notiziario dei Volontari di Roma anno IV – numero 2 - marzo/maggio 2019
Appia
Day 2019 Marzo/Maggio 2019, notiziario 2 u1
appiaday 2019
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Pubblichiamo alcune foto di questa edizione 2019 dell’Appia Day. Insieme a queste abbiamo voluto pubblicarne anche una del nostro caro amico e collega Maurizio che ci ha la-
sciato proprio in questi giorni dopo una strenua battaglia contro un male inesorabile. Pensiamo che sia giusto ricordarlo cosĂŹ sorridente, fotografato con Anna Di Paolo alla edizione 2018 di questo evento. Evento che lo ha visto, come per tante altre iniziative, sempre tra i piĂš convinti ed entusiasti organizzatori. La Redazione
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open houserome
volontari TCI all’open house roma
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viaflaminia
Sant’Andrea
il ‘santo bagnato’ a via Flaminia Di Elena Cipriani
«Er giorno de la festa de Sant’ Andrea pescatore, che vviè’ li 30 de novembre ha dda ppiove pe’ fforza», sentenzia un detto popolare, che fa del pescatore di Galilea, fratello di San Pietro, un «santo bagnato».
E proprio sotto questa caratteristica Sant’Andrea è rimasto legato a Roma. Il Santo subì il martirio a Patrasso, in Acaia, il 30 novembre del ‘60, sulla croce «decussata», passata alla storia appunto come «croce di sant’Andrea». Nel 357 il suo corpo fu trasportato da Patrasso a Costantinopoli dall’imperatore Costante II, per vantare su Roma l’onore di avere le spoglie del primo apostolo martire. Nel 1208, al termine della quarta cro-
ciata, il cardinale amalfitano Pietro Capuano trasferì il corpo ad Amalfi, dove ancora si trova, ma la testa rimase a Patrasso. Fu portata a Roma nel 1462 da Tommaso Paleologo, despota di Morea spodestato dai Turchi, per donarla al Papa Pio II in cambio dell’impegno per un’ulteriore crociata, volta a riconquistare Costantinopoli; il viaggio per mare fu avventuroso, afflitto da tempeste, destinate a segnare la caratteristica del «santo bagnato». La reliquia, giunta ad Ancona, fu portata prima a Narni, dove rimase per alcuni mesi, affidata alla custodia del prefetto pontificio poichè la strada verso Roma era resa insicura dalla guerra che contrapponeva Alessandro Sforza e Federico da Montefeltro a Jacopo Piccinino e Jacopo Savelli. L’11 Aprile in occasione della Domenica delle Palme venne condotta a notiziario 2, Marzo/Maggio 2019 u5
Roma lungo la Via Flaminia e il fiume Tevere dove, all’altezza di Ponte Milvio, fu depositata nella torretta del ponte ed il giorno successivo venne consegnata dal Cardinale Bessarione - rappresentante della Grecia - a Papa Pio II Piccolomini (14581464). Nei prati antistanti il ponte, sulla riva sinistra del Tevere (l’attuale largo Cardinal Consalvi, di fronte al civico 441), era stato eretto un grande palco di legno a cui si accedeva da due scalinate. Da un lato del palco salì Bessarione, portando la sacra reliquia, dall’altro il Papa per riceverla. In una giornata di pioggia e fulmini, la reliquia fu poi portata nella Chiesa di Santa Maria del Popolo e da lì nella Basilica di San Pietro con solenni processioni. La testa dell’apostolo comunque, per quanto «bagnata», arrivò al luogo per destinazione, che fu la basilica di San Pietro, e dal 1640 venne esposta in una delle
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viaflaminia
uu quattro
balconate erette dal Bernini nei pilastri della cupola della basilica Vaticana sopra la grande statua di Sant’ Andrea di François Duquesnoy. Da qui però fu sottratta il 14 marzo 1848, e sulla venerata reliquia, oggetto del furto sacrilego, venne messa una «taglia» di 5000 scudi, da consegnarsi a chi ne desse notizia. Così il primo aprile dello stesso anno la testa venne «miracolosamente» ritrovata presso porta San Pancrazio, e il fortuito rinvenimento fu occasione presa al volo da Pio IX per costruire, a ridosso delle mura Gianicolensi, un’edicola, anche questa con statua raffigurante Sant’ Andrea con la croce «decussata». Ma la reliquia era evidentemente destinata a non restare a Roma. Nel settembre del 1964 Paolo VI decise di restituirla a Patrasso e così la testa intraprese un nuovo viaggio alla volta della Grecia, questa volta in aereo. E il destino della testa bagnata fu confermato: il 22 settembre, giorno nel quale la testa fu preparata per essere trasferita, riposta nel reliquario usato per il primo viaggio, su Roma si abbatté un’eccezionale grandinata; il giorno dopo, il viaggio in aereo si svolse tra fulmini e tuoni. Venuta meno la testa, a Roma restano, oltre le edicole, le numerose chiese a testimoniare il legame dei romani al santo. Dal Tempietto del Vignola sulla Flaminia alla berniniana Sant’ Andrea al Quirinale, la «perla del Barocco»; da Sant’ Andrea della Valle, con la splendida cupola del Maderno, a Sant’ Andrea della Fratte con il campanile del Borromini «ballerino». Questo infatti oscilla, quando suonano le campane o quando è colpito dai fulmini. Per celebrare il ritorno a Roma, nel luogo dove ricevette la reliquia, e cioè appena passato il fiume, nella attuale Piazza Cardinale Consalvi, il Papa Pio II Piccolomini fece costruire l’Oratorio, dedicato a Sant’Andrea. L’edificio è estremamente semplice ed è circondato da un piccolo cimitero, noto come Cimitero dei Pellegrini
perché vi furono sepolte numerose persone morte a Roma durante i pellegrinaggi. Al centro del cimitero vi è la statua di Sant’Andrea, opera dello scultore Paolo Taccone, situata all’interno di una struttura a tempietto di Niccolò Mariano - entrambi allievi del Filarete -, voluta anch’essa da Pio II nel 1463. Il volto del Santo, incorniciato dalla barba a due punte, presenta delle somiglianze con quello di Bessarione ritratto dallo stesso artista nel monumento funebre di Pio II (1470 ca.), oggi nella chiesa di S. Andrea della Valle. La statua originariamente era coperta da un baldacchino che prometteva l’indulgenza plenaria a quanti l’avessero visitata, adorando per cinque volte Gesù e l’intercessione del martire; ma il baldacchino fu distrutto, guarda caso, da un fulmine nel 1866 e l’edicola fu restaurata. Nel 1566 Papa San Pio V Ghislieri (1566-1572) concesse l’Oratorio all’Arciconfraternita della Trinità dei Pellegrini. Attualmente l’Oratorio è un luogo di culto sussidiario della vicina Parrocchia di Santa Croce sulla Via Flaminia, in Via Guido Reni. Ma continuando il cammino verso Porta del Popolo incontriamo un altro luogo dedicato a Sant’Andrea, il tempietto del Vignola. Questa piccola chiesa, chiusa tra le rotaie del tram, fa parte delle strutture volute da papa Giulio III per la sua villa di campagna: villa Giulia. La chiesetta segnava appunto il confine della villa lungo la via Flaminia e fu costruita sui resti di un antico sepolcro romano per volontà del papa Del Monte quale ex-voto per essere stato liberato, nel 1527 quand’era prelato, dalle orde di Carlo V a cui era stato consegnato da papa Clemente VII per garantire il rispetto degli accordi presi dal Papa con l’imperatore, dopo il sacco di Roma. Così viene descritta la fuga dallo storico Quirino Angeletti nell’opera “La chiesa di S. Andrea sulla via Fla6 unotiziario 2, Marzo/Maggio 2019
La statua del Santo all’interno dell’Oratorio
minia” del 1919: “Volle papa Giulio questa chiesa, in memoria e voto di avere vissuto, nel giorno consacrato all’apostolo S. Andrea, due degli episodi più commoventi della sua vita. Il primo, di una drammaticità impressionante, cioè quando ancora arcivescovo Sipontino, Ciocchi del Monte, durante il terribile sacco di Roma del 1527 trovavasi ostaggio dei Lanzichinecchi dell’imperatore Carlo V.” Narra in proposito il Varchi: «fu costretto il Papa (Clemente VII) per quietare i lanzi de lo minacciavano, e di questo accordo accontentare non si volevano, dare loro per istatichi sette a loro scelta de’ più cari e più onorati personaggi che appresso di se avesse, quattro sacerdoti e tre laici, tutti si può dire fiorentini: messer Giovanmaria del Monte, che fu poi papa Giulio III, arcivescovo Sipontino, messer ... ». Ed il Moroni ci fa sapere in qual modo il giorno di S. Andrea egli sfuggisse sano e salvo alla sua triste condizione: «Mosso Pompeo Colonna cardinale a compassione, imbandì ai nemici una lauta cena, con vini esquisiti, onde vinti dal sonno, gli ostaggi poterono evadere coll’aiuto delle corde per la cappa del camino». L’altro episodio si riferisce al giorno di S. Andrea, 30 novembre 1549, nel
Paul Letarouilly. Tempietto di S. Andrea sulla via Flaminia. Disegno. 1850
qual dì entrò in conclave da cui uscì papa (il conclave inizia dopo la morte di Paolo III il 10 novembre 1549). La chiesa fu realizzata da Jacopo Barozzi da Vignola, tra il 1551 e il 1553 a pianta centrale con cupola ellittica, con un finestrone di tipo termale nelle lunette laterali. Nella sua costruzione fu impiegata la “pietra serena”, la pietra grigia di tante chiese fiorentine, invece del classico travertino. La chiesa ha una concezione spaziale classicista, è uno degli edifici romani più armoniosi e sembra ispirarsi al Bramante soprattutto nella realizzazione grafica del sistema architettonico sul pavimento che raccorda la cupola ovale (un elemento architettonico completamente nuovo) alla semplice aula rettangolare dell’interno. Alla morte di Giulio III nel 1555 la chiesa non è più sede di celebrazioni; nel 1560 Pio IV confisca le proprietà lasciate in eredità a Baldovino del Monte, fratello di Giulio III e la chiesa di “Sant’Andrea della Vigna” viene eletta a parrocchia e dipenderà da S. Maria del Popolo con la Bolla “Sacri Apostolatus Ministerio” del 1/1/1561; viene concessa una prima “limosina” di 4 scudi ai padri Agostiniani di S. Maria del Popolo, per la officiatura di messe in S. Andrea; limosina che
sarà seguita da altre analoghe, con frequenza mensile. I padri Agostiniani riceveranno una vigna vicina e una pensione annua di 100 ducati, e ordina la realizzazione di una abitazione per quattro frati. è probabile che l’officiatura di messe, celebrata dagli Agostiniani in S. Andrea sia stata pressochè regolare sino al maggio 1564, data nella quale cessano le “limosine” di Papa Pio IV. Solamente nel 1574 papa Gregorio XIII riaffidò la chiesa ai Padri Agostiniani di S. Maria del Popolo, ripristinando i benefici soppressi. Gli Agostiniani traevano una rendita dall’affitto della vigna annessa al S. Andrea, rendita che durò sino all’ottobre del 1616, data in cui un certo Amerigo Capponi, fiorentino, liberò dal canone la vigna, pagando 1200 scudi agli Agostiniani, così come si legge nell’atto del notaio Michelangelo Cesius. Durante il periodo 1821-1866 la chiesa fu adibita a luogo di sepoltura come testimoniano le quattro iscrizioni in marmo poste sul pavimento, e le casse mortuarie presenti nella cripta della chiesa stessa. Dal 1826 è documentato, nei confronti del S. Andrea, un vivo interesse del Valadier, grazie all’insistenza del quale furono eseguiti lavori di restauro nel biennio 1829-1830. In una lettera indirizzata notiziario 2, Marzo/Maggio 2019 u7
al Camerlengo , datata 22 luglio 1826, Valadier afferma di aver riscontrato che “dalla parte di tramontana una porzione del cornicione sferico è caduto , e parte sta per cadere” e inoltre che il S.Andrea “viene divorato dagli alberi e rughi che ivi vi allignano” , e quindi di aver ordinato l’estirpamento della vegetazione circostante e il collocamento di alcuni sostegni allo stesso cornicione per impedirne una ulteriore rovina. Alla data del 17 ottobre 1826 lo stesso architetto scrive al Camerlengo che il preventivo per l’anno 1827 “è già pronto” e contiene anche la somma di spesa che potrà occorrere per i lavori più necessari per il tempietto . A tale tempestività non corrisponde un’adeguata azione da parte del camerlengo se il 17 dicembre 1828, il Valadier torna nuovamente a parlare con questi, circa il pessimo stato di conservazione del S. Andrea. Nell’occasione l’architetto, recatosi in loco, ha riscontrato che le acque piovane trapassano all’interno del tempio, che “le decorazioni esterne si salnitrano e cadono”, “che l’umidità è la causa principale del distacco dei mattoni del pavimento” “e così in tutte le parti vi si rilevano danni... è una descrizione preoccupata, nella quale si auspica un “restauro fatto come si conviene, da isolare il monumento dalle lordure della vigna col farle un muro di cinta che se lo allontani”, allegando un conto preventivo dettagliato dei lavori da eseguire, redatto il 1 dicembre 1828. Nel 1852 fu aggiunto il campanile a vela. Ulteriori interventi sono realizzati nel Novecento sulla cupola, ripristinando il rivestimento esterno in piombo e “coccio pesto”, restituendole in tal modo l’originaria resa cromatica, e sul particolare pavimento policromo della chiesa. Attualmente la chiesa fa parte della parrocchia di Sant’Eugenio alle Belle Arti; è aperta soltanto la domenica mattina per la messa cattolica ed il pomeriggio per le celebrazioni della comunità copta.
fugadalla città
palena,
il paese delle orchidee Una volontaria ci fa conoscere un paese Bandiera Arancione Touring. Può essere un’idea per una gita nel Parco Nazionale della Majella Di Eugenia Napoleone
C’è un paese, in Abruzzo, adagiato nella valle del fiume Aventino, sul versante orientale della Majella, che può van-
tare la Bandiera Arancione Touring. Palena ha guadagnato questo titolo non solo grazie al contesto ambientale in cui è situato, nel cuore del Parco Nazionale della Majella, ma anche grazie alle testimonianze storiche, artistiche e culturali di cui si abbellisce: dal Castello medievale, datato all’XI secolo, che ospita il museo geopaleontologico e la pinacoteca comunale, alla deliziosa chiesa barocca della Madonna del Rosario, fino al Teatro Aventino, il secondo teatro più piccolo d’Italia. Ma, indubbiamente, i punti di forza di
questo borgo sono le bellezze naturalistiche che lo circondano. è per valorizzare e far conoscere sempre di più questo piccolo territorio che, dal 2016, sotto l’egida del comitato scientifico del Parco della Majella, del Comune e della Proloco di Palena, tra maggio e giugno si svolge l’iniziativa Nel paese delle orchidee. Escursioni e visite guidate, ma anche convegni e manifestazioni a tema, conducono sui sentieri,che si diramano da Palena, caratterizzati dalla ricchezza floristica frutto della variegata morfologia di questa parte della Majella, luogo ideale per la nascita spontanea di varie specie di orchidee. è eccezionale come un’area che costi-
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tuisce solo lo 0,03% dell’intero territorio italiano sia terreno fertile per circa il 15% della flora nazionale: è in queste cifre che rientrano le 64 specie e sottospecie di orchidee riconosciute e segnalate nella zona di questo piccolo borgo. In particolare, si possono trovare esemplari molto rari se non unici, come l’ibrido di orchidea denominato Ophrys x Palenae o la majellensis che prende il nome proprio dal massiccio montuoso dove per la prima volta è stata rinvenuta questa specie. Quest’anno, la festa di questo prezioso fiore si è svolta dal 9 al 12 maggio con escursioni nelle località paesaggistiche più suggestive dell’area palenese, visite all’area faunistica dell’orso, al MOM (Museo dell’orso marsicano) e all’eremo di Celestino V in località “Madonna dell’Altare” e con convegni alla presenza di personalità di spicco e studiosi. Prendere parte a questo evento non è solo un’esclusiva per gli appassionati di orchidologia, è un’occasione per chiunque voglia trascorrere una giornata tra le bellezze naturalistiche, i colori e i profumi della montagna abruzzese o scoprire l’arte e le tradizioni di questo piccolo ma ricco territorio.
IN ricordo di
maurizio di Massimo Marzano
Ho conosciuto Maurizio in epoca relativamente recente, in questo momento della vita, in cui un labile e striminzito spazio intercorre tra la vita e la morte, quando, ormai usciti dal mondo del lavoro, si seguono le passioni e gli interessi che ti possano dare soddisfazione e profondo piacere, senza nessuna aspettativa economica o remunerativa e ti possano permettere “di impegnare il tempo”. Ci siamo conosciuti nel fare volontariato nel TCI e ci siamo dedicati da subito, come molti altri amici, a dare sfogo al nostro desiderio di cultura e di valorizzazione dell’arte e del patrimonio italiano, e quindi a fare progetti, a promuovere iniziative, ad impegnarci con slancio e passione nel raggiungere gli scopi prefissati e a comunicare agli altri i nostri interessi culturali ed etici e le nostre conoscenze. Maurizio è stato un promotore di questo spirito culturale e sociale e un protagonista della nostra organizzazione pratica. Maurizio aveva tutte le caratteristiche umane ed intellettuali della migliore e più attiva e più brillante società napoletana: sembrava che fosse distaccato ed invece era riservato; sembrava che stesse in silenzio ed invece rifletteva, pensava; sembrava che fosse distratto ed invece stava a sentirti; sembrava che i problemi, le difficoltà prendessero il sopravvento ed invece trovava la forza, i modi per un nuovo slancio emotivo, per aprire nuovi orizzonti, nuovi scenari; sembrava che non volesse parlare ed invece con tono suadente e pacato ti portava a ragionare. Sembrava tante altre cose, ma ora come ora sicuramente ci direbbe che dobbiamo continuare con questo spirito costruttivo, con questo slancio appassionato, con la forza delle nostre convinzioni e delle nostre passioni … se noi continueremo così Maurizio continuerà a vivere … e la morte sarà superata dal ricordo e dal legame che conserveremo verso di lui, verso Maurizio, piacevole e seducente incontro in questo momento della vita, quando l’arte, la passione, l’amicizia ti permettono di superare la problematicità della condizione umana. Per tutti, per la moglie, gli amici e soprattutto per i figli, Maurizio sia un modello ed un esempio da seguire per affrontare la vita. notiziario 2, Marzo/Maggio 2019 u9
attivitàsul territorio
di b u l C territorio
Vi presentiamo i resoconti di altre due passeggiate del Progetto “Roma, Regina Aquarum” a cura di Elisa bucci Console TCI - Coordinatrice del Club di territorio
PASSEGGIATA DEL 14 OTTOBRE 2018
Da Via Giulia a Piazza Navona di ELENA CIPRIANI Il 14 ottobre 2018, continuando il nostro progetto “Roma Regina Aquarum”, si è svolta la passeggiata da via Giulia a piazza Navona, attraverso i rioni Regola, Parione e Sant’Eustachio seguendo il percorso degli acquedotti Traiano/Paolo e Vergine. Il percorso è iniziato da Via Giulia che nel 1508 papa Giulio II della Rovere progettò col Bramante come la prima strada più lunga di Roma (1 Km) a tracciato rettilineo (tanto che fu chiamata anche “via Recta”), denominata “strada Julia” dal nome del pontefice; collegava il ponte Sisto con l’Ospedale S. Spirito, entrambi appena restaurati e qui si sarebbero dovute collocare tutte le corti giudiziarie sparse per la città, ma i lavori per il maestoso Palazzo dei Tribunali, progettato dal Bramante, vennero presto interrotti e mai ripresi. La costruzione dei muraglioni del Tevere, avvenuta a seguito dell’inondazione del 1870 e finanziata grazie ad una legge proposta da G. Garibaldi, stravolse la “facies” più caratterizzante della via: sparirono le case lungo il fiume, i palazzi vennero ridimensionati o eliminati, come accadde nel 1879 per l’ospizio dei mendicanti, il cosiddetto “palazzo dei Centopreti”, al quale un tempo si appoggiava, come fondo pregevole della via, la fontana Borghese (fatta edificare dal Papa Paolo V Borghese nel 1613) spostata nel 1898 in piazza Trilussa. La fontana del Mascherone, addossata al muro che separa via Giulia dal Lungotevere, non lontano dal prospetto posteriore di palazzo Farnese, venne realizzata - presumibilmente nel 1626 - a spese dei Farnese (come dimostrerebbe il giglio del coronamento) da Girolamo Rainaldi (1570-1655), lo stesso architetto che in quegli 10 unotiziario 2, Marzo/Maggio 2019
anni realizzava le fontane gemelle su piazza Farnese. L’acqua esce dalla bocca della maschera e si riversa in un bacino per poi ricadere nella vasca. Già nel 1570 la “Congregazione sopra le fonti” aveva destinato una fontana alla “Strada Giulia” e ne aveva prevista l’alimentazione con l’acqua Vergine, acquedotto riattivato in quell’anno da Pio V. Tuttavia fu necessario attendere la canalizzazione dell’acqua Paola (1612) per garantire la nascita dell’opera. La fontana, originariamente isolata al centro di un piccolo slargo, che ospitò nel 1660 un teatro all’aperto (il muro retrostante fu edificato infatti alla fine dell’Ottocento quando furono costruiti i muraglioni per contenere le piene del Tevere), è composta da una antica vasca termale in granito, collocata al centro di un bacino leggermente incassato nel livello stradale e lastricato con frammenti di marmi policromi. Il fondale della vasca è costituito da un prospetto marmoreo, coronato da un giglio in metallo; al centro si trova il celebre mascherone antico che versa l’acqua. Nel 1720 in occasione del corteo di nobili senesi che celebrava l’elezione del loro concittadino Marco Antonio Zondadari a Gran Maestro di Malta, dal mascherone verso sera iniziò a uscire vino e continuò fino al mattino del giorno dopo. Da via Giulia arriviamo a piazza Farnese, con le fontane gemelle, alimentate anch’esse dall’acquedotto Paolo. Terminata intorno al 1545, piazza Farnese (allora “piazza del Duca” in quanto nel 1545 aveva presieduto ai lavori Pier Luigi Farnese Duca di Parma) era la piazza principale del rione Regola, dominata dall’imponente facciata del palazzo della famiglia Farnese. Al centro della piazza papa Paolo III aveva fatto porre, togliendola da piazza San Marco, una delle due vasche di granito, probabilmente “prelevate” dalle antiche Terme di Caracalla. La vasca doveva avere semplice funzione ornamentale, visto che la zona non era sufficientemente servita da acquedotti che ne potessero consentire l’utilizzo come fontana, tant’è vero che era utilizzata anche come punto d’osservazione privilegiato per le feste, giostre, tornei, naumachie, e per gli spettacoli di corrida che venivano organizzati nella piazza. Nel 1580 il cardinale Alessandro Farnese il Giovane riuscì ad ottenere dal Papa Gregorio XIII° anche la seconda vasca, in cambio di un’altra più piccola, e la trasferì nella piazza di fronte al proprio palazzo, sistemandole entrambe nella posizione che occupano attualmente le fontane. Poiché all’epoca si stava realizzando il grande acquedotto dell’”Acqua Vergine”, è probabile che il cardinale avesse già intenzione di farne una coppia di fontane, e volesse intanto predisporre le vasche in attesa che i condotti portassero l’acqua anche alla piazza. Da piazza Farnese a Campo de’ Fiori il tragitto è breve, ma l’atmosfera è completamente diversa: lì eravamo tra i potenti, qui siamo tra il popolo. Prato fiorito fino alla metà del XII secolo per il pascolo del bestiame, si estendeva fino alla riva del Tevere, prima che gli Orsini cominciassero le loro costruzioni sulle rovine del Teatro di Pompeo. Nel XV secolo la piazza divenne una delle zone commerciali più vivaci della città e un mercato del bestiame tra i più fiorenti, dominato soprattutto dai maremma- uu notiziario 2, Marzo/Maggio 2019 u11
Piazza Farnese in una incisione di Hendrick Van Cleef del 1535 ca. In apertura, la Fontana del Mascherone in un acquarello di Ettore Roesler Franz
attivitàsul territorio
di b u l C territorio ni (dalle zone del Viterbese, Senese ed Orvietano) che si erano insediati, alla fine del ‘400 sulla riva destra del Tevere, tra ponte S. Angelo e ponte Sisto, dove stava sorgendo il mercato che era stato trasferito dal Campidoglio a piazza Navona e successivamente, nel 1819, a Campo de’ Fiori. Qui erano locande famose in tutta Europa, come quelle “Della Vacca” all’angolo tra la piazza e vicolo del Gallo, appartenuta alla bella Vannozza Cattanei, madre dei figli di Rodrigo Borgia, poi papa Alessandro VI. In “Roma ricercata nel suo sito” scritta nel 1644 da Fioravante Martinelli vengono descritte le attività della piazza: “vi risiedono scarpinelli, armaroli, rivenditori di vestiti vecchi, gabelliere delle dogane, cavalli e biade; in essa si portano a vendere grani, biade, cavalli e asini; in essa si fa la giustizia dei condannati a morte per causa di religione”. Infatti uno dei condannati illustri fu Giordano Bruno,così ricordato da Trilussa: “Fece la fine dell’abbacchio al forno / perché credeva al libero pensiero / perché si un prete je diceva “è vero” / lui risponneva “Nun è vero un corno”. uu
La Fontana dei Libri in via degli Staderari
Dopo alcune importanti fontane, su incarico di papa Gregorio XIII (che però morì prima di vederla realizzata) Giacomo Della Porta progettò e realizzò per ultima, nel 1590 anche quella di piazza Campo de’ Fiori, una vasca ovale esterna posta, a causa della bassa pressione dell’acqua, sotto il livello stradale (cui si accedeva attraverso due rampe di quattro gradini) contenente un’altra elegante vasca di forma ovale in marmo bianco, dal profilo bombato e con il bordo svasato, sui cui lati erano scolpite due maniglie ad anello e una rosa centrale. Già allora, come anche oggi, piazza Campo de’ Fiori era sede di un popolare mercato, soprattutto di verdura e fiori (da cui il toponimo) e, nonostante gli editti, le proibizioni, le sanzioni e le punizioni anche corporali, si continuava a gettare rifiuti e avanzi del mercato all’interno della fontana, utilizzandola come fosse una pattumiera. Solo nel 1622 si riuscì a porre termine allo scempio con un provvedimento indubbiamente originale: si asportarono i delfini (che, da allora, andarono perduti) e si pose sulla vasca interna un coperchio in travertino, a cupola, con un grosso “pomello” centrale, che fece assumere all’intera fontana l’aspetto di una gigantesca “zuppiera” (una “terrina”, appunto). La fuoriuscita dell’acqua venne assicurata traforando il centro delle rose poste sui lati della vasca. Lo sconosciuto scultore autore del coperchio pose, alla base del pomello, un’iscrizione circolare: “AMA DIO E NON FALLIRE. FA DEL BENE E LASSA DIRE. MDCXXII”. Nel 1889 la fontana venne asportata per lasciare posto al monumento a Giordano Bruno, e trasferita nei magazzini comunali, ricollocata nel 1898 nella parte “nuova” di Campo de’ Fiori, ovvero nello spazio occupato fino al 1858 da alcune case, in seguito demolite. Nel rifacimento ottocentesco venne inoltre tralasciata l’aggiunta seicentesca, ovvero il “coperchio”. La fontana cinquecentesca con il suo coperchio, cioè la “terrina”, venne invece ricostruita anni più tardi (1924) in piazza della Chiesa Nuova. Da Campo de’ Fiori, attraverso il Passetto del biscione, arriviamo a piazza S. Andrea della Valle, dove troviamo la fontana, un tempo posizionata nella scomparsa piazza Scossacavalli, vicino S. Pietro e attualmente alimentata dall’acquedotto Paolo. Continuando la nostra passeggiata, abbiamo incontrato un piccolo gioiello: la Fontana dei Libri, alimentata dall’acquedotto Vergine, che si trova in via degli Staderari, nome che ricorda gli antichi fabbricanti di stadere e bilance, un tempo esistenti in questa zona. Questa composizione, in travertino, fu eseguita nel 1927 su progetto dell’architetto Pietro Lombardi e fa parte di quelle fontane commissionate dal Comune di Roma che volle ripristinare in vari punti della città alcuni 12 unotiziario 2, Marzo/Maggio 2019
simboli di antichi rioni o di mestieri scomparsi. Da qui a piazza Navona, in quello che fu lo stadio di Domiziano, che sorse qui, nell’anno 86 d.C., nelle vicinanze dell’Odeon, dove oggi è il Palazzo Massimo alle Colonne, alla cui decorazione aveva partecipato anche colui che fu poi l’architetto di Traiano: Apollodoro di Damasco. Probabilmente nei pressi della piazza, e presso il Tevere, dovette sorgere la Naumachia di Domiziano costruita per gli spettacoli nautici che non si potevano più dare nell’Anfiteatro Flavio dopo che lo stesso Domiziano ebbe costruito gli impianti di servizio sotto l’arena. L’imperatore apprezzava in modo particolare i giochi atletici greci che, insieme a quelli musicali ed equestri, facevano parte del Certamen Capitolinum, la gara in onore di Giove Capitolino. Piazza Navona rimane celebre nella memoria dei romani per i giochi d’acqua che vi si svolgevano particolarmente nei mesi estivi, che presero il nome di battaglie navali, che per motivi igienici vennero definitivamente aboliti da Pio IX nel 1866. Alla fine del Cinquecento Gregorio XIII fece collocare, ai due estremi, due bacili di fontane da Giacomo della Porta: al centro venne posto un abbeveratoio. L’ascesa al pontificato di Innocenzo X Pamphilj, le cui case familiari si trovavano sulla piazza, determinò il destino della piazza. Fu così che qui il Barocco trionfante lasciò una delle sue impronte scenografiche più mozzafiato, e fu quasi una gara tra Bernini, Borromini, Rainaldi e Pietro da Cortona che lasciarono i segni tra i più strabilianti della loro immaginazione. Tutto questo in un secolo, come il Seicento, nel quale potere e arte erano strettamente collegati: un’epoca in cui l’arte era un mezzo efficace di affermazione politica, economica e sociale e il potere si esprimeva attraverso l’estro e l’inventiva di grandi artisti, amici di principi e di alti prelati, che progettavano solenni architetture e imponenti cicli pittorici per i loro aristocratici e colti committenti. Nel 1574 una delle nuove diramazioni dell’Aqua Virgo raggiunse il sito dove anticamente sorgeva lo stadio dell’imperatore Domiziano. Secondo il documento della congregazione dei cardinali, in questo luogo dovevano sorgere due fontane, ad entrambe le estremità dell’ovale. Poiché la conduttura attraversava il centro della piazza, fu deciso di aggiungere al progetto originale una terza fonte d’acqua corrente, un semplice “beveratore” per cavalli, a metà fra le opere più grandi. Delle due fontane principali se ne occupò Della Porta, mentre nel 1650 l’abbeveratoio centrale fu sostituito dalla Fontana dei Fiumi del Bernini. uu notiziario 2, Marzo/Maggio 2019 u13
Il gruppo sosta a Campo de’ Fiori . Sotto, Piazza Navona (primi del ‘600): nel disegno si vedono bene le due fontane e il beveratore al centro; nella metà sinistra della piazza una piccola folla circonda un ambulante o un ciarlatano. Nel 1651 l’abbeveratoio fu sostituito dalla fontana del Bernini
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G. B. Falda, Fontana del Trullo, 1680 c.
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Passeggiata del 18 NOVEMBRE 2018
“L’acqua e Campo Marzio, da Piazza del Popolo a Viale della Trinità dei Monti” DI ELISA BUCCI Console Tci
Proseguendo gli itinerari legati al tema dell'acqua a Roma, il 18 novembre 2018 abbiamo passeggiato in una delle aree più significative del Rione Campo Marzio insieme a tanti soci ed amici, organizzati in due gruppi guidati da Raffaele Focarelli e da Elisa Bucci. Dal Rinascimento in poi questa zona ebbe un notevole incremento urbanistico favorito anche dalla disponibilità di acqua fornita dall’acquedotto Vergine (voluto da Agrippa nel 19 a.C.) unico scampato, in parte, alla devastazione barbarica e completamente ristrutturato intorno al 1570. Testimonianza dell’abbondanza di acqua, di cui gode e godeva l’area, sono le numerose fontane e fontanelle pubbliche che, ancora oggi, sono presenti nel Rione e hanno costituito il nostro filo conduttore. Il nostro percorso ha preso avvio dalla Porta del Popolo che per duemila anni è stata il principale ingresso in città per viaggiatori, mercanti, contadini e pellegrini che venivano da nord. è proprio qui che, dopo la riattivazione dell’Acquedotto Vergine, Gregorio XIII commissionò a Giacomo della Porta (nel 1572) la prima tra le tante nuove fontane pubbliche, la cosiddetta “Fontana del Trullo” che oggi, dopo vari spostamenti e notevoli modifiche, ritroviamo a piazza Nicosia.
Fontana degli Artisti, foto di Anna Selbmann
Nel 1816 Giuseppe Valadier iniziò la trasformazione architettonica e urbanistica della piazza, che terminò nel 1834. Oggi possiamo ammirare le nuove fontane che hanno completato il ridisegno della piazza: la “Fontana dei quattro leoni”, alla base dell’obelisco, le due fontane al centro dei due emicicli contrapposti sull’asse Pincio-Tevere, del “Nettuno e Tritone” e di “Roma Armata”. Spostando lo sguardo sulla rampa di raccordo tra la piazza e il Pincio appare, maestoso, il complesso architettonico che, a partire dal 1936 con la conclusione di importanti 14 unotiziario 2, Marzo/Maggio 2019
interventi sull’Acquedotto Vergine, divenne la nuova Mostra. Lasciando alle nostre spalle la piazza e gli importanti alberghi (Hotel de Russie e Hotel Piranesi) ancora presenti all’inizio di via del Babuino, ci siamo avviati per via Margutta. Frequentata già dal seicento da importanti pittori, divenne nell’ottocento il rifugio naturale di pittori, scultori, poeti, musicisti e artigiani, e sede di circoli di cultura e mecenati che renderanno questa piccola via un luogo magico. Proprio a costoro è dedicata la piccola Fontana degli Artisti, realizzata nel 1927 dall’architetto e scultore Pietro Lombardi, vincitore del concorso per la progettazione di nuove fontane per la città di Roma che dovevano esprimere i caratteri e le attività più rappresentative dei rioni interessati. Tornati su Via del Babuino, ci troviamo di fronte alla famosa Fontana che ha dato il nome alla strada a partire dalla seconda metà del settecento. La via, infatti, nel tempo ha cambiato più volte denominazione. All’inizio del cinquecento una parte era detta “Orto di Napoli”, forse per la presenza di una colonia napoletana, un’altra parte era chiamata del “Cavalletto”, dal mezzo di tortura o di pena che qui vi si infliggeva. Quando Clemente VII la fece sistemare, in occasione del Giubileo del 1525, fu detta “Clementina” e successivamente “Paolina”, a seguito del completamento del sistema viario del Tridente realizzato per volontà di Paolo III intorno al 1540. La Fontana, voluta da Alessandro Grandi per il giardino del suo palazzetto ubicato lungo la via ed anche per “pubblica utilità” (non appena riattivato l’Acquedotto Vergine), dopo vari spostamenti venne nel 1737 inserita nel nicchione, ancora esistente, del Palazzo Boncompagni poi Cerasi, poco oltre l’attuale collocazione. Nel 1887, a causa di lavori alla rete fognaria, la fontana con il Sileno fu smembrata: la vasca fu posta davanti alla fontana di Giulio III sulla via Flaminia, mentre il Sileno rimase nel palazzo. Soltanto nel 1957, la fontana del Babuino fu ricomposta e riattivata, con il riutilizzo dell’antica vasca termale, dove oggi la vediamo. Proseguendo per le strade di questa parte del Rione, abbiamo ricordato le tante botteghe artigianali (micro mosaico), le locande e i luoghi di ristoro, primo fra tutti il Caffè Greco, che qui s’insediarono nei secoli e raccontato aneddoti ed episodi della vita dei personaggi che vi soggiornarono (Luigi e Giuseppe Valadier, Carolina Wittgenstein, Giuseppe Garibaldi). Dopo aver raggiunto la Fontana Torlonia su Via Bocca di Leone, fatta costruire da Marino Torlonia nel 1842, siamo arrivati a Piazza di Spagna, circondati da moltissimi turisti che qui si accalcano per ammirare (ma ci riusciranno?) la splendida Fontana Berniniana della Barcaccia (1626-1629) e la Scalinata di Trinità dei Monti (terminata nel 1726). Anche noi, come da tradizione, ci siamo fotografati lungo la scalinata! uu notiziario 2, Marzo/Maggio 2019 u15
Dallo “Stradario Romano” di Benedetto Blasi, 1923. Sotto, il gruppo completo, foto di Guido Morganti
attivitàsul territorio
di b u l C territorio Abbiamo completato la nostra passeggiata raggiungendo il Piazzale di Villa Medici per ammirare la Fontana della “Palla di Cannone”, realizzata alla fine del XVI secolo, che era rifornita dall’Acqua Felice, a differenza di tutte le altre fontane incontrate che erano alimentate invece dall’acqua Vergine. uu
Fontana della Palla di Cannone, foto di Anna Selbmann
è piacevole ricordare come Gabriele d’Annunzio, nel 1887, descriveva questo luogo: “Il viale è deserto. I vasti alberi, immobili, proteggono la fontana e si specchiano nel bacino dove l’acqua per tale ombra è cupa e molle come un velluto”. Ringraziamo il nostro Claudio Carlucci per le letture dei testi di molti poeti e scrittori, che hanno amato e raccontato questi luoghi, e che ci hanno “accompagnato” in questa passeggiata: da Augusto Jandolo a Marco Lodoli, da Giuseppe Gioacchino Belli a Mario Dell’Arco. E Grazie a tutti i Soci che sono stati con noi!
I° gruppo a Piazza di Spagna, foto di Guido Morganti
II° gruppo a Villa Medici, foto di Guido Morganti
In Redazione: Elisa Bucci, Alessia De Fabiani, Alberto Castagnoli, Massimo Marzano, Massimo Romano Coordinamento editoriale: Massimo Romano Grafica e impaginazione: Gianluca Rivolta Hanno collaborato a questo numero: Elena Cipriani, Eugenia Napoleone, Massimo Marzano, Elisa Bucci Questa pubblicazione on-line, riservata ai volontari del Touring Club Italiano, è nata e vive esclusivamente con il contributo dei volontari stessi che, liberamente e a titolo gratuito, condividono con la redazione il frutto delle loro conoscenze. Volontari sono anche coloro che svolgendo tutte quelle attività “tecniche” come il coordinamento redazionale e l’impaginazione decidono la stesura finale del Notiziario.
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