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Club di territorio

notiziario dei Volontari di Roma anno III – numero 1 - gennaio/febbraio 2018

Metro C Quando il passato incontra il futuro Gennaio/Febbraio 2018, notiziario 1 u1


romasotterranea

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DIARIO DI UN’ESPERIENZA

PARTICOLARE Il Club di Territorio di Roma ha organizzato la visita alla Stazione-Museo San Giovanni della Metro C per circa 250 persone di Massimo Marzano

Tra ottobre e novembre del 2017 il Club di Territorio è stato protagonista di una iniziativa che ha riscosso un grande successo ed ha visto una notevole

partecipazione: la visita della StazioneMuseo San Giovanni della Metro C. L’iniziativa è stata favorita dal valido contributo e dall’efficiente collaborazione dell’ing. Pasquale Cialdini, a. u. di Roma Metropolitane, dell’ing. Marco Santucci, Componente della Commissione di Collaudo Tecnico ed Amministrativo, e di uno staff di notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2018 u3

prim’ordine, formato dall’ing. Salvini, dall’arch. Massimo Brunori, dalla dott.ssa Anna Giulia Fabiani e dalle responsabili dei Servizi di Roma Metropolitane, Cristina Fermi, Manuela Muscia, Federica Corsano e Manuela D’Ercole che si sono distinte per preparazione tecnica e cordialità durante le visite. Sempre presente al nostro fianco, attenta e precisa, l’arch. Cristina Petri dell’Ufficio comunicazione di Metro C. Con l’ing. Salvini ho accompagnato i partecipanti a visitare la Stazione-Museo San Giovanni. In uno studio stratigrafico (tabella nella pagina a fronte) di uu


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un territorio nella zona di Largo Brindisi, fuori Porta San Giovanni (quasi 3000 mq), le dottoresse Anna Giulia Fabiani della Cooperativa Archeologia e Rossella Rea, archeologa della Soprintendenza Speciale per i beni archeologici di Roma, collaboratrici del dott. Francesco Prosperetti, Soprintendente ai Beni archeologici di Roma, hanno portato alle luce importanti reperti archeologici e ricostruito e documentato le fasi storiche ed umane che si sono succedute in questa parte della città dall’epoca preistorica fino ad oggi. Così, mentre si scendono i gradini e le scale mobili per 27 metri sotto il livello stradale, si attraversa la Storia dai giorni nostri fino al tempo della preistoria, quando i primi uomini e donne si accamparono lungo l’Acqua Crabra, uno dei tanti corsi d’acqua di Roma scomparsi, e crearono i primi insediamenti.

del tempo e le stratificazioni delle vite in questo tratto di città fuori dalle Mura Aureliane, anche prima che fossero costruite, quando qui c’erano alture e valli, dove scorreva l’acqua, come testimoniano una vasca da irrigazione e vari pezzi di tubatura di un’azienda agricola della prima età imperiale. Come dice una scritta illustrativa su un pannello “i frammenti raccontano”, cioè non solo parlano ed illustrano le vicende storiche, ma raccontano anche di uomini e donne che hanno vissuto e lavorato in questo quadrante di territorio, li rappresentano nelle loro

fatiche quotidiane, come se ci spronassero ad andare sempre avanti, a superare le difficoltà, a trovare il piacere e la felicità nei nostri piccoli gesti quotidiani. I visitatori sono rimasti affascinati da questo viaggio nel tempo e nella storia e si sono attardati a vedere i reperti nelle bacheche, a fare domande, ad esprimere delle opinioni, dei commenti. Hanno finalmente potuto capire, al di là dei problemi burocratici, il motivo dei ritardi nella costruzione della Metro C. Del resto si è dovuto operare in un

La Linea C è una grande opera automatica, senza macchinisti a bordo

Al primo piano della stazione, quello che dal livello della strada porta all’atrio, si passa dall’ Età Contemporanea alla Tarda età Imperiale e ancora, scendendo al cosiddetto ‘Piano corrispondenza’, all’Età Repubblicana e a quella Protostorica Arcaica. I treni, all’altezza della banchina, arriveranno nell’epoca ‘Preistorica’, lo strato più profondo. Lungo le pareti, con un’analisi ed uno studio stratigrafico, si trovano esposti reperti della vita di tutti giorni: tracce dei palazzi dell’Ottocento, un servizio di piatti rinascimentali, l’anellino di una matrona romana, anfore e utensili antichi, gioielli in oro e monete, pezzi di statue e vasellame, colonne e capitelli, una vanga, noccioli di pesca, fossili. Quindi si ha la possibilità di vedere il trascorrere

Sopra, durante la visita del 6 ottobre. Sotto, la visita del 30 novembre

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territorio che presenta una notevole densità di presenze archeologiche e ricco di resti monumentali e di edifici storici e poi le grandi opere hanno richiesto sempre tanto tempo, ad esempio: per una cattedrale era necessario minimo un secolo, la costruzione dell’attuale basilica di San Pietro fu iniziata il 18 aprile 1506 sotto papa Giulio II e si concluse nel 1626, durante il pontificato di papa Urbano VIII, mentre la sistemazione della piazza antistante si concluse solo nel 1667, la Sagrada Familia a Barcellona, iniziata 1882, è ancora in costruzione, la Piramide di Che-

ope dai 10 ai 20 anni, il Partenone, anche se con varie vicissitudini, dal 490 al 432 a C., gli affreschi della Cappella Sistina, per una lunghezza di circa mezzo chilometro, hanno impegnato Michelangelo Buonarroti dal 1508 al 1512 (la volta) e dal 1535 al 1541 (Il Giudizio Universale). Queste aperture al pubblico hanno impressionato anche quelli che hanno lavorato alla realizzazione dell’opera, tanto che l’ing. Salvini, commosso, ha commentato: “ Far visitare un’opera che hai visto “crescere” dal niente per diventare ciò che ora è e constatare la soddi-

sfazione e direi anche “la sorpresa” in positivo in chi la visita, non è una “fatica”, ma una vera gratificazione del proprio lavoro, superiore a tanti altri aspetti”. Noi del Club di Territorio di Roma, insieme con Anna Di Paolo, Responsabile Reti & Attività Territoriali del Touring Club Italiano, non possiamo che ringraziare il personale di Roma Metropolitane, che con competenza, precisione e chiarezza espositiva ha permesso ad un significativo numero di visitatori di poter ammirare questa interessante Stazione-Museo di San Giovanni. Già siamo pronti per visitare la Stazione Amba Aradam con il suo affaccio sulle camerette della caserma dei militari, sulla tavolozza dei colori del pittore, che si preparava a “dare una rinfrescata” ai locali, sui mosaici, dove militari di professione passavano il tempo, si preparavano ai servizi, pensavano ai loro cari, alle loro donne e alle lontane terre native da dove provenivano. Roma era l’Impero, ma la casa era un fuoco che bruciava dentro. Speriamo di poter visitare presto questo ulteriore gioiello di Roma. Il Club di Territorio vi aspetta nelle sue varie attività di organizzazione e di visite guidate.

Il folto gruppo dei partecipanti alla visita del 17 novembre. Sotto, il percorso della Metro C

La Linea C è una grande opera (un sistema di conduzione automatica, senza macchinisti a bordo, gestita dal centro controllo del Deposito Graniti / 11 stazioni di superficie / 13 stazioni sotterranee / 12 pozzi di ventilazione / 19 Km. di gallerie / 3 interscambi con le altre linee su ferro (Linea FL1 a Pigneto, Linea A San Giovanni, Linea B a Colosseo/Fori Imperiali) / 30 stazioni progettate / 21 già aperte al pubblico / 2 in costruzione (Amba Aradam, Fori Imperiali / 1 appena completata e di prossima apertura (San Giovanni). notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2018 u5


fontanedi roma

Dal sito di Palazzo Borromeo vi proponiamo una passeggiata per ammirare tre interessanti fontane di Elena Cipriani

Fontana di Giulio III La fontana in questione si trova in Via Flaminia, all’angolo con Via di Villa Giulia, inserita nella costruzione del Palazzo Borromeo, sede dell’Ambasciata Italiana presso la Santa Sede. Le origini di questa fontana risalgono al 1552, quando Papa Giulio III Ciocchi Del Monte (1550-1555), nell’ambito dei lavori di costruzione della sua villa, Villa Giulia, lungo la Via Flaminia, commissionò una fon-

le fontane

di via flaminia tana all’architetto e scultore Bartolomeo Ammannati che, forse, fu aiutato in questa opera anche dal Vasari e dal Sansovino. L’impianto originario della fontana è ancora riconoscibile, ma al tempo della sua costruzione si presentava in maniera differente, isolata e non addossata ad alcun edificio, come possiamo vedere nell’affresco di Taddeo Zuccari situato all’interno di Villa Giulia. (pagina seguente) È lo stesso architetto Bartolomeo Ammannati, a dare notizia, in una 6 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2018

sua memoria, del fatto che l’acqua fosse stata portata direttamente “sul posto” a seguito di un lavoro di scavo ordinato dal Pontefice per la sua villa di campagna: “... Il principio di detta strada ha due facciate dov’è una bella fontana, nella quale condusse l’acqua la felicissima memoria di papa Giulio, senza avere mai avuto luce che in tal luogo vi si potesse trovare acqua. Ma avendo anticamente in pratica la sua villa, fece scavare profondamente e con diligenza, non perdonando a spesa, per fare questo ben pubblico, di dove


è oggi il suo palazzo insino a questo principio di strada. E vedendo che questo suo desiderio riusciva, con ogni studio si deliberò fargli l’ornamento, che ora se gli è fatto, d’opera corintia, con colonne e pilastri, e nel mezzo una gran pietra di palmi dodici per ogni verso, con una iscrizione che dice: IULIUS III PONT. MAX. PUBBLICAE COMMODITATI ANNO III. Con due nicchie per banda, ai quali vi son dentro due statue, la felicità e l’abbondanza. Sotto l’eppitaffio vi è una gran testa antica e bellissima d’un Apollo, che getta detta acqua in un vaso grande e bello di granito, sul fine vi sono quattro acrotterie: in uno dei catini è la statua di Roma e nell’altro quella di Minerva, e negli altri due, due piramidi di granito e nel mezzo un nettuno, tutte antiche e bellissime” Infatti la fontana, come recitava l’iscrizione dell’epoca, era per uso pubblico, mentre il ninfeo posteriore era ad uso della villa. Nel 1560, però, la fontana venne alterata dal momento che fu inglobata

nella Palazzina di Pio IV costruita da Pirro Ligorio. La palazzina venne donata a San Carlo Borromeo, nipote di Papa Pio IV de’ Medici (15601565), il quale vi appose una semplice scritta con il suo nome in latino. Successivamente, in occasione della nascita di Filippo Colonna, figlio di Fabrizio Colonna e di Anna, sorella di San Carlo Borromeo, cui quest’ultimo aveva dato in dote la Villa , venne rimossa la scritta di Papa Giulio III e sostituita da una nuova in onore di Filippo Colonna. Nel 1750, quando la villa passò di proprietà ad un altro Fabrizio Colonna, in previsione di un grande afflusso di pellegrini per il giubileo di quell’anno, Papa Benedetto XIV Lambertini (1740-1758) concesse altra acqua alla fontana ed il Colonna volle ringraziare il Pontefice con una nuova iscrizione posta sopra il timpano. Nella stessa occasione, la testa di Apollo da cui sgorgava l’acqua venne sostituita da un mascherone ornato con trofei di armi e bandiere e la fontana venne allacciata all’Ac-

In apertura, G. Vasi, Fontane in via Flaminia, 1760. Qui sopra, Taddeo Zuccari, affresco

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quedotto Felice. Le numerose modifiche che negli anni alterarono l’aspetto della fontana, pur lasciando alla stessa un aspetto signorile, crearono una composizione all’apparenza poco coerente che creò non pochi problemi ai critici, come Francesco Milizia, che già nel XVIII Secolo pensava essa fosse opera d’un solo autore, e si chiedeva: “Il primo piano è trattato in corintio e il secondo dove in corintio e dove in jonico. Questo sproposito chissà di quale architetto è!”

Fontana delle Tre Conche La Fontana delle Tre Conche è il risultato di una serie di manomissioni e trasformazioni che gradualmente modificarono un abbeveratoio composto da un mascherone che gettava acqua all’interno di un’antica vasca termale, fatto costruire nel 1552 da papa Giulio III accanto alla fontana di cui abbiamo parlato prima, perché nella fontana destinata agli uomini non potevano abbeverarsi gli animali. Nel 1672 il Cardinale Federico Borromeo, acquisita l’area, abbellì l’abbeveratoio con un doppio prospetto architettonico, nel quale fu posta l’iscrizione commemorativa visibile ancora oggi al di sopra delle conche: FEDERICVS S.R.E. CARD BORROMIVS AQVAM PVBLICA COMMODITATI REVOCAVIT ANNO DNNI MDCLXXII (Da notare l’errore riportato sulla lapide, dove c’è effettivamente scritto “DNNI” anziché “DMNI” (che sta per “DOMINI”). Nel 1877, cambiata nuovamente la proprietà, la vasca termale venne rimossa e riutilizzata a Villa Borghese, per far posto alla vasca rettangolare in granito della fontana del Babuino, temporaneamente smontata per la costruzione della rete fognaria di Campo Marzio. L’acquisto dell’area da parte della Cassa del Notariato, nel 1932, comportò lo stravolgimento dell’assetto uu


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esistente: il prospetto seicentesco del Borromeo, e gli edifici nel frattempo costruiti nelle sue adiacenze, furono completamente demoliti. La fontana fu ricostruita nelle forme attuali, addossata al nuovo edificio di stampo razionalista dell’architetto Arnaldo Foschini. La vasca del Babuino fu mantenuta, inserita nella nuova composizione con tre conche, fino al 1957, quando fu riposizionata nel luogo d’origine. Attualmente, la vasca è una copia di quella del Babuino. Anche l’epigrafe rimase al suo posto mentre il mascherone e la conchiglia vennero trasferiti poco più avanti, sempre sulla via Flaminia, in luogo chiamato Arcosolio di Benedetto XIV, dove formarono un’altra fontana, insieme all’antica vasca recuperata da Villa Borghese

se inalterata finché, a causa di lavori per la costruzione della rete fognaria, nel 1877 l’intero complesso della fontana del Babuino venne smembrato: la statua fu riposta all’interno del palazzo ex Buoncompagni, mentre la vasca andò a sostituire quella originale dell’abbeveratoio, che venne utilizzata per una delle fontane all’interno di Villa Borghese. La definitiva opera di smembramento avvenne nel 1932, quando la “Cassa del Notariato”, l’Ente di

previdenza autonomo dei notai, divenne proprietaria del terreno retrostante la fontana-abbeveratoio. Come abbiamo visto, fu demolito il prospetto seicentesco del Borromeo, ma venne conservato il resto: la vasca del Babuino rimase al suo posto, sormontata dalla “Fontana delle Conche. Il mascherone e la conchiglia vennero trasferiti all’”Arcosolio di Benedetto XIV”, e ricongiunti all’antica vasca in granito, recuperata da Villa Borghese.

Arcosolio di Benedetto XIV La fontana si trova tra l’edificio del Notariato e quello dell’Accademia Filarmonica. Risale al 1750 un episodio che apparentemente non ha nulla a che vedere con la fontana-abbeveratoio di Giulio III, ma che risulterà determinante per la sua vita futura e attuale. Sempre sulla via Flaminia, ma un centinaio di metri più avanti, verso Porta del Popolo, si trovava un’altra fontana da tempo in condizioni di abbandono. In previsione dell’arrivo a Roma da nord di una gran quantità di pellegrini per il Giubileo di quell’anno, papa Benedetto XIV ne commissionò a Giulio Sinibaldi il restauro e la riattivazione. L’architetto dunque la ripristinò e la collocò all’interno di un arcosolio, una sorta di nicchia, dalla parete bugnata, sormontata da un arco: struttura caratteristica delle sepolture catacombali. A commemorazione dell’avvenimento venne posta la solita epigrafe in latino con la citazione del Pontefice, dell’acqua utilizzata e dell’anno del restauro. Per oltre un secolo la situazione rima-

Dall’alto: la Fontana delle Tre Conche, la fontana dell’Arcosolio 8 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2018


fugadalla città

Un weekend

tra storia e cultura Usciamo dalla nostra regione per visitare Campli, un centro del teramano nel quale è stato recentemente riaperto un importante museo archeologico danneggiato dal terremoto del 2016 Di Alessia De Fabiani

I ritmi sempre più frenetici della città ed il caos ci spingono a cercare un posto dove poter staccare la spina,

ma se non sapete dove andare, ho un suggerimento per voi… la nostra destinazione si trova a pochi km. da Teramo, è un piccolo museo a cielo aperto, dove il tempo sembra essersi fermato, dove l’aria è pura, i suoi abitanti genuini come il loro cibo, dove saziare il nostro cuore ed i nostri occhi con le bellezze architettoniche e storiche. Se tutto ciò vi incuriosisce allora non vi resta che mettervi in viaggio alla scoperta di Campli! Campli è un comune situato nel cuore delle colline teramane, un’incantevole città d’arte dove storia e cultura, tradizione e culto religioso

La cripta di Santa Maria in Platea. In apertura, panorama di Campli

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fugadalla città

Da sinistra: la chiesa di San Francesco, la casa del medico, la Scala Santa, Palazzo Farnese

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fondono. Abitata sin dall’epoca preromana, come testimonia la necropoli di Campovalano, nel Medioevo diventa un centro molto importante, ma siamo ancora lontani dalla fama che otterrà con i Farnese. Grazie all’insediamento di questa famiglia Campli diventa luogo d’incontro di pittori e artisti provenienti dalle scuole di maestri come Giotto e Raffaello, come è testimoniato dagli affreschi in stile giottesco che si trovano nella cripta della Cattedrale di Santa Maria in Platea. Realizzata a metà Trecento, al di sotto della struttura del 1500, è composta da piccole navate interamente affrescate. La parte superiore dotata di due navate laterali, racchiude in sé alcuni tesori come il maestoso soffitto ligneo del maestro teatino Teodoro Donati, realizzato intorno agli anni Venti del ‘700. Pregevole è l’immagine della Vergine con Bambino di Giovanni Battista Ragazzini detto il “ravennate”, realizzata nel 1557. Inoltre, fino a poco tempo fa era possibile ammirare l’icona trecentesca della Madonna del Latte, una delle poche immagini di Maria che allatta, sopravvissuta agli anni della Controriforma. Visitare Campli è facile basta lasciarsi guidare dai profumi boschivi, dai suoni delle campane che riecheggiano tra i vicoli, dall’atmosfera calda e familiare dei suoi abitanti, dai secoli di storia ancora ben visibili, ed in poco tempo si raggiunge la chiesa romanica di

San Francesco (edificata poco dopo la morte del Santo, in ricordo del suo passaggio a Campli) il cui stile lineare rispecchia i canoni di povertà e semplicità dell’ordine francescano. Nella lunetta che sormonta il portale sono ancora visibili i resti di un affresco di Giacomo da Campli della metà del ‘400. L’interno, rifatto il secolo successivo, è a pianta centrale con altare in stile rinascimentale, voluto da Ranuccio Farnese nel 1598. Addossata a questa struttura vi è la Scala Santa realizzata alla fine del ‘700 per volere di Gianpalma Palma, noto priore della Confraternita locale nonché avvocato che volle risollevare le sorti della sua cittadina. Costui già nel 1771, grazie al suo stile di vita rigoroso, aveva ottenuto la concessione dal pontefice Clemente XIV di costruire un luogo dove i fedeli avrebbero potuto ottenere la remissione dei peccati e delle pene. L’ edificio, completato alla fine del Settecento, è ad imitazione di quello lateranense, dotato di 2 rampe con 28 gradini da salire pregando in ginocchio, che convergono su un pianerottolo dove si trova la grata che consente di vedere all’interno del Sancta Sanctorum. Qui è presente un altare dedicato al Salvatore, reliquie di martiri e santi e due frammenti della croce di Cristo. Lungo la scalinata sono disposte tele con scene della Passione di Cristo, mentre sulla volta in legno alcuni angeli sorreggono i simboli del martirio. 10 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2018

Il simbolo civico di Campli è il Palazzo della famiglia Farnese, noto come Palazzo del Parlamento, risalente alla fine del secolo XI, quando la città era governata da un piccolo parlamento che si riuniva all’interno di questa struttura, simbolo delle funzioni pubbliche della città. La sua importanza civica si rispecchiava nella ricchezza e potenza architettonica, grazie alla presenza di una torre campanaria (non più presente) e, nella zona al pianterreno, di una pescheria, la prigione, il corpo di guardia e il Monte di pietà. Al primo e secondo piano vi erano il salone per i parlamenti generali, le camere dei governatori e la residenza dei signori ed il primo teatro murato d’Abruzzo. A causa della sismicità della zona il palazzo nei secoli ha subito delle modifiche, infatti nel 1800 è stato rimosso il teatro, modificato il portone e realizzato lo scalone alla fine del secolo. Esternamente si presenta con una struttura ad arcate a tutto sesto, separate dal primo piano con una sottile cornice, mediando così tra il broletto lombardo e l’architettura locale. Mentre si passeggia tra le viuzze certamente non passa inosservato quel palazzo con un loggiato sorretto da colonnine in pietra, noto come la Loggia delle Spezie, dove si fissavano i prezzi di queste adottati nel Regno di Napoli, oltre che la vendita di spezie di importanza nazionale. Questo è uno degli edifici che compongono


Il Museo Archeologico Nazionale di Campli Di Eugenia Napoleone

questo piccolo museo a cielo aperto, ma non è l’unico, infatti accanto vi è una curiosa palazzina, con numerose iscrizioni in latino sulla facciata, che cantano le lodi alla professione medica, in particolare della famiglia Lazzarelli, che per generazioni curò gli abitanti. Siam di fronte alla Casa del Medico, che si distingue dalle case porticate duecentesche circostanti, oltre che per la facciata di gusto rinascimentale, per la presenza di una corte interna, a doppio loggiato in pietra e mattoni. Al loggiato superiore, si accede tramite un’elegante scalinata a doppia rampa. Sono ancora visibili i resti della “ruota”, ovvero quel sistema ricavato nelle mura che permetteva anonimamente di lasciare un neonato in una nicchia girevole alle cure delle suore, che si trasferirono nell’edificio dopo la scomparsa della famiglia Lazzarelli. Miei cari viaggiatori, ricordate che non potete lasciare questa piccola isola felice prima di aver visitato il Museo Archeologico Nazionale di Campli che, di seguito, vi illustriamo.

Il 20 dicembre 2017, alla presenza della Direttrice del Polo Museale d’Abruzzo, dottoressa Lucia Arbace, ha riaperto al pubblico il Museo Archeologico Nazionale di Campli. Il museo, seriamente danneggiato dagli eventi sismici che nel 2016 hanno colpito il teramano, torna così, dopo più di un anno di lavori, a mostrare al pubblico la sua pregevole collezione: i prestigiosi reperti provenienti da alcune delle 621 sepolture della vicina Necropoli di Campovalano recuperati nelle campagne di scavo iniziate nel 1967. Gli oggetti conservati nel museo ricostruiscono quello che era il rito funerario dell’antico popolo locale dei Pretuzii e la sua conseguente evoluzione, lungo un arco temporale che va dal XIV al IV secolo a.C. Seguendo il percorso espositivo, si possono quindi osservare elementi di corredo e arredo delle sepolture, la ricostruzione di alcune tombe, numerosi e straordinariamente intatti oggetti in bronzo e ceramica, fino al ricco corredo di una giovane aristocratica composto di numerosi e raffinati gioielli, alcuni dei quali in lamina d’oro di cultura magno-greca, in avorio e in argento di tradizione celtica, oltre a quelli in pasta vitrea. Alla cerimonia di riapertura del Museo è intervenuto anche il professor Paolo Coen, docente di Storia e Teoria del Museo presso l’Università degli Studi di Teramo, il quale ha sottolineato l’importanza di valorizzare e rendere più e meglio visibile una realtà piccola ma significativa come quella di Campli anche attraverso la creazione, come fortemente auspicato dalla dottoressa Arbace, di una “rete di musei” che possa comprendere, e quindi collegare tra loro, i maggiori musei abruzzesi nonché i settori di Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della competente Soprintendenza. Conoscere e valorizzare il Museo Archeologico Nazionale di Campli significa anche e soprattutto riportare la luce su un territorio, quello abruzzese, che spera di vivere a pieno nel 2018 la ripresa di cui ha bisogno dopo le vicende degli ultimi due anni, poiché, come affermato da Coen, parafrasando Salvatore Settis, “ogni museo vive nel territorio, con il territorio, per il territorio”. Da sx, passanti a volto femminile bifronte, in oro; IV sec. a.C. Tomba 2. Ricostruzione, particolare del carro e dell’olla. In alto, manifesto dell’evento

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attivitàsul territorio

di b u l C territorio

Vi raccontiamo l’ultima passeggiata che ha avuto come tema il Grand Tour a cura di Elisa bucci

PASSEGGIATA DEL 20 ottobre 2017

I Luoghi dell’Arcadia e il Grand Tour. Da Palazzo Salviati al Bosco Parrasio

Riprendiamo il tema delle nostre passeggiate sulle orme dei viaggiatori del Grand Tour per scoprire una zona di Roma molto meno frequentata dai turisti d’oggi rispetto a quelli dei secoli scorsi, quando veniva apprezzata per la sua importanza urbanistica, per quel sentirsi in campagna nonostante fosse situata praticamente nel cuore della città, e per i palazzi e luoghi storici (e letterari) che accoglieva. Stiamo parlando di Via della Lungara e dell’arteria che chiude a nord-est il rione di Trastevere, oggi nota come Via Garibaldi. Di Vittorio Gamba Il filo conduttore di questo percorso è legato all’Accademia dell’Arcadia, celebre istituzione fondata nel 1690, spesso frequentata da stranieri e dai viaggiatori del Grand Tour, e ai luoghi d’incontro degli Arcadi, che ritroveremo nelle tappe principali di questo itinerario. Via della Lungara, unica strada di Roma ad iniziare e finire presso una Porta urbica, rispettivamente Porta S. Spirito e Porta Settimiana, è la sorella minore di Via Giulia, in quanto entrambe furono volute da papa Giulio II, a distanza di pochi anni: Via Giulia, infatti, risale al 1508 e fu creata per radunarvi intorno la città degli affari e dei servizi, in particolare quelli giudiziari; Via della Lungara, invece, venne sistemata nel 1512 come percorso, soprattutto commerciale, di 12 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2018


collegamento fra il Vaticano e Trastevere ove sorgeva il porto di Ripa Grande. Infatti, in origine la strada doveva arrivare fino allo scalo sul Tevere, ma fu limitata a Porta Settimiana per evitare la distruzione della chiesa di S. Maria in Trastevere che si trovava proprio sul percorso. Via della Lungara venne creata leggermente più ampia di Via Giulia, proprio per sopportare il traffico veicolare commerciale, ma anche per permettere un più veloce transito alle guardie pontificie quando c’era da intervenire nel turbolento quartiere di Trastevere. Infine, non dimentichiamoci che questa strada era anche un percorso giubilare, seguito dai pellegrini per andare da San Pietro a San Paolo fuori le Mura. In realtà il percorso riprende un’antica strada romana (Via Septimiana) che nel medioevo si era trasformato in un piccolo sentiero, comodo ma pericoloso per la presenza di briganti che non esitavano ad assaltare i pellegrini diretti in Vaticano. Con la sistemazione della strada e considerando che l’apertura, qualche anno prima (1475), di Ponte Sisto aveva creato un collegamento diretto con il cuore di Roma, il prezzo dei terreni posti in quest’area, tutti appartenenti al Vaticano od a Enti Religiosi, lievitò enormemente, garantendo notevoli guadagni durante la Porta Settimiana nel 1907 lottizzazione, nonostante le frequenti inondazioni del Tevere che qui erano particolarmente disastrose. E così nacquero le prime fastose residenze che, come anche nella prospiciente Via Giulia, furono appannaggio soprattutto di toscani: Agostino Chigi (con la Farnesina), i Riario e gli Adimari (questi ultimi, però, preferirono l’estremità settentrionale della strada, più vicina al Vaticano). Ma è ora di iniziare il nostro percorso partendo da Palazzo Salviati, in origine della famiglia Adimari, uno dei capolavori architettonici di Giulio Romano, che creò una facciata da palazzo di città e la parte posteriore, senza cortile, come se fosse una villa di campagna, affacciato su un giardino che risaliva il colle del Gianicolo. I Salviati, proprietari dal 1552, lo ingrandirono fino a portarlo ad avere oltre 150 stanze. Nel teatro all’aperto, ancora esistente, nel giardino, arricchito un tempo di fontane e statue, si tennero, fra il 1699 ed il 1704, le sedute dell’Arcadia, di cui avremo modo di parlare più avanti. Lo stesso giardino ospitò, dal 1820 al 1870, l’Orto Botanico di Roma, in precedenza situato sul Gianicolo dietro al Fontanone dell’Acqua Paola, trasformandosi in questa occasione da semplice luogo verde dove i visitatori potevano liberamente raccogliere fiori e piante, come ci tramanda Goethe (1788) che non esitò a prendersi piante rare per la sua raccolta, ad istituto scientifico e ben strutturato: non a caso qui nacquero le prime serre di vetro e riscaldate. Oggi Palazzo Salviati è sede del Centro Alti Studi per la Difesa. Proseguendo su Via della Lungara si superano alcune piccole chiese: la settecentesca San Giuseppe alla Lungara, San Giacomo in Settimiano, che conserva una lapide funeraria opera del Bernini, e S. Maria delle Scalette, oggi chiusa ma annessa alla Casa Internazionale delle donne, antico monastero per le donne di malaffare che volevano redimersi. uu notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2018 u13

E. R. Franz, Vecchie case della Via della Longara sulla sponda destra, 1878/1896

M. G. De Rossi, Pianta di Roma, part., 1668


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di b u l C territorio Queste erano le uniche emergenze architettoniche particolari lungo la parte centrale, in quanto tutta l’area, fino alla fine del ‘600, era principalmente occupata da vigneti, giardini, piccole case popolari con annesso orto e monasteri . Fra questi ultimi non si può non citare quello delle Carmelitane Scalze, oggi Carcere di Regina Coeli e così soprannominato perché le suore avevano l’obbligo di recitare ogni quattro ore l’antifona “Regina Coeli”. I viaggiatori del Grand Tour superavano velocemente questa zona per raggiungere al più presto uno dei luoghi più conosciuti e frequentati dai turisti di ogni tempo, la Villa detta La Farnesina, celebre residenza di Agostino Chigi, realizzata nel primo decennio del ‘500 da Baldassarre Peruzzi in forme semplici ed armoniose, con un corpo centrale e due avancorpi laterali, che ne fecero una delle prime vere ville rinascimentali. Ma il vero scopo di una visita qui, anche quando il luogo passò in proprietà ai Farnese (da cui il nome attuale della Villa) e poi ai Borbone, era quello di poter ammirare gli straordinari affreschi di Raffaello, tramandandoci opinioni e riflessioni. uu

La Loggia di Amore e Psiche affrescata da Raffaello Sanzio

P. Pollastri, Villa Corsini in via della Lungara, 1872

Scrive Goethe il 16 luglio 1787: “Ieri visitai con Angelica la Farnesina, dov’è dipinta la favola di Psiche. Quante volte e in quante circostanze ho guardato con voi le copie colorate di questi affreschi nelle stanze di casa mia! Stavolta me ne resi ben conto, poiché grazie a quelle copie li conosco quasi a memoria. Questa sala, o meglio galleria, è ciò che di più bello abbia visto in decorazione pittorica, pur se ora in buona parte guasta e restaurata”. Di fronte alla villa troviamo Palazzo Corsini, dalla lunga e preziosa storia, iniziata nel 1509 quando fu edificato dal cardinale Riario. Il palazzo è ricordato per aver ospitato, fra il 1662 ed il 1689, anno della sua morte, l’imponente corte (fino a 190 persone) della regina Cristina di Svezia, estroso personaggio che tanto fece parlare di sé, sia per la sua abdicazione al trono e conversione al cattolicesimo, sia per il tenore di vita che qui svolse, fra continue feste, riunioni, spettacoli e ricevimenti. Biografi e storici nel tempo l’hanno descritta come una donna isterica, ninfomane, assetata di potere, crudele, vulnerabile e ossessionata dalla propria bruttezza, ma ne hanno anche sottolineato la forza d’animo, l’ingegno e la passione per lo studio. Qui Cristina formalizzò, nel 1674, la sua Accademia Reale, ma mise anche a disposizione il suo giardino a giovani poeti e letterati, quegli stessi che poi, dopo la sua morte, fondarono l’Accademia dell’Arcadia. Nel 1736 il palazzo passò alla famiglia del papa regnante, Clemente XII Corsini, che lo fece ingrandire ad opera dell’architetto Ferdinando Fuga, che all’epoca lavorava nelle fabbriche papali, a partire dal Quirinale. La necessità di farvi ospitare una importante biblioteca (che nel 1754 venne aperta regolarmente al pubblico divenendo, grazie al divieto esplicito di essere mai spostata, la prima vera biblioteca di quartiere) ed una pinacoteca fecero raddoppiare le dimensioni del palazzo portandole a quelle attuali, ed arricchendolo di uno splendido parco che occupava gran parte del Gianicolo, compresa l’attuale zona di Piazza Garibaldi, e che in parte oggi ospita l’Orto Botanico di Roma. Così scriveva Charles de Brosses nel 1739: “Le buone usanze ci obbligano ad andare a far visita al Principe Corsini nipote del Papa. Non lo troverete, perché è nel suo vicereame in Sicilia; ma troverete sua moglie e la figlia maritata al fratello dell’abate Nicolini, il nostro amico. I Corsini abitano in un quartiere ben distante: meglio così; finché vivrà lo zio tutti 14 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2018


Foto Claudio Farina

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Foto Elisa Bucci

verranno a far loro la corte; ma dopo la sua morte imminente, temo che dovranno cambiar casa, o restar soli. Albani diceva qualche giorno fa, che i nipoti dei papi muoiono due volte; la seconda come gli altri, e la prima alla morte dello zio. La vostra buona creanza verso i Corsini sarà ricompensata da alcuni dipinti del Correggio e dell’Albani”. Oggi il palazzo merita assolutamente una approfondita visita in quanto è sede della Galleria Corsini, facente parte della Galleria Nazionale d’Arte Antica, dell’Accademia dei Lincei e della Biblioteca dell’Accademia e Corsiniana. Pochi passi ancora e si arriva a Porta Settimiana, termine di Via della Lungara ma nel contempo porta d’accesso al popolare rione di Trastevere. Ha origini romane, e venne successivamente trasformata in una delle porte della cinta aureliana, ma oggi conserva l’aspetto medievale ripristinato nel 1798. Fino al 1643, quando vennero costruite le Mura Gianicolensi che tolsero ogni funzione a questa porta, la stessa veniva regolarmente sorvegliata e chiusa di notte. Appena oltre si nota sulla sinistra, all’angolo con Via di S. Dorotea, la casa della Fornarina, l’amante di Raffaello e che sarebbe stata da lui utilizzata come modella anche negli affreschi della vicina Farnesina. Il tratto successivo dell’itinerario ci porta lungo l’attuale Via Garibaldi, un tempo Via delle Fornaci, dove si cuocevano mattoni per l’edilizia, grazie all’abbondanza di creta presente sul Gianicolo. All’epoca del Grand Tour era una zona produttiva e di insediamenti popolari e quindi trascurata, salvo utilizzata per arrivare nella parte alta, dove sorgevano due luoghi “da visitare”. Il primo è il complesso di S. Maria dei Sette Dolori, posto sulla sinistra in fondo al rettilineo di Via Garibaldi. La chiesa venne iniziata nel 1642 ad opera del Borromini che però, a causa delle difficoltà economiche della committenza, abbandonò il cantiere dopo aver costruito solo l’interno della chiesa. Il monastero venne poi completato nel 1655 da altre maestranze mentre la facciata della chiesa non fu mai terminata. Questo monastero ammetteva alla vita religiosa le giovani di nobile famiglia ma di salute cagionevole: le oblate, infatti, osservavano una regola mitigata per quanto fossero sempre di clausura. Superata la curva e volgendo a destra in pochi passi arriviamo, infine, al cancello della meta ultima di questo itinerario, il Bosco Parrasio dell’Accademia dell’Arcadia, come è chiaramente scritto ai lati del cancello. L’Accademia nacque nel 1690 con lo scopo di combattere “lo stile barocco e di riportare la letteratura al fine dell’utilità sociale”, ad opera di un gruppo di letterati che, come abbiamo visto, furono ospitati in precedenza anche da Cristina di Svezia nel suo giardino. Nel corso del ‘700 divenne un movimento cui aderirono non solo poeti, ma anche musicisti, ecclesiastici, nobili e scienziati, italiani e stranieri e, novità quasi assoluta, anche donne. Gli aderenti all’Accademia si proclamavano “Pa- uu I partecipanti davanti all’ingresso del Bosco Parrasio (foto sopra)


attivitàsul territorio

di b u l C territorio uu stori Arcadi”, definendo “Bosco Parrasio” il luogo delle tornate generali. L’Arcadia è il simbolo della terra felice e dell’Età dell’Oro, governata da re saggi, solcata da ruscelli puliti, punteggiata d’alberi che danno frutti spontanei. È la terra in cui tutti vorrebbero vivere, il paradiso ritrovato, fuori dalla corrente della storia. Nei primi anni di attività gli Arcadi utilizzarono sedi diverse per riunirsi fino a quando Giovanni V re del Portogallo (dal 1721 membro dell’Accademia) volle fare una donazione affinché potesse essere costruita una sede stabile per le loro riunioni e le loro carte. Nel 1723 venne scelto questo luogo, dove l’architetto Antonio Canevari poté creare, negli anni successivi, un giardino ancora in gran parte preservato. Le rampe delle scale dovevano richiamare la scalinata di Trinità dei Monti, costruita proprio in quegli anni mentre il giardino si sviluppò in senso verticale, alludendo al poetico Monte Parnaso, dimora di Apollo e delle Muse. Cuore dell’intero progetto era, ed è ancora, un piccolo anfiteatro, dove tuttora si tiene la solenne “Tornata” conclusiva dell’anno Accademico, anche se dalla fine dell’800 il luogo è affittato a privati e la sede ufficiale dell’Accademia è presso la Biblioteca Angelica. Hanno “dato voce” ai racconti dei viaggiatori i nostri Volontari Claudio Carlucci, Elena Cipriani, Stefania Di Ciò e Massimo Pratelli.

In Redazione: Alessia De Fabiani e Massimo Romano Grafica e impaginazione: Gianluca Rivolta Hanno collaborato a questo numero: Massimo Marzano, Elena Cipriani, Alessia De Fabiani, Eugenia Napoleone, Elisa Bucci, Vittorio Gamba SEGRETERIA ORGANIZZATIVA APERTI PER VOI ROMA: Via Spallanzani, 1 - Villa Torlonia - Roma Apertura: dal martedì al venerdì, dalle 9,30 alle 12,30 Tel.: 06 45548000 apertipervoi.roma@volontaritouring.it “Vi informiamo che da martedì 6 febbraio gli uffici di Villa Torlonia sono chiusi al pubblico fino a nuova comunicazione. Ritorna attivo l’ufficio di Piazza Santi Apostoli, con l’apertura dedicata ai volontari dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00. Tel. 06.36005281-1”

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