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notiziario dei Volontari di Roma anno 5 - numero 1 - gennaio/febbraio 2020

Franco Iseppi incontra

Sergio Mattarella in occasione dei 125 anni del Touring Club Italiano Gennaio/Febbraio 2020, notiziario 1 u1


TCI125°

Queste foto e quella di copertina sono tratte dal sito della Presidenza della Repubblica

Le linee guida del TCI Una delegazione del Touring nell’intervento di Franco Iseppi Club Italiano guidata dal “Il TCI ha compiuto 125 anni. Non abbiamo nesPresidente Franco Iseppi e suna intenzione di celebrare questo anniversadal Direttore generale Giulio rio. Si è invece pensato di raccontarlo ai Soci con Lattanzi e composta dai una pubblicazione dal titolo: “Prendersi cura dell’Italia bene comune”. Consiglieri Antonio Calabrò, È un ripensamento della nostra storia per caAlberto Castagnoli, Giovanni pire come il TCI può motivare la sua ragion Frau, Marco Frey, Giuseppe d’essere oggi che è già futuro. È stato fatto come un’opera collettiva, scritta da tutti i Consiglieri Roma, Claudia Sorlini in carica lo scorso anno, con il contributo di 4 ex e dai già Consiglieri Consiglieri, due dei quali sono presenti: Giuseppe De Rita e Romano Prodi. dell’Associazione Ci fa piacere presentare questo volume nella Casa Giuseppe De Rita e Romano degli Italiani, nella quale i Volontari del TCI, Prodi è stata ricevuta il 16 con gli studenti in storia e storia dell’arte delle università romane, accolgono oltre 2.000 visitatori alla settimana. gennaio scorso dal Presidente della Il volume, attraverso dieci parole chiave, disegna il perRepubblica Sergio Mattarella. corso della riorganizzazione della Associazione, reinterHa partecipato all’udienza il Ministro pretando i suoi valori originali in rapporto ai bisogni e alle domande che caratterizzano l’attuale decennio. per i Beni e le Attività Culturali e Che cosa intendiamo come “Prendersi cura dell’Italia per il Turismo, Dario Franceschini. bene comune”? Significa aver allargato il nostro universo di riferimenNel corso dell’incontro il nostro dai beni culturali (sui quali si sono costruite prePresidente Franco Iseppi ha presentato to: valentemente le nostre guide storiche) ai beni comuni, al Presidente Mattarella il volume espressione dell’eredità culturale che il nostro Paese ha “Prendersi cura dell’Italia bene comune”, prodotto e continua a produrre. I beni culturali sono sia materiali (musei, chiese, che celebra i 125 anni piazze, architetture di ogni tipo, borghi, paesaggi, non esclusa la produzione agroalimentare) che immatedel Touring Club Italiano 2 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020


© Foto A. Di Falco

Qui sopra, da sinistra: Giuseppe De Rita, Dario Franceschini, Franco Iseppi, Romano Prodi, Antonio Calabrò per la presentazione alla stampa del volume “Prendersi cura dell’Italia bene comune” nei prestigiosi locali della Biblioteca del Quirinale

riali (la lingua, la storia, le tradizioni, gli eventi sino all’industria creativa). Trattasi di un universo, quello dell’eredità culturale, che rappresenta un’attrattiva peculiare della pluralità e delle distintività dei nostri territori. Da qui la scelta negli ultimi anni di un nuovo posizionamento come Associazione: non vogliamo limitarci ad essere un soggetto del turismo ma un attore del sistema Italia che, attraverso il turismo, vuol far sì che questo Paese sia più conosciuto, accogliente e competitivo. Non abbiamo rinunciato ai nostri asset storici: a) continuiamo ad essere un servitore civile delle Istituzioni e

dei cittadini, ma vogliamo anche costruire comunità di cura, di appartenenza e di inclusione sociale, b) siamo sempre un punto di riferimento morale del turismo, ma non vogliamo esserlo in modo neutrale, c) continueremo a produrre conoscenza ma vogliamo anche essere un soggetto di formazione per le giovani generazioni. Certamente la nostra civiltà di appartenenza è quella mediterranea, ma il bene comune a cui pensiamo prioritariamente è l’Italia con creatività e proposte”. Franco Iseppi Presidente Touring Club Italiano Roma, 16 gennaio 2020

notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020 u3


iltevere

ROMA ED IL TEVERE

NELL’ANTICHITà Capitolo terzo

Foro Boario e Porto Tiberino Nella vallata del Tevere nacquero ben presto i mercati degli animali (Forum Boarium) e delle verdure (Forum Olitorium) dato che gran parte di tali mercanzie arrivavano a Roma lungo il fiume, da monte. Le testimonianze della presenza nella zona del Foro Boario di un approdo antichissimo, sin dal XIV sec. a.C., e la cui attività è particolarmente fiorente fra l’VIII ed il VI sec. a.C., periodo nel quale si pone la tradizione della fondazione di Roma e l’epoca regia, sono state fornite da materiali archeologici rinvenuti negli scavi (frammenti ceramici, doni votivi). Non mancano ipotesi che fanno risalire a marinai fenici la fondazione di quello che sarebbe diventato il santuario di Ercole (Ara Massima di Ercole, sotto S. Maria in Cosmedin), per il loro dio Malkarth. Il ritrovamento di frammenti di argilla provenienti dall’isola Eubea in Grecia e giunti in Italia tramite la sua colonia di Pithecusa confermerebbero che un gruppo di commer-

In questo numero del Notiziario vi proponiamo la seconda puntata della storia del nostro fiume curata dal volontario Vittorio Gamba cianti greci possa aver installato un emporio sulle rive del Tevere nel secondo quarto dell’VIII sec. a.C. Questo determinò un notevolissimo salto qualitativo e quantitativo per i traffici commerciali sul Tevere con l’intensificarsi del commercio col mondo esterno, specialmente greco. Ad esempio, qui gli etruschi vendevano oggetti in metallo ed argilla in cambio di prodotti agricoli e zootecnici. La scelta di questo luogo come mercato venne fatta anche perché nelle città antiche l’area che veniva adibita ad emporio andava necessariamente posta sotto la protezione di una divinità, dato che i luoghi di mercato erano considerati pericolosi perché frequentati da mercanti stranieri. Qui, infatti, troviamo le divinità pertinenti al commercio ed al fiume, in 4 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020

particolare Ercole (protettore del bestiame e dei commerci) e Portuno (protettore del guado e del porto). Nel VII sec. a.C., in realtà, la zona era un’area aperta priva di templi con un’ara al centro. Poi, nel VI secolo a.C. arrivarono i primi templi. Il Foro Boario era in origine il mercato per ovini e bovini (i suini avevano il proprio mercato così come il pollame, che era venduto al Forum Rusticorum, ecc.) mentre il Foro Olitorio (davanti ai templi di S. Nicola in Carcere ed al Teatro di Marcello) era il mercato di legumi e verdure. Sappiamo anche (ce lo ricorda agli inizi del I sec. a.C. Varrone) che fra Foro Boario e Foro Olitorio esisteva il Forum Piscatorium. Con Foro Boario si intende, in realtà, un’area estesa fra Campidoglio, Aventino e Tevere, compresa tutta l’area di


SECONDA PUNTATA

A sinistra, la zona dell’ansa del Porto Tiberino in età Repubblicana, che corrisponde esattamente all’area ove oggi sorge l’Anagrafe. A destra, pianta del Foro Boario (da F. Coarelli): in basso il Tevere con l’Isola Tiberina, Ponte Emilio e Ponte Sublicio, al centro gli horrea sulle rive del Porto Tiberino ed ai lati i Fori Olitorio e Boario (quest’ultimo con i due templi circolari dedicati ad Ercole); all’estrema sinistra il teatro di Marcello ed all’estrema destra i Carceres del Circo Massimo. Sotto, ricostruzione ideale del Foro Boario con il Tempio di Portuno e quello rotondo di Ercole ed in fondo l’Arco di Ianus. In apertura, il Foro Boario nel 1908, con il Tempio di Portuno a sinistra

a sud del Foro Boario alle pendici dell’Aventino. Il Ponte Sublicio era subito a valle dello sbocco della Cloaca Maxima, accanto al tempio rotondo.

S. Omobono. L’Arco degli Argentari costituiva l’ingresso monumentale alla piazza vera e propria. Il Foro non arrivava al Tevere; era all’interno del pomerio mentre il Porto Tiberinus ne era fuori. Un incendio del 213 a.C. distrusse tutta l’area. L’arginatura del fiume ed il rialzamento del terreno avvenne fra questo episodio ed il 142 a.C., quan-

do venne costruito Ponte Emilio. Fra il Foro ed il Ponte Emilio vi era la Porta Flumentana così chiamata, pare, perché il Tevere scorreva attraverso di essa in caso di inondazioni. Un arco romano di fronte al ponte Emilio e poggiante su case vicino al Tempio di Portuno , probabile resto della Porta, venne demolito a fine ‘400. Le Saline occupavano la parte più notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020 u5

Sul Foro Boario sbucavano 4 strade principali: Vicus Iugarius, lungo le pendici del Campidoglio, verso Porta Carmentale e l’Isola Tiberina; Vicus Tuscus, proveniente dal Foro Romano e posto sul tracciato della Cloaca Maxima, che terminava alla Porta Flumentana ed a Ponte Emilio; Via circa foros publicos, parallela al Circo Massimo dal lato dell’Aventino, che finiva a Porta Trigemina ed a Ponte Sublicio; Clivus Publicius, che scendeva dall’Aventino e terminava anch’esso a Porta Trigemina ed a Ponte Sublicio. La vasta piazza del Foro Boario era circondata da portici che ne permettevano l’attraversamento al riparo del sole e della pioggia. Nel mezzo nel 210 a.C. vi venne posto un bue di bronzo proveniente dal

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dell’isola di Egina. Nel 264 a.C. vi si tenne il primo combattimento gladiatorio a Roma, in occasione di giochi funebri. Ma la piazza aveva, in età repubblicana, anche una triste funzione, essendo in parte fuori del pomerio: era adibita a luogo di sepoltura di sacrifici umani. Ancora nel 216 a, C., per espiare le sconfitte romane ad opera dei cartaginesi ed alcuni sacrilegi commessi dalle Vestali e dai cittadini, Livio ci racconta che “furono compiuti sacrifici straordinari, ordinati dai libri fatali di Delfi, tra cui un gallo ed una galla, un greco ed una greca furono sepolti vivi nel Foro Boario, in un luogo limitato da pietre e già prima bagnato di sangue umano”. Nella tarda repubblica il Foro era una fervente zona commerciale, sede di botteghe di macellai e fornai, profumieri e fruttivendoli, ma anche il luogo in cui indovini, truffatori e prostitute si procacciavano i propri clienti. Anche in epoca augustea continuò ad essere uno dei quartieri più malfamati di Roma, luogo ideale per esercitare attività equivoche. In età imperiale divenne luogo di

smercio di qualsiasi merce (vinai, banchieri, orafi, argentari). Entrambi fuori dal Pomerio, e quindi non nel Foro Boario propriamente detto, erano i due templi, ancora oggi conservati, di Ercole Olivario e di Portuno. Il Tempio di Ercole Olivario, in passato comunemente detto di Vesta (ma attribuito anche a Mater Matuta, il cui tempio è stato poi ritrovato oggi nell’area di S. Omobono), venne costruito da un mercante alla fine del II sec. a.C (120 a.C.). Ora è comunemente identificato con il Tempio di Ercole Vincitore presso Porta Trigemina. Ercole era, infatti, il protettore della corporazione dei commercianti d’olio. L’antichità del manufatto è dimostrata dal podio, con fondazioni in tufo di Grotta Oscura. Fu il secondo tempio in marmo (in questo caso greco pentelico) di Roma dopo il Tempio di Giove Statore nel Portico di Metello, che però non si è conservato. Sappiamo che fu opera dell’architetto Hermodoro di Salamina. Il tempio ha una peristasi di 20 colonne, ma solo la metà sono originali: una, infatti, manca mentre nove sono

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in marmo lunense e risalgono al restauro avvenuto sotto l’imperatore Tiberio. La parte superiore del tempio è andata perduta. All’interno la statua di culto era di Skopas Minore. Nel medioevo l’edificio fu chiuso e trasformato nella chiesa di S. Stefano delle Carrozze, per la presenza, in questa zona, di numerose rimesse ed officine di riparazione di carri e carrozze. Il Tempio di Portuno era in passato noto anche con il nome, errato, di Fortuna Virile. L’edificio attuale risale al I sec. a.C. ma esisteva già nel IV sec. a.C. L’antichità della costruzione è data dal fatto che la stessa non si adegua ai canoni dell’arte greca ma mantiene le caratteristiche della cultura etrusca. Il Tempio era orientato verso il porto e tutt’uno con esso; non era, quindi, collegato al Foro Boario. Nel IX secolo venne trasformato nella chiesa di Santa Maria Egiziaca. Portuno era il dio del passaggio (affine, quindi a Giano), che vegliava sugli ingressi (ed il porto è un ingresso alla città). Era, quindi, il Genius Loci del porto tiberino. Il Porto Tiberino. Le operazioni di


SECONDA PUNTATA

carico e scarico non erano facili dato che le rive del fiume, formate da depositi alluvionali, erano paludose e spesso sommerse da inondazioni. Ma anche prima della costruzione del porto tiberino la riva già funzionava come approdo, proprio nella zona fra l’anagrafe e la Bocca della Verità, dove in seguito sarebbe sorto il Portus Tiberinus. Le prime strutture di un porto fluviale sorsero già in età monarchica, in un tratto del fiume dove lo stesso formava un’ansa, scorrendo quindi più dolcemente e creando una specie di approdo naturale. La variazione di percorso della Cloaca Massima per sfociare nel fiume conferma la presenza di questo porto arcaico. In età repubblicana il porto venne ad ingrandirsi nel tratto a nord del Tempio di Portuno. L’esistenza di un approdo in questo luogo è indirettamente dimostrata dalla mancanza dell’arginatura in opera quadrata di tufo documentata lungo il resto della riva sinistra in quest’area. Nel 179 a.C. il censore M. Fulvius Nobilior appaltò numerose opere, tra le quali il porto ed i piloni del nuovo Ponte Emilio. In tale occasio-

ne probabilmente fu elevato un lungo muro in opera quadrata di tufo che limitava a levante l’area portuale e, nello stesso tempo, conteneva le terre retrostanti. Il porto si estese quindi fra Ponte Fabricio e Ponte Emilio ed andò ad occupare uno spazio di circa 8.000 mq. Come già detto, il Porto Tiberino era posto fuori dal Pomerio in quanto frequentato da mercanti stranieri. Le Mura c.d. Serviane (ma in realtà costruite nel IV sec. a.C., anche perché quando ci fu l’episodio di Orazio Coclite non ci dovevano ancora essere, altrimenti il suo sacrificio non avrebbe avuto senso) separavano il Foro Boario dal fiume, ad una distanza variabile da 30 a 100 metri dalla riva. All’altezza di Ponte Emilio si apriva la Porta Flumentana sotto cui passava Vicus Luccei (da un personaggio di epoca cesariana che vi possedeva immobili). Il porto tiberino non aveva alcuna possibilità d’espansione, stretto com’era fra quartieri già intensamente edificati. Quando, dopo la seconda guerra punica, ebbe inizio una fase d’intenso incremento demografico e commerciale per la cit-

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tà, fu necessario cercare spazio per la realizzazione di un nuovo complesso portuale. Il punto più adatto era la pianura, interamente libera, a sud dell’Aventino dove i censori del 193 a.c. Lucio Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo costruirono il nuovo porto (Emporium). Il porto tiberino fu comunque completamente ristrutturato sotto Traiano, come si poté constatare durante i lavori degli anni ’30 del palazzo dell’anagrafe. In tale occasione vennero trovati resti di horrea e taberne, forse le stesse costruite da Scipione Emiliano nel 142 a.C. come deposito del grano destinato alle distribuzioni gratuite alla plebe romana.

A sinistra, Plastico di Roma: i ponti Sublicio ed Emilio. Al centro, ipotesi ricostruttiva dell’area del Ponte Emilio e del Foro Boario: al termine del Ponte Porta Flumentana e dietro l’Arco di Ianus; al centro il Tempio di Portuno; sulla destra i due templi rotondi dedicati ad Ercole ed all’estrema destra l’Ara Massima di Ercole. Alle spalle il Circo Massimo. A destra, ubicazione della Porta Flumentana


lungotevere

Come promesso, dopo l’articolo su Santa Maria in Cappella apparso sul numero 3/2019 del Notiziario, restiamo nei pressi di lungotevere Ripa parlando dell’Ospizio e del Giardino di Donna Olimpia

A Lungotevere Ripa

la villa fluviale barocca

di donna Olimpia Maidalchini Di Massimo Marzano

Alcuni hanno visto uscire Donna Olimpia Maidalchini dal Palazzo Doria Pamphili su piazza Navona, di corsa, a spron battuto, su una carrozza guidata da un cocchiere senza testa e trai-

nata da quattro cavalli neri, che sputavano fuoco; altri l’hanno seguita con lo sguardo mentre attraversava ponte Sisto e si inoltrava in via della Lungara e tra le stradine di Trastevere. Per tutta la sua folle e impetuosa corsa si sporgeva dal finestrino, mentre urlava e rideva in modo agghiacciante. Ad alcuni era sembrato che la donna sparisse nel Tevere, dove, incredibile a dirsi, una turba di diavoli si precipitarono per venire a

prenderla e per portarla all’inferno. No, come era suo solito, donna Olimpia Maidalchini Pamphili andava via da quella Roma e da quei romani che, nel ‘600 e forse non solo allora, consideravano le donne creature diaboliche ed inaffidabili e, se poi erano di potere, ricche e colte come donna Olimpia, attiravano su di loro un odio ed un disprezzo che sarebbe addirittura durato nei secoli. Andava nella sua villa fluviale barocca, circondata da un magnifico e profumato “Giardino delle Delizie”. La villa si affacciava sul porto di Ripa Grande, all’epoca il principale della città e luogo di passaggio di merci, genti e pellegrini. Essa comprendeva un casino di belvedere, la chiesa di Santa Maria in Cappella, sulla quale la principessa ottenne 8 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020

pieni poteri nel 1654 e un meraviglioso Giardino delle Delizie. Guardando fuori da una delle finestre potete sentire il profumo delle rare essenze ed immaginare le viti e le piante da frutto di quello che era un vero e proprio parco all’italiana. Donna Olimpia, a dispetto della sua fama non sempre lusinghiera, a causa del suo potere e delle sue capacità, era amante dell’arte e del teatro. Aveva, quindi, scelto questo luogo per trascorrere momenti di tranquillità, come per esempio passeggiare, magari in compagnia del Pontefice Innocenzo X, suo cognato, allestire rappresentazioni teatrali, giocare “a dama e sbaraglino” e collezionare opere di grandi artisti, ora conservate nella Galleria Doria Pamphili. Era, inoltre, riuscita ad arricchire le meravigliose prospetti-


Tracce di un mondo che non c’è più

ve del Tevere, visibili dalla villa, con molte sculture e con l’elegante Fontana della Lumaca, posta nel Giardino, opera di Gian Lorenzo Bernini. Alcuni affermano che non di rado le piaceva tuffarsi e fare il bagno nel Tevere e così rilassarsi e non pensare più ai problemi della Curia papale e alle dicerie e cattiverie che giravano su di lei a Roma. C’era, poi, quel maledetto di Pasquino, al quale non sfuggiva niente e non si tratteneva dallo scrivere parole taglienti e velenose su di lei. Nel ‘600 tutta la zona con gli edifici era passata alla famiglia Pamphili. Donna Olimpia Maidalchini, vedova Pamphili e cognata di Innocenzo X, a metà del ‘600 iniziò ad acquistare terreni e fabbricati adiacenti e iniziò i lavori per la realizzazione del Giardino delle Delizie e del Casino col supporto del suo architetto Carlo Rainaldi. Il giardino venne arricchito anche di opere d’arte, compresa la Fontana della Lumaca, che Bernini aveva disegnato per Piazza Navona e che il Papa regalò a Donna Olimpia. Nel 1655, alla morte di Innocenzo X, Donna Olimpia abbandonò Roma e lasciò le sorti del Giardino nelle mani dei suoi eredi, ma nel XVIII secolo l’opera di valorizzazione si arrestò e la proprietà venne affittata.

In apertura, Diego Velasquez, “Ritratto di Olimpia Maidalchini Pamphili”, particolare, 1650. In questa pagina, dall’alto, “Il Giardino delle delizie” al tempo di Donna Olimpia (metà del ‘600) e com’è oggi. Veduta dal Tevere del Casino e dei Bagni di Donna Olimpia, in una foto anteriore alla realizzazione del Lungotevere (Archivio fotografico Comunale). La stessa zona, oggi

notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020 u9

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lungotevere

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Il XIX è il secolo delle grandi trasformazioni di tutto il complesso. Il principe Filippo Andrea V incaricò l’architetto Busiri Vici di progettare l’Ospedale dei Cronici, intitolato a S. Francesca Romana e inaugurato nel 1859. Nel 1888, con la realizzazione del Lungotevere, la proprietà Doria Pamphili venne tranciata dall’esproprio; il Casino demolito e sul nuovo fronte vennero realizzati i due edifici di 5 piani quasi gemelli, collegati alla base dal muro di cinta, sempre a opera di Busiri Vici. Particolarmente felice è la soluzione con cui l’architetto sfrutta il dislivello con il Lungotevere, realizzando all’interno del giardino una passerella con l’intradosso porticato che conduce alle palazzine laterali e, al centro, permette l’accesso al giardino. Tra gli ultimi anni dell’‘800 e i primi del ‘900 il complesso architettonico assunse l’aspetto che ha ancora oggi, con la sua natura molteplice di luogo di culto, casa di riposo, spazio espositivo dei beni artistici e archeologici rinvenuti in loco, ostello e giardino. Al centro dell’edificio, progettato dall’architetto Andrea Busiri Vici, che realizzò due edifici in stile neoclassico, con marcato sviluppo longitudinale e con al centro la cappella, posta a separare

Dall’alto in senso orario, Gian Lorenzo Bernini, “Fontana della lumaca”, 1652, (conservata nella Collezione Dora Pamphili). “Vetrata con Storie di Maria e Marta”, realizzata in concomitanza con il primo ospedale di S. Francesca Romana (18541870). L’attribuzione è incerta, comunque opera di artigiani in grado di lavorare il vetro così finemente e di utilizzare lastre di selenio. (polvere d’oro). “Croce”, attribuita ad Alessandro Algardi. Bolla di Papa Innocenzo X del 23 gennaio. Dichiarazione relativa alla consacrazione voluta da Papa Leone XIII il 1° ottobre 1892

fisicamente le due corsie destinate agli uomini e alle donne, si vede uno spazio coperto da cupola. Lì c’è la cappella ottocentesca, che presenta delle vetrate di ottima fattura, mentre, nel lato lungo, a destra, viene conservata una ricostruzione della corsia dell’ospedale con registri 10 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020

d’epoca ed un ufficio con la croce, forse dell’Algardi, con documenti, risalenti a Papa Innocenzo X e al 1 Ottobre 1892, sotto Papa Leone XIII, quando la chiesa di S. Maria in Cappella fu di nuovo consacrata. Il percorso di visita comprende una prima parte all’aperto nel giardino di Donna Olimpia e poi tocca la cappella del ‘700, il salone dell’ ‘800 e i resti archeologici della chiesa di Santa Maria in Cappella con la croce di Borromini. In un prossimo numero visiteremo la zona limitrofa, medievale, suggestiva, persa nel tempo.


Tracce di un mondo che non c’è più

S U L

T E V E R E

ovvero

SULL’ONDA DELLA STORIA. Elaborazione grafica di Massimo Marzano (lo schema deve essere letto dal basso verso l’alto) 2017 Vengono restaurate la chiesa di S. Maria in Cappella, L’Antico Ospedale e le due ali, ora adibite ad ostello

28 DICEMBRE 1870 disastrosa alluvione 23 settembre 1875 la Commissione approva il

1857 Filippo Andrea V Doria Pamphili incarica l’arc hitetto Busiri Vici di realizzare un ospedale composto da due reparti, maschile e femminile, sepa-

progetto di Raffaele Canevari, che prevedeva l’arginatura del Tevere da Ponte Milvio alla Basilica di S. Paolo fuori le mura. L’ultimo tratto dell’opera, sotto l’Aventino, fu completato nel 1926

rati da una graziosa Cappella. Nasce l’Ospedale dei Cronici, aperto nel 1859, attivo ancora oggi con il nome di Casa di riposo S. Francesca Romana. L’interno della

Complesso di S Michele, costruito tra il 1686 ed il 1735

chiesetta fu decorato da Annibale Angelini e non rimase nulla della decorazione medievale.

Il porto fluviale di Ripa Grande (che era il principale approdo del Tevere, ma assai meno monumentale

1847 Carlo Doria Pamphili lasciò

di quello di Ripetta) fu quindi ricostruito nel '600 di

70.000 scudi per creare 12 posti letto per i malati cronici.

fronte all'antico Emporio, dall'altra parte del Tevere

1796 Andea IV Doria Pamphili diede

e un po' più a monte del precedente.

in uso la chiesa alla Pia Unione di S. Paolo Apostolo delle genti, a vantaggio spirituale dei marinai.

Nel Medio Evo, la zona di Testaccio si spopola, il porto decade (era troppo lontano dal centro della cit-

Nel 1760 i beni passarono ai Doria Pamphili

tà), contemporaneamente decadono anche i porti di Ostia e di Porto; assunse così maggiore importanza il

1650/1654 Donna Olimpia

porto nella zona di Trastevere, sul lato e all'inter-

Maidalchini Pamphili, cognata di

no delle mura Aureliane, vicino alla Porta Portese ,

Papa Innocenzo X, fa costruire la Villa

che si trovava più a valle rispetto all'attuale

ed il Giardino delle Delizie con al

Continuarono dunque ad esservi attive strutture artigia-

centro la Fontana della Lumaca di

nali (carpenteria, rimessaggio, costruzioni, di servizio,

Gian Lorenzo Bernini

ecc.) e struttura militari dedicate al traffico fluviale e al

1391 Andreozzo Ponziani, suocero di Santa Francesca Romana, fonda l’Ospitale Santissimo Salvatore nella navata destra di S. Maria in Cappella.

suo controllo fiscale. Già dal IX-X secolo lo scalo fluviale di Testaccio, a ridosso della Via Portuense, si trasferì sulla riva opposta, quella destra, in quella che si chiamò poi

Dopo la morte di Francesca

"Ripa Romea" o “Ripa Romana” dai pellegrini

(1440), il complesso passò in eredità alle monache di Tor de' Specchi, che nel

1450 lo concessero alla

(ovvero i "romei") in contrapposizione allo scalo commerciale della sponda opposta, quella di Aventino/ Testaccio, detta la "Ripa Graeca". Nella Ripa Romea vi

Confraternita dei Barillari.

approdavano i pellegrini che percorrendo poi la Lunga-

Un documento ricorda la consacrazione di

retta e la Lungara arrivavano a San Pietro

un altare, l'8 marzo 1113, da parte dei vescovi di Sabina, Palestrina, Ascoli e Tivoli.

EPO C A RO M A N A Ostia, il porto marittimo

25 marzo 1090 viene consacrata la

Emporium/Porticus Aemilia (a ridosso della via

chiesa di S. Maria, di ridotte dimensioni,

Ostiense, davanti all’attuale complesso del San Michele

ma di notevole importanza storico-

Dopo il II sec. a.Cr. Area portuale fluviale

geografica nella Roma contesa fra Papa

appena fuori la Porta Trigemina, situata tra l’Aventino e

Urbano II e l’Antipapa.

il Tevere 14 d. Cr. Risalgono all’età di Augusto i preziosi reperti trovati nel sottosuolo della chiesa e qui conservati assieme ad alcune reliquie

Prima del II sec. a.Cr. Portus Tiberinus (all’altezza del complesso dell’Anagrafe)

di S. Pietro e dei primi Papi.

CHIESA S. MARIA IN CAPPELLA

VIII libro dell’Eneide Enea incontra Evandro

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confraterniteromane

Di Maurizio Moretti

L’antica via “Mercatoria” collegava, in modo tortuoso, la zona di Piazza Navona e Campo de’ Fiori con l’area di Castel S. Angelo. Ai primi del

‘500, quando la strada venne ristrutturata per raddrizzarne il tracciato, così da favorire i flussi di persone e merci, prima venne chiamata “via Recta”, essendo stata la prima e più lunga strada di Roma, poi, successivamente, “via Julia” in onore del Papa Giulio II il quale, con l’aiuto del Bramante, la fece realizzare oltre che per risanare una zona degradata, per collegare tra loro poli mercantili e finanziari della Roma Rinascimentale. Lungo il tracciato si insediarono alcune famiglie tra le più “blasonate” e più ricche dell’epoca, fra cui i Farnese, i Chigi, gli Odescalchi e, fra antiche e nuove Chiese, antichi e nuovi Oratori, su una delle vie (i muraglioni del Tevere e Corso Vittorio verranno realizzati più di tre secoli dopo) che portavano i pellegrini alla tomba del Pescatore di Galilea, trovarono la loro sede, anche per gestire l’accoglienza degli stessi, diverse Confraternite le quali, da metà del 1200, sono fra le più antiche associazioni laiche che, in particolare a Roma, si sono caratterizzate per appartenenza geografica o di mestiere. Le Confraternite, inoltre, da non confondersi con le Congregazioni e, tantomeno, con gli Ordini

La facciata dell’Oratorio del Gonfalone. Nella pagina accanto, l’interno affrescato e il soffitto ligneo 12 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020


L’ Oratorio del

Gonfalone Nel rione Ponte, nei pressi di via Giulia, uno dei complessi architettonici e pittorici più suggestivi della seconda metà del ‘500

Cavallereschi Religiosi, rispondendo ai principi di Carità e Fraternità, per Devozione fanno in genere riferimento alla vita di un Santo. A Roma, in molte, seguono anche il Culto Mariano. Oltre a ciò, le Confraternite hanno un compito preciso che rende utile la loro Opera sul piano spirituale e materiale. Una delle Confraternite più antiche, del 1260, detta dei “Raccomandati di Maria Vergine”, si modifica, circa due secoli dopo, nella “Confraternita del Gonfalone” unendo con sé le Confraternite similari e trasformando, tra l’altro, la loro rituale usanza di fare la “Sacra Rappresentazione della Passione del Signore” (Via Crucis), in quella di Rappresentare “l’Annunciazione a Maria”, perpetuando cosi le “regole” dettate, ai primi devoti, da S. Bonaventura di Bagnoregio. Insediatesi nella vecchia chiesa di S. Lucia, i

“Gonfalonieri” realizzano successivamente l’Oratorio, dedicandolo ai Santi Pietro e Paolo, giusto in tempo per il Giubileo del 1550 e dando così, di fatto, il nome alla via dove sorge uno dei dieci Oratori più significativi, a livello storico-artistico, presenti in Italia: l’Oratorio del Gonfalone. Tre peculiarità rappresentano, da sole, un incalzante invito ad approfondirne i singoli aspetti: 1) L’Oratorio, con la sua struttura rettangolare si richiama al Primo Tempio di Gerusalemme, ed è sancito anche dalla raffigurazione, sulla parete di controfacciata, di Re Salomone. Quest’ultima posta sopra l’immagine della Vergine che protegge, con il proprio mantello, i suoi fedeli, ed è anche l’effige presente sul Gonfalone stesso della Confraternita. L’Oratorio, all’interno, si presenta con uno splendido “coro” a due ordini di notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020 u13

sedute, fatto per ospitare i Confratelli che qui si riunivano, per pregare ed organizzare le loro Opere di Carità. 2) Il soffitto è un “cassettonato ligneo” di pregevole fattura che riporta le figure dei Santi Pietro e Paolo, a cui l’Oratorio è dedicato e, tra gli altri fregi decorativi, troviamo anche due croci greche con i terminali “ancoriformi”, le quali ci parlano con echi lontani di Bisanzio e di “crociati”, con le loro intraprese verso la Terra Santa. 3) Il ciclo di affreschi “manieristi” (sono coloro che abbandonano alcuni canoni della rappresentazione artistica rinascimentale, come riproduzione del Vero, per darne una loro interpretazione, diciamo alla loro “maniera”) rappresenta, nella parte alta i Profeti e le Sibille, come testimoni della continua attesa di Redenzione da parte dell’Umanità quando, i primi predissero al popolo eletto, gli Ebrei, e le seconde al popolo pagano, la venuta di Cristo. Nella parte sottostante troviamo dodici riquadri che raffigurano i momenti della “Passione” che, dall’originaria Confraternita, era oggetto di rappresentazione al cadere di ogni venerdì santo. Il tutto è realizzato in un “unicum” pittorico, ideato da Jacopo Bertoja, ed elaborato da diversi artisti, fra cui Federico Zuccari e Cesare Nebbia, e delimitato da una serie di colonne “tortili” (a spirale) che ci richiamano, da una parte, il capolavoro Berniniano del baldacchino dell’altare principale, nella papale arcibasilica maggiore di San Pietro in Vaticano ma, dall’altra, ci riportano nuovamente a Gerusalemme, tanto che furono chiamate anche “colonne salomoniche”. Oggi l’Oratorio, dopo lunghi anni di abbandono, ospita il Coro Polifonico Romano “Gastone Tosato” il quale celebra, periodicamente, attraverso un connubio tra arte e musica, un luogo che, da quando quattro secoli fa si è notato come il legno presente ne favorisse l’acustica, ha riscoperto, come diceva S. Agostino, che “il canto è la gioia del cuore”.


mostre

Di Claudio Carlucci

L’esperienza maturata in tanti anni dalla Scuola Professionale femminile “Margherita di Savoia” è rivissuta e mostrata, fino all’8 Marzo 2020, presso il Museo Boncompagni Ludovisi (Via Boncompagni, 18 - Ingresso gratuito). Attraverso merletti, disegni e ricami oltre che attraverso le foto e gli oggetti artigianali/artistici, si compie un interessante ed educativo viaggio tra numerose opere che evidenziano, in ogni parte dell’esposizione, le non dimenticate abilità artistiche e realizzatrici delle alunne che si avvalevano anche delle nuove tecniche venute alla luce nel corso degli anni. La Scuola, nata nel 1876 si poneva, come obiettivo principale, quello di formare maestranze femminili specializzate dando quindi spunto vitale per la nascita di nuovi mestieri, il tutto con l’aiuto del Comune di Roma e dell’allora Sindaco progressista Pietro Venturi (Sinistra storica).

“L’arte di essere donna”

al Museo Boncompagni Ludovisi Nello splendido scenario del Museo Boncompagni Ludovisi, uno dei siti romani presidiati dai volontari Aperti per Voi, è in corso una mostra tutta al femminile

L’idea meritoria della Scuola fu sicuramente quella di inserire la formazione professionale accanto alla formazione “normale” che si esplicava anche nello studio della lingua italiana, del francese, oltre che della computisteria e calligrafia. Le ragazze, quindi, si applicavano ai disegni geometrici ed ornamentali e a ogni genere di lavori relativi a biancheria, sartoria trine, non tralasciando le tecniche di rammendo e restauro. La fervente e fiorente attività della Scuola venne “notata” dalla Regina Margherita che la mise sotto la sua personale protezione; in breve la Scuola evolse in luogo di incontro tra diverse realtà sia culturali sia sociali. Nelle sale del Museo, già meritorio

Le curatrici della mostra e la direttrice del Museo, dott.ssa Matilde Amaturo (terza da sx). In primo piano, attrezzi da lavoro utilizzati dalle allieve 14 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020


© Foto di Franco Antonio Castelli

Lo scoiattolo, 1922/1932 ca. Pannello in cotone, chantoung, seta. Punto erba, punto piatto, cm. 110x110

Tela con applicazioni in lenci raffigurante motivi ispirati agli studi eseguiti dalle allieve. Lavorazione punto piatto con applicazioni in lana

Rettangolo, cm. 34x40. Ricamo in oro, supporti in velluto

di visita per quanto rappresenta e mostra, vengono illustrati e mostrati, oltre alle realizzazioni delle alunne, i processi produttivi; infatti si può ammirare l’intero percorso creativo e realizzativo, dal progetto su disegno fino al “prodotto finito”. Si può curiosare tra opere in seta e oro, principalmente ricami e mirabili trine realizzate ad ago e a tombolo. Sono presenti lavori di restauro di tessuti antichi e realizzati con l’impiego di telaio e macchina. Un esemplare di macchina da cucire fa bella mostra di sé accanto ai diversi lavori. Non si può non ricordare, alfine, che visitando la mostra, attraverso l’esposizione delle macchine, degli arnesi da lavoro e delle opere, si evidenzia l’incontro tra il liberalismo e la cultura ecclesiastica della Roma da poco assurta al ruolo di Capitale del Regno, oltre che il vissuto scolastico e politico anche internazionale.

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attivitàsul territorio

di b u l C territorio

Vi presentiamo la relazione delle prime due passeggiate effettuate sul tema scelto dal Club di territorio per il 2019, “Roma dal 1870: sviluppo urbanistico e architettonico della città dopo l’unità d’Italia” a cura di Elisa bucci Console TCI - Coordinatrice del Club di territorio

PASSEGGIATA DEL 17 MARZO 2019

Il rione Esquilino DI MAURO BELATI

Con il trasferimento della capitale da Firenze a Roma la città, fino a quel momento sostanzialmente ferma, subisce una serie tumultuosa di interventi che interesseranno via via i rioni del centro e le nuove aree periferiche, senza soluzione di continuità fino ai nostri giorni. L’ampia estensione dell’Esquilino (istituito come rione nel 1874, mentre prima faceva parte del Rione Monti), la sua collocazione a ridosso della nuova stazione ferroviaria di Termini, appena realizzata, e la presenza, nel 1870, di ampie aree non edificate, favoriranno significative trasformazioni urbanistiche. La nostra passeggiata si è sviluppata nella zona nord-ovest del rione, peraltro quella maggiormente interessata dalle profonde trasformazioni, partendo dal teatro Ambra Jovinelli per concludersi, con un piccolo sconfinamento nel rione Castro Pretorio, davanti al tempio romano della lirica: il Teatro dell’Opera. Iniziamo il percorso in via Guglielmo Pepe, nell’ampio slargo antistante il teatro Ambra Jovinelli che, nei primi anni di Roma Capitale, era uno dei numerosi baracconi in legno “ad uso teatro” che si affacciavano sulla (allora) piazza Guglielmo Pepe, nei quali si tenevano vari spettacoli popolari: commedia romanesca, esibizione di artisti da circo, giochi di prestigio e cosi via. Alla fine dell’ottocento, con la costruzione della nuova centrale del latte, queste attività ludiche popolari si trasferirono prevalentemente nella nuova “Piazza Vittorio” e fu allora che l’impresario teatrale Giuseppe Jovinelli, agli inizi del novecento, decise di realizzare un teatro di varietà dal “volto lussuoso”, degno di 16 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020


© Foto di G. Morganti

essere equiparato ai più ricchi e nobili teatri di prosa. I lavori iniziarono nel 1906 ed il teatro, realizzato in puro stile liberty sul progetto dell’architetto Ulderico Bencivenga, fu inaugurato il 3 marzo 1909. La facciata è tuttora quella originale, mentre l’interno è stato completamente trasformato. Grazie alla disponibilità della Direzione Artistica del teatro, abbiamo potuto visitare l’interno, guidati da Marco Apolloni, Direttore di Sala del teatro, che ci ha illustrato, con dovizia di particolari, tutte le trasformazioni subite dal teatro uu notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020 u17

In apertura, il gruppo davanti all’Ambra Jovinelli. Qui sopra a sx, la stazione Termini nel 1873. A dx, la facciata del teatro in una foto d’epoca (Archivio Roma Segreta)


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© Foto di G. Morganti

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dalla sua inaugurazione fino ai giorni nostri. Proseguiamo il nostro itinerario costeggiando il “nuovo mercato esquilino” (realizzato negli spazi prima occupati dalla caserma Guglielmo Pepe) dove nel 2001 sono stati trasferiti i vecchi banchi del mercato di piazza Vittorio, fino a giungere alla “Piazza Vittorio”. La piazza è il cuore del quartiere Esquilino; realizzata tra il 1881 ed il 1888 è ancora oggi una delle più grandi piazze della capitale, con 316 metri di lunghezza e 147 di larghezza. Il centro della piazza, occupato per oltre un secolo dal pittoresco mercato, è oggi completamente allestito a giardino; il perimetro edificato, con i caratteristici portici, è costituto da importanti edifici in stile “umbertino”, tra cui spiccano i maestosi edifici mediani dei lati lunghi realizzati dall’architetto Koch. uu

Il gruppo dei partecipanti, approfittando della bella giornata di sole e delle panchine, si gode un momento di riposo ascoltando simpatiche letture ed aneddoti legati alla storia della piazza e soprattutto gustando gli squisiti “sampietrini” della vicina, storica gelateria “Fassi” (nata nel 1880) che gli organizzatori della passeggiata hanno offerto a tutti i partecipanti. Da piazza Vittorio proseguiamo lungo via Napoleone III, via Rattazzi e via Principe Amedeo, fino a giungere all’Acquario Romano, oggi sede della “Casa dell’Architettura”. L’edificio, caratterizzato da un aspetto fortemente monumentale, fu realizzato nel 1887 su progetto dell’architetto Ettore Bernich che ci restituisce un’architettura “eclettica” in “stile romano”, che ci riporta alla similitudine con un’altra importante opera dello stesso periodo: il “Palazzo delle Esposizioni” di via Nazionale, realizzato nel 1880 dall’architetto Pio Piacentini (padre del più noto architetto del novecento Marcello Piacentini). Nato come “Acquario” e “stabilimento di piscicoltura”, per volontà di un esperto di piscicoltura comasco: Pietro Garganico, circondato da un ridente giardino, fu inizialmente soprattutto luogo di ritrovo per la borghesia emergente del nuovo quartiere Esquilino. 18 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020


© Foto di m. belati

Da sx: i “Sanpietrini” della storica gelateria Fassi. L’Aquario Romano in una incisione di fine ‘800. L’interno della Casa dell’Architettura

Molto interessante l’architettura dell’interno (che purtroppo non è stato possibile visitare), caratterizzata da un doppio ordine di colonne in ghisa e pregevoli decorazioni a stucchi, mosaici e pitture murali. La vita dell’edificio, purtroppo, fu breve e travagliata. Dal 1893 al 1900 venne utilizzato per le attività più svariate: esposizioni, riunioni di associazioni della zona, palestra per le scuole del quartiere. Ai primi del novecento diviene sala di spettacolo, ma è un teatro di secondo piano, popolare, destinato ad un pubblico di basso livello; fino a divenire, nel 1930, il magazzino del vicino Teatro dell’Opera. Nel 1984 fu sgomberato ed iniziò un lungo intervento di restauro che proseguì fino al 2002, anno in cui il complesso è passato in gestione all’Ordine degli Architetti di Roma ed è stato adibito a sede della “Casa dell’Architettura”. Proseguiamo la nostra passeggiata lungo via Principe Amedeo e via Carlo Cattaneo, dove passiamo davanti al Pontificio Collegio “Russicum”, eretto nel 1929, per volere di papa Pio XI, come istituto di ricovero e formazione per i seminaristi esuli dalla Russia bolscevica. L’edificio, in stile “barocchetto romano”, con evidenti citazioni stilistiche “finto russo”, fu progettato da Antonio Muñoz, uno degli architetti prediletti da Mussolini, che lo mise a capo dell’”Ufficio Antichità e Belle Arti” del Governatorato di Roma. Il collegio, gestito dai Gesuiti, ebbe un importante ruolo, durante l’occupazione nazista di Roma, nell’offrire rifugio ad antifascisti ed ebrei. Proseguiamo per via Carlo Alberto e via dell’Esquilino, costeggiando la Basilica di Santa Maria Maggiore, imbocchiamo la via Torino e, passando dal rione Esquilino al rione Castro Pretorio, raggiungiamo la piazza Beniamino Gigli, davanti alla maestosa facciata del Teatro dell’Opera, dove la nostra passeggiata, iniziata al teatro popolare per eccellenza della Roma Umbertina, lo Jovinelli, si conclude davanti al tempio della lirica della capitale. Il teatro, progettato in stile “neorinascimentale” dall’architetto Achille Sfondrini, non era di grandi dimensioni (1.100 posti), ma si caratterizzava per un’ottima acustica e per una bellissima cupola dipinta da Annibale Brugnoli. Fu inaugu- uu notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020 u19


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di b u l C territorio rato alla presenza del Re Umberto I e della Regina Margherita nel novembre 1880 con la “Semiramide” di Rossini. Nel 1926 il Comune di Roma acquistò il teatro e ne assunse la gestione, affidando i lavori di ampliamento e ristrutturazione all’architetto Marcello Piacentini che rifece integralmente i prospetti esterni, aumentò di uno i tre ordini di palchi originari e fece istallare lo straordinario lampadario in cristallo di murano di 6 metri di diametro e del peso di 3 tonnellate, che è tutt’oggi il più grande d’Europa. Il teatro, con la nuova denominazione di “Teatro Reale dell’Opera” fu nuovamente inaugurato nel febbraio del 1928. uu

Il Teatro dell’Opera in una foto di fine ‘800. Sotto, il gruppo davanti al Teatro dell’Opera

Eliminato l’epiteto “Reale”, con il passaggio alla Repubblica, il Comune di Roma, nel 1956, affidò allo stesso architetto Marcello Piacentini l’incarico di un nuovo intervento di ampliamento e restauro. L’architetto realizzò all’interno uno scalone d’onore, un foyer per i palchi e locali per gli uffici, rinnovò completamente gli arredi e, all’esterno, rifece la facciata in stile “novecentesco”, come oggi la vediamo. I lavori sono stati ultimati nel 1960 ed il teatro ha oggi una capienza di 1.400 posti. Ci hanno accompagnato in questa passeggiata, illustrandoci i vari punti del percorso, i nostri soci volontari Mauro Belati, che ha coordinato l’evento, Massimo Pratelli e, nell’ambito dell’altro tema che svilupperemo nel 2019/2020 “I Percorsi del Gusto”, Vittorio Gamba che durante l’itinerario ci ha intrattenuto, con dovizia di notizie e gustosi aneddoti, sugli aspetti più rilevanti della cultura alimentare che hanno caratterizzato e caratterizzano oggi questo rione.

© Foto di G. Morganti

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PASSEGGIATA DEL 7 APRILE 2019

Il rione Ludovisi DI PAOLA PALMUCCI

“Si, io credo che se si fosse domandato qual era il più bel giardino del mondo, coloro che conoscevano Roma avrebbero risposto senza esitare: Villa Ludovisi. Fra le cose che, divenendo Roma Capitale d’Italia, venivan prima in mente a quanti conoscevano e amavano Roma, c’era la speranza che quei giardini, con le belle fabbriche e con le statue e i quadri in essi contenuti, diventassero di dominio pubblico e fossero facilmente accessibili. Predire che sotto il nuovo Governo la villa dovesse andare distrutta, come oggi accade, e gli allori, le querce, i pini abbattuti, come oggi li vedi abbattere, sarebbe stata allora un’offesa che neanche il più acerbo nemico della nuova Italia avrebbe osato recarle, perché sarebbe sembrata un’enorme follia.” (“La distruzione di Roma”, Hermann Grimm, 1886). La “Perla di Roma” è perduta per sempre, scrive il giovane Gabriele D’ Annunzio. Com’è potuto accadere che uno dei luoghi più suggestivi della terra, disegnato nel Seicento dall’architetto dei giardini reali di Versailles, il solenne André Le Notre, sia stato cancellato in nome della speculazione più sfrenata? È tempo di “febbre edilizia”, il piano regolatore del 1883 prevedeva la conservazione della villa ma le immobiliari pagano bene, per i proprietari di terreni è l’occasione di fare fortuna. Perfino il governo ha preso di mira da qualche tempo Villa Ludovisi. Nel 1884 s’è fatto avanti il ministero dell’Interno, offrendosi d’acquistare parte del giardino per impiantarvi il nuovo complesso del Parlamento: Camera, Senato, Aula Magna per le allocuzioni reali e quant’ altro occorre alle funzioni dello Stato appena nato. La trattativa va per le lunghe, e Don Rodolfo Boncompagni-Ludovisi vuole concludere; si rivolge allora al Comune - retto da Leopoldo Torlonia - prospettando l’idea di un vasto quartiere alto-borghese da costruirsi sulle ceneri della sua villa. Il municipio tentenna, cerca un privato che si faccia carico dei lavori stradali e fognari. Ed ecco che interviene la Generale Immobiliare a chiudere il cerchio: si accolla la costru- uu notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020 u21

G. B. Falda, Veduta del Giardino di Villa Ludovisi, 1683


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di b u l C territorio uu zione

delle strade e l’onere della vendita dei lotti. Il 29 gennaio 1886 fu firmata la convenzione triangolare fra Comune, Generale Immobiliare e don Rodolfo Boncompagni-Ludovisi. Alla fine dell’operazione la Generale Immobiliare realizzò 15 Milioni dalle vendite a fronte di ben 10 Milioni di spese, i 5 Milioni di profitto furono molto al di sotto delle aspettative. Roma si presentava come un grande cantiere, tutte le strade erano sventrate; nel 1875 fu ampliato il Corso, la Stampa aveva la sede a palazzo Marignoli, altri quotidiani di primo piano erano collocati in altri palazzi nobiliari lungo la grande via. C’erano già i Magazzini Bocconi (oggi Rinascente), caffè e locali alla moda. Villa Borghese nel 1885 fu ceduta al comune attirando subito l’attenzione degli speculatori, grazie alla distruzione di Villa Ludovisi si poteva realizzare una grande via di comunicazione, come prolungamento di via del Tritone appena completata, per collegare il Centro storico/politico che si era sviluppato intorno a Piazza Colonna con Villa Borghese, il “Bois de Boulogne” della capitale italiana. Nasceva così Via Veneto, la più bella via della Roma Umbertina, intorno alla quale si sviluppò un grande isolato con ‘Ville’, ‘Villini unifamiliari’ e ‘Case da pigione’ per soddisfare le esigenze della borghesia che per la prima volta arrivava nella Roma capitale d’Italia. La sua posizione alta, salubre, la vicinanza alla Stazione Termini rispondeva alle esigenze dei nuovi ceti emergenti che il neonato Stato unitario portava nella capitale, Roma si popolò di uomini d’affari, ambasciatori, per i quali furono costruiti Alberghi di lusso ed edifici di culto diverso da quello cattolico. Un rione dove si sono cimentati i più prestigiosi architetti dall’ultimo ventennio del 1800 fino agli anni quaranta del secolo successivo. La nostra passeggiata è iniziata a Via Boncompagni che insieme a Via Ludovisi è l’unico tratto viario appartenuto alla antica ‘Villa Ludovisi’. Nel Villino Boncompagni, che oggi è sede del Museo Boncompagni Ludovisi, abbiamo ammirato, nel Salone delle Vedute al piano nobile, l’affresco con un trompe l’oeil che rievoca il parco della perduta Villa. L’edificio fu progettato nel 1901 dall’ingegnere Giovanni Battista Giovenale e poi modificato nel 1932 dal principe Andrea e dalla moglie Alice Blanceflor de Bildt. Grazie alle volontà testamentarie della principessa oggi il Villino è diventato un Museo per le Arti decorative ed il Costume e la Moda © foto g. morganti

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dei secoli XIX e XX, aperto ai visitatori grazie anche ai volontari di Aperti per Voi del TCI. Lungo via Boncompagni è possibile ancora ammirare numerosi villini unifamiliari costruiti a partire dalla fine degli anni ottanta dell’800 fino agli anni trenta del ‘900. Sono tutti in stile eclettico con contaminazioni liberty, gli architetti cercarono di soddisfare i gusti dei proprietari che volevano replicare lo stile rinascimentale degli antichi grandi palazzi nobiliari. Questa scelta in nome di un ritorno ai canoni del ‘500 incontrò il favore sia di committenti quali i Boncompagni-Ludovisi che dei ricchi ‘mercanti di campagna’ come i Calabresi che scelsero G. Koch per rimanere fedeli allo ‘stile nazionale’. Siamo poi passati davanti ai giardini del Villino Rattazzi, realizzato da Giulio Podesti nel 1899 per un familiare del celebre statista, il Villino Pignatelli di Giuseppe Mariani che ricorda Palazzo Rucellai a Firenze, il Villino Folchi che confina con l’Excelsior. La presenza dei Ministeri portò a Roma un grande flusso di impiegati, i colletti bianchi. Anche loro aspiravano ad elevarsi socialmente attraverso la loro abitazione; per loro furono costruite le ‘Case da pigione’ di livello elevato che si alternano lungo la via di villini. Appartamenti ampi (dai 70 ai 300 mq) con soffitti alti 4 - 4,5 m fatti da lunghi corridoi su cui si aprivano grandi stanze, case di lusso con l’elettricità, l’ascensore, i lavatoi all’ultimo piano e servizi igienici privati. Della antica Villa Ludovisi il principe Rodolfo riservò per la sua famiglia un appezzamento di terreno dove fece costruire una grande Villa dall’architetto più importante del momento, Gaetano Koch, il ‘Principe degli architetti romani contemporanei’. Il Palazzo Grande è costituito da un insieme di edifici rinascimentali e ingloba anche un criptoportico degli antichi horti Sallustiani, avrebbe dovuto sostituire lo storico Palazzo Piombino che si trovava a Piazza Colonna, espropriato e demolito per attuare il Piano Regolatore. Nel 1982 la crisi edilizia colpì la famiglia Boncompagni Ludovisi che si vide costretta a vendere la proprietà; la rilevò dapprima la Banca d’Italia e nel 1900 fu acquistata dai Savoia per farne la residenza della Regina Madre, Margherita di Savoia, rimasta vedova dopo l’assassinio di Umberto I e da cui il Palazzo prese il nome. All’incrocio di Via Veneto con Via Boncompagni il Principe Rodolfo fece costruire due villini per i figli, su progetto di G.B. Giovenale, collegati da una piccola ferrovia uu © foto f. boccalaro © foto e. bucci

notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020 u23

In queste pagine da sx: il Museo Boncompagni Ludovisi. Il Villino Pignatelli. Cartolina illustrata d’epoca, inviata nel 1902, raffigurante il Palazzo Margherita (Raccolta Foto De Alvariis). L’Hotel Excelsior


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di b u l C territorio oggi scomparsa. In questi due villini nel 1931 s’insediarono la Missione Diplomatica e il Consolato degli Stati Uniti, dal 1928 Palazzo Margherita ospitò la Confederazione fascista degli Agricoltori per poi diventare di proprietà del Governo degli Stati Uniti alla fine della Guerra nel 1946. Dal 2004 appartiene all’Ambasciata americana anche il Palazzo dell’INA che si trova a Via Sallustiana, disegnato da Ugo Giovannozzi ed inaugurato il 30 ottobre nel 1927 nell’ambito delle celebrazioni per l’anniversario della marcia su Roma. A Palazzo Margherita la Regina allestì un ospedale per accogliere i feriti della Grande guerra come ricorda una targa sul muro di cinta. Un’altra targa ci ricorda che qui fu ospitato il generale di brigata Robert T. Frederick, comandante del I raggruppamento servizi speciali americano che a capo della famosa Brigata del Diavolo (la Brigata che non fa prigionieri) guidò la prima truppa alleata che entrò a Roma il 4 Giugno 1944. Giunti su Via Veneto una serie innumerevole di alberghi di lusso si mostrano con tutta la loro bellezza, ricchi di storie di vita. L’Hotel Excelsior, capolavoro progettato dall’architetto Otto Maraini, come Villa Maraini a Via Ludovisi, residenza del fratello, grande industriale della canna da zucchero. Durante l’occupazione nazista vi alloggiarono molti ufficiali del comando tedesco della Wermacht, ma questo non impedì a Renè, che aveva il suo salone per capelli all’interno, di fornire molte informazioni ai partigiani romani. Poco più su, verso Porta Pinciana esiste ancora l’Hotel Flora che appariva nella pubblicità della rivista ‘Emporium’. Anche questo albergo fu requisito dalla Wermacht che collocò al secondo l’alto comando della Gestapo dove alloggiarono il Presidente e i membri del Tribunale di guerra. Qui, il 19 dicembre 1943, i Gap piazzarono 4 bombe al piano terra, rimasero uccisi diversi tedeschi. uu

© foto p. palmucci

1960, Federico Fellini seduto al Bar Doney dell’Excelsior, e la targa a lui dedicata in via Veneto

Ma non abbiamo potuto dimenticare che Via Veneto è stata resa celebre in tutto il mondo da Fellini con il Film ‘La dolce vita’ come cita la targa che gli è stata dedicata. Negli anni ’50 Via Veneto era il salotto della vita letteraria e culturale italiana, i bar pullulavano di gente a tutte le ore del giorno e della notte. Di notte si potevano incontrare letterati e uomini politici seduti all’Harry Bar, al ‘Doney’ o al Bar Rosati che oggi non c’è più. Non c’è più neanche la famosa libreria Rossetti e il Cafè de Paris è stato riaperto solo recentemente. Negli anni ’60 arrivarono anche le star cinematografiche di tutto il mondo a farsi fotografare dai ‘paparazzi’ sulla via della ‘Dolce Vita’ avvolta da atmosfere ‘felliniane’. In una intervista sull’Europeo il regista dichiarò: «Avevo sempre sognato, da grande, di fare l’aggettivo. Ne sono lusingato. Cosa intendano gli americani con ‘felliniano’ posso immaginarlo: opulento, stravagante, onirico, bizzarro, nevrotico, fregnacciaro. Ecco, fregnacciaro è il termine giusto». La nostra passeggiata si è conclusa all’Hotel Ambasciatori, oggi Grand Hotel Palace, costruito su un progetto iniziale di Carlo Busiri Vici e terminato nel 1925 da Marcello Piacentini per conto di Gino Clerici. A quel tempo la via era già tutta costruita e rimaneva solo un lotto di terreno, piccolo e irregolare, ma posizionato eccezionalmente proprio davanti la residenza della Regina Margherita. Qui abbiamo avuto la possibilità di entrare nell’hotel per visitare la 24 unotiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020


© foto g. morganti

meravigliosa “Sala Cadorin” dove abbiamo ammirato gli splendidi affreschi del pittore Guido Cadorin (1926-27; vedi Notiziario 1/2019) e rievocato gli originali menù della cucina futurista. Alla sinistra dell’ingresso una fontanella per cani del 1940, l’unica in tutta Roma. La tradizione vuole un cliente inglese dell’Hotel avesse due cani e si trovasse nella difficoltà di farli bere. Il barman dell’hotel avrebbe avuto l’idea di far costruire la fontanella sormontata dalla la sigla Abc (così veniva chiamato il bar, ma anche acronimo di Ambasciatori Bar Charlie)”. Ci hanno accompagnato in questo itinerario, fra storia e curiosità, i nostri soci Volontari Massimo Marzano, Paola Palmucci e Vittorio Gamba.

Questa pubblicazione on-line, riservata ai volontari del Touring Club Italiano, è nata e vive esclusivamente con il contributo dei volontari stessi che, liberamente e a titolo gratuito, condividono con la redazione il frutto delle loro conoscenze. Volontari sono anche coloro che svolgendo tutte quelle attività “tecniche” come il coordinamento redazionale e l’impaginazione decidono la stesura finale del Notiziario.

In Redazione: Elisa Bucci, Alberto Castagnoli, Massimo Marzano, Massimo Romano Coordinamento editoriale: Massimo Romano Progetto grafico e impaginazione: Gianluca Rivolta Hanno collaborato a questo numero: Vittorio Gamba, Massimo Marzano, Maurizio Moretti, Claudio Carlucci, Elisa Bucci, Mauro Belati, Paola Palmucci

notiziario 1, Gennaio/Febbraio 2020 u25

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