Aperti per Voi_Roma_notiziario 1/2019

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notiziario dei Volontari di Roma anno IV – numero 1 - gennaio/febbraio 2019

Guido Cadorin e la “Dolce Vita” romana degli anni Venti Gennaio/Febbraio 2019, notiziario 1 u1


romaanni venti

“Un raduno di figure che non hanno niente da dirsi; è proprio il silenzio il vero protagonista della festa notturna”

NELLA SALA

CADORIN DEL GRAND

HOTEL PALACE LA DOLCE VITA DEGLI ANNI ‘20 2 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2019

di Massimo Marzano

Nella sala Cadorin del Grand Hotel Palace, mentre te ne stai seduto nelle poltroncine tipo anni ‘20, stile Decò, assorto nei

tuoi pensieri, e sorseggi uno Spritz e lentamente mastichi qualche nocciolina e delle patatine, all’improvviso ti accorgi della presenza intorno a te di circa 78 persone a grandezza umana e rappresentate dal basso. Gli uomini sono in frac, in atteggiamento riverente ed impettito, impegnati in baciamano e salamelecchi; le donne, altere e distaccate, sembrano muoversi e talvolta ti guardano, indossando vestiti di seta o di lamé con profonde scollature e con fili di perle, capelli alla garçonne o con frange, con spettacolari pellicce. Quasi sembra che tutti si stiano


I personaggi più importanti dell’epoca ti guardano, fumano, conversano, baciano mani

Guido Cadorin, Particolare, 1926. Da sinistra, Olga Sangiorgi, Carla Resinelli, Maria Clerici Bournens, un ambasciatore e Gino Clerici. In copertina, Sala Cadorin al Grand Hotel Palace in via Veneto

Vicino alle colonne tortili. A sx., Roberto Papini e Giò Ponti, che occhieggia ironico, e a dx., Marcello Piacentini (Annalisa P. Cignitti, foto, 2015). Nella pagina accanto, Marcello Piacentini, Emil Vogt. Grand Hotel Palace

preparando a scendere nella sala e ad avvicinarsi ai commensali e alle tavole imbandite del rinfresco. “Il solo oggetto assolutamente immobile nella stanza era un divano enorme su cui erano posate come nella navicella di un pallone frenato due giovani donne. Erano vestite di bianco e con gonne fluttuanti e drappeggiate come se fossero appena ritornate da un breve volo intorno alla casa...Non conoscevo la più giovane delle due. Stava distesa sul divano, completamente immobile, e col mento un po’ sollevato come se tenesse in equilibrio qualcosa in procinto di cadere...L’altra ragazza, Daisy, fece l’atto di alzarsi, poi rise, una risatina assurda ed affascinante, e anch’io risi e avanzai nella stanza”… (Francis Scott Fitzgerald, “Il grande Gatsby”,1925).

Guido Cadorin, veneziano di nascita, che nel 1926 aveva 34 anni e che già si era distinto come pittore di affreschi in varie chiese e come decoratore ufficiale del Vittoriale di Gardone, dove su commissione di Gabriele D’Annunzio aveva decorato la camera da letto e disegnato mobili, lampade e tessuti, rappresenta sulle pareti un’epoca tutta intera, colta nel momento di una festa notturna destinata a durare e a ripetersi ogni volta che fosse stata osservata. (Adriana Capriotti, “Grand Hotel Palace - Via Veneto”). Sulle pareti della sala, in 10 riquadri, il pittore dispone le scene entro gli spazi di un’architettura dipinta, composta da balaustre, colonne tortili, giardini, fontane e mitrei, memore delle suggestioni architettoniche di Paolo Veronese, ampliando notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2019 u3

lo spazio reale con una magnifica illusione prospettica. In queste scene si possono distinguere le personalità più note del periodo: il proprietario dell’albergo, Gino Clerici, sua moglie, Maria Clerici Bournens, sua suocera Antonietta Bournens Seves, l’architetto Bega (insieme al quale Cadorin realizzò la sala), il Direttore della Galleria di Arte Moderna di Roma, Roberto Papini, lo scrittore Francesco Sapori, il critico teatrale Alberto Cecchi. l’architetto Giò Ponti, il già rinomato e famoso architetto Marcello Piacentini, che aveva progettato l’albergo, e la scrittrice e critica d’arte, Margherita Sarfatti, all’epoca già amante di Benito Mussolini, con la figlia Fiammetta. “Una volta ho scritto sugli spazi vuoti i nomi di coloro che frequen- uu


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tarono la casa di Gatsby quell’estate. Ormai l’orario é vecchio, tutto stropicciato; porta per intestazione: “Quest’orario entra in vigore il 5 luglio 1922”. Ma riesco ancora a leggere i nomi grigi che da soli vi daranno un’impressione più chiara di quanto possano farlo le mie descrizioni delle persone che accettarono l’ospitalità di Gatsby e gli offrirono il complimento accorto di non sapere assolutamente niente di lui. Allora, da East Egg venivano i Chester Becker e i Leech...gli Hombeam e i Willie Voltaire...gli Ismay e i Chrystie...Pure da New York venivano i Crome e Backhysson...Tutta questa gente veniva in casa di Gatsby quella estate”. (Francis Scott Fitzgerald, “Il grande Gatsby”). Certo, Gino Clerici dovette essere molto indaffarato nei giorni precedenti all’inaugurazione dell’albergo, che avvenne il 6 febbraio 1927. Egli era molto conosciuto nell’ ambiente romano, perché era stato fino al 1924, prima di essere rimosso da Mussolini, il Consigliere Delegato per la colossale operazione di bonifica delle Paludi Pontine. Clerici decise di acquistare uno dei lotti, che restava ancora libero derivante dall’alienazione e distruzione tragica della famosa ed estesa villa Ludovisi, proprio davanti al palazzo fatto costruire tra il 1886 ed il 1890 dal principe Rodolfo Ludovisi Boncompagni, che nel 1901 era diventata la residenza della Regina Margherita, vedova di Umberto I di Savoia, ed oggi sede dell’Ambasciata degli Stati Uniti. Nell’area compresa tra Porta Pinciana e piazza Barberini già erano stati costruiti nel 1889 l’Hotel Majestic, nel 1892 l’Hotel Regina Carlton e nel 1906 l’Hotel Excelsior, mentre era stato trasformato a fini turistici nel 1889 l’Hotel Eden e costruito nel 1905 l’hotel Flora. Molti villini liberty erano sorti tra via Boncompagni e via Piemonte. Architetti famosi erano stati gli artefici della costruzione di questi alberghi e palazzi,

come Giulio Podesti (Hotel Regina Carlton), Mauro Vitale (Hotel Eden), Otto Maraini (Villa Maraini - Hotel Excelsior), Carlo Busiri Vinci (Hotel Ambasciatori Palace), Gaetano Koch (Hotel Majestic - Palazzo Margherita ovvero la sede dell’Ambasciata degli Stati Uniti), Giovanni Battista Giovenale (Palazzina del principe Luigi Boncompagni Ludovisi ovvero il Museo Ludovisi Boncompagni delle Arti Decorative), Marcello Piacentini (Hotel Palace - il Palazzo del Ministe-

ro delle Corporazioni, oggi sede del Ministero dello Sviluppo Economico - Palazzo della Banca Nazionale del Lavoro). Nel 1927 l’architetto Coppedé fece costruire un palazzo di quattro piani all’angolo tra via Veneto e piazza Barberini, dove furono inseriti 13 motti lapidari, ad. es. “Roma lenta, quia aeterna”. Sul lotto di terreno acquistato Clerici volle costruire un albergo che si distinguesse per

Salone delle Vedute al Museo Ludovisi Boncompagni. Sotto, da “Il Grande Gatsby”, 2013. Baz Luhrmann - Daisy Buchanam (Carey Mulligan) - Jay Gatsby (Leonardo Di Caprio) - Daisy Buchanan: “Tutte le cose belle e preziose svaniscono così presto, e non tornano più!”

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modernità e che fosse pienamente efficiente e razionale. Voleva anche che fosse un manifesto delle più moderne tendenze artistiche, un esempio unico di stile “anni Venti” ed in questo fu aiutato dalla presenza di personalità artistiche di primo piano, come l’architetto Marcello Piacentini, il pittore Cadorin, lo scultore Alfredo Biagini e da valenti artigiani come Carlo Rizzarda per la lavorazione del ferro battuto, Mario Quarti per il mobilio, ed i tessitori

dell’opificio reale di San Leucio per le tappezzerie. “...gli occhi mi caddero su Gatsby, in piedi, solo sui gradini di marmo, intento a passare lo sguardo da un gruppo all’altro approvando con gli occhi...”(F. Scott Fitzgerald, “Il grande Gatsby”). Certo, per Clerici era stato un grande impegno - oltre mille e cinquecento invitati - quello di organizzare la cerimonia di inaugurazione

La storia dell’evoluzione del rione Ludovisi dopo la presa di Roma del 1870 sarà oggetto di due passeggiate, che saranno effettuate il 6 ed il 7 aprile 2019. Una passeggiata riguarderà la visita dell’edificio del Ministero dello Sviluppo economico, che, realizzato tra il 1930 e la metà del 1932 da Marcello Piacentini e Giuseppe Vaccaro, fu il Ministero delle Corporazioni con opere di diversi artisti dell’epoca, come Mario Sironi, Giovanni Prini e Antonio Maraini; l’altra passeggiata dal salone delle Vedute del Museo Ludovisi Boncompagni, lungo via Veneto, fino al Grand Hotel Palace con la sala Cadorin riguarderà la distruzione di Villa Ludovisi e la costruzione del rione Ludovisi, istituito con Delibera di Giunta n. 20 del 20 agosto 1921 con le vicende storiche, sociali ed urbanistiche che lo hanno caratterizzato.

Guido Cadorin (particolare), 1926. Da sinistra, Rina Piacentini ed il critico teatrale Alberto Cecchi; in secondo piano, Margherita e Fiammetta Sarfatti

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dell’hotel, camerieri in livrea nera e guanti bianchi, paggetti con vestiti orientali e ceste di frutta esotica, servitori in livrea settecentesca con ghepardi al guinzaglio. Del resto il gusto per l’esotismo era molto diffuso presso i ceti alto borghesi ed aristocratici, come è testimoniato anche dalla notorietà della canzone “Creola”. Poi non era stato uno scherzo nemmeno far preparare il buffet di gala: su grandi vassoi d’argento vol au vent salati e tartine gelatinate ai gamberi, al caviale, al salmone affumicato, al paté con cocktail champagne, Martini e Mint Julep, appena arrivato dall’America; consommé di brodo di fagiano con crostino farcito con fagiano, uova di quaglie e tartufo nero, e stracciatella in brodo, zuppe di vari tipi, spaghettini al burro e parmigiano; aragosta gratinata con pangrattato e prezzemolo, Che piacere per il palato e per gli occhi guardare il luccicare della gelatina delle tartine! ...non aggiungo altro. “...Sulle tavole dei rinfreschi, guarnite di antipasti scintillanti, i saporiti prosciutti al forno si accatastavano, coperti da insalate dai disegni arlecchineschi insieme a porcellini e tacchini ripieni, trasformati come per magia in oro cupo...Nel salone principale era impiantato un bar con un’autentica ringhiera di ottone, stracarico di gin e di liquori e di cordiali. Il bar è in piena attività e le ronde fluttuanti di cocktails permeano il giardino, finché l’aria risuona di cicalecci e risa e frasi di convenienza e di presentazione subito dimenticate e di incontri entusiastici tra donne che non si conoscevano neanche di nome”... (F. Scott Fitzgerald, “Il grande Gatsby”). Cadorin rappresenta la dolce vita romana degli anni Venti e la rappresenta come una festa senza fine. Rende quegli uomini e quelle donne immortali, eterni partecipanti ad una festa notturna, ma, invece, sono uu


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i portatori di effimere sensazioni, testimoni di un mondo che non c’è più. Come alcuni anni dopo dice Fabrizio Clerici, figlio minore del proprietario Gino e ben noto artista, che all’epoca era troppo piccolo per apparire in una festa notturna ed al quale il maestro Cadorin, per rimediare, regalò un suo disegno con un putto tenuto in mano da un angelo: “La festa notturna ideata da Guido Cadorin,

come assai avviene nei ricevimenti, è un raduno di figure che non hanno niente da dirsi. E’ così, è proprio il silenzio ad essere il vero protagonista di quella festa notturna”. “Quasi tutte le grandi ville costiere oramai erano chiuse e le luci erano rare...pensai allo stupore di Gatsby la prima volta che individuò la luce verde all’estremità del mondo di Daisy. Aveva fatto molta strada per

Sala Cadorin al Grand Hotel Palace in via Veneto

Lo scrittore Francesco Sapori e Antonietta Bournens Seves. In primo piano, di spalle, il pittore Guido Cadorin. A dx, Guido Cadorin, “Signora con sigaretta” 6 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2019

giungere a questo prato azzurro e il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino da non poter sfuggire più. Non sapeva che il sogno era già alle sue spalle, in questa vasta oscurità dietro alla città, dove i campi oscuri della repubblica si stendevano nella notte. Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C’è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia...e una bella mattina… Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato”. (F. Scott Fitzgerald, “Il grande Gatsby”). Mondi che non ci sono più, come la villa Ludovisi, amata da molti viaggiatori del Grand Tour, come Goethe, Stendhal, Gogol, che Herry James descrive come il luogo più bello di Roma, “in cui viali sagomati da secoli con le forbici” si snodavano tra “vallate, radure, boschetti, pascoli, fontane riboccanti di calami e grandi prati fioriti, punteggiati qua e là da enormi pini obliqui”, come la Roma della Dolce Vita, descritta e raccontata da Fellini e da Flaiano, luogo di incontro di scrittori, pittori, giornalisti, attori. Tutto il mondo che ruota intorno a via Veneto “è stato il simbolo, nel bene e nel male, sia per l’epoca di Cadorin, gli anni Venti, sia per l’epoca di Fellini, gli anni Cinquanta e Sessanta, di una Roma che usciva dalle due guerre mondiali, di un Paese che aveva la volontà di ricostruire e di godere dei piaceri della vita”. Ciò che è passato, non ritorna, per cui “non ci si può certo illudere che, come per miracolo, ritornino i fantasmi di quei tempi. C’è solo da sperare che a Roma, come in Italia, rinasca il gusto di una vita sociale e culturale autentiche. Allora forse potrà ritornare a vivere anche via Veneto”. (Giovanni Russo, “Con Flaiano e Fellini a via Veneto - Dalla dolce vita alla Roma di oggi”).


cosemai viste

Di RINALDO GENNARI

LA SCROFA DI VIA DELLA SCROFA E LA GATTA DI VIA DELLA GATTA Se la prima, la scrofa, è facile da individuare perché posta ad altezza d’uomo lungo la via della Scrofa, appena prima di via dei Portoghesi, sul muro dell’ex convento di S. Agostino, palazzo che ospita oggi l’Avvocatura Generale dello Stato, e si tratta di un piccolo bassorilievo con l’immagine di una scrofa che sembra brucare, tanto piccola da stare nel nostro contenitore delle “Cose mai viste”, non così la seconda, la gatta di via della gatta, via che conduce da via del plebiscito a piazza Grazioli. La scrofa faceva parte di un gruppo scultoreo ad ornamento di una piccola fontana allestita sotto il pontificato di Gregorio XIII, con tanto di vaschetta per la raccolta dell’acqua. Nel 1873 per l’allargamento della strada i due manufatti vennero separati e la vasca spostata nel vicino angolo mentre la scrofa cessò di gettare acqua dalla bocca e rimase inglobata del muro.

Piccole grandi storie

per le strade

di Roma

Ecco altre curiosità romane per la serie “Cose ma viste”

Cercare invece la gatta di via della gatta non è così facile perché si è andata ad appollaiare sulla gronda di un palazzo prospicente alla piazza Grazioli e ci guarda ineffabile. C’è da chiedersi cosa ci faccia questo piccolo marmo e da dove venga. Ebbene, il luogo è vicino a quell’area dove insisteva l’Iseo Campese, il tempio della dea Iside e del consorte Serapide, tra il Pantheon e la chiesa di Sant’Ignazio. Nella zona, riservata al culto di Iside, favorito da Cleopatra, c’era dunque un complesso templare in cui il gatto aveva una sua sacralità e con il disuso progressivo del sito molte delle sue opere andarono uu notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2019 u7


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perse e molte altre recuperate a nuova vita. Infatti, ci sono molti altri reperti che vengono dall’Iseo, oltre alla nostra gatta, e tanto per dire solo di alcuni che sono in giro per la città e non all’interno dei musei cittadini, ricorderemo i leoni ai piedi della scalinata del Campidoglio, e quelli che adornano la mostra dell’acqua felice alla fontana del Mosé a piazza S. Bernardo, e ancora l’obelisco in groppa all’elefantino della Minerva e quello sulla piazza del Pantheon, e perfino la statua parlante di Madama Lucrezia a Piazza S. Marco, che altri non è che Iside o una sua sacerdotessa, e ancora il piè di marmo della via omonima che si suppone sia il piede di una colossale statua di Serapide, se non della consorte Iside e, infine, è da pensare che almeno due delle sfingi in marmo presenti in piazza del popolo siano di provenienza dell’Iseo campese. E questo solo per dire dei reperti fruibili al di fuori dei musei e nemmeno di tutti.

COLOMBARI DIMENTICATI Molti di noi hanno conosciuto, e magari con orgoglio presidiato, il Colombario di Pomponio Hylas, piccolo ambiente ma di grande suggestione. In effetti gli “ossaria”, come sarebbe più giusto chiamarli, scoperti a Roma e talvolta visitabili, sono molti, tra i più celebri quello di Vigna Codini, quello scoperto a Villa Pamphili, e ancora sulle Vie Latina, Aurelia, Trionfale, Salaria e, immancabilmente l’Appia, fino alla valle della Caffarella. Insomma non è difficile trovare cimiteri a colombario, che infatti potevano essere costruiti da un privato per sé, la sua famiglia e i suoi servitori e liberti, ma c’erano anche colombari costruiti da una o più persone con intenti di investimento, cioè costruiti per essere venduti per porzioni a chi voleva assicurarsi un posto per le sue ceneri, e c’erano anche quelli costruiti da una associazione, come magari

un gruppo di aurighi, per essere destinati all’uso della propria squadra, della compagnia. Ora tutti questi ambienti sono custoditi e protetti, eppure ne possiamo censire uno, o quel che resta di esso, assolutamente abbandonato a sé stesso e destinato a sparire, per quanto conservi ancora l’incavo delle nicchie destinate ad ospitare le olle cinerarie, e una porzione di muro in laterizio che lotta con le erbacce (e molto altro) per la sua sopravvivenza. è lì, alla vista di tutti, in piena villa Borghese, scambiato per un rifugio improvvisato di qualche barbone, a due passi da Via Veneto. Per rintracciarlo basta raggiungere Via Pinciana, posizionarsi alle spalle dell’NH Collection 8 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2019

Hotel, a 20 metri dall’ingresso alla Villa, quello che conduce allo storico Cinema dei Piccoli, riuscirete a vedere questo patetico rudere, che non merita questa fine. Non sappiamo l’epoca, ma sicuramente appartiene allo sviluppo di quella tipologia cimiteriale che nacque a seguito della riforma sanitaria descritta da Orazio, riforma che fece sparire gli antichi puticoli, una sorta di pozzi di sepoltura comune, per essere sostituiti con questa soluzione più sana, pulita e rispettabile. Già questa rispettabilità che data dall’epoca di Augusto ci dovrebbe suggerire di proteggere in qualche modo queste labili tracce di un’antica devozione, cui spetta un posto fra le “Cose mai viste”.


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di b u l C territorio a cura di Elisa bucci

Console TCI

Domenico Fontana, Fontana del Mosè Mostra dell’Acquedotto Felice, 1586-1589 Sotto, Gian Lorenzo Bernini, Transverberazione di santa Teresa d’Avila, 1644-1652

Vi presentiamo i resoconti della settima e dell’ottava passeggiata del Progetto “Roma, Regina Aquarum”

PASSEGGIATA DEL 30 SETTEMBRE 2018

L’acqua e il Barocco nel Rione Trevi

(Testo a cura DI MASSIMO PRATELLI) Quale prima iniziativa del secondo semestre 2018, nell’ambito del Progetto “Roma, Regina Aquarum”, questa passeggiata, coordinata da Massimo Marzano, ha visto la partecipazione dei Volontari Massimo Pratelli, Vittorio Gamba, Elena Cipriani ed è stata allietata da alcune letture di brani, poesie e sonetti interpretate dai Volontari Stefano Maria Palmitessa e Massimo Romano. Non poteva esserci miglior “viatico” di quello che, con grande sorpresa, abbiamo avuto: i saluti, l’apprezzamento e gli auguri di Marco Lodoli, scrittore e giornalista di Repubblica che, inoltre, è stato “involontario” protagonista della nostra passeggiata attraverso i suoi scritti, estratti dal volume “Isole –Guida Vagabonda di Roma”, legati alle fontane, ai personaggi e ai monumenti che abbiamo incontrato lungo il percorso. Iniziamo proprio da questo breve testo di Lodoli, che inquadra perfettamente il nostro itinerario: “L’anima della nostra città è liquida: corre schiumando lungo il fiume che la traversa, s’inoltra nelle antiche terme romane, si arriccia lussuosa tra i marmi delle fontane più ardite e si offre umile dai tanti nasoni di ghisa sparsi sui marcia- uu notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2019 u9


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di b u l C territorio uu piedi.

Bella e fresca, l’acqua buona di Roma disseta le gole asciutte, rallegra lo sguardo con le sue capriole barocche e fa pensare al tempo che fugge via spinto dal tempo nuovo, in un cerchio perenne”. Prima tappa del nostro percorso è stata la Chiesa di S. Maria della Vittoria in Via XX Settembre, opera di Carlo Maderno, per ammirare, nella splendida cappella voluta dal cardinale Federico Cornèr (o Cornaro), la Transverberazione di santa Teresa d’Avila, opera del grande Gian Lorenzo Bernini, realizzata tra il 1644 e il 1652. Da due palchetti laterali si affacciano i membri della famiglia del cardinale che osservano, insieme a noi, questo capolavoro.

Il gruppo alle “Quattro Fontane”

All’uscita, in Piazza S. Bernardo, troviamo la “Fontana del Mosè”, Mostra dell’Acquedotto Felice, opera di Domenico Fontana costruita tra il 1586 e il 1589, forse con la partecipazione del fratello Giovanni, per volere di papa Sisto V (Felice Peretti,1585-1590), realizzata nel punto di arrivo in città dell’acquedotto Felice che portò l’acqua nelle zone del Quirinale e Viminale. I papi, restaurando o costruendo nuovi acquedotti e nuove fontane monumentali (dette anche mostre) miravano certamente ad abbellire la città, ma anche a rendere il loro nome “immortale” nei secoli, cosi come accadeva nell’antica Roma. Tanto importante era allora il tema “acqua” che Dionigi d’Alicarnasso, nel I Secolo a.C. ai tempi di Augusto, scriveva: “Mi sembra che la grandezza dell’Impero Romano si riveli mirabilmente in tre cose, gli acquedotti, le strade, le fognature” La “Fontana del Mosè” prende il nome dalla statua posta al centro e realizzata da Leonardo Sormani e Prospero Antichi, non certo un’opera memorabile, criticata già dai contemporanei tanto da essere oggetto di feroci “pasquinate”. Una lettura ci ha aiutato a capire le “critiche” dei contemporanei: “Evidentemente Prospero Antici, modesto scultore del Cinquecento, non aveva valutato bene la differenza tra lui e Michelangelo e, quando papa Sisto V gli chiese una statua da mettere al centro della Mostra dell’Acqua Felice, il povero Prospero decise di realizzare un Mosè che superasse per bellezza e potenza quello del divino Michelangelo. Secondo la leggenda si mise velocemente all’opera, perché bisognava fare in fretta: a quanto pare sdraiò il blocco di marmo a terra, e così perse completamente il senso delle proporzioni. In precedenza se l’era sempre cavata bene: il sepolcro di Gregorio XIII a San Pietro e le figure a stucco a Sant’Eligio degli Orefici erano state apprezzate. Ma quello doveva essere il suo capolavoro... Tutta Roma rise per quel Mosè sgraziato, goffo, più largo che lungo, che pretendeva di essere maestoso ed era solo un pupazzo ridicolo...” Anche oggi nei punti di arrivo in città di nuovi acquedotti si realizzano delle fontane; un esempio è la fontana di Piazzale degli Eroi, alimentata dall’acquedotto del Peschiera, inaugurata nel 1949 alla presenza del Presidente Einuadi. Durante la cerimonia d’inaugurazione venne offerta al presidente dell’acqua, utilizzando lo stesso bicchiere usato da Pio IX quasi ottanta anni prima in occasione dell’inaugurazione della Fontana Provvisoria dell’Acqua Marcia (1870). Nuova sosta al cosiddetto “Quadrivio”, incrocio, anche oggi, di due importanti strade, che Sisto V volle avesse un degno orna10 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2019


mento, preferendo la costruzione di una fontana in luogo delle quattro statue sacre di santi che gli erano state prospettate. In realtà venne realizzata una fontana per ogni angolo del quadrivio per un motivo che sembra più vicino ai giorni nostri che al ‘500: per “non intralciare il traffico urbano”; oggi, per giusta misura, abbiamo aggiunto al traffico l’inquinamento delle auto. Essendo le finanze del Vaticano molto “provate”, Sisto V superò questa difficoltà stabilendo che queste fontane fossero “semipubbliche”, ovvero ad uso pubblico ma costruite da privati nelle vicinanze delle loro proprietà, lasciando loro la possibilità di utilizzare gratuitamente una quota dell’acqua. Le Quattro fontane, Arno (anche se per alcuni il fiume rappresentato sarebbe l’Aniene, per altri addirittura il Nilo) e Diana, simbolo di Fedeltà, sono collocate nei due angoli che danno verso Porta Pia; Tevere e Giunone, simbolo di Fortezza, negli altri due. Abbiamo colto l’occasione per celebrare anche noi Sisto V “er papa tosto” leggendo un sonetto di G.G.Belli del 1834 e dedicato a questo straordinario personaggio; ne riportiamo soltanto l’inizio, magari può consentire a qualche lettore di ricordarlo, ad altri, incuriositi, di leggerlo: Fra ttutti quelli c’hanno avuto er posto de vicarj de Ddio, nun z’è mmai visto un papa rugantino, un papa tosto… Lasciate le fontane, abbiamo visitato due bellissime chiese opera di due grandi artisti, Borromini e Bernini, protagonisti del Barocco romano; con una nuova lettura, sempre da Lodoli, sono stati messi a confronto questi due “giganti”: “In via XX Settembre il Bernini ed il Borromini se ne stanno uno accanto all’altro, geni rivali e sdegnosi, architetti di quei due capolavori che sono rispettivamente Sant’Andrea al Quirinale e San Carlino alle Quattro Fontane. Il Bernini fu artista amato, vezzeggiato, protetto da papi e gran signori; Borromini ebbe una vita mille volte più travagliata, lavorò sempre in salita e finì tragicamente suicida…“ S. Carlo alle Quattro fontane fa parte del complesso conventuale dei Trinitari, edificato nel XVII secolo (tra il 1634 ed il 1644 ad opera di Francesco Borromini, (ci furono interventi successivi alla morte dell’artista tra il 1670 e 1680 realizzati dal nipote Bernardo) è considerato uno dei capolavori dell’architettura barocca. Dedicata a Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, ma è soprannominata San Carlino per le sue ridotte dimensioni tanto da coprire, con la sua area, quella di uno solo dei quattro pilastri che sorreggono la cupola della basilica di San Pietro in Vaticano. S. Andrea al Quirinale, sede del noviziato della Compagnia di Gesù e situata di fronte alla manica lunga del Palazzo del Quirinale, fu costruita tra il 1658 e il 1678 su progetto di Gian Lorenzo Bernini. Interessanti le camerette di San Stanislao Kostka (sec.XVII) affrescate dal gesuita Andrea Pozzo, dove sono raccolti ricordi e reliquie del santo polacco, che morì presso questa chiesa il 15 agosto 1568. Molto graditi i saluti di Don Alessandro, parroco della Chiesa, che ci ha brevemente parlato dell’attività del Centro Astalli - Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Italia, che accoglie le persone in fuga dai lori paesi e li accompagna verso una giusta integrazione nella nostra società; una piccola pausa nel racconto storico artistico ma molto interessante ed attuale. Oggi sembra incredibile ma, allora, si poteva andare dalle Quattro Fontane fino a Fontana di Trevi camminando sempre al coperto, si passava attraverso il portone del Papa, quello davanti alla Chiesa di S. Carlino, scendeva fino ai Brevi (il uu notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2019 u11

La facciata della chiesa di “San Carlino”


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di b u l C territorio uu Palazzo

dei Brevi pontifici, documenti con il solo sigillo); per uscire dal portone della Dataria. Un sonetto del Belli del 1832, “La strada cuperta”, ci descrive questa strada, l’interpretazione è stata di Stefano Palmitessa, anche in questo caso ne riportiamo solo alcuni versi: Chi vvò vvienì da le Cuattro-Funtane Sempre ar cuperto ggiù a Ffuntan-de-Trevi Entri er porton der Papa, c’arimane Incontr’a Ssan Carlino…

Il gruppo alla partenza… e, sotto, all’arrivo

La conclusione della nostra passeggiata è stata sul colle del Quirinale, ribattezzato nel Medioevo «Monte Cavallo», di fronte al Palazzo del Quirinale che, dalla seconda metà del Cinquecento, divenne la residenza dei pontefici per volontà di Gregorio XIII Boncompagni. Anche qui Sisto V, molto presente nella nostra passeggiata, ha lasciato la sua impronta; fece, infatti, collocare al centro della piazza, in direzione dell’antica Via Pia, il gruppo dei Dioscuri; che fu successivamente utilizzato per realizzare una prima fontana nel 1589. Seguirono varie vicissitudini, variazioni ed integrazioni, addirittura nel 1783 la fontana fu rimossa, fino ad arrivare al 1818, come recita l’iscrizione apposta da Pio VII Chiaramonti (18001823), quando fu realizzata una nuova fontana con il reimpiego di un grande catino di granito grigio, già nel Foro Romano, poggiato su un poderoso basamento; consulente dell’operazione fu Raffaele Stern (1774-1820). In conclusione, dopo la foto di gruppo ormai divenuta un piacevole rito, la lettura di un ultimo brano di Lodoli che ci ha fornito un’immagine, un’idea delle fontane di Roma molto particolare, ricordandoci l’importanza dell’elemento “acqua” e di come oggi la sprechiamo con colpevole superficialità. “Le fontane di Roma ci tengono in contatto con un mondo quasi divino, zampilli e spruzzi e fiotti sgorgano dalle regioni del mito pagano o Cristiano e ci ricordano che l’acqua è stata sempre un elemento sacro, primario, meraviglioso. Naiadi e Tritoni, Mosè e Nettuno, divinità fluviali e misteriose tartarughe proteggono questo bene terreno e celeste che oggi sprechiamo con somma indifferenza. E mentre bevo e mi bagno il viso e le mani, mentre mi lascio scoppiare addosso quel fiotto fragoroso, mi tornano in mente alcuni versi bellissimi di Ungaretti sull’acqua dei fiumi: “Ma quelle occulte / mani / che m’intridono / mi regalano / la rara / felicità...Ho tirato su le mie quattr’osse / e me ne sono andato / come / un acrobata / sull’acqua”. Le belle immagini ci sono state “regalate” da Soci e Volontari del T.C.I. Grazie ai tanti Soci che ci hanno accompagnato in questa splendida giornata, tra i quali il Console TCI di Belluno, Aldo Candeago! 12 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2019


PASSEGGIATA DEL 7 OTTOBRE 2018

Il Tevere, dal Medioevo ai giorni nostri (CON IL CONSOLE ALBERTO CASTAGNOLI E IL VOLONTARIO VITTORIO GAMBA) Il Tevere, come una cintura che la attraversa, è indissolubilmente legato alle vicende della città di Roma fin dall’antichità. Così, nell’ambito delle iniziative del Club di Territorio di Roma, che aveva scelto come tema unificante per le passeggiate del 2018 quello dell’acqua nei suoi vari aspetti, non poteva mancare una giornata dedicata al fiume che dall’antichità più lontana ha rappresentato il motivo coagulante dell’insediamento sulle sue sponde di un agglomerato urbano che ha preso poi le fattezze della città di Roma. E così il 7 ottobre dello scorso anno, dopo un rinvio determinato proprio dai capricci del biondo Tevere che aveva allagato le banchine impedendone la transitabilità, è stato possibile con un nutrito gruppo di soci dedicarci ad una passeggiata lungo il suo percorso, a partire da Ponte Palatino fino a Ponte Sisto. è stata così rivissuta ed illustrata la storia dei vari ponti che si incontrano lungo il percorso, sia di quelli risalenti a periodi lontani, come il Ponte Cestio ed il Ponte Fabricio o lo stesso Ponte Sisto, sia quelli risalenti a periodi più vicini a noi, come il Ponte Palatino, edificato in sostituzione del cosiddetto “Ponte Rotto”, crollato definitivamente per un piena rovinosa alla fine del ‘500 o il Ponte Garibaldi, evocativo delle vicende della Repubblica Romana di metà ‘800, così come ci appare dopo la ristrutturazione di metà degli anni ‘50 dello scorso secolo. è bastato poi scendere lungo le banchine per dimenticare il frastuono del traffico dei lungotevere ed immergerci, sia pure con le limitazioni originate dai muraglioni ottocenteschi a contenimento delle piene, in una dimensione che ci ha portato a rivivere ed immaginare l’importanza che il fiume rivestiva fino alla seconda metà del 1800, come fonte di sostentamento, di traffici, di commerci e di attività artigianali. Tutto ciò resta ormai un ricordo di tempi lontani, ma rivivere sia pure con la fantasia le varie attività che si svolgevano lungo il fiume ci ha riportato a visioni che ormai possiamo apprezzare solo nei dipinti dei vari pittori e acquarellisti che hanno immortalato il grande fiume. uu notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2019 u13

Gaspar van Wittel, Il Tevere all’altezza della Marmorata, 1686

Gaspar van Wittel, Castel S. Angelo da Sud, 1690 c.


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così ricordato l’importanza delle mole che numerose nei secoli scorsi erano ancorate ai ponti e alle rive ed il lavoro dei traghettatori, il più noto dei quali permetteva l’attraversamento del fiume all’altezza di quella che ancora oggi viene chiamata “Via della Barchetta”, nonché quello degli acquaioli, considerato che per lunghi periodi l’acqua del fiume rappresentava l’unica fonte di approvvigionamento idrico in una città che aveva vantato i più imponenti acquedotti dell’antichità. Ma tra le altre attività non poteva mancare un richiamo al lavoro dei tintori, dei pescatori, dei conciatori di pellami.

Ettore Roesler Franz, Tevere - Isola Tiberina, 1878 c. Sotto, Ponte Rotto oggi

L’isola Tiberina ci ha riportato, con la storia legata al Castello Caetani, alle vicende successive all’anno 1000, allorché il castello stesso fu per brevi periodi addirittura sede papale, nel corso delle lotte per le investiture ed è stato sottolineato il carattere sacrale dell’isola stessa fin dall’epoca dell’antica Roma, con la Basilica di S. Bartolomeo che sorge appunto sul luogo del Tempio di Esculapio. Carattere sacrale legato alla medicina ed alla cura dei malati che ancora oggi è testimoniato dall’odierno Ospedale dei Fatebenefratelli. Sono stati ancora ricordati miti e leggende che hanno accompagnato la storia del fiume, così come i ritrovamenti archeologici in occasione di lavori di risistemazione delle sponde; fra questi statue di Minerva, di Apollo e i resti di una villa di età romana alla Farnesina. Ma un tema che ha caratterizzato nei secoli la vita del Tevere, fino alla costruzione dei muraglioni ottocenteschi, è stato quello delle piene e delle inondazioni. Il loro livello è così documentato dalle tavolette marmoree apposte in vari luoghi della città. La più antica di epoca medievale, risale all’alluvione del novembre 1277 e si trova sotto l’Arco dei Banchi vicino a Ponte S. Angelo, ma se ne ritrovano sulla facciata della Basilica di S. Maria sopra Minerva, a Castel S. Angelo, a Ripa Grande. Le ultime furono poste nel 1937, anno in cui il fiume si poteva toccare con mano dai muraglioni. Ma per tornare al tema dei ponti che abbiamo incontrato lungo la nostra passeggiata, esemplare è la storia di quello che ormai viene indicato come Ponte Rotto. In quella posizione già esisteva, prescindendo da quelli risalenti alla Roma classica, un ponte alla fine del IX secolo, che fu portato via da una piena. Ricostruito all’inizio del 1200, dopo successivi restauri, fu anch’esso spazzato via da un’alluvione rovinosa nel 1557. Fatto ricostruire nel 1573 da papa Gregorio XIII, del quale sono tuttora visibili gli stemmi sulla porzione rimanente, fu definitivamente travolto nel 1598 dalla peggiore piena che si ricordi e da allora non fu più ripristinato. Riti e feste hanno accompagnato nei secoli la vita del fiume. Tra i primi sono state ricordate le processioni delle 14 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2019


confraternite nate per il soccorso agli annegati o il recupero dei loro corpi. Così la “Confraternita dei Sacconi Rossi” all’isola Tiberina, chiamata in questo modo per il mantello o sacco rosso con cappuccio che caratterizza i confratelli, ancora oggi, ogni 2 novembre, fa celebrare una messa nella Chiesa di S. Giovanni Calibita, alla quale segue all’imbrunire una processione notturna che si conclude con la deposizione di una corona di fiori nel fiume, in memoria degli annegati. Legata strettamente al fiume e agli abitanti del quartiere che più di ogni altro in esso si rispecchiano, è la “Festa de’ Noantri” di Trastevere, dedicata alla Madonna Fiumarola, che si svolge ancora ogni anno nel mese di luglio e che culmina con la processione che accompagna all’interno del rione la statua della Vergine, ricoperta di gioielli e di abiti preziosi. E per finire, nella nostra passeggiata lungo le banchine, accanto ai richiami storici e architettonici che hanno spaziato dall’antica Roma ai giorni nostri, abbiamo potuto godere di una visione del fiume che per noi romani non è più abituale. Con grande stupore è stato infatti possibile osservare vari esemplari della fauna acquatica. Tutto ciò all’interno di un ambiente che non brilla purtroppo per cura e decoro. Abbiamo così potuto osservare, anche in ambito cittadino, varie tipologie di uccelli che popolano abitualmente fiumi e laghi. Sono apparsi cormorani, aironi cenerini, garzette e germani, segno tangibile di una natura che resiste al degrado e mostra invece segnali di vitalità che fanno ben sperare.

Questa pubblicazione on-line, riservata ai volontari del Touring Club Italiano per il Patrimonio Culturale, è nata e vive esclusivamente con il contributo dei volontari stessi che, liberamente e a titolo gratuito, condividono con la redazione il frutto delle loro conoscenze. Volontari sono anche coloro che svolgendo tutte quelle attività “tecniche” come il coordinamento redazionale e l’impaginazione decidono la stesura finale del Notiziario.

In Redazione: Elisa Bucci, Alessia De Fabiani, Alberto Castagnoli, Massimo Marzano, Massimo Romano Coordinamento editoriale: Massimo Romano Grafica e impaginazione: Gianluca Rivolta Hanno collaborato a questo numero: Massimo Marzano, Rinaldo Gennari, Elisa Bucci, Massimo Pratelli, Alberto Castagnoli, Vittorio Gamba SEGRETERIA ORGANIZZATIVA APERTI PER VOI ROMA: Piazza Santi Apostoli, 62/65 Apertura dedicata ai volontari dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00. Tel. 06.36005281-1” apertipervoi.roma@volontaritouring.it

notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2019 u15

Arcata di Ponte Cestio. Sopra, il nostro gruppo. (Foto di Guido Morganti)


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