I brani contenuti in questa raccolta sono stati pubblicati nel blog letterario “Tutta colpa della Maestra” svolgimento.blogspot.it a cura di Anna Wood, Roberta Lepri, Giorgio D’Amato Gianluca Meis e Federico Orlando. La proprietà dei diritti appartiene ai singoli autori e sono concessi a “Tutta colpa della Maestra” con Licence Creative Commons Giugno 2013
Permette, signora? Roberta lepri Bella. Aureliana Greco FinchĂŠ morte non vi separi. Riccardo Giacalone Black Hole. Federico Orlando Giochi di coppia. Sabrina Ercole Bidetti L'ora delle dee. Adelaide Jole Pitteri Mollette. Ermelinda Frangisponde Good Vibration. Roberto Testa Altre mani. Gianluca Meis
Tema: Permette, signora? Svolgimento “Vieni tesoro, accomodati, che ti voglio raccontare una cosa … no, voi, no, voi uscite che di tempo me ne resta poco e quel poco lo voglio passare con lei” (indica proprio me, in mezzo al gruppo dei parenti al capezzale. Questo desiderio sembra essere importante, si agita nel letto, pare ritrovare un guizzo, mi fa un po’ paura, speriamo che non muoia mentre siamo da sole) “quanto tempo, quanto ne abbiamo passato insieme, eh? … è stato così bello occuparmi di voi, occuparmi di te, l’unica femmina in un branco di nipoti e figli maschi. Se foste state due, forse oggi non ce lo avrei avuto il coraggio …” (ora alza la mano e coll’indice punta lo sportello del vecchio armadio. Oddio no, adesso me lo farà aprire e uscirà quel puzzo di naftalina e di sudore vecchio) “è passato così alla svelta, questo tempo! E io sono stata solo per voi, Dio mi è testimone! Solo voi, ho avuto nella mia vita … oltre al ricordo del povero nonno. Così giovane ... era così giovane!” (adesso ricomincia con la storia dell’infarto, che lui era a letto e che dormiva, e lei gli ha portato il caffè, e lui non si muoveva. Speriamo si sbrighi) “… poi c’erano i miei venerdì, quelli delle riunioni per i prodotti della casa … ricordi che la nonna il venerdì era sempre impegnata, vero?” (annuisco, sì eri sempre impegnata, e hai portato anche a casa qualche soldino, con le riunioni dei prodotti americani, ed eri così brava a vendere che sono pure venuti dall’America per conoscerti … sempre la solita storia) “lo so che pensi che sia sempre la solita storia … ma le storie sono invece tutte diverse … e io vorrei tanto sapere, prima di andarmene. Vorrei sapere se è vera una certa cosa …”
(cerco di capire ma è impossibile. Credo che le resti poco tempo, povera nonna, sarà meglio che mi spieghi cosa vuole. Sospiro per cercare di incitarla) “divenni così brava a vendere, che arrivò mister Thompson dall’America. Parlava italiano, sai? E aveva un modo di guardare le persone! Sembrava leggere dentro di loro. Lui capì subito cosa mi piaceva. Appena restammo soli, mi guardò in un certo modo …” (oddio, le confessioni erotiche in punto di morte, no!) “fu lui il primo a leccare - Permette, signora? - chiese, prima di gettarsi ai miei piedi e sulle mie scarpe. E io persi la testa. Credevo di essere sola al mondo. Una malattia rara e incurabile, la mia. Mi gettai anch'io sui suoi mocassini … sapevano di pioggia e foglie sconosciute, di liquidi misteriosi che dal piede risalivano verso i fianchi. Li baciai, li lucidai con la lingua, li adorai e li respirai. Fino al piacere.” (credo di avere il cuore in gola, le prendo la mano, le sorrido,le accarezzo i capelli. Oh, nonnina, non morire ora, non morire!) “lui fu il primo di una lunghissima serie, e prima di andarsene con il sapore dei miei tacchi sulle labbra mi parlò di ereditarietà. Esistevano studi precisi … gli americani, si sa, sono all’avanguardia in tutto. Questa cosa si trasmette … Soprattutto in discendenza femminile” (mi indica di nuovo l’armadio. Ho le lacrime agli occhi) “Dimmi solo se è vero … se sei come me …” (piango e singhiozzo... Sì, nonna, sì, nonna, sì!) “ … io ti lascio le mie scarpe, tutte quelle che ho amato. Ti lascio libera di provare il tuo piacere con tutto ciò che vorrai, non sei colpevole, è un fatto ereditario, fai l’amore con scarpe nere o pellerossa, di uomini o donne, con tacco dodici o ballerine. Lecca e godi, nipote mia, che la vita è così breve …” (Non parla più. E’ morta. La bacio sulla fronte, apro l’armadio, accarezzo fremendo un centinaio di scarpe bellissime e i loro corpi perfetti: la mia eredità.) Roberta Lepri
Tema: Bella Svolgimento
Il mio seno prendeva forma , i capelli biondi, lunghi e morbidissimi, ormai pronti ad avvolgere chiunque. Ma nel mio mondo esisteva solo lui. Inizialmente per me fu solo odio e paura ma col tempo imparai a conoscerlo. Dovetti per forza ricavare una mia normalità in quegli anni sospesi, e i suoi occhi mi apparirono quasi gentili. Con lui diventai una donna. Ero sua e di nessun altro e per questo mi teneva segregata, nascosta da tutti. In quella vita c’eravamo io e lui. Ricordo il primo paio di scarpe che mi regalò: vernice nera. Un tacco dodici color argento che per la prima volta mi sollevò da terra, guardandomi allo specchio capii di essere cresciuta. Lui mi ammirava ancheggiare per il lunghissimo corridoio. Poi caddi e lui con me, sopra di me, a scoprire come quei tacchi rendessero tutto più stuzzicante. Da quel momento arrivarono tante altre scarpe (aveva anche buon gusto) e il mio armadio si era ormai arricchito anche di abiti da sera e gioielli, non mi mancava niente. Sapeva come farmi sentire bella. Il giorno in cui ebbe la febbre alta, io presi un camice trovato nello spogliatoio e mi sistemai proprio come una brava infermiera (lasciai ampia la scollatura). Lui mi adorava, vestita così ero ancora più bella, mi diceva, e passata la febbre mi sfilò quel camice bottone per bottone come a ringraziarmi. Ci riuscì. Tutto quello che ho imparato lo devo a lui, non avevamo televisore così mi raccontava tantissime cose. Leggevamo insieme libri, mai giornali, e guardavamo tantissimi film, tutto sotto il suo controllo. I suoi racconti svegliarono in me la curiosità per il mondo, sentivo che un giorno sarei andata via da lì. Presto capii quanto lui adorasse vedermi nervosa, essere maltrattato, sentirsi umiliato. Ricordo che quando litigammo l’ultima volta lui era eccitatissimo, forse pensava scherzassi, ma andai via. Fu per sempre. Chiedo scusa per la sua morte, io forse l’ho amato e prego ogni giorno per lui. In fondo non mi ha mai maltrattata. Aureliana Greco
Tema: Finché morte non vi separi Svolgimento
È notte fonda, non so dove io sia e per quale strada io stia camminando. Nonostante faccia freddo mi sento calda e sporca. Ancora fremo mentre cammino, le gambe che si contraggono convulse. Mi sento sfinita e colpevole. Dicevano che ci si fa il callo, che la coscienza pian piano smetta di controbattere, di rimproverare e di tormentare. Invece mi sta uccidendo, mi morde sempre di più ogni volta che pecco. Sì, perché io commetto peccato ogni volta che tradisco mio marito. Ero convinta di essermi liberata dal concetto di peccato e di tradimento, di questi enormi mostri che le nostre madri ci hanno inculcato a forza nella testa. Così come la verginità. Dovevamo arrivare tutte vergini al matrimonio. E perché? Ci avrebbe garantito un matrimonio felice e spensierato? Non credo che saremmo state insultate, maltrattate, picchiate o ignorate di meno. Non penso che mio marito si ricordi che ero vergine mentre fa sesso con la troia di turno (e sono sicuro che lo faccia, magari facendole vestire da maestrine o conigliette, o da entrambe: sì, con due alla volta lo farà). Mia nonna era vergine, e ogni giorno mio nonno le dava la consueta porzione di botte. Eppure non ha fatto che ripetermi che il segreto di un buon matrimonio è arrivare “intonse” all’altare. E anche quando le faceva sputare sangue, lei mi ripeteva che mai si dovrebbe tradire il proprio marito. Dio è grande e buono, ma anche vendicativo: vede tutto e al momento opportuno darà ad ognuno la giusta ricompensa. Allora Dio poco fa mi guardava? Andrò all’inferno come mio marito? E insieme a lui? Non ci avevo pensato. Maledetto parroco: mi avevi giurato "finché morte non vi separi" invece me lo troverò pure là. E lo vedrò mentre si scopa le altre assatanate. Io non sono come loro. No: io non sono una troia. Cosa mi rende tale? Chiunque mi conosca sa che sono una donna per bene, che amo i miei figli, che aiuto il prossimo e servo mio marito. Perché su una tela bianca si deve guardare sempre quell’unica macchia rossa? Io non amo mio marito, e se non lo amo non ci faccio sesso. Neanche lui mi ama, visto che neanche mi tocca più. Io non lo amo! E allora perché sto piangendo? Forse perché non posso lamentarmi di lui. Ha sempre amato i nostri figli, e mi ha sempre accontentato. Ma non mi amava e non mi ama, ne sono certa. Mi
teneva buona con i regali, così che io non avessi il coraggio di rimproverarlo per aver infilato il suo pene in qualche stupida vulvetta. Ne sono sicura. Se ne sarà scopato decine, centinaia. Ed io, solo perché mi faccio amare follemente sarei come una di loro? Io non sono come la battona appoggiata a quel lampione. Io amo l’amore, e amo il mio amante. È diverso. C’è un sentimento che mi eleva e mi rende migliore di loro, che rende le mie azioni giustificabili davanti a Dio. Io non andrò all’inferno con mio marito e con loro, e non devo neanche chiedere perdono. Visto? Ecco un suo SMS. Dice che mi ama alla follia, e che questa sera è stato meraviglioso fare l’amore davanti al camino, che mi vorrebbe ancora con sé, che vorrebbe addormentarsi tenendomi fra le braccia. Io ero vergine quando mi sono sposata, e in quindici anni di matrimonio mio marito non mi ha mai detto una cosa del genere. Voglio andare da lui. Voglio rimettermi il corpetto rosso e le calze a rete che lui adora. Tornerò indietro, lo amerò ancora di più e poi ci addormenteremo insieme come lui desidera. Se lo merita. Non mi importa cosa diranno domani mattina i miei figli non vedendomi a casa, e con quel porco troverò una scusa. Anzi, gli comprerò un regalo come ha sempre fatto con me. Mentre cammina lesta e vorace di desiderio, vede il palazzo in cui lavora suo marito, e decide di andare nel suo ufficio: magari lo può beccare in flagrante. Il portiere le apre, e come tutti i buoni portieri ha un passe-partout per tutti gli uffici. La accompagna davanti allo studio e la lascia sola, finalmente. Le luci sono spente, non c’è nessuno. Non ha mai visto l’ufficio di suo marito da quando lavora qui, e sono passati dieci anni. Le sembra di sentire dei rumori, dei gemiti: proverranno sicuramente da lì. Ecco, adesso lo scoprirò a scopare selvaggiamente con la sua battona. Non c’è nessuno. A questo punto poteva uscire da quella stanza. Poteva lasciare spente le luci, chiudere la porta e andare dal suo amante felicemente delusa. Invece una ignota forza motrice la spinge verso la scrivania alla ricerca di prove. Rovista in ogni cassetto, trovando solo carte e moduli e fogli e cartelle, fino ad una busta non sigillata. Potrebbe ancora fermarsi, e vivere con la dubbia certezza che suo marito è un bastardo, che sta scopando da qualche parte con la sua porca. Invece scopre al suo interno la lettera di dimissioni. Ecco la prova finalmente. Figlio di puttana. E così vuoi mollare tutto e fuggire con la tua troia? E lasciare me e i nostri figli?! Vuole lasciarmi? Signora, deve fare ancora molto? Come mai sta piangendo? Perché mio marito ha deciso di licenziarsi senza dirmi nulla, perché mio marito ha un’altra donna e vuole fuggire con lei, perché ho sprecato la mia vita con un uomo che adesso mi abbandonerà, perché sono stata una stupida, ecco perché. Signora mi permetta di dire che si sbaglia…
Stia zitto, la prego! Signora su, smetta di piangere. Mi dispiace contraddirla, ma non c’è nessun’altra donna se non lei, ed è con lei che suo marito vorrebbe fuggire. Signora… le assicuro che suo marito la ama, e la ama moltissimo. Io avevo sempre pensato che fosse un uomo freddo e distaccato, invece è solamente timido. Non sa quante volte mi ha aiutato a scaricare i pacchi da quando lavoro qui, eppure non ha mai accettato che gli offrissi un caffè. Col tempo ho capito che è solo una brava persona non tanto brava a dimostrare affetto, o meglio: lo manifesta a modo suo. E allora? Questa lettera di dimissioni? Una telefonata al suo cellulare interrompe il portiere. La Signora Monroe? Deve venire in ospedale. Suo marito è stato vittima di un incidente. Suo marito stava là, con le mani unite, gli occhi chiusi e le labbra aperte quasi in un sorriso. Bianco. Sulla sedia accanto al letto c’erano i fiori che aveva in mano prima che venisse catapultato in aria. Gladioli rossi, i suoi fiori preferiti, e un biglietto. Lo lesse. Andò in bagno e si sciacquò il viso. Sullo specchio del lavabo campeggiava scritto con un rossetto rosso "Troia". La coscienza si vendicò dandole l’ultimo morso, e in quell’istante cessò di vivere. Si svestì completamente, estrasse dalla borsa le calze a rete e il corpetto rosso e li indossò. Poi andò a prendere i gladioli rossi e, tenendoli come un bouquet, sfilò come il giorno del suo matrimonio sù, fino al terrazzo dell’ospedale. Riccardo Giacalone
Tema: Black hole Svolgimento “you have gone you move to fast running for things to happen like you play the game you need to play“ Claudia Gerini – Black Hole Le coperte erano fredde, trasmettevano brividi lungo le spalle i fianchi e le natiche, e lui riusciva a distinguere perfettamente le scie che il freddo trasportava attraverso i suoi arti, da una parte all’altra, sempre più lente, deboli, fino a quando il corpo non si adattò alla situazione e smise di sussultare, quindi decise di non fare altri movimenti: il dubbio e la sensazione di trovarsi dentro un gioco - senza avere alternativa - lo terrorizzavano, eppure la situazione lo eccitava e si accorse che i brividi di freddo erano, una volta arrivati in superficie, di piacere; aprire gli occhi era inutile, era stato bendato, e di parlare non ne aveva voglia, preferiva ascoltare i rumori dell’ambiente per aggrapparsi a qualche certezza che cominciava a perdersi nel buio e nel silenzio della stanza in cui si trovava, quella che lui chiamava “stanza onirica” per via dell’atmosfera che si creava a ogni incontro: di sogno o di incubo, ma poco importava; l’immobilità della situazione creava tensione, tensione che si accumulava, tensione che destabilizzava, che rendeva l’aria pesante, tensione che entrava dentro il corpo, si amalgamava al sangue e dilatava i polmoni, tensione che creava inquietudine nella sua ricerca, sperando di trovare uno sbocco, uno sfiatatoio nervoso, era tutto ciò che cercava: un modo per distruggere quel momento placido e angoscioso. Una pressione leggera sul materasso, un piccolo spostamento d’aria: qualcuno si era avvicinato; l’uomo disteso sul letto riusciva a sentire il respiro sommesso, l’energia che trasmetteva l’altro corpo, la tensione che continuava a crescere nel silenzio della situazione, e in pochi attimi ne fu sicuro: chiunque fosse, si trovava sul letto insieme a lui, sopra di lui, visualizzava il suo corpo nudo immobile in mezzo alle gambe dell’altro e i brividi esplosero in gran quantità lungo il suo corpo e dentro il buco che si era creato nella sua mente, e il rumore di una pagina sfogliata fece in modo che la sua attenzione fosse rivolta all’ignoto davanti a lui.
Dalla soglia di un sogno mi chiamarono… Era la buona voce, amata voce. L’uomo rimase ad ascoltare in silenzio quella voce sopra di lui, se solo avesse avuto il potere di vedere, riuscire solo a vedere. Poi la benda cadde e si ritrovò sotto la donna che lo teneva in suo potere in mezzo alle gambe, da lì egli riusciva a osservare tutto il suo corpo nudo e il suo volto mascherato. I due fori degli occhi della maschera le permettevano di leggere ancora il libro che teneva in mano, quasi che le dita fossero un leggio. - Dimmi: verrai con me a vedere l’anima?… Una carezza mi raggiunse il cuore. L’uomo sul letto, immobile, avrebbe voluto rispondere: vedere l’anima, conoscere l’altro e specchiarsi in lui, era possibile? Sarebbe stato possibile vedere con gli occhi dell’altro la propria anima? Mentre pensava, un riflesso gli fece portare le mani in mezzo alle gambe a coprire il suo corpo di fronte a quella sconosciuta che, in realtà, sembrava conoscerlo bene, sembrava volesse perforare il suo corpo, scavargli dentro con le parole, parlargli con il linguaggio dell’inconscio. - Sempre con te… Ed avanzai nel sogno per una lunga, spoglia galleria; sentii sfiorarmi la sua veste pura e il palpito soave della mano amica. L’uomo chiuse gli occhi e lasciò che le parole entrassero in lui, facessero su e giù lungo tutto il suo corpo, percorressero la stessa via del suo sangue o dell’aria respirata. L’ultima cosa che sentì, prima di lasciarsi andare, fu la mano della donna posarsi sulla sua, e poi calore. Federico Orlando (Poesia di Antonio Machado - "dalla soglia di un sogno mi chiamarono")
Tema : Giochi di coppia Svolgimento
La prima volta che le aveva viste era stata durante una gita di classe : Parigi, quartiere Pigalle, quello a luci rosse. Si erano persi, l’insegnante si era fermata a chiedere indicazioni e loro ne avevano approfittato per guardare le vetrine di un sexy shop. Si era accalcata con le compagne, ridendo indicavano i completi in latex e le fruste, ma un oggetto in particolare l’aveva incuriosita. Eccole lì in bella mostra, in ogni materiale e colore: le manette. Anni dopo, con il suo primo fidanzato, erano andati al luna park; tra le varie attrazioni avevano visto un contenitore con un braccio meccanico che pescava gli oggetti sul fondo, dopo vari tentativi erano riusciti a prenderne uno : le manette di Batman. All’inizio si era chiesta se lui l’avesse fatto apposta, fingendo di puntare al peluche a forma di cuore, ma dopo un primo momento di imbarazzo si erano messi tutti e due a ridere. Avevano anche provato ad usarle, erano in plastica leggera e si aprivano senza bisogno di nessuna chiave, ma si erano rotte quasi subito. Non ci aveva più pensato per anni fino a quando, la settimana prima, aveva festeggiato l’addio al nubilato con le sue amiche. Era arrivato il momento del regalo, aveva aperto il pacchetto con trepidazione e curiosità: chissà cosa mi avrà regalato questa banda di pazze, pensava tra sé. Aveva tolto la carta lucida rossa ed ecco apparire una scatola fucsia con la scritta “ per la futura sposa” . Sempre più curiosa l’aveva aperta e aveva svuotato il contenuto sul tavolo : - un pacco di preservativi a tutti i gusti (fragola, banana e cioccolato). OK, servono sempre. - delle mutandine commestibili. Per carità , fanno venire la nausea solo a guardarle -una paperella vibrante : “Con il suo becco rende il bagno mooolto piacevole”, le avevano spiegato ridendo le sue amiche e infine delle manette foderate di pelo rosa. “Vabbè che il matrimonio è una prigione, ma addirittura le manette!”. Era una battuta stupida, buttata lì a caso, ma erano tutte brille e si erano messe a ridere.
Appena arrivata a casa le aveva ammirate, accarezzando il pelo morbido, le aveva indossate per provare se la chiusura stavolta funzionasse davvero. Peccato solo per il colore, sembrava un oggetto della collezione di Barbie! E’ passata una settimana, ora si trova in un bellissimo hotel in luna di miele, ha posato sul comodino il contenuto del pacco regalo. Si è sdraiata sul letto in una posa da sirenetta, con indosso una sottoveste trasparente nera comprata per l’occasione, tiene tra le dita le manette di peluche rosa. Appena suo marito entra in camera alza il braccio, muove leggermene le manette e con voce suadente stile Jessica Rabbit sussurra: “giochiamo a guardie e ladri ?”. Sabrina Ercole Bidetti
Tema: L'ora delle Dee Svolgimento
Il fatto che al suo cane avesse messo il nome Blog, forse, avrebbe potuto far presagire qualcosa. Con la lampada da tavolo accanto al pc e il cane ai suoi piedi stava in religiosa concentrazione tutte le notti, ma anche tutte le mattine e tutti i santi giorni. Certo non poteva confessarlo apertamente, ma era contento di essere in cassa integrazione. Per due anni avrebbe avuto il sussidio statale e dunque poteva starsene lì a fare ciò che voleva: conoscere il mondo e tutte le sue novità. Escluse le ore che per necessità quel dannato corpo richiedeva per il sonno, rimaneva inchiodato a quell’aggeggio. Strimpellando sopra l’alfabeto consumava cibo per lo stomaco cercando cibo per la mente, con le briciole che finivano per incastrarsi in mezzo alla tastiera. Le notizie gli arrivavano a tratti, rifilate dentro piccoli riquadri colorati. Testi brevi come telegrammi, ma efficaci come fucilate. Ci cliccava sopra e gli si spalancava l’universo. Ogni cosa gli arrivava da Twitter, dalla prima pagina della mail, dalle fonti più disparate, trascinandolo fin dentro cunicoli che né occhio né mano avrebbero mai potuto raggiungere. Scivolava così dentro il cavo, nel tunnel che attraversando montagne, azzerando chilometri, lo portava al di là del suo piccolo “dove”. Nessuno gli avrebbe più detto ”ma dove vivi?” Adesso, lui era ovunque nel mondo. E come un uccello provvisto di ali smisurate andava lontano, lontano … lontano! In questo modo aveva imparato quale fosse la superficie dell’oceano Pacifico, 179 milioni di km², quella dell’Atlantico, 82.362.000 Km². Il suo bagaglio culturale, con quei semplici gesti, si sarebbe ingrandito a dismisura. Con la mano sul mouse poteva toccare ogni cosa. Le sue notti avevano il colore azzurrognolo del monitor, i giorni il bianco neutro della luna. Alle albe non prestava più attenzione, era l’ora in cui, perlopiù, stropicciava gli occhi e finiva per stravaccarsi sul divano in attesa di recuperare un po’ di forze e ricominciare lo spasmodico contatto con il pianeta terra. Arrancando per quelle strade virtuali e immense a volte si sentiva perso, lo prendeva lo scoramento. C’era troppo da scoprire! Ma poi, con una semplicità insperata, raggiungeva una sorta di appagamento, ultimamente nemmeno tanto virtuale. Sì perché, passo dopo passo, giorno dopo giorno, clic dopo clic, il suo cammino aveva preso una strada ben precisa. Non di rado, scopriva pagine intriganti che finivano per pigliarlo nel corpo e scuoterlo nell’anima. Chi altri avrebbe potuto farlo vibrare più di tanto? Allora, accarezzava la plastica nera, puntando le icone con i suoi occhi avidi, poi collezionava tutto su “preferiti”. La lista era ormai lunghissima. Dalla strada i rumori arrivavano come un mormorio lontano, incomprensibile. Fossero giunte richieste d’aiuto o spari contro il balcone lui non avrebbe
sentito null’altro che quel brusio indistinto, confuso. Le uniche voci che ormai distingueva erano quelle di Arianna, Benì, Cecilia, Daria, Elsa, Francesca, Gianna, Helèn, Ivonne, Luisa, Marta, Nicole, Orietta, Patricia e altre. Tutte, in rigoroso ordine alfabetico, erano conservate o meglio stipate dentro file, come scatole di scarpe. Certo dentro ci avrebbe messo più che un piede, ma andava bene così, dopotutto le scatole erano lì, sempre a sua disposizione. Da quelle uscivano le Dee! Giorno o notte che fosse, con le loro labbra colorate, con i seni gonfi e con le mani che gli acchiappavano la mente, liberandogli la fantasia. Gli mangiavano le ore come sorbetti al limone divorati in piena estate. Non si era accorto che Blog lo aveva abbandonato. Non sapeva nemmeno che se avesse provato a chiamare sua moglie, quella non avrebbe risposto. Se n’era andata anche lei. Non si accorse di nulla. Non capì quanto fosse succube di quel feticcio nemmeno quando, davanti a Zaira, ultima Dea, imbrattò la tastiera e non certo di briciole. Adelaide Jole Pellitteri
Tema: Mollette Svolgimento
La spia che avrebbe dovuto mettermi in allarme fu il drastico calo delle mollette da bucato. Ero sicura d'averne il solito cestino pieno, ma d'improvviso un giorno, quando ancora avevo diversi calzini da stendere, mi ritrovai senza. Che fine potessero aver fatto lo scoprì presto: una domenica mattina, di ritorno dalla messa. Mio marito era voluto rimanere a casa. "Va da sola Ermelinda" mi disse, "Mi sento lo stomaco gonfio, è meglio che resti a casa". Per carità, dissi io, è meglio sì. I soffitti della nostra Chiesa son belli alti, ma le correnti procedono solo in orizzontale. Era un attimo che mi toccava vergognarmi pure con le ragazze che stavano in prima fila per i canti! Lo lasciai a leggere un libro sulla solita poltrona. Credevo di ritrovarmelo lì al ritorno, appisolato con gli occhiali sul naso e un braccio penzoloni. Il soggiorno invece era deserto. Gli scuri delle finestre accostati. Sarà diligentemente andato a sprofondare sul cuscino in camera, pensai. Ma quel buio in piena mattina mi metteva ansia. Girando per far tornare la luce tra la cucina e il tinello fui allarmata da strani rumori. Il primo pensiero corse a dei ladri. Ecco, han visto le finestre chiuse, hanno creduto fossimo fuori casa e stan tentando il colpo. E quello stupido di mio marito a letto, pacifico e sordo. Afferrai il mattarello, con cui la sera prima avevo steso la pasta e che ancora era sul porta piatti ad asciugare, e mi feci coraggio. La lavanderia era vuota, vuoto il salotto. Mi restavano le scale e la camera da letto. Temetti addirittura fossero già arrivati a soffocare nel sonno mio marito, il che poteva spiegare i rumori avvertiti poco prima e che ora andavo con certezza ad attribuire ad un uomo che soffre! Misi entrambi le mani sulla mia arma improvvisata, tirai un gran sospiro per farmi coraggio e per sistemare con le labbra la dentiera e feci irruzione nella camera. Mio marito stava imbavagliato e legato mani e piedi al letto. Iniziai ad urlare per spaventare i ladri, o almeno provavo a crederlo possibile. Ma oltre a lui nella camera non c'era nessuno. Mi quietai e provai a soppesare meglio la situazione. Corsi a togliere il bavaglio a mio marito per sentire dalla sua voce in quale direzione si fossero diretti i mal intenzionati, ma lui cominciò a scusarsi, a dire che aveva stretto troppo e non riusciva a liberarsi, che si vergognava tanto, che sarebbe voluto sprofondare, che era solo curioso dopo aver letto quel libro. Mi sommerse di parole. Troppe per serbarne un preciso ricordo. Vidi sui suoi capezzoli le mie mollette da bucato. Ne vidi altre pure giù e più giù ancora.
Mentre gli risistemavo il bavaglio sulla bocca pensai che l'indomani sarei andata al negozio in paese a comprare altre mollette e che quelle sarebbero finite nella stufa. Lo lascia lÏ giusto un'altra oretta. Il tempo di leggermi alcune pagine del libro che aveva lasciato sulla poltrona. "Justine". Scrollai il capo per abbandonare il pensiero che fosse una biografia della soubrette, ex moglie di Paolo Limiti. Mi diedi anche il tempo di cucinare. Quando tornai di sopra e liberai mio marito, se ne andò rapido e silenzioso, oltre che nudo, in bagno. Mangiò di gusto la pasta fatta in casa e non lo rividi piÚ fino a sera. Dalla sua parte del letto rimase per diversi mesi una molletta attaccata al filo della lampada del comodino. Volevo una sorta di bonus per evitare di sentirmi svegliare nel sonno con la scusa che russavo! Ermelinda Frangisponde
Tema : Good Vibration Svolgimento
Mi salutò come sempre aveva fatto. Un unico gesto con gli occhi, seguito da uno movimento impercettibile del mento. Senza che nulla potesse trasparire dal suo gelido sguardo. Sentimento? Amore? Parole e sostanza a lui del tutto sconosciute. Solo pura effimera consuetudine. Andava via per il suo solito giro d’affari. Almeno così lui diceva, e di certo poco m’interessava sapere se fosse vero. Chiuse la porta dietro le sue spalle e sentii aprire la mia. Aprivo la mia di vita. Mi appropriavo di quello che quotidianamente mi veniva sottratto, giorno dopo giorno, e sapevo che ne avrei goduto. Eccome, se ne avrei goduto. Mi preparai un bagno caldo. In attesa che la vasca si riempisse decisi anche di dar fondo alla mia riserva personale di puro libanese. Mentre m’immergevo pian piano, nella acqua sopportabilmente calda, un brivido di piacere s’impresse lungo la schiena. Il contatto con l’acqua distese i miei muscoli contratti da giorni di tensione accumulati dal quotidiano caos casalingo. Sentivo l’effetto del joint salirmi. Era meraviglioso. Mi sentivo completamente rilassata ed estremamente a contatto con me stessa. La mia mente scorreva veloce, come ogni singola cellula nel mio corpo. Affondai la testa sott’acqua trattenendo il fiato per po’. Sentivo il mio battito lento e potente e quel rumore sordo del sangue che scorre veloce nel circolo obbligato. Riemersi. Il vapore aveva creato una nebbia avvolgente profumata all’aloe, nel bagno scarsamente illuminato. Adoravo questa eterea sospensione, un umido calore protettivo. Tutto così rallentato, in assoluta simbiosi con il mio corpo. Mi divertivo far scorrere l’acqua sul mio capo reclinato sul bordo della vasca. Poi premevo con forza la spugna imbevuta per farla scivolare sui seni turgidi. Mi eccitava da morire. Sembrava il leggero erotico tocco di dieci uomini. O così mi piaceva immaginare. La situazione era molto stimolante. Mi sollevai in piedi e continuai l’operazione. Questa volta più in giù. Premevo con forza la spugna sulla pancia. L’acqua calda fluiva veloce sul mio sesso gonfio ed eccitato e le mie cosce vibravano ad ogni cascata. Mi guardai allo specchio, piazzato di fronte, che se pur appannato riuscì a riflettere il mio corpo, che ancora aveva tante cose da dire. Avevo dimenticato il sublime piacere che ero ancora in grado di darmi. Seppellito da anni di umili e tristi vicissitudini familiari. Mi assalì improvviso. Impetuoso come mille cavalli lanciati al galoppo. Il mio corpo rispondeva e vibrava alla vita. Vibrava, vibrava…l’intera stanza sembrava vibrare all’unisono a quei soffici affondi…sempre più forti e possenti…dio mio! Li sento. Sento quei colpi, nel mio corpo in fibrillazione. Sento quei colpi sulla mia pelle, nelle mie tempie, nei miei timpani. Li sento, li sento, li sento…sento la porta del bagno che sta per abbattersi…ma porca di quella miseria!!!
“Mammaaaaaaaaaa…ti prego apri subito!!! Fai prestoooo…mi scappa la caccaaaaaaaaa…mammaaaaaaaaa…apriiiiiiiiiiiii….” Gli scappa la cacca. Gli scappa la cacca. Il messaggio di allarme arrivò al mio cervello in momentaneo overflow. Le giocose luci della scintillante giostra si spensero per sempre. I cavalli selvaggi rinchiusi di nuovo nei loro recinti. ...e caddi come mamma morta cade. Roberto Testa
Tema: Altre mani Svolgimento da leggersi ascoltando l'adagio dal Concerto di Aranjuez
Mentre il carro imboccava lo sterrato, appena al di fuori del cortile, sapeva di averla perduta. Il peso delle monete, che teneva nella tasca interna del mantello, era solo una leggera consolazione, una passeggera libertà conquistata da debiti e spese non più procrastinabili. Strinse le briglie e i lembi del mantello con la stessa scarsa convinzione, nonostante il freddo. Quella che credeva essere la sua più preziosa ipoteca sul futuro non gli apparteneva più. I servi del cardinale richiusero i battenti alle sue spalle con un clangore che gli suonò sinistro. Conosceva la passione di quell'uomo per le forme e la bellezza che lui aveva appena perduto, ma immaginarlo ora, rosso in viso come nelle vesti, lo lasciava ancora più raggelato del vento. Sentiva quelle mani morbide e grassocce, mai intaccate da alcun lavoro, scorrere lente sul collo che lui stesso aveva esplorato. Che lui per primo aveva riempito di baci, più preziosi di qualunque gioiello. Le sentiva scendere nell'incavo dei seni. Ora più umide di sudore e più veloci e impudìche Avvertiva la violenza dei polpastrelli sui capezzoli, l'insistenza sui fianchi, ed infine il tronfio approdo tra le natiche che ancora portavano i segni delle sue labbra, di cui ancora aveva chiare le proporzioni e la capacità di accogliere le sue guance in cerca di conforto, sicure del piacere che sapevano donare. Non c'è invidia che il denaro non possa comprare, non c'è rimpianto più grande di conoscere il valore di quello che si è perso. Quella madonna, così indulgente verso i peccati che aveva soddisfatto, avrebbe conosciuto altro amore. Avrebbe sopportato il peso di nuove richieste e accolto tra le proprie forme un altro uomo, altro seme che non quello di colui che l'aveva tratta dal marmo. Gianluca Meis
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