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notiziario dei Volontari di Roma anno 5 - numero 3 - maggio/giugno 2020

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di Massimo Marzano

Le immagini particolari ed insolite di Papa Francesco e di Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, che, da soli,

come normali individui, camminano pensierosi, segnati nei volti dalla consapevolezza della drammaticità del momento, sicuramente lasceranno un segno indelebile e coinvolgente nelle menti di tutti noi, che abbiamo assistito commossi a queste scene. Il 25 aprile il Presidente della Repubblica si è recato da solo - senza alcun seguito - all’Altare della Patria, per celebrare il 75esimo anniversario della Liberazione. Come è stato duro e faticoso salire i circa 54 metri della scalinata, i circa 45 scalini, attraversare quello spazio indefinito e lungo, solo, solo, affaticato, preoccupato, con il volto tirato, con i problemi ed i timori che si addensavano e pesavano sulla sua persona, ma allora tutti ci siamo stretti intorno a lui, lo abbiamo sorretto, lo abbiamo sostenuto, lo abbiamo dolcemente accompagnato e siamo saliti insie-

SEMPRE TUTTI INSIEME me fino al sacello del Milite Ignoto. In cima alla scalinata ci aspettavano due corazzieri, che portavano una corona ed insieme ci siamo avvicinati sommessamente alla tomba sacello, siamo rimasti per un po’ a pensare, mentre un trombettiere dei Carabinieri suonava “il silenzio”. Poi “abbiamo sceso quelle scale”* ed il Presidente non era più solo. Una Nazione si era stretta intorno a lui. Aveva chiamato, noi eravamo andati: “Fare memoria della Resistenza, della lotta di Liberazione, di quelle pagine decisive della nostra storia, dei coraggiosi che vi ebbero parte, significa ribadire i valori di libertà, giustizia, e coesione sociale, che ne furono alla base, sentendoci uniti intor2 unotiziario 3, Maggio/Giugno 2020

no al Tricolore. L’Italia ha superato, nel Dopoguerra, ostacoli che sembravano insormontabili. Le energie positive che seppero sprigionarsi in quel momento portarono alla rinascita. Il popolo italiano riprese in mano il proprio destino”. E’ evidente che “la nostra peculiarità nel saper superare le avversità deve accompagnarci anche oggi, nella dura prova di una malattia che ha spezzato tante vite. Per dedicarci al recupero di una piena sicurezza per la salute e a una azione di rilancio e di rinnovata capacità di progettazione economica e sociale. A questa impresa siamo chiamati tutti, istituzioni e cittadini, forze politiche, forze sociali ed economiche, professionisti, intellettuali, operatori di ogni


settore ogni privato cittadino italiano. Insieme possiamo farcela e lo stiamo dimostrando”. Il 1° giugno, in un momento che sembra preannunciare il superamento dell’emergenza, provocata dalla diffusione del coronavirus, nei Giardini del Quirinale si è materializzato visivamente il connubio tra impegno solidale e la celebrazione dell’identità nazionale. Il Maestro Daniele Gatti con l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma ha evidenziato e collegato “la tragedia da cui stiamo uscendo ed il guardare con ottimismo a un futuro più sereno”. Davanti la Coffee House, progettata dall’arch. Fuga, voluta da

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Papa Benedetto XIV, dove ogni anno, il 2 giugno, il Presidente della Repubblica incontra gli italiani, il Direttore Gatti ed i 15 musicisti con gli archi ed un clavicembalo, distanziati con la mascherina, senza pubblico, senza strumenti a fiato, né coro, alla presenza del Presidente Mattarella, sono stati il simbolo di una Italia che ha voluto ricordare le 33.000 vittime del coronavirus ed al tempo stesso aprire uno sguardo sul futuro. Di fronte alle limitazioni, alle paure, ai timori, alle incertezze, bisogna liberare la fantasia. Come è stato giustamente detto, “è necessario tornare a suonare, la musica non è un puzzle di strumenti riuniti sui social”; perdersi tra le note di un cantante, di un orchestra, farsi trascinare dalle emozioni di un ritornello, di una melodia, rivivere o sognare una piacevole situazione, non possono essere provati davanti ad un piccolo schermo televisivo; l’insegnamento a distanza, on line, non può sostituire quel rapporto educativo, umano, di incontro, di socializzazione; Il teatro che rappresenta la vita, non può essere visto, non può essere goduto, non può suscitare emozioni in streaming, ma solo in diretta; una gara sportiva senza il sudore, senza il confronto leale, ma fisico, senza eccitare l’animo di

chi vi assiste, senza l’attesa e l’immedesimazione e l’aspirazione a vincere, non ha senso senza pubblico, è una rappresentazione asettica, è una recita “a soggetto”; fare i Volontari non può ridursi a creare video e film, pur belli ed emozionanti, o teorizzare il bello del Bello, ma bisogna ritornare “sul territorio”, per suscitare emozioni e passioni per l’opera artistica, perché solo così si può dare un messaggio di speranza per il futuro ed una fiducia nel superamento delle difficoltà e spronare ad andare “oltre”. L’inno d’Italia, come dice il Direttore Gatti, subito con l’inizio “Fratelli d’Italia, cioè con le parole di fratellanza che ci hanno accomunato in questi mesi di dolore, senza lo squillo marziale, che apre l’inno, è più intimo, solo con quindici archi, è il suono del ritorno alla vita e alla musica”. Andrebbe suonato all’inizio di ogni manifestazione per ricordare quei 33.000 che non ci sono più, ma al tempo stesso segnalare che tutto si può superare con un forte sforzo comune. Ed ecco il 2 giugno. Il Presidente della Repubblica sale su quella stessa scalinata dell’Altare della Patria per festeggiare il 74° anniversario della Festa della Repubblica. Non è più solo. E’ attorniato dalle massime au-

Le foto di questo articolo e della copertina sono tratte dal sito della Presidenza della Repubblica 4 unotiziario 3, Maggio/Giugno 2020

torità dello Stato, dai vigili del fuoco, dal personale medico, dalle forze di polizia, dai Corazzieri in alta uniforme, dai Carabinieri, dai Granatieri di Sardegna e dai Lancieri di Montebello in uniforme storica, mentre la pattuglia acrobatica delle Frecce tricolori vola sopra il cielo di Roma, lasciando una lunghissima scia bianca rossa e verde. Al suono delle note del silenzio fuori ordinanza, davanti al sacello dell’Altare della Patria, passa tutta la storia d’Italia del ‘900: i nostri nonni nel fango delle trincee, i nostri zii e i nostri padri e le nostre madri tra le bombe, nei rifugi, tra le vessazioni ed i soprusi delle forze d’occupazione, i nostri amici, stipati nei vagoni blindati e disperdersi nell’aria attraverso il fumo che usciva dai camini nei Campi di sterminio, nella neve della Russia, nel deserto del nord Africa, nel sangue degli Anni del terrorismo, nella spirale della mafia, della corruzione, della violenza eppure … ce l’abbiamo fatta... Il Presidente, anche questa volta, ha pronunciato parole, che ci possono risollevare: “E’ stato un incubo totale che dobbiamo superare con la volontà di un nuovo inizio. La ripartenza, civile ed economica, deve avvenire vedendoci tutti insieme, come riuscimmo a fare con la nascita della Repubblica nel 1946, superando le divisioni che avevano lacerato il Paese e convergendo nella condivisione di valori e principi su cui fondammo la nostra democrazia. Come allora dobbiamo ritrovarci legati da un comune destino in quella unità morale che è stata il vero cemento che ci ha tenuti insieme”. Ora siamo un popolo maturo possiamo in modo cosciente affrontare il futuro, possibilmente stando insieme. Non abbiamo bisogno di eroi. Gli eroi ci servono solo per ricordare, perché, “senza memoria si vaga come dementi, ridendo nel buio della notte” (Marco Lodoli). * variante da Eugenio Montale, “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”, Satura.


Attività del Club di Territorio di Roma Marzo-Giugno 2020 In questo lungo periodo, nel quale sono state annullate tutte le nostre iniziative (ne erano state programmate ben 15 fino a giugno), abbiamo deciso di progettare e realizzare degli eventi virtuali per tenerci in contatto con i tanti soci ed amici che negli anni ci hanno seguito, in numero sempre maggiore. DI ELISA BUCCI Console e Coordinatore del Club di territorio

è stato, come sempre, un lavoro di gruppo portato avanti da tutti i nostri Volontari (Consoli, Vice consoli e Soci attivi) che si sono impegnati nella ricerca storica, iconografica, nel montaggio di audio e musica, nella realizzazione dei video. Questi sono stati i nostri impegni: 1. Sviluppo di una serie di iniziative, che ha raggiunto i nostri soci e amici, attraverso la nostra pagina Facebook (con più di 800 follower) e il nuovo canale di Youtube, aperto per l’occasione. In sintesi abbiamo realizzato: · La rubrica, legata alla campagna Passione Italia del Touring Club Italiano, dal titolo “Pillole di Roma”. Si tratta di brevi filmati, che illustrano quanto descritto dalla voce narrante dei nostri Volontari, con i quali vengono proposti piccoli viaggi virtuali su monumenti o luoghi, spesso già incontrati in alcune iniziative che il Club di Territorio aveva realizzato negli ultimi anni. A partire dal 27 marzo abbiamo pubblicato, 14

pillole con cadenza normalmente settimanale. La rubrica si concluderà nel mese di Luglio con due nuove Pillole (vedi elenco alle pagg. 20/22). · Altri 6 video prodotti in occasione di alcune giornate o eventi particolari (vedi elenco alle pagg. 20/22). · La rubrica dal titolo “Schegge del cuore”, sempre per la campagna Passione Italia, nella quale ciascun Volontario racconta un episodio della propria vita che lo lega ad un luogo o un monumento di Roma; entro il mese di giugno le Schegge pubblicate saranno 14. La rubrica si concluderà nel mese di Luglio con due nuove Schegge (vedi elenco alle pagg. 20/22). 2. Apertura sulla piattaforma geolocalizzata Loquis, da parte del Console Andrea Portante, dei seguenti canali del Club di territorio:  Passione Italia, nel quale sono state inserite le nostre “Pillole di Roma”  Razionalismo e Romanità, nel quale è stato inserito l’itinerario del “Foro Italico”  Il Progetto proseguirà nei prossimi mesi. 3. Collaborazione con il Capo redattore del sito del Touring Club Italiano; sono stati pubblicati 4 articoli che illustrano, in modo molto approfondito, itinerari nei Rioni Ludovisi, Testaccio e Prati e nel Quartiere Monte Sacro “Città Giardino Aniene”, diffusi anche attraverso Facebook. A partire dal 20 e 21 giugno abbiamo ripreso la nostra normale attività sul territorio, pur con le dovute restrizioni. Sono state organizzate alcune passeggiate sull’Appia Antica in collaborazione con l’Associazione MThI (Music Theatre International), con la quale abbiamo già sviluppato molte iniziative in passato, partecipando così alle “Giornate europee dell’Archeologia” e alla “Festa della Musica”. Il 4 Luglio abbiamo realizzato una Passeggiata lungo il Tevere, in attesa della Giornata del “Tevere Day”, programmata quest’anno per il 4 Ottobre.

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Continua la storia del nostro fiume curata dal volontario Vittorio Gamba Capitolo quarto

IL TEVERE E LA STORIA DI ROMA Roma senza il Tevere non sarebbe diventata quella che fu. Il fiume è stato fonte di approvvigionamento (sotto Romolo, in occasione di una carestia, i Crustumini accorsero in aiuto dei Romani mandando lungo il Tevere barche cariche di viveri) e mezzo d’espansione (sotto Tarquinio Prisco è ricordata una battaglia navale con barche e zattere sul Tevere e sull’Aniene tra Romani, Sabini ed Etruschi). Inoltre il Tevere è indissolubilmente legato alla città, nel bene e nel male. Così come il fiume puniva chi tentava di arginarlo ed imbrigliarlo (Cesare, Commodo, Eliogabalo), allo stesso modo salvò dalla furia delle sue acque personaggi essenziali alla città (Romolo, Clelia, Orazio Coclite, tutti personaggi che scamparono contro ogni previsione alla furia delle sue onde proprio per i valori statali di cui erano paladini). Esaminiamo alcuni episodi della storia della città che hanno avuto luogo sul Tevere. Orazio Coclite. Egli nel 507 a.C. impedì l’accesso agli Etruschi di Porsenna sull’unico ponte del Tevere che li avrebbe fatti entrare a Roma. Da solo affrontò i nemici incitando i compagni a distruggere il ponte e quando ciò avvenne si tuffò nel Tevere e raggiunse a nuoto la riva amica, bersagliato da numerose frecce, ma sano e salvo. Secondo Polibio, invece, Orazio Coclite si sacrificò e morì nel fiume. Clelia era una nobile fanciulla romana, che, data in ostaggio con altre fanciulle a Porsenna, dopo la pace da lui conclusa con Roma, fuggì dal

ROMA ED nell’ campo etrusco guidando le sue compagne a nuoto attraverso il Tevere e le ricondusse a Roma. Il re ne chiese la restituzione ai Romani e l’ottenne, ma poi, ammirato dell’eroismo della fanciulla, l’onorò e la rimandò a Roma, concedendole di condurre seco alcuni degli ostaggi a sua scelta, ed essa scelse i più giovani. I Romani riconoscenti l’onorarono d’una statua equestre sulla sommità della sacra via. Così Livio (II, 12, 6-11); altre fonti aggiungono che essa sarebbe fuggita a cavallo o che Porsenna le avrebbe donato un cavallo. La leggenda è un tentativo di spiegare un’antica statua equestre, vista ancora dai più antichi annalisti, della quale non si sapeva più il significato, e che raffigurava, secondo l’interpretazione più comu6 unotiziario 3, Maggio/Giugno 2020

ne, Venus Equestris, identificata da molti con la Venus Cluilia o Cloacina (di qui il nome Cloelia), dea della cloaca massima. L’introduzione a Roma del culto della Dea Cibele è un episodio della seconda guerra punica (204 a.C.). Scipione l’Africano, vincitore di Annibale in Africa, dopo la consultazione dei libri sibillini, decise di portare il simulacro della dea Cibele, madre degli dei, dal monte Ida, presso Pergamo, a Roma. Il Senato inviò allora suo cugino Scipione Nasica, ritenuto il romano più degno (come richiesto dall’oracolo di Delfi) a prendere il simulacro divino, ma, al ritorno, la nave che lo trasportava si incagliò nelle secche del Tevere. Per disincagliarla intervenne la vestale Claudia Quinta,


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Charles Le Brun, La difesa del Ponte Sublicio. Dulwich Picture Gallery, Londra

il tevere ANTICHITà che dimostrò così, con l’evento prodigioso (un’ordalia), anche la propria verginità. L’intero episodio viene narrato da diverse fonti antiche, tra cui Livio, Ovidio e Appiano. Ovidio, in particolare, scrive che Claudia Quinta era una donna virtuosa e di bell’aspetto, la cui reputazione venne ingiustamente attaccata per il suo abbigliamento e il suo portamento e, inoltre, venne falsamente accusata di essere pettegola. La sua virtù fu riscatta da questo evento miracoloso, laddove la donna riuscì, con le sue sole forze, a disincagliare la nave su cui viaggiava la statua della dea, grazie all’aiuto della dea stessa. Trionfo di Emilio Paolo su Perseo, ultimo re di Macedonia (167 a. C.). Celebre rimase la navigazione fluviale,

tra le rive affollate all’inverosimile, della colossale nave regia, ornata delle spoglie macedoniche, su cui arrivò Paolo Emilio per celebrare il suo trionfo, uno dei più splendidi della storia romana. Infatti, la sfilata con i prigionieri ed il bottino preso durò 3 giorni e quest’ultimo fu così ricco che da quel momento il popolo romano non dovette più pagare la tassa sulla proprietà. Il tesoro (furono saccheggiate 70 città dell’Epiro che si erano schierate con Perseo e portati 1000 ostaggi fra cui il greco Polibio) arrivò con la nave di Perseo, di straordinaria grandezza (aveva 16 ordini di remi). Fuga di Caio Gracco attraverso il Ponte Sublicio prima di essere ucciso. Gracco propose nel 122 a.C. la connotiziario 3, Maggio/Giugno 2020 u7

cessione della cittadinanza romana ai latini e di quella latina agli italici. L’opposizione al suo disegno di legge trovò concordi il Senato (che trovava così il modo di liberarsi di un pericoloso rivale), la maggior parte dei cavalieri e pressoché tutta la plebe, gelosa dei propri privilegi. Gaio perse così molta della sua popolarità e non fu rieletto al tribunato e dovette difendersi da accuse pretestuose come quella di aver dedotto nuovamente Cartagine. Quando Gaio si presentò all’assemblea per difendere le sue tesi, scoppiarono una serie di disordini che il nuovo console Opimio, eletto dal partito oligarchico, ebbe mano libera per reprimere. Negli scontri Scipione Nasica si vantò di aver ucciso Tiberio Gracco; Gaio e i suoi sostenitori allora si rifugiarono sull’Aventino per resistere armati ma quando Opimio promise l’impunità a chi si fosse arreso e consegnato, l’ex tribuno, rimasto quasi solo, scappò sulla riva destra del Tevere attraversando Ponte Sublicio e si fece uccidere dal suo schiavo Filocrate sul Gianicolo. Nel 57 a.C. Catone l’Uticense arrivò lungo il Tevere con l’eccezionale bottino d’oro e d’argento portato da Cipro ed appartenuto al defunto Tolomeo, con tutta la folla che lo aspettava al Porto Tiberino mentre lui proseguì, con disappunto, fin verso i Navalia per sbarcarlo lì. Giulio Cesare. Dopo l’omicidio di Cesare, Cicerone scrisse che Attico aveva proposto di buttare il cadavere del dittatore nel fiume, come fosse un tiranno. Ma subito questa dichiarazione venne abbandonata, a cominciare dallo stesso Attico, anche perché un tal gesto significava voler abolire tutti gli atti del dittatore e quasi tutti i senatori godevano di cariche decretate da Cesare: se costui finiva in fondo al fiume anche i loro privilegi avrebbero fatto la

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uu stessa fine. Senza considerare che i

soldati non avrebbero mai accettato una tale ingiuria al corpo del loro generale. Augusto e la figlia Giulia. Giulia era totalmente dissoluta ma Augusto, come padre, non vedeva e capiva nulla. Solo alla fine, con il famoso scandalo sessuale nel Foro e negli stessi Rostri, non poté più far finta di nulla e decise di esiliarla a Ventotene (2 a.C.). La folla, che amava Giulia, lo pregò allora di ripensarci e lui, in quella occasione, rispose che “il fuoco doveva mischiarsi con l’acqua prima che lui potesse perdonare la figlia”. Ma quando alcuni cittadini gli portarono delle torce miste a zolfo puro e, dopo averle accese, le gettarono nel Tevere senza che le stesse si spegnessero, l’imperatore non gradì e non volle tornare sui suoi passi. Tiberio, quando fece distruggere il tempio della dea Iside perché un suo sacerdote aveva violentato una matrona approfittando del culto, fece gettare nel fiume il simulacro della dea. Commodo ed Eliogabalo. L’Historia Augusta ci narra come la folla voleva gettare i loro cadaveri nel fiume (il primo nel 192 ed il secondo nel 221 d.C.). Ma il corpo di Commodo evitò di avere quella fine mentre quello di Eliogabalo fu gettato nel Tevere da Ponte Emilio ad opera della folla inferocita. H. A. Commodo (17.4): “Il Senato e il popolo chiesero che il suo cadavere fosse trascinato con un uncino e precipitato nel Tevere [era una delle pene usuali per i nemici della patria], ma poi per ordine di Pertinace fu sepolto nella tomba di Adriano”. H. A. Eliogabalo (17. 1 ss): “Dopo di che fu assalito lui pure e ucciso in una latrina in cui aveva cercato di rifugiarsi. Fu poi trascinato per le vie. Per colmo di disonore i soldati gettarono il cadavere in una fogna. Poiché però il caso volle che la cloaca risultasse troppo stretta per ri-

cevere il corpo, lo buttarono giù dal Ponte Emilio nel Tevere con un peso legato addosso perché non avesse a galleggiare, di modo che non potesse aver mai a ricevere sepoltura…E fu il solo fra tutti i principi ad essere trascinato, buttato in una cloaca, ed infine precipitato nel Tevere”. Capitolo quinto

IL TEVERE COME VIA DI COMMERCIO VERSO IL MARE E VERSO L’INTERNO La posizione di Roma, particolarmente arretrata rispetto al mare, agevolò i collegamenti anche con l’area centro settentrionale dell’Italia attraverso una capillare ed organizzata navigazione fluviale del Tevere e dei suoi affluenti. Plinio il Giovane scrive (Ep. V 6 12): “Il fiume scorre attraverso i campi e, navigabile, porta alla città tutti i prodotti, solamente però nell’inverno e nella primavera; che nell’estate decresce e con il suo letto impoverito perde il titolo di grande fiume; lo riprende poi nell’inverno”. A monte di Roma il Tevere era comunque sempre navigabile fino a Perugia e, mediante i suoi affluenti, fino a Tivoli ed a Narni; anzi, quest’ultima rotta era spesso pre-

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feribile alla Via Flaminia, per raggiungere Roma, ancora nel tardo impero. Lungo il Tevere arrivavano così a Roma soprattutto grano dall’Etruria e pesci ed uccelli palustri dai laghi di Bolsena, Chiusi e Trasimeno. Sulle sue rive sorsero numerose fattorie che rifornivano la città di prodotti agricoli di immediato consumo (frutta, ortaggi, legumi, formaggi) e di animali da macello, sfruttando proprio il corso del Tevere. Roma stessa venne costruita con il tufo di Grotta Oscura che si trovano sulla riva destra del Tevere vicino a Veio e che venne trasportato a Roma lungo il fiume. Nel 204 a.C. per combattere la Seconda Guerra Punica il Senato non aveva dato a Scipione che un’autorizzazione di principio, lasciandolo alle sue risorse per costituire, equipaggiare ed approvvigionare i contingenti necessari all’esercito per terra e per mare; tuttavia uno slancio unanime, veramente nazionale, mosse l’Italia Centrale, in particolare l’Etruria; le città gareggiarono per procurare al console tutto ciò di cui vi era bisogno, uomini e cose. Lungo il Tevere arrivarono così 3.000 equipaggiamenti militari completi


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(scudi, elmi, giavellotti e lance per un totale di 50.000 pezzi), attrezzature per 40 navi, 120.000 moggi di frumento, abeti per la costruzione delle navi. Giovenale (Sat. VII), parlando degli avvocati, ricorda: “Dimmi allora che cosa ricavano gli avvocati dalle loro prestazioni e dai grandi pacchi di carte che portano sempre con loro. Pronunciano orazioni sonanti… Ma quanto ti pagheranno la tua voce? Un prosciuttino smilzo smilzo e un vasetto di tonno giovane, o vecchie cipolle, razione mensile di Mauri [cioè di uno schiavo africano], o un vino arrivato sul Tevere, ma per non più di cinque fiaschi”. Il vino che viaggiava sul Tevere proveniva dalla Toscana ed era assai poco pregiato, soprattutto in confronto a quelli campani. Altra importante mercanzia che proveniva da nord lungo il fiume era il legname, molto usato dai romani sia per costruire edifici che per riscaldamento. Infatti, solo nella seconda metà del I sec. a.C. la pietra prese il sopravvento nell’edilizia. E poi, non dimentichiamo, l’Aniene trasportava il travertino tiburtino e il tufo dell’Aniene dalla zona di Salone/Cervara, mentre il tufo di Monteverde arrivava sempre attraverso il Tevere ma da valle. E ciò ci permette di passare a parlare del commercio fluviale proveniente dal mare, certamente più consistente ed importante. Il Tevere fu una delle vie d’acqua più utilizzate in antico. Per questo i Greci ed i Latini avevano per il Tevere una grande venerazione, pari quasi a quella del Nilo. Esso divenne, nei secoli, la principale via di comunicazione commerciale, militare ed economica di una grande città, che tutto o quasi riceveva dall’immenso magazzino del Mediterraneo. Le Gall ha calcolato che nel I sec. d.C. almeno 12.000 navi all’anno portavano ad Ostia (e quindi a Roma) 800.000 tonnellate di der-

Immagine di fantasia con lo scarico di una nave mercantile presso il porto di Ostia. Nella pagina accanto, rilievo di un altare dedicato alla Magna Mater Cibele, 1° sec d. C.; il rilievo con alta probabilità raffigura Claudia Quinta e la nave che porta l’effigie della Magna Mater, (Museo Montemartini)

rate alimentari, e consideriamo che le stesse di norma viaggiavano solo per 8 mesi all’anno. Solo verso il 340 a.C. Roma occupò la foce del fiume, creando una fortezza che poi sarebbe diventata la colonia di Ostia. Da qui il Tevere era poi risalito da navi che potevano portare fino a 3.000 anfore ciascuna. Lungo il fiume già all’inizio del V sec. a.C. arrivava il grano importato dalla Campania e dalla Sicilia su grosse navi onerarie che avevano un basso pescaggio e potevano avere fino a 50 remi, ma non è chiaro se il viaggio fluviale avvenisse a forza di remi o già esisteva una qualche forma d’alaggio, poi usuale in epoca imperiale. Le navi militari, come quella che portò il serpente di Esculapio, potevano, invece, certamente risalire il fiume a forza di remi. Per l’alaggio necessario alla risalita del fiume (fatto rigorosamente da uomini e non da animali) si proibì di costruire lungo le rive del fiume fra Roma e la foce. Il viaggio durava in tal modo 3 giorni (per fare 35 km), mentre i viaggiatori scendevano ad Ostia e prendevano i carri che ci mettevano solo 3 ore al massimo per portarli in città. Anche se il grosso del commercio era dato soprattutto da grano, vino ed olio, proviamo ad notiziario 3, Maggio/Giugno 2020 u9

immaginare quanto materiale da costruzione abbia viaggiato sul Tevere per abbellire Roma: nella sola costruzione del Colosseo si impiegarono 200 mila tonnellate di materiale ed il Lanciani ritenne che fossero 50 mila le colonne innalzate in tutta la città. C’è poi da considerare il trasporto via fiume dei marmi e degli obelischi. Pensiamo alla celebre nave di Caligola creata appositamente per trasportare quello che oggi si trova a San Pietro e che venne poi fatta affondare per creare il Porto di Claudio a Fiumicino; oppure alla nave che trasportò l’Obelisco Lateranense, il più grande di Roma, se pensiamo che per il solo trasporto lungo il Nilo fu necessaria una nave con 300 remi. In età imperiale, inoltre, non dobbiamo poi dimenticare le numerose navi che portavano a Roma gli animali per le venationes (talvolta ne arrivavano migliaia, alcuni dei quali, pensiamo agli elefanti, avevano bisogno di navi particolari) ed i viaggiatori (turisti, funzionari, commercianti, militari). Il grosso problema di Roma, però, era che, a parte imbarcare viaggiatori e soldati, le navi ripartivano da Roma vuote.


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famigliA La TORLONIA Di Elena Cipriani

Chi di noi, soprattutto a Roma, non ha sentito parlare della Famiglia Torlonia? E chi non è mai stato, almeno

una volta a passeggiare nei viali della Villa che porta il loro nome? O a fare una visita nel Casino dei Principi o nella Casina delle Civette? Ma sappiamo veramente chi erano i Torlonia? Sembra strano, ma la famiglia che più di ogni altra, per un certo periodo, ha rappresentato Roma in Europa non è di origine romana né tanto-

meno italiana. Ci dobbiamo recare in Francia, nell’Alvernia, nel dipartimento di Puy de Dome, non distante da Lione, per trovare un ragazzo, Marin Tourlonias, che nella prima metà del ‘700, lascia la Francia e si reca a Roma; si dedicherà al commercio dei tessuti, ma non solo. Infatti, secondo numerose ricerche, è accertato che diventò il cameriere di fiducia, una specie di segretario particolare, del cardinale Troiano Acquaviva d’Aragona, il quale, alla morte, lo lasciò erede di una cospicua rendita che gli permetterà di 10 unotiziario 3, Maggio/Giugno 2020

Tra le famiglie nobiliari romane ce n’è una che, pur non avendo alle spalle secoli di storia come tante altre, ha prepotentemente segnato le cronache della nostra città, e non solo, dalla metà del XVIII secolo in poi aprire un negozio di tessuti a Trinità dei Monti (forse vicino Palazzo Zuccari), rivendendo sete e broccati provenienti da Lione. Oltre a questa fiorente attività, la rendita e le conoscenze coltivate negli anni nella Curia Romana gli permetteranno di aprire un Banco di Cambio. Marino, che nel frattempo aveva italianizzato il cognome in Torlonia, muore nel 1782 e viene sepolto in San Luigi de’ Francesi; questa sepoltura indica il livello di notorietà e di importanza raggiunto. Il figlio Giovanni Raimondo, nato a Roma nel 1754, fu colui che ve-


A fianco, stemmi posti da Giovanni Torlonia sui suoi possedimenti. Giovanni Torlonia (1873-1938). In apertura, Villa Albani Torlonia © Fondazione Torlonia. Photo Lorenzo De Masi. Sopra la Casina delle Civette, all’interno di Villa Torlonia

ramente fece fare il salto di qualità all’impresa di famiglia; già nel 1786 affidò il negozio (che prima di morire il padre aveva spostato sulla via Condotti) ad un fiduciario e si dedicò totalmente a consolidare la posizione del Banco, ospitato in alcuni locali di palazzo Raggi al Corso; forse in questo lo favorirono i contatti che i Torlonia avevano conservato con il paese di provenienza, certo è che molti dei viaggiatori in arrivo a Roma per affari o per il Grand Tour scelsero lui per appoggiare e cambiare presso il Banco Torlonia il danaro di cui avevano bisogno per i loro lun-

ghi soggiorni. Nel 1797 Giovanni era già milionario, ma il desiderio più grande era quello di nobilitarsi attraverso una via che non poteva essere quella del nepotismo papale; primo passo in questa direzione fu nel 1794 la nomina a barone dell’Impero che gli fu offerta, in cambio dei suoi servigi, dal principe di Fürstenberg, di cui Giovanni era stato agente presso la Santa Sede. Mentre l’aristocrazia romana subiva i colpi della rivoluzione del 1789, Giovanni si era dato molto da fare, cercando sempre di mantenersi fenotiziario 3, Maggio/Giugno 2020 u11

dele al Papa (al quale all’occorrenza prestava grosse somme) e al tempo stesso facendo affari con i Francesi. Il momento più propizio fu quello della Repubblica romana del 179899, quando Giovanni, entrato in alcune società che si erano aggiudicate le forniture per l’armata d’occupazione, mise in poco tempo da parte i capitali necessari per approfittare delle vendite dei beni nazionali, con operazioni di compravendita in cui l’elemento di successo, quello che gli assicurò i guadagni migliori, era dato dalla tempestività. Tra il 1797 e il 1814 Giovanni, acquistando feudi e i relativi titoli, diventa marchese di Romavecchia nel 1797, duca di Bracciano nel 1803 per acquisto dagli Odescalchi, principe di Civitella Cesi nel 1813 per acquisto dai Pallavicini, duca di Poli e Guadagnolo nel 1820 per acquisto dagli Sforza Cesarini. Sopra tutti questi castelli, ville e palazzi pose degli stemmi molto evidenti composti da sei rose d’oro con

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nobiltàromana

uu due stelle cade. Nel 1797 Giovanni

acquista da Filippo Colonna una villa sulla via Nomentana ed il terreno circostante. Nel seicento la zona, un terreno alquanto paludoso, era ricca di vigne e di poderi, appartenenti ad esponenti della Curia romana; Benedetto Pamphilj possedeva degli orti e un Casino, che affidò ad alcuni artisti, tra cui Carlo Fontana, per arricchirlo artisticamente e renderlo più confortevole, dove si organizzavano eventi culturali e quindi considerato uno dei centri di prestigio della vita mondana romana. La famiglia Colonna la acquistò nel 1762, ampliando la proprietà comprando i confinanti Giardino Lana e vigna Abbati. Una volta in possesso della Villa, Giovanni Torlonia la affidò a Giuseppe Valadier per la sistemazione; i lavori del Valadier nella Villa saranno svariati: l’edificazione delle Scuderie, l’ammodernamento del Palazzo Abbati (l’attuale Casino dei Principi), l’ingresso monumentale nella villa, poi demolito per i successivi lavori di ampliamento della Nomentana, la costruzione di varie fontane, viali ed aiole, arricchendo i giardini con svariate piante, anche esotiche. Inoltre, sempre consigliato dal Valadier, acquistò un gran numero di opere d’arte, dando così avvio a quella che diventerà la Collezione Torlonia. Giovanni muore nel 1829 e gli succederà il figlio Alessandro (1800-1886), che nel 1840 sposa Teresa Colonna (questo gli permette di aggiungere ai suoi stemmi la famosissima Colonna); sarà banchiere ed uomo d’affari, ma anche collezionista e mecenate. Diede avvio al prosciugamento del Lago Fucino, la sua grande opera che gli varrà il titolo di Principe del Fucino, mediante una Società Anonima di cui all’inizio fece parte insieme ad altri soci, per poi diventarne il proprietario; lavori estremamente dispendiosi, che gli fecero dire: “O Torlonia asciuga il Fucino, o il Fuci-

A sinistra, il Principe Alessandro Raffaele Torlonia. Sopra, la famiglia Mussolini a Villa Torlonia. Nella pagina accanto, rilievo con scena di porto. Marmo greco, m. 1,22x0,75 Inv. 430. Collezione Torlonia © Fondazione Torlonia. Photo Lorenzo De Masi

no asciuga Torlonia”. Considerati i servizi finanziari resi al papato, si comprende come Pio VII l’abbia chiamato “il padre della patria “ e che abbia detto alla madre Anna Maria Torlonia: “ Vostro figlio è il mio, egli ha salvato lo Stato “! (frase riportata da Stendhal ad un suo ministro). I Torlonia giunsero al rango di principe assistente al trono papale, carica che esiste ancora oggi nella famiglia. Alessandro sviluppa la collaborazione con i Rothschild (cassa d’ammortizzazione del debito pubblico, prestiti di Stato), acquista numerose partecipate (fabbriche, trasporti, commercio della lana, etc). Nello stesso tempo ingrandisce e trasforma palazzi e ville acquistate da suo padre. Le gallerie e i saloni della vera “reggia” che è diventata a Piazza Venezia il Palazzo Torlonia, ex-Palazzo Bolognetti (demolito all’inizio del XX° secolo a causa della costruzione del Vittoriano), erano ornate di sculture antiche e di opere di artisti contemporanei, ad esempio Canova, di cui Stendhal ammirerà il gruppo di “Ercole che getta Lyca in mare”, Thorwaldsen e altri. C’è inoltre il Palazzo Torlonia al Borgo (Via della Conciliazione), con i suoi ampi saloni in cui Alessandro ricevette migliaia di invitati ed organizzò feste memorabili dal 1840 al 1845, la Villa Albani, acquistata nel 1868, il Palazzo Torlonia a via della 12 unotiziario 3, Maggio/Giugno 2020

Lungara, già magazzino di un molino che sfruttava l’energia motrice dell’acqua Paola dal Gianicolo, sede della Collezione Torlonia, costituita partendo dall’antica collezione Giustiniani e definita dal curatore del Catalogo nel 1876 “un immenso tesoro di erudizione e d’arte ammassato nel silenzio”, il teatro Apollo, il teatro Argentina, poi ceduto alla città di Roma, e la sala Alibert. “Vi sono celebrità che non hanno bisogno di lode. Tale è quella della villa Albani”. Così inizia l’invito al lettore della guida di Morcelli, Fea e Visconti (La Villa Albani descritta, Roma 1869), stampata in occasione dell’acquisto (1866) della dimora un tempo appartenuta al cardinale Alessandro Albani. Dopo decenni di abbandono il principe Alessandro avviò ingenti interventi di restauro, come ricorda l’iscrizione a lettere di bronzo sulla facciata: «Alexander Albani vir eminentissimus instruxit et ornavit / Alexander Torlonia vir princeps in melius restituit» (L’eminentissimo signor Alessandro Albani costruì e adornò / il signor Principe Alessandro Torlonia restaurò al meglio), restituendo lustro e prestigio a questo prezioso gioiello di architettura neoclassica, tanto che qui nel 1870 venne firmata la resa di Roma da parte dello Stato Pontificio. Giovanni e Alessandro Torlonia diventarono così a Roma personaggichiave e il loro nome diventò quasi leggendario perché, come diceva il


proverbio “a Dio e a Torlonia, tutto è possibile” e più tardi, Ignazio Silone, nel suo romanzo Fontamara, farà dire ai personaggi: “In capo a tutto c’è Dio, padrone del cielo, poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe, poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi il nulla, poi ancora il nulla, poi vengono i cafoni.”E Stendhal, che li frequentò, scrisse: “Chiunque uomo pieno di milioni, usando i migliori scultori e architetti del suo secolo, ha una possibilità di essere immortale”. Nel 1887 il duca Leopoldo Torlonia, nipote di Alessandro, venne eletto Sindaco di Roma. Fu un Sindaco molto attivo sia riguardo al restauro di alcune parti di Roma, sia riguardo al miglioramento delle condizioni degli abitanti delle classi più povere (nel quartiere Testaccio favorì la costruzione di alloggi a bassi prezzi, ma con innovazioni igieniche). Fece demolire il mattatoio di Ripetta e costruire quello di Testaccio. Fu considerato dalla stampa colui che “operò la maggiore trasformazione di Roma dopo Augusto e Paolo V Borghese”. Nello stesso anno, intendendo promuovere una conciliazione con il Vaticano, in accordo con il Re, si recò in Vaticano a porgere gli auguri di fine anno al Papa Leone XIII. Fu subito criticato da Francesco Crispi che, diplomaticamente, costrinse il re ad emettere un decreto col quale Torlonia veniva rimosso da Sindaco.

Alessandro muore nel 1886 e le fortune della famiglia passano prima alla figlia Anna Maria, sposa di Giulio Borghese, il quale aveva “volontariamente” acquisito il cognome Torlonia per evitare l’estinzione della famiglia, e successivamente al figlio Giovanni jr. Giovanni jr. fu l’ideatore, nel ‘900, di numerose variazioni all’interno della Villa di famiglia, come il Villino Rosso, fatto edificare come alloggio per il suo amministratore (oggi sede dell’Accademia scientifica dei XL), il Villino Medievale, che sarà la residenza del padre Giulio una volta divenuto vedovo, la trasformazione della Capanna Svizzera in Casina della Civette, dove si ritirò a vivere quando, nel 1925, offrì in affitto (simbolico; il canone richiesto fu di 1 lira) la villa a Benito Mussolini. A supporto delle attività economiche potenziate dalla bonifica, Giovanni fondò nel 1923 la Banca del Fucino. Nell’Italia fascista, politicamente ben appoggiato, Giovanni Torlonia ricoprì importanti cariche finanziarie: presidente della Banca del Fucino, presidente dell’Istituto italiano di credito fondiario, presidente dei Consorzi riuniti per la bonifica dell’Agro romano, presidente del Consorzio per la bonifica della palude di Porto e dello stagno di Maccarese (presso Fiumicino), e ministro nel 1937. Alessandro, unico erede delle pronotiziario 3, Maggio/Giugno 2020 u13

prietà della famiglia, è morto nel dicembre 2017, lasciando una complessa situazione ereditaria; l’elenco delle proprietà, tra palazzi, opera d’arte e mobilio, dopo giornate intere per valutarne il valore, è stato stimato in circa due miliardi di euro. Ma dopo la morte del padre, il figlio primogenito Carlo ha trovato nei conti del padre soltanto 6000 euro! Inoltre, ha appurato che l’intera collezione di statue, collocate nei seminterrati del Palazzo Torlonia alla Lungara, erano state affidate in comodato alla Fondazione, presieduta dalle sorelle, e la Banca del Fucino era stata ceduta a costo zero (con crediti deteriorati che arrivavano a circa 300 milioni) alla Banca Igea. è comprensibile che dal 2018, tra i figli del principe, sia in corso una battaglia legale con circa quaranta cause giudiziarie. Dal 4 aprile 2020 fino al 10 gennaio 2021 era prevista una importantissima mostra a Roma, nella nuova sede espositiva dei Musei Capitolini a Palazzo Caffarelli, con l’esposizione di novantasei marmi della collezione Torlonia. Chissà se, dopo l’emergenza sanitaria attuale, la collezione sarà ancora a disposizione dei cittadini . La scelta della sede è stata dettata dal proposito di incentrare il percorso espositivo sulla storia del collezionismo: un aspetto sotto il quale la vicenda del Museo Torlonia alla Lungara (fondato dal principe Alessandro Torlonia nel 1875), che conta 620 pezzi catalogati, appare di eccezionale rilevanza. Questa raccolta è infatti l’esito di una lunga serie di acquisizioni, soprattutto della collezione Giustiniani, e di alcuni significativi spostamenti di sculture fra le varie residenze della famiglia. I marmi Torlonia costituiscono una collezione di collezioni, o meglio, uno spaccato altamente rappresentativo della storia del collezionismo di antichità in Roma dal XV al XIX secolo.


attivitàsul territorio

di b u l C territorio In questo numero pubblichiamo il resoconto della passeggiata dedicata alla scoperta di “Grotta Perfetta”, un antico territorio tra la via Ardeatina e la via Appia, evento effettuato in collaborazione con il locale Comitato di Quartiere. Di seguito, la prima passeggiata del progetto “I percorsi del gusto” a cura di Elisa bucci Console TCI - Coordinatrice del Club di territorio

PASSEGGIATA DEL 18 MAGGIO 2019

Grottaperfetta DI elisa bucci

Con questa passeggiata abbiamo voluto iniziare la nostra attività di collaborazione con i Comitati di Quartiere. Il Comitato di Quartiere di Grotta Perfetta svolge da anni un’intensa attività di coinvolgimento dei cittadini per la tutela e la valorizzazione della zona che, nonostante un intenso sviluppo edilizio, conserva ancora importanti testimonianze storiche, archeologiche e grandi parchi. La zona, che si colloca fra il Parco dell’Appia Antica e quello di Tor Marancia, suo naturale proseguimento, è stata per secoli destinata a produzione agricola per la città (come gli Horti Praefecti, da cui sembra derivare il toponimo di Grottaperfetta) ed anche punto di raccolta dei prodotti provenienti dall’Agro romano che, attraverso la Via Appia, qui venivano conservati (Granai di Nerva). Era presente un fitto reticolo di strade che portavano anche a santuari, a ville o a necropoli. Grazie alle illustrazioni di Gianfranco De Rossi, archeologo e studioso di questa zona, abbiamo conosciuto la storia di questo antico territorio, osservato il basolato di un’antica via romana (I sec. d. C.) e l’ingresso di una tomba ipogea proprio di fronte alla nuova Chiesa della SS. Annunziata. Proprio accanto sorge l’antica Chiesetta dell’Annunziatella, che a partire dal 1220, è stata testimone di tanti pellegrinaggi, in quanto in una posizione situata tra la Basilica di San Sebastiano e quella di San Paolo Fuori le Mura, che ne favoriva il transito da parte dei devoti. Anche il famoso pellegrinaggio delle Sette Chiese di S. Filippo Neri includerà per un certo periodo la visita della nostra chiesa. La Chiesa medioevale sarà più volte ristrutturata all’interno ed anche all’esterno: dal Cardinale Francesco Barberini alla metà del XVII sec. e successivamente 14 unotiziario 3, Maggio/Giugno 2020


© elisa bucci

© elisa bucci

Eufrosino della Volpaia, Topografia della Campagna Romana, 1547. Sopra, Chiesa dell’Annunziata, affresco dell’altare maggiore attribuito a Antoniazzo Romano. In apertura, il nostro gruppo

all’inizio del XVIII sec., nelle forme che oggi possiamo ammirare. Gianfranco De Rossi ci ha splendidamente descritto l’interno della chiesa, ove abbiamo ammirato in particolare l’affresco dell’Annunciazione attribuito ad Antoniazzo Romano (della scuola del Pinturicchio) e lo splendido pavimento cosmatesco recentemente restaurato. Il nostro socio Daniele D’Amico ci ha poi fatto da guida nel cortile del contiguo edificio già destinato all’ospitalità. Infatti tanti erano i pellegrini che per raggiungere la Basilica di S. Sebastiano sull’Appia Antica transitavano lungo la Via dell’Annunziatella, già Via Oratoria perché “vi si passava salmodiando”. uu notiziario 3, Maggio/Giugno 2020 u15


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di b u l C territorio

© elisa bucci

© elisa bucci

Dall’alto in senso orario: Matteo Gregorio de Rossi, Chiesa della Annuntiata fuori delle mura, una delle nove chiese, 1686/1688. Interno della Chiesa. La Chiesa dell’Annunziata in una stampa di G. Maggi del XVII sec. Il Parco di Forte Ardeatino

Proprio qui sia in occasione della tradizionale festività dell’Annunziata (25 marzo) sia la prima domenica di maggio venivano organizzati grandi festeggiamenti popolari con la distribuzione ai poveri e ai pellegrini di “quaranta decine di pane fatto in pagnotte di un quatrino l’una almanco” (da “Mariano Armellini - Le Chiese di Roma dal sec. IV al sec. XIX-1891). Era tradizione proprio per la festa di maggio che i festaioli si incoronassero di rose “che appunto in primavera, sulla stessa via, era celebrata dai campagnoli di Roma antica” (da Benedetto Blasi-Stradario Romano-1923) uu

Ci siamo quindi avviati verso il Parco del Forte Ardeatino, una verde area adibita a parco pubblico, dove siamo stati accompagnati da Fabio Colombo, che ci ha illustrato la storia del Forte purtroppo oggi in pieno abbandono e in pericoloso stato di degrado. La storia dei Forti ha inizio subito dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia; infatti, allo scopo di controllare l’accesso alla città, si avviò la progettazione di una cinta fortificata, lunga circa 40 km. Fu così realizzato (1877-1891) un sistema difensivo, denominato “campo trincerato”, costituito da quindici forti e quattro batterie. Il Forte Ardeatino, insieme al Forte Ostiense ed a quello Appio, difendeva le mura della città nella loro parte meridionale. Abbiamo concluso la nostra passeggiata con le descrizioni di Anna Laura Rosati, che ci ha illustrato gli interessanti aspetti botanici del Parco. Ringraziamo il Presidente Mario Semeraro e i Volontari del Comitato di Quartiere, l’archeologo Gianfranco De Rossi e i nostri soci Daniele D’Amico, Elisa Bucci e Silvana Pelosi che hanno reso possibile questa giornata. 16 unotiziario 3, Maggio/Giugno 2020


PASSEGGIATA DEL 26 MAGGIO 2019

Nel cuore di Roma fra i rioni Colonna, Pigna, con visita del Palazzo Patrizi Montoro

i del Percorsi Gusto

DI MASSIMO MARZANO E VITTORIO GAMBA è un percorso che ha portato alla scoperta di cibi, piatti ed abitudini alimentari dei Romani nel corso dei secoli, dall’antichità all’alba del XX secolo. L’itinerario si è snodato fra i luoghi più celebri e “vivi” della città, da Piazza Colonna a Largo San Luigi dei Francesi, passando per Piazza di Pietra, Capranica, Campo Marzio, con una dolce degustazione di chicchi di caffè della storica caffetteria e torrefazione S. Eustachio Caffè. Le degustazioni di biscotti, cioccolatini, torroncini etc. costituiscono una gradita e sempre ben accetta caratteristica dei “percorsi del gusto”. La passeggiata si è conclusa con la visita di Palazzo Patrizi Montoro, condotta personalmente dal marchese Corso Patrizi. Il percorso è iniziato da Piazza Colonna con un’introduzione sull’acqua da bere a Roma e sul pozzo della chiesa di Santa Maria in Via. è proseguito ricordando le mandrie e le greggi che giravano per la città e sul Corso, visto che i proprietari principali erano le grandi famiglie romane. Lo spunto è dato da Palazzo Del Bufalo Ferrajoli, che era una delle maggiori famiglie del settore. L’analisi si è allargata al consumo uu

Il nostro gruppo © M. Belati

notiziario 3, Maggio/Giugno 2020 u17


attivitàsul territorio

© M. Belati

di b u l C territorio

In questa pagina da sx in senso orario, il nostro itinerario con le tappe: 5. Chiesa di S. Luigi dei Francesi; 3. Palazzo Patrizi; 4. Palazzo Giustiniani; 7. Collegio Germanico; 1. Parte dell’Ospizio (Palazzo di S. Luigi); 6. Chiesa di S. Agostino; 2. Convento P.P. Agostiniani. Giuseppe Vasi, “Largo di S. Luigi dei Francesi”, 1759. La sala Verde

di carne ovina e bovina. Sono stati menzionati i Caffè celebri della zona, i venditori ambulanti che stazionavano proprio qui e dei tostatori di caffè. Prendendo Via dei Bergamaschi (con una storica osteria) siamo arrivati a Piazza di Pietra, con il mercato temporaneo spostato dal Pantheon. Da Via dei Pastini, dove abbiamo parlato dei famosi trionfi per le puerpere preparati nei negozi di questa via e delle botteghe di paste e fedelinari, attraverso Vicolo della Spada di Orlando, siamo arrivati a Piazza Capranica e a via delle Colonnelle, dove c’erano (e ci sono ancora) osterie storiche tipiche. Mentre camminavamo tra queste vie che conservano un fascino particolare ed un’atmosfera avvolgente e piacevole, abbiamo parlato anche della pasta a Roma nel Medioevo e nel Rinascimento. Argomento non da meno piacevole e allettante! Abbiamo proseguito per Via del Collegio Capranica e per Via della Guardiola e siamo arrivati a Via Uffici del Vicario, dove non poteva mancare un accenno all’antica e rinomata gelateria Giolitti e alla storia del gelato.

uu

Siamo passati davanti Via del Campo Marzio, dove abbiamo parlato dei “saltimbocca”, e per Via della Stelletta. Così siamo arrivati a Via della Scrofa, proprio davanti al ristorante Alfredo. È stata l’occasione per continuare il nostro discorso sulla pasta con i piatti tipici romani, dalla carbonara alle celebri fettuccine all’Alfredo. Su Via della Scrofa siamo passati poi davanti al Convento di S. Agostino, una buona occasione per parlare della dieta rinascimentale dei monaci del convento e più in generale dei religiosi a Roma. Siamo arrivati tra ricordi, aneddoti, pietanze e cibi, gustati con la fantasia, che hanno generato un certo languorino, al civico 37 di Piazza San Luigi dei Francesi, al Rione Sant’Eustachio, a Palazzo Patrizi, una delle più antiche e più belle dimore storiche di Roma, proprio di fronte alla celeberrima chiesa di S. Luigi dei Francesi, dove sono i famosi dipinti di Caravaggio: “il Martirio di San Matteo”, “San Matteo e l’angelo” e “la Vocazione di San Matteo”. Sulla soglia del portone ci è venuto incontro il marchese Corso Patrizi Naro Montoro, al quale ho lasciato la parola. “Buongiorno a tutti voi, Lasciate fuori la frenesia della città, immergetevi in questa antica abitazione, in questo luogo uscito da un’altra epoca, insomma in un altro mondo. Sono Corso Patrizi, legato a molte famiglie romane, tra cui i Marchesi Montoro ed i Marchesi Naro. Discendo da una nobile famiglia originaria di Siena, che nel 1537 si stabilì a Roma. Nel 1642 questo palazzo, 18 unotiziario 3, Maggio/Giugno 2020


dove ora vi trovate, fu acquistato dai miei antenati. Era nel 1511 una modesta casa che un certo Gaspero dei Garzoni di Jesi acquistò da Alfonsina Orsini, che venne modificata con una serie di lavori svoltisi ad intervalli, nel contesto di un susseguirsi di compravendite. Nel 1605 il palazzo fu acquistato da Olimpia Aldobrandini, che comprò anche un edificio adiacente, di proprietà dell’Arciconfraternita della Carità e dell’Ospedale della Consolazione. La nuova padrona fece unire i due edifici in un’unica costruzione, commissionandone la facciata, che venne completata nel 1611. Sebbene siano stati fatti i nomi di Giacomo Della Porta, di Carlo Maderno e di Giovanni Fontana, tuttora resta difficile determinarne l’attribuzione. Sapete alla fine del ‘600 le attività in Banchi erano diminuite, via Giulia era una tranquilla via residenziale e il centro degli affari si era spostato tra piazza Navona e Campo de’ Fiori e in questo reticolo di strade e piccole piazze, spesso specializzate in determinate attività e commerci, operavano gli artigiani di qualità ed era situata la maggior parte dei negozi della città. Il ceto superiore risiedeva in Campo Marzio e sul Quirinale, il ceto medio in Monti, e in Trastevere vivevano modesti artigiani, ortolani e giardinieri, soprattutto intorno al porto di Ripa Grande. Il palazzo fin dal 1690 fu oggetto di varie modifiche e ristrutturazioni operate, in particolare, nel primo Settecento da Sebastiano Cipriani; mentre ulteriori lavori si ebbero nel 1747 ed altri rinnovamenti nel 1823 ad opera di Luigi Moneti. Tutte le camere sono arredate con mobili deI ‘600 e del ‘700, arricchite da una collezione di dipinti, realizzata grazie alla passione e al mecenatismo di Costanzo Patrizi (1589–1624), tesoriere di Papa Paolo V Borghese, e di Giovanni Battista Patrizi (1658–1727), tesoriere del Papa Clemente XI Albani. Potete anche ammirare un preziosissimo servizio di porcellana della Manifattura Reale di Sassonia Meissen di 198 pezzi decorati con uccelli”. Guidati dal marchese, siamo saliti per lo scalone d’ingresso ed abbiamo iniziato la visita. Abbiamo avuto modo di vedere la Sala rossa, la Sala verde ed un Salone da ballo e la biblioteca/studiolo, dove è conservato lo Stendardo di Santa Chiesa, che fu portato da un componente della famiglia Naro, Francesco Naro, che partecipò alla battaglia di Lepanto imbarcato nella nave Capitana al comando di Marcantonio Colonna. Lo Stendardo di Santa Chiesa è costituito di un drappo di seta rossa guarnito di frangia a fiocchetti pure di seta rossa intarsiata d’oro con cordoni e fiocchi simili; nel campo ci sono stelle ricamate in oro e da ambo le parti nel mezzo lo stemma gentilizio del papa pro tempore ricamato in oro e in seta con i colori del suo blasone sovrastato dal triregno con le chiavi incrociate. Nelle cerimonie pontificie era affiancato o preceduto dai due luogotenenti comandanti delle compagnie di Cavalleggeri. Abbiamo provato, grazie al modo affabile e cordiale del marchese Corso Patrizi, la sensazione di essere in una casa nobile del XVII secolo, conservata con i suoi arredamenti originali del ‘600 e del ‘700. Dopo un paio di ore abbiamo lasciato l’antica e bella dimora signorile dei Patrizi, con la speranza di poterci incontrare di nuovo. notiziario 3, Maggio/Giugno 2020 u19

In questa pagina, dall’alto in senso orario: Palazzo Patrizi. Sala con tavola imbandita col servizio Meissen. Lo stendardo. La sala rossa. Un particolare del servizio di Meissen


attivitàsul territorio Elenco pubblicazioni video su Facebook e Youtube EVENTO E AUTORI

TITOLO

DATA DI USCITA 2020

Evento Dante 1 Massimo Marzano. Stefano Maria Palmitessa, Anna Selbmann

Dante Dì

25 marzo

Pillola di Roma 1 Simonetta Mariani

Chiesa di S. Marcello al Corso

27 marzo

Pillola di Roma 2 Raffaele Focarelli Claudio Carlucci

Il Porto di Ripetta

1° aprile

Pillola di Roma 3 Paola Palmucci

Raffaello Architetto e Palazzo Alberini

6 aprile

Evento Dante 2 Massimo Marzano, Stefano Maria Palmitessa, Anna Selbmann, Paola Sarcina

Dante Dì

8 aprile

Sito TCI Paola Palmucci

Rione Ludovisi

9 aprile

Auguri Massimo Marzano, Paola Sarcina, Anna Selbmann, Stefano Maria Palmitessa

L’infinito

11 aprile

Pillola di Roma 4 Andrea Portante

Piazza del Popolo

14 aprile

Pillola di Roma 5 Pino Baviera

Tempio di Portunus

18 aprile

Pillola di Roma 6 Patrizia Coppola

Chiesa di S. Maria Liberatrice

21 aprile

Sito TCI Patrizia Coppola, Simonetta Mariani

Rione Testaccio

23 aprile

Pillola di Roma 7 Massimo Marzano

Chiesa di S. Benedetto in Piscinula

27 aprile

Appia Antica Massimo Marzano, Andrea Lezzi, Paola Sarcina

Itinerario Naturalistico sull’Appia Antica

1° maggio

Pillola di Roma 8 Claudio Carlucci

Scalinata di Trinità dei Monti

5 maggio

Alberto Castagnoli

Un pensiero speciale a Venezia

7 maggio

20 unotiziario 3, Maggio/Giugno 2020


Per l’Appia Day Massimo Marzano, Anna Selbmann, Elisa Bucci, Paola Sarcina

Le donne e l’Appia Antica

10 maggio

Pillola di Roma 9 Elena Cipriani

Il Villino Rosso della famiglia Torlonia

12 maggio

Sito TCI Raffaele Focarelli

Rione Prati

12 maggio

Pillola di Roma 10 Rosalia Di Bella

Crepereia Tryphaena

15 maggio

Schegge del cuore 1-2 Gabriella Palombo, Franco Castelli

La “formula magica” … per sempre Naufraghi di ieri e di oggi

21 maggio

Pillola di Roma 11 Raffaele Focarelli

Il Mausoleo di Augusto

26 maggio

Schegge del cuore 3-4 Paola Palmucci, Massimo Pratelli

“Juno sospita regina mater” Sull’isola Tiberina: leggende, ricordi…

29 maggio

2 Giugno Marzano, Bucci, Carlucci, Cipriani

2 Giugno 2020 …Ricordiamo

2 giugno

Schegge del cuore 5-6 Patrizia Coppola, Alberto Castagnoli

Un’emozione… immutabile nel tempo Un parco giochi tra le colonne di marmo

5 giugno

Schegge del cuore 7-8 Elisa Bucci, Sandro Miragliotta

Il suono di una fontana La statua di S. Francesco: i ricordi...

9 giugno

Pillola di Roma 12 Elisa Bucci

Colomba Antonietti, un’eroina della Repubblica Romana

13 giugno

Pillola di Roma 13 Daniele D’Amico

Il complesso dei SS. Quattro Coronati

16 giugno

Schegge del cuore 9-10 Anna Selbmann, Massimo Marzano

Appuntamento… alla Gricia Il cannone, i burattini e il “fontanone”

19 giugno

Pillola di Roma 14 Elena Cipriani

Il Complesso di S. Giovanni Decollato

24 giugno

Sito TCI Mauro Belati, Simonetta Mariani

Quartiere Monte Sacro “Città giardino Aniene”

24 giugno

Schegge del cuore 11-12 Marina Ronchi (socio), Claudio Carlucci

Una corsa sotto l’Arco La strada per... la mia scuola

27 giugno

notiziario 3, Maggio/Giugno 2020 u21


attivitàsul territorio

Schegge del cuore 13-14 Simonetta Mariani, Andrea Lezzi

La Villa del cuore L’Orto Botanico di Roma

30 giugno

Schegge del cuore 15-16 Giovanna Varese, Gianni Ricci

La scoperta di un antico gioiello Un mix di fede e di affetti

3 luglio

Pillola di Roma 15 Massimo Pratelli

La Chiesa di S. Pietro in Montorio

7 luglio

Pillola di Roma 16 Anna Graziano

Le Statue Parlanti

10 luglio

Nella speranza che a settembre ci si possa ritrovare tutti presso quei siti che ci hanno visti svolgere con grande soddisfazione il nostro servizio e nelle strade di Roma per le nostre passeggiate, la Redazione augura a tutti i volontari serene vacanze… da trascorrere preferibilmente in Italia!

Questa pubblicazione on-line, riservata ai volontari del Touring Club Italiano, è nata e vive esclusivamente con il contributo dei volontari stessi che, liberamente e a titolo gratuito, condividono con la redazione il frutto delle loro conoscenze. Volontari sono anche coloro che svolgendo tutte quelle attività “tecniche” come il coordinamento redazionale e l’impaginazione decidono la stesura finale del Notiziario.

In Redazione: Elisa Bucci, Alberto Castagnoli, Massimo Marzano, Massimo Romano Coordinamento editoriale: Massimo Romano Progetto grafico e impaginazione: Gianluca Rivolta Hanno collaborato a questo numero: Massimo Marzano, Elisa Bucci, Vittorio Gamba, Elena Cipriani 22 unotiziario 3, Maggio/Giugno 2020

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA APERTI PER VOI ROMA: Piazza Santi Apostoli, 62/65 Apertura dedicata ai volontari dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00. Tel. 06.36005281-3” apertipervoi.roma@volontaritouring.it


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