità (da masticare per distruggere) ma parti viventi di reciprocità. E vissero felici e contenti

50 sfumature di giallo Gianluca Meis

Col suo cappotto nero pareva sfiorare i muri, mentre lento muoveva verso la sua destinazione. Il messaggio parlava chiaro: “Ti voglio. Oggi. Il prezzo fallo tu, non importa”. Aveva preso tutto l’occorrente e lo teneva stretto a sé all’interno di una anonima valigetta. Una di quelle che migliaia di rappresentanti usano quotidianamente. Nessuno avrebbe potuto sospettare alcunché di lui: la signora in metropolitana che gli sedeva accanto, il ragazzo sullo skate incrociato all’uscita del sottopasso, il signore col bassotto sotto casa. Quello che faceva era affar suo e delle sue clienti. Signore annoiate e in grado di pagare bene ogni sua prestazione. Aveva lo sguardo penetrante e carico di quel risentimento tipico degli orfani: qualunque sfiga si possa immaginare di un’infanzia perduta lui l’aveva in curriculum. Quante volte si era ritrovato a pensare che quelle sue forme di perversione probabilmente derivavano dal fatto che all’intervallo gli rubavano sempre la Girella Motta? Ma ora era cresciuto e prima o poi si sarebbe vendicato dei tanti soprusi subiti. Nelle lunghe notti trascorse a meditare vendetta aveva realizzato il piano perfetto: avvelenare intere partite di quelle merendine per lui così cariche di spiacevoli ricordi. Si sarebbe fatto assumere nella fabbrica della Motta della sua città, avrebbe guadagnato la fiducia di tutti e finalmente si sarebbe goduto le catastrofiche conseguenze del suo gesto, associando definitivamente il suono della campanella di tutte le ricreazioni della zona con il dolce sapore di una giustizia finalmente ottenuta. Per far ciò aveva bisogno di soldi. E cosa di meglio per racimolare il denaro necessario che prestare il proprio corpo a signore disposte a comprarlo? Carico di questi pensieri era finalmente giunto alla destinazione concordata. Suonò il campanello. Poco dopo il rumore


elettrico del portoncino annunciava che era già atteso: nessuno chiese chi fosse. Salì al terzo piano del palazzo. Una porta socchiusa spargeva nel pianerottolo un intenso profumo. Aprì solenne la sua valigetta. Si tolse il cappotto e la giacca, arrotolandosi anche le maniche della camicia. Legò attorno ai fianchi le stringhe, facendo attenzione all’estetica dell’insieme: le donne sono sensibili a questi dettagli in qualunque situazione si trovino. Non doveva dare l’aria di essere sciatto e mantenere l’eleganza con certe cose addosso poteva essere complicato. Alle sue spalle arrivò infine la padrona di casa. La percepiva nella stanza senza il bisogno né di voltarsi né di chiedere nulla. Il loro era un rapporto speciale. Cresciuto nella frequentazione dei molti incontri. Delle lunghe sedute a sperimentare nuove cose, nuovi approcci al piacere seguente. “Sei pronto?” Non poteva che rispondere con un cenno del capo. “Ho provato a sbatterle io, ma ci vuole la forza di uno come te. Per questo mi piace chiamarti per queste cose”. Ringraziò con un sorriso, afferrando con mano ferma la frusta: “Lascia fare a me, monterò questi tuorli d’uovo in men che non si dica. Sentirai che crema”

Pasta al burro Roberta Lepri

Nel mio pensiero lei è ancora lì, in piedi davanti ai fornelli. C’è un po’ di movimento, come sempre quando io e Benedetta torniamo da scuola. Silenzio, che c’è da ascoltare il telegiornale. Io invece vorrei quello che per me è cielo e figli delle stelle, oppure animali, pulci d’acqua e cinghiali bianchi. Siamo ormai tutti sotto al segno dei pesci, penso sorridendo. Detesto la televisione. Odio quella cosa in fondo alla tavola che mi chiude la bocca, ogni giorno. Poi nel pensiero c’è il gesto esatto che avrei imparato a ripetere. Gli spaghetti si tirano su con la forchetta, ecco il segreto. L’odore dell’acqua della pasta ha riempito la stanza. Mio padre è in piedi e sta facendo qualcosa, forse affetta il prosciutto, è la sua specialità. Ho in me il movimento del suo polso e quello del lungo coltello che mai si deve lavare, solo passare dentro uno straccio apposito, perché il grasso della carne fa bene alla lama. Io di politica non so niente. Mi incuriosisce che qualcuno rapisca qualcun altro. Perché lo fanno? Hanno da poco rubato il corpo di Charlie Chaplin per chiedere un riscatto. Charlot. A chi può venire in mente di rubare un morto? É orribile. Io e Benedetta andiamo a scuola a piedi e per strada si uniscono a noi altre compagne, che ci trattano con sufficienza, perché non abbiamo argomenti. Nessuna notizia di musica straniera, niente che non siano canzonette. Il fratello di Lorella invece


è appena tornato dall’estero, e in un pub irlandese ha sentito un gruppo nuovo. “B2, A2, una cosa del genere….ora mi informo” ha detto lei, imbarazzata per la dimenticanza. “U2” ha precisato due giorni dopo. Fare la pasta al burro è una delle cose più difficili al mondo, dice mia madre. Farla bene, intende. Il burro a pezzettini aspetta in una zuppiera di coccio. A parte deve essere grattugiata una bella quantità di parmigiano. Gli spaghetti Barilla n.5, ci vogliono. Quando torno da scuola la fame mi ingoia. Non lo voglio ascoltare il telegiornale. Ogni giorno, la gente muore. Di destra, di sinistra, ogni giorno. Poi il governo cade. Cosa succede se un governo cade? Chi sono, i politici? “Disinformata” dice Lorella “sono i padroni, quelli che comandano l’Italia, i nemici del popolo.” Suo fratello ha venti anni, queste cose le sa. Sua sorella invece ne ha venticinque, ed è stata picchiata dai carabinieri durante una manifestazione. I suoi sono separati ma si vogliono bene. Mi vengono i brividi. Provo una specie di vertigine, a guardarla. Nessuno la controlla, può vestirsi come le pare. E’ creativa e simpatica, ha “ottimo” in tutte le materie. Intelligenza spiccata, si dice di lei. Io invece sono un topo grigio e borghese, lo so, lo sento. Senza infamia e senza lode: è questa, la mia vera infamia. Il maglione tre taglie più grandi lo porto con un filo di perle di plastica e le polacchine le pulisco ogni giorno. Le altre mi schifano un po’, per questo. Il rock non mi piace, proprio non lo capisco. La mia vita è sospesa tra la scuola, la strada che faccio per arrivarci e la pasta al burro che trovo quando ritorno. Si posano i libri di scuola. Si mettono ai piedi le pantofole. Si aiuta ad apparecchiare se ancora manca qualcosa, ma per carità in silenzio. “L’Italia è nel caos” ha detto lei qualche giorno fa. “Guerra civile” ha risposto lui muovendo piano la testa. E intanto in tv passavano cinque uomini di scorta uccisi dalle Brigate Rosse. Un rapimento. Quel politico con il ciuffo bianco e il sorriso triste. “Si chiama Moro e invece ha il ciuffo bianco”. Penso di essere simpatica. Lo sguardo di mia madre mi passa attraverso. Io abbasso gli occhi. Non so cosa darei per accendere la radio. Solo musica. Non si può. Cosa c’entriamo noi con questo? “Sei una cretina senza coscienza di classe” bofonchiava ieri Lorella, sfoggiando con il primo caldo una maglietta bellissima, Peace and Love. Non ho un fratello più grande e odio la televisione. Forse mi informo poco. I miei non fanno politica e litigano senza divorziare. Per me non hanno tempo, devono lavorare e se sono liberi guardano la tv. Con una sorella più piccola non ci faccio niente, anche se è più sveglia di me. Sarà per questo che sono così. Poi nei miei pensieri ci sono loro, un giorno, seduti a tavola, zitti.


Ho chiesto a Benedetta di accendere il fornello e lei ha obbedito subito senza chiedere niente. Quando l’acqua bolliva, ho messo la pasta e preparato il burro e il parmigiano. Ho scolato gli spaghetti con la forchetta, come faceva la mamma e prima di lei la nonna, unica vera regina di tutte le paste al burro. Ho aggiunto qualche cucchiaio dell’acqua di cottura per renderla più cremosa. Ho portato in tavola la zuppiera e il silenzio non smetteva. Allora, ho acceso la televisione. In edizione straordinaria da via Caetani a Roma c’era il ritrovamento del corpo senza vita di Moro. Si chiamava Aldo. Roberta Lepri

La memoria degli odori Lucia La Gatta

Era scesa dal treno e quel pensiero non l’aveva abbandonata per tutto il viaggio. Gli aveva detto che questa volta non sarebbero andati fuori per il pranzo, come erano soliti fare, ma avrebbe provveduto lei. “Tu pensa solo al cavatappi” gli aveva buttato li quando si erano sentiti al telefono, “non me ne separo mai” aveva ribattuto ridendo e provando ad immaginare quello che lo aspettava, anzi, non poteva nascondere che il solo pensarlo lo trovava eccitante. Prendere la metropolitana sarebbe stato più semplice per raggiungere quel piccolo negozio di delizie, che aveva scoperto solo per caso, quando, in uno dei suoi giri aveva sbagliato strada e si era ritrovata in quella viuzza sotto i portici. La piccola bottega le era sembrata uno scrigno pieno di tesori e anche adesso tornandovi si era ritrovata davanti un banco frigo da fare invidia alla migliore gastronomia e scaffali ricolmi di piccole meraviglie. Non aveva con sé una lista della spesa, e allora cominciò a scorrere con gli occhi tutto quel ben di dio sentendosi come Hansel e Gretel quando nel bosco sbucano davanti alla casa di cioccolato e marzapane. Aveva guardato e pescato dagli scaffali, scelto con cura dal banco frigo, passato in rassegna l’angolo del fresco dall’orto, mancava solo il vino, ma quello lo avrebbe preso all’enoteca del loro amico Pietro. Sapeva che una volta li, lui l’avrebbe affascinata con il racconto di questo o di quel vino, non prima di averle chiesto cosa avrebbe preparato per il suo “Cyrano” come scherzosamente lo apostrofava. “Non sarà un pranzo impegnativo Pietro – aveva esordito lei entrando in enoteca – qualcosa di leggero per una pausa solo un po’ più lunga prima di rientrare al lavoro, ma il vino come sai, non potrà mancare”. La sua risata era


stata piena e sincera quando l’aveva salutata con un abbraccio, ricordandole che a volte le pause pranzo un po’ più lunghe del solito, possono essere molto intriganti se accompagnate anche da un buon vino. “Ecco questo è un inno non solo al vino ma anche alla gioia, ogni sorso richiama il successivo in un rincorrersi di sensazioni positive, così longilineo e raffinato ma al tempo stesso così disponibile a concedersi”. La bottiglia era già tra le sue mani e dopo qualche altra battuta sulla bellezza di quelle mattine di tarda primavera, l’aveva lasciata andare. L’orologio le ricordava che il tempo cominciava ad andare più veloce del suo passo e allora si affrettò verso casa. Non aveva mai voluto tenere con sé le chiavi dell’appartamento e così tutte le volte che era in città, era Bernardo, l’educatissimo custode dello stabile a consegnargliele. “Ben arrivata signora, le prendo subito le chiavi e le auguro un piacevole soggiorno”. Quanto le piaceva quella cucina, con tutti quegli utensili, era perfetta per lui che amava rilassarsi dietro ai fornelli, trasformando gli ingredienti in pietanze. La cucina e la tavola per entrambi erano un ottimo antidoto contro le quotidiane corse contro il tempo. Aveva messo a bollire l’acqua per i taglierini, a parte aveva affettato sottilmente il cipollotto e fatto rosolare in padella con l’olio, aggiungendo poi la pancetta a cubetti e bagnandola successivamente con il vino. Spellati i pomodori e privati dei semi, li aveva tagliati a bastoncini e aggiunti al fondo. A parte aveva preparato le olive divise a metà ed il pecorino. Per cuocere la pasta avrebbe aspettato l’ultimo momento, aggiustando poi con il pepe ed il prezzemolo tritato. Quando lui arrivò era tutto pronto. Aprì il vino che appena versato nel bicchiere rivelò tutto il suo profumo, lui l’abbracciò e la memoria degli odori fissò quell’istante per sempre. Quando anni dopo le passarono un bicchiere di cui non conosceva il vino si ritrovò avvolta in quegli stessi profumi. Una memoria totalizzante che la ributtò nel passato. Bevve un sorso, volse lo sguardo di lato: lui era lì e le sorrideva.


La

lettura e la scrittura sono la nostra passione e noi pensiamo che le passioni debbano essere vissute con slancio e dedizione, giorno dopo giorno, con la voglia di creare bellezza. #Svolgimento vuol essere la casa delle parole, un luogo confortevole in cui raccoglieremo le esperienze di autori famosi e presenteremo le nuove proposte degli esordienti. Ci sarà spazio per immagini e filmati, per la critica, per i bandi di importanti premi letterari, per le traduzioni dei migliori racconti, per contest a tema in collaborazione con prestigiose associazioni. Ci sarà spazio per tutto quello che impareremo a conoscere e ad amare. In accordo con lo spirito che contraddistingue questa nostra epoca, ogni esperienza verrà condivisa sui più importanti social network, i post verranno twittati con hashtag dedicato da @svolgimento, le immagini messe su Instagram con identico account. Potrete seguirci su Facebook e se vorrete partecipare vi basterà scrivere a svolgimento@gmail.com inviando i vostri racconti. Anna Wood, Gianluca Meis e Roberta Lepri vi danno il benvenuto. Tante idee, tante emozioni, tanti sogni. Un solo #svolgimento.



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