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Club di territorio

notiziario dei Volontari di Roma anno III – speciale 1 - marzo 2018

cristina di svezia a roma speciale 1, Marzo 2018 u1


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Il 20 ottobre dello scorso anno, nell’ambito delle iniziative del Club di Territorio aventi come tema il “Grand Tour”, si è svolta una passeggiata lungo via della Lungara e via Garibaldi. è stata anche l’occasione di “incontrare” una delle donne più significative vissute nella seconda metà del ‘600 a Roma: Cristina di Svezia, donna straordinariamente intelligente, colta, ma anche spregiudicata e controcorrente

Cristina di Svezia e Roma: una donna alla ricerca della libertà 2 uspeciale 1, Marzo 2018


In copertina: Sébastien Bourdon, Cristina di Svezia, 1653, Museo del Prado. Qui a fianco, Giuseppe Vasi, Palazzo Corsini. Sopra, Jacob Ferdinand Voet, Ritratto di Cristina Regina di Svezia, 1670

Di Elisa Bucci

La vita della regina Cristina di Svezia è stata oggetto, nel tempo, di molte opere teatrali, liriche e film. Ricordiamo

il film “La rinuncia” con Liv Ullman del 1974 o l’interpretazione di Cristina da parte della sua connazionale, l’attrice Greta Garbo, nel film «La regina Cristina» del 1933, che, sebbene solo parzialmente fedele alla storia della sovrana svedese, all’epoca fu uno strepitoso successo. Moltissimi anche i libri che hanno descritto la figura di Cristina: in particolare il volume di Cesare D’Onofrio “Roma val bene un’abiura” e il libro di Dario Fo “Quasi per caso una

donna – Cristina di Svezia”. Ripercorriamo insieme la sua complessa ed affascinante vicenda umana che la portò dalla sua Stoccolma luterana all’amata Roma cattolica. In una lettera al Cardinale Azzolino del 23 gennaio 1666 Cristina così scriveva: “Credetemi, io preferirei vivere a Roma e mangiare pane e acqua ed avere una cameriera soltanto, piuttosto che possedere altrove tutti i regni e i tesori del mondo”. Ma come e perché lasciò la Svezia e come visse a Roma? Il ricordo della sua straordinaria personalità e del fascino che suscitò rimasero per anni nella storia della nostra città. Figlia unica del re Gustavo II Adolfo speciale 1, Marzo 2018 u3

e di Maria Eleonora di Brandeburgo, Cristina di Svezia (Stoccolma 18 dicembre 1626 – Roma 19 aprile 1689) ereditò il trono a soli 6 anni, alla morte dell’amatissimo padre nella battaglia di Lützen (6 novembre 1632); ma la reggenza, fino al 1644, quando la regina raggiunse la maggiore età, fu affidata al cancelliere Axel Gustavsson Oxenstierna. La sua incoronazione venne però posticipata a causa della guerra con la Danimarca e divenne ufficialmente Regina il 20 ottobre 1650. Il cancelliere Oxenstierna discuteva con lei le strategie politiche e si dilettava a insegnarle la storia degli scritti di Tacito. Cristina studiava felicemente per dieci ore al giorno ed im- uu


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parò lo svedese, il tedesco, l’olandese, il francese e l’italiano, dimostrando un talento unico non solo per la sua epoca. Oxenstierna scrisse fiero della quattordicenne regina “Non è come tutte le altre donne” ed ha “una luminosa intelligenza”. Durante il periodo del regno di Cristina, la Svezia divenne uno dei regni più raffinati ed acculturati d’Europa, al punto che Stoccolma venne soprannominata “l’Atene del Nord”. Nel 1646 la regina ebbe modo di corrispondere col filosofo Cartesio (René Descartes), cogliendo l’occasione per chiedergli una copia delle sue Meditazioni metafisiche. Cristina, che aveva allora solo 20 anni, si proclamava sua discepola e lo voleva come suo mentore. A tale scopo lo invitò più volte in Svezia, finché il filosofo francese raggiunse Stoccolma il 4 ottobre 1649. Egli prese residenza presso l’ambasciatore Chanut ed il 18 dicembre di quello stesso anno iniziò ad impartire lezioni private alla regina, discutendo anche di filosofia e di religione. Il povero Cartesio amava molto riposare ed era solito alzarsi dal suo letto tra le 11 e le 12, al punto che spesso riceveva i suoi ospiti standosene sotto le coperte. Queste sue abitudini dovettero mutare, infatti fu costretto ad impartire le sue lezioni a Cristina, impegnata nelle faccende di governo, alle 5 del mattino. Si alzava quindi la notte e usciva da casa per recarsi dalla parte opposta dell’isola che formava allora il centro di Stoccolma. Probabilmente a causa delle levatacce mattutine, del fisico debole e del duro lavoro si ammalò di polmonite e morì nel giro di poche settimane l’11 febbraio del 1650. Alcuni studiosi ritengono, invece, che sia stato vittima di un avvelenamento ad opera del monaco agostiniano François Viogué, inviato dal papa Innocenzo X Pamphilj a Stoccolma come missionario apostolico

Pierre Louis Dumesnil, René Decartes alla Corte di Cristina di Svezia, metà 1700

al fine di convertire la regina Cristina al cattolicesimo. Il monaco Vioguè avrebbe visto in Cartesio un ostacolo alla conversione della regina, che era luterana, e quindi avrebbe proceduto ad eliminarlo con il veleno. L’arsenico sarebbe stato somministrato a Cartesio tramite un’ostia nel corso di una messa celebrata presso la cappella dell’ambasciata francese a Stoccolma dallo stesso Viougè. L’ipotesi è contestata: la stessa Cristina riconobbe il contributo di Cartesio alla sua conversione (avvenuta poi nel 1654), alla quale, successivamente, contribuirono i gesuiti Paolo Casati e François Malines, inviati a Stoccolma nel febbraio 1652 dal padre generale Francesco Piccolomini e dal cardinale Fabio Chigi (poi papa Alessandro VII dall’aprile 1655 al maggio 1667), che accoglierà, con grande onore, Cristina a Roma nel 1655. Come era stata la vita di Cristina alla Corte Svedese? Così racconta ella stessa nella sua autobiografia (inizia4 uspeciale 1, Marzo 2018

ta a scrivere nel 1661): “Il re aveva ordinato… di darmi un’educazione completamente virile e insegnarmi tutto quello che un giovane principe deve sapere per essere degno di regnare. Dichiarò apertamente che non voleva che mi fosse ispirato nessuno dei sentimenti del mio sesso, tranne la gentilezza. Fu in questo che le mie inclinazioni assecondarono straordinariamente bene i suoi disegni, giacché avevo un’avversione e un’antipatia invincibili per tutto quello che fanno e che dicono le donne. I loro abiti, ornamenti e maniere mi erano intollerabili; non avevo nessuna cura del mio incarnato, della mia figura e del resto della mia persona; non portavo mai né cuffia né velo, raramente i guanti non sopportavo i vestiti lunghi e volevo mettermi solo gonne corte. Per di più avevo un’incapacità irrimediabile per tutti i lavori manuali, di cui non ci fu mai modo di insegnarmi alcunché. Ma, in cambio, apprendevo con straordinaria facilità tutte le lingue, le scienze e gli


Porta del Popolo, come modificata da Gian Lorenzo Bernini per l’arrivo della Regina Cristina di Svezia (da Wikimedia Commons)

esercizi fisici… Inoltre ero instancabile. Dormivo spesso all’aperto e sulla nuda terra. Mangiavo poco e dormivo ancor meno. Trascorrevo due o tre giorni senza bere, perché non mi era permesso bere acqua e avevo per il vino e la birra un’avversione pressoché invincibile. La regina mia madre mi diede una volta un colpo di frusta per avermi sorpreso a bere di nascosto l’acqua di rugiada con cui ella si lavava il viso… Ma per mangiare tutto mi andava bene, tranne il prosciutto e le carni di maiale… Sopportavo il caldo e il freddo senza alcuno sforzo, facevo lunghe marce a piedi, correvo a cavallo senza mai stancarmi. Conducevo una vita fuori dal comune, a dispetto di tutti gli altri… Amavo i libri. Li leggevo con piacere. Avevo un desiderio insaziabile di sapere tutto. Ero brava in tutto”. Ma accanto a “tanti talenti” Cristina descrive anche i suoi difetti: “Ero diffidente, sospettosa, ambi-

ziosa… fino all’eccesso. Ero collerica e irascibile, superba e impaziente, sprezzante e beffarda. Non risparmiavo nessuno… Rido troppo spesso e troppo fragorosamente e cammino troppo svelta…” Se da un lato di se stessa scrive: “Signore vi rendo grazie di avermi fatto nascere femmina, e ancor più di avermi fatto la grazia di non aver fatto giungere nessuna delle debolezze del mio sesso fino alla mia anima, che avete reso, per vostra grazia, tutta virile, così come il resto del mio corpo”. Dall’altro così si esprime sulle donne: “La mia idea è che le donne non dovrebbero mai regnare e ne sono così convinta che, se mi fossi sposata, avrei probabilmente tolto il diritto di successione alle mie figlie… è pressoché impossibile per una donna assolvere degnamente i doveri del trono… L’ignoranza delle donne, la debolezza della loro anime, del loro corpo e del loro spirito le rendono incapaci speciale 1, Marzo 2018 u5

di regnare…” Biografi e storici nel tempo l’hanno descritta come una donna isterica, ninfomane, assetata di potere, crudele, vulnerabile, fisicamente deforme, malata, ossessionata dalla propria bruttezza ma hanno anche sottolineato la forza d’animo, l’ingegno, la passione per lo studio.. Importante fu la sua azione, di pace e di tolleranza, svolta durante le trattative che portarono alla Pace di Vestfalia del 1648, ponendo fine alla guerra dei trenta anni fra potenze protestanti e cattoliche. Ricordiamo che comunque la Pace impose alla Chiesa la restituzione dei beni secondo la situazione del 1624. Fabio Chigi, che rappresentava la Santa Sede, si rifiutò di firmare i protocolli: tale insuccesso gli pesò per tutta la vita. La successiva abiura della Regina Cristina e il suo arrivo a Roma rappresentarono quindi per Fabio, divenuto poi Papa, anche una rivincita per alleviare i dolori della sconfitta e della perdita di potere della Chiesa. Durante il suo soggiorno in Francia, nel 1658, Cristina fu ricevuta con tutti gli onori da Luigi XIV, ma colpì l’elegante corte di Versailles per i suoi modi schietti e all’apparenza rozzi. Anna Maria Luisa d’Orléans, duchessa di Montpensier, in una sua missiva, così parlava di Cristina: «Mi ha sorpreso molto: applaude le parti che le sono piaciute delle rappresentazioni ringraziando Dio per la bravura degli attori, si getta sulla sua sedia, accavalla le gambe e poggia le braccia sui braccioli in maniera poco elegante, assumendo posture che ho visto assumere solo da Travelin e Jodelet, due famosi buffoni di corte... È per tutti gli aspetti una creatura straordinaria». Un altro aspetto di Cristina, che aveva già prodotto una marea di pamphlet e di pettegolezzi durante la sua vita, è quello delle sue abitudini sessuali. è plausibile anzi che il de-

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siderio di libertà - non solo sessuale - e la sua insofferenza nei confronti del rigore luterano l’abbiano messa in contrasto con la corte e i bigottismi ad essa legati, fino a convincerla della necessità di convertirsi al cattolicesimo che essa vedeva come più affine al suo senso religioso e quindi di abdicare. Anche la “sua invincibile avversione per il matrimonio”, cui la sua posizione la obbligava, potrebbe averla spinta a lasciare il trono. Aveva avuto, ancora in Svezia, un’infatuazione per il cugino di secondo grado Carlo, una passione per il giovane Magnus de La Guardie, e una lunga relazione, fin dal 1645, con la dama di Corte contessa Ebba Sparre (chiamata Bella), alla quale scriveva ancora dall’Italia. In una lettera da Pesaro, il 27 marzo 1657, Cristina scrive: “… se voi non avete dimenticato la facoltà che avete su di me, vi ricorderete che sono già dodici anni che sono posseduta dall’essere amata da

voi. Infine, io sono vostra in una maniera per cui è impossibile che voi mi possiate perdere, e non sarà altro che con la fine della vita che io cesserò di amarvi …” L’idea della sua presunta omosessualità o, al contrario, della sua sregolatezza sessuale era così ormai radicata che, prima della grande mostra del 1966 a Stoccolma, fu eseguita, da parte di studiosi svedesi, una ricognizione nella tomba della regina alle Grotte Vaticane per appurare se effettivamente si trattasse di un ermafrodito. Il medico Hjortsjö costatò che i resti appartenevano ad una donna. Dopo dieci anni di regno, il 2 maggio 1654 Cristina abdicò, a Uppsala, in favore del cugino Carlo Gustavo per abbracciare la religione cattolica. La conversione, preceduta dalla professione di fede in forma privata a Bruxelles la vigilia di Natale del 1654, fu sancita a Innsbruck il 3 novembre del 1655 alla presenza del legato pontificio Lukas Holste. Un mese dopo la pubblica abiura

Carlo Rainaldi, Progetto acquarellato della facciata di Palazzo Farnese per l’entrata di Cristina di Svezia, 1655. A dx, incisione anonima, La cavalcata di Cristina di Svezia in Roma, da Carlo Cartari, Diario vol. VII. Pagina accanto, Filippo Gagliardi, Filippo Lauri, La Giostra dei Caroselli, 1656 6 uspeciale 1, Marzo 2018

arrivava in incognito a Roma. Alessandro VII mandò incontro alla regina l’astronomo Giovanni Domenico Cassini. Entrò a Roma nella notte tra il 20 e 21 dicembre del 1655 attraverso la Porta Pertusa delle Mura Leonine (in precedenza murata, fatta aprire per lei; anche oggi è murata e si trova in viale Vaticano) per essere ospitata in Vaticano nella cosiddetta “Torre dei Venti”, fatta costruire da Papa Gregorio XIII per perfezionare gli studi che portarono alla riforma del calendario. La Torre, alta 73 metri, fu tra i primi osservatori meteorologici. In questo lussuoso ambiente Cristina trascorse in incognito alcuni giorni, dedicando gran parte del tempo a visitare i lussureggianti giardini e ad ammirare le meravigliose opere d’arte di quell’angolo del Vaticano. Manifestò subito la sua “particolare” personalità: il giorno successivo al suo arrivo “privato” si svegliò alle sei di mattina, mangiò venti ostri-


che per colazione, mobilitò tutta la servitù e poi chiamò Gian Lorenzo Bernini facendosi accompagnare “per la Galleria e le altre stanze del Palazzo vedendo le pitture e per la libreria” (dal Breve diario del cardinal Neri Corsini). Le cerimonie organizzate per accoglierla furono tra i più grandi eventi pubblici del seicento. Infatti, tre giorni dopo l’entrata in sordina, il 23 dicembre vi fu il suo ingresso trionfale; partendo da Ponte Milvio, dopo una sosta di qualche ora presso Villa Giulia, ove si formò il fastoso corteo che doveva accompagnarla, entrò in città. La Porta del Popolo, per l’occasione, fu completata e decorata da Gian Lorenzo Bernini, con l’iscrizione scolpita sull’attico della facciata interna ancora spoglia, per volontà dello stesso Papa, del quale venne anche apposto lo stemma di famiglia (il monte di sei pezzi sormontato dalla stella a otto raggi, emblema dei Chigi).

«FELICI FAVSTO[QVE] INGRESSVI ANNO DOM[INI] MDCLV» (per un ingresso felice e fausto, Anno del Signore 1655) L’ingresso ufficiale fu comunque un avvenimento memorabile per il popolo di Roma, sia per la profusione di sfarzo e lusso, sia per il disappunto arrecato a commercianti ed ambulanti che furono costretti a sospendere per alcuni giorni le loro attività, per consentire la pulizia e mantenere il decoro lungo tutto il percorso del corteo da Porta del Popolo alla Basilica di San Pietro. Sempre dal Bernini erano stati realizzati i doni che Alessandro VII offriva alla regina: una carrozza, una lettiga e una sedia. Raccontano i testimoni: “Cavalcò sopra una chinea (il cavallo bianco donatole dal papa) al modo di donna vestita alla francese di colore berettino (grigio-azzurro) ricamata di oro con il cappello in testa con un cordone di oro” anche se riportano il

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fatto che Cristina era “sempre solita cavalcare a modo di huomo et non sedere sopra il cavallo come hora a moda di donna”. Palazzo Farnese, dove Cristina si sarebbe insediata, fu interamente addobbato con un apparato per la facciata che ne trasformò l’aspetto, con una ricca decorazione barocca disegnata da Carlo Rainaldi, architetto del duca Ranuccio II, Duca di Parma e Piacenza, proprietario dl Palazzo. Il giorno di Natale fu cresimata dal pontefice nella Basilica di S. Pietro e ribattezzata con il nome di “Cristina Alessandra”. Il 18 gennaio i Gesuiti celebrarono la regina con un grandioso apparato sia al Collegio Romano sia alla Chiesa di Sant’Ignazio. Furono però soprattutto i Barberini, tornati a Roma dalla Francia nella pienezza della loro ritrovata potenza e grandezza, desiderosi di metterla in mostra nelle celebrazioni per il nuovo prestigioso ospite romano, a do-

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nare alla città gli eventi più spettacolari. Le feste per il Carnevale furono l’occasione per rinnovare i fasti degli anni splendidi di Urbano VIII, e con ancor maggiore magnificenza si mise mano all’organizzazione di un grande evento che avrebbe coinvolto un gran numero di persone, confluite nel palazzo di famiglia per assistere ad una Giostra cavalleresca. Sulla facciata del palazzo, oltre ai due piani di palchi, anche al di sopra del portone d’ingresso, vi era il palco per la Regina e i personaggi invitati più importanti. La sera del 28 febbraio iniziò la Giostra dei Caroselli. Per alcuni mesi aveva quindi risieduto in palazzo Farnese, ospite di Ranuccio II. Nei successivi anni viaggiò molto: nel luglio 1656 partì da Roma, forse per fuggire l’epidemia di peste che a Roma fece quasi 15.000 morti, su una popolazione totale inferiore ai 100.000 abitanti, ma anche per trovare altri appoggi in Europa. Soggiornò in Francia fino al 1658, al suo ritorno fu ospitata a Palazzo Rospigliosi. Mentre nei bienni 1660-62 e 1666-68 si recò in Svezia e ad Amburgo, tornò quindi a Roma per risiedervi poi definitivamente fino alla sua morte, avvenuta il 19 aprile 1689. Comunque, già dal 1662/3, al ritorno dal secondo biennio di permanenza all’estero, prese alloggio presso il Palazzo Riario in via della Lungara, che il cardinal Decio Azzolino, consigliere e amministratore fidato (con il quale Cristina aveva stretto un legame appassionato) aveva preso in affitto per lei dal luglio 1659 e che aveva munificamente allestito; il Palazzo sarà successivamente venduto nel 1736 al cardinale Neri Maria Corsini che lo amplierà come oggi noi lo vediamo, grazie all’intervento di Ferdinando Fuga. Il Cardinale Decio Azzolino, nato a Fermo nel 1623 e morto a Roma nel 1689, ebbe un ruolo fondamentale nel reclutamento della corte romana della regina Cristina di Svezia, nominando

molti cortigiani originari di Fermo, assunti principalmente in base alla loro relazione di parentela con la famiglia Azzolino. Si pensi che nel febbraio del 1689, la “Corte” di Cristina era composta complessivamente da circa 190 persone per un costo mensile di circa 2.200 scudi (dal “Ruolo della Corte Reale di Cristina Alessandra di Svezia del Febbraro 1689” firmato dal Cardinale Azzolino). Con lei, instancabile collezionista di oggetti d’arte, di manoscritti e libri rari, il Palazzo raggiunse il suo massimo splendore, sia per quanto riguarda il parco, dove fece piantare 8 uspeciale 1, Marzo 2018

un numero straordinario di piante ed edificare terrazze e fontane, sia per quanto riguarda l’edificio, il cui arredamento divenne degno di una sovrana. Furono persino modificati gli interni per ospitare la sua collezione di statue al pianterreno e la quadreria al piano nobile. Di questa fase della storia del palazzo oggi si conserva traccia nell’Alcova della Regina, dove sopravvivono le decorazioni cinquecentesche. La sua collezione di dipinti, costituita da un nucleo iniziale di provenienza paterna, fu poi abbondantemente in-


Gian Lorenzo Bernini, Progetto per uno specchio per la regina Cristina di Svezia, 1670 circa (da wikimedia.org). Nella pagina accanto, Jacob Ferdinand Voet, Ritratto del cardinale Decio Azzolino, 1670 circa

della sua morte avvenuta nel 1680, fosse stata realizzata per Cristina ma che questa, pur apprezzandola, la rifiutò per il fatto di non poter donare al Bernini un oggetto di egual valore. Alla morte dell’artista, Cristina la ricevette comunque in eredità (dalla biografia del Bernini di Filippo Baldinucci del 1682); il Busto è stato ritrovato recentemente nel convento di San Sebastiano fuori le Mura.

crementata dietro i consigli di monsignor Bellori, fino a raggiungere il considerevole numero di 280 tele. Giovan Pietro Bellori (1613 – 1696) antiquario e collezionista, noto per aver scritto nel 1672 “Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni”, era stato nominato Il 31 maggio 1670 da Clemente X Commissario delle antichità di Roma (ruolo che aveva ricoperto Raffaello nel 1515 sotto Papa Leone X). Il Bellori mantenne il suo posto di commissario delle antichità sino al 1694, anno in cui diede le dimissioni perché la sua salute non gli permette-

va di tener dietro ai doveri di ufficio. Divenne, presumibilmente intorno al 1677 anche unico bibliotecario e antiquario e custode delle medaglie di Cristina. Molti furono anche i rapporti fra Cristina e Gian Lorenzo Bernini. Il Bernini aveva disegnato per lei, intorno al 1670, una splendida cornice in marmo di uno specchio che aveva in Palazzo Riario; dopo la morte di Cristina arrivò al Cardinale Pietro Ottoboni e non se ne ha più notizia. Sembra anche che il busto del Salvator mundi, l’ultima opera attribuita al Bernini scolpita un anno prima speciale 1, Marzo 2018 u9

Vediamo come viene descritta Cristina da coloro che la incontrarono. Il viaggiatore e fisico inglese Edward Browne in una lettera del 1665 scrive, quando Cristina aveva 39 anni: “È piccola, grassa e un po’ storta; di solito indossa una giacca viola, la cravatta larga e una parrucca da uomo; è sempre allegra, ha un atteggiamento libero”. François Maximilien Misson nel suo Viaggio in Italia – (Lettera XXVI 11 aprile 1688) scrive: “… Ha oltre 60 anni, assai piccola, assai grassa e grossa. Ha il colorito, la voce e il viso virili, il naso grande, gli occhi grandi e celesti: il sopracciglio biondo, un doppio mento disseminato di alcuni lunghi peli di barba, il labbro inferiore un pò sporgente, i capelli di un castano chiaro lunghi quant’è larga una mano, incipriati e ritti senza pettinatura, così come nascono in testa; un’aria ridente e delle maniere assai obbliganti… Quanto all’abbigliamento pensate a un giustacuore da uomo, di seta nero, ricadente sul ginocchio ed abbottonato fino in fondo. Una gonna nera assai corta e che scopre calzature da uomo. Un nodo assai grosso di nastro nero a mò di cravatta. Una cintura sopra il giustacuore che sottolinea il basso ventre e ne fa ampiamente risaltare le rotondità.

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filmografia

Greta Garbo in “La Regina Cristina” di Rouben Mamoulian, 1933

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Uscendo dal colloquio siamo andati a visitare i principali appartamenti del Palazzo. Vi sono colà moltissimi quadri e oggetti antichi di squisita bellezza…” Cristina, donna di grande cultura e amante delle arti, utilizza il Palazzo anche come sede del Circolo intellettuale da lei istituito. Già quando era ospite di Ranuccio II a Palazzo Farnese, il 24 gennaio 1656 la regina aveva inaugurato la prima delle sei adunanze accademiche in cui al confronto su questioni morali seguiva il concerto finale; ma le difficoltà economiche, unitamente alla mancanza di una residenza stabile, influirono in termini negativi sull’iniziativa, che durò il tempo di un carnevale. Solo dopo il suo definitivo trasloco a Palazzo Riario, Cristina formalizzò, il 24 luglio 1674, la sua Accademia Reale, che contava prelati come il cardinale Giovanni Francesco Albani, futuro papa Clemente XI, artisti come il Bernini, musicisti come Scarlatti, e naturalmente il Bellori.

Liv Ullman nel film “The Abdication” di Anthony Harvey, 1974

Malin Buska interpreta Cristina nel film “The Girl King” di Mika Kaurismäki, 2015

Cristina mise anche a disposizione il suo giardino a giovani poeti e letterati che poi, dopo la sua morte, fondarono l’Accademia dell’Arcadia, che si richiamarono ad essa nominandola Basilissa, considerandola come ispiratrice e protettrice dell’Arcadia. La sua residenza divenne dunque un vivace luogo di confronto e sperimentazione. Le scienze, anche quelle esoteriche, furono al centro degli interessi di Cristina che, come il cardinale Azzolino, fu una convinta alchimista. Possedeva in casa un laboratorio e aveva un alchimista alla sua “corte”, frequentò parecchi alchimisti italiani ed esteri, volutamente ignara della contraddittorietà fra atti di fede e pratiche alchemiche. Inoltre Cristina era un’appassionata di arti astronomiche, che praticava personalmente e con esperti. Promosse e finanziò osservazioni celesti, soprattutto in occasione dei passaggi di comete, ossia gli eventi che più di altri racchiudevano interesse scien10 uspeciale 1, Marzo 2018

tifico e valore profetico. Fu detto che la cometa del 1654 fu rilevante nell’abdicazione; successivamente Cristina non smise di interessarsi al fenomeno, come per altro testimoniava la sua biblioteca, ricchissima di opere sull’argomento. Tra i conti di Cristina sono registrati trenta scudi pagati, per l’acquisto di un cannocchiale, a Giuseppe Campani, ottico, astronomo e meccanico italiano, che nel 1664 aveva creato un proprio laboratorio nel quale costruì lenti e soprattutto telescopi, di grande lunghezza focale, in legno in luogo della carta comunemente utilizzata . Aveva inoltre una grande passione per gli Oroscopi. Cristina amava molto le rappresentazioni teatrali: fece allestire al Palazzo un teatro privato, e più tardi, negli anni ’70, ne fece realizzare uno che permetteva di rappresentare opere o di fare adunanze per un pubblico più vasto. Fu provvida mecenate per musicisti quali Alessandro Stradella, Arcangelo Corelli e Alessandro Scarlatti e mantenne una compagnia di


cantanti e musicisti. A Cristina fra l’altro si deve l’apertura del Teatro di Tor di Nona verso la fine del 1670, grazie al grande impegno del Conte d’Alibert, che aveva nominato nel 1662 suo segretario d’ambasciata, appassionato di teatro e amico di Decio Azzolino. Ma sotto il pontificato di Innocenzo XI Odescalchi (Papa dall’ottobre 1676 all’agosto 1689) le condizioni di vita di Cristina mutarono sostanzialmente: il Papa fu infatti il più rigido oppositore dei suoi privilegi e delle sue ingerenze. Contro di lui ella scrisse parole d’inedita asprezza, ritenendolo colpevole di degradarla e di trattarla «da prigioniera di guerra sua» e scelto dalla Provvidenza «per desolare Roma e la religione». Tra le conseguenze di questo irrigidimento vi fu la chiusura del Teatro nel 1675, in coincidenza con il Giubi-

leo, mentre l’anno successivo venne negato il permesso di riapertura (il teatro riprenderà gli spettacoli solo dopo la morte di Cristina). Il suo interesse teatrale si concentrò così nel sostegno fornito al teatro del Collegio Clementino. Cristina di Svezia morì il 19 aprile 1689 lasciando i suoi beni al cardinale Decio Azzolino che cessò di vivere due mesi dopo di lei, il 19 giugno 1689. Lasciò scritto di sé: “Sono nata libera, vissi libera e morirò liberata”. (foto da Tripadvisor) Lo stesso motto si trova impresso a Palazzo Corsini, nella Sala dell’Alcova della Galleria Corsini dove morì Cristina, sulla lapide scoperta da re Gustavo Adolfo di Svezia l’8 ottobre 1966, in occasione delle manifestazioni in suo onore, promosse dal Consiglio d’Europa.

Motto inciso nella stanza dove è morta la Regina Cristina di Svezia (da Tripadvisor)

In Redazione: Alessia De Fabiani, Gianluca Rivolta e Massimo Romano Grafica e impaginazione: Gianluca Rivolta SEGRETERIA ORGANIZZATIVA APERTI PER VOI ROMA: Via Spallanzani, 1 - Villa Torlonia - Roma Apertura: dal martedì al venerdì, dalle 9,30 alle 12,30 Tel.: 06 45548000 apertipervoi.roma@volontaritouring.it “Vi informiamo che da martedì 6 febbraio gli uffici di Villa Torlonia sono chiusi al pubblico fino a nuova comunicazione. Ritorna attivo l’ufficio di Piazza Santi Apostoli, con l’apertura dedicata ai volontari dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00. Tel. 06.36005281-1”

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