notiziario dei Volontari di Roma anno 5 - numero 4 - luglio/settembre 2020
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11 ottobre 2020 4 ottobre 2020
Ottobre/Dicembre 2019, notiziario 4 u1
TEVERE
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I Volontari del Club di Territorio di Roma del Touring Club Italiano hanno previsto, per la giornata del Tevere Day del 4 Ottobre, 3 itinerari culturali che si svolgeranno lungo le sponde del Tevere. Le passeggiate saranno organizzate nel rispetto delle disposizioni dell’Ordinanza Regionale del 27 maggio 2020 (salvo aggiornamenti), per un numero massimo di 20 partecipanti con obbligo di mascherina. Ai fini del Programma generale, forniamo l’elenco delle iniziative ordinato da monte a valle.
A - Passeggiata da Ponte Cavour a Ponte Principe Amedeo Savoia Aosta, fra Mausolei Imperiali e antichi Porti APPUNTAMENTO: Largo S. Rocco. Partenze alle ore 9.30 e 10.00. Dalla zona del Campo Marzio, dove nell’antica Roma l’imperatore Augusto fece edificare il primo Mausoleo imperiale e agli inizi del ‘700 era stato costruito il “Porto di Ripetta”, arriveremo fino al luogo dove era stato realizzato agli inizi dell’800 il “Porto Leonino”,
passando sotto l’ultimo Mausoleo Imperiale trasformato poi in Castel Sant’Angelo. Durante l’itinerario racconteremo non solo dei due Porti scomparsi con la costruzione dei Muraglioni ma anche dei tanti approdi presenti sul Tevere nei tempi passati e dell’importanza della navigazione per la vita della città; ricorderemo gli antichi Ponti ormai scomparsi, come il “Ponte Neroniano” e il “Ponte dei Fiorentini”, mulini, ville e palazzi che si affacciavano sul fiume, spiagge e barconi frequentati negli anni ‘50. Sarà una passeggiata nella storia del fiume dall’epoca romana a quella dei Papi fino a giungere ai giorni nostri.
B - Passeggiata da Ponte Palatino a Ponte Sisto, il rapporto attraverso i secoli fra i romani ed il loro fiume APPUNTAMENTO: Piazza della Bocca della Verità davanti alla fontana. Partenza alle ore 10.00. Sarà illustrata la storia dei vari ponti che si incontrano lungo il percorso, sia di quelli risalenti a pe-
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riodi lontani, come il Ponte Cestio o il Ponte Fabricio, sia di quelli costruiti in periodi più vicini a noi, come il ponte Palatino, edificato in sostituzione del cosiddetto “Ponte rotto”, crollato definitivamente per una piena rovinosa alla fine del ‘500 o il Ponte Garibaldi, evocativo delle vicende della Repubblica Romana di metà ‘800. Scendendo lungo le banchine dimenticheremo il frastuono del traffico del lungotevere, per immergerci in una dimensione che ci indurrà a rivivere ed immaginare l’importanza che il fiume rivestiva fino a non molto tempo fa, come fonte di sostentamento, di traffici, di commerci e di attività artigianali. Rivivere sia pure con la fantasia le varie attività che si svolgevano lungo il fiume riporterà a visioni che ormai possiamo altrimenti apprezzare solo nei di-
pinti dei vari pittori e acquarellisti che hanno immortalato il grande fiume.
C - Passeggiata da Ponte Sublicio
a Ponte Cestio, raccontando gli accessi fluviali a valle della città tra elementi archeologici, culturali e ricordi letterari APPUNTAMENTO: Lungotevere Ripa, n.3. Partenze alle ore 10.00, 10.30, 11.00 e 14.30. Dalle rive dove, fino alla costruzione dei Muraglioni, era presente il più grande porto di Roma, “Porto di Ripa Grande”, la passeggiata risalirà il corso del fiume fino a Ponte Cestio. Durante il percorso avremo l’occasione di conoscere l’aspetto storico ed archeologico dei ponti e dei porti, che nel tempo sono stati presenti su questo tratto del Tevere, e ascolteremo le sensazioni e le impressioni di scrittori, come Tito Livio, Virgilio, Pirandello, Ungaretti, Lodoli e Sandra Petrignani. In apertura, Gaspar van Wittel, Castel S. Angelo da Sud, 1690 c. In questa pagina a sx, Ettore Roesler Franz, Tevere, Isola Tiberina, 1878 c. Sotto, Gaspar van Wittel, L’Isola nel Tevere, 1685. In copertina, dall’alto: Gaspar van Wittel, Il Tevere all’altezza della Marmorata, 1686. G.E. Chauffourier, La via Appia al V miglio, fine ‘800-inizi ‘900, Fondo Becchetti-MAFoS
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appia DAY 2 - Passeggiata dal Mausoleo di Cecilia Metella al Complesso di Capo di Bove
Partenze alle ore 10.00 – 10.30 – 14.30
Anche quest’anno I Volontari del Club di Territorio di Roma del Touring Club Italiano partecipano alla giornata dell’Appia Day dell’11 Ottobre, con 4 itinerari culturali sul tema de “Le Donne e l’Appia Antica”. Saranno illustrati i monumenti cui sono legate, le loro storie, i racconti e le leggende che intorno ad esse si sono sviluppate nel tempo.
1 - Passeggiata dal Sepolcro
di Priscilla alla Chiesa di S. Urbano Partenze alle ore 09.45 – 10.15 – 15.00
La passeggiata inizia dal Mausoleo di Cecilia Metella, da sempre il monumento simbolo della via Appia Antica, costruito negli anni 30-20 a. C., finalizzato più a celebrare l’importanza della “gens” che la figura di Cecilia Metella, appartenente ad una delle più importanti famiglie romane. Lungo il percorso verso il Complesso termale di Capo di Bove, sede anche dell’Archivio Antonio Cederna, saranno illustrate le storie di Varinia moglie di Spartaco, ricordata anche dal regista Stanley Kubrick nel film “Spartaco”, e degli amanti Ugo H.
Il percorso inizia dal Sepolcro di Priscilla, che fu fatto costruire in onore della moglie da Tito Flavio Abascanto, potente liberto dell’imperatore Domiziano (81/96 d.C.) e si inoltra nel Parco della Caffarella. Si prosegue fino al tempio del dio Redicolo o, più probabilmente, cenotafio di Annia Regilla, della nobilissima famiglia degli Annii, che erano proprietari di vasti territori sull’Appia Antica. Si raggiunge, poi, il Ninfeo di Egeria, dove la leggenda narra che la ninfa si incontrasse con il re Numa Pompilio, per terminare alla Chiesa di S. Urbano, tempio romano dedicato a Cerere, alla diva Faustina, moglie di Antonino Pio, e ad Annia Regilla, trasformato nel IX sec. in edificio cristiano e restaurato nel 1634 per devozione del papa Urbano VIII. 4 unotiziario 4, Luglio/Settembre 2020
Arthur John Strutt, “Viandanti sull’Appia Antica”, (1858). In apertura, il Casale di Santa Maria Nova. In primo piano i resti dell’impianto termale
e Letizia L. protagonisti di un amore adulterino venuto alla luce dalle lettere contenute in due cilindri metallici, ritrovati alcuni anni fa.
3 - Passeggiata dal Mausoleo di Cecilia Metella al Complesso del Circo di Massenzio con esame degli aspetti naturalistici Partenze alle ore 09.30 – 11.30 – 14.15 Durante questa passeggiata saranno presi in esame i complessi monumentali che si trovano in questo tratto dell’Appia Antica: il Mausoleo di Cecilia Metella con il Castrum Caetani, la Chiesa di S. Nicola e la Villa ed il Circo di Massenzio con il Mausoleo di Romolo. Sarà illustrata la vita di Cecilia Metella, simbolica figura femminile, e la storia di un monumento creato per celebrare l’importanza di una delle famiglie romane più importanti nel I sec. a.C. Verrà poi ricordata la figura di Varinia, donna simbolo di un amore travagliato, che la legò a Spartaco, il quale con la rivolta dei gladiatori tenne in scacco l’esercito romano fino a quando, sconfitto da Crasso e da Pompeo nel 71 a. C., fu crocifisso sulla
via Appia con tutti i superstiti della battaglia finale. All’interno del Circo di Massenzio, ricordando la figura di Annia Regilla moglie di Erode Attico, che possedeva quest’area prima che divenisse di proprietà di Massenzio, verranno illustrati gli aspetti botanici e naturalistici che contraddistinguono questo paesaggio.
4 - Passeggiata dal Mausoleo di Cecilia Metella al Casale di S. Maria Nova PartenzA alle ore 10.15 La passeggiata si svilupperà dal III al V miglio dell’Appia Antica, prendendo in esame le caratteristiche delle strade romane e in particolare dell’Appia Antica, la produzione agricola e la campagna romana con i suoi abitanti e le sue tradizioni. Lungo il percorso si esamineranno il Complesso di Capo di Bove, i resti dei monumenti funebri, ancora visibili sull’Appia, il Casale di S. Maria Nova e la villa dei Quintili. Sarà arricchita dai racconti che riguardano Cecilia Metella, Varinia e gli amanti di Capo di Bove, per terminare con la fanciullina dispettosa del Casale di S. Maria Nova e le drammatiche vicende di sangue, che riguardarono i Quintili, travolti nel 182 d.C. dalla violenza e dalle brame dell’imperatore Commodo. Le passeggiate saranno organizzate nel rispetto delle disposizioni dell’Ordinanza Regionale del 27 maggio 2020 (salvo aggiornamenti), per un numero massimo di 20 partecipanti, con obbligo di mascherina, e con prenotazione obbligatoria.
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ROMA ED il tevere nell’antichità Prosegue la storia del nostro fiume curata dal volontario Vittorio Gamba Capitolo sesto
GLI ALTRI PORTI La navigazione e il traffico sulle banchine davano al Tevere una animazione e una nota di colore che ora il fiume non ha più. In particolare, erano spettacolari, in età tardo repubblicana, le partenze e gli arrivi delle flotte militari. In vari luoghi vennero create banchine artificiali per l’approdo delle barche lungo tutto il corso del Tevere, da Campo Marzio all’Aventino, anche se la maggior parte erano a valle dell’Isola Tiberina. La Forma Urbis ci documenta la presenza di una complessa attrezzatura portuale lungo le rive del fiume,
dove vivevano e lavoravano migliaia di persone: addetti allo scarico ed al trasporto delle merci, funzionari doganali, carpentieri, calafatori, fabbricanti di vele, palombari. Si è conservato un frammento di una lastra della Forma Urbis, relativa ad una zona subito a sud di Ponte Emilio dove si può vedere: il letto del fiume, largo 60 m.; la presenza sulle due rive di celle e banchine con scalette; sulla riva sinistra vi è anche un edificio a doppia esedra, un piccolo porticciolo, l’estremità di un traghetto. Le strade che arrivano al fiume sulla riva destra esistono ancora oggi. Non tutti sanno che così come vicino al porto imperiale a Marmo6 unotiziario 4, Luglio/Settembre 2020
rata nacque la collina di Testaccio, anche nei Prati di Castello ce n’era una simile, dove vennero trovati resti di anfore e scaglie di travertino e di marmi, evidente luogo di scarico per i commerci fluviali che provenivano dal nord. In città esistevano anche tutta una serie di approdi specializzati (Portus Corneli, Portus Licini, Portus Parrae, Portus Neapolitanus) od anche semplici banchine dove ormeggiavano barche con una determinata mercanzia da scaricare, come ad esempio il “porto dei laterizi”. Fra i più noti era quello chiamato ad cicina nixas, così chiamato forse perché nella piazza adiacente vi era una statua con cicogne appollaiate (questo è il significato latino); per alcuni studiosi si trovava nell’attuale area di Piazza Nicosia.
QUartA PUNTATA
Qui, ad esempio, venivano sbarcati i vini richiesti come tassa ai grandi proprietari terrieri della Sabina e dell’Umbria, i quali erano poi subito trasportati nei portici del Tempio del Sole posto presso l’attuale Piazza San Silvestro. Nel 193 a.C., come abbiamo visto, i censori M. Emilio Lepido e M. Emilio Paolo costruirono l’Emporium con la retrostante Porticus Aemilia, un vasto complesso di magazzini; venti anni dopo il complesso fu perfezionato trasformando la piazza dell’Emporium in una banchina lunga 500 m. e profonda 90 m. raccordata al fiume per mezzo di ampie gradinate e rampe inclinate per il trasporto delle merci dalle navi ai depositi. La Porticus Emilia divenne il più vasto edificio commerciale mai costruito dai romani: 487 m. x 60 m. diviso in 7 navate longitudinali e 50 trasversali per mezzo di 294 pila-
stri, per un totale di 25.000 mq. di superficie utilizzabile. Con l’intensificarsi delle relazioni commerciali, poi, nella pianura retrostante andarono concentrandosi tutta una serie di magazzini. Con Traiano, infine, il porto si spostò a Ostia e l’Emporium divenne zona di stoccaggio di merci selezionate I Navalia erano gli arsenali militari della città, destinati quindi ad accogliere le navi da guerra. Dovevano essere attrezzati con banchine d’ormeggio, impianti d’alaggio, rimesse coperte per l’inverno, cantieri, magazzini per il rifornimento di materiali e attrezzature, uffici e caserme. Forse il primo approdo militare venne costruito per custodire le navi prese agli Anziati nel 338 a.C. e private dei rostri che furono posti al Foro Romano. Ma le prime costruzioni vere e proprie risalgono alle guerre puniche anche se abbiamo perso i testi di
Mosaico con immagine dei Navalia (Musei Vaticani). Nella pagina accanto, la Porticus Aemilia a Testaccio: spaccato ed ipotesi ricostruttiva
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Tito Livio di quel periodo. Sappiamo, però, che nel 267 a.C. vennero istituiti 4 questores navales ma poiché Ostia non aveva un porto protetto il porto militare doveva essere qui a Roma. La prima notizia certa, però, è del 192/191 a.C. quando 50 navi con ponte partirono da qui per iniziare la guerra contro Antioco III di Seleucia. Nel 172 a.C. uscirono 38 quinqueremi per la guerra contro Perseo cui ne seguirono, l’anno successivo, altre 40. Sappiamo che i Navalia erano ancora usati nel I sec. a.C. e furono restaurati da Ermodoro di Salamina nel 59 a.C., come è testimoniato da monete, mosaici e pitture. Al tempo di Augusto, comunque, cominciarono ad essere dismessi ma il colpo di grazia venne dato dalla costruzione del porto di Traiano a Fiumicino. Nonostante ciò, in epoca imperiale, le flotte italiche di Miseno e di Ravenna ebbero alcuni distaccamenti permanenti a Roma. La caserma dei marinai di Ravenna era a Trastevere e costoro, oltre a manovrare i teloni del Colosseo, dovevano sorvegliare la navigazione sul Tevere e nei due porti fluviali (Navalia Inferiora e Superiora), oltre a partecipare agli spettacoli delle Naumachie. Nei Navalia venivano accolte esclusivamente navi militari: quando bisognava preparare una spedizione, si tiravano fuori le vecchie navi ancora in stato di efficienza. Alla fine della campagna si effettuava il rimessaggio di quelle che erano rientrate in Roma e di quelle prese al nemico. La missione militare iniziava e terminava qui, nell’arsenale militare. Comunemente si ammettono due impianti di Navalia a Roma, uno superiore, nel Campo Marzio, l’altro inferiore, al Foro Boario o presso l’Aventino, ma la questione è ancora
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sia sul numero che sulla loro ubicazione. Le fonti sui Navalia del Campo Marzio li pongono di fronte ai Campi di Cincinnato e non lontano dal Tarentum, e quindi a valle di Ponte Vittorio, all’altezza, forse, di Palazzo Farnese (ma qualche autore li identificherebbe con un molo di età romana trovato a Tor di Nona, che però è più probabile che fosse una banchina per scaricare i materiali necessari alla costruzione degli edifici in Campo Marzio). Non abbiamo testimonianze archeologiche che ci permettano l’esatta localizzazione, nonostante fosse un complesso che non si limitava ad una banchina ma doveva comprendere un vero e proprio arsenale con almeno 50 capannoni (13.000 mq) e dove sappiamo che nel 179 a.C. vi venne costruito anche un portico. Sulla base degli scavi degli arsenali del Pireo e di Cartagine si ipotizza che ogni alloggiamento per una nave era lungo 40/50 m. e largo 5/6 m. e quindi i Navalia si estendevano per circa 600 metri. Nei Navalia si raccoglievano anche le belve destinate agli spettacoli circensi. Plinio (NH XXXVI 40) ci racconta che nel 55 a.C. quando furono portate qui le belve per i giochi di Pompeo, lo scultore Pasitele, mentre ritraeva a rilievo un leone guardandolo attraverso le sbarre della gabbia, rischiò la vita perché da un’altra gabbia balzò fuori una pantera mettendolo in pericolo. Qui fu anche posta la grande nave di Enea, uno dei cimeli più venerati nella storia di Roma. Virgilio ricorda che Enea, risalendo il corso del Tevere tre secoli prima di Romolo, era venuto quassù, quasi a prendere visione dei luoghi dove un giorno un suo lontano discendente avrebbe fondato la città. Procopio di Cesare (VI sec.) nella Guerra Gotica descrive la nave di Enea che ancora vide in riva al Te-
vere in Campo Marzio: “Hanno fatto una specie di rimessa per quella nave in mezzo alla città, lungo la riva del Tevere, ce l’hanno messa dentro, e la custodiscono da allora. Come sia quella nave in mezzo alla città, voglio dirlo, dato che l’ho vista coi miei occhi. E’ una nave a un solo ordine di remi e lunghissima: misura 120 piedi in lunghezza e 25 in larghezza; l’altezza è tale da rendere possibile il remaggio. Il legname non presenta neanche un’attaccatura, e le parti della nave non sono tenute insieme da congegni di ferro: sono tutte d’un pezzo. La cosa è inaudita, al di là di quanto si riesca a dire, e si verifica, a quanto c’è dato da sapere, in questa nave soltanto… La nave così costruita presenta un aspetto indescrivibile. La natura stessa dei fatti rende arduo descrivere opere prodotte da una singolare genialità: superando con le sue trovate la norma, va anche al di là della possibilità di parlarne. Di questi legni nessuno si è putrefatto né dà segno di essere marcio; la nave è intatta in ogni parte, come se fosse stata costruita poco fa dal suo artefice, chiunque sia stato, ed è in condizioni splendide fino ad oggi – un prodigio”.
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Capitolo settimo
I PONTI
Il Tevere per molti secoli fu un ostacolo all’urbanizzazione di Roma: linea di confine piuttosto che canale di attraversamento, i Romani per lungo tempo furono restii ad oltrepassarlo; prova ne è l’esiguo numero di ponti fino all’epoca imperiale e la scarsissima edificazione oltre Tevere dove, infatti, si era subito in campagna. Con la tarda età repubblicana questa idea cambia. La nascita del porto e dei mercati nella zona meridionale spinse a creare un quartiere operaio a Trastevere, dove abitavano pescatori, operai ed artigiani che facevano comunque mestieri annessi all’attività portuale. Contemporaneamente, i Romani capirono la bellezza di avere ville in riva al fiume sulla riva destra, proprio di fronte all’urbe, rifugio ideale da una città sempre più congestionata. Nella Roma repubblicana esistevano solo 3 ponti in città: Sublicius, Aemilius e Cestius/Fabricius, più Ponte Milvio. Durante l’Impero se ne aggiunsero altri 5: Agrippa, Nerone, Elio, Aurelio e Probo.
quartA PUNTATA
Nel momento di massima espansione della città, il corso del fiume entro il territorio urbano misurava 9 Km. (da Ponte Milvio a San Paolo fuori le Mura), con un’ampiezza massima di 80 metri e una profondità di 3. In merito alla costruzione dei ponti, gli ingegneri romani, consapevoli degli effetti dell’erosione prodotti dalla corrente, della pressione da questa esercitata sui piloni e dei danni che possono provocare i tronchi d’albero trascinati dalle piene, avevano previsto tre diverse soluzioni per risolvere questi problemi, pregevolmente racchiusi nel caso del Ponte Fabricius: 1) Per ridurre al minimo la superficie sottoposta all’azione della corrente, essi cercarono di diminuire il numero dei piloni realizzando archi giganteschi fra cui quello del Ponte Fabricius (24,50 m) fu uno dei maggiori (ma si arrivò fino ai 32 m del Ponte di Augusto a Narni). Ciò determinò (salvo che il fiume scorresse incassato) una considerevole altezza del ponte che veniva quindi
costruito a schiena d’asino o con delle rampe; 2) Per limitare l’azione diretta dell’acqua sulla parte bassa del pilone, questo poteva essere munito di uno sperone che fungeva da frangiflutti, mentre nella faccia del pilone rivolta a valle un altro sperone si opponeva ai mulinelli d’acqua che si venivano a creare; 3) Il pilone che separava due arcate rischiava di formare una sorta di barriera alle piene, e perciò in esso veniva ricavato un archetto per lo sfogo delle acque impetuose, grazie al quale il ponte non rischiava di essere sommerso o rovesciato. In genere i ponti romani avevano il nucleo in peperino e tufo mentre il rivestimento era in travertino. I ponti erano gli unici luoghi pubblici da dove i Romani potessero ammirare il Tevere. Inoltre gli stessi, essendo dei passaggi obbligati, divennero uno dei luoghi più favoriti dai mendicanti che, sappiamo, già all’epoca dormivano sotto i ponti, come consiglia Marziale al po-
Medaglione di Antonino Pio con Orazio Coclite sul Ponte Sublicio. Nella pagina accanto, G.B. Piranesi, Il Ponte Fabricius, 1756
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vero Vacerra (Epigrammi XII,32): “L’ho veduto il tuo trasloco, Vacerra, l’ho veduto… Pareva che tutto il colle di Ariccia traslocasse. Se ne andava il lettuccio senza un piede, il tavolo da pranzo senza due piedi, il vaso da notte rotto da un lato… E non mancava una forma di formaggio di Tolosa, una corona di mentuccia verde vecchia di quattro anni, le trecce spelacchiate di aglio e cipolla, la marmitta di tua madre piena dell’olio schifoso che le donnacce della Suburra usano per depilarsi. Perché cerchi una casa, perché prendi in giro gli amministratori, Vacerra, se puoi abitare senza pagare? Questa processione di masserizie sta bene sotto un ponte”. Ponte Sublicio. è il primo ponte ricordato dalle fonti: secondo la tradizione risale ad Anco Marzio. Era fatto in legno e senza l’utilizzo di chiodi, con legamenti ad incastro, cordami e chiavi di bronzo, ma senza uso di ferro. Dionigi da Alicarnasso dice senza bronzo né ferro mentre Plinio e Plutarco si limitano a dire senza ferro. Secondo la tradizione ciò fu necessario per rendere più facile il suo abbattimento in caso di assalto nemico (memori dell’episodio di Orazio Coclite). Probabilmente, invece, ciò era dovuto all’età molto antica del manufatto, ad un’epoca in cui il ferro non era abbastanza diffuso, oppure semplicemente alla maggiore facilità di costruzione. Il ponte era sotto la diretta cura dei pontefici. Fino alla fine dell’impero di Roma la manutenzione rimarrà a carico loro: se crollava bisognava ricostruirlo nella stessa maniera. I pontefici non erano dei ministri del dio ma piuttosto dei teologi, conservatori della bontà della tradizione e profondi conoscitori della religione. Il loro collegio impose la propria autorità in quanto deposita-
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della sapienza tecnico-scientifica tanto che il loro stesso nome deriva da “costruttori di ponti”. Alla loro straordinaria capacità si deve, quindi, la costruzione del ponte. Ma dove si trovava esattamente il ponte? Ponte Sublicio era posto esattamente fuori Porta Trigemina, come è desumibile dalla storia della morte di Caio Gracco. Esso è legato al leggendario episodio di Orazio Coclite che qui difese la città dall’invasore etrusco e la costruzione della Porta Trigemina venne fatta proprio in seguito, per evitare che, superando il ponte, i nemici fossero già dentro la città. Il ponte era quindi posto leggermente a valle dello sbocco della Cloaca Massima. Una moneta del 140 d.C. ed una del 180 d.C., molto simili fra loro, ci danno un’idea precisa di come doveva essere: munito di parapetto, aveva una sagoma a dorso d’asino molto bombata e dei pali sostenevano l’arco di volta; vi si accedeva da ciascuna parte per mezzo di piattaforme ugualmente sorrette da pali. Il ponte venne restaurato da Antonino Pio e poi da Teodosio (IV sec.) lasciandolo sempre in legno (ma non i piloni); poi ne scompare ogni memoria. In realtà nel ‘600 i suoi pilastri vennero usati come sostegno di un ponte di barche attaccato alla riva con catene ed in seguito distrutto da una piena. Fino al 1878 nel Tevere in corrispondenza del punto a nord dell’Aventino erano visibili gli avanzi di alcuni piloni in muratura. Il rinvenimento dei resti di una rampa di ormeggio medievale costruita su una ampia platea di calcestruzzo di epoca romana (pilone) e le ricerche subacquee ci permettono di individuare con esattezza il luogo, subito a sud di Ponte Palatino. Ponte Fabricio. Alla fine della Repubblica vennero creati i due ponti di collegamento con l’Isola Tiberina.
G.B. Piranesi, Il Ponte Cestio, 1758
Costruito, come ricorda un’iscrizione monumentale, nel 62 a.C. da L. Fabricius, curator viarum, a due fornici con un piccolo fornice intermedio, questo unisce l’isola Tiberina alla riva sinistra. Fu soprannominato anche Pons Lapideus, corruzione popolare di Lepidus, il console ricordato anche sulla lapide presente sul ponte, che rinunciò al consolato a favore di Augusto, il quale probabilmente restaurò il ponte attribuendolo all’ex collega. Ciò avvenne nel 21 a.C. dopo i danni causati dalle disastrose inondazioni del 23 e 22 a.C. Un’iscrizione, scolpita sull’arco presso la riva sinistra, ricorda questo intervento ad opera dei consoli Marco Lollio e Quinto Lepido. Due erme in marmo murate nella balaustra hanno dato al ponte il nome di ponte “Quattro Capi”. In realtà sono due erme dedicate a Giano Quadrifronte che erano in origine collocate poco lontano dal ponte e qui collocate solo nel 1849. Lungo 62 metri e largo 5,60 è il più antico ponte di Roma antica ed è pervenuto quasi intatto. Le due arcate a sesto ribassato sono in travertino mentre l’occhio centrale ha l’intradosso in peperino e nucleo in tufo e peperino. Il ponte aveva an10 unotiziario 4, Luglio/Settembre 2020
che due occhi laterali. I mattoni sono del XV secolo. Il parapetto venne rifatto nel 1679 da Innocenzo XI. Al colmo delle arcate, sia a monte che a valle, sono 4 iscrizioni identiche: L. FABRICIUS C.F. CUR. VIAR. FACIUNDUM COERAVIT. Ponte Cestio. Venne costruito nel 46 a.C. da Lucio Cestio Epulone, forse fratello di quel Caio Cestio che è ricordato per la sua piramide a Porta Ostiense, probabilmente in omaggio a Cesare che in quel periodo era dittatore e possedeva a Trastevere degli Horti dove soggiornava Cleopatra. Plinio ricorda un ponte in legno che da Campo Marzio conduceva alla Naumachia di Augusto a Trastevere, andato a fuoco sotto Tiberio e subito ricostruito sempre in legno con larici fatti venire dalla Rezia. Molto probabilmente si tratta del Ponte Cestio. Il ponte, comunque, viene ristrutturato quasi integralmente dagli imperatori Valente e Graziano nel 365 d.C. (prendendo il nome di Graziano). Nel parapetto nord resta incisa una epigrafe monumentale a ricordo di questo avvenimento. In tale occasione vennero usati elementi di travertino tolti al teatro di Marcello.
quartA PUNTATA
Anonimo olandese, Ponte Rotto, 1755
Nel 1888 esso fu smontato completamente e ricostruito, utilizzando, ove possibile, le pietre antiche. Il ponte romano era lungo 48,5 metri con un solo arco ribassato ed era affiancato da due fornici più piccoli larghi circa 6 metri. Quello moderno è a tre arcate e ciò causò solo danni perché aumentò la velocità dell’acqua (ecco perché fu necessario costruire il terrapieno dalla parte dell’isola) Nel 373 venne posta sul ponte una statua che personificava la provincia romana di Licaonia, conquistata da Graziano di Licaonia, dal quale l’isola trasse nel Medioevo tale denominazione. Ma non vi è una prova certa di ciò. Per altri, l’appellativo deriverebbe dal fatto che San Bartolomeo (che ha la chiesa nell’isola) avesse predicato anche in quella zona. Nel medioevo era chiamato anche Ponte Ferrato e solo la sua demolizione a fine ‘800 ha permesso di accertarne il motivo. Gli antichi non avevano legato le pietre con la calce ma erano ricorsi ad un complicato sistema di grappe di ferro incassate in scanalature e sigillate col piombo. Ponte Emilio. Spesso gli autori fanno confusione fra Ponte Emilio e
Ponte Sublicio. Vediamo perché. In seguito alla disastrosa alluvione del 193 a.C., i censori del 179 a.C. M. Fulvio Nobiliore e M. Emilio Lepido decisero la costruzione del Ponte Emilio presso il Foro Boario, contemporaneamente alla ristrutturazione del Porto Tiberino. Si trattò del primo ponte romano in pietra, che per secoli rimase il pons lapideus per antonomasia proprio in opposizione all’antico ponte di legno. Venne costruito anche perché, fino ad allora, il Sublicio era l’unico ponte sul Tevere e doveva sopportare tutto il traffico. In particolare bisognava portare a Roma il tufo di Monteverde, che necessitava di pesanti carri, ed il quartiere di Trastevere era già molto popolato, come sappiamo dal fatto che nel 186 a.C. si dovettero istituire dei quinqueviri incaricati di aiutare i tresviri capitales nella polizia della città, uno per ciascuna delle regioni urbane ed il quinto esclusivamente per Trastevere. Per Coarelli, invece, il ponte è più antico del 179 a.C. Egli si basa su una affermazione di Livio che dice che nel 192 a.C. Roma aveva due ponti, danneggiati entrambi da una inondazione. Anzi, forse proprio a seguito di questo evento il ponnotiziario 4, Luglio/Settembre 2020 u11
te venne rifatto da Emilio Lepido. Inoltre, Plutarco ci dice che il ponte fu fatto da un questore Aemilius e non da un censore. Purtroppo abbiamo perso i libri di Livio che narrano della storia di Roma fra il 298 ed il 218 a.C. e forse il ponte risalirebbe proprio a questo periodo. Sappiamo, tuttavia, che la Via Aurelia nacque nel 241 a.C. e forse il ponte nacque proprio per collegarla a Roma. Ma se così fosse la costruzione andò ad occupare parte del Porto Tiberino. Di sicuro, nel 179 a.C. vennero costruiti solo i piloni in pietra, mentre il tavolato restò ligneo fino al 142 a.C. quando, dopo alcune tempeste che lo avevano più volte distrutto, i censori P. Scipione Africano e L. Mummio decisero di costruire archi in pietra. Il ponte venne anche detto Massimo o Maior perché era il più grande dei ponti romani. Nel 1575 esso crollò e nel 1598 fu svolto un massiccio restauro, nell’800 aveva una passerella metallica e nel 1887 i due archi più vicini alla riva destra furono abbattuti per la costruzione del Ponte Palatino. Il ponte era costituito da 6 arcate voltate su cinque piloni; delle strutture antiche è conservato un nucleo all’interno dell’arcata sopravvissuta, che è del XVI secolo, ed alcuni elementi nel pilone orientale. Circa il frangiflutti, che qualcuno considera interamente moderno, è probabile che la parte inferiore risalga all’epoca romana, mentre per il resto si è ipotizzato un completamento di età gregoriana. All’altezza di Ponte Emilio, nel 1979 sulla riva destra sono stati scoperti resti di una banchina romana con pietre di ormeggio in travertino a forma di protome leonina. Secondo Virgilio il ponte si trova proprio laddove approdò Enea per chiedere soccorso ad Evandro. Ed a proposito di questo ponte ecco cosa il poeta Giovenale (Satira VI)
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iltevere
uu consiglia un certo Postumio come al-
ternativa a prendere moglie: “…Nonostante ciò, coi tempi che corrono, tu prepari il contratto e gli sponsali, ti fai aggiustare i capelli da un maestro parrucchiere, e forse ti sei anche impegnato con l’anello. Una volta eri sano di mente; e adesso, o Postumio, ti vuoi sposare? Quale Tisifone [una delle Furie infernali], dimmi, quali serpenti ti hanno reso folle? Con tutte le corde che puoi avere a disposizione, con tante alte finestre spalancate e vertiginose, col ponte Emilio a due passi, come puoi pensare di farti schiavo di una donna? O se non ti piace morire in nessuno di questi modi, non credi sia piuttosto meglio dormire col ragazzo?”. Ponte di Agrippa, Antonino o Valentiniano (oggi Ponte Sisto). Alcuni studiosi ancora non concordano sul fatto che si tratti di un ponte unico ma ritengano trattarsi di due distinti ponti (succedutisi nel tempo). Le scoperte più recenti confermano l’ipotesi che si tratti dello stesso ponte. Il ponte è ricordato da un cippo di epoca tiberiana ritrovato presso Via Giulia e da un frammento dei Fasti Ostiensi che parla di un restauro di Antonino Pio (147 d.C.). Ciò toglierebbe fondamento all’ipotesi che venne creato solo nel III secolo da Marco Aurelio o Caracalla (entrambi della famiglia degli Antonini) per collegare i loro possedimenti al Gianicolo (e non a caso nel III secolo il ponte era chiamato anche Janicularis). Nel 327 venne quasi interamente ricostruito, a 4 fornici, dagli imperatori Valente e Valentiniano, da cui l’altro nome. In tale occasione sul lato sinistro venne eretto un arco trionfale dedicato a questi imperatori e sormontato da statue bronzee. A fine ‘800, in occasione di una secca eccezionale del fiume, fu possibile studiare, a 10 m a monte di Ponte Sisto, resti di muratura che secondo alcuni studiosi si potrebbe iden-
quartA PUNTATA
tificare con gli avanzi del ponte di Agrippa primitivo; per altri, invece, i resti sono relativi al sistema di sbarramento difensivo fluviale, parte integrante delle Mura Aureliane che qui attraversavano il fiume. In questo punto l’alveo del Tevere si restringeva a circa 60 m prima della costruzione dei muraglioni. Da qui vennero gettati nel fiume i corpi di papa Callisto I (222 d.C.) e dei martiri Pimenio e Valentino. Nel 1473 papa Sisto IV restaurò e riedificò quasi completamente i resti di questo antico ponte romano, parzialmente distrutto nel 792 d.C. e di cui restano ancora visibili alcuni elementi dell’arco romano nella spalla sinistra e nelle fondazioni dei piloni. È interessante notare che sotto l’attuale Ponte Sisto è stato ritrovato un frammento di pietra proveniente dall’antico ponte di Agrippa, che portava incise delle cifre in numeri romani poste l’una sotto l’altra ad una distanza corrispondente alla misura di un piede romano. È quasi certo che quelle cifre rappresentino il frammento di un vero e proprio idrometro, che doveva servire a controllare il crescere delle acque del fiume ed a stabilire quanto mancasse al raggiungimento del livello di guardia (la scala graduata era infatti decrescente dal basso verso l’alto). Ancora oggi sulla riva sinistra a valle dal muro del Lungotevere fuoriesce qualche blocco dell’antico arco, ruotato verso valle, segno che la distruzione avvenne ad opera di una piena e che testimonia che il ponte antico era molto più largo di Ponte Sisto.
ALTRI PONTI Un’iscrizione ripescata nel Tevere ricorda che nel 376 d.C. il fiume Tevere era scavalcato da ben 13 ponti, ma in tutto il suo corso. Di certo, oltre a quelli romani, noi ne conosciamo due: uno era presso Ocriculum (oggi Otricoli) e l’altro verso la foce 12 unotiziario 4, Luglio/Settembre 2020
sulla Fossa Traiana. Ne mancherebbero quindi tre di cui non sappiamo nulla. Erano a Roma o fuori Roma? Ponte Milvio. Non si sa quando con esattezza fu costruito la prima volta: c’è chi ipotizza che venne edificato subito dopo la conquista di Veio per raggiungere facilmente i territori conquistati. Nel 207 a.C. sicuramente già c’era. Risale a quella data, infatti, la prima notizia storica, quando la folla accolse gli inviati che correvano a Roma per annunciare la vittoria sul Metauro contro i cartaginesi durante la seconda guerra punica. Il ponte venne rifatto da Marco Emilio Scauro nel 115 a.C. Esso non nacque per sviluppare Roma ma fu la crescita della città a determinare la costruzione del ponte. E’ considerato il ponte della Roma trionfante e conquistatrice, che spicca il volo nel IV sec. a.C. e per questo diviene per tutta l’età antica il ponte principale della città nonostante la sua lontananza dal centro. Ponte Elio. Venne costruito come accesso monumentale al Mausoleo di Adriano dall’architetto Demetriano nel 136 d.C. Non fu quindi un vero ponte perché conduceva solo al sepolcro. Era estremamente elegante perché aveva due rampe in leggera salita alle estremità e 5 fornici, ed era considerato il più bello dell’antica Roma. Pons Neronis. Era situato presso Ponte Vittorio e serviva a collegare il Campo Marzio con il Circo di Nerone nell’agro Vaticano. Avanzi dei piloni sono ancora visibili nei periodi di secca subito a valle del ponte moderno. Ponte di Probo o Teodosio. Era situato dove oggi è Ponte Aventino. Cadde in rovina alla fine dell’età antica e fin dal V secolo non si vede più nulla.
attivitàsul territorio
In questo numero pubblichiamo il resoconto della passeggiata dedicata al 170° anniversario degli eventi, unici nella storia risorgimentale italiana, riguardanti la breve ma intensa vita della Repubblica Romana
PASSEGGIATA DEL 1° giugno 2020
Nei luoghi della Repubblica Romana del 1849
di b u l C territorio a cura di Elisa bucci
Console TCI - Coordinatrice del Club di territorio
DI MASSIMO romano La passeggiata è stata condotta dai volontari Elisa Bucci, Alberto Castagnoli, Massimo Pratelli e dal sottoscritto, Massimo Romano. L’appuntamento era sullo spiazzo antistante l’ingresso principale di Villa Pamphili. Da qui si possono scorgere molto bene, quasi a 360 gradi, i luoghi che principalmente hanno interessato i momenti cruciali dei vari scontri, prima che i difensori della Repubblica fossero costretti a indietreggiare fino alle mura Gianicolensi, sovrastati dalle truppe francesi e poi a soccombere definitivamente. Alberto e Massimo R. illustreranno gli eventi storici; Elisa ci parlerà delle donne della repubblica Romana e Massimo P. ci parlerà della storia del monumento a Garibaldi e della sistemazione del Gianicolo dopo il 1870. Inizia a parlare Alberto che, prima di raccontarci gli eventi militari, accenna alla situazione che si era venuta a creare a Roma nei mesi precedenti, una serie di uu
Casino e Villa Corsini fuori di Porta S. Pancrazio, incisione di Giuseppe Vasi (1761). L’edificio visibile sulla destra è il Casino del Vascello del Conte Stefano Giraud
“Mai nella vita ho visto tanto eroismo (…) il popolo di Roma è grande al di là di ogni espressione”. Giuseppe Mazzini in una lettera a George Sand, dopo la sconfitta
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attivitàsul territorio
di b u l C territorio uu accadimenti
controversi che portarono alla fuga del Papa e alla proclamazione della Repubblica. Il 16 giugno 1846 viene eletto Papa il Cardinale Giovanni Mastai Ferretti, che assume il nome di Pio IX, il quale, nei primi due anni, attua delle riforme che gli attirano la simpatia dei liberali: Nel 1846 concede l’amnistia ai condannati ed esiliati politici; nel 1847 concede una certa libertà di stampa, istituisce la Consulta di Stato, la Guardia Civica e riforma l’amministrazione costituendo il Comune di Roma composto da nove ministeri quasi tutti affidati ai laici. Il 14 marzo del 1848 concede lo Statuto che prevede due Camere di cui una, il Consiglio dei Deputati, elettiva. Decide, infine, di partecipare alla guerra contro l’Austria, inviando delle truppe al comando del generale Giovanni Durando che il 22 aprile inizia ad operare sul Po. Pochi giorni dopo, però, il Pontefice rivede la sua posizione, ritira gli uomini e pronuncia un’allocuzione con la quale invita tutti i contendenti alla concordia. è il crollo delle speranze di patrioti e liberali che, dopo la sconfitta dell’esercito piemontese a Custoza nel luglio 1848 e la firma dell’armistizio con gli Austriaci, iniziano a manifestare contro il Papa che considerano responsabile della sconfitta.
Cornienti Giuseppe, Allegoria del 16 luglio 1846 con Pio IX in trionfo, litografia, 1846
Pio IX cerca di contenere il malcontento popolare nominando il 16 settembre Ministro dell’Interno il conte Pellegrino Rossi, persona liberale e moderata ma che, a causa del suo carattere altezzoso, si rende ben presto impopolare, tanto che il giorno 15 novembre viene pugnalato e ucciso da un estremista. La protesta continua nei giorni successivi arrivando fino alle porte del Quirinale. Il Papa, temendo a questo punto per la sua stessa vita, decide di fuggire da Roma e, nella notte tra il 24 e il 25 dicembre lascia la città, vestito da prete, insieme all’ambasciatore austriaco, per rifugiarsi nella fortezza di Gaeta, sotto la protezione del re di Napoli Ferdinando II. In assenza del Papa, il Consiglio dei Deputati affida il Governo ad una Giunta Suprema di Stato Provvisoria, composta di tre persone, cosa che Pio IX considera subito un sacrilego attentato, rifiutandosi, inoltre, di ricevere una delegazione che intendeva pregarlo di tornare. Si rivolge, poi, alle potenze cristiane europee per la difesa del suo Principato. L’atteggiamento del Papa ha però come risultato la sempre maggior diffusione di idee repubblicane tra i Circoli Liberali e il 28 dicembre la Giunta, dopo aver sciolto le Camere, elegge una Assemblea Costituente. Il 1° gennaio 1849 il Papa condanna la convocazione dell’Assemblea e promette la scomunica a tutti i partecipanti alla consultazione. Le elezioni (la prima consultazione di massa in territorio italiano) si tengono comunque il 21 gennaio. Vengono eletti 179 Rappresentanti del Popolo e tra questi c’è anche Garibaldi. Il 5 febbraio, nel Palazzo della Cancelleria, si aprono i lavori; l’8 viene dichiarata la decadenza del potere temporale del Papa e l’istituzione della Repubblica a capo della quale è posto un Comitato Esecutivo. La mattina del 9 viene letto al Campidoglio, davanti a una folla entusiasta, il Decreto istitutivo della Repubblica Romana che avrà come bandiera il Tricolore verde bianco e rosso. Il Comitato Esecutivo, con l’intento di riformare le vecchie istituzioni, emana subito una serie di provvedimenti. Elenchiamo i più significativi: abolizione dei Tribunali Ecclesiastici, della cen14 unotiziario 4, Luglio/Settembre 2020
sura sulla stampa e del dazio sul macinato e il sale; riorganizzazione dell’esercito sul modello francese con la costituzione di una commissione di guerra coordinata da Carlo Pisacane; attuazione del principio “libera chiesa in libero stato”. Dopo la sconfitta a Novara dell’esercito Piemontese, temendo un intervento dell’Austria, il Comitato Esecutivo viene sostituito da un Triumvirato con “poteri illimitati per la guerra di indipendenza e per la salvezza della Repubblica”, composto da Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini e Aurelio Saffi. Il Triumvirato emana subito una serie di provvedimenti tesi al “miglioramento delle condizioni morali e materiali dei cittadini”. Intanto, in pochi giorni, giungono a Roma migliaia di volontari. Garibaldi con le sue camicie rosse è tra i primi. Ci sono, tra gli altri, anche 600 Bersaglieri Lombardi comandati da Luciano Manara. Le forze della Repubblica ammontano a 17.000 uomini, per lo più male equipaggiati. Carlo Pisacane è nominato Capo di Stato maggiore e il Generale Giuseppe Avezzana Ministro della Guerra. Sul fronte opposto, il primo a rispondere all’appello del Papa è Luigi Napoleone che il 24 aprile fa sbarcare a Civitavecchia un corpo di spedizione guidato dal Generale Oudinot che il 30 tenta l’assalto a Roma presentandosi di fronte a Porta cavalleggeri e Porta Angelica. I combattimenti durano tutta la giornata e i Francesi hanno la peggio. Garibaldi, uscito da porta San Pancrazio, con il Battaglione Universitario Romano e con la sua Legione italiana, con un attacco alla baionetta, sorprende alle spalle gli assedianti in ritirata a Villa Doria-Pamphili. Alla fine i francesi, sconfitti, sono costretti a ripiegare fino a Palo. L’entusiasmo dei Romani è alle stelle, ma Mazzini impedisce a Garibaldi d’inseguire i fuggitivi, e lo convince, inoltre, a liberare i numerosi prigionieri e a non comandare un assalto a Civitavecchia, poiché confida in un possibile accomodamento politico-diplomatico con la Repubblica Francese. Per tutta risposta Luigi Napoleone si affretta ad inviare come ambasciatore plenipotenziario, il barone di Lesseps, con l’incarico di pattuire una tregua d’armi ma, allo stesso tempo, accoglie tutte le richieste di rinforzi avanzate da Oudinot. Intanto in Francia si svolgono le elezioni che segnano la sconfitta delle sinistre, contrarie all’intervento, cosa che toglie a Luigi Napoleone ogni remora sul proseguimento dell’operazione. Quindi, il 29 maggio invia due lettere: una all’Oudinot, comandandogli di procedere con l’assedio della città e una a Lesseps, con la quale gli ingiunge di considerare esaurita la sua missione e di rientrare in Francia. Il comandante francese forte ora di 30.000 uomini, 4.000 cavalieri e 75 cannoni, denuncia la tregua e comunica a Rosselli la ripresa delle ostilità per il 4 giugno. Il primo assalto avviene, invece, in anticipo, all’alba del 3 giugno. I Francesi entrano in Villa Pamphili sorprendendo i difensori. Proseguono su Villa Corsini attaccando il Casino dei Quattro Venti, dove si erano rifugiati i circa 200 difensori fuggiti dal primo caposaldo. Tutte le forze romane, dopo tre ore di combattimenti, devono ripiegare sulla Villa del Vascello. Garibaldi è pronto al combattimento verso le 5 del mattino. Compresa l’importanza strategica di Villa Corsini, ne comanda l’assalto: la prende verso le 7:30 per poi esserne di nuovo scacciato, e così un’altra volta, nel giro di un’ora con ingenti perdite: «[...] Fu sonata la carica, e la villa Corsini fu ripresa. Se non che, era appena trascorso un quarto d’ora e l’avevano di nuovo perduta; ora ci costava un sangue prezioso. Masina, come già narrai, era ferito al braccio, Nino Bixio aveva ricevuto una palla nel fianco, Daverio era ucciso». (Giuseppe Garibaldi, Vita e memorie, Livorno, 1860) uu notiziario 4, Luglio/Settembre 2020 u15
Anonimo, Festeggiamenti per la Costituente Romana, acquerello
Garibaldi, Aguyar (a cavallo) e Nino Bixio durante l’assedio di Roma. Disegno del 1854 di William Luson Thomas basato sullo schizzo di George Housman Thomas realizzato nel 1849
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di b u l C territorio uu Verso
Le macerie del Casino de Quattro Venti dopo la battaglia, in una foto del luglio 1849
Rossini, Porta San Pancrazio, incisione, 1829
le nove giungono i bersaglieri lombardi di Manara, e tentano anch’essi di conquistare villa Corsini, occupando con una compagnia casa Giacometti ( il ristorante Scarpone) per fornire copertura alle altre due compagnie, che assaltano villa Valentini prima e villa Corsini subito dopo, ma senza riuscire ad impadronirsene. Si tenta un ultimo assalto nel tardo pomeriggio, nel corso del quale vengono feriti Emilio Dandolo e Goffredo Mameli che spirerà il 6 luglio per le ferite riportate ad una gamba. I primi giorni dopo il 3 giugno, i francesi non si impegnano in attacchi importanti, limitandosi a coprire il lavoro del Genio e difendendosi dalle sortite degli avversari. Anche le forze romane non tentano assalti ma solo deboli sortite di disturbo. Il giorno 12 i Francesi inviano un ultimatum per la resa, minacciando l’intensificarsi dei bombardamenti; ultimatum che viene subito respinto. Le artiglierie francesi iniziano a bombardare pesantemente il Vascello e le zone adiacenti, mentre i genieri continuano a scavare trincee, avvicinandosi sempre più alle mura. Il 23 e il 24 tutti i difensori si ritirano all’interno deI Vascello che resiste fino al 27, quando una parte dell’edificio crolla, seppellendo una ventina di uomini. I difensori, comandati dal Medici si ritirano oltre le mura, su villa Savorelli e villa Spada. La notte tra il 29 e il 30 giugno inizia l’ultima battaglia. Poco dopo le 2 del mattino i francesi assaltano in silenzio la breccia del bastione VIII, raggiungendo villa Spada, dove i romani riescono a fermarli provvisoriamente. Nell’attacco perdono la vita circa 40 difensori, tra i quali Emilio Morosini. All’alba del 30 si combatte furiosamente a Villa Spada e a villa Savorelli. Durante la mattinata trovano la morte Luciano Manara ed Andrea Aguyar. La battaglia si trascina fino alla sera. A mezzogiorno del 1º luglio viene stipulata una breve tregua per raccogliere i morti e i feriti. L’Assemblea Costituente decide che ormai ogni resistenza è inutile e che va evitata la battaglia in città, con conseguenti distruzioni e saccheggi. La mattina del 2 luglio Garibaldi tiene in piazza San Pietro il famosissimo discorso: “io esco da Roma: chi vuol continuare la guerra contro lo straniero, venga con me... non prometto paghe, non ozi molli. Acqua e pane quando se ne avrà”. Dà appuntamento per le 18 in piazza San Giovanni, dove trova circa 4.000 armati, ottocento cavalli e un cannone; alle 20 esce dalla città seguito dalle truppe e dalla moglie Anita. Il 3 luglio Oudinot entra a Roma, mentre l’Assemblea Costituente promulga la Costituzione della Repubblica Romana. Fin qui la storia, la successione cronologica degli episodi più significativi dal punto di vista militare ed anche politico. Storia che ho voluto qui riportare senza interruzioni per meglio facilitarne la comprensione, ma che, in realtà, è stata esposta in varie riprese nel corso della passeggiata. Infatti, spostandoci dall’ingresso di villa Pamphili, la prima tappa ha visto la vi16 unotiziario 4, Luglio/Settembre 2020
sita al Museo della Repubblica Romana e della Memoria Garibaldina ospitato all’interno della Porta San Pancrazio. La porta, distrutta nel 1849 fu ricostruita nell’aspetto odierno dall’architetto Virginio Vespignani nel 1854 su commissione di papa Pio IX. Il percorso espositivo si snoda lungo i quattro piani dell’edificio raccontando le vicende storiche della Repubblica Romana e della tradizione garibaldina. Troviamo busti, dipinti, incisioni e cimeli garibaldini, poi, al secondo piano, possiamo ammirare un plastico che ricostruisce la battaglia del 30 aprile, mentre in un video di forte impatto emotivo scorrono le immagini dell’assedio, che, proiettate a 360 gradi danno il senso di un’immersione totale. Usciti dal Museo ci dirigiamo verso Piazzale Garibaldi e, appena passate le mura, troviamo sulla nostra destra il monumento a Ciceruacchio. Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio, di mestiere carrettiere del porto di Ripetta, e poi gestore di una taverna nei pressi di Porta del Popolo, seppure poco istruito, per le sue capacità dialettiche e la sua innata simpatia, divenne presto la voce del popolo romano. Nel luglio del 1846 ringraziò pubblicamente il Papa per aver concesso la libertà ai prigionieri politici. Il 17 aprile 1848 si unì alla demolizione dei portoni del ghetto ebraico di Roma ordinata da Pio IX. Dopo il voltafaccia del Pontefice aderì alla Repubblica, partecipando ai combattimenti contro i francesi e poi seguì Garibaldi nel suo tentativo di raggiungere il nord. Attraversati gli Appennini, raggiunse Cesenatico dove, requisiti alcuni bragozzi, si imbarcò. In prossimità del delta del Po, denunciato dagli abitanti del posto, fu intercettato da una vedetta austriaca, arrestato e fucilato a mezzanotte del 10 agosto 1849, insieme ai figli Luigi e Lorenzo ed altri patrioti.
Angelo Brunetti, da I liberatori, Glorie e figure del Risorgimento di Pasquale de Luce, Istituto Italiano di Arti Grafiche, 1909
Proseguiamo lungo la Passeggiata del Gianicolo mentre Elisa inizia a parlarci delle donne della Repubblica Romana. Purtroppo la memoria delle donne che hanno partecipato agli eventi del Risorgimento è stata spesso negata. In questa nostra passeggiata, proprio per restituire valore al loro impegno e ai loro sacrifici, abbiamo voluto ricordarne alcune. Fra le tante donne, romane e non, che diedero il loro contributo anche con la vita agli eventi della Repubblica Romana, abbiamo scelto tre figure emblematiche che parteciparono direttamente alla drammatica difesa di Roma: - come donna infermiera, Cristina Trivulzio di Belgioioso - come donna scrittrice e giornalista, ma anche infermiera, l’americana Margaret Fuller - come donna combattente, Colomba Antonietti. È Cristina Trivulzio di Belgiojoso (nata a Milano nel 1808), discendente di una delle famiglie storiche dell’aristocrazia milanese, editrice di giornali rivoluzionari, scrittrice ma anche filantropa e insegnante, a realizzare un innovativo sistema di soccorso ai feriti articolato in “ambulanze” e gestito pressoché interamente da donne, e a dirigere gli ospedali militari provvisori che accolgono i feriti (tutti i feriti anche i “nemici”) dei combattimenti del 1849. In centinaia furono le romane che, quando i francesi avevano iniziato la loro marcia su Roma e sorgevano le barricate, risposero all’appello del 27 aprile 1849 firmato da Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Marietta (Enrichetta) Di Lorenzo Pisacane, Giulia Bovio Paulucci perché portassero vestiario e bendaggi. Pochi giorni prima le tre donne erano state scelte da Mazzini, insieme ad un sacerdote bolognese liberale, il cappellano militare Alessandro Gavazzi, per uu notiziario 4, Luglio/Settembre 2020 u17
Bando alla donne romane, 1849
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la rete di soccorso della repubblica. Il 1° maggio lanciarono un nuovo appello per il reclutamento di donne come infermiere, senza distinzione di classe sociale o di professione. Entreranno in servizio in trecento. L’istituzione delle infermiere laiche volontarie non si deve quindi a Florence Nightingale, nella guerra di Crimea ma appunto alla Belgioioso, che in quel 1849 è anche la prima donna al mondo nominata direttrice delle ambulanze militari. Peraltro la Nightingale è presente a Roma e farà apprendistato proprio con Cristina. In corsia le nobili si mescolavano alle popolane, le madri di famiglia alle prostitute. Molte erano le compagne dei militari. Ma la stessa dedizione dimostrata da queste donne venne colpita anche da maldicenze infamanti. Per il caldo afoso ed il sangue dei feriti le infermiere si rimboccano le maniche. Spogliano i feriti, li assistono nelle lunghe ore di agonia notturne. Lo storiografo francese Balleydier attacca queste donne dalle “nude spalle e seducentemente adorne” che “assidevansi al capezzale dei malati francesi per far proseliti colla voluttà”. Papa Pio IX le condannerà nell’Enciclica “Noscitis et Nobiscum”. Con la caduta della Repubblica, Cristina abbandonò Roma ed abbandonò anche il suo impegno politico. Morirà nel 1871 a Locate, dove si trova la sua tomba.
F. Hayez, Cristina Trivulzio Belgiojoso, 1832
T. Hicks, Ritratto di Margaret Fuller, 1848
Margaret Fuller, (nata a Cambridge, Massachusetts, nel 1810) giunse a Roma durante la primavera del 1847 come inviata del “New York Tribune”: sarà la prima donna reporter della storia del giornalismo. Era una donna priva di pregiudizi, dotata di curiosità e acutezza di pensiero, animata da ideali di libertà, fratellanza e uguaglianza. Nell’aprile del 1847 conoscerà il marchese Giovanni Angelo Ossoli che sposerà poco dopo. Iniziò a scrivere una serie di “lettere” che inviava oltre oceano. In quelle corrispondenze dava conto ai cittadini newyorchesi degli avvenimenti romani e italiani e forniva accurate descrizioni della città e dei suoi costumi. Il 9 febbraio del 1849 venne proclamata la Repubblica Romana. Dopo l’arrivo del corpo di spedizione comandato dal generale Oudinot, Margaret continuò a scrivere, sempre più disperata, mentre il marito combatteva sulle mura per difendere la città. Accettò anche l’incarico di Cristina Trivulzio di dirigere l’ambulanza dell’Ospedale Fatebenefratelli e in seguito quella del Quirinale. Il 3 luglio cadde la Repubblica Romana. La famiglia Ossoli-Fuller fuggì e si spostò prima a Rieti dove recuperò il figlioletto Angelo, poi a Perugia e infine a Firenze. Il 17 maggio del 1850 la famiglia al completo si imbarcò a Livorno verso gli Stati Uniti. La nave trasportava un carico composto di blocchi di marmo di Carrara che, quando si scatenò una terribile tempesta ormai in prossimità della costa americana, cominciò a spostarsi rendendo la nave ingovernabile. La notte tra il 19 e il 20 luglio 1850 la nave si spezzò e affondò. In pochi si salvarono nonostante la spiaggia di Fire Island fosse lì, ad appena un centinaio di metri. Margaret Fuller, Angelo Ossoli e Angelino perirono nel naufragio e solo dell’ultimo fu recuperato il corpo. Nel cimitero di Mount Auburn, presso la sua città natale, una stele ricorda la sfortunata famiglia. Colomba Antonietti (nata a Bastia Umbra 19 ottobre 1826) figlia del fornaio Michele e di Diana Trabalza, si trasferì giovanissima con la famiglia a Foligno. Qui, appena quindicenne conobbe il conte Luigi Porzi, cadetto delle truppe pon18 unotiziario 4, Luglio/Settembre 2020
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tificie. I due si incontrarono più volte scambiandosi una promessa di matrimonio. Tuttavia, il diverso ceto cui le due famiglie appartenevano – ricca e nobile quella di Luigi, borghese quella di Colomba – determinava l’ostilità verso questa unione. Si sposarono comunque segretamente nella Chiesa della Misericordia di Foligno, all’una di notte del 13 dicembre 1846. I novelli sposi partirono subito alla volta di Bologna, ma vi rimasero solo due mesi, prima di trasferirsi a Roma dov’era di stanza il battaglione di Luigi. Nel 1849 il marito aderì alla Repubblica Romana. Colomba per combattere al suo fianco si tagliò i capelli e vestì l’uniforme da bersagliere. Inizialmente affrontò le truppe borboniche nella Battaglia di Velletri (18 e 19 maggio 1849) e di Palestrina, dimostrando coraggio, valore ed intelligenza, tanto da meritarsi l’elogio di Giuseppe Garibaldi. Venuta a Roma, si impegnò nel soccorso dei feriti pur continuando a combattere; nell’assedio di Porta San Pancrazio morì sotto il fuoco dell’artiglieria francese. Colpita di rimbalzo da una palla di cannone il 13 giugno al settimo bastione (oggi all’altezza della Clinica Salvator Mundi), spirò a 22 anni tra le braccia del marito. La tradizione vuole che morendo avesse mormorato: “Viva l’Italia”. Fu sepolta dapprima nella Chiesa di San Carlo ai Catinari; nel 1941 le sue spoglie furono traslate presso il Mausoleo Ossario Garibaldino sul Gianicolo, che accoglie i caduti nelle battaglie per Roma Capitale e per l’Unità d’Italia (1849 – 1870). Durante la nostra passeggiata abbiamo potuto vedere il suo busto che è l’unico di una donna fra gli 84 Busti dei patrioti sul Gianicolo posti tra il 1885 e il 1889. Ogni 13 Giugno (intorno alle 17 ora presunta della sua morte), grazie a Cinzia del Maso studiosa di Colomba cui ha dedicato un libro, viene qui svolta la sua commemorazione. uu
Mariano Piervittori, Colomba Antonietti (particolare) , Sala consiliare, Foligno. Sopra, il busto al Gianicolo dedicato all’eroina. In alto a sx, il gruppo ascolta Elisa che ci parla di Colomba Antonietti
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di b u l C territorio uu Ci troviamo ora sul piazzale Giuseppe Garibaldi e Massimo P. ci illustra gli avvenimenti relativi al progetto e alla realizzazione del monumento all’Eroe. Il 2 giugno 1882 muore a Caprera l’Eroe dei Due Mondi, immediatamente viene approvata dal parlamento la proposta per la costruzione di un monumento a lui dedicato, contemporaneamente, il Comune di Roma apre una sottoscrizione con la donazione di £ 80.000 per un analogo progetto. Fu indetto un concorso pubblico che doveva prevedere una statua in bronzo di Garibaldi, a piedi o a cavallo. Vennero ammessi 37 progetti e i vari bozzetti furono esposti in una mostra presso il palazzo dell’Esposizioni. Quelli che ebbero maggior successo furono quello di Gallori, poi scelto, e quello di Ximenes e Guidini che prevedeva la costruzione di una gigantesca piramide. La zona individuata per la realizzazione fu il Colle del Gianicolo, in una prima ipotesi nei pressi della chiesa di S. Pietro in Montorio, più esattamente nel giardino. Fu proposto anche di realizzare, nella base del monumento, una cripta-ossario per raccogliere le spoglie dei caduti in difesa della Repubblica Romana, fino a quel momento raccolte in un ossario provvisorio nella zona di “Colle del Pino”. Nel 1891, anche a seguito della decisione del Comune di Roma di rinunciare alla costruzione della cripta, causa mancanza di fondi, Gallori, ponendo anche questioni tecniche ed estetiche, ne propose lo spostamento sulla sommità del colle Gianicolo, in quella che è ancora l’attuale collocazione. La prima pietra fu posta il 19 Marzo del 1895 alla presenza dei reali d’Italia, l’inaugurazione avvenne il 20 Settembre 1895, in occasione del 25° anniversario della riunificazione di Roma all’Italia, con una cerimonia a cui parteciparono, oltre ai sovrani, il Presidente del Consiglio, il Sindaco e tantissimi cittadini; secondo le cronache ne erano presenti oltre 60.000 quando alle ore 11:00 venne scoperto il monumento.
Il progetto Ximenes per il monumento a Garibaldi
La collocazione definitiva del monumento di Garibaldi portò alla demolizione della “Vedetta Appenninica” (Foto 3) la cui realizzazione fu proposta dal Club Alpino nel 1886 attraverso la trasformazione del “Casino al Monte”. Fu inaugurata nel 1890 anche se incompleta, diventando una delle maggiori attrattive della passeggiata del Gianicolo che in quegli anni veniva realizzata; ebbe vita breve, fu, infatti, abbattuta nel 1895 anche per non pregiudicare la vista del monumento di Garibaldi. Il progettista Ing. Paolo Emilio De Sanctis, con grande lungimiranza, la pensò in forme neo-medievali affinché l’edificio “con tale architettura insolita in Roma richiami maggiormente l’attenzione, e… facilmente desti vaghezza di saperne lo scopo e visitarne l’interno” dalla torre a 95 metri sul livello del mare ”l’alpinista ” ... vi apprende l’ubicazione esatta dei monti vicini, ma anche dei lontanissimi che sembra che alzino le vette per mostrarsi alla Città Eterna”. Nella vedetta erano previsti un caffè-ristorante, sale espositive, gli interni vennero arredati nello stile dell’epoca, mobili intagliati, stucchi, arazzi, realizzati, in alcuni casi, anche dagli artisti soci del Club Alpino. Oggi rimangono soltanto delle tracce del basamento del casino che sono identificabili nella piattaforma sulla quale posa dal 1904 il cannone che ogni gior20 unotiziario 4, Luglio/Settembre 2020
no a mezzogiorno spara un colpo a salve. Oggi, il più delle volte, il colpo si perde nel rumore del traffico cittadino ma fino a qualche anno fa si poteva sentire distintamente, in quell’occasione tornava alla memoria quella preghiera presente nella poesia di Checco Durante “Piazza Garibaldi”: Signore Fa che er cannone serva solamente Pe’ avvertì tutta l’umanità Che sta arrivanno l’ora de magnà. Già all’indomani della presa di Roma si pensò alla realizzazione di una passeggiata pubblica sul Colle del Gianicolo. L’idea non era nuova in quanto già nel 1608 Paolo V, all’inizio dei lavori del ripristino dell’Acqua Traiana, aveva manifestato l’idea di “fare una nuova strada dalla Piazza S. Pietro verso la porta de Cavalli Leggieri et perfino sopra Santo Honofrio versa la vigna de signori Lanti, che sarà di molta ricreatione per andare a spasso, massime quando vi sarà condotta la acqua di Bracciano”. Si dovette attendere il 1865 per vedere i primi interventi per la sua realizzazione, quando fu costruita una strada carrozzabile che collegava Trastevere con il complesso di S. Pietro in Montorio, l’attuale Via Garibaldi. Sempre in quel periodo veniva sistemata a giardino la zona tra la “Mostra dell’Acqua Paola” e la nuova strada, che, nei documenti dell’epoca, era definita “giardino pubblico all’inglese” ricco di 460 alberature ornamentali, nel 1870 era il terzo giardino pubblico di Roma dopo le passeggiate del Celio, 1509 alberature, e del Pincio con 7.409. Il Piano Regolatore del 1873 prevedeva la realizzazione lungo il crinale del Gianicolo di una passeggiata dedicata alla Regina Margherita; nel 1881 il pubblico passaggio divenne una realtà urbanistica “… una passeggiata gradevolissima per mirabili vedute ….. su tutta l’estensione della vetta del Gianicolo”. Nel frattempo maturava l’idea di dedicare tutta l’area alla memoria dei caduti in difesa della Repubblica Romana del 1849. La morte di Giuseppe Garibaldi, e le vicende legate alla realizzazione di un monumento in suo onore, furono gli eventi decisivi per trasformare definitivamente il colle del Gianicolo in “parco pubblico dedicato agli Eroi della Repubblica Romana”. Per la realizzazione di questa passeggiata fu necessario effettuare le acquisizioni degli spazi necessari; nel 1883 lo Stato ed il Comune acquistarono le proprietà dei Corsini che si trovavano sul Gianicolo e che arrivavano fino a Via della Lungara. La parte bassa andò alla Stato, il palazzo divenne la sede dell’Accademia dei Lincei, mentre il giardino, qualche anno dopo, la sede dell’Orto Botanico. La parte alta della collina, quella dove c’era il “Casino al Monte”, situato in un’area di circa 43.000 mq, fu acquistata dal Comune per destinarla a Passeggiata Pubblica. L’intera passeggiata divenne “un giardino patriottico”, si prestava, infatti, benissimo ad “esibire” una galleria di memorie patriottiche sulle quali fissare l’attenzione dei nuovi cittadini italiani, piuttosto che offrire le occasioni di ricreazione e riposo richieste ad un giardino pubblico, funzioni tra l’altro già assolte dalla Passeggiata del Pincio. La nuova passeggiata era ispirata all’idea di Christian C.L. Hirschfeld, definita alla fine del 700 in un trattato sull’arte del giardino, che affermava come nel “giardino patriottico” trovavano posto statue, busti e “tutti gli altri monumenti che rammentano al popolo le sue virtù nazionali e la benefica azione dei suoi patrioti”. Lasciamo ora la piazza e ci dirigiamo verso il Belvedere vicino a Villa Lante uu notiziario 4, Luglio/Settembre 2020 u21
Inaugurazione del monumento a Garibaldi. Sopra, la “Vedetta Appenninica”
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in occasione del 150° anniversario dell’Unita d’Italia, fu inaugurato il muro della Costituzione della Repubblica Romana. I sessantanove articoli della Costituzione sono incisi su pannelli in pietra artificiale accostati tra di loro, per un totale di cinquanta metri di lunghezza. Alberto ci illustra i più significativi.
La cripta del Mausoleo. In alto, il muro della Costituzione.
Torniamo indietro e ci avviamo, percorrendo ancora la Passeggiata ma, ora, nella sua parte inferiore, verso un altro luogo simbolo, il Mausoleo Ossario Gianicolense. Lungo il percorso incontriamo la Fontana dell’Acqua Paola, il Fontanone per i Romani. Non possiamo fare a meno di ricordare che i francesi, durante le operazioni belliche, chiusero un tratto dell’acquedotto che alimentava il Gianicolo per privare dell’acqua i difensori di Roma, lasciando la fontana all’asciutto e che, tra la Fontana e San Pietro in Montorio si trovava la batteria dei pini. I cannoni di questa batteria spararono gli ultimi colpi della resistenza romana, prima di essere distrutti dal fuoco francese. Il mausoleo, come lo vediamo ora, fu progettato dall’architetto Giovanni Jacobucci e inaugurato nel 1941. Ma già subito dopo la presa di Roma si sentì forte l’esigenza, anche su forti pressioni dello stesso Garibaldi, di creare un luogo dedicato alla memoria dei caduti per Roma. Si decide allora di realizzare un cenotafio nei pressi di San Pietro in Montorio e, allo stesso tempo, si iniziano le ricerche dei resti dei caduti, compresi quelli morti il 20 settembre del 1870. Così le salme che erano state tumulate al Verano, a Villa Borghese, nelle vigne di San Pancrazio e Porta Maggiore vengono raccolte in questo luogo tra il 1879 e il 1884. Lì rimangono in abbandono fino alla costruzione dell’attuale Mausoleo. L’interno del monumento è costituito da una cripta con al centro la tomba di Goffredo Mameli e sulle pa22 unotiziario 4, Luglio/Settembre 2020
reti sono disposti 36 loculi chiusi da lapidi che ricordano i nomi di oltre 1600 eroici caduti. Passiamo, infine, di fronte a Villa Spada, il luogo che vide l’amara conclusione delle vicende belliche. La villa, distrutta dai cannoni francesi e ricostruita nel 1900, ospita ora l’ambasciata d’Irlanda presso la Santa Sede. Risaliamo verso porta San Pancrazio costeggiando la villa che ospita attualmente l’Accademia Americana. Qui termina la nostra passeggiata.
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