Bovini covino saccia storia della cooperaz di consumo a terni crace 2006

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ISBN 88-87288-78-X

Storia della cooperazione di consumo a Terni. Dalla ruggine al futuro

15,00 (IVA inclusa)

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GIANNI BOVINI RENATO COVINO CRISTINA SACCIA

Indice del volume Premessa; 1. La genesi della cooperazione di consumo: le società di mutuo soccorso; 2. La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale; 3. Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista; 4. La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra; 5. Proiettarsi nel futuro; Apparati: Sigle e abbreviazioni; Indice dei nomi di persona.

GIANNI BOVINI RENATO COVINO CRISTINA SACCIA

Storia della cooperazione di consumo a Terni Dalla ruggine al futuro


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STORIA DELLA COOPERAZIONE DI CONSUMO A TERNI Dalla ruggine al futuro

di GIANNI BOVINI RENATO COVINO CRISTINA SACCIA


La ricerca che ha portato alla stesura di questo volume è stata impostata da Renato Covino. Il libro è frutto del lavoro collettivo degli autori, tuttavia: la stesura dei primi tre capitoli è da attribuire a Gianni Bovini, tranne quella del paragrafo Una cooperativa socialista: “La Previdente”, che si deve a Cristina Saccia, così come il capitolo 4 e il paragrafo La Coop Umbria: la nascita di una cooperativa moderna del capitolo 5, mentre i restanti paragrafi dello stesso capitolo, Da Coop Umbria a Coop Centro Italia e Ruggine o futuro?, sono di Renato Covino.

Realizzazione

via Baldeschi, 2 - 06123 Perugia fax 075 9660894 http://www.crace.it e-mail: info@crace.it

Direzione e coordinamento editoriale Gianni Bovini

Copertina e progetto grafico Vito Simone Foresi

Elaborazioni grafiche Cristina Saccia

Redazione e impaginazione Gianni Bovini, Cristina Saccia

© CRACE 2006 Tutti i diritti riservati ISBN 88-87288-78-X prima edizione dicembre 2006


È stata la sezione soci di Terni della Coop Centro Italia a promuovere questa ricerca sulla cooperazione di consumo a Terni, convinta che solo con la ricerca delle proprie origini si consolidino le attuali ragioni dello stare insieme in una moderna forma associativa di consumatori, orientata alla difesa dei propri interessi, ma anche di quelli più generali della comunità. La ricerca mette in evidenza in primo luogo come a Terni, come e più che nel resto del Paese, i destini del movimento cooperativo e di quello dei lavoratori sono sempre stati strettamente legati tra loro: la Cooperazione di Consumo nasce, si sviluppa o regredisce seguendo le fasi alterne del progredire del movimento dei lavoratori. Come un fiume carsico, quando esso subisce delle battute d’arresto la cooperazione scompare sotto la superficie, per riapparire, dopo aver lavorato nell’ombra, nei momenti nei quali i lavoratori affermano con forza la propria presenza. Ma attenzione, la cooperazione di consumo non aderisce passivamente al movimento dei lavoratori, ma lo affianca in alcune fasi difficili, come nel terribile momento delle discriminazioni politiche e dei licenziamenti alle Acciaierie del 1952-53, ricevendone a sua volta sostegno come, ad esempio, nella rappresaglia economica che la Cooperativa Unione dei Lavoratori subisce da parte della Società Terni negli anni cinquanta. Si rintraccia, insomma, un filo rosso che contrassegna la crescita, ma anche le cadute e le sconfitte, insieme alle divisioni del movimento dei lavoratori. La cooperazione, in ogni caso, ne condivide sempre l’aspirazione profonda a creare strumenti validi per liberarsi dalla schiavitù del bisogno, per possedere autonoma capacità di gestione dei propri interessi, unitamente a quelli più generali, per emanciparsi anche sul terreno difficile e rischioso delle strutture economiche. Non sempre, su questo terreno, la battaglia fu vincente, anzi, questa ricerca evidenzia luci ed ombre. Un altro dato che emerge con forza è la progressione della cooperazione quando si aprono aspirazioni e spazi di libertà. Non è casuale, in questa ottica, l’assalto fascista del 1922 alla Giunta Comunale di Terni, guidata dall’avvocato Tito Oro Nobili, che aveva messo tra i primi punti del suo impegno di programma la promozione della cooperazione di consumo, così come, nello stesso anno, l’aggressione della squadra fascista “Disperatissima” al Municipio di Papigno, guidato dal sindaco socialista Emiliano Iacobelli, che si conclude, tra l’altro, con l’incendio della locale cooperativa di consumo. Nonostante le incursioni cruente e gli attacchi sul piano legislativo, comunque, neanche il fascismo riesce a spegnere lo spirito associativo che costituisce la base del movimento cooperativo, tanto è vero che alcune Presentazione

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Presentazione

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cooperative sopravvivono per tutto il ventennio, anche se fortemente condizionate. Ma è con la fine della seconda guerra mondiale e il ritorno alla democrazia, dopo che la città ha subito numerosi bombardamenti, assistendo impotente al danneggiamento delle sue strutture industriali e alla distruzione di quasi l’ottanta per cento del suo patrimonio abitativo, che il movimento cooperativo riprende con vigore il suo cammino, contribuendo fin da subito alla ricostruzione delle fabbriche e delle case. La Cooperativa Unione dei Lavoratori, la prima ad essere fondata dopo la Liberazione con il contributo del CLN, del sindacato e dei partiti democratici, interviene tempestivamente dando un valido apporto alla soluzione del problema dei rifornimenti alimentari aprendo i suoi spacci in quasi tutti i quartieri della città. La chiusura di questa gloriosa cooperativa, dopo un ventennio di attività spesa nella difesa del potere d’acquisto dei salari dei lavoratori ternani, segna una pesante battuta d’arresto del movimento cooperativo ternano. Nella sua crisi si riscontrano i segni di una mancata capacità di innovazione, dei limiti gravi nella gestione e di una frattura profonda con il contesto sociale e politico della città. Alla chiusura dell’Unione Lavoratori seguiranno lunghi anni di assenza del movimento cooperativo dal panorama economico e sociale cittadino. La rinascita avverrà solo nel 1973-74 quando gli operai che risiedevano a Villaggio Matteotti si posero l’obiettivo di realizzare un punto vendita di generi alimentari poiché la zona non era fornita di questo servizio. Il Consiglio di fabbrica della Società Terni designerà Marino Elmi a costruire le basi di questa nuova cooperativa che, nel 1978, con mille lire di quota associativa, inaugura il nuovo spaccio, destinato ai soli soci perché sprovvisto delle necessarie autorizzazioni amministrative. Insomma si torna alle origini. In definitiva questa ricerca ci riporta alla memoria forme associative con vicende diverse, vissute in periodi differenti, ma anche la storia di persone come Ettore Proietti Divi, Marino Elmi, Alfio Paccara, Lino Peri, Mario Benvenuti e tanti altri di generazioni diverse e con origini culturali differenti che hanno contribuito a mantenere vivo nel tempo lo spirito associativo e solidale interpretando le esigenze di crescita e di progresso. Si è trasformata la società, la mezzadria è stata superata, le fabbriche siderurgiche e chimiche hanno profondamente cambiato le loro strutture produttive, le generazioni operaie sono cambiate, ma la domanda di socialità, di solidarietà, di difesa della salute e del risparmio ha continuato ad essere alimentata dai soci Coop. Dell’ultima fase, che ci ha condotti ad inaugurare, il 18 settembre 2005, Coop&Coop (oggi Ipercoop), possiamo solo dire che non sarebbe stato possibile raggiungere questo risultato senza la determinazione e il sostegno di un notevole ed agguerrito gruppo di soci della sezione ternana, forti del retroterra storico che questa ricerca ben documenta. Merito va dato anche alle istituzioni locali che hanno accordato il loro consenso, Presentazione


anche se all’interno di esse alcuni hanno manifestato il timore che rispettare i diritti di Coop Centro Italia apparisse come “graziosa concessione”, mentre altri, avversandoci apertamente, hanno voluto certificare la propria appartenenza. Oggi Coop Centro Italia è una grande impresa, fra le più grandi del movimento cooperativo e questa è una realtà importante, ma più di tutto è orgogliosa di porre l’accento sulla caratteristica che maggiormente la contraddistingue e cioè continuare a costruire il proprio futuro sulle radici democratiche e di solidarietà che ne hanno segnato la storia.

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Giorgio Raggi Presidente Coop Centro Italia

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La sezione soci Coop Centro Italia di Terni, nel presentare questa ricerca, intende sottolineare l’impegno profuso prevalentemente dai propri soci, ma anche da parte di tutti coloro che hanno fornito materiale e informazioni altrimenti non reperibili, perché questo volume potesse rendere conto nella maniera più esaustiva e corretta possibile delle vicende della cooperazione di consumo che hanno interessato la città e la provincia di Terni a partire dalle sue più remote origini. Si è così voluto rendere testimonianza delle radici profonde che la cooperazione di consumo può oggi vantare nel territorio ternano e dello stretto legame che l’ha unita allo sviluppo del movimento democratico e progressista, sia a livello locale che nazionale. La realizzazione del punto vendita Coop&Coop, oggi Ipercoop, che non sarebbe stata possibile senza la determinazione dell’attuale presidenza di Coop Centro Italia, diviene pertanto il naturale sviluppo degli elementi costitutivi e vivificanti di queste radici. Ieri, infatti, la cooperazione rappresentava la tipologia di impresa in grado di soddisfare le esigenze di prima necessità, di difendere il potere d’acquisto dei salari, specie ai livelli più bassi, e le categorie meno abbienti costruendo una rete di spacci diffusa su tutto il territorio ternano e contribuendo, nel secondo difficile dopoguerra, alla sua rinascita economica; oggi essa è in grado di offrire ai consumatori strutture di vendita moderne, ma rispondenti ai medesimi intenti di un tempo: quelli cioè di difendere i cittadini-consumatori e rispondere alle loro diverse esigenze e aspettative, che cambiano a ritmi progressivamente sempre più incalzanti. La sfida che ci aspetta per il futuro è allora quella di matenere vivo e ben saldo lo spirito dei nostri “padri fondatori”, quello spirito di intraprendenza, lavoro e solidarietà sociale che ci ha permesso di arrivare ai risultati di cui oggi possiamo andare orgogliosamente fieri.

Bruno Agostini Presidente della sezione soci di Terni di Coop Centro Italia

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Sommario XIII

Premessa

STORIA DELLA COOPERAZIONE DI CONSUMO A TERNI 1

La genesi della cooperazione di consumo: le società di mutuo soccorso

13

La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

39 13 65 20

Modelli e ideologie di riferimento Lo sviluppo della cooperazione in Umbria

26

Mutualismo, resistenza e cooperazione a Terni

51

La cooperazione di consumo a Terni

56

Una cooperativa socialista: “La Previdente”

74

La Cooperativa Impiegati e Professionisti: la Società Terni torna a interessarsi di cooperazione di consuno

79

“L’Economica”: un esempio di continuità?

83

Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

83

Le vicende belliche, l’avvento e il consolidamento del fascismo in Italia

88

Lo sviluppo del movimento cooperativo nel periodo bellico, lo squadrismo e l’affermazione del fascismo in Umbria e a Terni

99

La cooperazione in Umbria e a Terni

126

L’Unione Cooperativa della Valnerina

133

Il “Progresso”, già “La Famigliare”


137

La Cooperativa tra il Personale dello Jutificio Centurini: un caso di controllo da parte dell’impresa industriale

142

La “Rinascente”: un caso di continuità e disaccordo tra i soci

145

La Cooperativa Famiglia e Lavoro di Campomicciolo

154 13 65 156

La Società Anonima Cooperativa di Consumo tra gli Impiegati Postelegrafonici La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

156

La situazione italiana

158

La realtà umbra e ternana

162

Le piccole cooperative a Terni: tra longevità e iniziativa

167

Il Consorzio Centralimenti: primo tentativo di associazione tra le cooperative di consumo della provincia di Terni

171

“L’Unione dei Lavoratori”: idee moderne, problemi antichi

202

Coop Tevere: dall’agricoltura al consumo

212

Proiettarsi nel futuro

212

Coop Umbria: la nascita di una cooperativa moderna

222

Da Coop Umbria a Coop Centro Italia: i dati della crescita

224

Da Coop Umbria a Coop Centro Italia: i fattori dello sviluppo

230

Ruggine o futuro?

APPARATI 246

Sigle e abbreviazioni

247

Indice dei nomi di persona


Premessa

La stesura del libro, lunga e laboriosa, non sarebbe comunque stata possibile senza la disponibilità dei lavori e, più in generale, della ricerca storica di Giampaolo Gallo (raccolti nel volume La Storia e i suoi strumenti, a cura di Renato Covino e Francesco Chiapparino, ISUC / Editoriale Umbra, Foligno 1977), Renato Covino e Gianfranco Canali (ora raccolti in questa stessa collana nel volume Operai, antifascisti e partigiani a Terni e in Umbria, a cura di Gianni Bovini, Renato Covino e Rosanna Piccinini, CRACE, Perugia 2004) sull’Umbria e su Terni in particolare. Ugualmente indispensabili sono stati: le pubblicazioni di Renato Covino e Giampaolo Gallo sul tema della modernizzazione in Umbria, i lavori di Giulio Sapelli sulla cooperazione (in particolare: Guido Bonfante, Zeffiro Ciuffoletti, Maurizio degl’Innocenti e Giulio Sapelli, Il movimento cooperativo in Italia. Storia e problemi, a cura di Giulio Sapelli, Einaudi, Torino 1981), il volume di Renato Zangheri, Giuseppe Galasso e Valerio Castronovo pubblicato nel 1987 da Einaudi per iniziativa della Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue (Storia del movimento cooperativo in Italia. La Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue 1886-1986, Einaudi, Torino 1987); la ricerca coordinata dall’Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea (ISUC) per conto della Lega Regionale delle Cooperative e Mutue confluita nel volume Studi sulla cooperazione (a cura di Gianni Bovini e Renato Covino, Protagon, Perugia 1990); nonché, da ultimo, allo scritto di Antonio Casali Dalla Società di Mutuo Soccorso fra gli Artisti e gli Operai di Perugia alla Coop Umbria. 1868-1988. Centoventi anni di cooperazione di consumo in Umbria (Coop Umbria, Perugia 1988) e al volume di Vera Zamagni, Patrizia Battilani e Antonio Casali intitolato La cooperazione di consumo in Italia. Centocinquant’anni della Coop consumatori: dal primo spaccio a leader della moderna distribuzione (il Mulino, Bologna 2004). Premessa

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Questa pubblicazione, e tutta la ricerca che ne è alla base, non sarebbero mai state realizzate senza la fattiva collaborazione della Sezione Soci Coop di Terni e il fondamentale sostegno della Coop Centro Italia. Appoggiando questa iniziativa, la Coop Centro Italia ha voluto ribadire il suo impegno nella realtà ternana testimoniato anche dal contributo dato all’ICSIM per la realizzazione del XIII Congresso TICCIH, cioè del massimo organismo mondiale che si occupa di archeologia industriale, che si è tenuto all’interno del complesso della ex SIRI, utilizzato dapprima dalla Ferriera pontificia, e poi anche da quella che è stata la maggiore cooperativa di produzione e lavoro attiva a Terni, ora sito archeologico industriale recuperato e rifunzionalizzato con utilizzi commerciali (Coop&Coop, oggi Ipercoop), pubblici (Museo Archeologico e spazio per mostre), privati (abitazioni) e culturali (teatro, spazio per eventi).

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Ove non diversamente indicato, le considerazioni e le citazioni riportate nel testo dei primi quattro capitoli provengono dalla documentazione originale, relativa alle varie Cooperative, rintracciata presso: - Tribunale Civile di Terni, Sezione Commerciale, Società cessate (nell’ambito della ricerca per il citato volume Studi sulla cooperazione); - Mario Tosti, Fonti per la storia del movimento cooperativo nell’archivio della Camera di Commercio di Perugia, in Fondazione ASSI di Storia e Studi sull’Impresa, Fondazione Adriano Olivetti, Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea, Sovrintendenza Archivistica per l’Umbria, Gli archivi delle Camere di Commercio, atti del II seminario nazionale sugli archivi d’impresa, Perugia, 1719 novembre 1988, Editoriale Umbra, Foligno 1989, pp. 347-386 (in particolare pp. 357-386); - Archivio di Stato di Terni, Tribunale. Atti e società commerciali; - Lega Nazionale delle Cooperative, sede di Perugia, Archivio storico (non inventariato) ma soprattutto presso il fondo Società cessate, non inventariato, conservato presso l’archivio storico della Camera di Commercio Industria Agricoltura e Artigianato di Terni. Questa documentazione nel capitolo 4 è stata integrata da brani di interviste rilasciate da quanti quei fatti hanno vissuto. Per la stesura del capitolo 5, che ripercorre vicende sostanzialmente contemporanee, gli autori hanno affiancato alle considerazioni ricavate dall’analisi dei dati di bilancio la ricostruzione delle vicende così come desunte dai numerosi colloqui e incontri con i protagonisti, ai quali spesso hanno dato voce. Gli autori ringraziano: Vladimiro Coronelli, la cui attività è stata indispensabile nella fase della ricerca della documentazione, e Rosanna Piccinini, che ha messo a disposizione l’archivio di Gianfranco Canali; inoltre, per la disponibilità, le informazioni e il materiale fornito, ringraziano: Gino Gelosi, Anna Lizzi Custodi, Elisabetta David e la famiglia Buono, Cinzia Cardinali, Chiara Guerrucci e Claudio Carnieri. Infine, un ringraziamento particolare va a tutti i membri della Sezione Soci Coop di Terni che hanno voluto prestare la loro collaborazione e a Giorgio Marini, che ha svolto con dedizione e tenacia l’ingrato compito di raccordo e di sollecitazione.

Premessa


Storia della cooperazione di consumo a Terni



Una delle radici della cooperazione è senz’altro il mutuo soccorso, cioè il tentativo di fronteggiare i problemi sociali provocati all’avvio dell’industrializzazione, cioè in un momento di crisi delle tradizionali istituzioni caritative e di assistenza e in mancanza di un’adeguata legislazione sociale1. Ciò induce il nuovo Stato unitario a seguire con attenzione il fenomeno: già nel 1862 viene condotta una prima indagine statistica2 da cui emerge che se la maggior parte di tali “fondazioni” ammette soci di professioni diverse e lo scopo principale sta nel prestare soccorso ai soci in caso di malattia o infortunio, variano i modi con i quali si raccolgono e distribuiscono i sussidi, così come sono eterogenei gli scopi secondari: sostenere invalidi, vecchi, orfani e vedove, procurare lavoro, materie prime o prestiti ai soci, contribuire alla loro istruzione e a quella dei loro familiari, ricevere depositi, fornire ai soci viveri e generi di prima necessità al prezzo di costo. Quest’ultima attività viene svolta da ben 26 delle 443 Società censite, alcune delle quali daranno poi vita a specifiche attività cooperative. L’industrializzazione sarà infatti accompagnata dalla diffusione e dall’affermarsi di esperienze di resistenza, di organizzazione politica e di cooperazione. Alla data della rilevazione, è bene ricordarlo, solo da due anni l’Umbria non fa più parte dello Stato Pontificio, e Terni è divenuta addirittura una città di frontiera: in seguito al positivo esito del plebiscito del novembre 1860, che ne sancisce l’annessione al Regno Sabaudo, ha perso il fondamentale mercato di sbocco per tutti i suoi prodotti rappresentato dal Lazio e, soprattutto, da Roma (che sarà annessa solo nell’ottobre 1870). Forse proprio a causa di questa nuova situazione l’Umbria è tra le regioni in cui si registra il maggior numero di società e di soci dopo Piemonte, Liguria, Emilia, Lombardia, Toscana e Marche. Rispetto ad altri paesi europei in Italia il mutuo soccorso è quantitativamente limitato e con una distribuzione geografica eterogenea, e tale rimarrà anche negli anni successivi. Su questi problemi strutturali si innesteranno poi quelli di natura politica: Giuseppe Mazzini e i suoi seguaci sono fermamente intenzionati a sottrarre ai conservatori e ai moderati il controllo delle società operaie italiane. Alla fine del 1873 una nuova ricerca del Ministero censisce in Italia 1.447 società

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2

Su questa genesi del movimento cooperativo cfr. Renato Zangheri, Nascita e primi sviluppi, in Renato Zangheri, Giuseppe Galasso e Valerio Castonovo, Storia del movimento cooperativo in Italia. La Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue 1886-1986, Einaudi, Torino 1987, pp. 3-216, in particolare pp. 5-39. Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, Statistica del Regno d’Italia. Società di mutuo soccorso. Anno 1862, Torino 1864.

La genesi della cooperazione di consumo: le società di mutuo soccorso

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La genesi della cooperazione di consumo: le società di mutuo soccorso

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Le società di mutuo soccorso in Europa agli inizi del Novecento

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Fonte: Eugenio Greco, Le società di mutuo soccorso, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1922. p. 46.

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di mutuo soccorso, con 237.169 soci (19.263 dei quali sono “onorari”): 37 di queste si trovano in Umbria (il 2,6% del totale nazionale). I tre quarti (1.091) sono “generali”, mentre il restante quarto (356) sono “professionali”, ma si tratta di professioni tradizionali, poco o per nulla legate allo sviluppo industriale3. Se però questo tarda ad arrivare in Italia nel suo complesso, e in Umbria in particolare, a Terni è proprio a partire dall’ultimo quarto dell’Ottocento che comincia a manifestarsi e a caratterizzare il futuro della città: in questi anni, quando già si era parlato e scritto molto delle potenzialità offerte dalle risorse idrauliche della zona4 il belga Cassian Bon rileva la Fonderia Lucovich, l’Amministrazione Comunale si impegna ad ottenere la costruzione della Fabbrica d’Armi progettando e realizzando il Canale Nerino (ultimato nel 1878), le cui acque assicureranno la necessaria forza motrice alla Fonderia, al Lanificio, alla Fabbrica d’Armi e poi anche allo Jutificio Centurini e alla Società Valnerina5. I primi tre sono stabilimenti che contribuiranno in maniera significativa all’occupazione operaia e a richiamare verso la città manodopera prima ancora della costruzione (1884) e dell’avvio della produzione alle Acciaierie (1886), che proietteranno Terni verso un rapido – e incontrollato – sviluppo demografico e verso il suo futuro di città industriale. Mutuo soccorso e resistenza, però, sono ancora fenomeni separati: si mescolano solo a Sestri Levante e a Milano. A livello nazionale sono oltre 40 (il 2,8%) le società che dichiarano di aver aperto magazzini di consumo per i soci e sono 5 quelle che gestiscono uno forno per il pane.

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5

Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, Statistica delle società di mutuo soccorso, Roma 1875. Per una valutazione della potenzialità delle risorse idrauliche della zona e una descrizione dei progetti – a volte fantasiosi – messi a punto nel corso del tempo sull’utilizzo delle acque del Nera e della Cascata delle Marmore cfr. Giampaolo Gallo, Ill.mo Signor Direttore... Grande industria e società a Terni fra Otto e Novecento, Provincia di Terni, Editoriale Umbra, Foligno 1983, pp. 16-19 (e le relative note) e Bovini Gianni, Renato Covino e Giampaolo Gallo, Forze idrauliche e industria: l’atipicità del caso ternano, in L’Umbria e le sue acque. Fiumi e torrenti di una regione italiana, a cura di Alberto Grohmann, Electa, Perugia 1990, pp. 141-147. Sulle vicende delle principali fabbriche ternane cfr. Le industrie di Terni. Schede su aziende, infrastrutture e servizi, a cura di Renato Covino, CRACE, Perugia 2002, che, per ciascuna, riporta anche una aggiornata bibliografia.

Capitolo 1


Le società di mutuo soccorso in Italia e in Umbria dall’Unità agli inizi del Novecento

Dopo un’ulteriore indagine riferita al 18786, nel 1885 il Ministero ne conduce una estesa anche alle cooperative annesse alle società di mutuo soccorso: in Italia vengono rilevate 4.896 società (con 573.178 soci), 111 delle quali sono in Umbria (2,3%)7. I dati leggermente discordanti riportati dai vari autori che, nel corso del tempo, hanno commentato le indagini ministeriali sono dovuti al fatto che esse distinguono tra società riconosciute e non, o si limitano a quelle che forniscono informazioni specifiche. Dall’analisi delle risposte date ai quesiti posti dall’indagine Renato Zangheri ha rilevato un quadro nazionale molto ricco di iniziative, che negli anni successivi acquisiranno identità proprie e autonome, capaci di spaziare dal collocamento al credito, dalla ricreazione alla resistenza e alla cooperazione; “in questa contiguità e integrazione di forme associative [si riscontra] uno dei caratteri del nascente movimento operaio italiano”8. Come ha già scritto Barbara Curli riassumendo il lavoro di Alberto Grohmann sull’associazionimo operaio in Umbria9, 6

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8 9

Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, Statistica delle società di mutuo soccorso. Anno 1878, Roma 1880. Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, Statistica delle società di mutuo soccorso e delle istituzioni cooperative annesse alle medesime. Anno 1885, Roma 1888. Zangheri, Nascita e primi sviluppi cit. (a nota 1), p. 31. Alberto Grohmann, Primi momenti dell’associazionismo operaio in Umbria: le società di mutuo soccorso, in Prospettive di Storia umbra nell’età del Risorgimento, Atti dell’VIII convegno di studi umbri, Gubbio-Perugia 31 maggio - 4 giugno 1970, Perugia 1973, pp. 451-500.

La genesi della cooperazione di consumo: le società di mutuo soccorso

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Fonte: Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, Statistica del Regno d’Italia. Società di mutuo soccorso. Anno 1862, Torino 1864; Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, Statistica delle società di mutuo soccorso, Roma 1875; Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, Statistica delle società di mutuo soccorso. Anno 1878, Roma 1880; “Il Topino. Gazzetta dell’Umbria”, a. III, n. 45, 12 novembre 1887; Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, Statistica delle società di mutuo soccorso e delle istituzioni cooperative annesse alle medesime. Anno 1885, Roma 1888; Eugenio Greco, Le società di mutuo soccorso, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1922, p. 19.

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Società di mutuo soccorso costituite in Italia e in Umbria fino al 1885

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Fonte: Alberto Grohmann, Primi momenti dell’associazionismo operaio in Umbria: le società di mutuo soccorso, in Prospettive di Storia umbra nell’età del Risorgimento, Atti dell’VIII convegno di studi umbri, Gubbio-Perugia 31 maggio - 4 giugno 1970, Perugia 1973, pp. 451-500.

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Società di mutuo soccorso riconosciute in Italia e in Umbria dal 1886 al 1904

Fonte: Eugenio Greco, Le società di mutuo soccorso, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1922. p. 46. Capitolo 1


In Umbria la prima esperienza di mutuo soccorso, seconda in Italia, è rappresentata dalla Società di Mutua Beneficienza, fondata a Città di Castello nel 1846. Esempio tipico di origine di una cooperativa di consumo da una società di mutuo soccorso è però la Cooperativa di Consumo di Perugia, una tra le prime in Italia (insieme al Magazzino Ferroviario di Foligno), fondata nel 1869 con lo scopo di ridurre l’intermediazione tra produttori e consumatori e redistribuire tra gli utenti il risparmio così ottenuto11. La Cooperativa perugina fu promossa da alcuni aderenti alla Società Generale di Mutuo Soccorso fra gli Artisti e Operai di Perugia, di ispirazione anticlericale, sorta nel 1861 per iniziativa di borghesi liberali animati da intenti paternalistici. Anche tale Società rientra insomma “nei meccanismi di controllo della questione sociale e di allargamento delle basi di consenso dello Stato liberale sotto la guida della classe dirigente locale più illuminata”12. Alla costituzione della Cooperativa di Consumo di Perugia partecipano anche il Comune, la Cassa di Risparmio, il Sodalizio di San Martino, l’Università degli Studi, la Società Operaia, il Collegio del Cambio, il Collegio della Mercanzia, la Congregazione di Carità e altre confraternite cittadine. Su richiesta della locale Associazione Repubblicano-Socialista (all’epoca presieduta da Publio Angeloni, nell’ottobre 1899 eletto dall’XI congresso della Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue nel Consiglio Generale insieme ai ternani Paganelli e Riccardi)13, la Società di Mutuo Soccorso si fa poi promotrice di un’altra cooperativa di consumo nel 1897. Da rilevare come in entrambi i casi la Società di Mutuo Soccorso rinunci alla gestione diretta della Cooperativa per non veder complicata la sua amministrazione e non essere costretta a sostenere spese impreviste. Nel 1907, quando la Società Operaia Maschile di Mutuo Soccorso di Assisi chiede informazioni sull’esperienza della cooperativa di consumo perugina, a questa argomentazione se ne aggiungono altre che saranno spesso presenti nella storia delle cooperative ternane, anche di diversa ispirazione e organizzazione, quali la difficoltà nella riscossione dei debiti e la non ottimale collocazione dei punti vendita: La nostra associazione operaia non si è azzardata mai di costituire una cooperativa perché, la maggior parte dei nostri operai non può pagare a pronti contanti e anche a causa delle

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Barbara Curli, Le origini del movimento cooperativo a Perugia (1869-1914), in Studi sulla cooperazione, a cura di Gianni Bovini e Renato Covino, Protagon, Perugia 1990, p. 6. Ivi, nota 16 a p. 23. Ivi, p. 7. Ivi, nota 21 a p. 27.

La genesi della cooperazione di consumo: le società di mutuo soccorso

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l’origine delle prime cooperative si può fare risalire alla graduale evoluzione delle associazioni solidaristiche e mutualistiche di origine corporativa o di quartiere, prevalentemente a base artigiana più che salariale. Tale evoluzione [era] in origine di ispirazione ideologica tipicamente mazziniana [...]. Anche in Umbria si nota pertanto la lunga convivenza di mutualismo, cooperativismo e resistenza che [...] persiste nelle aree italiane di maggiore sviluppo economico ancora in epoca di relativamente avanzata industrializzazione10.

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distanze non trovando l’operaio convenienza di perdere tempo per recarsi al centro a fare acquisti di poca entità14.

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I contemporanei erano quindi ben consapevoli della situazione della cooperazione e dell’associazionismo. Un osservatore privilegiato, il conte Eugenio Faina, grande proprietario terriero e promotore di una cooperativa di consumo a San Venanzo15, nel 1896 pubblica sugli “Annali di Agricoltura” una sua relazione in cui analizza i dati raccolti dall’Ufficio di Statistica della Direzione Generale dell’Agricoltura e, rilevando come a tutto il 1894 solo 368 delle 567 cooperative di consumo sorte dal 1883 siano ancora attive, imputa schematicamente a due cause questa alta mortalità:

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quelle che derivano dalle persone [...] [cioè] cattivi o disonesti amministratori (il caso non è frequente). Più frequente è il caso di società fondate da poche persone, spesso da una sola, a scopo elettorale o di popolarità momentanea. Queste d’ordinario muoiono sul nascere, non appena il fondatore ha raggiunto lo scopo personale a cui mirava [...]. Generalmente però le cause per cui le società soccombono provengono dalle cose, ossia dagli impegni e disposizioni statutarie: [...] 1) incapacità degli amministratori; 2) scarsezza di capitali [...]; 3) [...] abuso di patronato finanziario (soci onorari, elargizioni, azioni infruttifere o con interesse eventuale minimo) che toglie alla società il suo carattere economico, dandole fisionomia di beneficienza, o rendendola moralmente debole o anemica; 4) eccesso di spese di amministrazione [...]; 5) prezzo di vendita inferiore non solo al prezzo corrente ma anche al prezzo normale locale, ciò che rende la gestione pericolosissima e provoca lotte vivaci coi rivenditori locali, screzi fra i soci, ecc.; 6) abuso di vendita a credito; 7) incompatibilità o anche solo eccessiva varietà di scopi riuniti in una sola associazione, e quindi soverchia distrazione degli utili annuali dal loro fine naturale che è la restituzione ai consumatori; 8) cause varie come lotte politiche, liti con gli appaltatori del dazio consumo, conseguenza della poca chiarezza delle leggi, lotta fra due o più società congeneri locali, raggiungimento dello scopo speciali per cui la società fu fondata (che è di solito la difesa contro qualche inasprimento dei prezzi locali: il magazzino, che è di ordinario una vendita di vino, un macello, un forno, si chiude quando i prezzi locali rientrano nei limiti ordinari16.

Come ha ricordato Gianfranco Canali, già dieci anni prima, nel maggio del 1885, il repubblicano Domenico Benedetti Roncalli descrive l’associazionismo mutualistico umbro in un modo che fino al decennio precedente si sarebbe ben adattato anche al caso ternano: 14 15

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Ivi, p. 9 e nota 24 a p. 27. Sui Faina cfr. Fabio Facchini, La famiglia Faina: tre secoli di storia, presentazione di Renato Covino, introduzione di Augusto Ciuffetti, Publimedia, Todi 2003, particolare pp. 176-192 e Augusto Ciuffetti, Storia della Villa Spante, Comune di Marsciano / CRACE, Perugia 2005. Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, Direzione Generale dell’Agricoltura, Cooperative di consumo. Relazione del senatore Faina conte Eugenio, estratto dagli “Annali di Agricoltura”, n. 211, Roma 1896, pp. 1112.

Capitolo 1


L’intensa fase di industrializzazione avviata con la metà degli anni settanta ha infatti indotto a Terni un processo di radicale trasformazione economica e sociale che si ripercuote anche sulla fitta rete di società di mutuo soccorso sorte fin dai primi anni postunitari. Queste registrano al proprio interno pressioni volte a modificarne gli scopi e gli indirizzi e, contemporaneamente, vengono affiancate da forme di associazionismo e cooperazione con marcate caratteristiche di classe. Nella Terni postunitaria si propongono come classe dirigente, e assumono la guida dell’Amministrazione Comunale, quei settori della borghesia urbana che si sono impegnati nel movimento risorgimentale e che in un loro manifesto alla cittadinanza plaudono “all’era novella in cui l’ingegno, le arti, le scienze, i costumi, i commerci, la vita civile e religiosa rifioriranno”18. In realtà, la maggiore fiscalizzazione del Regno Sabaudo, la perdita del tradizionale – e ampio – mercato laziale, e di Roma in particolare, e la concorrenza delle fabbriche dell’Italia settentrionale conseguente al venir meno delle barriere protettive dello Stato Pontificio, mettono in crisi sia l’agricoltura sia l’industria ternana. Ciò induce gli esponenti più consapevoli della borghesia cittadina a creare elementi di identità collettiva, di coesione e di integrazione sociale, anche per evitare che la crisi economico-sociale possa ridare forza ai sostenitori del vecchio regime. La creazione di una scuola laica, la modernizzazione e l’industrializzazione sono i principali obiettivi della nuova classe dirigente locale. Gli amministratori locali si impegnano per creare e mantenere un istituto tecnico, cercano di ottenere un prestito da utilizzare anche per aumentare la portata di alcuni canali artificiali in modo da mettere a disposizione degli imprenditori forza motrice a basso costo e avviano contatti per caldeggiare l’insediamento a Terni di una fabbrica d’armi19. Per tutti gli anni sessanta dell’Ottocento la “questione romana”, cioè la mancata annessione del Lazio e di Roma al nuovo Stato unitario, pone l’Umbria, ma soprattutto Terni, in una condizione di terra di frontiera e di avamposto caratterizzata dalla presenza di esponenti di primo piano del Partito d’Azione e di garibaldini. A partire dal 1848 sono più di 500 i ternani che partecipano come volontari alle

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Domenico Benedetti Roncalli, Antonio Maffi e gli operai nell’Umbria, in “Spartaco”, 10 maggio 1885, citato in Canali 1990, p. 31 e nota 1 a p. 67. Citato in Augusto Pozzi, Storia di Terni dalle origini al 1870 con un cenno sulla formazione del centro industriale fino al 1900, Spoleto 1939, p. 333. Sulle vicende dell’istruzione tecnica a Terni cfr. L’istruzione tecnico professionale a Terni dal 1860 ai nostri giorni, catalogo della mostra (Terni, 22 aprile - 22 giugno 1985), Terni 1985.

La genesi della cooperazione di consumo: le società di mutuo soccorso

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Nell’Umbria quasi tutte le iniziative di solidarietà popolare partono dalla filantropia calcolata e spontanea delle classi dirigenti. In luogo della previdenza che innalza l’uomo, predomina la beneficenza che umilia e rassoda la preponderanza da una parte e la soggezione dall’altra. Fino ad oggi nessun tentativo con risultati decisivi, oltre i limiti della mutualità e del piccolo risparmio accentrata in casse che a tutti prestano fuorché a coloro che le riempono. Aggregazioni di credito, di produzione, di consumo, di costruzioni, di appalti sono altrettanti lontani orizzonti completamente inesplorati17.

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Le societĂ di mutuo soccorso in Umbria nel 1885

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Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, Statistica delle societĂ di mutuo soccorso e delle istituzioni cooperative annesse alle medesime. Anno 1885, Roma 1888.

Capitolo 1


Fonte: “La Cooperazione Italiana”, numeri vari 1910-1920.

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Le società di mutuo soccorso e le società operaie federate alla Lega Nazionale delle Cooperative tra il 1910 e il 1920

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guerre di indipendenza e alle imprese garibaldine20 e questa grande partecipazione fornisce certamente un importante contributo anche alla diffusione dell’anticlericalismo.

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Ed è per l’appunto l’ideologia laica, patriottica ed anticlericale a configurarsi, in questo decennio postunitario come il più importante terreno di incontro tra le classi cittadine. Essa viene usata dai ceti dirigenti moderati a sostegno del nuovo ordine politico e sociale. In questa operazione le società di mutuo soccorso si configurano come uno dei canali privilegiati di diffusione di questa ideologia21.

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La prima a essere costituita, nel 1847, è la Società di Mutuo Soccorso fra gli Artisti e i Cittadini di Terni. Promossa da esponenti della borghesia liberale, come Paolo Garofoli e Domenico Giannelli, ha carattere laico22. Nel 1853 la Società subisce una profonda riorganizzazione a cui non prendono parte molti dei fondatori: oltre a cambiare nome in Pia Unione di Beneficenza fra gli Artisti e i Cittadini di Terni, viene presieduta dal sindaco e posta sotto la dipendenza e la protezione del vescovo. Lo scopo è quello di soccorrere, in caso di malattia, gli iscritti, cioè “operai e lavoranti [...] principali e padroni di bottega, maestri di arte, e cittadini”23. Dieci anni dopo, quando L’Umbria e Terni fanno oramai parte del Regno Sabaudo, il sindaco scrive al sottoprefetto che in città vi sono alcuni esponenti di una Società fra gli artisti cappellai (diffusa “presso che in tutta quanta l’Europa” e con Direzione per l’Italia a Milano) e la suddetta Pia Unione24. Un nuovo sodalizio di mutuo soccorso verrà costituito solo nel 1864, e ancora per iniziativa del ceto politico di estrazione risorgimentale: la Società degli Operai (definita anche Società Operaia o Società Generale Operaia); a ricoprire la carica di presidente e vicepresidente verranno chiamati i promotori Domenico Giannelli (tra i fondatori della Società di Mutuo Soccorso del 1847, al quale succederà un esponente progressista del patriziato, il conte Alceo Massarucci, e poi un professionista, il dottor Alessandro Fabri, che sarà anche sindaco della città) e Adriano Sconocchia25. I valori fondanti della Società sono efficacemente sintetizzati dal motto che campeggia nella sua bandiera: “patria e lavoro”26, così come il suo impianto paternali-

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Cfr. l’elenco dei volontari riportato in Italo Ciaurro, L’Umbria e il Risorgimento. Contributo dato dagli Umbri all’Unità d’Italia, Bologna 1963, pp. 272-282. Gianfranco Canali, Classi sociali, mutualismo, resistenza e cooperazione a Terni nella seconda metà del XIX secolo, in Studi sulla cooperazione, a cura di Gianni Bovini e Renato Covino, Protagon, Perugia 1990, p. 35. L’intero saggio, insieme ad altri dello stesso autore, è stato ripubblicato in Gianfranco Canali, Operai, antifascisti e partigiani a Terni e in Umbria, a cura di Gianni Bovini, Renato Covino e Rosanna Piccinini, CRACE, Perugia 2004, pp. 3-36. AST, ASCT, b. 414, fasc. 7, statuto della Società di Mutuo Soccorso fra gli Artisti e i Cittadini di Terni, 1 dicembre 1847. Statuti della Pia Unione di Beneficenza fra gli Artisti e i Cittadini di Terni, Terni 1853, p. 3-5. AST, ASCT, b. 455, fasc. 10, lettera del sindaco al sottoprefetto, 21 ottobre 1863. Profili biografici di Giannelli e Sconocchia sono in Augusto Pozzi, Ternani del passato. Il grande, gli insigni, gli illustri, Terni 1942, rispettivamente p. 154 e p. 152. Società Operaia di Terni, Conto reso dal consiglio di amministrazione per l’anno 1878. Anno 15° di sua fondazione, Terni 1879, p. 14.

Capitolo 1


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AST, ASCT, b. 464, fasc 13, lettera di Domenico Giannelli alla Giunta Municipale, 11 maggio 1864. Regolamento degli operai di Terni, s.l. e s.d. ma Terni 1864, p. 7. Ivi, p. 3. AST, ASCT, b. 525, fasc. 4, Rendiconto d’amministrazione della Società Operaia relativo all’anno 1868, 20 marzo 1869. Sulla Società per la Costruzione di Case Operaie cfr. Gianni Bovini, La cooperazione di produzione e lavoro a Terni (1883-1922), in Studi sulla cooperazione, a cura di Gianni Bovini e Renato Covino, Protagon, Perugia 1990, pp. 88-89. Cfr. Raimondo Manelli, Il movimento operaio a Terni nella seconda metà dell’Ottocento, Terni 1959. Grohmann, Primi momenti dell’associazionismo operaio in Umbria cit. (a nota 9), p. 493. Lui, Corrispondenze, in “L’Eco dell’Umbria”, 6 e 12 maggio 1877.

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stico è evidente nello scopo indicato dal presidente in una lettera alla Giunta Municipale: “la moralizzazione dell’operaio, il quale nelle città soggette al clericale dominio è stato abbandonato a se stesso perché si amava demoralizzare la classe più numerosa della società”27. Per garantire il raggiungimento di tale fine ai soci veniva richiesto anche di promettere alla presidenza, sul loro onore, “di condurre una vita operosa, sobria ed onesta, di astenersi dall’abuso del vino, e bevande spiritose, non che dall’abuso del giuoco”28. La Società Operaia si dà come obiettivo primario “la fratellanza e la reciproca solidarietà e comunione degli uomini”, che cerca di raggiungere promuovendo “l’istruzione, la moralità, il benessere degli operai, affinché eglino pure possano cooperare efficacemente al miglioramento indefinito dell’umanità”29. Questo ruolo di tutela che i ceti egemoni si riservano nei confronti delle classi subalterne cittadine viene riproposto anche nella distinzione – classica – tra soci “effettivi” e “onorari”: tutti sono tenuti a pagare un contributo settimanale di trenta centesimi ma, in caso di malattia o infortunio, il sussidio spetta ai soli soci effettivi. Alla fine del 1868 la Società Operaia conta 240 soci effettivi e 44 onorari30. Nel 1883 la Società Generale Operaia partecipa alla costituzione della Società Anonima Cooperativa per la Costruzione di Case Operaie che, nonostante le dichiarazioni e gli intenti dei promotori, e sebbene i suoi soci siano 883 nel 1886 e ben 1.056 nel 1890, non riesce a disporre dei mezzi finanziari necessari al raggiungimento dello scopo sociale: “costruire case di abitazione per gli operai”, il cui numero “è sempre in aumento per lo sviluppo degli stabilimenti industriali [...] e per l’impianto della Fabbrica d’Armi”31. Nel 1884, forse anche per questo impegno, la Società Operaia viene premiata con medaglia di bronzo all’Esposizione di Torino e nel 1890 con la medaglia d’argento per il concorso del 188632. Con la fine degli anni sessanta dell’Ottocento inizia la crescita dell’associazionismo mutualistico cittadino: nel 1868 viene costituita la Società Generale Operaia fra gli Artieri, nel 1870 la Società di Mutuo Soccorso dei Cappellai33, a cui si aggiungono, tra il 1870 e il 1877, i sodalizi tra i sarti, i calzolai e gli agricoltori34. Si tratta di iniziative che hanno vita stentata e per le quali in genere si riescono a rintracciare solo fonti indirette che non consentono di delinearne con precisione la tipologia, la struttura e la natura. Nel 1879 viene costituita la Società di Mutuo Soccorso fra gli Operai dello Stabili-

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mento Gruber a cui si aggiungono nel 1883, quando l’arrivo delle industrie comincia a far sentire i suoi effetti, quella dei fornai (o mugnai) e pastai e quella fra gli Operai della Fabbrica d’Armi. Infine, nel 1887, verrà costituita la Società di Mutuo Soccorso fra Operai e Operaie dello Jutificio Centurini (di quella di Prestito, Metallurgica e tra Maccaronai e Pizzicagnoli non si è invece riusciti a rintracciare la data di costituzione). È tuttavia certo che la maggior parte di queste associazioni riuniscono prevalentemente artigiani e anche quando sono rivolte agli operai sono promosse, amministrate e gestite da esponenti dei ceti sociali e politici dominanti o da imprenditori. Il 17 giugno 1888 inizia le sue pubblicazioni “Il Risveglio Operaio”, che si propone di istruire i propri lettori operai e di promuovere una “Associazione unica di resistenza fra gli operai in modo da correggere la struttura delle società operaie di vecchio tipo, miste di operai e padroni”35, ma il mutuo soccorso rimane però vivo ancora per molti anni (cfr. le carte dell’Umbria riportate nelle pagine 8 e 9). Per quanto riguarda Terni, da una statistica riferita al 1911 redatta dalla ricostituita Camera del Lavoro di Terni e del Circondario36, a quella data risultano ancora attive, con circa 4.000 soci, le seguenti società di mutuo soccorso: “La Metallurgica”, della Fabbrica d’Armi, delle Acciaierie, la Società Operaia e quella di Soccorso tra gli Operai dell’Acciaieria37. Sebbene il Comitato esecutivo della Camera del Lavoro ritenga che esse non hanno rapporti diretti con quelle della resistenza, che “non tutte sono composte da veri elementi operai” e che in altre “sono esclusi quei capi saldi che potrebbero e dovrebbero integrare la mutualità alla resistenza”, pure ne tiene conto “come forza costituita e operante sia pure in un campo diverso”38. Il 20 dicembre 1915, oltre a quelle sopra elencate, partecipano alla costituzione della Società Annonaria Ternana anche la Cassa Soccorso Malati tra gli Operai dell’Acciaieria e la Cassa Soccorso fra gli Operai delle Officine Bosco.

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Manelli, Il movimento operaio a Terni, cit. (a nota 30), pp. 27-28. Sulla vicenda della Camera del Lavoro di Terni cfr. Marisa Romagnoli, La Camera del Lavoro, in Storia illustrata delle città dell’Umbria, a cura di Raffaele Rossi, Terni, a cura di Michele Giorgini, Sellino, Milano 1994 e Camera del Lavoro Terni Amelia Narni Orvieto, La Camera del Lavoro di Terni. 100 anni di storia, catalogo della mostra, Terni 2004. AST, ASCT, b. 1046, fasc. “Censimento industriale, compenso alla Camera del lavoro, revoca della deliberazione”, Camera del Lavoro di Terni e Circondario, Statistica 1911, 31 dicembre 1911. Ibidem.

Capitolo 1


La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

Mentre in Inghilterra la cooperazione sorge e si sviluppa per rispondere agli sconvolgimenti provocati dalla rivoluzione industriale e in Francia per affrontare i problemi posti dalla crisi del 1848, in Italia le idee associazionistiche si intrecciano con i moti di liberazione nazionale, con il movimento mazziniano e con quello dei moderati, che vedono nell’associazionismo e nel mutualismo una possibilità di controllo paternalistico sulle classi popolari. Anche in Italia le società di mutuo soccorso laiche rappresentano la prima forma di organizzazione operaia moderna e a esse si collega il movimento cooperativo. Scopo principale delle società di mutuo soccorso fra gli operai e gli artigiani era l’assistenza e la solidarietà, con estensione al soccorso materiale, all’educazione e all’istruzione. In questo tipo di associazioni, che tra il 1849 e il 1859 diventano terreno di azione privilegiato di mazziniani e moderati, si ritrovano operai istruiti e dotati di quella “fierezza del mestiere” caratteristica della fase precedente l’avvento della meccanizzazione, artigiani, esponenti del filantropismo borghese e intellettuali. È difatti un medico, Giuseppe Cesio, nel 1854, a convincere i lavoratori dell’arte vetraria di Altare, specializzati in un lavoro artigianale in declino, a costituire la prima cooperativa di produzione e lavoro sorta in Italia. La prima cooperativa di consumo era invece già sorta a Torino, nel 1853, per iniziativa della locale Società Operaia, nel tentativo di difendere il potere d’acquisto dei salariati. Dopo l’unificazione della penisola, il sia pur lento diffondersi dell’industrializzazione provoca una crescente proletarizzazione che induce un significativo sviluppo numerico delle società di mutuo soccorso e, nello stesso tempo, la decadenza delle forme associative che limitavano la propria attività alla difesa di operai e artigiani da malattie e infortuni. Lo scontro politico fra moderati e democratici per il controllo di questi organismi operai, pure privi di autonomia, viene vinto da Mazzini. Zeffiro Ciuffoletti sostiene che la cooperazione comincia a conquistare una sua autonoma valenza economica e sociale, uscendo quindi dalla sfera delle iniziative di patronato o di mutuo soccorso, grazie ai quadri mazziniani di estrazione operaioartigiana e grazie all’adozione della formula della cooperazione di consumo all’inglese (alla cui conoscenza in Italia contribuisce il mazziniano Francesco Viganò)1. 1

Zeffiro Ciuffoletti, Dirigenti e ideologie del movimento cooperativo, in Guido Bonfante, Zeffiro Ciuffoletti, Maurizio degl’Innocenti e Giulio Sapelli, Il movimento cooperativo in Italia. Storia e problemi, a cura di Giulio Sapelli, Einaudi, Torino 1981, pp. 89-189.

La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

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Modelli e ideologie di riferimento

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Mazzini, pur riconoscendo la validità della teoria del self-help e, quindi, la necessità dell’azione autonoma delle classi popolari e operaie non si oppone all’intervento filantropico della borghesia neppure per il credito alla cooperazione, mentre Luigi Luzzatti sostiene che anche questo problema va affrontato con il metodo del selfhelp, cioè con la capacità di accumulazione e risparmio dei cooperatori e con l’introduzione di banche popolari del tipo di quelle create in Germania, per non sottrarre capitali all’industrializzazione. Le ripercussioni negative del corso forzoso sui già bassi salari operai rese evidente l’incapacità delle società di mutuo soccorso a risolvere problemi del proletariato nonché la mancanza di strutture organizzative capaci di sostenere rivendicazioni economiche. La crisi sociale che esplode dopo l’imposizione della tassa sul macinato e i primi scioperi operai inducono

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i giovani intellettuali della generazione postrisorgimentale, delusi dalla politica delle classi dirigenti moderate e dall’insufficienza delle idee sociali mazziniane [...] a prendere le distanze dal vecchio filantropismo e paternalismo borghese [e a prendere] coscienza del meccanismo di sfruttamento del capitalismo e dei contrasti insanabili fra classe lavoratrice e classe padronale, tentando di fornire delle risposte sul piano economico e sociale2.

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In un Paese ancora arretrato, con pochi nuclei di proletariato moderno, con istituzioni (politiche e sociali) non consolidate, l’utopismo cooperativo è espressione sia dei piccoli produttori che cercano di evitare la proletarizzazione sia dei primi nuclei di operai con “fierezza del mestiere” e volontà di emancipazione, sia della volontà della borghesia illuminata di disporre di nuove forme di controllo sulle classi popolari, sempre più soggette alla propaganda socialista. Da ciò deriva il carattere urbano di questa fase della storia della cooperazione, caratterizzata dall’impegno di democratici e mazziniani, i quali, soprattutto con la cooperazione di consumo, forniscono ai lavoratori i primi elementi di gestione aziendale, formando così i primi quadri tecnici e dirigenziali che faranno della cooperazione uno degli strumenti per l’emancipazione del proletariato e per la creazione di una nuova società. I moderati lombardi concepivano la cooperazione come incentivo allo sviluppo di forze produttive marginali (operai e ceti medi urbani organizzati nell’ambito del filantropismo) da affiancare a quelle capitalistiche e come mezzo per elevare le condizioni di vita delle classi popolari. La Comune di Parigi e la diffusione dell’internazionalismo in Italia danno impulso all’idea che capitale e lavoro possano e debbano conciliarsi nella cooperazione. Del resto, l’economia ancora prevalentemente agricola, la forte presenza dell’artigianato, i pochi e piccoli nuclei industriali, rendono difficile la formazione di un movimento operaio capace di dare vita a organizzazioni di categoria e favoriscono la permanenza di associazioni di tipo mutualistico. Terni, anche dopo l’insediamento delle prime grandi industrie

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Ivi, p. 100.

Capitolo 2


si accorse dello scollamento dei vari settori della cooperazione e dell’incapacità di fare della cooperazione un organismo complessivo in grado di reggere la concorrenza del capitalismo. Da questa considerazione [...] egli passò alla visione della cooperazione non più come

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Barbara Curli, Le origini del movimento cooperativo a Perugia (1869-1914), in Studi sulla cooperazione, a cura di Gianni Bovini e Renato Covino, Protagon, Perugia 1990, p. 5.

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che inducono un notevole incremento demografico e profonde trasformazioni economiche e sociali, non è un’eccezione in questo quadro. Le generali misere condizioni di vita dei contadini, potenziale causa di rivolta (basti pensare al brigantaggio e alle conseguenze dell’introduzione della tassa sul macinato), da una parte facevano intravedere agli internazionalisti la possibilità di una rivoluzione, dall’altra inducevano i più avveduti componenti della classe dirigente, i democratici e, soprattutto, i radicali lombardi, a mettere a punto nuove forme di controllo estensibili anche al proletariato rurale, per sottrarlo alla storica influenza della Chiesa. Le loro proposte sulla bonifica delle terre malariche, sulla messa a coltura delle terre incolte, sulla colonizzazione interna e sulle colonie cooperative vennero ritenute capaci di ridurre la miseria delle campagne e il fenomeno dell’emigrazione anche perché non ponevano al centro del sistema economico la nascita dell’industria ma ancora l’agricoltura, anche se per farlo utilizzavano la cooperazione, intesa come forma di conciliazione tra capitale e lavoro. Mentre nei paesi più industrializzati la cooperazione si sviluppava nel settore del consumo e incontrava difficoltà in quello della produzione e lavoro, in Italia il preponderante peso dell’agricoltura nell’economia contribuisce a far sì che il movimento cooperativo sia caratterizzato dallo sviluppo della cooperazione di produzione e lavoro nelle campagne e dal ruolo preminente dei socialisti. I moderati e i cattolici concentrarono invece i loro interventi sulla cooperazione di consumo, con il dichiarato intento di proteggere dalla concorrenza i piccoli produttori e i consumatori, e su quella del credito, per indirizzare al risparmio le risorse sottratte al consumo; questi obiettivi ben si inseriranno nel modello economico italiano basato sulla compressione dei consumi nelle campagne e sullo sfruttamento intensivo della manodopera. Promuovendo la cooperazione di credito e i consorzi agrari, i liberali sociali mirano a difendere la piccola e media proprietà rurale, fornendole i capitali e i mezzi tecnologici necessari a rendere remunerativa l’agricoltura ma anche ad arginare la diffusione del socialismo nelle campagne; inoltre, contribuiscono a determinare il quadro giuridico-istituzionale in cui si inserisce la cooperazione, interessando alle sue problematiche il mondo accademico. Oltre a Luigi Luzzatti, da esso proviene Ugo Rabbeno, incaricato di Economia alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Perugia e rappresentante di questa città nel Comitato centrale della Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue alla sua fondazione nel 18863 Rabbeno

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forma generale di organizzazione, bensì come forma speciale di esercizio dell’impresa industriale che si contrapponeva all’impresa capitalistica a carattere speculativo. L’impresa cooperativa, organizzando la produzione solo in vista dei bisogni di ciascun socio e sottraendola così ai fini del lucro, svolgeva una funzione sociale che richiedeva l’intervento dello Stato anche per prevenire un’eventuale egemonia socialista sul movimento cooperativo. [...] Rabbeno inseriva il fenomeno cooperativo in una prospettiva di tipo evoluzionistico che prevedeva il coordinamento fra le varie forme cooperative, onde evitare fenomeni di scollamento e di concorrenza fra i vari settori della cooperazione [che] ne avevano impedito il pieno sviluppo. Quelle poche società di produzione che erano riuscite a mantenersi in vita, si comportavano come semplici società speculatrici verso i consumatori dei loro prodotti e le società cooperative di consumo non erano portate ad approvvigionarsi presso le cooperative di produzione, né erano propense a impiegare i capitali esuberanti in altri settori cooperativi. Si navigava in un profondo antagonismo fra produttori e consumatori, in cui il carattere cooperativo andava perduto. In queste condizioni era difficile fare della cooperazione un fatto economico e sociale credibile e un organismo economico complessivo in grado di reggere alla concorrenza del sistema di produzione capitalistico e di attenuare gli effetti della lotta di classe4.

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Questi limiti individuati da Rabbeno caratterizzeranno ancora a lungo l’esperienza cooperativa. A Terni la Casa Repubblicana sorge nel 1921 per costruire e fornire una sede sociale ad altre cooperative, ma una sola cooperativa di consumo si rivolge a una di lavoro per chiedere un preventivo; per il resto se si esclude l’Unione Cooperativa della Valnerina, che per il suo spaccio affitta i locali della Cooperativa “Il Lavoro”, e quelle che utilizzano la tipografia “L’Economica”, una cooperativa di produzione e lavoro, per stampare i propri documenti, i rapporti tra le varie società saranno limitati – e solo in pochi casi – alla semplice condivisione di amministratori o di soci (il 24 marzo 1901 l’assemblea de “La Previdente” va addirittura deserta perché molti soci sono impegnati in altre iniziative simili). Bisognerà attendere la prima guerra mondiale per vedere costituito in Umbria, significativamente con sede a Terni, il primo organismo settoriale a scala sovracomunale: la Federazione Umbra delle Cooperative di Consumo ed Enti della Provincia. Le preoccupazioni di Rabbeno, condivise anche dai teorici borghesi della cooperazione e dai dirigenti delle cooperative, la maggior parte delle quali ancora di estrazione mazziniana e radicale, portano al congresso di fondazione della Federazione Nazionale delle Cooperative (Milano, ottobre 1886) con l’obiettivo di creare un organismo capace di svolgere la funzione di portavoce dei bisogni del movimento cooperativo e ottenesse disposizioni legislative capaci di favorirne lo sviluppo. Nonostante la preponderanza delle componenti moderate e borghesi, al congresso si confrontano due schieramenti che monopolizzano il dibattito fino alla “conquista” della Lega da parte dei socialisti: da un lato i sostenitori della neutralità politica e religiosa della cooperazione, considerata alternativa alla lotta di classe in quanto interclassista e corporativa, dall’altro i socialisti e gli opera-

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Ciuffoletti, Dirigenti e ideologie del movimento cooperativo cit. (a nota 1), pp. 112-113.

Capitolo 2


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Per una breve scheda sul “Giornale settimanale socialista”, vedi Gisa Giani, Terni. Cento anni d’acciaio. Bibliografia dell’industrializzazione, Sigla Tre, Perugia 1984, pp. 218-222.

La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

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isti, tendenti a vederla come uno strumento di organizzazione e miglioramento delle classi lavoratrici perché in grado di sostenerne l’azione rivendicativa e politica. La Federazione Nazionale ha come suo organo ufficiale “La Cooperazione Italiana”, periodico affidato a una commissione permanente, composta in maggioranza da esponenti della democrazia radicale e legalitaria lombarda, che svolge anche consulenza legale nonché un importante ruolo di orientamento politico e tecnico. Molte società di mutuo soccorso umbre sono federate alla Lega e, indipendentemente dal loro orientamento politico, la maggioranza delle cooperative ternane utilizzavano “La Cooperazione Italiana” per i propri annunci legali (le altre ricorrono alla semplice affissione di avvisi nella sede sociale e/o nello spaccio, oppure utilizzano periodici locali). A volte “La Cooperazione Italiana”, che riporta sempre l’elenco delle federate (a volte con qualche errore o discrepanza nella denominazione), riferisce anche delle vicende della cooperazione nel Ternano, come quando nel 1919 prende posizione nella contrapposizione tra le due cooperative di Papigno, quella socialista e quella padronale, di cui si dirà nel capitolo 3. Sebbene la situazione politica di fine secolo e la repressione crispina favoriscano l’alleanza fra forze democratiche e socialiste, nonché la ripresa dell’apoliticismo, nella Lega comincia ad affermarsi una tendenza all’affrancamento dal tentativo di tutela delle forze democratiche: la scissione di cattolici e moderati consente ai socialisti di assumere un ruolo determinante in essa e nel movimento cooperativo nel suo complesso. Tuttavia, anche dopo la costituzione del Partito Socialista Italiano, l’ingresso di esponenti socialisti nelle Amministrazioni locali e nel Parlamento, nei confronti del fenomeno cooperativo si hanno posizioni oscillanti dal dogmatismo al pragmatismo. In pratica, molti dirigenti socialisti non capiscono che in un Paese sostanzialmente contadino la cooperazione poteva essere funzionale all’emancipazione della classe operaia e all’azione del Partito Socialista: Antonio Labriola la considera uno strumento utilizzato dalla borghesia per controllare la lotta di classe, mentre per Filippo Turati, che teme la dispersione dei – pochi – quadri socialisti, può contribuire all’emancipazione della classe operaia solo se si pone al servizio della resistenza e della propaganda socialista. Queste posizioni saranno fatte proprie dagli amministratori dell’Unione Cooperativa di Papigno ma, prima ancora, vengono messe in pratica dai promotori e dai dirigenti de “La Previdente”, i quali, oltre allo spaccio di generi alimentari, si impegnarono nella gestione di una farmacia e nel finanziamento de “La Turbina”, giornale settimanale socialista fondato nel 18985. In realtà Turati non si rende conto che il movimento cooperativo non era solo il prodotto della volontà delle forze borghesi di catturare il movimento operaio o

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delle istanze utopistiche delle masse, ma di reali bisogni di vaste masse popolari e contadine non pienamente proletarizzate, disponibili a una politica riformatrice aperta all’influenza del Partito Socialista. Contemporaneamente, il rapporto fra cattolici e mondo contadino diventa sempre più organico, grazie anche a una rete di istituzioni economico-sociali che pongono su nuove basi la presenza cattolica nelle campagne. Del resto, dopo la rerum novarum riprende l’attività dei cattolici in campo sociale, mentre durante l’età giolittiana il non expedit e la mancata formazione di un partito democratico di ispirazione cattolica favoriscono la formazione di quadri cattolici operanti nella società civile. Agli inizi del Novecento i notevoli progressi, quantitativi e qualitativi del movimento cooperativo, inducono i socialisti a rivedere la loro posizione:

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Il congresso socialista di Genova dell’ottobre 1903, riconoscendo l’opportunità di un più stretto collegamento tra organizzazione sindacale e cooperazione, sembrava indirizzare la dialettica conflittuale del movimento operaio sui binari della lotta democratica per la trasformazione dall’interno del sistema. La costituzione nel 1901 della “Triplice Alleanza” tra la Lega Nazionale delle Cooperative, la Federazione delle Società di Mutuo Soccorso e la Federazione delle CDL, riconfermata dopo la nascita della CGDL, costituì un potente strumento di sostegno a una politica riformatrice sul piano sociale, di ammodernamento dello Stato e di partecipazione democratica dei lavoratori (rappresentanza dei lavoratori nei corpi consultivi dello Stato, nelle casse di maternità, negli uffici interregionali di collocamento dei contadini, nel Consiglio Superiore del Lavoro6.

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Il disegno giolittiano di consolidamento e ammodernamento dello Stato e di collaborazione fra movimento operaio organizzato e borghesia progressista per lo sviluppo industriale del Paese era indebolito dalla mancanza di un adeguato quadro di riferimento istituzionale e dagli squilibri tra Nord e Sud. Tutto ciò impedì anche uno sviluppo coerente e omogeneo della cooperazione. Il movimento cooperativo socialista, nonostante il tentativo di revisione dei socialisti, continuava a procedere fuori di un disegno strategico generale e a svilupparsi sulla base di spinte locali, che al più trovarono un loro referente politico coerente solo nella progressiva convergenza tra cooperazione e municipalismo socialista, convergenza che si verificò in alcuni comuni dell’Italia settentrionale, ma con grande efficacia a Reggio Emilia e nell’area più direttamente interessata all’azione di dirigenti riformisti come Camillo Prampolini e Giovanni Zibordi. [...]. Quello che ai socialisti reggiani riuscì, anche senza l’apporto teorico e politico degli organi centrali del Partito, fu il tentativo di realizzare un equilibrio fra l’iniziativa economica e quella di resistenza, in modo che entrambe operassero sulla linea della lotta contro il profitto e la rendita7.

Come si dirà più dettagliatamente nel capitolo seguente, questa convergenza tra cooperazione e municipalismo socialista si avrà nel Ternano solo dopo la fine della

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Ivi, p. 139. Ivi, pp. 140 e 142.

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prima guerra mondiale: a Papigno i dirigenti dell’Unione Cooperativa della Valnerina si ritroveranno quasi tutti impegnati nella locale Amministrazione Comunale espressa dalle elezioni del 1920 tra le fila del Partito Socialista (e affideranno allo stesso ente l’Annona), mentre a Terni l’Amministrazione, anch’essa socialista, di Tito Oro Nobili, costituisce il Consiglio della Cooperazione e si impegnerà per l’istituzione di una scuola della cooperazione. Massimalisti, sindacalisti rivoluzionari e anarchici, però, combattono la cooperazione perché in essa vedono uno strumento della politica riformista e un indebolimento del movimento di resistenza.

Per liberare definitivamente il movimento cooperativo dal filantropismo borghese, i dirigenti socialisti cercano quindi di favorirne il collegamento con le organizzazioni di resistenza, ma così facendo finiscono per scatenare contro la cooperazione Camere di commercio, stampa nazionale, agrari e industriali, tutti fautori di un disegno di restaurazione autoritaria e di rilancio dell’iniziativa padronale. I socialisti non compresero appieno il pericolo e le loro risposte erano spesso carenti sia sul piano teorico sia su quello politico. L’unico che cercò di elaborare una coerente riflessione teorica sul cooperativismo fu Antonio Vergnanini, segretario della Lega Nazionale delle Cooperative dal maggio 1912 fino all’avvento del fascismo. Vergnanini, mettendo a frutto l’esperienza maturata nel movimento cooperativo reggiano, si adoperò per superare i limiti organizzativi e tecnici della cooperazione di classe e per evitare sul piano organizzativo e politico i pericoli di involuzione corporativa e localistica. Secondo Vergnanini la cooperazione, per poter determinare nuovi sistemi di produzione e distribuzione, doveva raggiungere “proporzioni grandiose” e armonizzare le varie branche della produzione e del consumo. La cooperazione di consumo, poi, doveva svolgere anche una funzione di accumulazione del capitale necessario a quella di produzione. Partendo dal presupposto che le cooperative non sono più società di mutuo soccorso ma enti economici che operano su un mercato in cui vige la concorrenza, Vergnanini conclude che esse hanno bisogno di capitali per poter operare e svilupparsi. Per lui, insomma, la cooperazione si inseriva in una strategia di transizione al socialismo basata sul gradualismo e sul consenso: la classe operaia 8

Ivi, pp. 145-146.

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Le critiche dei sindacalisti rivoluzionari [al movimento cooperativo], come quelle dei meridionalisti, erano per molti aspetti mutuate dalla cultura liberista [...]. Fino ad allora la cooperazione aveva goduto del favore della cultura liberale e degli stessi liberisti, poiché sembrava possibile, attraverso la cooperazione, sottrarre le masse operaie e contadine all’influenza del movimento socialista. Il quadro cominciò a mutare quando l’espandersi del movimento cooperativo divenne un fatto di crescita del Partito Socialista e del movimento cattolico e il movimento cooperativo stesso raggiunse livelli economici e organizzativi tali da incidere sulla realtà economica e politica del Paese, tanto da non poter più essere ignorato dalle stesse forze di governo8.

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doveva attrarre nella sua orbita i ceti medi urbani e rurali utilizzando cooperative, sindacati e istituzioni assistenziali e così penetrare anche nello Stato. I supporti indispensabili di questa strategia per la penetrazione e la trasformazione economica e politica dei lavoratori organizzati e degli operai-consumatori nello Stato erano, sul piano locale, la conquista delle Amministrazioni comunali (lavori pubblici, appalti alle cooperative, municipalizzazioni) e, sul piano nazionale, il coordinamento dell’azione politica delle grandi organizzazioni di massa, riunite nella Triplice del Lavoro, al fine di premere per una politica governativa tendente a valorizzare la funzione delle cooperative e in grado di ampliare la legislazione sociale, di promuovere nuovi istituti di partecipazione e controllo operaio [...] e nuove leggi per gli appalti e per il credito alle cooperative9.

Questa strategia, proprio nel momento in cui Vergnanini assumeva la segreteria della Lega, fu spiazzata dalla crisi del giolittismo e del riformismo che portò l’ala massimalista alla guida del Partito Socialista. Ciò indusse Vergnanini a sostenere la neutralità della Lega, per mantenerla unica rappresentante del movimento nei confronti del governo, e a insistere sul produttivismo, soprattutto dopo i cambiamenti imposti dalla prima guerra mondiale ai rapporti fra economia e Stato.

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Lo sviluppo della cooperazione in Umbria

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Fino alla crisi agraria degli anni cinquanta-sessanta del Novecento gli assetti del mondo rurale hanno determinato la struttura dell’economia e della società dell’Umbria e i rapporti gerarchici tra le città maggiori, i centri minori e le loro rispettive aree di influenza. Nelle città, dove risiedevano le classi dominanti, confluiva il surplus drenato dalle campagne, ma ogni città, con il suo territorio, costituiva un’economia chiusa, con scarsi rapporti anche con quelle vicine. Dopo l’Unità d’Italia comincia a mutare la composizione dei ceti urbani: quelli più consistenti sono sempre rappresentati dai proprietari terrieri e dagli artigiani, ai quali man mano vengono ad aggiungersi i professionisti, gli industriali, i banchieri, gli impiegati, i commercianti, gli addetti ai servizi e i militari10. In questo contesto le classi dominanti postunitarie cercano di dare una nuova struttura alla società civile, sostituendo il tradizionale collante caritativo con forme di mediazione interclassista laiche. Le società di mutuo soccorso e le prime cooperative di consumo sono il tentativo di dare risposte diverse a problemi reali consolidatisi nel tempo, fornendo, nello stesso tempo, una base di consenso più ampia al nuovo Stato e una nuova legittimazione ai tradizionali ceti dominanti. Insomma, le classi dirigenti umbre cercano

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Ivi, p. 154. cfr. Renato Covino, Giampaolo Gallo, Luigi Tittarelli e Gernot Wapler, Economia e società, in Perugia, a cura di Alberto Grohmann, Laterza, Bari 1990, tab. 8, p. 123.

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di garantir servizi e momenti di sicurezza sociale, coinvolgendo nella gestione – al contrario che nelle forme tradizionali di assistenza-beneficienza – gli stessi interessati, ma assicurandosi al tempo stesso il controllo politico e ideologico delle nuove strutture11.

Lo sviluppo e la diffusione della mutualità in Umbria è emblematico di quanto detto: le società di mutuo soccorso e le società operaie si concentrano dapprima nei centri maggiori e poi si diffondono nelle realtà minori. La mutualità e le prime forme di cooperazione, anche se ancora rudimentali, sono forme di organizzazione del consenso più moderne e un evidente tentativo di costruzione di un rapporto tra i ceti dominanti, di ispirazione liberale e progressista, e i ceti popolari urbani. La cooperazione, però, e soprattutto quella di consumo, contrariamente alle aspettative, non riesce a svolgere la prevista funzione di istituzionalizzazione e coesione del blocco urbano: l’assegnazione di appalti alle cooperative di produzione e lavoro provoca le lamentele degli imprenditori così come la concorrenza delle cooperative di consumo provoca le ripetute proteste dei commercianti (di cui si dirà in più avanti), a Perugia come a Terni. In questo modo la società cittadina perde sempre più la sua compattezza nei confronti del mondo rurale e finisce con il dividersi e segmentarsi. Si determina così una vera e propria crisi dei blocchi urbani che finisce con il ripercuotersi sullo stesso movimento cooperativo:

Per quanto riguarda i dati quantitativi, pur considerando la difformità delle rilevazioni, condotte da soggetti diversi nel 1902, nel 1910 e nel 1914, e la loro diversa attendibilità13, si può senz’altro affermate che il peso delle cooperative umbre sul totale oscilla di un decimo di punto intorno all’1,3%, mentre nella regione aumenta significativamente il peso di quelle di consumo (nel 1914 sono ben 56 su un totale di 104, pari cioè a ben il 53,8%) e, in generale, di quelle ternane (cfr. infra tabelle e grafici delle pagine 101 e 102). Secondo i dati rilevati nel 1902 dalla Lega, a Terni si trovano circa il 14% delle cooperative umbre (considerando gli attuali confini amministrativi della regione e del comune), cioè 4 società, che però raccolgono il 35% dei soci, addirittura il 66%

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Renato Covino, Cooperazione e storia regionale, in Studi sulla cooperazione, a cura di Gianni Bovini e Renato Covino, Protagon, Perugia 1990, p. X. Ivi, p. XIII. Lega Nazionale delle Cooperative, Statistica delle società cooperative italiane esistenti al 1902, Milano 1903; L. Ponti, Le cooperative di consumo italiane al 30 maggio 1910, in “La Cooperazione Italiana”, 11 giugno 1910; Statistica numerica delle cooperative di consumo al 31 dicembre 1910, in “La Cooperazione Italiana”, 4 marzo 1911; Le glorie della terza Italia: distribuzione territoriale, in “La Cooperazione Italiana”, 19 agosto 1911; Annuario statistico della cooperazione italiana, a cura della Lega Nazionale delle Cooperative, Como 1917.

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In primo luogo la sua crescita tende a bloccarsi e a ristagnare, in seconda istanza l’esperienza cooperativa si correla direttamente alle forme di resistenza operaia, tende a trasformarsi in una forma di articolazione istituzionale del movimento operaio. Ciò spiega il trend di crescita lento e inferiore a quello italiano per tutto il corso dell’età giolittiana12.

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Cooperative di consumo al 1894

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Fonte: Ministero di Agricoltura Industria e Commercio - Direzione Generale dell'Agricoltura, Cooperative di consumo. Relazione del senatore Faina conte Eugenio, estratto dagli “Annali di Agricoltura�, n. 211, Roma 1896. Capitolo 2


I grafici evidenziano per l’Umbria, rispetto all’Italia, per tutte le grandezze analizzate, il peso preponderante delle cooperative di consumo, superate, ma solo nel numero di società, dalle cooperative di produzione e lavoro. Fonte: Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue, Statistica delle società cooperative italiane esisenti al 1902, Milano 1903.

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Cooperative, soci, capitale sociale e giro d'affari delle cooperative in Italia e in Umbria nel 1902

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Cooperative, soci, capitale sociale e giro d'affari delle cooperative presenti nei comuni umbri nel 1902

Questa tabella riporta i valori assoluti graficizzati nella carta della pagina seguente, dove gli istogrammi sono stati calcolati sui valori percentuali rispetto al totale regionale.

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Fonte: Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue, Statistica delle società cooperative italiane esistenti al 1902, Milano 1903.

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del capitale sociale e ben il 54% del giro d’affari, percentuali in buona parte determinate dalla presenza della Cooperativa Alti Forni (che, da sola, raccoglie 1.332 dei 1.641 soci di cooperative ternane, un capitale di 88.754 lire su 119.437 e un giro d’affari di 550.000 rispetto alle 706.083 di tutte le cooperative cittadine). Agli inizi del Novecento, quindi, quello cooperativo è un fenomeno ancora episodico e urbano, correlato allo sviluppo di partiti, leghe, camere del lavoro e istituzioni operaie in generale. “La cooperazione diviene così parte integrante di un tessuto a maglie larghe che configura, soprattutto a Terni, una sorta di società proletaria parallela”14: nel 1911 un’indagine statistica condotta dalla ricostituita Camera del Lavoro di Terni 15 rileva 2.700 iscritti alle leghe, 2.000 cittadini aderenti a 15 associazioni anarchiche, socialiste e repubblicane, 4.000 operai soci di 5 società di mutuo soccorso, 400 soci di 4 cooperative di produzione e 1.200 soci di 4 cooperative di consumo16. 14 15

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Covino, Cooperazione e storia regionale, cit. (a nota 11), p. XVII. Sulla vicenda della Camera del Lavoro di Terni cfr. Marisa Romagnoli, La Camera del Lavoro, in Storia illustrata delle città dell’Umbria, a cura di Raffaele Rossi, Terni, a cura di Michele Giorgini, Sellino, Milano 1994 e Camera del Lavoro Terni Amelia Narni Orvieto, La Camera del Lavoro di Terni. 100 anni di storia, catalogo della mostra, Terni 2004. AST, ASCT, b. 1046, fasc. “Censimento industriale, compreso alla Camera del Lavoro, revoca della deliberazione”, Camera del Lavoro di Terni e Circondario, Statistica 1911, 31 dicembre 1911. Con la sola eccezione de “La Previdente”, non è stato possibile identificare le altre tre cooperative citate nel documento: “La Fratellanza”, “L’Uguaglianza”, “Tranvieri”.

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La carta rende evidente il peso di Terni per tutte le grandezze analizzate. Tale incidenza si deve soprattutto alla presenza della Cooperativa Alti Forni (di cui si dirà più avanti). Fonte: Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue, Statistica delle società cooperative italiane esisenti al 1902, Milano 1903. La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

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Cooperative, soci, capitale sociale e giro d'affari delle cooperative presenti nei comuni umbri nel 1902

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In sintesi le strutture di produzione, ma soprattutto quelle di consumo divengono momenti di autonomia, ma anche di difesa del reddito, di resistenza. L’assenza di un interlocutore amministrativo “amico” spiega perché a livello regionale il peso delle cooperative di consumo sia preponderante rispetto a quello delle cooperative di produzione e lavoro17. Gli esempi che verranno illustrati nei capitoli seguenti dimostrano questo carattere di resistenza, di “calmiere” dei prezzi, di difesa del reddito della classe operaia, svolto dalle cooperative di consumo, carattere che, probabilmente insieme alla scarsa preparazione degli amministratori, contribuirà a determinare le loro ridotte dimensioni, i loro non eccelsi risultati economici e la loro non lunga vita.

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Mutualismo, resistenza e cooperazione a Terni

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Come previsto da Gioacchino Napoleone Pepoli, nel 1870 la presa di Roma fa uscire Terni dall’angusta condizione di città di frontiera e le schiude la via dello sviluppo industriale, resa più sicura quando nel 1872 governo e Parlamento decidono di costruirvi una fabbrica d’armi. A determinare tale scelta contribuiscono, in diversa misura, le argomentazioni degli amministratori locali e l’influenza di centri decisionali, finanziari, economici e politici di livello nazionale. Nel 1873 l’ingegnere belga Cassian Bon18 rileva la Fonderia nei pressi della stazione, mentre il Lanificio F. Gruber & C. viene ristrutturato (nel 1877 occuperà 425 operai); nel maggio 1875 iniziano i lavori di costruzione della Fabbrica d’Armi. Queste iniziative hanno significative conseguenze demografiche e sociali. Se, come risulta dai dati dei censimenti, tra il 1861 e il 1871 la popolazione cresce appena del 2,55%, passando da 14.663 a 15.037 abitanti, ben diversa è la situazione a partire dalla seconda metà degli anni settanta: nel 1876 all’Ufficio di Statistica del Comune risultano 17.523 abitanti (+16,53%)19. Questa crescita demografica, fortemente caratterizzata dalla componente operaia, fa temere agli esponenti delle classi dirigenti cittadine, che pure si erano prodigati per favorire l’industrializzazione, che possano rapidamente venir meno gli ormai consolidati equilibri sociali e politici. Nell’agosto del 1876 si costituisce a Terni un “circolo socialista” con una trentina

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Covino, Cooperazione e storia regionale, cit. (a nota 11), p. XVII. Di Cassian Bon ha recentemente condotto un attento aggiornamento della biografia Marco Venanzi, redigendo l’apposita voce nel Dizionario biografico degli imprenditori italiani (per conto dell’Istituto della Enciclopedia Italiana), in corso di stampa, lavoro sinteticamente ripreso in Un europeo a Terni: Cassian Bon, Acqua, Acciaio, energia elettrica, in “Umbria Contemporanea”, I (2003), 1, pp. 101-104, nonché in Cassian Bon: profilo di un imprenditore belga a Terni, in Tecnici e impianti. Dall’Europa a Terni, da Terni all’Europa, giornata di studi (Terni, 27 settembre 2003), a cura di Angelo Bitti e Luigi Di Sano, ICSIM-CRACE, Perugia 2004, pp. 33-44. Corrispondenze, in “La Nuova Umbria”, 25 gennaio 1877. Sullo sviluppo demografico di Terni nel periodo dell’industrializzazione cfr. Renato Covino, Giampaolo Gallo e Luigi Tittarelli, Industrializzazione e immigrazione: il caso di Terni, 1881-1921, in SIDES, La popolazione italiana nell’Ottocento. Continuità e mutamenti, Bologna 1985, pp. 409-430

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di iscritti20 ma sebbene un suo rappresentante, il volontario garibaldino Gualtiero De Angelis, partecipi al congresso di Jesi della Federazione Umbro-Marchigiana aderente all’Associazione Internazionale dei Lavoratori, tutte le altre società operaie sono ancora espressione dei ceti popolari tradizionali e sono in qualche modo controllate dalle classi dominanti. Va poi ricordato come i settori internazionalisti del nascente movimento operaio siano fortemente sfiduciati, se non addirittura contrari, all’associazionismo mutualistico. Sempre nel 1876 un corrispondente del “Patatrac!” scrive: La borghesia borsaiuola si vede seriamente minacciata nei suoi più vitali interessi dal progressivo sviluppo delle teorie rivoluzionarie e dall’incessante agitarsi delle masse popolari [...] Di qui l’affannarsi continuo dei benpensanti a promuovere cucine economiche, magazzeni cooperativi, case di beneficenza ed altri simili cataplasmi dell’usurpazione, che rassomigliano ad altrettanti empiastri applicati su gambe di legno, affine di neutralizzare, se pure è possibile, il cozzo naturale degli estremi antagonismi21.

Le vere società di mutuo soccorso che pensano a soccorrere i soci, moralmente e materialmente, sono figlie delle antiche associazioni, ma appaiono rinnovate mercè un ben inteso spirito di amore fraterno. Intorno a esse vi sono raggruppate istituzioni molteplici: sono scuole, sono circoli, sono prestiti d’onore, sono cooperative, basate tutte sul fondamento di mutuo soccorso23.

Difatti, è proprio nei primi anni ottanta che a Terni si registra un’ulteriore sensibile crescita del mutualismo. Tra il 1881 e il 1883 i sodalizi sono più di dieci e sono egemonizzati da esponenti di spicco dei partiti borghesi, liberali, democratici e radicali24. Le nuove società organizzano soprattutto i tradizionali ceti urbani artigiani (barbieri, mugnai, pastai e fornai) ma anche proletariato di fabbrica, come la Società di Soccorso tra gli Operai dello Stabilimento Gruber e la Società dei Tessitori dello Stabilimento Gruber, che rappresentano le prime testimonianze delle trasformazioni economiche e sociali che cominciano a manifestarsi in città. In questo 20 21 22 23 24

Bollettino, in “Patatrac!”, 12 agosto 1876. O. Vaccari, Dalla Valle del Po, in “Patatrac!”, 7 ottobre 1876. Cfr. la rubrica Corriere Operaio, in “L’Unione Liberale”, 23 gennaio e 13 marzo 1881. Le Società di mutuo soccorso, in “L’Unione Liberale”, 14 novembre 1880. Cfr. Faccende di casa. Il comizio di domenica, in “L’Unione Liberale”, 10 aprile 1881; Ordine del corteo, ivi, 23 giugno 1883.

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I liberali cittadini rimproverano agli operai ozi e vizi, e cercano di insegnargli forme e modi per uscire da quella infelice condizione di cui comunque vengono ritenuti responsabili 22. È soprattutto tra gli anni settanta e gli anni ottanta dell’Ottocento che i più avveduti esponenti delle classi egemoni ternane avviano un’articolata operazione di indirizzo e controllo del proletariato per cercare di ottenerne un’attiva partecipazione al processo di trasformazione economico-sociale oramai avviato. Essi fanno leva soprattutto sui valori del self-help e sullo sviluppo di istituzioni mutualistiche:

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Popolazione residente nel comune di Perugia e in quello di Terni ai censimenti

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Fonte: Popolazione residente e presente dei comuni censiti dal 1861 al 1971, tomo 2, Circoscrizioni territoriali alla data di ciascun censimento, Roma 1977, pp. 310-315, citato in Renato Covino e Giampaolo Gallo, Le contraddizioni di un modello, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria, a cura di Renato Covino e Giampaolo Gallo, Einaudi, Torino 1988, p. 88.

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contesto la tradizione democratica, repubblicana e radicale tende a informare sempre più di sé il mutualismo ternano. Alla fine del settembre 1886 si costituisce un Comitato delle Società Democratiche che chiede le dimissioni del Consiglio Comunale, a maggioranza moderata. Nel settembre 1887 esponenti repubblicani cercano di organizzare il Partito anche grazie alle forze del mutuo soccorso25. Nel 1888 è il sostegno delle società democratiche, in maggioranza di mutuo soccorso, che consente alle forze progressiste di vincere sui “clerico-moderati” alle elezioni parziali amministrative26. Nel novembre 1889 lo stesso cartello di forze fa sì che nel Consiglio Comunale siedano: 12 repubblicani, 6 socialisti, 4 liberali, 2 democratici e 2 consiglieri senza specifica collocazione partitica27. Questo tentativo della classe politica progressista – liberale e democratica – di contrapporre a sovversivi e anarchici un programma di riforme controllato si scontra però con gli effetti indotti dall’indu-

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ACS, Rapporti prefetti, b. 16, fasc. 46, Relazione del prefetto, 30 settembre 1887. Storia retrospettiva dell’amministrazione comunale. IX, in “L’Avvenire di Terni e dell’Umbria”, 27 marzo 1890. Una curiosa statistica, in “Il Messaggero”, 14 novembre 1889.

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Sulle vicende delle principali fabbriche ternane cfr. Le industrie di Terni. Schede su aziende, infrastrutture e servizi, a cura di Renato Covino, CRACE, Perugia 2002, che, per ciascuna, riporta anche una aggiornata bibliografia. Cfr. Covino, Gallo e Tittarelli, Industrializzazione e immigrazione: il caso di Terni in cit. (a nota 19), in particolare p. 418. Sulla Società per la Costruzione di Case Operaie cfr. Gianni Bovini, La cooperazione di produzione e lavoro a Terni (1883-1922), in Studi sulla cooperazione cit. (a nota 11), pp. 88-89. Sui vari interventi, pubblici e privati messi in atto a Terni per affrontare il problema dell’edilizia per gli operai cfr. Michele Giorgini, L’industria dell’acciaio e l’industria della città, in Le Acciaierie di Terni, a cura di Renato Covino e Gino Papuli, Electa, Milano 1998, pp. 241-273. Più in generale sul tema sviluppo industriale e abitazioni cfr. Augusto Ciuffetti, La città industriale. Un percorso storiografico, CRACE, Perugia 2004 (in particolare pp. 34-41 e 88101) e, dello stesso autore, Casa e lavoro. Dal paternalismo aziendale alle “comunità globali”: villaggi e quartieri operai in Italia tra Otto e Novecento, CRACE, Perugia 2004 (in particolare pp. 66-70 e 121-127). Camera di Commercio e Industria dell’Umbria. Foligno, L’Umbria agricola, industriale, commerciale. Anno 1913, Foligno 1914, p. 47. ACS, Rapporti prefetti, b. 16, fasc. 46, Relazione del prefetto, 29 aprile 1888.

La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

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strializzazione, primo fra tutti il forte e rapido incremento demografico che travolge i preesistenti e consolidati equilibri sociali, politici ed economici: la conflittualità sociale diventerà l’elemento caratterizzante della città. I fatti economici che contrassegnano questo periodo sono: nel 1882 l’entrata in funzione della Fabbrica d’Armi e dal 1884 la costruzione dell’Acciaieria e dello Jutificio Centurini, imponenti stabilimenti che avviano la loro produzione due anni dopo, nel 188628. Sono soprattutto questi impianti industriali a determinare il massiccio arrivo in città degli immigrati: tra il 1881 e il 1889 i residenti aumentano di ben 12.584 unità, passando da 15.773 a 28.357 (+79,78%)29. Tecnici e operai qualificati provengono soprattutto dalla Francia e dal Belgio, mentre molti operai specializzati vengono dalle regioni italiane più industrializzate come il Piemonte e la Lombardia, ma anche dal Veneto, dall’Emilia Romagna e dalle Marche; dal Ternano provengono invece soprattutto gli operai generici e la manodopera femminile. Le classi dominanti non riescono ad affrontare in modo soddisfacente questo consistente incremento demografico, che provoca tensioni sociali e fa esplodere il problema dell’insufficienza degli alloggi e della mancanza di un piano regolatore: la costituzione, nel 1883, della Cooperativa per la Costruzione delle Case Operaie non produce risultati apprezzabili30. Una risposta più efficace, anche se limitata, alle difficili condizioni di vita e di lavoro del proletariato industriale sembra quella offerta dal mutualismo, che vede aumentare il numero dei sodalizi: nel 1883 viene costituita la Società di Mutuo Soccorso fra gli Operai della Fabbrica d’Armi31 , nel 1887 la Società di Mutuo Soccorso fra Operai e Operaie dello Jutificio Centurini32 . Pur organizzando settori operai omogenei, entrambe queste società hanno una struttura e un’impostazione paternalista, che, di fatto, impedisce loro di farsi portatrici di istanze rivendicative sul piano politicosindacale. Dalla seconda metà degli anni ottanta l’aumento dell’interesse delle classi lavoratrici verso la cooperazione di consumo può sicuramente essere interpretato come una conseguenza dell’arrivo in città di operai specializzati provenienti da regioni che avevano già visto il sorgere e l’affermarsi di simili esperienze (la costruzione

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a Terni della Fabbrica d’Armi avviene nell’ambito di una generale ristrutturazione del settore che vede la chiusura di stabilimenti similari, utilizzati dagli Stati preunitari, in Piemonte, Lombardia, Campania e Calabria). Il dibattito si accende anche sui giornali locali, primo fra tutti “Il Cuore d’Italia”33 che tra il 9 aprile e il 13 maggio 1887 incita alla costituzione di una cooperativa di consumo anche a Terni34; collabora al giornale anche il professor Gaspare Blanc, futuro presidente della Cooperativa di Consumo della Fabbrica d’Armi. Sebbene alle Acciaierie si cominci a pensare a una cooperativa di consumo fin dal 1886, la diversa formazione e provenienza degli occupati, ma soprattutto l’ostilità della dirigenza aziendale, che teme le “tendenze rivoluzionarie” dell’operaio italiano35, fanno sì che la prima cooperativa di consumo venga costituita alla Fabbrica d’Armi, stabilimento dove pure era sensibile la presenza di operai provenienti da regioni più industrializzate che avevano già visto l’affermarsi di varie esperienze nel settore. All’inizio del maggio 1887 si costituisce un comitato promotore per la fondazione di una cooperativa di consumo36 composta da esponenti di primo piano della democrazia ternana, come l’ex maggiore garibaldino Edoardo Barberini, e da un gruppo di operai immigrati dal Piemonte37: Roberto Pierucci, Diodato Folli, Clemente Bergui, Giuseppe Drussard, Carlo Bonfanti, Ciro De Luca, Giuseppe Gallea, Francesco Rinaldi, Giovanni Selva, Giovanni Filippo Grilli, Oreste Galletti e Giovanni Stanchina38. Scopo della Cooperativa, si dichiara, è quello di “sottrarre la classe operaia al bagarinismo e all’avidità di chi vende e di chi fa commercio di generi di prima necessità”39. Il manifesto indirizzato agli operai mette in luce l’ispirazione mazziniana dell’iniziativa e, oltre alla continua crescita dei prezzi, sottolinea la difficoltà di molti – soprattutto degli immigrati – ad accedere al credito e portano ad esempio le esperienze estere e quella degli operai di San Pier d’Arena. Le argomentazioni addotte: un magazzino cooperativo di consumo [...] ci fornirà tutto ciò che può occorrere al sostentamento delle nostre famiglie, ci metterà al coverto delle adulterazioni, e colla bontà del genere ci darà la mitezza del prezzo e la non esigua compartecipazione agli utili sociali. Da qui la benefica azione del risparmio che è di per se stesso la vita dei popoli civili e nel frattempo elimina dalla società, per via della previdenza, quella ognor crescente schiera dei nullatenenti. Fratelli! Questi sono i nostri intendimenti, queste le nostre aspirazioni per liberarci da tanti intermediari che rendono ognor più malagevole la nostra esistenza. [...].

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Per una breve scheda su questa “Gazzetta bisettimanale politica, industriale”, vedi Giani, Terni. Cento anni d’acciaio cit. (a nota 5), pp. 204-205. Le società cooperative di consumo, in “Il Cuore d’Italia, I, 11-16, 9, 16, 22 e 29 aprile e 6 e 13 maggio 1887. Cfr. “Il Maglio”, 3, 25 dicembre 1897. Società Anonima Cooperativa di Consumo, in “Il Messaggero”, 25 maggio 1887. Per Terni. In una adunanza..., in “La Valle del Nera”, 23 aprile 1890. Società Anonima Cooperativa di Consumo in Terni, in “Il Cuore d’Italia”, I, 17, 20 maggio 1887, ma anche Faccende di casa. Una nuova società anonima cooperativa, in “L’Unione Liberale”, VIII, 21, 21-22 maggio 1887. Ibidem.

Capitolo 2


Raccolti tutti sotto la bandiera vi diciamo: avanti sempre con coraggio e l’avvenire è nostro; non disturbato da discordie e da aspirazioni che non abbiano il fondamento del bene per il bene, e senza deviare dal sentiero, che intendiamo percorrere coraggiosi e fidenti. Con questa speme nell’animo costituiamo la nostra società cooperativa e quindi apriamo a tutti l’adito al nostro sodalizio. [...]. Nell’unione delle piccole forze avremo una potente leva, che in questo secolo ha saputo risolvere tanti problemi economici, ed è stolto chi non li vede e non li apprezza. Uniamoci concordi e l’avvenire sarà nostro e per le nostre famiglie40.

sono evidentemente convincenti se alla fine di maggio le adesioni sono già cinquanta. L’iniziativa viene accolta positivamente anche dagli ambienti moderati cittadini41, che si impegnano per mantenere il controllo dei diversi sodalizi probabilmente per propria convinzione ma forse anche per le argomentazioni di Blanc che ritiene le cooperative di consumo capaci di svolgere un ruolo pedagogico nei confronti delle classi subalterne: La società cooperativa non solo permette risparmi all’operaio, ma essa lo abitua al risparmio, glie ne fa capire tutti i vantaggi, gl’insegna a credere nelle proprie forze, contribuisce in una parola a farne un cittadino energico e utile42.

È evidente a priori che la creazione di una società di consumo è contraria agli interessi dei bottegai che vendono gli stessi generi di essa. Quindi è da supporsi che l’avversione di questi per il nuovo concorrente (col quale non vi ha mezzo di intendersi) si manifesterà presto con sorda ostilità43.

Quando, alla fine del maggio 1887, si procede alla costituzione della Società Cooperativa di Consumo in Terni e all’elezione delle cariche sociali, l’assemblea, sebbene a maggioranza operaia, elegge presidente proprio il professor Gaspare Blanc44. Il 31 luglio 1887 la Cooperativa apre (in via delle Scuole 16) un magazzino per i soli soci. Questi sono saliti nel frattempo a oltre trecento45, un numero significativo per una singola impresa ma limitato se si considerano gli operai occupati nei principali stabilimenti di Terni: 3.533 alle Acciaierie, 821 alla Fabbrica d’Armi, 282 allo Jutificio Centurini, 124 al Lanificio Gruber, 87 alla Ferriera, 86 alla Fornace Cianconi-Galassi e 25 alla Segheria Bizzoni46. 40 41 42 43 44 45

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Ibidem. Cfr. Le società cooperative di consumo, in “Il Cuore d’Italia”, I, 16, 13 maggio 1887. Gaspare Blanc, Le società cooperative di consumo, in “Il Cuore d’Italia”, I, 15, 6 maggio 1887. Idem, Ivi, I, 16, 13 maggio 1887. In Terni. La Società Cooperativa di Consumo, in “Il Cuore d’Italia”, I, 19, 3 giugno 1887. Cfr. Raimondo Manelli, Il movimento operaio a Terni nella seconda metà dell’Ottocento, Terni 1959, p. 24 e Per urbem. La Società..., in “Cornelio Tacito”, 31 luglio 1887. AST, ASCT, b. 686, fasc. 2 “Case operaie 1887”, tabella manoscritta s.d. (citata in Giampaolo Gallo, Ill.mo Signor Direttore... Grande industria e società a Terni fra Otto e Novecento, Foligno 1983, p. 67).

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Contestualmente, però, Blanc bene evidenzia, con largo anticipo, un problema che non tarderà a manifestarsi:

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Nel novembre 1887 “L’Unione Liberale” scrive che la Cooperativa è “dovuta alla operosità intelligente e feconda di persona colta”, è “quasi formata esclusivamente di operai” ed è fiorente, con un ben avviato magazzeno dove il lavoratore trova a buon prezzo e di qualità ottima e sicura le cibarie di principale necessità, tantoché l’esserne socio potremo dirlo un dovere d’ogni previdente padre di famiglia47.

Il primo esercizio – in realtà l’unico di cui si è rintracciata notizia – viene chiuso con un utile di 795 lire,

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cifra modesta [...] ma eloquentissima per dimostrare come questa benemerita istituzione si avvii alla prosperità e alla floridezza, mercè l’efficace concorso dei molti operai che la compongono, i quali con fermo proposito nel preso impegno addimostrano solidarietà e buon volere nell’emanciparsi dalla speculazione non sempre [...] corretta di chi commercia i primi generi necessari all’esistenza48.

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Nella sua relazione il presidente Blanc si dichiara fiducioso che “superate le difficoltà del principio, che sono le più temibili”49, la Cooperativa possa continuare a crescere e prosperare ma dalle ultime notizie rintracciate, relative alla carica di vicepresidente, contesa tra Aroldi e Stanchina, emergono divergenze tra i soci che i cronisti dell’epoca imputano alla loro diversa provenienza geografica50. Negli stessi anni i dirigenti delle Acciaierie mantengono la loro contrarietà alla costituzione di un’autonoma società di mutuo soccorso da parte degli operai e, con lo scopo di impedirla, nel luglio 1887 promuovono una Cassa Soccorso Malati51. Scopo della Cassa, finanziata dal contributo quindicinale degli operai (esclusi gli avventizi), dalle multe inflitte per inadempienze al regolamento di fabbrica e dal contributo della stessa Società, è di provvedere il dottore, le medicine e il sussidio agli operai ammalati52. Per la SAFFAT si tratta di un’operazione vantaggiosa perché consente il controllo dell’assenteismo per malattia con un impegno economico minimo. Nell’inverno 1888 le avverse condizioni meteorologiche impediscono a molti operai di poter lavorare; inoltre, Il caro sempre crescente dei viveri, le continue maggiori pretese dei proprietari di case, mano a mano riducono la [...] Manchester d’Italia in uno stato miserevole, perché fanno più frutto due lire guadagnate in altre città che cinque ricevute qui. E intanto il Comune [aumenta] diversi dazi. E i commercianti [...] profittano di tali aumenti per vendere i loro generi a dei prezzi poco onesti, molto proficui per essi53.

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La cooperazione operaia in Terni, in “L’Unione Liberale”, VIII, 57, 19-20 novembre 1887. La cooperazione operaia in Terni, in “L’Unione Liberale”, IX, 33, 11-12 agosto 1888. Ibidem. Per Terni, in “La Valle del Nera”, I, 5, 16 aprile 1890 e 6, 23 aprile 1890. Cfr. Cronaca di Terni. Cassa di Soccorso tra gli Operai dell’Acciaieria, in “Il Messaggero”, 8 aprile 1888; Dalle provincie. Ieri mattina..., ivi, 20 dicembre 1898. La Società degli Alti Forni, Fonderie e Acciaierie di Terni e i suoi stabilimenti. Monografia, Terni 1898, p. 28. Cronaca di Terni. La neve e la miseria, in “Il Messaggero”, 31 gennaio 1888.

Capitolo 2


Né l’azione provvida e sapiente di chi muove e regola le cose dell’Acciaieria si arresta alla soluzione del problema industriale, ma si estende anche a quello non meno importante che riguarda la sorte del suo numeroso personale, studiando con cura paterna il modo di migliorarne moralmente e materialmente le condizioni. Chi entra oggi in quelle officine col fermo proposito di lavorare è certo di trovarvi quanto occorre, per avvantaggiare la propria posizione; e se la buona volontà è sussidiata dall’ingegno, può [...] assicurarsi un discreto avvenire. Conosciamo giovani ch’entrarono nell’Acciaieria come semplici braccianti, e che divennero in poco tempo operai e capi operai abilissimi a guadagnarsi cospicue mercedi. Un altro sintomo delle migliorate condizioni dell’Acciaieria si ha nel buon accordo che regna fra il personale dirigente, amministrativo e operante. Basti a provarlo il modo spontaneo col quale si costituì [...] la Società Cooperativa [...] per la somministrazione di generi alimentari. La Direzione non mancò di cooperare anch’essa per la buona riuscita dell’Associazione,

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Cfr. Terni. La Cooperativa Alti Forni, in “La Turbina”, 8 ottobre 1898. Cfr. Le nostre cooperative, in “Il Maglio”, 25 dicembre 1897. Cfr. L’Acciaieria, in “L’Avvenire di Terni e dell’Umbria”, II, 21 novembre 1889. Per una breve scheda sul “Giornale settimanale socialista”, vedi Giani, Terni. Cento anni d’acciaio cit. (a nota 5), pp. 218-222. Terni. La Cooperativa Alti Forni cit. (a nota 54). Faccende di casa. Società cooperativa..., in “L’Unione Liberale”, X, 42, 19-20 ottobre 1889. Per una breve scheda sul “Giornale per il popolo”, vedi Giani, Terni. Cento anni d’acciaio cit. (a nota 5), pp. 207-208.

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Questa situazione oggettiva ma, soprattutto, la presenza in Acciaieria di operai provenienti dalla Francia e dal Belgio ridanno forza all’idea di costituire una cooperativa di consumo. Temendo che tale struttura favorisca la capacità di resistenza dei lavoratori in caso di vertenza54, la dirigenza aziendale cerca di ottenerne il controllo55 offrendo sostengo e aiuti economici56. Secondo il periodico socialista “La Turbina”57, l’obiettivo aziendale viene raggiunto: diversi punti dello statuto la pongono “sotto l’alto patronato e protettorato dei padroni”, che impongono “amministratori più o meno servi ossequienti o portavoci della Direzione”58. La Società Anonima Cooperativa di Consumo fra il Personale della Società degli Alti Forni Fonderie e Acciaierie di Terni viene infatti costituita il 6 ottobre 1889 con un capitale sociale di 58.000 lire, di cui ben 25.000 sottoscritte dalla Direzione della SAFFAT; l’impresa ottiene che molti amministratori, dirigenti e tecnici siedano nel consiglio di amministrazione della Cooperativa, composto dai presidenti onorari Vincenzo Stefano Breda e Alessandro Casalini, il presidente Vittorio Di Matteo, il vicepresidente Giovanni Offredi e i consiglieri Leopoldo Fabretti, Amilcare Spadoni, Emilio Boglietti, Pietro Ferraris, Pietro Chatillon, Antonio Bosco, Francesco Pitteluga, Giuseppe Broatelli, Cesare Grilli, Ismaele Negroni, Guglielmo Sconocchia, Andrea Parruccini, Antonio Bortolato, Ludovico Bianciardi, Olivo Montecchi e Vittorio Jezzi59. “L’Avvenire di Terni e dell’Umbria”60 nel riferire che all’Acciaieria hanno dato risultati positivi gli esperimenti condotti sulle corazze per fortini, la cui produzione, quindi, si aggiungerà a quella di corazze, rotaie e lamine, scrive:

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offrendo un largo sussidio pecuniario, comprendendo benissimo che oltre il vantaggio economico l’Associazione vale ad assodare quei vincoli di solidarietà e di fratellanza che, pel bene di tutti, debbono tenere unito e compatto il personale di un grande stabilimento industriale. Pertanto, la volontà decisa da parte della Direzione di favorire lo sviluppo di questa nuova Cooperativa, le duemila adesioni [...], l’accordo che regnò fra [...] operai e impiegati nella formazione dello statuto, [...], nella nomina del suo consiglio direttivo, sono indizi assai lusinghieri di buona riuscita [...]. Noi salutiamo colla più viva simpatia questo novello sodalizio popolare, facendo voti per la sua prosperità, lieti di vedere che nell’Acciaieria si promuove il bene del popolo coi fatti, e non colle chiacchiere, seguendo i dettami di quella Democrazia che sale, nobilitata dal lavoro, o dalla scienza61.

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La Cooperativa Alti Forni, alla quale possono accedere solo operai e impiegati della SAFFAT, inizia la distribuzione di generi alimentari nel gennaio 1890 e quella di pane nel febbraio62. Nel gennaio 1890, annunciando la riconferma degli amministratori63 e l’intenzione della Cooperativa Alti Forni di chiedere l’esenzione dal dazio, lo stesso giornale scrive:

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Quest’atto degli egregi uomini che la fiducia dei soci aveva chiamati alla direzione della possente organizzazione siamo sicuri verrà tenuto nella dovuta considerazione dai bravi operai addetti ai due stabilimenti, i quali sempre fermi nell’intento di migliorare veramente la loro condizione economica, non si lasceranno influenzare dalle chiacchiere dei soliti apostoli del popolo, che predicano al medesimo di guardarsi dagli sfruttatori, per timore di vederseli sfuggire di mano il giorno in cui aprendo bene gli occhi potranno facilmente distinguere gli amici veri dai falsi. Occhio dunque alla pentola o bravi operai, e che il vostro contegno sia ancora una volta tale da assicurare una vita prospera e rigogliosa a questa istituzione che per quanto a primo aspetto possa riuscire dannosa all’incremento del bilancio municipale, avrà d’altro lato il vantaggio di assicurare ad una grandissima quantità di lavoratori un nutrimento sano e a prezzi onesti, per quanto sarà compatibile col primitivo costo delle derrate64.

Nel febbraio, tornando sull’argomento, riferisce anche dell’avversione de “Il Messaggero” verso la Cooperativa, scrivendo 61 62 63

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L’Acciaieria, in “L’Avvenire di Terni e dell’Umbria”, II, 42, 21 novembre 1889. Prima prova, in “L’Avvenire di Terni e dell’Umbria”, III, 8, 20 febbraio 1890. Nel consiglio, oltre ai precedenti amministratori vengono chiamati il vicepresidente Michele Longobardi, i consiglieri Eugenio Storari e Giuseppe Bronzetti, i sindaci Quirico Mani, Antonio Lanzoni, Giuseppe Giovetti, Ettore Marcarelli e Clemente Scarpetti, i sindaci supplenti Emilio Cagli, Domenico Ferretti e Luigi Bardea, gli arbitri Attilio Coletti, Enrico Cesari, Giuseppe Melisurgo, Angelo Fabri, Giacomo Palmili e Luigi Marocchino. “Questo risultato, mentre suona approvazione dell’operato della precedente amministrazione, che ritorna completamente in carica, è una prova di più dei sentimenti di solidarietà e di fratellanza che regna in questo importante sodalizio, ed è arra che le tristi manovre usate attivamente in questi giorni per scuotere la buona armonia della Società, e gittare la discordia fra i buoni elementi che compongono il personale dei Forni e dell’Acciaieria, andranno sempre, come questa volta, fallite” (cfr. Società Anonima Cooperativa fra il Personale della Società degli Alti Forni Fonderie e Acciaierie, in “L’Avvenire di Terni e dell’Umbria”, III, 5, 30 gennaio 1890). Società Anonima Cooperativa fra il Personale della Società degli Alti Forni Fonderia e Acciaierie di Terni, in “L’Avvenire di Terni e dell’Umbria”, III, 2, 9 gennaio 1890.

Capitolo 2


che la continua guerra che egli muove a questa Associazione creata veramente allo scopo di rendere meno stentata la vita dei lavoratori non è onestamente spiegabile, e se può fare l’interesse dei soliti demolitori di ogni buona cosa, non fa quello dei bravi e laboriosi operai, i quali, però, col loro buon senso [...] avranno già compreso che chi cerca mettere la zizzania in mezzo a loro e screditare gli egregi uomini che con tanta abnegazione si sono sobbarcati il difficile compito di dar vita a questa Società non può essere che loro assoluto nemico65.

Ciò nonostante, dopo solo quattro mesi dall’apertura dello spaccio della Cooperativa lo stesso “L’Avvenire di Terni e dell’Umbria” non può non rilevare come i commercianti debbano registrare una diminuzione delle loro vendite:

Del resto, già all’atto della costituzione del suo Comitato promotore, la Cooperativa Alti Forni contava circa 2.000 adesioni, cioè altrettanti potenziali clienti sottratti ai commercianti, ai quali si aggiungono una serie di agevolazioni che aumentano la sua concorrenzialità: la SAFFAT svolge il servizio di cassa a favore della Cooperativa, trattenendo direttamente dalle paghe di operai e impiegati quanto da loro speso, e garantisce a tutti i dipendenti soci della stessa un credito pari a due terzi del loro stipendio67. Nel mese di dicembre la Cooperativa pubblica un “avviso di concorso” per selezionare personale. Molto interessanti le retribuzioni previste: 300 lire mensili per il direttore dello spaccio, ma solo 150 per i vari capobanconiere della “pizzicheria”, “dell’esercizio pane, farine e paste”, della cantina, della drogheria e per il magazziniere68. Ben diverse le paghe degli operai: agli inizi del Novecento un operaio della Sezione Fonderia della SAFFAT percepiva solo 56-60 lire mensili, somma che per il 20%-25% veniva utilizzata per pagare l’affitto e, per la quasi totalità del resto per alimenti e bevande69. Anche a queste differenze possono spiegare la posizione critica de “La Turbina” e, soprattutto del settimanale socialista “La Valle del Nera”70:

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A proposito delle cooperative, in “L’Avvenire di Terni e dell’Umbria”, III, 7, 13 febbraio 1890. La Cooperativa di Consumo e il commercio, in “L’Avvenire di Terni e dell’Umbria”, III, 21, 22 maggio 1890. Le nostre cooperative, in “Il Maglio”, 25 dicembre 1897. Società Anonima Cooperativa di Consumo fra il Personale Società Alti Forni Fonderie e Acciaierie di Terni, in “L’Avvenire di Terni e dell’Umbria”, III, 57, 4 dicembre 1890 e Faccende di casa. Società Anonima Cooperativa di Consumo tra il Personale Società Alti Forni Fonderie e Acciaierie di Terni, in “L’Unione Liberale”, XI, 49, 6/ 7 dicembre 1890. Ciuffetti, La città industriale cit. (a nota 30), p. 93. Per una breve scheda su “La Valle del Nera”, vedi Giani, Terni. Cento anni d’acciaio cit. (a nota 5), p. 210.

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Allarmati da questo andamento di cose, e spinti da quello spirito di conservazione che è naturale nell’uomo, questi ultimi hanno trovato opportuno di riunirsi anche loro per [...] rendere meno nocivi gli effetti che pel diminuito consumo stanno risentendo. A tal uopo ci viene riferito che varii giorni fa siasi tenuta una prima riunione nella sala della Banca Popolare, e che dopo lunga discussione non siasi trovato di meglio a fare che addivenire alla nomina di una commissione coll’incarico di far presente alle autorità lo stato poco florido in cui attualmente versa il commercio dei liberi esercenti66.

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Non siamo troppo teneri per le cooperative di consumo così come vengono costituite da noi, perché non le crediamo un rimedio sovrano ai mali delle classi lavoratrici, né un rimedio capace di elevar le mercedi, o alleviare la povertà; ma crediamo, che, in casi isolati, esse possono migliorare sensibilmente le condizioni di coloro che vi sono interessati71.

Su posizioni analoghe, volte a favorire la presa di coscienza da parte del proletariato ternano e la costituzione di organizzazioni capaci di supportarlo nelle vertenze, è il settimanale “Il Risveglio Operaio”72. Rilevando come le associazioni operaie ternane non siano di fatto controllate dagli operai, sollecita la costituzione di un’associazione di resistenza73. Nello stesso 1888 circa 2.000 operai di stabilimenti diversi riescono a costituire la Società di Resistenza, osteggiata dagli ambienti cittadini conservatori74, che vedono in essa l’affacciarsi di una nuova coscienza, ben evidenziata anche nello statuto, quando vi si prevede di

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soccorrere i disoccupati, procacciar[g]li lavoro, sussidiarli, o rimpatriarli, aiutare gli ammalati e i licenziati [...] e tener testa all’occorrenza, al capitalista, allorché questi volesse strapotere, conculcando la mano d’opera75.

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Già nell’aprile 1890, per Terni anno di stagnazione produttiva e licenziamenti, la Società di Resistenza è in crisi: solo 42 dei suoi fondatori hanno sottoscritto le quote sociali76. Ciò non fa che aumentare la sfiducia delle organizzazioni politiche socialiste e anarchiche nei confronti dell’associazionismo mutualistico e della cooperazione, soprattutto di quella di produzione e lavoro77. “La Valle del Nera”, in particolare, sostiene la necessità che i lavoratori si dotino di proprie e autonome organizzazioni di classe, dal momento che hanno le capacità per dirigerle senza avvalersi di esponenti borghesi78 . È questo orientamento politico operaista che fa vedere nell’elezione di due operai, Alfonso Dami ed Emilio Bicciolo (dal 1907 presidente de “La Previdente”), rispettivamente alla presidenza e alla vicepresidente della Cooperativa Alti Forni, il primo passo indirizzato “a demolire il vecchiume, su i rottami del quale si dovrà edificare il vero edificio della cooperazione di consumo”79. Ciò non interrompe comunque la collaborazione tra le associazioni democratiche e radicali e quelle sempre più orientate in senso operaista: dopo lo scioglimento del Consiglio Comunale decretato alla fine del 188980, la successiva vittoria elettorale dello schieramento progressista si deve soprattut-

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L’adunanza dei commercianti, in “La Valle del Nera”, 14 maggio 1890. Per una breve scheda sulla “Gazzetta democratica settimanale di Terni”, vedi Giani, Terni. Cento anni d’acciaio cit. (a nota 5), pp. 208-209. Cfr. Operai e società operaie, in “Il Risveglio Operaio”, 17 giugno e 8 luglio 1888. Cfr. Organizziamoci, in “La Valle del Nera”, 26 marzo 1890. La crisi della Società di Resistenza, in “La Valle del Nera”, 9 aprile 1890. Cfr. La crisi della Società di Resistenza, in “La Valle del Nera”, 9 aprile 1890. Cfr. i numeri de “La Valle del Nera” pubblicati tra l’aprile e il giugno 1890. Cfr. Per Terni. Domenica prossima..., in “La Valle del Nera”, 7 maggio 1890. Cfr. Per Terni. Alla Società..., in “La Valle del Nera”, 14 maggio 1890. Cfr. Storia retrospettiva dell’Amministrazione Comunale cit. (a nota 26).

Capitolo 2


to a un Comitato Generale Democratico formato da ben 28 associazioni81. Nel febbraio 1891 la nuova Giunta, espressione della maggioranza consiliare democratica, promuove la costituzione di una Camera del Lavoro per favorire l’occupazione e migliorare i contratti di lavoro degli operai, per evitare il ricorso ai “mediatori del lavoro”, per fornire informazioni sulle condizioni del mercato del lavoro e la domanda di lavoro in altri centri italiani ed esteri, per svolgere un’azione di controllo in merito alle retribuzioni, agli infortuni, al lavoro femminile e minorile, per promuovere la costituzione di sindacati e arbitrati, per definire e fare applicare le tariffe della mano d’opera in modo soddisfacente sia per i datori di lavoro sia per gli operai82. Il sindaco invita a sostenere l’iniziativa ben 32 fra associazioni politiche, società di mutuo soccorso e cooperative:

Le associazioni anarchiche non vengono invitate84 ma è soprattutto la mancata risposta di molte società operaie e poi, agli inizi del 1892, un nuovo scioglimento per decreto del Consiglio Comunale a far fallire l’iniziativa nonostante l’adesione di diversi nuclei socialisti (Società dei Mugnai Pastai e Fornai, Federazione Socialista, Nucleo Socialisti Sbandati, Circolo Giovani Socialisti, Nucleo Lavoratori, Società Generale Operaia, Nucleo Mazziniano Intransigente, Società di Mutuo Soccorso degli Artieri, Nucleo Radicale Indipendente)85, ben consapevoli dell’importanza per i lavoratori di organizzazioni operaie per il controllo del mercato del lavoro. Tutte queste vicende evidenziano come oramai a Terni la classe operaia e le direzioni aziendali stiano diventando i nuovi protagonisti della scena sociale e politica. Nel novembre 1891 alcuni seguaci di Andrea Costa costituiscono il gruppo socialista “Armata dell’avvenire”, poi sciolto d’autorità nel 189486. Nel luglio 1892 gli

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Cfr. Per Terni. Il Comitato Generale Democratico..., in “La Valle del Nera”, 18 giugno 1890, La vittoria, ivi, 26 giugno 1890 e Municipalia, in “L’Avvenire di Terni e dell’Umbria”, 7 febbraio 1891. Cfr. AST, ASCT, b. 791, fasc. 1, lettera del sindaco, 25 febbraio 1891. Ibidem. Cfr. Manelli, Il movimento operaio a Terni cit. (a nota 45), p. 41. Cfr. AST, ASCT, b. 791, fasc. 1, documentazione diversa; solo la Società dei Calzolai non aderisce. Cfr. ACS, CPC, b. 414, fasc. “Battistoni Dario”, cenno biografico, 3 maggio 1897.

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la Federazione Repubblicana, il Circolo Fratelli Bandiera, il Nucleo Operaio Mazziniano Intransigente, il Circolo Scienza e Progresso fra Studenti, il Circolo Radicale Indipendente, la Società Democratica, il Circolo Giovanile Democratico, il Circolo degli Amici, il Circolo Pro Patria, la Federazione Socialista, il Nucleo Socialisti Sbandati, il Circolo Giovani Socialisti, il Nucleo Lavoratori, il Circolo Carlo Cafiero, la Società dei Reduci delle Patrie Battaglie, la Società dei Reduci Volontari, la Società dei Veterani, la Società Generale Operaia, la Società degli Artieri, la Società dei Cappellai, la Società dei Calzolari, la Società dei Mugnai Pastai e Fornai, la Società di Soccorso, la Società di Sussidio, la Società Agricola, la Società di Mutuo Soccorso tra gli Operai dello Stabilimento Gruber, la Società Mutuo Soccorso dei Tessitori dello Stabilimento Gruber, la Società delle Case Operaie, la Società Cooperativa di Costruzione [per le Case Operaie], la Società Cooperativa di Consumo, la Società Anonima Cooperativa di Consumo fra il Personale della Società Alti Forni Fonderie e Acciaierie di Terni83.

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aderenti sono circa 9087 e in agosto l’operaio Enrico Rizzi viene inviato al congresso di Genova88, dove partecipa alla costituzione del Partito dei Lavoratori. Questa decisione provoca una scissione nella sezione socialista di Terni:

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Venne decisa l’adesione al nuovo Partito Socialista. Si stabilì di scrivere subito al Comitato Centrale del Partito per aver copia dello statuto. Fu nominato nell’attesa un Comitato di propaganda composto di cinque membri [...] il compagno Valentino Battistoni, impiegato presso la Fabbrica d’Armi, il compagno Agostino Pallotta, commerciante, il compagno Tullio Mariani, tornitore agli Alti Forni, il compagno Dario Battistoni, falegname, e io89.

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Questo gruppo dirigente si impegnerà per dare alle lotte dei lavoratori adeguati metodi, contenuti e strumenti organizzativi. Alla fine del 1892, ad esempio, si impegnerà – invano – per la costituzione della Camera del Lavoro90. Nonostante l’ostilità governativa gli esponenti socialisti continuano la loro attività di organizzazione: nel novembre 1893 Alfonso Campagnoli, Alessandro Fabri, Luigi Riccardi, Dario Battistoni, Umberto Palmieri, Angelo Ridolfi e Antonio Tieri91 si fanno promotori della costituzione di sezioni del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani92. Nel frattempo iniziano le prime difficoltà per la Cooperativa Alti Forni: i circa 900 soci riuniti in assemblea per discutere il bilancio 1899, chiuso con una perdita di 11.003 lire (di cui 4.803 dovute a crediti inesigibili e 6.200 all’ammortamento delle spese di impianto), non lo approvano e siccome la maggioranza respinge anche la proposta di reintegrare il capitale sociale93, il presidente, il ragioniere Avolanti, è costretto a mettere ai voti la liquidazione della Società, respinta poi a larga maggioranza94. La Cooperativa, in cui permane il controllo da parte della SAFFAT95, continua così la sua attività e chiude il bilancio 1892 con un utile di 23.000 lire96, 15.000 delle quali vengono redistribuite ai soci. Il già largo giro di affari garantito alla Cooperativa Alti Forni dal suo gran numero di soci viene ulteriormente ampliato quando decide di effettuare vendite, oltre

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Cfr. Enrico Rizzi, Un diciannovenne al Congresso, in Genova 1892. Nascita del Partito Socialista in Italia, Milano 1952, p. 25. Ivi, pp. 25-26. Ivi, p. 28. Ibidem. Cfr. ACS, CPC, b. 5096, fasc. “Tieri Antonio”, cenno biografico, 10 aprile 1897. Cfr. ivi, b. 414, fasc. “Battistoni Dario”, cenno biografico, 3 maggio 1897. Questa scelta porta poi alla svalutazione del valore nominale delle azioni da 24 a 18 lire (cfr. Le nostre cooperative, in “Il Maglio”, 4, 8 gennaio 1898). Cfr. Faccende di casa. All’assemblea..., in “L’Unione Liberale”, XIII, 11, 12/13 marzo 1892 e 12, 19/20 marzo 1892. Nel 1891 presidente della Cooperativa è l’ingegner Casalini, direttore generale della SAFFAT, che chiama ad amministrarla il ragioniere Avolanti (cfr. Le nostre cooperative, in “Il Maglio”, 4, 8 gennaio 1898). “L’Unione Liberale”, commentando l’elezione del consiglio direttivo fatta nel 1892, scrive: “è riuscita la lista completa del personale dei Forni” (Faccende di casa. Cooperativa di consumo, in “L’Unione Liberale”, XIII, 34, 20/21 agosto 1892). Cfr. Faccende di casa. La Cooperativa..., in “L’Unione Liberale”, XIV, 9, 4/5 marzo 1893.

Capitolo 2


che ai dipendenti di altri stabilimenti, al pubblico in genere. Questa scelta della Società riaccende l’ostilità dei commercianti e provoca ben presto una reazione negativa anche in quegli ambienti che ne avevano salutata con favore la costituzione. “L’Unione Liberale” scrive che molti hanno chiuso i loro negozi, “anche ditte solide e di antica data97, ma è soprattutto “L’Avvenire di Terni e dell’Umbria” che capovolge completamente la propria posizione: la questione che noi facciamo è quella del danno crescente che tutti i giorni ne risente il piccolo commercio a Terni. Le condizioni economiche in generale sono, come è a tutti noto, ben tristi, quindi è doveroso, per quello che è possibile, scongiurare mali maggiori. Ciò che dovrebbe dare incremento al commercio della nostra città sono gli stabilimenti industriali nei quali lavorano migliaia di operai, ma se queste migliaia di operai sono obbligati a spendere la loro mercede in un sol posto, è naturale che tutti coloro i quali hanno esercizi aperti da più e più anni siano costretti a mettervi o farsi mettere il catenaccio. L’istituzione delle cooperative di generi alimentari nelle grandi città non è nemmeno avvertita, poiché è ristretta a qualche classe soltanto, ma in un centro come Terni ove [...] la vita economica del commerciante dipende dagli stabilimenti industriali, è assolutamente una rovina98.

del resto, fino a che questa si era tenuta in un limite ristretto noi ci astenevamo da qualsiasi attacco, oggi però che questa istituzione vuole allargarsi troppo cercando anche di assorbire il prodotto di altri stabilimenti, è naturale che tutti d’accordo insorgiamo per far cessare questo abuso dannoso che porterebbe allo sfacelo e metterebbe sul lastrico molti onesti commercianti della nostra città, i quali da tanti anni hanno un esercizio aperto e molte migliaia di lire sui libri diventano inesigibili, perché coloro i quali alla quindicina erano abituati veder qualche soldo, oggi non vedono che un semplice libretto. È quindi necessario, sempre nel limite della legalità, far valere le proprie ragioni, e siamo certi che le autorità cittadine [...] si unirono ai nostri commercianti per ottenere dal governo del re quell’appoggio che non può esser negato99.

In pratica, viene evidenziato come la Cooperativa Alti Forni travalichi i suoi scopi istituzionali, venga meno alla sua natura di cooperativa e abbia adottato una serie di iniziative che penalizzano sia i commercianti sia i lavoratori. I commercianti sono danneggiati perché la Cooperativa ha aggiunto alla vendita di derrate alimentari anche quella di altri prodotti (lane, tele, cotoni, fazzoletti, maglierie, sciarpe, maglie), perché è privilegiata rispetto agli altri esercenti dal momento che solo a suo favore la SAFFAT svolge servizio di cassa, trattenendo le somme spese direttamente sulle paghe100, garantisce i debiti fatti dai propri dipendenti fino a due terzi del loro

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Faccende di casa. Da molti anni..., in “L’Unione Liberale”, XV, 10, 10/11 marzo 1894. La Cooperativa di consumo a Terni, in “L’Avvenire di Terni e dell’Umbria”, VII, 1, 2 gennaio 1894. Ibidem. Cfr. Le nostre cooperative, in “Il Maglio”, 3, 25 dicembre 1897.

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E ancora,

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stipendio o salario, perché alla categoria dei “soci azionisti” ha aggiunto quella dei “soci aggregati” che, di fatto, non solo le consente di acquisire come clienti anche gli operai di altri stabilimenti (le cui direzioni garantiscono anch’esse gli acquisti a credito dei propri dipendenti) ma anche di poter vendere a chiunque si presenti qualificandosi come tale. Danneggia i lavoratori perché chi non ha modo di pagare un debito, ad esempio l’affitto, cede al suo creditore il proprio libretto cooperativo fino all’estinzione del debito, oppure acquista presso la Cooperativa un prodotto in misura largamente superiore alle sue esigenze familiari e poi lo rivende a non soci, a volte anche a un prezzo inferiore, per procurarsi del contante o un altro bene di consumo101. Anche secondo i commercianti, quindi, la Cooperativa di Consumo della SAFFAT non si configura come uno strumento da utilizzare per la tutela del potere d’acquisto dei salari degli operai ma come uno strumento a disposizione della Direzione aziendale per introdurre una forma indiretta di salario a truck-system. Non a caso, superata la repressione crispina, nella seconda metà degli anni novanta, la ripresa politica e organizzativa del movimento operaio sarà caratterizzata da una reazione volta soprattutto alla difesa della “‘libertà’ sul proprio salario e sulla propria vita privata e associata”102. Del resto, sul finire del 1895, il settimanale ternano “Il Martello”103 pubblica una serie di articoli in difesa degli amministratori – dimissionari – che hanno retto la Cooperativa Alti Forni dal 1892, contro la candidatura del direttore generale della SAFFAT Sigismondi:

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Senza punto disconoscere la rispettabilità, l’intelligenza e il sapere dell’illustre uomo che verrebbe chiamato a reggere le sorti dell’Associazione, noi confessiamo di non saperci spiegare come gli operai che fino a ora hanno aspirato alla emancipazione e a togliersi dalle pastoie in cui li tenevano i padroni, i quali presentano sempre un consiglio di amministrazione in tutto in gran parte dipendente da loro, oggi vadano a scegliersi il padrone più grosso come capo di una Associazione, che sorta per loro unico vantaggio, è depositaria dei loro risparmi104.

E ancora: Che il signor comm. Sigismondi abbia o no le attitudini al posto che si combatte, per noi è questione estranea, ma è chiaro però che se esso signore fa tutto il possibile per accaparrarsi quel posto e che perciò stando alla legge naturale delle cose è lecito presumere che chi briga, chi lotta a tutta oltranza per occupare una carica non lo faccia solamente per procurare un bene ad altri e creare a sé stesso un aumento di lavoro, seccature e responsabilità.

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Cfr. AST, ASCT, b. 812, fasc. 3, relazione indirizzata al ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio, s.d. ma febbraio 1894. Stefano Merli, Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale. Il caso italiano 1880-1900, Firenze 1976, p. 384. Per una breve scheda sull’“Ebdomadario ternano”, vedi Giani, Terni. Cento anni d’acciaio cit. (a nota 5), pp. 214-215. Adunanza della Società Cooperativa fra gli Operai degli Alti Forni e Acciaierie, in “Il Martello”, 4, 26 ottobre 1895.

Capitolo 2


Ergo, la quistione del disinteresse gridato è una fiaba, come è una fiaba le belle prospettive fatte balenare. Per noi che abbiamo una idea molto diversa, è certo, delle ragioni commerciali che consigliano l’istituzione delle cooperative, non possiamo certamente parlarne, tanto più quanto ci troviamo di fronte a cooperative che sono una negazione assoluta d’ogni sentimento di cooperazione. Ma quanto a tutto l’errore commesso nell’impiantare e sostenere una speculazione vestita da cooperativa, vediamo la cecità dei nostri operai spinta sino al punto di metter volontariamente la testa sul ceppo, col crearsi un padrone autocrate, che se non può vendicarsi in un modo ne ha un altro a sua portata, noi non sappiamo contenerci e gridiamo il badate come lo grideremmo a un disgraziato che inavveduto cammina incontro a un pericolo. [...]. Si crede che il direttore generale possa fare a un tempo l’interesse degli operai, in completo antagonismo cogli interessi degli azionisti che lo pagano?105.

Lo stesso periodico riporta poi alcuni dei pochi dati rintracciati sulla Cooperativa Alti Forni: i soci tra il 1890 e il 1894 diminuiscono da 2.138 a 1.342, mentre gli utili, dopo che nel 1892 il capitale sociale era stato ridotto a 34.000 lire, passano dalle 22.497 lire di quell’esercizio alle 33.575 del 1893 e poi alle 37.559 del 1894. Nonostante la sua posizione critica nei confronti della cooperazione in generale, “Il Martello” valuta positivamente questi risultati e, ancor più, la proposta dell’amministrazione uscente di trattenere alla Società parte degli utili fino ad accantonare per ogni socio un capitale di 100 lire:

Nell’illustrare dettagliatamente questi accennati vantaggi, il settimanale elenca una serie di problemi con i quali dovranno fare i conti la quasi totalità delle cooperative ternane, i cui amministratori più volte suggeriranno soluzioni simili. In pratica, si sottolinea come grazie alla non distribuzione degli utili la Cooperativa possa avere una disponibilità economica che le consentirebbe di risparmiare pagando gli acquisti in contanti invece che ricorrendo al credito, il costo dei prodotti potrebbe ridursi e la loro qualità aumentare facendo le scorte durante il raccolto, la clientela e i ricavi potrebbero aumentare anch’essi grazie alla possibilità di praticare prezzi di vendita più bassi con grande vantaggio non solo dei soci, ma anche dell’intera cittadinanza, che nei prezzi della cooperativa troverebbe il calmiere naturale di tutti gli altri esercizi107.

Inoltre, e non da ultimo, il socio sarebbe

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Che gazzarra, in “Il Martello”, 5, 2 novembre 1895. Ai soci della Cooperativa fra gli Operai degli Alti Forni e Acciaierie, in “Il Martello”, 6, 9 novembre 1895. Ibidem.

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Ne seguirebbero molte cose buone che ben comprese da chi alla cooperazione ha affidato i propri risparmi potrebbero non solo arrecare molti vantaggi, ma dimostrare al lavoratore non esser sogno o utopia il pensiero di un avvenire migliore106.

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al riparo dai danni immediati della disoccupazione, poiché in caso di momentanea mancanza di lavoro avrebbe come vivere per qualche tempo ricorrendo al credito che la Cooperativa stessa potrebbe fargli fino alla consumazione delle 100 lire108.

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Nello stesso 1895, anno in cui “Il Martello” pubblica articoli che così chiaramente evidenziano i principali problemi che poi interesseranno la cooperazione a Terni, quaranta militanti socialisti, tra cui il farmacista Luigi Riccardi, l’impiegato Valentino Battistoni e l’operaio Tullio Mariani109, rompono con gli esponenti della democrazia radicale, e con quanti a essi fanno riferimento, e costituiscono la Sezione ternana del Partito Socialista Italiano110. Questa fase di chiarificazione degli orientamenti politici del movimento di classe coincide con l’avvio di notevoli progressi organizzativi; infatti, alla fine dell’estate 1896 vengono costituite due istituzioni operaie che, pur diverse per genesi e indirizzo politico, risulteranno ugualmente importantissime: la Camera del Lavoro e la Cooperativa di Consumo “La Previdente”. Nella Camera del Lavoro, la cui istituzione era già stata in qualche modo sollecitata – senza risultato – nel settembre 1894 dal congresso regionale per una Federazione umbra delle società operaie di mutuo soccorso111, è ancora sensibile l’influenza della filantropia borghese, che riesce a imporre un programma apolitico e interclassista. Infatti, anche se non mancano spunti progressisti, come la parificazione di retribuzione tra uomini e donne, né il sostegno a tutto il sistema cooperativo112 , nel dicembre 1897 il giornale socialista “Il Maglio”, che sostiene la protesta contro il progetto di legge sul domicilio coatto, lamenta l’assenza della Camera del Lavoro113 , che, in genere, in questa fase, non si inserisce nemmeno nelle vertenze operaie cittadine114. Ben diverse sono la genesi e, poi, l’attività de “La Previdente”, sorta come strumento di difesa di classe per iniziativa di settori operai ben coscienti della atipicità della Cooperativa Alti Forni. I soci promotori sono 80, ma anche se solo 54 partecipano alla sua costituzione, il fatto che di questi solo 2 siano impiegati e tutti gli altri operai spiega la natura della Cooperativa, mentre la loro varia provenienza geografica evidenzia come essa sia frutto anche del confronto tra operai appartenenti a diversi gruppi regionali e, quindi, portatori di esperienze diverse che non sono più causa di incomprensioni come, invece, era successo in un primo

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Ibidem. La necessità, per le cooperative, di avere capitali propri sufficienti a far fronte alle esigenze poste dagli acquisti e all’eventuale mancanza di lavoro dei soci viene ribadita anche in Le nostre cooperative, in “Il Martello”, 4, 8 gennaio 1898. Su Valentino Battistoni e Tullio Mariani cfr. i rispettivi fascicoli in ACS, CPC, b. 415 e b. 3060. Oltre a G. Luzzi, I quattro monelli 1895-1899, in “La Turbina”, 5 agosto 1899, cfr. ACS, CPC, b. 1915, fasc. “Fabri Alessandro”, cenno biografico, 27 febbraio 1897. Cfr. Il Congresso operaio umbro, in “L’Unione Liberale”, 18-19 agosto 1894. Cfr. Faccende di casa. La Camera del Lavoro in Terni e Circondario, in “L’Unione Liberale”, 3-4 ottobre 1896. Cfr. Cordon[n]ier socio della Camera del Lavoro, Contro il domicilio coatto, in “Il Maglio”, 12 dicembre 1897. Cfr. Marisa Romagnoli, La Camera del Lavoro di Terni dalle origini alla prima guerra mondiale, tesi di laurea, Università di Roma, a.a. 1985-1986, pp. 91 e sgg. (ora in Romagnoli, La Camera del Lavoro cit. (a nota 15)).

Capitolo 2


momento, quando alle Acciaierie fallisce la costituzione di una cooperativa di consumo operaia115. Non a caso, tra i soci fondatori vi sono alcuni tra i più attivi esponenti del socialismo ternano: Dario Battistoni, Augusto Biagi, Guglielmo Cruciani, Pietro Filippi, Umberto Giannelli, Tullio Mariani, Romolo Perazzini, Enrico Rizzi, Antonio Tieri (tutti operai) e Ambrogio Bedini (impiegato)116. Il modello di organizzazione cooperativa scelto per “La Previdente” è quello inglese “rochdaliano”: oltre a generici provvedimenti volti al miglioramento economico e morale dei soci, l’articolo 3 dello statuto individua più puntualmente lo scopo societario nel

Per quanto riguarda la ripartizione degli utili, altro tema sul quale si incentra il dibattito sulla cooperazione, l’articolo 21 prevede che il 20% vada al fondo di riserva, il 30% al fondo di previdenza per l’inabilità al lavoro, il 15% al fondo di previdenza per la disoccupazione, il 5% a disposizione del consiglio per propaganda cooperativa e beneficenza e il 30% a soci e non soci come “risparmio in proporzione dei loro rispettivi acquisti”. La valenza politica che sta alla base della costituzione de “La Previdente” risulta chiara dalla scelta dei soci, tutti operai, che vengono chiamati a dirigerla. Il consiglio di amministrazione risulta composto dal presidente Tullio Mariani (nato a Terni) e dai consiglieri Pietro Filippi (nato a Treviso), Salvatore Mancinelli (nato ad Ariano di Puglie), Antonio Bernatti (nato a Fronte Canavese), Arduino Carini (nato a Terni), Dario Battistoni (nato a Perugia) e Alessandro Coacci (nato a Roma), mentre sindaci vengono eletti Umberto Giannelli (nato a Terni), Ambrogio Bedini (nato a Pergola, uno dei due impiegati che partecipano alla costituzione della Cooperativa), Ovidio Lucarelli (nato a Terni), Ercole Moscatelli (nato a Terni) e Alfredo Borzacchini (nato a Terni). Non a caso la sua costituzione segna a Terni una sorta di spartiacque nella vicenda della cooperazione, che sarà, da questo momento in poi, parte determinante della storia del movimento operaio. Nonostante le difficoltà iniziali, dovute sicuramente all’inesperienza degli amministratori ma anche alla mancanza di personale e a spazi di vendita inadeguati, “La Previdente” riesce rapidamente a migliorare le sue strutture (allo spaccio di generi alimentari aperto nel palazzo Fonzoli, in via Pietro Faustini 11, si aggiunge la succursale di piazza Solferino) a diversificare la sua offerta (iniziando anche la

115 116

Sulla vicenda della Cooperativa Alti Forni cfr. anche Gallo, Ill.mo Signor Direttore cit. (a nota 43), pp. 40-42. Per Dario Battistoni, Enrico Rizzi, Tullio Mariani e Antonio Tieri si rimanda alle note precedenti; per Ambrogio Bedini, Augusto Biagi e Umberto Giannelli cfr. i rispettivi fascicoli in ACS, CPC, bb. 433, 605 e 2390.

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creare depositi o sedi di operazioni o stabilimenti per provvedere ai suoi consumatori, soci e non soci, alle migliori condizioni dei generi alimentari e mercanzie di consumo, come pure medicine e altri oggetti di farmacia, in modo che i prezzi di vendita siano calcolati da poter permettere ai compratori un beneficio immediato, e l’eccedenza dei benefici medesimi [sia] una parte devoluta a scopo di creare per i suoi membri fondi di previdenza per inabilità e disoccupazione di lavoro e una parte divisa ogni anno fra i soci e non soci proporzionalmente all’importo degli acquisti da essi fatti durante il medesimo periodo.

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Tipologia delle cooperative di consumo tra Otto e Novecento

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Fiorentino (o Toscano) Queste cooperative operano su un territorio circoscritto, fungendo da spaccio della comunità locale (quartiere cittadino o borgo rurale); ciò comporta un numero di soci e, quindi, un giro d’affari, ma nello stesso tempo garantisce una clientela sicura. Nella maggior parte dei casi il magazzino viene aperto una o due volte alla settimana; il personale è poco e generalmente presta la sua opera gratuitamente. Hanno un unico scopo: provvedere merci per uso familiare, soprattutto alimenti. Non ammettono soci onorari, effettuano vendite a clienti di tutte le classi sociali ma richiedono il pagamento in contanti. L’utile di esercizio viene ridistribuito ai consumatori, quasi tutti soci; eccezionalmente viene utilizzato per altri scopi sociali.

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Torinese (o Piemontese)1 Sono in genere filiazioni di società di mutuo soccorso. I soci sono quasi esclusivamente operai (a volte quelli di un solo mestiere) e contadini, ma talvolta sono ammessi anche soci onorari. Scopo di queste cooperative è soprattutto quello di assicurare ai soci merci a prezzi concorrenziali: quelle operaie hanno lo spaccio annesso alla fabbrica e vendono (anche a credito) al prezzo di costo ai soli soci. In genere gli utili di esercizio sono bassi e vengono incamerati dalla società – “madre” – di mutuo soccorso, oppure vengono destinati ai fondi di riserva a per attività di soccorso ai soci; raramente vengono redistribuiti ai consumatori, sebbene siano soci anch’essi e quasi mai vengono utilizzati per remunerare il capitale, cioè per pagare un dividendo alle azioni sottoscritte e completamente versate. Per molti aspetti sono simili le cooperative di consumo cattoliche, soprattutto quelle liguri e venete2.

1

Nel 1896 Eugenio Faina scrive di queste cooperative: “Dove [...] si sono astenute da agitazioni politiche e amministrative, dove la moralità delle classi operaie è elevata, il tipo, benché meno limpido del fiorentino, riesce a rispondere al suo fine; ma per poco che gli agitatori s’impadroniscano della Società, ciò che spesso avviene per le autonome, e la adoperino a scopo di lotta elettorale o di classe, sorgono screzi fra i soci, si abusa del credito, si elevano stipendi, si vende a remissione e la Società si sfascia o per fallimento o per deliberazione sociale, quando non muorse sul nascere” (Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, Direzione Generale dell’Agricoltura, Cooperative di consumo. Relazione del senatore Faina conte Eugenio, estratto dagli “Annali di Agricoltura”, n. 211, Roma 1896, pp. 11-12). 2 Sempre Eugenio Faina scrive che quest’ultimo tipo di cooperative “ha scopo di propaganda religiosa e politica, e generalmente non vende che una sola merce, la più atta alla propaganda, il vino. Non ha valore economico, e destina gli utili a funzioni religiose, assistenza infermi, uffici funebri, ecc. I regolamenti lunghi e minuziosi dimostrano chiaramente che il magazzino cooperativo non è che un pretesto e un mezzo di allettamento” (ivi, p. 9).

segue

Capitolo 2


Mantovano In questo tipo di società la cooperativa di consumo è unita a quella di produzione e lavoro, di cui costituisce una sorta di elemento accessorio. Quella di produzione e lavoro è infatti generalmente prospera e condiziona quella di consumo non solo nel reclutamento dei soci, generalmente operai o contadini (i soci onorari non sempre vi sono ammessi) ma anche nelle posizioni “politiche”. Cooperative di categoria e di mestiere Queste società si rivolgevano a soci appartenenti a una stessa categoria professionale, vendendo le merci al prezzo di costo.

vendita di vino) e a migliorare la sua redditività grazie anche – e soprattutto – all’apertura di una farmacia (in via Barnaba Manassei), affidata alla direzione di Luigi Riccardi. Mentre negli ultimi anni dell’Ottocento la repressione governativa infligge colpi durissimi a molte istituzioni politiche ed economiche del movimento operaio, i dirigenti de “La Previdente”, grazie alle sue risorse economiche, riescono a garantire al movimento operaio ternano importanti risultati117. Nel marzo 1898 i socialisti conquistano la direzione della Società Generale Operaia118; nel settembre fondano il settimanale “La Turbina”, che fino al 1921 sarà un loro fondamentale strumento di lotta; nell’autunno dello stesso anno, dopo una lunga mobilitazione, gli operai delle Acciaierie vedono sfumare la possibilità di ottenere un maggiore controllo sulla Cassa Soccorso ma – come già detto – nel dicembre 1900 conquistano i vertici della Cooperativa di Consumo Alti Forni119. Tullio Mariani, da presidente di questa struttura, si impegna a dimostrare come “la cooperazione non deve essere solo azienda commerciale, con la semplice funzione bottegaia”, ma come da essa i soci possano trarre “il principio della previdenza, il mezzo per educarsi e la forza per combattere la lotta dell’esistenza”.

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118 119

Giuseppina Giardinieri, Socialismo e socialisti a Terni tra Ottocento e Novecento, in “Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria”, vol. LXXV (1978), p. 65. Cfr. ACS, DGAC, ctg. 15.846, b. 174, Rapporto del direttore generale della Pubblica Sicurezza, 24 marzo 1898. Cfr. Romagnoli, La Camera del Lavoro di Terni cit. (a nota 114), pp. 101-106 e All’Acciaieria e Altiforni. La Cassa soccorso, in “La Turbina”, 22 aprile 1899.

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Fonte: Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, Direzione Generale dell’Agricoltura, Cooperative di consumo. Relazione del senatore Faina conte Eugenio, estratto dagli “Annali di Agricoltura”, n. 211, Roma 1896; Guido Bonfante, Zeffiro Ciuffoletti, Maurizio degl’Innocenti e Giulio Sapelli, Il movimento cooperativo in Italia. Storia e problemi, a cura di Giulio Sapelli, Einaudi, Torino 1981.

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L’assemblea dei soci della Cooperativa Alti Forni il 2 dicembre 1900 discute il bilancio chiuso al 24 novembre con un utile di 2.000 lire e, non avendo fiducia nel futuro della Società, incarica i nuovi amministratori di trattare la cessione dell’azienda alla SAFFAT. L’assemblea del 6 gennaio 1901 respinge però le proposte avanzate e delibera la continuazione dell’attività. Qualche anno dopo, ricordando quelle vicende, Mariani scrive: Fummo così chiamati ad amministrare un ente commerciale sull’orlo del fallimento, senza generi da poter vendere e senza denari o credito da poterli acquistare. Intanto i fornitori avevano perduta la fiducia verso la Società per i mancati pagamenti e per le voci corse della sua liquidazione e per i protesti cambiari120.

In sintesi, Mariani imputa le difficoltà della Società di Consumo a un’errata concezione del ruolo e delle funzioni dell’azione cooperativa:

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Cosa dovevamo noi aspettare da una massa di associati abituati a ritenere l’azienda cooperativa come un istituto dove non si fosse compreso altro che acquistare a credito e dividere gli utili a fin d’anno e che la larghezza del credito e la divisione degli utili doveva essere, secondo la maggioranza dei soci, il programma amministrativo dei consiglieri, cosicché il limitare o cessare il credito ai soci che non pagavano creava agli amministratori tale un cumulo di opposizioni e di odiosità da ritenersi una delle più forti e potenti ragioni per combatterli? E così fu sempre, d’altra parte, fu il suo peccato d’origine, poiché le società commerciali che aprono credito o che vivono di esso senza una ferma e [p]recisa garanzia non possono offrire affidamento certo alla prosperità di un’azienda121.

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Forte di queste convinzioni, uno dei primi provvedimenti dell’amministrazione diretta da Mariani è la modifica dello statuto in modo da ripartire tra i soci solo il 50% degli utili, lasciando alla Società, sotto varie forme, il restante 50%. La reazione della SAFFAT alla perdita del controllo della “sua” cooperativa di consumo renderà però talmente difficile la sua gestione da vanificare gli sforzi di rinnovamento attuati dai dirigenti operai122. In pratica, la SAFFAT, che già aveva aperto spacci in un suo palazzo di piazza Valnerina dove vendeva generi alimentari a prezzo di costo123, chiude il conto corrente di circa 20.000 lire aperto a favore della Cooperativa e ritira la propria garanzia sui debiti fatti dai propri dipendenti. La concorrenza degli spacci sociali della SAFFAT costringe ben presto la Cooperativa Alti Forni a ridurre i prezzi di vendita, ad aprire anche al pubblico i magazzini (in largo Barnaba Manassei) e le succursali (nel 1899 in via Garibaldi 27, via Cornelio Tacito 27, viale Benedetto Brin e borgata Misericordia 140)124 per cercare

120 121 122

123 124

Tullio Mariani, Un po’ di storia della Cooperativa Alti Forni, in “La Turbina”, VI, 42, 17 ottobre 1903. Ibidem. Mariani continua la sua ricostruzione della storia della Cooperativa Alti Forni, con lo stesso titolo, anche nel numero successivo de “La Turbina”, quello del 31 ottobre 1903. Cfr. Spacci padronali, negozianti e proletari, in “La Turbina”, VI, 25, 20 giugno 1903. Cfr. pubblicità in Luigi Lanzi e Virgilio Alterocca, Guida di Terni e dintorni, con indicatore industriale e commerciale umbro e adorna di 30 incisioni, Terni 1899.

Capitolo 2


In questa pubblicità la Cooperativa Alti Forni dà molta enfasi al fatturato e al capitale disponibile, quindi ai punti vendita e ai prodotti in vendita Fonte: Luigi Lanzi e Virgilio Alterocca, Guida di Terni e dintorni, con indicatore industriale e commerciale umbro e adorna di 30 incisioni, Terni 1899.

La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

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Pubblicità della Cooperativa Alti Forni (1899)

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di mantenere costante il giro di affari, ridotto dalle circa 800.000 lire annue del 1899125 alle circa 40.000 mensili del 1903126. L’attività delle cooperative di consumo e l’iniziativa della SAFFAT fa riesplodere l’ostilità dei commercianti:

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la nostra azione non può limitarsi a combattere questa o quella cooperativa, ma bensì tutte quelle istituzioni che, o trovandosi fuori della legge, o facendo concorrenza poco leale al commercio paesano tendono a deprimere tutte le iniziative dei commercianti locali, e a deviare le risorse cittadine dalla loro circolazione normale. I magazzeni padronali per es[empio] non vanno esenti dal presentare gli stessi inconvenienti della Cooperativa Alti Forni; e non ci si venga a dire che essi furono istituiti allo scopo di combattere questa, perché dalla concorrenza spietata che ambedue questi sodalizi si fanno, e al metodo quasi identico di percezione da tutte [e] due adoperato, ne risulta un danno evidente al commercio locale, il quale non può, senza condannarsi al suicidio, far tacere il proprio risentimento127.

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I commercianti, nella sostanza, lamentano di aver subito gravi danni economici anche per essere stati costretti a concedere fidi ai propri clienti senza alcuna garanzia, ma soprattutto denunciano gli scarsi controlli sulle vendite effettuati presso gli spacci (dove vengono acquistate merci in quantità superiori al fabbisogno familiare per immetterle poi sul mercato a prezzi concorrenziali) nonché l’illegale circolazione di buoni di credito garantiti dalla SAFFAT128. Nonostante le corrette analisi e i buoni programmi di attività elaborati da Tullio Mariani, tra i soci della Cooperativa Alti Forni “strappata un giorno dalle mani dei padroni” riprendono il sopravvento “un branco d’affamati che credono di poter vivere alle sue spalle, che credono alla istituzione finché essa lascia loro aperto il credito”129. Si giunge così rapidamente al fallimento della Società e nel marzo 1904 inizia la vendita dei mobili e delle merci130. Successivamente, ripercorrendo l’intera vicenda della Cooperativa Alti Forni, “La Turbina” scrive: E la verità è questa: 1. Cioè che il Capitalismo fondò la Cooperativa Alti Forni per avere a ogni ora in ogni momento a disposizione sua il proletariato trattandolo [...] bimbo incosciente, da alienato [...]; 2. Che il Capitalismo, quando il proletariato volle riprendersi la propria libertà, e si emancipò in parte, mentre conservò il diritto delle ritenute per avere sempre a propria disposizione la corda capestro pose contro alla Cooperativa gli spacci sociali; le suscitò contro una masnada di fanatici e di perduti e le mosse una guerra senza tregua e senza quartiere; 3. Che il Capitalismo, riuscito per mezzo dei suoi segugi a sbalzare dall’amministrazione

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Ibidem. Cfr. Sempre a proposito di cooperative, in “La Turbina”, VI, 22, 30 maggio 1903. La pagina dei commercianti, in “La Campana a Stormo”, numero unico, 6 aprile 1903. Cooperativismo e cose dell’altro mondo, in “La Bomba”, numero unico, 28 settembre 1903. Presente e avvenire, in “La Turbina”, VI, 40, 3 ottobre 1903. Avviso, in “La Turbina”, VII, 12, 19 marzo 1904.

Capitolo 2


della Cooperativa i generosi tirò il nodo scorsoio, chiuse la borsa e la Cooperativa fallì; 4. Che il Capitalismo, strozzata la Cooperativa intimò la chiusura degli spacci sociali o, per meglio dire, tolse la ormai inutile ghigliottina che gli aveva così bene servito e sull’altare del proprio interesse distrusse l’ostia consacrata della Cassa Soccorso, viatico superfluo ormai dacché la superflua menzogna dell’armonia fra capitale e lavoro era sempre di fronte al cadavere della Cooperativa131.

Nonostante queste vicende e le difficoltà, economiche e di rapporto con i commercianti, il ruolo complessivamente svolto dalle cooperative di consumo a Terni negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento è di assoluto rilievo. Un corrispondente dell’“Avanti!” scrive nel 1899:

A partire dai primi anni del Novecento, il diverso clima politico favorirà la ripresa della Camera del Lavoro e una nuova fase di sviluppo dell’associazionismo operaio che vedrà una perdita di peso politico dei sodalizi mutualistici ma una riconferma del ruolo della cooperazione di consumo nel movimento operaio ternano. Soprattutto “La Previdente”, ma anche la Cooperativa Alti Forni dal 1900, cioè durante l’amministrazione a guida operaia, avranno una funzione fondamentale, sia come palestre di democrazia e di formazione di quadri, sia come strutture economiche di riferimento per i lavoratori per la loro capacità di sostenerli nei periodi di lotta calmierando i prezzi. Funzione ben diversa, ad esempio, da quella della Cooperativa Ferriera. Le poche notizie disponibili su questa Società consentono infatti di dire che viene costituita per volontà dell’ingegnere Ratti, direttore di quello stabilimento133, che vi istituisce un negozio di generi alimentari, aperto anche al pubblico, utilizzando l’importo di otto giornate lavorative trattenute agli operai come garanzia. Anche se gli utili sembrano destinati alla cassa soccorso e all’assicurazione sugli infortuni, pure non si prevede la possibilità di amministrazione della Società da parte degli

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La paternità dell’Abbozza, in “La Turbina”, VII, 13, 26 marzo 1904. Il ruolo e le finalità degli spacci sociali della SAFFAT erano già stati denunciati anche in Ai commercianti, in “La Riscossa”, 10 dicembre 1903. Corrispondenza da Terni dell’“Avanti!” (Socialismo imperfetto) riportata nell’articolo Organizzatevi, in “La Turbina”, 26 agosto 1899. Sulle vicende di quello stabilimento, oggi in parte riutilizzato dall’Ipercoop cfr. Archeologia industriale e territorio a Terni. Siri Collestatte Papigno, a cura di Gianni Bovini, Renato Covino e Michele Giorgini, documentazione fotografica di Elio Benvenuti, Electa, Milano 1991, in particolare, pp. 21-109.

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Certo, di quanti paesi ho io visitati quello che più ha in sé gli elementi del movimento proletario è Terni; [...]. Il socialismo ha [...] fatto molto qui. L’organizzazione politica del proletariato prospera, gli operai s’interessano alla vita pubblica come in niun’altro paese della centrale e meridionale Italia. Accanto alla organizzazione politica, e sorto quasi con essa, prospera il movimento cooperativo, e si allarga conquistando. Potrebbe sembrare dunque un piccolo Belgio se non mancasse l’organizzazione economica. Tolte quella dei lavoranti fornai, e quella dei lavoranti barbieri non esistono o non vivono altre associazioni di miglioramento e di resistenza. Tutto il movimento operaio s’è fermato alle cooperative e al mutuo soccorso132.

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stessi beneficiari, cioè degli operai. “Il Maglio”, che pure plaude all’iniziativa del direttore e riconosce la qualità e i bassi prezzi praticati dalla Cooperativa, non solo lamenta che “i commessi del negozio non siano come dovrebbero essere”, ma teme addirittura che essa possa diventare uno strumento delle proprietà aziendale per conoscere i bisogni e il consumo giornaliero di ogni operaio, e con questa regolare le merci e obbligare l’operaio a spenderci suo [...] malgrado134;

inoltre, siccome la stessa Ferriera garantisce i debiti dei suoi operai e provvede a trattenere gli importi degli acquisti direttamente dalle retribuzioni, si paventa addirittura il timore di una remunerazione del lavoro in derrate alimentari135 (cosa che in qualche modo si verificherà durante il ventennio fascista soprattutto per la Società Terni). Ben altri gli obiettivi di amministratori come Pietro Farini, dirigente del movimento operaio ternano e de “La Previdente”136, che così sintetizza il ruolo delle cooperative di consumo operaie:

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Perché le cooperative che noi amiamo; le nostre cooperative; le cooperative socialiste insomma, non sono spacci creati solo a titolo di vendita a buon mercato con tenui utili ai consumatori o per servir di calmiere; ma sono i nostri templi, sono la nostra casa, sono la nostra forza; sono la nostra arma, la cassaforte per la guerra nostra per combattere e per vincere137.

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Ciò nonostante, anche “La Previdente” finirà per fallire economicamente, tra il 1913 e il 1914, probabilmente per la forte concorrenza della Cooperativa di Consumo fra gli Impiegati Civili e Professionisti. Questa, costituita il 16 luglio 1904, cioè quando oramai la Cooperativa Alti Forni è chiusa, in pratica ne ripropone l’esperienza e consente di sottolineare ancora il ruolo delle imprese industriali nello sviluppo economico e sociale del Ternano. La SAFFAT, con il suo interessamento, riesce non tanto a favorire la costituzione di una cooperativa di consumo, ma ne cambia radicalmente l’attività e i risultati. Anche se la Cooperativa Impiegati e Professionisti apre il suo spaccio solo a metà 1906 e ancora all’inizio del 1908 deve “essere completato” con la vendita di vino e pane, pure conosce gli stessi problemi di tutte le altre, problemi anche in questo caso lucidamente elencati dagli amministratori (all’assemblea dei soci del 29 marzo 1908): la non ottimale collocazione dello spaccio ne determina uno scarso utilizzo da parte dei soci, con conseguenti cali e deterioramenti delle merci in magazzino; del resto, i

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A proposito, in “Il Maglio”, 2, 12 dicembre 1897. Ibidem. Su Pietro Farini, cfr., tra gli altri, Pietro Farini: una vita per il socialismo, supplemento al n. 3 di “Cronache Umbre”, Perugia 1959; inoltre, Pietro Farini, In marcia con i lavoratori, a cura di Angelo Bitti, CRACE, Perugia, in corso di stampa. P.[ietro] F[arini], La lezione delle cose, in “La Turbina”, 10 ottobre 1903.

Capitolo 2


La cooperazione di consumo a Terni Complessivamente, nel periodo analizzato in questo capitolo, a Terni (considerando gli attuali confini amministrativi), 2.831 soci costituiscono 34 cooperative, 24 delle quali cessano la loro attività nel periodo qui considerato. Quantitativamente sono più numerose quelle di di produzione e lavoro (12), spesso complementari, per l’oggetto sociale, a quelle edilizie (8), a conferma della rilevanza del problema delle abitazioni posto dalla forte crescita demografica dovuta all’immigrazione operaia, mentre quelle di consumo (10) sono circa il 30% del totale di quelle costituite ma rappresentano oltre l’80% dei soci grazie al peso della Cooperativa Alti Forni. A conferma della loro rilevante funzione economica, che si esplica soprattutto nella fornitura di generi di qualità a basso prezzo, va rilevato che mentre le prime sei, cronologicamente parlando, hanno sede a Terni città (entro la cinta daziaria La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

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prezzi di vendita non sono significativamente diversi da quelli dei negozianti perché gli acquisti possono essere fatti solo in piccole quantità e al dettaglio, cioè senza possibilità di ottenere prezzi vantaggiosi dai fornitori all’ingrosso, e ciò induce molti soci a concordare con il commerciante più vicino all’abitazione gli stessi prezzi della Cooperativa. Tutto cambia dopo che l’assemblea dell’1 dicembre 1908 delibera di ammettere come soci anche Enti e Società industriali, accetta di stipulare con esse apposite convenzioni e, quindi, di consentire gli acquisti anche agli operai degli stabilimenti convenzionati (e pure con possibilità di non pagare in contanti). Nel corso del 1909 vengono perfezionate le trattative con la SAFFAT per la stipula di una convenzione sulla falsariga di quella fatta con la Cooperativa Alti Forni. Da questo momento i bilanci della Cooperativa Impiegati e Professionisti passano dalla perdita a sempre più consistenti utili, e sono necessari nuovi locali per far fronte al grande afflusso di clienti. Un momento di difficoltà si ha solo quando le proteste dei commercianti costringono a un maggior controllo sugli utenti dello spaccio e a limitare le vendite ai soli soci e ai dipendenti della SAFFAT (“soci aggregati”). Nel 1919 il ruolo che questa impresa ha nella Cooperativa – e di lì a poco estenderà a tutta la società e a tutto il territorio ternano – è ben evidenziato dal fatto che il presidente Giuseppe Orlando farà coprire dal suo consiglio di amministrazione le perdite subite dalla Impiegati e Professionisti a causa della riduzione forzata del 50% dei prezzi di vendita imposta dal governo dopo i moti per il caro viveri. Infine, il 10 aprile 1921 l’assemblea dei soci autorizza la riproposizione di una prassi già sperimentata dalla Cooperativa Alti Forni: l’utilizzo, all’interno degli spacci, di buoni in sostituzione della valuta legale. Il 15 febbraio 1923 la Cooperativa Impiegati e Professionisti sarà messa in liquidazione e inizierà l’esperienza della “fabbrica totale”: l’assunzione, da parte della Società Terni, della gestione e del controllo non solo delle risorse naturali della zona (acqua e lignite), ma anche di tutti gli aspetti della vita, lavorativa e non, dei suoi dipendenti e, più in generale, degli abitanti del Ternano.

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Cooperative fondate (e soci alla costituzione) e cessate nel Ternano dal 1887 al 1914*

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* Sulla base delle notizie di stampa sono stati stimati in 2.000 i soci fondatori della Cooperativa Alti Forni (del 1889) e in 50 quelli della Cooperativa fra il Personale della Fabbrica d’Armi (del 1887); il dato è invece mancante per la Cooperativa fra il Personale della Ferriera (del 1897) e per l’Unione Cooperativa di Collestatte (del 1910). Fonte: Cfr. Gianni Bovini, La cooperazione di produzione e lavoro a Terni (1883-1922), in Studi sulla cooperazione, a cura di Gianni Bovini e Renato Covino, Protagon, Perugia 1990, tab. 3 a p. 84 e pp. 123-127.

per poter usufruire dei benefici di legge e, quindi, non pagare il dazio consumo), le altre tre sorgono nei due paesi vicini, Papigno e Collestatte, che tra il 1896 e il 1901 vedono installarsi sul loro territorio le fabbriche della Società Carburo138. L’incessante crescita produttiva di queste richiede infatti un numero crescente di operai e fa aumentare a ritmi sostenuti, superiori alla media regionale, la popolazione di Collestatte ma soprattutto quella di Papigno, i cui incrementi superano addirittura quelli di Terni. Mentre tra il 1861 e il 1881, quando il sistema economico è ancora incentrato su un’agricoltura arretrata e su poche manifatture di tipo tradizionale, l’incremento medio annuo della popolazione presente è modesto (+3,9‰), tra il 1881 e il 1901, quando oramai sono in attività tutte le principali

138

Sulle vicende della Società Carburo e, in generale, dei suoi impianti produttivi cfr. Archeologia industriale e territorio a Terni cit. (a nota 133), in particolare, pp. 111-280.

Capitolo 2


* Sulla base delle notizie di stampa sono stati stimati in 2.000 i soci fondatori della Cooperativa Alti Forni (del 1889) e in 50 quelli della Cooperativa fra il Personale della Fabbrica d’Armi (del 1887); il dato è invece mancante per la Cooperativa fra il Personale della Ferriera (del 1897) e per l’Unione Cooperativa di Collestatte (del 1910).

industrie139, registra tassi che pongono la città di Terni ai vertici nazionali (+35,1‰); questa crescita rimane sostenuta fino al 1921 (+8,2‰), ma mentre tra il 1881 e il 1901 la maggior parte dell’incremento demografico (54,9%) è dovuto alla componente migratoria, nel periodo successivo è quasi completamente (97,1%) assicurato dal saldo naturale140. La consistenza della popolazione a date significative per 139

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Queste sono: la Ferriera (costruita nel 1794), il Lanificio (avviato come Cotonificio nel 1846), la Segheria Bizzoni (avviata nel 1861), la Fonderia (avviata nel 1874), la Fabbrica d’Armi (costruita dal 1878 ed entrata in funzione nel 1881), la Società degli Alti Forni Fonderie e Acciaierie di Terni (costruita dal 1884 ed entrata in funzione nel 1886), lo Jutificio Centurini (costruito dal 1884 ed entrato in funzione nel 1886), la Società Industriale Elettrica della Valnerina (costituita nel 1886), le Officine Bosco (avviate nel 1890), la Società Italiana per il Carburo di Calcio (che nel 1896 avvia lo stabilimento di Collestatte e nel 1901 quello di Papigno) e il Poligrafico Alterocca (che ultima nel 1910 il nuovo stabilimento nei pressi della stazione). Per brevi schede (complete di bibliografia) sulla storia di questi impianti cfr. Le industrie di Terni cit. (a nota 31). Per l’analisi dell’andamento demografico di lungo periodo (e i relativi dati) cfr. Franco Bonelli, Evoluzione demografica e ambiente economico nelle Marche e nell’Umbria dell’Ottocento, Torino, ILTE 1967; più in particolare sul caso ternano cfr. Covino, Gallo e Tittarelli, Industrializzazione e immigrazione: il caso di Terni cit. (a nota 29).

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Cooperative di consumo (e soci fondatori) costituite nel Ternano tra il 1887 e il 1914*

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Popolazione presente in Umbria e nei comuni accorpati a Terni nel 1927

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Fonte: Renato Covino, Giampaolo Gallo e Luigi Tittarelli, Industrializzazione e immigrazione: il caso di Terni, 1881-1921, in SIDES, La popolazione italiana nell’Ottocento. Continuità e mutamenti, Bologna 1985, p. 413.

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l’apertura di nuovi impianti o per particolari congiunture economiche conferma il fatto che l’incremento demografico del Ternano è direttamente legato al suo sviluppo industriale: nel 1889, quando sono oramai attivi i maggiori stabilimenti, gli abitanti sono 28.357, che diventano 38.254 nel 1913, cioè alla vigilia della prima guerra mondiale, e ben 44.253 nel 1918, quando l’impegno produttivo per lo sforzo bellico raggiunge il suo apice141. Per quanto riguarda in particolare le cooperative di consumo costituite e attive in questo periodo, va rilevato che la loro impostazione statutaria è ovviamente sostanzialmente simile: indipendentemente dal numero dei promotori, il valore delle azioni che costituisce il loro capitale oscilla da 24 a 50 lire, ciascun socio deve sottoscrivere almeno un’azione (e in genere non ne può possedere più di cinque), magari pagandola a rate, mentre chi aderisce successivamente deve generalmente pagare una tassa di ammissione; con la sola eccezione de “La Previdente” (dal 1904) non sono ammesse le donne, tranne le vedove dei soci che, però, non hanno diritto di partecipare alle assemblee né, tanto meno, di essere elette nel consiglio di ammini-

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Ivi, pp. 418-419.

Capitolo 2


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strazione. Nel rispetto dello spirito cooperativistico il prezzo dei generi in vendita è pari a quello di costo aumentato delle sole spese di amministrazione, ma sempre con l’obiettivo di mantenerlo inferiore a quello corrente. Per contenere le spese si ricorre soprattutto al lavoro, gratuito, dei soci, che in genere devono collaborare con gli amministratori – neppure essi remunerati – anche nell’individuazione dei fornitori e delle partite di merci da acquistare. Anche il funzionamento degli spacci è sostanzialmente simile: gli utenti vi possono accedere solo dopo essersi messi in fila (in silenzio: a volte nello statuto si prevede addirittura l’allontanamento di quelli che “rumoreggiano”) e, non avendo accesso diretto agli scaffali, vengono serviti da soci che svolgono a turno questo servizio (solo la Cooperativa Alti Forni, “La Previdente” e la Impiegati Civili e Professionisti hanno dipendenti). I soci devono pagare quindicinalmente gli importi della spesa segnati su un libretto personale dagli addetti alla distribuzione (verso i quali viene sempre richiesto il massimo rispetto) ma in caso di malattia, documentata, hanno diritto a una dilazione nei pagamenti; le somme sottoscritte per le azioni vengono utilizzate come garanzia dell’eventuale mancato pagamento delle merci prelevate. Le differenze maggiori, e più significative, riguardano proprio gli utenti, cioè se le vendite vengono effettuate anche a non soci, e la ripartizione degli utili. Quelle di ispirazione socialista preferiscono non tanto remunerare il capitale sottoscritto quanto poter disporre di un fondo – sia pure piccolo – per la propaganda cooperativistica, e, soprattutto, restituire ai clienti, soci e non soci, la maggior parte degli utili in proporzione agli acquisti fatti. Infatti, in questo modo la cooperativa di consumo riesce ad accentuare ancora di più la sua funzione di calmiere dei prezzi dei generi di più largo consumo, consentendo ai suoi acquirenti un ulteriore beneficio economico. In genere, però, gli amministratori cercano soprattutto di contenere i prezzi di vendita riducendo al minimo le spese generali e ricorrendo quanto più possibile al lavoro gratuito dei soci, ad esempio per i trasporti e l’immagazzinamento o per le lavorazioni necessarie alla realizzazione di prodotti come la carne di maiale e il vino. A giudicare dal divergente andamento nel tempo del numero di soci che utilizzano gli spacci per gli acquisti, in genere decrescente, e dei crediti vantati nei confronti dei soci per il mancato pagamento della merce, generalmente crescente, questa attenzione nei confronti dei prezzi di vendita non ottiene i risultati auspicati e perseguiti con tenacia dagli amministratori. Se il credito concesso ai soci può essere interpretato come un sostegno alle famiglie in difficoltà economica per malattia o per mancanza di lavoro, più complesse sono le valutazioni desumibili dall’alto numero di soci che non utilizza gli spacci. Questo fenomeno, così penalizzante per le cooperative di consumo, conferma il loro ruolo di calmiere dei prezzi perché è un indicatore indiretto del fatto che i commercianti mettono in pratica una concorrenza molto efficace basata sull’offerta al socio della cooperativa degli stessi prezzi da essa pratica, ma anche del fatto che lo spaccio sociale è meno facilmente fruibile della bottega del commerciante per la sua collocazione o per il numero di ore e di giorni di apertura.

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Una cooperativa socialista: “La Previdente” La Società Anonima Cooperativa di Consumo “La Previdente” viene costituita a Terni, con sede al piano terra del Palazzo Fonzoli, in via Pietro Faustini 11, il 13 settembre 1896. Illustrando all’assemblea dei soci (46 su un totale di 141) del 27 febbraio 1898 il primo bilancio, quello del 1897, il presidente Tullio Mariani

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Fa risultare come “La Previdente”, sorta per iniziativa di pochi, incoraggiata da pochissimi, osteggiata quasi da tutti, sia giunta ad acquistarsi la simpatia di buona parte della cittadinanza, la quale ha ben compreso che “La Previdente” non è sorta a scopo di lucro e speculazione privata. Passa poscia a render conto del modo con cui, durante la gestione, [...] mentre gli affari ebbero principio entro limiti ristretti, in locali deficienti, senza il concorso di alcun personale dipendente, oggi la Cooperativa trovasi in condizioni di poter far fronte alle varie esigenze del pubblico, con discreto personale e in locali abbastanza comodi.

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Dalla relazione dei sindaci si evince che, oltre alla sede sociale di via Faustini e alla farmacia (avviata all’inizio del 1898)142, la Cooperativa gestisce un “Magazzeno” e una “Rivenditoria”. Per rendere evidente la funzione calmieratrice dei prezzi svolta dalla Società, Mariani riferisce che la farina di grano è stata venduta a un prezzo inferiore di 23 cent/kg rispetto a quello di altri esercizi e i sindaci scrivono nella loro relazione: “possiamo aver fiducia che la nostra Cooperativa darà in breve al paese quei vantaggi che non possono sorgere se non che dalla cooperazione”. Nell’illustrare il bilancio 1897, chiuso con un utile di 1.049 lire che consente di distribuire ai soci 1,15 lire per ogni 100 di spesa fatta, ricordano come “lo spirito della nostra Cooperativa è quello di vendere i generi Provenienza dei 54 soci fondatori al minor prezzo possibile senza corde “La Previdente” rer l’alea di grandi guadagni” e di come, per ridurre le spese, il presidente Mariani tiene i registri e la contabilità senza l’aiuto di alcun impiegato. Il risultato economico, anche se di valore assoluto limitato, è sicuramente significativo se si pensa che alla fine del 1897 il capitale sociale sottoscritto è pari a 5.400 lire (108 quote da 50 lire), ma che solo 2.390 sono state versate. Tutto ciò contribuisce alla credibilità della So-

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Capitolo 2

Cfr. La farmacia cooperativa, in “Il Martello”, 2, 12 dicembre 1897.


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Su Virgilio Alterocca, figura di rilievo del mondo culturale e imprenditoriale ternano, cfr. Giampaolo Gallo, Tipologia dell’industria ed esperienze d’impresa, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria, Einaudi, Torino 1989, p. 388 e Michele Giorgini, Il mondo in cartolina: Alterocca tra poesia e industria, catalogo della mostra, Terni 1984. La farmacia era stata avviata, su richiesta del Comune di Piediluco, nel 1899; in quell’anno aveva fatto registrare un utile ma poi gli incassi erano diminuiti a tal punto che solo l’intervento del Comune aveva consentito pagare lo stipendio del farmacista.

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cietà, che può così acquistare anche significative partite di merci a credito senza bisogno di rilasciare garanzie o effetti cambiari. Da subito compare però in bilancio la voce “Credito verso i soci”, anche se le 601 lire iscrittevi non sono considerate somma rilevante perché garantita dal deposito di 402 lire. Il 3 aprile 1899 un’assemblea che vede la partecipazione di 33 dei 143 soci (fra cui anche Virgilio Alterocca)143 approva il bilancio 1898, con un utile pari a ben 3.981 lire. Questo positivo risultato viene attribuito a un aumento dei generi venduti dal reparto alimentari (anche tramite una “succursale”, in piazza Solferino), a una maggiore scelta di vini offerta dall’apposito reparto, alla fabbricazione del pane e, soprattutto, alla farmacia. Agli acquirenti vengono restituite 1,40 lire ogni 100 di spesa fatta. Tale importo può sembrare oggi modesto ma va considerato che all’epoca l’interesse che le cooperative di consumo potevano pagare come remunerazione del capitale sottoscritto e versato non poteva superare, per legge, il 5%. Ciò nonostante, cominciano a manifestarsi e ad essere chiaramente rilevati alcuni problemi che caratterizzeranno la vicenda de “La Previdente”, tra tutti la rissosità interna e una certa disaffezione da parte dei soci, solo un terzo dei quali fanno regolarmente acquisti presso gli spacci sociali. Per cercare di affrontare almeno quest’ultimo problema, vengono prese una serie di decisioni sicuramente contrastanti con la visione “imprenditoriale” di Tullio Mariani: viene sì ristretto il credito, ma viene contemporaneamente eliminato il fondo di previdenza per la disoccupazione dei soci per portare al 50% la quota di utile da restituisce, a soci e non soci, in proporzione agli acquisti da loro fatti. Ciò nonostante, gli esercizi 1899 e 1900 vengono chiusi con utili in flessione da 1.798 a 796 lire (mentre il credito ai soci ammonta a ben 2.883 lire), andamento che i sindaci imputano, almeno per il 1900 (anno in cui per comprimere le spese si riducono le paghe e il personale) alla perdita registrata dalla farmacia di Piediluco, perdita che induce a chiuderla alla fine dell’anno144. Analizzando più in dettaglio i tre settori di attività de “La Previdente”, il magazzino, la cantina e la farmacia, si rileva come sia il magazzino a dare minori profitti; la cosa è facilmente spiegabile con il fatto che distribuisce quasi esclusivamente pane e farina e che gli amministratori della Cooperativa vogliono che svolga una sua funzione calmieratrice dei prezzi dei beni alimentari di sussistenza. La cantina non ha avuto un volume di affari adeguato, mentre la farmacia, nonostante i bassi prezzi di vendita e le forti spese per il personale necessario a rispondere alle esigenze della numerosa clientela, è in pratica il settore che sostiene tutta la “La Previdente”.

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Pubblicità de “La Previdente” (1899)

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Nella sua pubblicità “La Previdente” evidenzia soprattutto i beni messi in vendita. Fonte: Luigi Lanzi e Virgilio Alterocca, Guida di Terni e dintorni, con indicatore industriale e commerciale umbro e adorna di 30 incisioni, Terni 1899. Capitolo 2


Oltre ai vari prodotti offerti dalla farmacia della Cooperativa, tra cui l’“amaro-tonico” messo a punto dal direttore della stessa, Luigi Riccardi, “La Previdente” pone l’accento anche sul basso livello dei prezzi. Fonte: Luigi Lanzi e Virgilio Alterocca, Guida di Terni e dintorni, con indicatore industriale e commerciale umbro e adorna di 30 incisioni, Terni 1899. La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

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Pubblicità de “La Previdente” (1899)

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Dopo l’approvazione del bilancio 1900 e l’elezione di Daniele Sensini a presidente, l’assemblea dei soci del 24 marzo 1901 approva numerose modifiche allo statuto. Tra le più significative, oltre alla la possibilità di fondersi con altre cooperative: la distinzione dei soci in effettivi, aderenti e aggiunti; l’utilizzo degli utili spettanti ai soci per l’aumento del capitale sociale; una diversa ripartizione degli utili: 15% al fondo di riserva, 45% al fondo di previdenza per l’inabilità al lavoro, malattie, disoccupazione, propaganda, beneficenza e gratificazioni, 5% a disposizione del consiglio e 40% a soci e non soci a titolo di risparmio in proporzione agli acquisti fatti. Dal momento che Tullio Mariani nel frattempo è stato eletto presidente della Cooperativa Alti Forni, sembra possibile una fusione con quella Società, scenario poi smentito dalle vicende dei due enti. Un invito se non alla fusione almeno all’unione per studiare l’impianto di un forno e di uno spaccio di generi di prima necessità era stato rivolto già nel gennaio 1898 da “Il Maglio” alle cooperative cittadine e a “La Previdente” in particolare: Pubblicità del 1902

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Ci rivolgiamo specialmente a questa che, per avere nel suo seno elementi coerenti agli scopi della società, à fortemente a sperare affinché voglia e possa guidare il movimento onde condurre a termine un’opera altamente umanitaria, e così giustamente dimostrare il perché la Cooperativa “La Previdente” è sorta: protesta a tutte le altre esistenti in Terni145.

Il cambio al vertice de “La Previdente” sembra anche il sintomo di diverse impostazioni e orientamenti. Nella sua relazione all’assemblea del 15 marzo 1902, il consiglio di amministrazione scrive: Consoci! Un altr’anno è passato. L’umanità ha fatto un nuovo passo verso forme sociali più civili e più perfette avvicinandosi sempre più al nostro ideale. Noi che ci siamo costituiti in unità collettiva per dar

In questa inserzione pubblicitaria, oltre ai vari prodotti e servizi offerti dalla Cooperativa, si richiama l’attenzione dei clienti sulla ripartizione degli utili in base agli acquisti effettuati. 145

Fonte: “La Turbina”, V, 105, 1902. Capitolo 2

Le nostre cooperative, in “Il Maglio”, 8, 30 gennaio 1898.


forza a questo incessante progredire abbiamo in qualche modo risposto all’appello? Abbiamo fatto alcunché di buono, che sia degno di essere annotato nelle umili pagine del nostro libro verbali? Francamente no. Nessuno dei scopi per la quale fu fondata la Società è stato neppure iniziato. La nostra azienda ha continuato a funzionare come una delle tante bottegucce qualunque, priva d’anima e di vita, e senza quella luce radiosa che illuminando la via indica con precisione le finalità e lo scopo di un’impresa. È inutile quindi fare il solito predicozzo di richiamo all’ideale. Certe cose o si sentono e si fanno, o non si sentono ed è inutile tentare di imporle. Concludiamo quindi col dirvi che il bilancio morale si riassume in due parole. Se non abbiamo peggiorato neppure migliorato.

L’esercizio 1901 viene chiuso con un utile di appena 79 lire, importo considerato un insuccesso determinato da minori incassi, da spese generali costanti e dalla perdita di 750 lire registrata dalla farmacia di Piediluco (ormai chiusa). I sindaci, dopo aver ricordato che le difficili condizioni economiche della città hanno indotto a chiudere la succursale di piazza Solferino, richiamano ancora l’attenzione sulla disaffezione dei soci e danno una valutazione complessivamente negativa della stessa Cooperativa, rilevando come:

Approvato il bilancio l’ex presidente Mariani propone quindi di tenere a luglio un’assemblea straordinaria per discutere “le finalità della Cooperativa e l’indirizzo da darle per raggiungerle”. Il bilancio successivo, approvato dall’assemblea del 4 aprile 1903, vede il ritorno di un utile non trascurabile, 886 lire e una riduzione dei crediti vantati verso i soci per gli acquisti negli spacci (954 lire). Con il 1902 entra a far parte delle attività della Cooperativa anche una tipografia (quella degli eredi Borri), che però contribuisce in misura ridotta al fatturato, sostenuto sempre dalla farmacia. L’anno successivo i debiti dei soci iscritti a bilancio si riduco ulteriormente (221 lire) e l’assemblea del 13 marzo 1904, alla quale partecipano 69 dei 122 soci totali, approva a maggioranza (45 voti a favore e 18 contrari) un bilancio 1903 chiuso con un utile di 1.063 lire. Nella relazione del consiglio di amministrazione si legge: Per altro non possiamo, per eccesso di modestia, astenerci dal farvi notare come, nonostante il mancato concorde contributo di tutti i Soci, la istituzione si consolidi e progredisca sempre verso la meta da noi agognata che è poi quella prognosticata dai fautori di essa. Infatti questa nostra Società sorta con modestissimo capitale impiegato tutto nell’apertura di una, più che modesta, vendita di vino, in breve volger d’anni die’ vita ad un reparto alimentari fornito di tutto l’occorrente, a una fiorente farmacia, a una piccola tipografia e or ora a una trattoria sociale, messa, se non con lusso, con la necessaria decenza, ove chiunque può trovare il massimo conforto. Con questi mezzi, la Cooperativa, si trova ora in condizione di fare gli onori di casa alle persone qui chiamate, tanto per la propaganda cooperativistica, che per qualunque forma

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lo scopo di questo istituto, creato con l’intendimento di essere utile alla causa di un nobile ideale, non sia stato raggiunto, e che le aspirazioni di coloro che in esso videro una delle vie migliori per raggiungere l’organizzazione economica della classe proletaria di Terni restano deluse.

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di organizzazione proletaria, quanto per quella socialista che tutte le comprende e le integra, nonché di sovvenire i numerosi lavoratori, tanto italiani che di altra nazionalità, qui di passaggio e più ancora a dare valido appoggio al giornale del partito, dal quale, è ormai ora di intenderci una buona volta, non può più, per niuna ragione, essere disgiunta la nostra cooperativa.

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Per iniziativa di Giulio Morelli, supportato da altri 17 partecipanti, l’assemblea discute animatamente sull’espulsione del socio Arduino Carini e sulla domanda di ammissione alla Cooperativa presentata da alcuni iscritti all’Unione Socialista. Alla fine vengono deliberate l’espulsione e le non ammissioni ma viene respinta la proposta Giulio Morelli di escludere i soci non iscritti al Partito Socialista con la motivazione che “La Previdente”, anche se composta quasi esclusivamente da socialisti, è innanzitutto un’impresa economica. Infine, vengono approvate numerose modifiche allo statuto: la possibilità di creare “sezioni di previdenza-soccorso per sovvenire i soci nei momenti di crisi anche con aiuti materiali in merci e denaro”; l’adesione delle donne, approvata con 49 voti favorevoli, 18 contrari e 4 astenuti; la possibilità per i soci “aderenti” e “aggiunti” di partecipare alle assemblee anche se senza diritto di voto e senza poter essere eletti alle cariche sociali se non hanno pagato i 3/5 della quota di 50 lire. Almeno a giudicare dal numero dei partecipanti, solo 32 dei 121 soci, la successiva assemblea dell’8 aprile 1905 sembra suscitare meno interesse, anche se la discussione non è meno interessante. Il 1904 è l’anno in cui viene liquidata la Cooperativa Alti Forni e, quindi, almeno teoricamente, “La Previdente”, che vende anche al pubblico, avrebbe potuto beneficiare di un potenziale aumento della clientela. Il bilancio viene chiuso con un utile di 1.207 lire e a quanti ritengono troppo alte le spese il presidente replica che non sono ulteriormente comprimibili e che l’unico modo per aumentare l’utile è incrementare gli acquisti da parte dei soci. Nella relazione allegata al bilancio i sindaci scrivono: a dimostrare il florido stato della nostra modesta Società [di] fronte a un capitale sociale sottoscritto di 6.050 lire, del quale per altro furono versate sole 4.432, stanno: per fondo di riserva 1.940,66 lire, per fondo di previdenza 3.937,78 lire, [...] utili in accumulazione 877,22 lire, che in totale ascendono a 6.775,66 lire. Cioè 705,60 in più del capitale sottoscritto. Ciò dimostra che le nostre quote di compartecipazione, il cui valore nominale è di 50 lire ciascuna, avrebbero oggi un valore effettivo di oltre 100 lire.

Non li preoccupano nemmeno le 790 lire iscritte nel bilancio per gli acquisti effettuati a credito da parte dei soci, perché le imputano alla disoccupazione che ha colpito molti di loro, ribadendo così, nella pratica, anche una sorta di funzione di resistenza della Cooperativa. Concludono però: A parer nostro, data la esiguità del capitale sociale, ci sembra che le basi di operazione della Cooperativa si siano estese un po’ troppo, e di ciò ne fa fede la forte quantità di merce esistente, che nel solo magazzeno raggiunge la cifra di 26.972,74 lire, e i debiti verso terzi che gravano sul patrimonio sociale per un ammontare di 40.357,91 lire, di fronte a un capitale versato di 4.432 lire. Da tale fatto ne è derivato che la Cooperativa, più che svolgeCapitolo 2


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“La Previdente” rileva la Tipografia eredi Borri soprattutto per stamparvi il periodico socialista “La Turbina”, ma la utilizza anche per editare i propri bilanci e documenti assembleari. Ben presto, però, per ridurre le spese, per questo tipo di documenti ritorna al manoscritto.

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Arturo Luna

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Arturo Luna, amministratore de “La Previdente” e redattore de “La Turbina”, sarà vicesindaco di Terni nell’amministrazione socialista che vince le elezioni del 1920.

re la sua attività con capitali propri, ha dovuto accettare il forte aiuto di alcuni soci, i quali, consci del buon andamento della Cooperativa, hanno spontaneamente depositato nella cassa sociale somme non indifferenti. Di questo maggiore sviluppo dell’impresa, a cui non corrisponde lo sviluppo degli organi amministrativi a fini di tener sempre limitate le spese, ne è stata conseguenza una certa disorganizzazione in alcuni rami [...], disorganizzazione su cui richiamiamo l’attenzione del nuovo consiglio [...] perché voglia provvedere adeguatamente, cercando di meglio disciplinare i diversi servizi de “La Previdente”, di determinare le singole responsabilità del personale addetto ai vari reparti e di non estendere, almeno per ora, vieppiù il campo di azione dell’azienda.

I sindaci si riferiscono probabilmente alla “Sezione Mutua”. Questa, in soli cinque mesi di attività, aveva ricevuto versamenti per 344,50 lire e pagato sussidi per sole 120, ma aveva ricevuto l’adesione di soli 44 soci, dei quali uno si era già ritirato e molti non pa-

La testata de “La Turbina”

Il “settimanale socialista di Terni politico amministrativo” viene pubblicato dal 1898 al 1921.

Capitolo 2


Nel 1904 dopo un lento ma sicuro progredire si volle tentare l’impianto, per conto nostro, di un ristorante, quello di un nuovo riparto di alimentari, e una più forte produzione di vino. Tutto ne dava affidamento: il concorso del pubblico, che nel ristorante, tenuto nei nostri locali, ma non da noi gestito, accorreva discretamente numeroso; il fortissimo smercio di vino [...]; la chiusura degli spacci della Cooperativa Alti Forni [...]. Per l’ampliamento e restauro dei locali per uso del ristorante, per l’apertura del nuovo reparto alimentare, le spese d’affitto aumentarono di circa 100 lire al mese. Per la fabbricazione del vino, la mattazione dei maiali, necessaria alla distribuzione nei reparti alimentari, contraemmo un prestito di 1.000 lire, l’interesse del quale ha gravato tutto sul bilancio di quest’anno. Questo ampliamento e riordinamento dei servizi, lasciava sperare all’amministrazione che il pubblico e i soci vi avessero corrisposto. Ma siamo stati delusi, non tanto da parte del pubblico, ma da quello di parecchi soci, e, specialmente da coloro che dell’ideale cooperativo e socialista avrebbero il dovere di aiutare e sviluppare, se non altro perché la nostra azienda aiuta a propagare le idee di eguaglianza di libertà e giustizia a beneficio dei deboli e degli oppressi, per mezzo del giornale “La Turbina” che tante belle e sante battaglie ha combattute, e che è gravato nel nostro bilancio per circa 2.400 lire. Incominciammo ad avvederci, di questo mancato appoggio, nel riparto di generi alimentari tenuto al corso Vittorio Emanuele e che fummo costretti a chiudere perché i guadagni non coprivano le spese, e che per le esigenze dei soci rispondeva il reparto posto nella sede della Società. Ce ne avvedemmo ancora, quando nei mesi da luglio a settembre, allorquando le vendite dei nostri beni anziché aumentare si mantennero quelle dei mesi precedenti, pur essendo la qualità dei vini eccellenti, e questo si spiega dalle favorevolissime condizioni del raccolto delle uve e che per i prezzi bassi dei vini non permetteva a noi fare alcuna concorrenza. Se alla nostra azienda se ne toglie uno dei maggiori cespiti di guadagno, che è quello della vendita del vino, e insieme a questo quello non conseguito per la mancata vendita della carne suina, si spiega facilmente la ragione per la quale, la nostra associazione ha perduto anziché guadagnare.

Come ben si vede dai dati di bilancio riportati nella tabella di pagina 70, la cantina, cioè la vendita di vino, assicura a “La Previdente” – come a quasi tutte le cooperative di consumo di Terni – una quota significativa del giro d’affari. Del resto, va tenuto presente che in quel periodo circa il 70% del reddito delle famiglie operaie residenti in città era destinato all’alimentazione, e che, come risulta dal prospetto elaborato dall’igienista Giacomo Trottarelli riproposto a pagina 67, nella Terni di fine Ottocento un singolo individuo consuma in media ogni giorno La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

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gavano la quota. Anche se l’assemblea decide di rinviare una discussione approfondita ad altra data, ritiene comunque esiguo il numero degli iscritti e per aumentarli esorta il consiglio di amministrazione a renderne il regolamento meno restrittivo. Il 1905 è però il primo anno chiuso in perdita (838 lire). L’assemblea che l’1 aprile 1906 ne approva il bilancio vede la partecipazione di soli 24 soci (tra cui Arturo Luna, redattore de “la Turbina”), il ritorno alla presidenza di Tullio Mariani e la vicepresidenza affidata a Daniele Sensini, mentre Giulio Morelli, forte oppositore in varie assemblee, è tra i consiglieri. Nella sua relazione il consiglio di amministrazione spiega:

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La pubblicità del ristorante de “La Previdente”

Il ristorante viene aperto da “La Previdente” nella stessa sede sociale. Nonostante l’attivazione di un “servizio a domicilio”, non sembra dare mai risultati economici soddisfacenti, e in più occasioni vari amministratori ne chiedono la chiusura.

una ridotta quantità di carne ma grandi quantità di farina e di vino. Quest’ultimo alimento, almeno in termini di peso, copre addirittura quasi la metà della razione giornaliera di generi alimentari, cosa spiegabile con il fatto che nella dieta popolare rappresenta una valida risorsa energetica146. Tornando all’esercizio 1905 de “La Previdente”, anche se il consiglio di amministrazione conclude la sua relazione affermando che il ristorante, la tipografia e il reparto dei generi alimentari dovrebbero essere più redditizi, i sindaci ritengono comunque la situazione economica della Cooperativa confortante: la perdita dell’esercizio viene infatti assorbita dal fondo di riserva

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ma essa deve [...] renderci arditi a meglio disciplinare i vari rami dell’azienda – eliminando, se sarà del caso, quei reparti che non sono di vera utilità alla Cooperativa – a portare una riforma razionale nel sistema amministrativo e contabile e a realizzare tutte le possibili economie sulle spese.

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Molti soci intervengono all’assemblea e pongono domande alle quali il presidente risponde spiegando che lo spaccio di via Solferino è stato chiuso e quello di casa Castelli è stato ceduto al commesso, che gli approvvigionamenti non posso essere fatti all’ingrosso per mancanza di fondi, che quando (alla fine del 1904) si è fatto ricorso al prestito per importanti acquisti di vino e di maiali la metà della merce è rimasta invenduta, contribuendo in modo significativo alla perdita di bilancio e che il ristorante non è abbastanza redditizio nonostante i prezzi siano in linea con quelli di altri. Il revisore Bedini rileva con preoccupazione che i soci sono scesi da duecento a circa cento e siccome solo una cinquantina fanno acquisti presso la Cooperativa, li invita a volersi interessare dell’azienda più con i fatti che con le parole, anche in considerazione del proprio tornaconto, perché la Cooperativa è quella che sostiene il giornale “La Turbina” che si pubblica appunto in sostegno dei lavoratori.

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Centonze Michele, Osservazioni circa la tubercolosi a Terni, in Luigi Pagliani, Michele Centonze, Giacomo Trottarelli, Tommaso Mancisei e Severino Tini, Le Acciaierie di Terni nei riguardi igienici e sanitari, Tipolitografia delle Acciaierie, Terni 1910 (riportato in Ciuffetti, La città industriale cit. (a nota 30), p. 94).

Capitolo 2


Consumo di generi alimentari a Terni alla fine dell’Ottocento

Anche il bilancio 1906 viene chiuso in perdita (482 lire), ma il consiglio di amministrazione dichiara ugualmente chiuso il periodo di crisi perché nel secondo semestre dell’anno si sono recuperate quasi tutte le perdite del primo grazie a provvedimenti che hanno ridotto le spese e messo sotto stretto controllo tutti i reparti (quello alimentare, in cui si erano verificati ammanchi, è stato affidato al consigliere Giulio Morelli). La vendita di vino, tuttavia, continua a dare risultati negativi, mentre “La Turbina”, a detta del presidente non supportata a sufficienza dai soci, pesa ancora in modo significativo sul bilancio. Questo viene comunque approvato dall’assemblea del 23 marzo 1907, la prima alla quale partecipa Pietro Farini (che svolge le funzioni di segretario) e l’ultima che vede Tullio Mariani presidente. Nonostante le perdite ancora fatte registrare dal ristorante, grazie al solito – determinante – contributo della farmacia, il bilancio 1907, approvato dall’assemblea del 31 marzo 1908, viene chiuso in attivo (506 lire), sebbene gli acquisti non pagati dai soci superino sempre le 2.000 lire e 177 lire vengano riportate come perdite imputate al fallimento della Cooperativa Barbieri e della Cooperativa Alti Forni. Nella sua relazione il consiglio di amministrazione dichiara quindi conclusa la ristrutturazione dell’azienda con l’eliminazione delle attività non redditizie. L’assemblea, alla quale il consiglio si presenta dimissionario, approva anche una serie di modifiche allo statuto, la più importante delle quali è la riduzione delle quote azionarie da 50 a 25 lire. Questo provvedimento viene preso per incrementare il numero dei soci ma non risulta efficace: all’assemblea del 24 aprile 1909 ne partecipano solo 28 e nella sua relazione il presidente Daniele Sensini scrive che i nuovi aderenti sono solo 12. La stessa assemblea approva il bilancio 1908, anche La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

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Fonte: Centonze Michele, Osservazioni circa la tubercolosi a Terni, in Luigi Pagliani, Michele Centonze, Giacomo Trottarelli, Tommaso Mancisei e Severino Tini, Le Acciaierie di Terni nei riguardi igienici e sanitari, Tipolitografia delle Acciaierie, Terni 1910 (riportato in Augusto Ciuffetti, La città industriale. Un percorso storiografico, CRACE, Perugia 2004, p. 94).

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questo chiuso con un utile modesto (536 lire) a causa delle spese sostenute per il rifornimento di attrezzi, stoviglie e biancheria per il ristorante, nonché per la ristrutturazione del reparto vini e della farmacia. Le stesse problematiche si presenteranno anche nel 1909: solo pochi soci utilizzano gli spacci della Cooperativa sebbene questi, secondo il consiglio di amministrazione, pratichino prezzi convenienti. L’assemblea del 2 aprile 1910, alla quale partecipano solo 32 soci, approva un bilancio chiuso ancora con un utile modesto (536 lire) non solo a causa dell’aumento di personale e delle sue migliorate condizioni economiche ma anche perché quasi tutti gli utili della farmacia vengono assorbiti dal negativo risultato economico del ristorante: su indicazione dei sindaci l’assemblea ne delibera quindi la chiusura. Alla fine del 1910, anno in cui comincia l’affermazione della Cooperativa Impiegati e Professionisti, il consiglio di amministrazione viene sfiduciato da un’assemblea straordinaria tenuta il 27 novembre. In pratica, il presidente Morelli e la sua maggioranza, vengono accusati da Onesto Pierangeli, Emilio Bicciolo, Arturo Luna e Remigio Jezzi di fare acquisti senza formale delibera, di scegliere i fornitori in base a criteri personali e non economici, di non applicare adeguati ricarichi ai prezzi di acquisto, di aver stipulato un contratto di affitto per un locale da destinare a una nuova succursale dello spaccio alimentari senza avere i mezzi necessari e senza la definitiva autorizzazione. La rottura definitiva tra il gruppo di maggioranza e quello di minoranza avviene però sulla nomina del segretario della Società e sulla chiusura del bilancio 1910. Il nuovo consiglio, con presidente Riccardo Porchetti e vicepresidente Ambrogio Bedini, assume il controllo de “La Previdente” il 2 dicembre dello stesso anno. All’assemblea dell’8 aprile 1911, alla quale partecipa la prima donna socia, Angelica Balabanoff147, sono presenti 52 soci, i quali, non solo discutono delle questioni sopra richiamate, ma anche di un deficit nella succursale del reparto alimentari e, soprattutto, dell’introduzione del registratore di cassa in farmacia: Farini, che oltre a questo reparto di fondamentale importanza per la Cooperativa dirige anche “La Turbina”, considera quel provvedimento un atto di sfiducia nei suoi confronti. D’accordo con lui sembrano i nuovi amministratori, i quali ritengono che il registratore di cassa ha avuto il solo effetto di far aumentare le spese fisse necessarie a retribuire il personale addetto. I sindaci poi, prima di ricordare come tutti i settori di attività della Cooperativa siano in perdita, con la sola eccezione della farmacia, vista l’importanza della perdita iscritta a bilancio (1.734 lire) dichiarano di averne indagate le cause e di essere giunti alla conclusione che in gran parte consistono nella poca cura sugli acquisti, nella irrazionale determinazione dei prezzi di rivendita delle merci, nella facilità con cui si effettuarono le spese, e nel modo

147

Su Angelica Balabanoff, oltre a quanto da lei stessa scritto in Ricordi di una socialista, D. De Luigi, Roma 1946 e La mia vita di rivoluzionaria, Feltrinelli, Milano 1979, cfr. anche Gisa Giani, Donne e vita di fabbrica a Terni, Sigla Tre, Perugia 1985, pp. 42-43.

Capitolo 2


poco razionale con cui sono disciplinati i diversi servizi specialmente per quanto concerne il controllo sul pagamento di ore straordinarie fatte da una parte del personale.

la mancanza di numerario in cassa, la creazione di vistosi debiti, il succedersi a breve distanza di scadenze per effetti cambiari [al] malgoverno degli amministratori d’allora, che nel breve periodo dall’aprile al dicembre 1910 avevano portata la Società sull’orlo del fallimento.

La pesantissima situazione finanziaria che si protrae costringe ad acquistare in loco e al minuto “e obbliga a creare nuovi effetti cambiari onde regolare gli averi dei fornitori con evidenti perdite per pagamento di sconti e interessi”. I consiglieri pensano di poter migliorare le condizioni finanziarie della Cooperativa riducendo le spese per gli afitti e per il personale e i sindaci propongono anche la cessione del ristorante. I dati di bilancio disponibili non consentono di analizzare le varie voci di spesa ma solo quelle dei ricavi. Da esse risulta che gli sforzi per diversificare i settori di attività non apportano benefici significativi e duraturi e che mentre la farmacia rimane il reparto che garantisce la maggior parte dei cespiti la cantina ha un andamento altalenante e il magazzino solo in un primo momento riesce a sostenere la concorrenza della Cooperativa Impiegati e Professionisti. Non si può escludere che i disaccordi fra i soci finiscano per allontanare i clienti e, quindi, abbiano anche una ripercussione negativa sui risultati economici, rendendo più difficili anche i rapporti con i fornitori a causa del venire meno della fiducia nella solidità dell’azienda e nella sua capacità di far fronte agli impegni. D’altra parte, il più La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

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L’assemblea, però, accantonata l’ipotesi di promuovere la responsabilità civile nei confronti dei vecchi amministratori, delibera di ammortizzare la perdita sul fondo di riserva e su quello di previdenza e nomina nuovi amministratori: i consiglieri Riccardo Lucchini, Arturo Luna, Fabio Pazzaglia, Giuseppe Amici, Emilio Bicciolo, Pietro Colantoni, Epifanio Furno, Savino Grassi e Paolo Riccardi; i sindaci Onesto Pierangeli, Ambrogio Bedini e Tommaso Pierini; i sindaci supplenti Rodolfo Moriconi e Alessandro Pera; gli arbitri Giovanni Colasanti, Roberto Conti e Daniele Sensini. All’assemblea del 30 marzo 1912, questo consiglio di amministrazione spiega che anche l’esercizio 1911 viene chiuso in perdita (609 lire) ma a causa del forte aumento dei fitti, degli stipendi, delle tasse e delle spese per la ristrutturazione dei locali, per il trasloco della tipografia e della mescita di vini e liquori, per l’apertura del reparto generi alimentari, per i miglioramenti apportati ai locali della farmacia, per la sistemazione dell’impianto di illuminazione. Spese alle quali non hanno potuto far fronte i pur aumentati utili lordi del ristorante e della cantina. La situazione generale non cambia l’anno seguente, anzi, nella sua relazione il consiglio di amministrazione imputa

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Attivo, utile/perdita e ricavi lordi de “La Previdente”

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Capitolo 2


Ricavi lordi dei vari reparti de “La Previdente”

volte ricordato sostegno a “La Turbina” potrebbe anche sottintendere l’esistenza di costi in qualche modo portati in bilancio anche se non direttamente collegabili all’attività della Cooperativa. L’assemblea del 24 maggio 1913, alla quale partecipano 28 soci, approva comunque la perdita di 702 lire iscritta nel bilancio 1912 (tra le cui voci figurano anche rendite dal bar e dal biliardo). Già il 3 gennaio 1914 un’assemblea straordinaria, alla quale prendono parte 50 soci, delibera di porre in liquidazione “La Previdente” dal momento che il Tribunale ha rifiutato l’istanza della Società per giungere a un concordato preventivo con i creditori e che non è possibile reintegrare il capitale sociale, praticamente esaurito. Durante la successiva assemblea del 9 maggio 1914, l’ultima, 15 soci approvano quindi il bilancio 1913, chiuso con una perdita di 19.260,55 lire a causa del ridotto giro d’affari e di una revisione dei conti che ha portato alla svalutazione dei mobili, dei macchinari e dei crediti inesigibili: la Cooperativa è ormai completamente screditata e anche la farmacia ha ridotto la sua partecipazione al bilancio ai minimi termini. Vista la sua capacità di creare utili, sono gli stessi soci de “La La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

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* nel 1898 Alimentari, vini e magazzino ** nel 1913 Vino e liquori

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Contributo dei principali reparti ai ricavi lordi de “La Previdente”

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* nel 1898 Alimentari, vini e magazzino ** nel 1913 Vino e liquori

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Previdente” che chiedono a Pietro Farini di assumerne personalmente la conduzione in modo che egli possa continuare a utilizzarla per contribuire alla gestione de “La Turbina”148. In effetti dal 1910 per “La Previdente” inizia un periodo molto difficile: i bilanci sono sempre in perdita, i disaccordi tra gli amministratori sono sempre più frequenti, superata la concorrenza della Cooperativa Alti Forni si ripresenta quella, più agguerrita, della Cooperativa Impiegati e Professionisti, l’Amministrazione Comunale repubblicana riapre la farmacia comunale. Soprattutto quest’ultima iniziativa, che si affianca alla riassunzione da parte del Comune di Terni anche del servizio di illuminazione149, mette in crisi anche il reparto che, economicamente, 148

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Scrive Farini nel suo diario: “La nostra cooperativa è stata liquidata. I compagni con dichiarazioni scritte hanno voluto che la farmacia resti a me, perché sia assicurata la continuazione della ‘Turbina’” (cfr. Farini, In marcia con i lavoratori cit. (a nota 136)). Il Comune di Terni, che dopo la positiva esperienza del Canale Nerino aveva presentato anche un progetto per l’integrale utilizzo delle acque del Velino, poi in parte ceduto alla Società Carburo per consentirle di avviare lo stabilimento di Papigno, approfittando della legge sulla municipalizzazione dei servizi pubblici nel 1908 decide di non rinnovare il contratto con la Società Valnerina per l’illuminazione pubblica e privata e di procedere alla costruzione di una propria centrale idroelettrica per sfruttarvi una piccola derivazione d’acqua dal Velino ottenuta nel 1902. Sul Canale Nerino cfr. Le industrie di Terni cit. (a nota 31); sulla Società Carburo cfr. Archeologia industriale e territorio a Terni cit. (a nota 138), pp. 111-185 per lo stabilimento di Collestatte e 187-280 per quello di Papigno. Sulla Società Valnerina cfr. Gianni Bovini, La Società Industriale Elettrica

Capitolo 2


Pietro Farini

Dopo il fallimento de “La Previdente” Farini apre una sua farmacia in piazza Vittorio Emanuele, all’incrocio con corso Tacito. La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

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Pietro Farini (Russi di Romagna 1862 - Mosca 1940) giunge a Terni su invito di Luigi Riccardi (Rio Freddo, Roma, 1863 - Suzzara, 1907), farmacista, tra i fondatori del Partito Socialista di Terni e uno dei principali esponenti del movimento socialista ternano dal 1894 al 1906, anno in cui lascia la città e cede la direzione della farmacia de “La Previdente” proprio a Farini. Quando rileva la farmacia nel 1914, in seguito al fallimento della Cooperativa Farini scrive: “Per la scoperta dello chèque, la parte repubblicana mal sopportava lo schiaffo ricevuto in pieno viso. Non seppe quindi contenere la sua gioia sfrenata quando per la città si seppe che la cooperativa “La Previdente” aveva chiesto la moratoria. Falliti! falliti! Gridavano per le vie. Così, sulle porte delle case di molti di noi e sui muri adiacenti all’indomani apparve stampata a grossi caratteri la parola: falliti!” (Pietro Farini, In marcia con i lavoratori, a cura di Angelo Bitti, CRACE, Perugia, in corso di stampa).

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aveva sostenuto “La Previdente” sia per il fatturato complessivo sia per i ricavi, consentendole di ammortizzare le perdite degli altri settori. Così Pietro Farini ricorda l’episodio nelle sue memorie: A questo fine di dispersione di istituti e mia, il Municipio repubblicano riaprì al pubblico la farmacia dell’ospedale, che per molti anni era stata chiusa e sostituita appunto dalla farmacia “La Previdente”. Si sarebbe potuto contestare quest’apertura al Comune, e probabilmente con esito positivo, se i ricorrenti non fossero stati dei socialisti, contro i quali ogni prepotenza ed angheria furono sempre permessi. Il nuovo esercizio s’iniziò con forti ribassi su tutti i medicinali; per cui, non soltanto la nostra, ma anche le altre farmacie, giorno per giorno, andarono perdendo le loro clientele. Gl’interessati ricorsero allora all’Ordine dei farmacisti, il quale mandò a Terni nel 1910 una sua commissione a fare un sopraluogo. La relazione che questa commissione al suo ritorno presentò all’Ordine, fu esplicita. La corsa ai ribassi sui medicinali proveniva da una lotta politica fatta dai repubblicani contro i socialisti. Per questo, borghesemente, l’Ordine se ne lavò le mani, e la corsa ai ribassi continuò150.

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La Cooperativa Impiegati e Professionisti: la Società Terni torna a interessarsi di cooperazione di consumo

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La Società Anonima Cooperativa di Consumo fra gli Impiegati Civili e Professionisti viene costituita a Terni il 16 luglio 1904 da 27 soci, tutti residenti in città. Le loro professioni (solo per un socio non è dichiarata) rendono evidente la ragione della denominazione sociale: 19 sono impiegati, 2 ingegneri, 2 dottori, 1 ragioniere, 1 professionista e 1 possidente. In base all’articolo 4 dello statuto vengono ammessi solo gli impiegati e i professionisti residenti ed esercenti in Terni, ma anche questa cooperativa, come quelle costituite da operai, prevede che i “prezzi [...], entro i limiti del possibile, dovranno servire di calmiere a quelli della piazza”. A differenza di quelle, però, pur non escludendo all’atto della costituzione l’apertura di uno spaccio sociale, con l’articolo 19 dello statuto autorizza il consiglio di amministrazione a “indire appalti fra i negozianti della piazza per la vendita ai soci di quei generi di prima necessità per i quali non creda conveniente l’apertura di uno spaccio sociale”. Il capitale sociale è costituito da azioni da 50 lire e ciascun socio può averne fino a 20, ma solo lasciando alla Cooperativa la quota degli utili di bilancio assegnata ai soci. Infatti, gli utili vengono così ripartiti: 2% al consiglio di amministrazione per la propaganda cooperativa e la beneficenza, 20% al fondo di riserva e il resto ai soci come remunerazione del capitale sottoscritto, ma in misura non superiore al 5% netto, ripartendo l’eventuale somma eccedente ancora tra i soci in base agli

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della Valnerina (1886-1911), in “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia”, vol. XXII, n.s., vol. VIII, a.a. 1984-85, Studi Storico-Antropologici, pp. 99-123; sulla centrale idroelettrica del Comune di Terni cfr. la scheda di rilevazione dei beni archeologico-industriali, redatta da Gianni Bovini e Michele Giorgini, per conto del Servizio Musei e Beni Cultuali della Regione Umbria. Farini, In marcia con i lavoratori cit. (a nota 136).

Capitolo 2


acquisti fatti nei magazzini sociali. La Cooperativa comincia la sua attività solo a metà 1907 e questo ritardo spiega, almeno in parte, la perdita di 510 lire registrata dall’esercizio di quell’anno. Lo stesso consiglio di amministrazione riferisce infatti all’assemblea del 29 marzo 1908 che la causa principale è dovuta alla mancanza di interesse da parte dei soci. Al 31 dicembre 1907 questi sono ben 94, cioè sono praticamente quadruplicati rispetto all’anno di costituzione, forse grazie a una sorta di campagna pubblicitaria condotta a mezzo stampa, ma solo un terzo di essi si avvale dello spaccio sociale. Il ridotto numero di utenti dello spaccio, peraltro ancora non ultimato e non provvisto di tutti i generi, provoca una serie di problemi (deterioramento delle merci, prezzi non molto concorrenziali, mancanza di liquidità per effettuare acquisti all’ingrosso) che sembrano di così difficile soluzione da far paventare la liquidazione. L’assemblea dell’1 dicembre 1908, tenuta in via Fratini 12, sotto la presidenza di Gervasio Moretti, da 26 degli 81 soci, delibera invece una serie di modifiche allo statuto che sembrano riproporre la vicenda della Cooperativa Alti Forni ma che forniranno la soluzione ai problemi della Società. Al di là dell’ininfluente cambio di ragione sociale in Società Anonima Cooperativa di Consumo fra gli Impiegati e Professionisti in Terni, nonché della scelta di ammettere come soci anche le imprese industriali e altri enti, risulterà decisiva la decisione di ammettere a fare acquisti negli spacci sociali anche gli operai degli stabilimenti locali, stipulando con le singole aziende apposite convenzioni. Inoltre, anche se, per regolamento, gli acquisti dovrebbero essere pagati in contanti, si decide di regolare diversamente le vendite fatte agli operai delle aziende, cioè si autorizza il consiglio di amministrazione a richiedere la garanzia dell’impresa da cui dipende l’operaio per gli acquisti fatti in Cooperativa. Inoltre, la ripartizione degli utili viene modificata: la quota a disposizione passa dal 2% al 5%, quella per il fondo di riserva si riduce dal 20% al 10% e quella per la remunerazione del capitale rimane invariata ma potranno ricevere un ristorno anche gli operai non soci in base alle convenzioni che si stipuleranno con le singole aziende. In pratica, per allargare la base degli utenti dello spaccio si decide di ammettere anche le aziende che vorranno usare i La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

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Luogo di nascita dei 27 fondatori della Cooperativa Impiegati e Professionisti

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Utile netto e ricavi lordi della Cooperativa Impiegati e Professionisti

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punti vendita della Cooperativa come spacci aziendali per i propri dipendenti senza doversi sobbarcare dell’onere di promuovere, e gestire, come aveva fatto la SAFFAT con la Cooperativa Alti forni, una società ad hoc. All’assemblea del 27 marzo 1909, che approva la chiusura del bilancio 1908 con una perdita di 1.415 lire (sebbene gli spacci siano stati aperti al pubblico per aumentarne il fatturato), partecipano solo 23 (dei 98) soci, ai quali il consiglio di amministrazione finalmente comunica che dopo un anno di trattative è stata definita con la SAFFAT una convenzione la cui base sta nella garanzia da parte d’essa per il pagamento delle somministrazioni che noi faremo al suo personale operaio per il credito che essa stessa Società fisserà, ma voi avete già veduta in figura a via Petroni n. 2 la nuova azienda in proporzioni assai più vaste che non fosse il nostro spaccio sociale della nuova piazza del Mercato.

Tale convenzione diventa però operativa solo nel corso dell’anno e solo dal mese di settembre la Cooperativa comincia a risentirne benefici tali che le consentono di chiudere in attivo il bilancio 1909 (292 lire), grazie soprattutto a un utile lordo che passando dalle 5.919 lire del 1907 alle 25.165 consente di ammortizzare le spese sostenute per far fronte all’aumentata clientela. Proprio questo incremento fa sorgere gli inconvenienti lamentati da Mario Manni all’assemblea del 12 marzo 1910: la scortesia di parte del personale e un’organizzazione che costringe “le Capitolo 2


La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

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donne di servizio a rimanere per lungo tempo negli spacci, causa l’affollamento”. A questi problemi si risponde impiegando donne per il servizio di distribuzione, ampliando i locali e aumentando il personale; inoltre, viene addirittura studiato il modo, per i soli soci, di avere la spesa a domicilio. Sembra così emergere un sistema di vendita con marcate divisioni classiste: da una parte la borghesia, che paga in contanti, si può permettere l’acquisto di carne, manda a fare la spesa le donne di servizio e si preoccupa che non perdano troppo tempo allo spaccio; dall’altra gli operai della SAFFAT che fanno la spesa a credito e, quindi, fanno perdere tempo ai banconieri per la compilazione dei libretti ma sono indispensabili perché solo il loro grande numero può garantire lo smercio necessario al magazzino per praticare bassi prezzi e assicurare maggiori dividendi ai soci. Dal 1910, anno in cui il bilancio viene chiuso con un utile di 4.904 lire e un utile lordo di 179.615, la redditività della Cooperativa aumenta sensibilmente, passando dall’1,16% del 1909 al 2,73% del 1910 per scendere poi all’1,72% nel 1911 (anno in cui il bilancio viene chiuso con un utile di 3.879 lire e un utile lordo di 225.562). Questa diminuzione viene spiegata dai sindaci (all’assemblea dei soci del 26 marzo 1912) con la volontà del consiglio di tenere bassi i prezzi di vendita: pane e farina, che da soli costituiscono circa un quarto del fatturato, vengono venduti al prezzo di costo, cioè dai 3 ai 5 centesimi/kg al di sotto dei prezzi correnti. Il bilancio 1912 viene addirittura chiuso in perdita (745 lire nonostante l’utile lordo sia sostanzialmente analogo a quello del 1911). Ciò è sicuramente imputabile alle oscillazioni del mercato e al fatto che i prodotti meno remunerativi, cioè pane, farine e grani, rappresentano ben i due quinti del fatturato, ma anche al riesplodere delle proteste dei commercianti verso le cooperative. La maggiore vigilanza da loro chiesta – e ottenuta – per evitare che la Cooperativa venda ai “non soci” e ai “non aggregati” provoca un’evidente e inevitabile riduzione dell’utile lordo nonché un aumento delle giacenze di magazzino proprio quando gli spacci vengono trasferiti nei locali (appositamente adattati) di proprietà della SAFFAT posti lungo viale Brin, nei pressi dell’ingresso principale delle Acciaierie. Dopo un 1913 chiuso in pareggio, lo scoppio del conflitto mondiale e poi l’entrata in guerra dell’Italia determinano un’impennata della redditività: utili fortemente crescenti nonostante un fatturato sostanzialmente in diminuzione e in linea con quello del 1910. Nel 1914, oltre a un forno e a un molino, la Cooperativa ha i seguenti reparti: panetteria, pizzicheria, cantina, drogheria, suineria, macello, latteria e combustibili. All’assemblea del 27 marzo 1916, a cui prendono parte 15 (più 2 rappresentati) su 109 soci, il presidente Salvatore Sconocchia segnala l’eccezionalità del momento economico nazionale che ha indotto la SAFFAT a confermare l’accordo per mantenere il prezzo del pane a 37 centesimi/kg e il sempre maggiore ricorso agli spacci da parte dei soci, sia effettivi sia aggregati, con una somma complessiva delle vendite che raggiunge le 700.000 lire. Nel corso dello stesso anno, per ridurre i lunghi tempi di attesa alla distribuzione

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del pane e alla vendita dello zucchero, lamentati dagli operai della SAFFAT, viene assunta un’altra banconiera e si utilizza anche il locale grano e farine per il servizio al pubblico, mentre non viene preso alcun provvedimento per la scortesia del personale. Per far fronte alla ridotta disponibilità di pane viene studiata, d’intesa con il direttore della Acciaierie, Amilcare Spadoni, l’adozione del sistema di panificazione “Finges”, che però viene abbandonato dopo neanche tre mesi perché il Consorzio Granario Umbro interrompe la fornitura di grano. Con il protrarsi della guerra, in seguito all’adozione delle misure di controllo dei prezzi, l’utile netto della Cooperativa va riducendosi sempre più fino al risultato negativo dell’esercizio 1919, chiuso con una perdita di 1.650 lire imputate dal consiglio di amministrazione ai moti contro il caro viveri, ma secondo i sindaci sintomo di una situazione tutt’altro che florida:

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Ma a prescindere dai danni dai quali venne colpito il nostro sodalizio per colpa dei famigerati ribollimenti popolari, di beata memoria, dovete pensare che la crisi che attraversiamo non è un fatto sporadico, non un fenomeno che solo a Terni e nella nostra Cooperativa si verifica, ma è un male epidemico complesso che, come ben sapete, ha infestato e seguita ad infestare specialmente le cooperative di consumo, molte delle quali, anzi, hanno dovuto cessare d’esistere per esaurimento e per difetto, più che d’aiuti materiali, di una assistenza morale da parte di certe sfere governative, le quali o non si trovano all’altezza della loro missione o, come la maggior parte degli organismi governativi, sono in tutt’altre faccende affaccendati.

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Il consiglio di amministrazione giustifica così la perdita portata in bilancio e coperta interamente dalla SAFFAT per interessamento del presidente Giuseppe Orlando: E ciò doveva più che altro ascriversi al fatto che la fine quasi improvvisa della guerra, per la rapida conclusione dell’armistizio, aveva di colpo fatto scemare di prezzo le derrate sui mercati; e per tal fatto chi, come la nostra Cooperativa, possedeva a quell’epoca forti partite di merci, venne forzatamente a trovarsi in una posizione malagevole, dato che era giocoforza scendere nella vendita alla pari del prezzo di costo, e forse al di sotto di esso, se si voleva esitare la merce immagazzinata.

Quando poi il mercato si stava assestando, consentendo così di cominciare a recuperare le perdite, viene colpito da un altro avvenimento: Voi già comprenderete che alludiamo ai moti popolari del luglio, che inspirati da un falso concetto, come quello di ritenere sufficiente un momentaneo ribasso del 50% sui prezzi di vendita a ricondurre la vita al livello del periodo antebellico, furono causa d’irreparabili danni. L’impazienza imprudente della folla non rispettò neppure le cooperative che per i modesti guadagni che hanno sempre realizzato vendendo a prezzi inferiori a quelli praticati dalla piazza, e per le non indifferenti spese di amministrazione, non ebbero certo campo di accantonare forti riserve di utili durante la guerra; e mentre qualche negoziante locale riusciva a sfuggire alla incosciente requisizione di una folla ubriacata da pochi irresponsabili, noi dovemmo cedere ed aprire i nostri locali all’invasione di un numero insolito di soci ed aggregati, che solo allora intesero la necessità di venire a spendere nel nostro esercizio.

Capitolo 2


Approvato comunque il bilancio, l’assemblea dell’11 aprile 1920 elegge un nuovo consiglio di amministrazione composto dai consiglieri Gaetano Jacobis, Fernando Belardinelli, Vittorio Quaglia, Ezio Battistelli, Luigi Fongoli, Francesco Angelucci, Fabrizio Alberti, Paolo Riccardi e Augusto Scarnigi, e dai sindaci Enrico Andreoli, Enrico Guerrini e Luca Paolucci. L’assemblea del 10 aprile 1921, oltre a deliberare lo spostamento della sede sociale in via Mazzini 5, autorizza il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale a consentire nell’interno degli spacci l’uso di speciali “boni” o “gettoni” in sostituzione della valuta legale. Tale decisione sembra preludere all’intenzione della SAFFAT di riassumere il completo controllo di questa attività. L’assemblea del 15 febbraio 1923, tenuta presso il refettorio delle Acciaierie, per l’alto numero di partecipanti (113 presenti e 63 rappresentati su 255 soci) o per ribadire la volontà della SAFFAT, approva la chiusura del bilancio 1922 con una perdita di 42.290 lire e la cessazione della Cooperativa, nominandone liquidatori Luca Paolucci, Giuseppe Piscini ed Ercole Sassi.

La Società Anonima Cooperativa di Prestito e Consumo “L’Economica”, costituita il 2 dicembre 1905 in località Vallecaprina, nel comune di Papigno, è uno dei pochi esempi di cooperativa che, in qualche modo, risorge dopo la cessazione dell’attività: la documentazione rintracciata non comprende gli anni dal 1907 al 1911 ma ciò nonostante tra i soci fondatori e gli amministratori sono ben sette (Loreto Bea, nato a Montefalco, Cesare Ciaccasassi, nato a Gubbio, Adriano Liurni, nato a Papigno, Enrico Pellegrini, nato a Orte, Abramo Proietti, nato a Massa Martana, Dante Proietti, nato a Papigno e Carlo Silvestri, nato a Terni, ai quali bisogna aggiungere Augusto Ramozzi, non socio nominato liquidatore) quelli che dal 5 giugno 1919 svolgeranno analoga funzione in un’altra cooperativa di Papigno, “La Rinascente”, di cui si dirà nel prossimo capitolo (cfr. infra, pp. 142145). Non a caso, alcune parti – non insignificanti – dei rispettivi statuti sono simili: oltre allo scopo sociale, cioè la concessione di piccoli prestiti (peraltro mai avviata) e la distruzione ai soci di generi alimentari e merci al prezzo di costo mag-

Luogo di nascita (noto) di 15 dei 24 fondatori della Cooperativa “L'Economica” La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

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“L’Economica”: un esempio di continuità?

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Soci iscritti e soci partecipanti alle assemblee de “L’Economica”

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Capitale versato, ricavo lordo, crediti e debiti de “L’Economica” dal 1911 al 1914

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Capitolo 2


giorato del 4% per far fronte alle spese di amministrazione, la prima ammette anche le “donne maritate”, sia pure solo con il “consenso del marito”, mentre la seconda ammetterà tutti i maggiorenni, indipendentemente dal loro sesso. L’Economica viene costituita da 19 operai, 2 muratori, 1 tranviere, 1 agricoltore e 1 calzolaio, tutti residenti a Papigno, anche se nati in vari comuni umbri. Anche se la documentazione copre un arco cronologico limitato, quello dal 1912 (con il bilancio dell’esercizio 1911) al 1916, anno in cui la Cooperativa viene posta in liquidazione, pure riporta “L’Economica” è una delle poche Socon precisione sia problematiche comucietà che pubblica a stampa i propri ni ad altre Società, come quello dei rapdocumenti assembleari e lo fa utilizporti con i soci e tra i soci, quello dei zando l’omonima cooperativa tipograrapporti con il gestore dello spaccio, o fica di Terni. quello della natura della documentazione (a volte verbali di assemblee diverse riportano interventi anche perfettamente identici), sia problematiche specifiche come, ad esempio, quella connessa alla qualità delle merci vendute. Nell’assemblea dell’8 marzo 1914 la scomparsa del presidente Settimio Ramozzi viene commemorata ricordando il suo impegno anche nell’appianare non meglio specificati malintesi sorti tra i soci. Questi devono essere però di non secondaria importanza se nella sua relazione il consiglio amministrazione scrive che il suo primo intento è stato quello di purificare l’elenco dei soci, cancellandone quelli che al miglioramento e all’incremento di questa Cooperativa contrapponevano interessi personali e pettegolezzi, e quelli che essendo soci fondatori non si curano di pagare né l’azione sottoscritta né il debito fatto per il prelevamento delle merci, malgrado le preghiere, prima, e le minacce, poi, dell’amministrazione.

Preghiere e minacce non raggiungono grandi risultati se all’assemblea del 21 marzo 1915 il consiglio rileva: Il debito che i soci avevano l’anno scorso hanno quest’anno, con questa sola differenza [...]: mentre qualche socio l’ha diminuito, qualche altro, per ragioni mai giustificate, l’ha aumentato, senza che l’amministrazione riuscisse a porvi un riparo, malgrado i fermi propositi che l’animavano.

Anche agli amministratori de “L’Economica” è infatti ben chiaro quanto sia imporLa cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale

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Frontespizio del bilancio 1914 de “L’Economica”

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tante disporre delle somme necessarie per acquistare nel momento migliore e alle migliori condizioni in modo da poter poi praticare prezzi concorrenziali e offrire prodotti non scadenti. Quello della qualità delle merci vendute è un obiettivo degli amministratori che si susseguono alla guida della Cooperativa, obiettivo che – tutti – dichiarano raggiunto:

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In merito all’acquisto dei generi, ci studiammo di provvedere i migliori, e la maggioranza di voi l’ha dimostrato acquistando nei nostri spacci, e se qualche volta non siamo riusciti nell’intento non è dipeso dalla nostra volontà, ma dalle varie vicende che s’incontrano nel cammin di nostra vita, del resto inevitabili, sia per il continuo rincaro delle merci, sia per colpa di soci che hanno trascurato i pagamenti quindicinali senza nemmeno renderne conto al consiglio [...]. C’interessammo di tutto ciò che fosse utile per i soci e per l’incremento della nostra Cooperativa che merita l’aiuto di tutti i buoni e di tutti gli onesti cittadini, data l’alta missione che si è prefissa di compiere per il bene della classe lavoratrice. [...].E’ superfluo quindi [...] incitarvi alla compattezza e di difendere sempre la nostra Istituzione perché quanto noi ne avete compresa l’importanza che ha nella vita economica.

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L’analisi dei dati di bilancio dal 1911 al 1914 conferma queste affermazioni: l’incremento dei ricavi lordi a un ritmo decisamente superiore a quello dei creditori e dei debitori, cioè dei soci che non pagano nei tempi previsti i loro acquisti, dimostra un continuo aumento dei quantitativi di merce venduta dal momento che il prezzo di costo, come previsto dallo statuto, viene aumentato solo del 4% e che dopo lo scoppio della guerra mondiale alcuni generi di prima necessità, come la farina, vengono distribuiti addirittura a prezzo di costo. Le inadempienze dei soci e il limitato capitale sociale versato costringono gli amministratori a contenere al minimo indispensabile le spese e, soprattutto, a dilazionare quanto più possibile il pagamento delle merci acquistate, con inevitabile aggravio di costo che praticamente vanifica i tentativi di riduzione delle spese. Il conflitto mondiale e poi l’entrata in guerra dell’Italia hanno su “L’Economica” pesanti conseguenze, dirette e indirette, che costringono l’assemblea straordinaria del 23 gennaio 1916 a deliberarne la messa in liquidazione: il continuo aumento dei prezzi rende sempre più difficile per la Cooperativa acquistare con pagamento dilazionato, soprattutto i generi di prima necessità; molti soci, qualche consigliere e il segretario amministrativo vengono richiamati alle armi, provocando così una diminuzione delle vendite e, quindi, una riduzione delle disponibilità economiche che va ad aggravare ulteriormente una situazione di cassa che, nella loro relazione all’assemblea del 30 luglio 1916, gli amministratori dicono essere stata già compromessa da un ammanco di circa 3.000 lire che imputano al commesso dello spaccio e ai troppi crediti concessi ai soci.

Capitolo 2


Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

La partecipazione dell’Italia al primo conflitto mondiale pone rapidamente fine al confronto tra interventisti e neutralisti. La guerra viene vista dai dirigenti della Lega come una prova per misurare l’efficienza del movimento cooperativo e le sue aspirazioni a rappresentare una forza economica e sociale indispensabile al paese. Alle restrizioni creditizie, all’aumento del costo dei materiali da costruzione, alle difficoltà negli approvvigionamenti, al blocco dei vecchi contratti e alla svalutazione conseguente alle vicende belliche, il movimento cooperativo reagisce con una ristrutturazione interna e cercando di inserirsi nell’apparato di mobilitazione. Soprattutto a guerra terminata questa integrazione suscita violente polemiche da parte di tutte le forze antidemocratiche e antisocialiste: liberisti, conservatori, nazionalisti e fascisti. Dal canto suo, la Lega incrementa la sua azione presso i Ministeri volta ad ottenere forniture militari (anche di materiale bellico) e avvia una ristrutturazione verticale: a Roma viene costituita la Federazione Nazionale delle Cooperative di Produzione e di Lavoro, a Milano la Federazione Nazionale delle Cooperative di Consumo e a Bologna la Federazione Nazionale delle Cooperative Agricole con lo scopo di consentire alle società aderenti di superare i caratteri di isolamento e di dispersione, caratteristici della cooperazione italiana, svincolandosi dal mercato locale. Altro elemento di novità caratteristico di questo periodo è il rapporto privilegiato che il movimento cooperativo riesce ad avere con gli Enti locali, soprattutto con quelli amministrati da socialisti. Oltre alle tradizionali misure di calmiere, tale rapporto induce a richiedere anche un ruolo attivo degli Enti locali stessi nel settore dell’approvvigionamento e del consumo, soprattutto per i generi di prima necessità, attraverso la costituzione di enti annonari, consorzi misti e aziende autonome capaci non solo di provvedere agli ammassi e alla distribuzione, ma anche di incidere sul mercato contenendo. Nel dopoguerra, sotto la spinta della crescita del movimento operaio organizzato e della crisi economica, il movimento cooperativo registra un’ulteriore crescita quantitativa e una ristrutturazione interna in qualche modo indotta dalla trasformazione della società italiana in società di massa che richiedeva strumenti di intervento e di aggregazione sociale diversi da quelli usati nel periodo liberale. Il movimento cooperativo aveva acquisito caratteri di massa già prima della guerra e quindi si prestava bene a un rilancio politico e organizzativo ma i suoi rapporti con le forze politiche non potevano non risentire della loro maggiore organizzaDalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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Le vicende belliche, l’avvento e il consolidamento del fascismo in Italia

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zione. Inoltre, le altre centrali cooperative, che nel frattempo si erano costituite e consolidate (Confederazione delle Cooperative Italiane, Federazione delle Cooperative fra ex Combattenti, Sindacato Nazionale delle Cooperative, Sindacato Italiano delle Cooperative) non potevano non mettere in discussione quella sorta di monopolio di rappresentanza della cooperazione esercitata dalla Lega verso lo Stato e gli Enti locali. All’interno di questa, poi, i rapporti di forza erano ancora più a vantaggio dei socialisti, che speravano in un’imminente presa del potere, mentre nella Federazione Nazionale delle Società di Mutuo Soccorso aveva ancora una consistenza rilevante la componente monarchica, liberale e democratica. Il fatto più significativo del dopoguerra è però rappresentato dal tentativo, già avviato durante la guerra e consolidato nel 1919-1920, di superamento dei caratteri corporativi e dispersivi propri della cooperazione italiana: il fattore consortile, che prima della guerra – spesso in ottemperanza alle disposizioni di legge – svolgeva soprattutto una funzione di sostegno e di raccordo, nel dopoguerra diviene una struttura aziendale di secondo livello di cui esemplare è l’esperienza del COMI (Consorzio Operaio Metallurgico Italiano)1. La diffusione dei consorzi e delle affittanze collettive, la costituzione degli enti e delle aziende municipali di consumo e delle case popolari, alimenta in molti settori socialisti, soprattutto riformisti, la speranza che fosse possibile costituire una sorta di demanio nazionale nei settori chiave dell’economia per affidarne poi la gestione al movimento cooperativo. Obiettivo dei gruppi dirigenti nazionali era quello di incanalare la crescente protesta sociale entro un piano istituzionale. La politica dei governi del dopoguerra (Nitti e Giolitti) per quanto riguarda produzione e distribuzione di generi alimentari, lavori pubblici, credito agrario e colonizzazione interna, favorisce il movimento cooperativo e tenta di ridefinire il contesto istituzionale entro il quale coinvolgerlo nelle strutture statali e nella politica governativa. Del resto, partendo dal presupposto della crisi dell’ordinamento liberista, la Lega puntava ad avviare un’integrazione tra cooperazione, municipalismo e strutture statali: la soluzione dei problemi posti dalla smobilitazione e dalla riconversione era già stata individuata nell’aumento della capacità produttiva e nel rilancio dell’intervento pubblico coordinato con l’organizzazione cooperativa. Al raggiungimento di questi obiettivi doveva essere funzionale la ristrutturazione orizzontale e verticale, cioè la creazione di consorzi, di enti annonari e delle federazioni nazionali delle cooperative di consumo, agricole e di produzione e lavoro. Questo progetto non fu né favorito dalle lacerazioni indotte dalla guerra né dalle divergenze sorte nel dopoguerra tra la dirigenza della Lega, la direzione massimalista del Partito Socialista e le rispettive basi dei due movimenti, che, anche per 1

Sul COMI in generale e i suoi rapporti con il Ternano, cfr. Direzione d’Artiglieria della Fabbrica d’Armi di Terni, Progetto di cessione di parte della Fabbrica d’Armi di Terni al Consorzio Operaio Metallurgico, Terni 1921; Consorzio Operaio Metallurgico, Torino [1923]; Il movimento industriale dell’Umbria. Il Consorzio Operaio Metallurgico Italiano, in “Rivista dell’Economia Umbra”, 37, 3, 10 marzo 1925 e Gianni Bovini, La cooperazione di produzione e lavoro a Terni (1883-1922), in Studi sulla cooperazione, a cura di Gianni Bovini e Renato Covino, Protagon, Perugia 1990, pp. 100-114 (e relative note).

Capitolo 3


le conquiste economiche del proletariato [...] dal settore produttivo agli scambi, alla finanza e alla distribuzione, secondo un piano di transizione al socialismo basato sulla trasformazione delle basi reali dell’economia e dello Stato2. 2

Zeffiro Ciuffoletti, Dirigenti e ideologie del movimento cooperativo, in Guido Bonfante, Zeffiro Ciuffoletti, Maurizio degl’Innocenti e Giulio Sapelli, Il movimento cooperativo in Italia. Storia e problemi, a cura di Giulio Sapelli, Einaudi, Torino 1981, p. 169.

Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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l’influenza esercitata dalla rivoluzione russa, andava maturando una forte aspettativa verso una modifica profonda della società italiana: non a caso, al XIII congresso della Lega (luglio 1918) i cooperatori di ispirazione repubblicana democratica, i riformisti bissolatiani e i cattolici avviano un processo scissionistico. In concomitanza con la costituzione del Partito Popolare, e dopo quella della Confederazione Italiana dei Lavoratori (1918), i cattolici danno vita alla Confederazione delle Cooperative Italiane (cui aderisce anche la Federazione Italiana delle Casse Rurali) all’insegna del motto “lavoro, concordia e ordine”. La Confederazione concretizza le aspirazioni dei cooperatori cattolici ad avere rappresentanza nell’apparato statale ed è portatrice dell’aspirazione a svolgere un ruolo importante nella pacificazione sociale grazie a una concezione interclassista e apolitica della cooperazione che trova poi riscontro nelle correnti corporativiste del dopoguerra. I liberali, anche se ridimensionati, sono ancora attestati nel settore del credito e nei consorzi agrari, che avevano integrato gli acquisti collettivi con sempre maggiori compiti di intermediazione nelle vendite e nel credito e con la produzione diretta di materie per l’agricoltura. Nel dopoguerra le iniziative del governo a favore degli impiegati statali e degli ex combattenti hanno carattere burocratico-paternalista: nel 1918 viene costituito l’Istituto dei Consumi per gli Impiegati dello Stato e poi l’Opera Nazionale ex Combattenti. A molti smobilitati, soprattutto nel Sud, la cooperazione sembra lo strumento più efficace per ottenere i favori promessi dalle classi dirigenti durante la guerra. Il successo del Partito Socialista alle elezioni politiche del 1919, che pure porta in Parlamento un gran numero di dirigenti del movimento cooperativo, fa definitivamente declinare l’aspirazione della Lega a dirigere il movimento operaio e le organizzazioni sociali. Turati, sollecitato dalla crisi economica generale, modifica la sua posizione scettica fino a vedere nel movimento cooperativo lo strumento capace di consentire la piena utilizzazione delle risorse economiche nazionali e la partecipazione dei lavoratori alla direzione economica del paese. In questo senso viene visto anche il movimento dell’occupazione delle fabbriche, che sembrava quasi la naturale trasformazione del sindacato da strumento di lotta a strumento per la gestione diretta della produzione su basi cooperativistiche. Del resto, le positive esperienze cooperativistiche in settori fondamentali come quello edile e quello metallurgico testimoniavano in modo inconfutabile la forza della cooperazione e la capacità degli operai di realizzare strumenti di autogestione, rilanciando così la necessità di un’intesa della Lega con la Confederazione Generale del Lavoro in modo da estendere

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La conclusione dell’esperienza dell’occupazione delle fabbriche e la sempre più grave crisi economica, aggravata dalla dipendenza dell’Italia dal mercato internazionale e dall’inflazione, oltre a dimostrare l’incapacità del Partito Socialista a fornire soluzioni alle lotte, finisce con il ridurre gli spazi di manovra all’ipotesi riformista e orienta gli esponenti dei centri di potere economico e finanziario verso un tentativo di normalizzazione autoritaria dei rapporti di classe. Nel 1920 vengono costituiti la Federazione Italiana delle Cooperative fra Combattenti e il Sindacato Nazionale delle Cooperative, che rappresentano un punto di coagulo di tutte le istanze antisocialiste e apartitiche e creano le condizioni per una potenziale base di massa alla cooperazione fascista. Nel Sindacato, che si prefigge statutariamente di riunire nelle stesse mani capitale e lavoro, confluiscono sindacalisti rivoluzionari in polemica con il Partito Socialista, “laburisti” bissolatiani, “neutralisti” mazziniani, repubblicani romagnoli, esponenti del cooperativismo meridionale e delle province ex irredente ma soprattutto sostenitori del combattentismo. Dalla prima offensiva del Sindacato, rivolta contro l’Istituto di Credito per la Cooperazione, accusato di favorire la Lega, prevede il via un attacco contro il movimento cooperativo socialista da parte di esponenti politici (fra cui, dopo la scissione del 1921, anche i comunisti) seguiti dalla grande stampa e dalle violenze fasciste.

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Mentre la campagna di stampa contro il movimento cooperativo spezzava la solidarietà che in altre occasioni la cooperazione aveva ottenuto anche presso la piccola borghesia, l’azione dei fascisti si esplicava da una parte nella violenza squadristica contro le strutture e i dirigenti del movimento, dall’altra nell’organizzazione del consenso su obiettivi “positivi” e di “ricostruzione”. In quest’opera svolse un ruolo importante il Sindacato Nazionale delle Cooperative, irrobustito dopo il patto di alleanza sancito alla fine del 1920 con la potente Federazione delle Cooperative fra ex Combattenti [...]. L’azione diretta, il produttivismo di orientamento liberista e nazionale, la polemica antidemocratica contro il parlamentarismo, la visione corporativa e gerarchica della società, l’antisocialismo, portarono questo movimento a perseguire una politica assai vicina a quella dei nazionalisti e dei fascisti, fornendo all’opera di “ricostruzione”, da questi intrapresa dopo l’andata al potere di Mussolini, tutta una serie di quadri assai sperimentati nella direzione tecnica e nella mobilitazione del consenso3.

Gli strumenti creati dai fascisti per un intervento diretto nel movimento cooperativo sono quasi inconsistenti finché nell’aprile 1921 non viene costituito il Sindacato Italiano delle Cooperative di Produzione e di Consumo (presieduto da Gaetano Postiglione), il quale, alle strette dipendenze del Partito Fascista, rappresenta il nucleo originario della cooperazione fascista grazie alla convergenza in esso di tutte le istanze antisocialiste e politicamente “neutre”. Il consolidamento della cooperazione fascista fu comunque possibile solo dopo che i fascisti collocarono un loro rappresentante alla direzione dell’Istituto Nazio-

3

Ivi, pp. 180-181.

Capitolo 3


nale di Credito per la Cooperazione, che oltre a erogare finanziamenti garantiva contatti con tutti i settori della cooperazione. Contemporaneamente, gli squadristi procedevano all’attacco e alla distruzione delle cooperative rosse, soprattutto dopo le elezioni amministrative del 1920 e nella primavera del 1921. Per prima viene colpita la cooperazione rurale, poi quella urbana, e, in particolare, quella di consumo. Oltre che con la violenza, la conquista delle cooperative avvenne anche con il pretesto del risanamento e dell’iscrizione al Sindacato Italiano, mentre gli organismi più complessi, come i consorzi, vengono fascistizzati.

Mentre il movimento cooperativo socialista aveva puntato a una graduale conquista dal basso dello Stato, il Partito Fascista inserisce la cooperazione nel regime con un’operazione di vertice e burocratizzando il movimento. Nella fase di “normalizzazione”, che dura fino al 1925, ai vertici del movimento vengono collocati dirigenti di provenienza fascista. La cooperazione di lavoro, settore caratteristico del movimento in Italia, che si era sviluppato anche grazie al sistema di potere creato dal riformismo con il coordinamento fra politica dei lavori pubblici e potere locale, viene invece quasi completamente annientato. Nell’ottobre 1922 la Commissione Centrale delle Cooperative viene posta sotto il controllo del ministro del Lavoro e le vengono affidati i compiti dell’abolita Commissione Centrale di Revisione delle Cooperative (istituita nel 1920); inoltre, il governo nomina Paolo Terruzzi alla carica di presidente dell’Istituto Nazionale di Credito per la Cooperazione. Quest’azione accentratrice, accompagnata sul piano ideologico dal recupero in chiave nazionalista e statalista dell’‘aclassismo’ del cooperativismo mazziniano, fu seguita da una successiva operazione di controllo estesa a tutto il movimento cooperativo, con la progressiva azione di annientamento diretta anche contro il cooperativismo cattolico5.

La proposta dell’Istituto, accolta favorevolmente dalla Lega e dalla Confederazione cattolica, per unificare il movimento cattolico è il preludio della creazione dell’Ente Nazionale per la Cooperazione. Mentre la Lega viene sciolta dal prefetto di Milano, l’Ente viene riconosciuto come unico rappresentante delle cooperative e, nel 1926, come istituto di diritto pubblico. Tuttavia i problemi posti dall’inquadramento del movimento cooperativo nel sistema corporativo si rivelarono ben presto di difficile risoluzione, sia sul pianto teorico che isti4 5

Ivi, pp. 181-182. Ivi, p. 183.

Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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Non a caso l’azione fascista contro la cooperazione mirava a decapitare il movimento e a disaggregare l’istanza associativa da quella ideale e politica del movimento di classe per poi procedere alla ristrutturazione in senso gerarchico e cooperativo nel conteso di una politica di occupazione violenta, prima, e burocratica, poi, delle strutture tradizionali del movimento operaio4.

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tuzionale, in quanto la cooperazione si configurava prevalentemente come forma associativa che raggruppava elementi di una sola classe e, quindi, si poneva in contrasto con l’ideologia interclassista, propria del corporativismo6.

Il decreto del marzo 1931, che dà l’ordinamento istituzionale definitivo all’Ente, inquadrando le cooperative in Federazioni di categoria, fa cadere qualsiasi rivendicazione di autonomia e realizza il disegno dell’integrazione subalterna e burocratica della cooperazione alle forze economiche dominanti. La cooperazione fu costretta ad adeguarsi al nuovo sistema e al nuovo quadro istituzionale. Anzi, l’organizzazione cooperativa, benché priva della sua “anima” democratica e socialista, continuò a vivacchiare anche sotto il regime ed ebbe anche un certo sviluppo, specialmente in quei settori in cui essa poteva crescere in funzione subalterna o “integrativa” allo sviluppo capitalistico7.

Questo è sicuramente quanto avviene a Terni, dove molte cooperative di consumo sorte durante il periodo bellico e nel primo dopoguerra sembra che non riescano nemmeno ad avviare la loro attività nel corso degli anni venti, periodo in cui molte cessano la loro attività, pochissime vengono costituite eppure alcune riescono a continuare la loro attività ben oltre il secondo dopoguerra.

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Lo sviluppo del movimento cooperativo nel periodo bellico, lo squadrismo e l’affermazione del fascismo in Umbria e a Terni

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In Umbria, e a Terni in particolare, la prima guerra mondiale determina dapprima una crescita e poi, a conflitto terminato, una sensibile riduzione dell’occupazione e una ristrutturazione dell’apparato industriale. Nuove aziende vengono costituite soprattutto nel settore meccanico, ma sono i comparti minerario (lignite), siderurgico e chimico quelli maggiormente coinvolti nello sforzo bellico. Questo coinvolgimento si traduce in un sensibile incremento delle produzioni e dell’occupazione, nonché della popolazione nei centri industriali e a Terni in particolare. “Tutto ciò induce i nuclei ‘modernizzatori’ della classe dirigente locale a pensare che il dopoguerra avrebbe potuto rappresentare il momento del decollo della struttura manifatturiera umbra”8, non sembrando possibile un’ulteriore crescita della produzione e del reddito dell’agricoltura. Il movimento socialista e operaio, fino a quel momento sostanzialmente stabile, con un Partito Socialista caratterizzato come partito urbano, operaio e popolare, le cui figure di spicco sono di estrazione cittadina e borghese, nel dopoguerra conosce una

6 7 8

Ivi, p. 185. Ivi, p. 186. Renato Covino, Dall’Umbria verde all’Umbria rossa, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria, a cura di Renato Covino e Giampaolo Gallo, Einaudi, Torino 1989, p. 553.

Capitolo 3


Le cooperative di consumo cattoliche in Umbria e in Italia

Fonte: per il 1910 MAIC, Le organizzazioni operaie cattoliche in Italia, a cura di M. Chiri, Roma 1911, p. 169 e Antonio Casali, Dalla Società di Mutuo Soccorso fra gli Artisti e gli Operai di Perugia alla Coop Umbria (1868-1988). Centoventi anni di cooperazione di consumo in Umbria, Coop Umbria, Perugia 1988, p. 16; per gli altri anni R. Viglione, La Federazione Nazionale delle Cooperative di Consumo. Le sue ragioni. La sua storia, in “La Rivista della Cooperazione”, IV, agosto-settembre 1924, pp. 149-158 e Casali, Dalla Società di Mutuo Soccorso cit., p. 23.

crescita impetuosa: le 36 sezioni con 1.001 iscritti del 19149 diventano 45 con 2.046 tesserati nel 1919 e 81 con 4.903 iscritti nel 1920, grazie soprattutto a una crescita nei centri minori e in quelli con minore tradizione organizzativa10, anche se la maggior parte del gruppo dirigenti continua ad essere inevitabilmente di estrazione urbana11. Analogo lo sviluppo del movimento cooperativo (di cui si dirà nel paragrafo successivo) e di quello sindacale, non solo di quello socialista e anarco-sindacalista, ma anche delle “organizzazioni isolate”12 e di quelle cattoliche. Alle elezioni politiche del 1919 ciò consente al Partito Socialista di raggiungere il 9 10 11 12

Ivi, p. 555. Ivi, p. 557. Ivi, p. 559. Ibidem.

Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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* Nel 1910 le cooperative umbre hanno 209 soci e quelle italiane 26.397. * Nel 1920 si contano in Umbria anche 7 cooperative di consumo tra mutilati e invalidi di guerra (con 934 soci) e 717 in Italia (con 42.994 soci) (fonte: A. Mammarella, La cooperazione e gli invalidi di guerra, Roma s.d., p. 35).

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50,9% dei suffragi, grazie soprattutto al determinante contributo delle zone rurali e dei centri minori, e di eleggere al Parlamento cinque deputati, tra cui Pietro Farini. Questi risultati inducono il vecchio blocco di potere, le forze moderate e conservatrici, a riorganizzarsi nel timore di essere sostituite da forze politiche espressione di settori sociali popolari. Il 5 febbraio 1920 liberali, democratici, repubblicani, riformisti e nazionalisti costituiscono a Perugia l’Unione Sindacale del Lavoro, un’associazione para-sindacale con forti istanze corporative che però non ha grande successo. Fino all’inizio del 1921 anche l’organizzazione dei fasci di combattimento è ancora non strutturata (al febbraio sono presenti solo a Terni, Spoleto, Marsciano e Tuoro sul Trasimeno) e solo l’azione squadrista garantisce al fascismo il riconoscimento come forza politica13 e indiscutibili risultati alle elezioni politiche del giugno 1921, che ribaltano i risultati di quelle del 1919: i moderati, grazie al contributo dei fascisti e dei combattenti, salgono dal 22,6% al 52,6%, mentre il Partito Socialista scende dal 50,9% al 25,4%, sebbene a livello nazionale la flessione sia solo del 3%14:

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Con le elezioni del giugno 1921 inizia il processo di dissoluzione dell’organizzazione socialista e operaia nella regione. Rapidamente le Giunte rosse vengono commissariate. [...]. I vecchi gruppi dirigenti accorrono in massa sotto le bandiere del nuovo movimento che nel frattempo si è trasformato in Partito15.

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Terni e Papigno sono gli unici due comuni che, a livello di Amministrazione e di organizzazioni sindacali e operaie, riescono a resistere al fascismo almeno fino all’agosto-settembre 1922 (anche grazie ai circa 500 aderenti agli Arditi del Popolo)16, fino a quando l’1 settembre alcune migliaia di squadristi approfittano della serrata in corso all’Acciaieria dal giugno per irrompere a Terni e attribuirsi il merito di una soluzione manu militari della vertenza in corso. In realtà, la soluzione era stata concordata con una direzione aziendale interessata a mantenere le commesse statali, a vedersi ridotte le tasse sui sovraproffitti di guerra e a sottrarre gli operai all’influenza dei “partiti estremi”17. I fascisti, infatti, erano diventati “visibili” a Terni solo il 26 aprile 1921, quanto Alfredo Misuri tiene il loro primo comizio elettorale e arriva in città la squadra perugina “disperatissima”18. Ci furono feriti, fu incendiata la Camera del Lavoro Sindacale e la sede della Sezione Socia-

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18

Covino, Dall’Umbria verde all’Umbria rossa cit. (a nota 8), p. 564. Ivi, p. 565. Ivi, p. 569. Sugli Arditi del Popolo cfr. Eros Francescangeli, Arditi del Popolo. Argo Secondari e la prima organizzazione antifascista (1917-1922), Odradek, Roma 2000, in particolare p. 177. Sull’ascesa al potere del fascismo e la Società Terni e, in particolare, la vertenza qui ricordata, cfr. Renato Covino, Classe operaia, fascismo, antifascismo a Terni, in Gianfranco Canali, Terni 1944. Città e industria tra liberazione e ricostruzione, con un saggio introduttivo di Renato Covino, Amministrazione Comunale Terni, ANPI Terni, Terni 1984, pp. 20-25, in particolare pp. 23-24. Alessandro Portelli, Biografia di una città. Storia e racconto: Terni 1830-1985, Einaudi, Torino 1985, p. 152.

Capitolo 3


lista, furono devastati i locali della Cooperativa “la Concordia”, mentre in precedenza era stata incendiata la tipografia dove si stampava “la Turbina” settimanale socialista di Terni. La stessa cosa avvenne a Piediluco, a Marmore, a Papigno e a Collescipoli19.

A Papigno, però, si hanno “gli unici momenti di resistenza di massa al fascismo nel Ternano. […] Lo scontro più memorabile avviene il 15 maggio 1921, giorno delle elezioni amministrative”20 . Ricorda Pietro Farini nel suo diario: Mentre cenavo vennero a trovarmi alcuni tranvieri. Erano costernati. Mi raccontarono che nel pomeriggio i fascisti erano saliti a Papigno per una spedizione punitiva ma che, accolti da una fitta grandine di sassi e dall’acqua bollente lanciata dalle donne dalle finestre, erano stati costretti a fuggire21.

Di Papigno, i fascisti ternani e quelli dell’Umbria, in genere avevano decretato la distruzione [...] con giuramento solenne richiesto a oltre mille fascisti. In occasione del raduno del primo settembre 1922 per la vertenza delle Acciaierie, tornano all’attacco23. […] “’Arrivarono giù co’ li cami, lì Borgo Bovio, dove sta la strada che va su la ferrovia […]’ Dopo aver bruciato la Camera Sindacale, la Sezione Socialista, una Cooperativa [forse L’Economica di Borgo Bovio], i fascisti si presentano ‘fanfare e bandiere in testa’ davanti all’Acciaieria”24. […] “Il giorno dopo, ‘con azione belluina e patriottica’, la Disperatissima compie un raid lungo la Valnerina”25. […] “’Qui c’erano le case popolari, c’era la Cooperativa [l’Unione Cooperativa della Valnerina], insomma bruciarono tutti” [sic!] (Dante Bartolini)26.

Distrutta così la combattiva Unione Cooperativa della Valnerina, a Papigno rimangono in attività altre cinque Società, tutte costituite nel 1919: la Esercenti, Com19

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Ezio Ottaviani, Il Comune di Terni tra il 1920 e il 1922. L’Amministrazione socialista, Comune di Terni, CESTRES, Edizioni Galileo, Terni 1987, p. 48. Portelli, Biografia di una città cit. (a nota 18), p. 163. Pietro Farini, In marcia con i lavoratori, a cura di Angelo Bitti, CRACE, Perugia, in corso di stampa. Continua Farini: “Però volevano vendicarsi nella notte stessa tornando a Papigno per assalir me nella mia casa”. Angelo Bitti, infatti, in nota a questo episodio, scrive che dapprima durante la campagna elettorale del 1921, poi alla fine del luglio 1921 e ancora il 4 novembre 1922, Farini, la sua casa e la sua farmacia subirono la violenza fascista (ivi). Ibidem. Portelli, Biografia di una città cit. (a nota 18), p. 164. Ivi, p. 152. Ibidem. Portelli, Biografia di una città cit. (a nota 18), p. 153.

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Angelo Bitti, nelle note da lui redatte al ricordato “diario” del dirigente del movimento operaio ternano afferma che l’episodio ricordato da Farini è uno dei più importanti tra quelli di resistenza alle violenze squadriste nel Ternano: nel pomeriggio del 15 maggio 1921, giorno delle elezioni politiche, un gruppo di fascisti ternani, di ritorno da Piediluco, decide di entrare a Papigno, come alcuni giorni prima avevano fatto degli squadristi perugini, ma solo l’intervento della forza pubblica limita a sei il numero dei loro feriti22.

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mercianti e Industriali di Papigno27, l’Unione Cooperativa di Consumo tra il Personale della Società Carburo e il Circolo Familiare Economico Vallecaprina (di cui si conserva solo l’atto costitutivo), La Rinascente (che resta in attività almeno fino al 1928) e la Cooperativa Famiglia e Lavoro (messa in liquidazione nel 1932). Indipendentemente dal Ternano, però, i primissimi anni venti vedono la ripresa dei ceti dirigenti tradizionali in tutta l’Umbria e caratterizzano il fascismo come strumento della reazione agraria. Il successo del PNF alle elezioni amministrative del gennaio 1923 sancisce questo processo che, nel 1927, si conclude con un nuovo concordato per il patto colonico che, riattribuendo al mezzadro una serie di oneri e spese, lo riportava alla situazione precedente al 1920.

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Si creò così una perfetta corrispondenza tra l’obiettivo di sbracciantizzazione, perseguito dal fascismo a livello nazionale già a partire dagli anni ’20, e il senso comune degli agrari umbri. Su ciò si baserà la loro fedeltà al regime e la forza del blocco dominante nella regione. Le scelte di politica agraria del fascismo, inoltre, e soprattutto il sostegno dato al prezzo del grano a partire dal 1925, favoriranno la tenuta delle rendite e, in parte, impediranno lo sviluppo di processi di ampio rinnovamento delle colture. E così, in cambio della sopravvivenza dell’egemonia delle classi dominanti tradizionali, anche chi aveva pensato a uno sviluppo economico della regione di tipo diverso si schierò in difesa degli interessi costituiti. Il caso più emblematico è quello di Carlo Faina, sostenitore dell’industrializzazione dell’Umbria nel 1921, che nel 1925 finirà con l’accettare e sostenere l’immagine della regione contro cui si era battuto: quella di terra pacificata, santa, le cui bellezze naturali e artistiche e la feracità dei campi si coniugano in un equilibrio che si pretende perfetto28.

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Le elezioni politiche dell’aprile 1924 ribadiscono il successo del PNF e, ovviamente, il crollo dei partiti operai (dal 25,4% del 1921 al 12,8%), del Partito Popolare (dal 16,4% del 1921 al 3,4%) e del Partito Repubblicano (dal 5,6% del 1921 al 2,2%)29. Nonostante questo consenso, dovuto anche a una consistente espansione organizzativa, il fascismo umbro è caratterizzato da una serie di contraddizioni e diverse sensibilità che danno luogo a conflitti interni e, come nel caso Ternano, a divergenze, anche profonde, con i vertici nazionali e le loro scelte strategiche. In particolare, a Terni Elia Rossi Passavanti, deputato e capozona dei Fasci del Circondario, nonostante la sua “promozione” a podestà di Terni e poi a segretario del Fascio Provinciale, appoggia i proprietari terrieri che vedono nella cessione alla Società Terni del completo controllo e utilizzo delle risorse idriche del bacino idrografico del Nera e dei suoi affluenti (Corno, Vigi, Velino, ecc.) una potenziale limitazione al loro diritto all’uso delle acque a scopo irriguo.

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La documentazione relativa a questa Società, pure consultata presso l’archivio del Tribunale Civile di Terni nel corso della ricerca coordinata dall’Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea (ISUC) per conto della Lega Regionale delle Cooperative e Mutue confluita nel volume Studi sulla cooperazione cit. (a noa 1), non è stata rintracciata nell’archivio depositato dallo stesso Tribunale presso la Camera di Commercio di Terni. Covino, Dall’Umbria verde all’Umbria rossa cit. (a nota 8), p. 574. Ivi, p. 575 e tabella 7 a p. 576.

Capitolo 3


La Terni Società per l’Industria e l’Elettricità (meglio nota come Società Terni tout court) era sorta alla fine del 1922 dalla fusione nella SAFFAT della Società Carburo per dare vita a un’impresa polisettoriale che integrava impianti siderurgici, elettrochimici, idroelettrici, miniere di lignite, una cementeria e una fabbrica di laterizi secondo un’organizzazione industriale che rimase sostanzialmente immutata fino ai primi anni sessanta, cioè fino al suo smembramento, imposto dalla nazionalizzazione degli impianti elettrici30. Proprio la necessità della Società Terni di entrare nel redditizio settore della fornitura di energia elettrica alle imprese distributrici spiega la sconfitta degli esponenti del fascismo locale: i dirigenti della Società ottengono l’approvazione del loro piano industriale perché assicurano il mantenimento della siderurgia bellica, indispensabile per sostenere almeno la propaganda della sicurezza militare del paese. L’1 dicembre 1927, infine, il Comune firma con la Società Terni una convenzione che le assicura mano libera nello sfruttamento delle acque in cambio della costruzione di 1.500 alloggi (con 5.000 vani) per operai, dell’assunzione dell’Azienda Elettrica Municipale e della tramvia Terni-Ferentillo31. Così,

Il processo di saldatura tra i ceti dominanti delle città iniziato dopo le elezioni amministrative del 1923 si rafforza nei due decenni successivi in tutta l’Umbria con la sola eccezione di alcuni grandi comuni come, ad esempio, Narni e Terni. Qui si ha un susseguirsi di amministrazioni podestarili e di gestioni commissariali indice indiretto degli strascichi lasciati dalla contrapposizione tra Elia Rossi Passavanti, le gerarchie fasciste locali e quelle nazionali, ma anche evidente conferma della capacità della Società Terni di determinare e condizionare, grazie alle sue numerose attività industriali, tutti gli aspetti della vita cittadina. Questa forte presenza è ben chiara agli stessi responsabili del PNF: il 3 novembre 1935 l’ispettore Fausto Bianchi scrive ad Achille Starace:

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Sulle vicende e il programma industriale della SAFFAT che portano alla nascita della Società Terni cfr. Franco Bonelli, Lo sviluppo di una grande impresa in Italia. La Terni dal 1884 al 1962, Einaudi, Torino 1975, in particolare pp. 128-188. Sulle vicende della Società Carburo e dei suoi impianti produttivi cfr. Archeologia industriale e territorio a Terni. Siri Collestatte Papigno, a cura di Gianni Bovini, Renato Covino e Michele Giorgini, documentazione fotografica di Elio Benvenuti, Electa, Milano 1991, in particolare pp. 111-280, soprattutto per gli stabilimenti di Collestatte e Papigno. Sulla tramvia cfr. Adriano Cioci, La tranvia Terni - Ferentillo, Kronion, Bastia Umbra 1989. Covino, Dall’Umbria verde all’Umbria rossa cit. (a nota 8), p. 580. Sulla costituzione della Provincia di Terni cfr. Dal decentramento all’autonomia. La Provincia di Terni dal 1927 al 1997, a cura di Renato Covino, Provincia di Terni, Terni 1999.

Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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Iniziò la tutela del grande gruppo industriale sulla città nel suo complesso. La [Società] Terni diverrà infatti negli anni seguenti il vero centro propulsore della vita economica e sociale cittadina, il tramite della politica di compressione delle spinte sociali e di costruzione del consenso voluta dal regime, mentre la classe dirigente locale vedrà decadere il proprio ruolo. Contemporaneamente le autorità centrali, attraverso la costituzione della Provincia di Terni, tenderanno ad aumentare il controllo sulle amministrazioni locali, offrendo motivi di soddisfazione dell’orgoglio municipalistico32.

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Gli spacci della Società Terni negli anni trenta

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Fonte: Terni - Società per l’Industria e l’Elettricità. Anonima. Sede in Roma. 1884-1934, Barberino e Graeve, Genova 1934, p. 225.

Capitolo 3


Fonte: Archivio Storico ThyssenKrupp (immagine pubblicata in Terni - Società per l’Industria e l’Elettricità. Anonima. Sede in Roma. 1884-1934, Barberino e Graeve, Genova 1934).

La mensa della Società Terni in viale Brin

Fonte: Terni - Società per l’Industria e l’Elettricità, Dopolavoro, assistenza di fabbrica, assistenza sanitaria, Stab. Alterocca, Terni 1937. Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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Lo spaccio alimentare della Società Terni nell’originaria sede di viale Brin, accanto alla mensa

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Interno dello spaccio alimentare della Società Terni nell’originaria sede di viale Brin, accanto alla mensa

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Negli spaccio della Società Terni gli utenti fanno la fila davanti al bancone e solo pochi alla volta possono accedere al locale con la merce esposta: sono gli addetti che la prelevano dagli scaffali e la collocano in un carrello di legno che l’utente spinge verso la cassa. Fonte: Archivio Storico ThyssenKrupp.

Le foto della pagina seguente riproducono lo spaccio della Società Terni negli anni ‘30: l’unica innovazione rispetto alla sede di viale Brin sembrano essere i carrelli per la spesa, ora in metallo e muniti di ruote per poter essere facilmente riportati indietro utilizzando un piano sottostante a quello in vista. Capitolo 3


Fonte: Archivio Storico ThyssenKrupp (immagini pubblicate in Terni - Società per l’Industria e l’Elettricità, Dopolavoro, assistenza di fabbrica, assistenza sanitaria, Stab. Alterocca, Terni 1937).

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Lo spaccio alimentare della Società Terni negli anni trenta

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La [Società] Terni, complesso capitalistico imponente, invade la città intera, poiché non molte sono le famiglie che attraverso qualcuno dei loro non abbiano rapporti con [essa]. È opinione quasi concorde di coloro che ho interrogato non esservi uomo finora che nella vita politica e amministrativa salga, duri o precipiti senza l’occhiuto volere della [Società] Terni. Se anche ciò è esagerato, è però sintomo di uno stato d’animo33.

Quantitativamente, ciò si traduce, all’inizio degli anni trenta, in una Società Terni che eroga oltre il 70% del totale delle retribuzioni operaie34.

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Si rende così inevitabile da parte del regime la delega alla [Società] Terni della gestione della città, sulla scia di quanto avvenuto nel 1927 con la cessione da parte del Comune dei diritti sul Nera-Velino. Il gruppo industriale costruisce case, villaggi operai, strutture dopolavoristiche e ricreative, lo stadio, gestisce spacci aziendali, biblioteche, attività sanitarie e servizi di ogni genere. L’insieme della vita operaia, e perciò la gran parte di quella cittadina, viene regolato dai ritmi aziendali in un connubio di paternalismo e repressione che investe non solo il tempo di lavoro, ma tutto il tempo di vita dei lavoratori. Come recita la didascalia di una pubblicazione del Dopolavoro della [Società] Terni a proposito di una gita aziendale: “Oggi gentile fraternità senza distinzioni di classi e di categorie; domani tutti al lavoro ognuno al suo posto”35.

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Per quanto riguarda i salari, va però tenuto presente che, dal 1922, il valore dei salari reali diminuisce in modo consistente a causa della politica sindacale fascista, dell’inflazione, della congiuntura internazionale e delle politiche liberiste. “Quota 90” e la svolta deflattiva del 1927-1928 impongono il contenimento del valore delle retribuzioni e continue riduzioni del costo del lavoro fino all’inizio degli anni trenta36. Renato Covino ha rilevato come negli anni dal 1921 al 1936 si conferma il dato nazionale di compressione, caduta e stagnazione dei salari; la ripresa si ha solo nel 1937, grazie agli aumenti stabiliti dal regime. Va detto, però, che la flessione dei salari coincide con un calo degli indici del costo della vita conseguente al crollo dei prezzi dei generi alimentari, almeno per gli anni dal 1927 al 193637. Ma se quanto avviene a livello locale per le retribuzioni corrisponde a quanto

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ACS, Partito Nazionale Fascista. Situazione politica ed economica delle province, b. 24, fasc. “Terni”, relazione sulla situazione di Terni, 3 novembre 1930. Sulle vicende socio-economiche e politiche del Ternano nel periodo qui considerato cfr. i lavori di Renato Covino: Classe operaia, fascismo, antifascismo a Terni cit. (a nota 17), Dall’Umbria verde all’Umbria rossa cit. (a nota 8) e Il Fascismo, in Storia illustrata delle città dell’Umbria, a cura di Raffaele Rossi, Terni, a cura di Michele Giorgini, Sellino, Milano 1994, pp. 523-534. Covino, Dall’Umbria verde all’Umbria rossa cit. (a nota 8), p. 587. La citazione è tratta da Terni Società per l’Industria e l’Elettricità, Dopolavoro, assistenza di fabbrica, assistenza sanitaria, Terni 1937, p. 60. Cfr. F.M., L’economia umbra nei rapporti della valutazione della moneta, in “Rivista dell’Economia Umbra”, XXXIX, 6, giugno 1927; Vera Zamagni, La dinamica dei salari nel settore industriale, in L’economia italiana nel periodo fascista, a cura di Paolo Ciocca e Gianni Toniolo, il Mulino, Bologna 1976; Bruno Buozzi, La condizione della classe lavoratrice durante il fascismo, a cura di Annamaria Andreasi, in “Annali Feltrinelli”, XIV, 1972, Milano 1973; Angelo Mortara, Osservazioni sulla politica dei “tagli salariali” nel decennio 1927-36, in Industria e banca nella grande crisi del 1929-1934, a cura di Gianni Toniolo, Milano 1978. Gli indici del costo della vita sono riportati nel “Bollettino del Consiglio Provinciale dell’Economia di Terni”, dal 1930 “Bollettino del Consiglio Provinciale dell’Economia Corporativa di Terni”.

Capitolo 3


avviene in ambito nazionale, è più caratteristico il ruolo della grande industria, grazie ai meccanismi di controllo che riesce ad attivare anche sugli aspetti extralavorativi della vita dei propri dipendenti. Mentre a livello nazionale la disciplina del lavoro era delegata alla direzione delle imprese e la mediazione sociale era svolta dagli esponenti del regime, nel Ternano è la Società Terni che svolge entrambe queste funzioni: gestisce importanti servizi pubblici (trasporti urbani ed extraurbani, illuminazione pubblica e privata) e indirizza lo sviluppo urbanistico della città costruendo isolati, quartieri e villaggi operai; inoltre, tramite il Dopolavoro, gestisce impianti sportivi (campi di calcio, bocce, tennis, pallaccanestro, velodromo, campo di tiro, piscina, sala di scherma) e ricreativi (cinema, teatri, biblioteche, piste da ballo, bar), asili, colonie, mense e spacci, nonché l’assistenza sociale e sanitaria. In questo modo, la Società Terni non solo il teatro aveva, ma anche gli spacci alimentari, e gli operai compravano tutto in questi spacci: il pane, il formaggio, gli alimentari, le scarpe, il vestito, perfino il biglietto per la rappresentazione teatrale o per il cinema. Naturalmente si segnava, poi il totale veniva trattenuto sulla busta paga, succedeva allora che gli oprai non vedevano più i soldi. Erano migliaia gli operai che non sapevano più come erano i soldi, che erano sempre in debito con la [Società] Terni. L’azienda controllava tutto, tutto quello che era l’attività della persona, dell’operaio, era controllato dalla [Società] Terni38.

Per il periodo considerato in questo capitolo gli unici dati statistici disponibili sono quelli del 1914 (risultanti da un’indagine promossa dalla Lega a livello nazionale)39 e quelli del 1920 elaborati da Walter Briganti40. Tali dati, confrontati con quelli delle indagini precedenti, evidenziano come – complessivamente – solo nel 1920 il peso del movimento cooperativo umbro su quello nazionale registra un sia pur modesto incremento, passando da una media dell’1,3% all’1,7%. A tale maggior peso contribuiscono tutte le tipologie di cooperative ma soprattutto quelle di consumo che, sia pure in flessione rispetto al 1914, quando rappresentano addirittura il 5,3% di quelle italiane, nel 1920 sono ben il 2,7%. Il periodo della prima guerra mondiale e il dopoguerra rappresentano infatti per il movimento cooperativo nella regione un periodo di grande effervescenza: in valori assoluti, il numero delle Società in Umbria cresce a un ritmo più sostenuto che non in Italia, passando dalle 104 del 1914 alle 257 del 1920 (+147%, mentre in Italia l’incremento è pari a circa il 93%: da 7.829 a 15.099 cooperative) e per la

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L’emancipazione di un proletario. Remo Righetti, a cura di Bruno Zenoni e Gianfranco Canali, Terni [1981], p. 17. Annuario statistico della cooperazione italiana, a cura della Lega Nazionale delle Cooperative, Como 1917. Cfr. Il movimento cooperativo. 1854-1925, a cura di Walter Briganti, Bologna 1976.

Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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La cooperazione in Umbria e a Terni

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prima volta, con 1 cooperativa ogni 2.560 abitanti, la diffusione territoriale regionale supera quella nazionale, che conta 1 cooperativa ogni 2.609 abitanti L’incremento più sensibile, anche rispetto alla media italiana, è quello delle “altre cooperative”, categoria residuale in cui sono state qui considerate anche quelle di credito e quelle edilizie, la cui performance è però anche dovuta al loro ridotto numero: passano infatti dalle 7 del 1914 alle 32 del 1920 (+357%, mentre in Italia registrano una flessione dell’11% riducendosi da 2.617 a 2.336). Questo sensibile incremento limita quello delle cooperative di consumo (+117%, mentre in Italia l’incremento è pari a addirittura il 342%: da 1.048 a ben 4.632 Cooperative), che, però, passando da 56 a 127, rappresentano nel 1920 ancora circa il 50% delle totale delle cooperative umbre (circa il 31% in Italia). Per quanto riguarda Terni e il periodo cronologico qui considerato, i dati disponibili confermano il trend rilevato al livello nazionale e regionale: il maggior numero di cooperative di consumo viene infatti costituito nell’ultimo anno del conflitto e nei due immediatamente successivi. Anche se nel febbraio 1922 diverse decine di società partecipano a Terni al IV congresso delle cooperative41 con il 1921 inizia un evidente declino del movimento cooperativo ben evidenziato dal fatto che nel periodo fascista vengono costituite solo tre società (2 nel 1925 e 1 nel 1927) e che solo per una di queste, quella fra gli impiegati postelegrafonici, è stato possibile rintracciare documentazione. Proprio questa Cooperativa (insieme a quella farmaceutica di Avigliano Umbro) viene portata come esempio dall’Ente Nazionale Fascista della Cooperazione (ENFC) nella sua relazione presentata a Mussolini nel 193542. Ironia della sorte, sebbene essa sia un esempio della tendenza della cooperazione fascista a deproletarizzarsi coinvolgendo i ceti medi, come si dirà più avanti, proprio in quell’anno la Cooperativa Postelegrafonici avvia le pratiche di liquidazione. In generale, le cessazioni, alte in corrispondenza degli anni con il maggior numero di costituzioni, si concentrano negli anni dal 1927 al 1935 e in quelli del secondo conflitto mondiale. Questa dinamica è confermata da una statistica condotta dall’ENFC all’1 giugno 1928: in Umbria e nel Lazio sono presenti solo 25 cooperative di consumo rispetto alle 314 del 192143. La ragione di questa consistente riduzione quantitativa è chiaramente indicata dallo stesso Mussolini nel suo discorso ai circa 20.000 dirigenti di cooperative riuniti a Roma l’11 novembre 1928 (tra di essi anche quelli della Cooperativa Famiglia e Lavoro di Papigno): Oggi voi con la vostra massa, con la vostra fede, con i vostri inni, dimostrate agli incerti, agli scettici, che la cooperazione fascista non solo in Italia esiste, ma è pienamente vitale, conscia dei suoi compiti di fronte al regime. [...]. Avete raccolto dal vecchio regime una

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Cfr. Attraverso l’Italia. Da Terni. Il congresso delle cooperative umbre, in “La Cooperazione Italiana”, XXXVII, 20 maggio 1921. Cfr. Antonio Casali, Dalla Società di Mutuo Soccorso fra gli Artisti e gli Operai di Perugia alla Coop Umbria (18681988). Centoventi anni di cooperazione di consumo in Umbria, Coop Umbria, Perugia 1988, p. 29 e note 90-91 a p. 36. Ivi, p. 28 e nota 88 a p. 36.

Capitolo 3


Peso della cooperazione umbra (compreso il Reatino) su quella italiana

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Cooperative in Umbria (compreso il Reatino) e in Italia

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Dinamica delle cooperative umbre (compreso il Reatino)

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Dinamica delle cooperative italiane

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Capitolo 3


eredità pesante: c’erano uomini che bisognava eliminare, sistemi che non andavano più. Questo lungo, penoso e faticoso travaglio è ormai compiuto: oggi la cooperazione è fascista negli uomini, nei metodi e negli scopi: ed esiste nella sua triplice forma di cooperazione della produzione, del lavoro e del consumo. Nel momento attuale [...] c’è posto per tutte le attività, e come la grande industria non esclude la piccola e media industria e non esclude l’artigianato, così nel complesso della produzione c’è posto per l’azienda privata, per l’azienda di Stato, e anche per l’azienda cooperativa. Si tratta di adeguarla ai nuovi tempi e di aggiornarla in fatto di sistemi. Questo avete fatto: l’organismo è potente, ma è suscettibile di ulteriori perfezionamenti tanto nell’attività produttiva come nell’attività della cooperazione di consumo. Milioni di organizzati sono inquadrati nell’Ente e rappresentano una forza dal punto di vista dell’economia, [...] della politica, poiché la cooperazione è fascista e non può essere che fascista. È evidente che dati questi principii, tutti i residui o i residuati del vecchio regime devono essere spietatamente eliminati44.

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Istituto Superiore per la Cooperazione, La cooperazione nell’Italia fascista, a cura di Roberto Scheggi, Edizioni “Alpes”, Milano 1929, pp. V-VI.

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L’unica Cooperativa costituita nel 1916, quella di Rocca San Zenone, cessa nel 2003 per incorporazione nella cooperativa sociale AIDAS; delle cinque Cooperative costituite nel 1917 una cessa nel 1973; di due delle tredici costituite nel 1918 non è stato possibile rilevare la data di cessazione, così come di altre due costituite nel 1919; delle diciassette costituite nel 1920 manca la data di cessazione di tre, una cessa nel 1950 e un’altra nel 1958; delle sei costituite nel 1921 manca la data di cessazione di tre e una cessa nel 1928; di una delle due costituite nel 1925 non è stato possibile rilevare il numero di soci che partecipano alla costituzione.

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Centri del territorio ternano, borghi e quartieri di Terni in cui tra il 1914 e il 1943 è presente almeno una cooperativa di consumo

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Capitolo 3


In sintesi, gli esponenti fascisti della cooperazione ritenevano che il movimento aveva travisato il pensiero di pionieri come Giuseppe Mazzini e aveva così finito per essere asservito al Partito Socialista, che ne voleva fare uno strumento di lotta contro il capitalismo. Al principio della collaborazione era stato quindi sostituito quello della lotta di classe:

Come già detto, utilizzando argomentazioni economiche e organizzative condivisibili, richiamandosi anche alla tradizione di Mazzini, Luzzatti, Buffoli ecc., il fascismo “tracciò un compito di epurazione e di rinnovazione” che venne iniziato nel 1921 dal Sindacato Italiano delle Cooperative e poi fu continuato dall’Ente Nazionale della Cooperazione. Più in particolare, per quanto riguarda il Ternano, illustrati i dati quantitativi relativi alla costituzione e alla cessazione, le cooperative del periodo di cui si parla in questo capitolo si possono analizzare anche per quanto riguarda la loro durata, la loro localizzazione geografica e alcune caratteristiche specifiche. Per quanto riguarda l’attività si possono distinguere in quattro categorie, numericamente decrescenti: 1) quelle che non vanno molto oltre la loro costituzione (o per le quali non si sono rintracciate notizie e documentazione oltre l’atto costitutivo); 2) quelle che subiscono i contraccolpi della crisi degli anni venti; 3) quelle che operano per buona parte del ventennio fascista; 4) quelle che proseguono la loro attività anche durante tutta la seconda guerra mondiale, la Liberazione e il dopoguerra fino agli anni settanta. In generale, le cause che rendono difficoltosa o impediscono un’attività proficua e portano alla chiusura sono sostanzialmente quelle già evidenziate per le cooperative del periodo precedente: un ridotto numero di soci e di clienti che determina un giro di affari limitato e, quindi, una cronica mancanza di capitali che, a sua volta, finisce con il rendere onerosi gli acquisti e obbliga a utilizzare strutture spesso inadeguate (in genere lo statuto prevede che gli addetti alla distribuzione delle merci debbano essere trattati con deferenza e che possa essere servito un solo socio

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Dino Alfieri, Premessa, in ivi, pp. X-XI.

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Non più il richiamo alla necessitò di togliere di mezzo l’intermediario, di alleggerire la gestione commerciale delle spese superflue, di cercare di accostare il più possibile il consumatore la produttore, mantenendo intatto il diritto di proprietà nelle sue caratteristiche fondamentali; non più il criterio mazziniano che esclude la lotta di classe, la diminuzione della produzione [...] ma la proclamazione decisa e insistente di volgere il movimento cooperativo verso la politica del collettivismo e del socialismo, che è la politica di spoliazione e di violenza. Era da ciò derivata una degenerazione di criteri e di metodi che nel campo del consumo aveva portato [...] l’indebolimento dei maggiori organismi e la moltitudine degli spacci male attrezzati e peggio diretti, riducendo presso che a zero l’influenza calmieratrice delle cooperative45.

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alla volta); l’eccessivo credito concesso ai soci (i quali debbono dare informazioni per gli acquisti, prestare gratuitamente la propria opera per il trasporto delle merci e acquistare, sia pure a prezzo scontato, le giacenze di magazzino e anche la merce avariata); l’imperizia e la litigiosità degli amministratori; il localismo, la frammentarietà e la mancanza di collegamento tra le varie esperienze. Proprio all’inizio del periodo qui considerato, invece, sorgono e operano, sia pure per breve tempo, due organismi che cercano di affrontare questi ultimi problemi: la Società Annonaria Ternana e la Federazione delle Cooperative di Consumo. Il 20 dicembre 1915 la costituzione della prima, che in realtà non è una vera e propria cooperativa di consumo bensì un consorzio tra il Comune di Terni e le società di mutuo soccorso locali promosso dalla Commissione Annonaria del Comune, è conseguenza delle difficoltà indotte dal primo conflitto mondiale e dall’entrata in guerra dell’Italia e rientra tra i provvedimenti presi dall’Amministrazione Comunale di Terni a tutela delle classi sociali più deboli come, ad esempio, il calmiere sui generi di prima necessità, cioè su quei beni la cui vendita assicura alle cooperative di consumo gran parte del loro giro d’affari. La Società Annonaria Ternana, costituita con un capitale sociale di 18.000 lire (diviso in 180 azioni da 100 lire) ha come scopo sociale il

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commercio di generi alimentari in concorrenza con altri commercianti. Con funzione di calmiere per il commercio di generi alimentari. Essa non potrà rivendere le merci al di sotto del costo ricaricato di una percentuale a copertura delle spese e a remunerazione del capitale. I prezzi saranno fissati dalla Commissione Annonaria e la società potrà vendere solo le merci previste dal calmiere e dalla detta Commissione.

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Soci fondatori sono: per il Comune di Terni (che sottoscrive 10 azioni) Alessandro Fabri e Tito Oro Nobili; per la Società Generale Operaia (30 azioni) Giuseppe Menicocci, Giovanni Casagrande, Pietro Colantoni, Altobrando Luchini, Augusto Roberti e Giuseppe Guagliozzi; per la Cassa Soccorso Malati della SAFFAT (30 azioni) Paolo Riccardi, Altobrando Tazza, Pietro Filippi, Pietro Cocca, Luigi Zenzero e Riccardo Bardini; per l’Associazione di Mutuo Soccorso fra gli Operai della SAFFAT (30 azioni) Alessandro Malussina, Ettore Secci, Calandri Ruggero, Dante Attanassi, Eugenio Sensi ed Emilio Nicali; per la Società di Mutuo Soccorso “la Metallurgica” (30 azioni) Giuseppe Federici, Ferdinando Fabri, Raimondo Perotti, Bernardino Malfatti, Angelo Berni e Domenico Proietti; per la Società di Mutuo Soccorso Operai Fabbrica d’Armi (30 azioni) Antonio Salvati, Americo Sconocchia, Ruggero Scorza, Giovanni De Angelis, Cesare Stefanini e Angelo Bolletta; per la Cassa Mutuo Soccorso fra gli Operai delle Officine Bosco (30 azioni) Ottavio Bindelli(?), Duilio Chiari, Angelo Morelli e Romeo Angelucci. A far parte del consiglio di amministrazione vengono chiamati, con la qualifica di consiglieri: Tito Oro Nobili (presidente), Giuseppe Federici, Giuseppe Menicocci, Paolo Riccardi, Alessandro Malaspina, Cesare Stefanini e Ottavio Benedetti; come sindaci effettivi: avv. Nevio Nevi, Rag. Falando(?) Mangiucca e Biblide Bartocci; come sindaci supplenti: rag. Luca Paolucci e rag. Filippo Benucci. Capitolo 3


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La composizione della Giunta è in Ottaviani, Il Comune di Terni tra il 1920 e il 1922 cit. (a nota 19), p. 41. Cfr. il resoconto dell’adunanza consiliare del 13 marzo 1921 in ivi, p. 113. Cfr. il resoconto dell’adunanza della Giunta Municipale tenutasi il 29 novembre 1920 in ivi, p. 90; l’esigenza di aprire una sede del Consorzio a Terni per far fronte alle difficoltà di approvvigionamento del territorio sarà ribadita nell’adunanza consiliare del 18 marzo 1921 (cfr. ivi, p. 147). Sulla Cooperativa “La Metallurgica” cfr. Bovini, Studi sulla cooperazione, cit. (a nota 1), pp. 100-102. L’istituzione di tale Consorzio viene chiesta dall’adunanza consiliare del 18 marzo 1921 (cfr. ivi, p. 147).

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Sebbene la vendita dei generi di più largo consumo inizi solo il 6 maggio 1916 e venga effettuata a prezzi inferiori a quelli stabiliti dal calmiere comunale il bilancio 1916 viene chiuso con un utile di circa 2.000 lire. L’assemblea che lo approva, il 31 marzo 1917, evidenzia però subito una serie di disaccordi tra i soci che, se non bloccano l’attività della Società, di certo ne limitano l’efficacia. Ad esempio, anche se viene aperta una succursale, il capitale sociale versato è di sole 5.200 lire e non approda a nulla la proposta di aprire un conto corrente bancario garantito dai titoli di Stato posseduti dalle società di mutuo soccorso per poter acquistare grosse partire di merci. Come nel caso delle cooperative, tutto ciò determina difficoltà di approvvigionamento soprattutto per la scarsità di capitale circolante. A ciò si deve aggiungere il fatto che, sebbene il Comune di Terni conceda per il magazzino di vendita i locali già adibiti a tabularium al piano terra del Municipio, poi, forse per le inevitabili proteste dei commercianti, ne richiede la disponibilità. Ciò provoca le dimissioni del presidente Tito Oro Nobili (poi nominato rappresentante legale della Società) e contrasti con il Comune, che non nomina un suo rappresentante; tali contrasti sicuramente non facilitano la concessione di crediti da parte dei fornitori, già di per sé restii ad alienarsi le simpatie dei commercianti. Queste difficoltà, oltre a ripercuotersi sulla gestione, hanno conseguenze dirette sul giro d’affari, che scende dalle circa 428.000 lire del 1916 alle sole 230.000 del 1917 (esercizio comunque chiuso con un utile di 4.431 lire). L’assemblea del 4 ottobre 1918, sebbene al 31 luglio sia stato realizzato un utile di ben 4.098 lire, delibera di cedere la gestione al locale Ente Autonomo dei Consumi, che acquista tutte le merci, gli attrezzi e gli utensili di cui la Società dispone. La Annonaria avvia così le pratiche per la messa in liquidazione. La Federazione delle Cooperative di Consumo è invece il risultato di un tentativo di razionalizzazione del settore del consumo, e di verticalizzazione della sua struttura, avviato in quegli anni a livello nazionale dalla Lega. Anche per questo, la Federazione avrà il sostegno dell’Amministrazione socialista che regge il Comune di Terni tra il 1920 e il 192246. In questo periodo la Giunta Comunale cerca di avere a Terni una filiale dell’Istituto Nazionale di Credito per la Cooperazione47 e una sede del Consorzio Agrario Provinciale48 ma si impegna anche per favorire la cessione della Fabbrica d’Armi alla Cooperativa “La Metallurgica”49 e per la costituzione di un Consorzio per gli approvvigionamenti della Bassa Umbria50. Per superare la burocratizzazione delle commissioni annonarie comunali (di nomina prefettizia), che non riescono ad evitare il malcontento dei commercianti per la loro concorrenza ma neppure a far

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comprendere alla cittadinanza il loro scopo, istituisce un Consiglio dei Consumi per concedere alla rappresentanza dei ceti popolari un controllo diretto sugli approvvigionamenti51. Più concreti ed efficaci saranno però il contributo economico per l’avvio di un corso di contabilità e previdenza per la cooperazione, motivato dalla considerazione che

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la finalità di una scuola della cooperazione è di grande importanza sociale ed economica perché in questa scuola [si] appresta il personale idoneo e capace a dirigere e amministrare le organizzazioni cooperative che si vanno sempre più estendendo nei nostri paese, con evidenti vantaggi per la produzione e i consumi52

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e l’istituzione del Consiglio della Cooperazione. Il regolamento di questo organismo, approvato dal Consiglio Comunale nella seduta del 13 marzo 1921, prevede che esso sia composto da rappresentanti di tutte le cooperative ternane, che indirizzi l’attività di queste verso nuovi settori ma, soprattutto, che le coordini in un Consorzio, liberando l’Amministrazione Comunale dalle problematiche connesse all’approvvigionamento e alla distribuzione, sollevandola così, dice il sindaco Tito Oro Nobili, “da quella specie di oppressione costituita per essa da tutte le cooperative che pullulano ormai ovunque e non fanno che richiedere concessioni e favori”53. Probabilmente il sindaco si riferisce soprattutto alle cooperative di produzione e lavoro che chiedono commesse e l’avvio di lavori per far fronte al problema della disoccupazione ma è certo che le cooperative di consumo nell’estate 1921 acconsentono a distribuire generi alimentari per conto del Comune54, che rilasciano cambiali in bianco fornite in proprio dai rispettivi dirigenti e che poi, almeno alcune di esse, hanno difficoltà a far fronte agli impegni55. Nella presentazione al libro in cui Ezio Ottaviani ripercorre la storia dell’Amministrazione socialista del Comune di Terni, Franco Giustinelli ricorda come in quegli anni la città dovesse affrontare il problema degli smobilitati, la crisi indotta dal venir meno delle produzioni belliche che avevano viste impegnate la quasi totalità delle sue fabbriche e la forte caratterizzazione politica impressa da leader come Tito Oro Nobili e Pietro Farini. Ciò nonostante, [...] il programma elettorale è proteso ad affrontare tutti i maggiori problemi della città: il rifornimento alimentare, la lotta ai privilegi attraverso la giustizia fiscale, la questione drammatica della casa, lo sviluppo della scuola, il miglioramento delle

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Cfr. il resoconto dell’adunanza consiliare del 13 marzo 1921 in Ottaviani, Il Comune di Terni tra il 1920 e il 1922 cit. (a nota 19), pp. 111-112. Ivi, nota 5 a p. 114. L’erogazione del contributo, deliberata dall’adunanza consiliare del 14 marzo 1921 (cfr. ivi, p. 114), viene poi ribadita il 24 settembre dalla Giunta Municipale in seguito alla non ratifica da parte della Giunta Provinciale Amministrativa (ivi, nota 5 a p. 114). Cfr. il resoconto dell’adunanza consiliare del 13 marzo 1921 in ivi, p. 113. Cfr. il resoconto dell’adunanza consiliare del 30 giugno 1921 in ivi, p. 153. Il problema viene esposto dall’assessore Trevisan durante la riunione di Giunta del 23 agosto 1922 (cfr. ivi, p. 207).

Capitolo 3


Complessivamente, secondo Giustinelli, anche se posizioni massimaliste si alternano ad altre legalitarie, l’azione della Giunta è equilibrata e tesa alla soluzione di problemi concreti e, proprio per questo, si pone spesso in contrasto con il Consorzio Umbro degli Approvvigionamenti (con sede a Perugia) e con la Giunta Provinciale Amministrativa. Oltre che da questi contrasti, la sua azione viene rallentata e resa meno efficace dai problemi creati dopo il gennaio 1921 dalla scissione di Livorno e poi dalle elezioni politiche del maggio. Queste ultime, infatti, portando Tito Oro Nobili in Parlamento, ne distolgono l’attenzione dalla soluzione dei problemi locali, sui quali si stanno già innestano l’azione e le violenze fasciste. Come già detto, l’offensiva fascista non riesce a smantellare il ricco tessuto di cooperative del Ternano. Queste continuano ad avere una forte caratterizzazione operaia e popolare: sono pochissime quelle promosse e/o costituite da esponenti del ceto medio e impiegatizio; tra queste: - la “Consumo e Risparmio”, costituita il 23 maggio 1918 fra impiegati e salariati del Comune di Terni (dei 10 soci che la promuovono 3 sono nati a Terni, 2 a Cesi e a Nocera Umbra, 1 ad Arrone, Spoleto e Parma); - la “Interamna”, costituita il 12 ottobre 1920 da 12 soci (di cui solo 1 nato a Terni) che, in base all’articolo 1 dello statuto, ammettono a far parte della Cooperativa solo “insegnanti, impiegati civili delle pubbliche amministrazioni e degli enti giuridici, pensionati e professionisti”; - quella fra impiegati postelegrafonici, che ammette i dipendenti (o pensionati) delle Poste e Telegrafi, costituita il 21 novembre 1927 da 19 soci (provenienti da varie città) per provvedere anche alla fornitura di combustibili. Per quanto riguarda invece la localizzazione, è significativa, anche numericamente, la presenza nei vari quartieri, rioni e borgate, nonché nei comuni contermini (Papigno, soprattutto, ma anche Collestatte, Piediluco, Cesi e Collescipoli) soppressi nel 1927 e accorpati a quello di Terni per consentire l’elevazione della città a capoluogo della neocostituita Provincia. borgata “Andrea Costa” - “L’Economica”, costituita il 12 agosto 1917 (da 11 soci) fra gli abitanti della borgata (nell’atto costitutivo detta “in confine con Terni”), che rimane in attività fino all’inizio degli anni trenta (ma della quale si è rintracciato il solo atto costitutivo). - “Cooperativa dell’Ordine”, costituita l’8 ottobre 1920 da 9 operai, 2 falegnami, 1 tramviere, 1 ferroviere e 1 impiegato comunale. - “La Pace”, costituita il 28 marzo 1921 da 18 operai, viene sciolta nel 1929 per 56

Giustinelli, Presentazione, in ivi, p. 14.

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condizioni igienico-sanitarie, la difesa delle forze idriche, l’attuazione del piano regolatore, la nascita di nuove industrie per combattere la disoccupazione [...], un ruolo attivo del Comune nel sistema distributivo e un preciso sostegno alla cooperazione56.

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l’esiguo numero di soci rimasti. Questa Cooperativa è la sola che, pur prevedendo come tante altre di vendere generi al prezzo di costo aumentato del 5% per il fondo di riserva, chiede ai soci il pagamento di una 1 lira ogni quindici giorni per far fronte alle spese di amministrazione.

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borgata “Vecchia Saponeria” - “L’Economica”, costituita il 13 ottobre 1917 (da 16 soci) fra i residenti della borgata, rimane in attività fino all’inizio degli anni settanta.

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borgo “Bovio” - “Economia Domestica”, costituita il 26 dicembre 1917 da 20 soci (tutti operai tranne un proprietario), di cui 13 nati a Terni, 2 a Fabriano e 1 ad Assisi, Papigno, Orvieto, Foligno e Massa Martana. All’assemblea del 21 novembre 1926 il presidente Sileno Guerra lamenta che “da parecchio tempo ha dovuto con dispiacere notare che la maggioranza dei soci, non escluso parte dei componenti il consiglio di amministrazione, malgrado suoi ripetuti richiami, lasciano molto a desiderare nei riguardi delle mansioni che debbono espletare” e dal momento che “nessuno è in condizioni di fare più di quello che fa attualmente, cioè il necessario per il normale andamento della Cooperativa” ne propone la messa in liquidazione. Questa viene accettata con 18 voti a favore, 2 contrari e 1 astenuto. Dal momento che anche nei primi anni venti, quando il giro d’affari subisce una contrazione di circa il 20% a causa una riduzione del numero dei beni in vendita e di un minor impegno nella Società da parte degli amministratori, i bilanci vengono chiusi in attivo e gli utili ripartiti tra il capitale versato, sulla decisione di chiudere la Cooperativa pesa sicuramente la possibilità di alienare un immobile sociale (acquistato grazie alle 600 lire versate dai 35 soci) a un prezzo che consente di ripartire alle 908 azioni (da 50 lire) costituenti il capitale sociale le 61.045 lire riportate nell’attivo. - “Economica Borgo Bovio”, costituita il 3 febbraio 1918 da 12 operai e messa in liquidazione nel 1943 (dopo che il Tribunale fa rilevare la mancata proroga alla scadenza, prevista dopo 10 anni) a causa del ridotto numero dei soci (35 del 1926, 13 del 1938, 7 nel 1942 e 6 nel 1943), delle difficoltà economiche (che cominciano dalla metà degli anni trenta), e della mancanza di generi alimentari. - “L’Egualitaria”, costituita il 22 luglio 1920 da 1 assistente, 1 impiegato e 8 operai. In sede di atto costitutivo vengono chiamati a far parte del consiglio di amministrazione anche soci che avevano già partecipato o parteciperanno ad altre cooperative: il presidente Giacomo Vincenzi nel 1917 e poi ancora nel 1919 era stato eletto nel consiglio di amministrazione della Cooperativa dello Jutificio, il consigliere Ottavio Laureti nel 1937 farà parte della Cooperativa Risparmio e FratellanCapitolo 3


za di San Carlo, mentre Giuseppe Bolli, qui tra i probiviri, nel 1917 aveva partecipato alla costituzione della Cooperativa di Toano e dal 1946 sarà amministratore dell’Unione Lavoratori. Nel 1937 viene poi eletto presidente Italo Pileri, che dal 1942 ricoprirà la stessa carica anche nella Cooperativa “L’Economica”. Sempre nel 1937 “L’Egualitaria”, che già da qualche anno tiene le assemblee dei suoi soci presso la sede provinciale dell’Ente Nazionale Fascista della Cooperazione57, adotta un nuovo statuto redatto sulla base di quello messo a punto da tale Ente, trasferisce la sede in via Tre Venezie e modifica la sua ragione sociale in “Littoria”. Da questo momento, pur non superando mai i 36, il nume57

L’Ente non aveva comunque solo una funzione di controllo burocratico ma svolgeva anche una funzione di indirizzo tecnico: nella loro relazione all’assemblea del 6 marzo 1937 i sindaci ritengono che, pur avendo sempre riscontrato la massima regolarità nelle registrazioni e nei servizi, la Cooperativa debba migliorare l’assetto contabile e amministrativo e aggiungono: “Su tale riforma può esservi buon consigliere, quale esperto in materia, l’egregio rag. Ravazzini, segretario provinciale dell’Ente Nazionale Fascista della Cooperazione, il quale ha vivo desiderio che le attività cooperativiste, in tutte le sue molteplici forme, si ponga, anche nella nostra provincia, alla necessità dei tempi nuovi, all’altezza delle sue idealità consoni alle direttive del Regime”.

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Attivo, utile netto, creditori, debiti dei soci e soci della Cooperativa “L’Egualitaria”

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ro dei soci ha un incremento significativo, forse perché in questi anni le cooperative e di consumo operanti a Terni sono veramente poche; addirittura, alcuni vengono espulsi perché pur avendo fatto domanda di associazione poi non sottoscrivono nemmeno un’azione. Nel 1943, dopo una prima decisione di messa in liquidazione e conseguente commissariamento, viene trasformata in società cooperativa a responsabilità limitata per essere poi ricostituita, ancora con il nome di “Cooperativa Egualitaria”, il 3 dicembre 1944. Da rilevare come “L’Egualitaria” sia una delle poche cooperative nei cui verbali di assemblea si trovino riferimenti, sia pure indiretti, alla situazione politica: l’assemblea del 16 marzo 1941 viene tolta dal ragioniere Bruno Bernini, segretario interprovinciale di Terni dell’ENFC, “col saluto del duce”; inoltre, dei 29 soci che partecipano all’assemblea del 21 marzo 1943 si scrive che sono “tutti operai domiciliati in Terni, di razza ariana”. Il disposto delle leggi razziali è contenuto anche nel nuovo statuto approvato nella stessa data, ovviamente sulla base dello statuto tipo predisposto dall’ENFC: l’articolo 5 obbliga infatti l’aspirante socio a dichiarare anche la propria razza. - “Fedeltà e Fratellanza”, costituita l’1 novembre 1920 da 1 calzolaio, 1 guardiano dell’Acciaieria e 7 operai, viene messa in liquidazione dall’assemblea del 21 aprile 1932 sentita la relazione del consiglio di amministrazione in cui si legge: “Non è possibile continuare l’esercizio della nostra Cooperativa anche perché il tempo non ce lo permette e anche perché il commercio è abbastanza critico”.

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borgo “Garibaldi” - “Magazzino Famigliare”, costituita il 14 settembre 1919 da 9 operai e attiva fino al 1926: l’assemblea del 26 agosto 1926 (alla quale prendono parte 19 soci), pur approvando il bilancio 1925, chiuso con una perdita di 214 lire, somma che i sindaci ritengono “veramente irrisoria se si tiene conto dei momenti difficili in cui l’esercizio della Cooperativa ha funzionato”, condivide infatti le preoccupazioni espresse dal consiglio di amministrazione (“Oggi che il commercio sta attraversando dei periodi burrascosi, per la nostra Cooperativa diventerebbe un pensiero dover seguitare a esistere, con la preoccupazione di non sapere quale risultato potrebbe venire fuori da un prossimo bilancio”) e delibera la messa in liquidazione, con una decisione sulla quale certamente pesano anche l’alto importo raggiunto dai debiti dei soci (verso alcuni dei quali si procede anche legalmente). borgo “Rivo” - La cooperativa di consumo fra gli abitanti di borgo Rivo, costituita il 17 novembre 1918 da 1 magazziniere e 12 operai, viene liquidata nel 1932, dopo che all’assemblea dell’8 febbraio 1931 il consiglio di amministrazione si sente “in dovere di denunziare come sarebbe inutile proseguire la nostra attività, perché di fronte alla situazione critica del commercio, e alla ristrettezza della nostra capacità, siamo costretti di dichiarare che non possiamo continuare”: sono infatti troppo alti i crediti in generale e quelli inesigibili in particolare. Capitolo 3


contrada Boccaporco - “Magazzino Cooperativo”, costituita il 24 dicembre 1919 da 7 operai, 1 carrettiere, 1 agricoltore, 1 tramviere e 1 muratore per associare gli abitanti di quella contrada.

frazione San Carlo - “Risparmio e Fratellanza”, costituita il 23 maggio 1920 da 40 soci (22 dei quali nati a Terni e gli altri in diverse città dell’Umbria), che rimane in attività fino al 1950, ed è una delle poche che all’obiettivo della distribuzione ai soci di generi alimentari di prima necessità “a prezzi minimi possibili”, aggiunge quello di “fornire loro dei locali per divertimenti e svaghi morali”. La documentazione rintracciata non fornisce alcuna informazione relativamente a questa attività ma, almeno relativamente al periodo 1936-1943, consente di affermare che essa, anche se prolungata nel tempo, è limitata a un giro di affari che non supera le mai le 94.000 lire, anche perché il numero dei soci non supera mai i 28. Questi, però, soprattutto nel periodo bellico, accumulano debiti nei confronti della Cooperativa che rappresentano una quota significativa dell’attivo iscritto a bilancio e del capitale versato. Ad esempio, nel 1936 il capitale sociale ammonta a 22.500 lire, l’attivo a 14.805 e i debiti a 9.875 lire, mentre nel 1943 il capitale si riduce a 14.000 lire, l’attivo è pari a 18.972 lire e i debiti dei soci ammontano a ben 10.208 lire. Singolare quanto emerge dal verbale dell’assemblea straordinaria del 20 giugno 1940 non tanto perché dalla ragione sociale viene tolto il termine “risparmio”, foriero di equivoci sulle finalità della Cooperativa, quanto perché emerge che nessuno degli amministratori si era preoccupato di produrre la documentazione necessaria alla proroga della Società. La spiegazione può essere trovata nel verbale dell’assemblea del 6 marzo 1949. Nella relazione del consiglio di amministrazione si legge che tra il luglio 1946 e il dicembre 1948 è stato realizzato un utile netto di 73.291 lire, nel fondo di riserva sono state accantonate 25.000 lire e in quello di previdenza altre 10.000: possiamo ben dire di aver raggiunto lo scopo che ci eravamo prefissi: quello cioè di offrire le merci migliori ai nostri soci al minor prezzo possibile. [...] Se si considera che la Cooperativa ha potuto raggiungere tali mete senza l’esperienza dovuta e che si acquista appunto di anno in anno, possiamo ben dire di aver tutelato bene gli interessi di tutti i soci. Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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località Cospea (oggi quartiere “San Giovanni”) - La “Cospea”, costituita il 14 novembre 1920 da 34 soci (tutti operai e agricoltori), è dichiaratamente apolitica (“Nei locali della Società è proibito parlare di politica e chi non osserva il detto articolo viene multato di 5 lire per la prima volta e di 10 per la seconda e poi fino ad essere espulso”) ma anche l’unica cooperativa del periodo cronologico qui analizzato che vede tra i fondatori una donna, “casalinga”.

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Durante quell’esercizio, probabilmente il primo del dopoguerra, si registra un giro di affari pari a 5.401.404 lire, un utile lordo di 513.983 lire che, detratte le spese e gli accantonamenti nei fondi di riserva, danno un utile di 73.291 lire. Tali somme potrebbero giustificare le parole scritte dagli amministratori se a fronte di un capitale sociale di 40.500 lire e di un attivo pari a 349.451 lire i debitori non dovessero 126.539 lire e i creditori non vantassero ben 200.600 lire. Non a caso all’assemblea del 5 febbraio 1950, che delibera la chiusura della Cooperativa, i liquidatori (Alfiero Giulivi, Rodolfo Panetti e Roberto Palombi) riferiscono che, vendute tutte le merci e riscossi i crediti, pagati i debiti, rappresentati per la quasi totalità da tasse, è stato addirittura possibile restituire ai 18 soci, tutti operai, gli apporti da loro versati alla Cooperativa nel corso del tempo.

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vocabolo Toano - “Cooperativa Vocabolo Toano”, costituita il 19 luglio 1919 da 13 operai. L’assemblea del 15 luglio 1933, a cui partecipano 11 dei 15 soci, “su proposta del presidente [approva] di cessare l’esercizio per condizioni finanziarie” e delibera la messa in liquidazione sebbene negli anni precedenti la Società abbia sempre realizzato utili. La scelta si può forse spiegare con il dimezzamento del giro d’affari che si registra dopo il 1929. vocabolo Trevi - “Cooperativa Vocabolo Trevi”, costituita il 20 luglio 1920 da 1 falegname, 2 calzolai e 18 operai, come previsto dallo statuto, viene messa in liquidazione dall’assemblea del 20 agosto 1930 dopo 10 anni di attività, ma sono evidenti il peso dei crediti vantati nei confronti dei soci e dei debiti. Papigno - “La Rinascente”, di cui si dirà più dettagliatamente più avanti, costiCapitolo 3


58

L’archivio della Società Carburo, confluito in quello della Società Terni dopo la fusione tra queste due imprese, è stato versato in più fasi presso l’Archivio di Stato di Terni, dove si trova è stata inventariata ed è consultabile anche tutta la documentazione relativa alle assemblee degli azionisti, e alle riunioni degli organismi direttivi (consiglio di amministrazione, comitato direttivo, comitato esecutivo).

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tuita in vocabolo Campomicciolo il 5 giugno 1919 da 15 operai che prevedono come scopo sociale anche la concessione di piccoli prestiti ai soci. - La Cooperativa di Consumo tra il Personale Impiegato e Operaio della Società Italiana per il Carburo di Calcio viene costituita a Papigno il 22 novembre 1919 da 35 soci (17 operai, 11 impiegati, 3 capo-operaio, 1 usciere, 1 infermiere, 1 falegname e 1 fonditore). Sebbene, a norma di statuto, non si prefigga scopi politici, intenda vendere a prezzi che “dovranno servire di calmiere a quelli della piazza”, sia iscritta alla Lega e consideri organo sociale “La Cooperazione Italiana”, è documentata la sua contrapposizione all’Unione Cooperativa della Valnerina (cfr. infra pp. 126-133) a causa dell’influenza esercitata su di essa dalla Società Carburo. Questa è evidente in una struttura organizzativa che prevede già nello statuto un dettagliato mansionario per un ragioniere contabile, un magazziniere e un gerente dello spaccio (il quale “dovrà curare la massima pulizia ed essere cortese ed educato con i singoli soci”) e in un’apertura a giorni alterni (dalle 7 alle 12 e dalle 14 alle 18) di tre spacci, localizzati dove si trovano gli impianti produttivi della Società Carburo: a Terni (il lunedì e il giovedì), a Papigno (il martedì e il venerdì) e a Collestatte (il mercoledì e il sabato). Con la fine della prima guerra mondiale per la Società Carburo vengono meno le forniture di prodotti elettrochimici alle autorità militari e alcuni importanti contratti per la cessione di energia elettrica alle società distributrici e a imprese industriali anch’esse impegnate nello sforzo bellico. Sebbene nelle relazioni all’assemblea degli azionisti il consiglio di amministrazione dichiari sempre di essersi impegnato e aver preso provvedimenti, non meglio specificati, a favore delle condizioni di vita e di lavoro degli operai58, la cessata qualifica di stabilimento ausiliario espone la Società Carburo alle rivendicazioni salariali e normative degli operai, cui la direzione aziendale risponde con la massima fermezza non solo per motivi ideologici ma anche per la posizione di forza assicurata dalla grande quantità di prodotti finiti immagazzinata. Nel febbraio-marzo 1919 viene anche attuata una serrata degli stabilimenti quando, per sostenere le loro rivendicazioni, gli operai riducono la produzione da 70 tonnellate/ giorno di carburo a sole 7-10. Nel maggio, poi, quando gli addetti alle centrali idroelettriche ricorrono allo sciopero per sostenere la loro richiesta della qualifica di operai elettricisti, solo l’intervento degli ingegneri e impiegati dipendenti della Carburo consente di non interrompere la fornitura di energia a terzi. Al comitato direttivo del 28 luglio 1919 il direttore Enrico Cairo può quindi affermare che “l’aver dimostrato che per qualche tempo si può fare a

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meno del personale in sciopero ha influito a persuaderlo a più miti consigli”59. Ciò nonostante, nel febbraio 1920 si ha un altro sciopero per chiedere un aumento salariale uguale per tutti e l’equiparazione dei minimi salariali a quelli dei chimici e degli elettricisti. La Carburo sostiene invece che la sua industria è atipica, ma non potendo negare che le paghe minime dei suoi operai siano inferiori a quelle dei dipendenti delle imprese affini, l’11 luglio 1920 stipula un accordo con la Camera del Lavoro di Terni per un aumento dei salari in base agli indici del costo della vita e della produzione realizzata. Ed effettivamente, rispetto al 1914, la massa salariale erogata in pratica quadruplica: nel 1914 agli 830 operai vengono erogati salari per 1.130.000 lire (in media circa 4 lire al giorno) e ai 176 impiegati stipendi per 400.000 (in media circa 7 lire al giorno); nel 1920 a 1.024 operai vengono pagate 5.325.000 lire (in media circa 16 lire al giorno) e a 173 impiegati 1.550.000 lire (in media circa 28 lire al giorno)60. Ciò nonostante, se la stessa Società Carburo si impegna nella costituzione di una cooperativa di consumo, che si affianca ad altre già attive a Papigno, le condizioni di vita degli operai non devono essere di molto migliorate.

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Collestatte - “La Concordia” viene costituita il 6 settembre 1919 da 7 operai e 2 calzolai che si prefiggono obiettivi ambizioni:

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Scopo della Società è di creare sedi di operazioni, esercizi, spacci di generi alimentari, bevande, liquori e oggetti di uso ecc. per fornire soci e non soci alle condizioni più convenienti possibili per qualità e per prezzo, nonché sezioni di previdenza per sovvenire i soci in momenti di crisi, anche con aiuti materiali in merci e denaro.

Sebbene questa sia una delle poche Società che dichiarano di voler pubblicare gli avvisi di convocazione delle assemblee sull’“Avanti!”, lo statuto riporta una serie di punti comuni alla quasi totalità delle cooperative ternane: i soci devono trattare con deferenza chi li serve, anche perché questi non riceve alcun compenso; se nel magazzino si trova un genere difficile da smerciare, tutti i soci sono obbligati ad acquistarne il quantitativo che assegnerà loro il presidente in proporzione al numero di componenti il nucleo famigliare; durante la spesa è vietato “fare schiamazzi e parlare forte”. Rispetto altre Cooperative, chi fa acquisti per conto di persone estranee alla Società non viene espulso ma non potrà fare acquisti nello spaccio per un mese; inoltre, viene adottato una sorta di “eliminacode” consegnando il proprio libretto al banconiere, ma se viene chiamato e non è presente torna in fondo alla coda. Piediluco 59

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AST, ASST II, b. “Società Italiana per il Carburo di Calcio. Verbali del Comitato. Vol. VI”, verbale della seduta 28 luglio 1919. Ibidem.

Capitolo 3


La nostra Cooperativa, sorta con tanto slancio e con tanto affratellamento di pensiero e di azione avrebbe dovuto percorrere indisturbata la sua via se le dicerie indegne, indecorose di pochi avversari della cooperazione, non avessero denigrato ingiustamente i suoi amministratori. Noi siamo i primi a riconoscere che per tecnicamente amministrare una cooperativa in questi difficilissimi momenti ci sarebbero volute delle menti superiori. [...]. Siamo però sereni, tranquilli perché sappiamo di aver espletato tutto il nostro dovere.

Il bilancio 1919 viene chiuso con un utile netto di 1.422 lire, un utile lordo di 5.583, un attivo di 14.200 (quasi completamente rappresentato dalle merci in magazzino) e con le spese di impianto ammortizzate. Il consiglio di amministrazione non manca di rilevare che tale risultato è stato ottenuto nonostante le gravi difficoltà di approvvigionamento, soprattutto per la mancanza di denaro, a cui alcuni amministratori e soci hanno cercato di supplire mettendo a disposizione dei propri fondi. Aggiungono poi: L’inizio di ogni azienda si sa che è arduo e tutti i nostri buoni propositi vennero disarmati dalla burocrazia statale che dei generi alimentari ne ha fatto uno sfruttamento all’ennesimo grado. Lottammo per ottenere il rifornimento dal Consorzio, ma ci trovammo di fronte

61

Cfr. Attraverso l’Italia. Piediluco. Costituzione di una cooperativa di consumo, in “La Cooperazione Italiana”, XXXIII, 1336, 21 febbraio 1919. In questo pur breve resoconto, uno dei pochi dedicati a cooperative umbre e, ternane, in particolare, la rivista scrive che la Società aderirà alla Lega, che “è stata costituita con l’assistenza del sig. Mazzetti, della Federazione Umbra delle Cooperative Consumo” e che ciascuno dei soci sottoscrive almeno due azioni da 25 lire.

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- L’Unione Cooperativa di Piediluco, della cui costituzione riferisce anche “La Cooperazione Italiana”61, viene fondata il 23 febbraio 1919 da 26 soci: 10 operai, 2 calzolai, 2 senza professione e 1 pescatore, 1 barbiere, 1 falegname, 1 carrettiere, 1 caffettiere, 1 commerciante, 1 fornaciaio, 1 fabbro, 1 impiegato, 1 farmacista, 1 pensionato, 1 possidente. Nei sia pur pochi documenti rintracciati, tra i quali mancano quelli relativi alla cessazione dell’attività, si evidenziano ancora una volta gravi disaccordi fra i soci, probabilmente almeno in parte imputabili alla forte caratterizzazione politica che emerge dalle relazioni del consiglio di amministrazione; in queste si rileva anche una chiara presa di coscienza della mancanza di capacità imprenditoriali degli stessi amministratori nonostante l’impegno profuso da ognuno di essi, anche in termini economici. Nella sua relazione all’assemblea del 28 marzo 1920, alla quale partecipano 48 soci, il consiglio di amministrazione scrive:

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al Comune che, tutto intento tutt’altro che al rifornimento dei generi di prima necessità, lasciò dormire placidamente le nostre richieste anche quando queste vennero raccomandate dal sottoprefetto. [...]. Ci si rimprovera perché abbiamo distribuito delle merci a credito, ma nel far questo siamo partiti dal concetto che anche la Cooperativa dovesse essere organizzazione pronta a servire di arma al proletariato per le sue lotte di classe. Certo che se alla Cooperativa si fossero fatte meno camorre e si fosse saputo apprezzare più profondamente i benefici che da essa ne derivano, oggi questa bella e santa istituzione sarebbe stata tenuta in una considerazione più elevata e più proficua. Signori soci, più fatti e meno chiacchiere insidiose e la nostra istituzione progredirà sempre, spinta da l’ora che volge, onde arrivare a organo distributivo, evitando così le attuali ingiustizie.

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Nella loro relazione i sindaci affermano che l’utile è soddisfacente se si considera il ridotto capitale sociale e il fatto che la Cooperativa “ha certamente fatto da calmiere nel paese dove non mancano gli acerrimi nemici”. Per ridurre i prezzi di vendita le merci non sempre sono state “caricate” del 10%, anche se le spese di esercizio sono “abbastanza forti da assorbire in buona parte gli utili stessi”. Ribadiscono quindi, nonostante “tanta malignità”, la correttezza delle scritture e degli atti contabili e aggiungono: “Certo che se i moti di luglio per il caro vita non fossero venuti a offuscare l’opera tranquilla e fattiva della Cooperativa avremmo avuto utili di molto maggiori”. Affermano poi che gli amministratori si sono comportati bene soprattutto se si considera che erano “del tutto ignari del commercio” e privi di “quella perizia amministrativa che solo attraverso anni di pratica si [può] conquistare”.

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Cesi - “La Concordia”, costituita il 25 gennaio 1921 da 15 soci (3 agricoltori, 3 maestri elementari, 1 benestante, 1 medico-chirurgo, 1 perito agronomo, 1 chimico farmacista, 1 portalettere, 1 sacrestano, 1 messo comunale, 1 inserviente comunale, 1 operaio), ammette come soci insegnanti, agricoltori e “tutti coloro che vivono col proprio lavoro” e sono residenti a Cesi. Nello statuto, alle solite norme, comuni a tutte le cooperative, che regolamentano l’espulsione dei soci, si aggiunge quella per “ragioni di partite”. - La Cooperativa Popolare di Consumo e Agricola, costituita il 26 gennaio 1921 con sede a Portaria (di cui si dirà ancora nelle pagine 123-124), che tra i suoi scopi sociali anche quello di “Promuovere conferenze, biblioteche, circoli sociali e altre opere educative e istruttive”. Problemi che affliggono altre società, come la disaffezione degli stessi soci e la mancanza di liquidità, sono ben presenti ai fondatori. Già all’atto costitutivo si prevede infatti che il consiglio di amministrazione possa espellere quelli che, senza adeguata motivazione, interrompono gli acquisti di generi (alimentari, di uso domestico e agricolo) in vendita presso la Cooperativa per oltre due mesi; inoltre, per procurarsi i mezzi finanziari necessari, la Cooperativa “può mettere libretti di risparmio, buoni di cassa e conti correnti vincolati [...] all’interesse del 4% e iscrivere pure in essi gli interessi e le quote di risparmio annuali dei soci”. Capitolo 3


Collescipoli - L’“Unione Democratica” viene costituita il 21 luglio 1918 da 19 soci, tutti operai, tranne un possidente. Come le altre, anche questa Cooperativa non ha scopo di lucro ma solo quello “di soccorrere le classi bisognose provvedendo i generi di alimento distribuendo ai soci al prezzo di costo aggiunte le spese d’esercizio e il contributo alla riserva”. La Cooperativa, l’unica, in quel momento, a Collescipoli, deve essere riuscita a far fronte a reali esigenze se già l’anno dopo, quando dovrebbe essere oramai operativa anche “La Economa”, i soci sono ben 86. Il 1919, tuttavia, come per le altre cooperative, è un anno di difficoltà a causa delle proteste per il caro viveri. Nella relazione allegata al bilancio di quell’esercizio, il consiglio di amministrazione scrive:

Tali mancati introiti vengono in parte recuperati mediante il pagamento, da parte di ciascun socio, di una “tassa” quindicinale di 1,50 lire. Ai soci che ritengono troppo cari rispetto a Terni alcuni generi, il consiglio di amministrazione lamenta la mancanza a Collescipoli dell’Annona, mancanza a cui attribuisce anche le difficoltà di approvvigionamento. Inoltre, nonostante sottolinei come per gli acquistati si è dovuto far ricorso al credito bancario, a privati e, addirittura, ad amici. Ciò nonostante, ritiene che La Cooperativa, unica associazione che possa eliminare le difficoltà del costo della vita e del libero sfruttamento, nella sua affermazione ci dà indizio di un proseguimento di una vita più florida e più rispondente alle sue finalità, in quanto che nell’ammaestramento che ci ha dato si attende un risultato avvenire lusinghiero.

Gli anni successivi smentiscono però queste aspettative: le controversie sorte con i gestori e l’avaria di alcuni prodotti immagazzinati (sapone) fanno chiudere in perdita i bilanci 1922 e 1923 (complessivamente per 11.102 lire). Sebbene gli amministratori ritengano che superate le controversie

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L’anno 1919 regnò per tutte le cooperativa la burrasca e per qualcuna la rovina, noi vi presentiamo una relazione di equilibrio che malgrado i deprezzamenti forzosi dei generi acquistati durante la guerra che ci consta di lire 3.746,66 e del sopraggiunto movimento del caroviveri del luglio, quale ci apportò, per la riduzione del 50% un deficit di circa 4.500 lire.

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la Cooperativa potrà proseguire la sua via [...] dato che il nostro spaccio attualmente funziona egregiamente e con un regime di economicità [...] ci sarà possibile in breve tempo rifarci delle perdite patite e tornare al pareggio,

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la partecipazione di soli 19 soci all’assemblea che esamina i due bilanci chiusi in perdita sembra contraddire tali aspettative. Anche se poi viene deliberato di verificare la reale situazione dei soci morosi prima di adire alle vie legali, l’assemblea del 14 giugno 1925, alla quale partecipano 16 soci, sollecita gli amministratori a prendere tutte le iniziative per recuperare i crediti. Ridotte all’essenziale le strutture di vendita, recuperati “un po’ con le buone, un po’ con le cattive” i crediti vantanti verso i clienti dello spaccio (4.082 su 17.054 lire), l’obiettivo della Cooperativa sembra limitato alla semplice copertura delle spese generali. - “La Economa”, costituita il 20 ottobre 1918, in via XX Settembre 21, è interessante perché, sebbene sia stato rintracciato il solo atto costitutivo, tra i 13 soci fondatori (tutti nati a Collescipoli tranne 1 nato ad Terni, Narni, Assisi, Brisighella e Fara San Martino) figurano ben 4 possidenti, 3 maestri e 1 impiegato ma anche 2 operai e 1 muratore e, addirittura, 2 sacerdoti (gli unici che, insieme a 1 maestro, non ricoprono alcuna carica sociale). Questa è anche una delle poche Società che oltre ai generi alimentari si pone come obiettivo quello di distribuire combustibili e che utilizza “L’Unione Liberale” di Terni come organo ufficiale. - Il Magazzino Famigliare di Consumo, costituito il 28 aprile 1920 da 22 operai (tutti nati a Collescipoli tranne 2 nati a Terni, 1 a Piediluco e 1 a Narni), la cui liquidazione viene chiusa nel 1933 dopo che nel gennaio 1927, quando i soci sono ben 69, il bilancio riporta 33.695 lire nell’attivo e addirittura 97.705 nel passivo. Nella sua relazione all’assemblea del 20 marzo 1927 il consiglio di amministrazione riferisce di non meglio specificati “fatti che ci hanno colpiti” e che

Capitolo 3


Una menzione va anche alle cooperative di fabbrica, se non addirittura di reparto: - il “Magazzino Cooperativo”, costituito il 21 settembre 1917 da 11 operai della Sezione Laminatoi della SAFFAT, liquidato nel 1928. - quella del Lanificio, costituita il 28 luglio 1918 da 14 operai (tutti maschi) e messa in liquidazione dall’assemblea dell’1 maggio 1927 dal momento “che la maggior parte dei soci [sono] disoccupati per la crisi che attraversa lo stabilimento”. - il “Magazzino Cooperativo”, costituito il 16 agosto 1918 da 11 soci, tutti operai (tranne 1 impiegato) della Sezione Magli e Presse della SAFFAT. - quella tra il personale dello Jutificio, costituita il 6 settembre 1918 da 79 soci (ben 40 dei quali analfabeti). L’articolo 3 dello statuto ammette come “effettivi [...] i padri di famiglia comunque occupati preso lo Jutificio Centurini”. L’articolo 6 ammette anche “le donne capi di famiglia comunque occupate presso lo Jutificio Centurini”; queste ultime, però, pur essendo tenute ad acquistare almeno

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sono probabilmente identificabili nella “perdita sulle merci” iscritta tra le spese per 62.680 lire (cifra sostanzialmente coincidente le 62.205 lire riportate nel passivo come “creditori vari”). Il presidente propone la liquidazione dal momento “che data la situazione del bilancio non è possibile poter continuare e nemmeno fare un tentativo per poter diminuire le nostre perdite”, ma prima si augura che tutti quelli che devono completare la sottoscrizione di azioni e pagare i loro debiti “facciano il loro dovere”. - la Cooperativa fra gli Agricoltori di Collescipoli, costituita nei primi mesi del 1921, di cui si dirà più avanti a pagina 124.

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un’azione, non possono partecipare alle assemblee né possono essere elette, anche se godono degli stessi diritti dei soci effettivi per la distribuzione dei generi e degli utili. In questa Cooperativa è evidente il controllo della Direzione dello Jutificio e, soprattutto, la sua dipendenza dalle sorti economiche della fabbrica: quando, tra la fine degli anni venti e la metà degli anni trenta, la crisi dello Jutificio ne riduce l’occupazione, i bilanci della Cooperativa ne risentono pesantemente senza che essa riesca mai a svolgere alcuna funzione di supporto alla resistenza.

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Infine, vanno sommariamente ricordate le caratteristiche di quelle di ispirazione repubblicana: - la “Pietro Faustini”, costituita il 18 luglio 1920 a Terni, in via Fratini 12, nei locali dell’omonima associazione repubblicana, da 2 possidenti, 2 commercianti, 1 negoziante, 1 lattaio, 1 insegnante, 4 impiegati, 1 ragioniere, 1 commesso, 1 capoperaio e 23 operai (tra cui: 1 fabbro, , 2 falegnami, 1 fonditore, 1 forgiatore, 1 fornaio, 1 fucinatore, 2 meccanici, 1 mugnaio, 1 muratore, 1 tranviere), e che nell’articolo 12 dello statuto, per giustificare l’apertura dello spaccio a giorni prestabiliti, si appellano alla necessità di ridurre le spese e il lavoro (sempre gratuito), dei soci, ma soprattutto con la necessità “di educare i soci alla previdenza negli approvvigionamenti per la famiglia”; - la “Casa Repubblicana”, anch’essa con sede in Terni, costituita il 19 dicembre 1921 da 16 soci (6 dei quali nati a Terni e 1 a Cesi, San Gemini, Rieti, Perugia, Gubbio e Montegranaro, tra i quali 5 commercianti, 1 appaltatore, 2 orefici, 1 capo meccanico, 1 capo officina e 6 operai) “con lo scopo di acquistare e gestire un immobile urbano per sede della Cooperativa stessa e di cooperative di consumo, produzione e lavoro tra iscritti e simpatizzanti del Partito Repubblicano”. L’articolo 1 dello statuto, che definisce l’oggetto sociale, aggiunge a questo scopo anche: “Promuovere, curare, affiancare, tutte le iniziative dirette a propagandare e sviluppare in Terni il movimento cooperativistico inteso nel senso mazziniano”, nonché la costituzione e la gestione nella sede sociale di “una biblioteca di cultura repubblicana, promuovere corsi di studi sociali, conferenze”, affittare la parte di immobile non utilizzata ed “Essere in Terni sede della Sezione del PRI, circoli giovanili aderenti e associazioni simpatizzanti”. L’articolo 2 prevede l’ammissione di maggiorenni che professano “notoriamente idee connesse al concetto dell’associazionismo cooperativo e principi fondamentalmente repubblicani”. A differenza della precedente, questa Cooperative rimane attiva per più anni ma senza raggiungere gli obiettivi previsti soprattutto a causa di divergenze tra gli amministratori sull’utilizzo più efficace del capitale sociale versato. Questo rimane investito in buoni postali dal momento che alcuni intendono acquistare un locale “qualunque esso sia, purché terreno Capitolo 3


e proporzionale alle nostre disponibilità, soprattutto per farne sede della cooperativa di consumo e come significantissimo elemento morale”, ma altri vorrebbero rapportare “l’acquisto di un locale non all’entità del denaro in cassa, ma alle esigenze del movimento repubblicano ternano”. Nella relazione del consiglio di amministrazione all’assemblea del 16 aprile 1925 si legge: La Cooperativa fu costituita con indiscussa nobiltà e generosità di intendi e con affidanza nell’entusiasmo della famiglia repubblicana ternana. La fede però non trovò la necessaria corrispondenza e non sufficientemente contemperata dalla necessaria prudenza che accompagnar deve ogni organizzazione di carattere economico. Ad alcuni sottoscrittori soltanto più che agli iniziatori risale la responsabilità di non aver fronteggiati i propri impegni morali tanto più sacri quanto meno trovavano coercizione nella firma di obbligazioni, di cambiali e di libri dei soci. Altro errore visuale fu determinato dall’aver fatto fidanza non già nel capitale versato, ma in quello sottoscritto, e più ancora in quello sperato.

E ancora, che la Società non ha potuto agire legalmente contro gli inadempienti per la mancanza di atti formali, che sono state iscritte come soci persone che “per ragioni di età non potevano essere utili” e che molte persone sono state “travolte dal turbine dell’ora che volge”.

Procurare lavoro ai soci mediante acquisto di terre specialmente incolte, e acquisizione di affittanze ed enfiteusi, di terreni agricoli, da Enti pubblici e da privati, promuovendone direttamente la coltivazione a mezzo dei soci, o, a norma dei casi riconoscendone con speciali contratti ai soci stessi la coltivazione, secondo i migliori processi e colla adozione della colture più remunerative, ecc. Sviluppare ed esercitare le industrie accessorie dell’agricoltura e acquistare per impiegare nelle aziende sociali, e per somministrare anche a credito dietro valide garanzie, ai soci effettivi, attrezzi rurali e macchine agricole, piante e sementi, concimi, bestiame e ogni altro materiale, o scorta, occorrente a un’azione agricola. Stabilire depositi di agenzia e fondare consorzi per lo smercio dei prodotti agricoli propri o di quelli degli affittuari. Studiare infine ogni mezzo di perfezionamento e divulgarlo per favorire il progresso e l’incremento dell’agricoltura. Migliorare le condizioni materiali, igieniche e morali dei lavoratori della terra, tutelandone gl’interessi di classe, organizzandone le forze curando opportune iniziative integratrici quali le costruzioni di case coloniche [...] e promuovendone l’istruzione e la previdenza mediante costituzione di un fondo collettivo per casi di malattia e indigenza e per concorrere all’assicurazione dei soci presso la cassa nazionale di previdenza.

- La Cooperativa Popolare di Consumo e Agricola, con sede a Portaria, costituita il 26 gennaio 1921 da 34 soci per acquistare all’ingrosso e ripartire [...] generi alimentari agricoli e altri di uso domestico della migliore qualità e delle più convenienti condizioni [...], Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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Anche se tutte di breve durata, vanno ricordate quelle che in qualche modo collegate al mondo agricolo: - “La Fratellanza”, costituita a Terni (in vocabolo Fiore 26) l’8 marzo 1920 da 18 soci, non solo per “l’impianto di magazzini di consumo”, ma anche, come previsto dall’articolo 1 dello statuto, per:

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provvedere alla difesa economica, sociale dei propri soci e dei consumatori in genere, anche partecipando a quelle iniziative che venissero prese a tale scopo da pubbliche autorità o da altre associazioni [...], acquistare per i soci generi, attrezzi agricoli, noleggiare macchine agricole [...], raccogliere dai soci e scambiare con le altre cooperative i loro prodotti agricoli e manifatturieri, promuovendo [e]ventualmente opere di produzioni, lavorazione e conservazione dei generi destinati al consumo e allo scambio.

Secondo lo statuto, la Cooperativa fa parte della Federazione Provinciale delle Cooperative di Consumo dell’Umbria, presso la quale si approvvigiona, sottostando anche alle sue ispezioni; inoltre, aderisce “alla Federazione Nazionale delle Cooperative di Consumo con sede in Genova e per essa alla Confederazione Cooperativa Italiana”. - la Cooperativa fra gli Agricoltori di Collescipoli, costituita nei primi mesi del 1921 e probabilmente messa in liquidazione nel 1928 perché riesce soltanto ad affittare alcune macchine agricole, sebbene lo statuto preveda anche la possibilità di partecipare con altre società al commercio per la vendita all’interno e all’estero dei prodotti agricoli dei soci oltre che

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di acquistare e distribuire ai soci prodotti, attrezzi, macchine, generi di alimentazione e di vestiario occorrenti per l’esercizio dell’agricoltura e per il consumo delle famiglie [...], ricevere in deposito da case costruttrici macchine, attrezzi, ecc. per curarne la vendita e darle in prestito, noleggio, affitto ecc. [...], facilitare le operazioni di credito ai propri soci. [e] altri scopi diretti al miglioramento [...] dell’agricoltura e delle classi agricole e a tal scopo e per la difesa dei suoi interessi morali si inserirà nella Società degli Agricoltori Italiani.

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Data la forte caratterizzazione operaia della base sociale delle cooperative, non è per caso che nei vari documenti amministrativi conservati negli archivi i pur rari riferimenti al valore del cooperativismo, inteso come armonia tra capitale e lavoro, si trovino sono negli atti dei quelle società che tengono le proprie assemblee presso la sede ternana della Federazione Nazionale delle Cooperative. In questi casi, inoltre, tali riferimenti sono fatti prevalentemente dal segretario di quell’ente. Ugualmente rari sono i riferimenti alle vicende nazionali e internazionali: della prima guerra mondiale si parla solo indirettamente riferendosi a generiche difficoltà, alla rivoluzione d’ottobre non si è trovato mai riferimento, così come mai si parla del “biennio rosso” e dell’occupazione delle fabbriche; ai moti per il caro viveri, che pure hanno pesanti conseguenze economiche sui bilanci e l’attività di molte cooperative, si fanno solo pochi cenni, mentre sono rari i riferimenti alla guerra d’Etiopia; inoltre, solo in un verbale di assemblea si scrive che i soci intervenuti sono di “razza ariana” (si tratta dell’assemblea straordinaria del 21 aprile 1943 dell’Economica di Borgo Bovio che, va detto, dal 1938 tiene le sue riunioni presso la sede di Terni della Segretria Interprovinciale dell’ENFC e sempre alla presenza di un rappresentante di tale ente). Prima di passare all’analisi delle vicende delle cooperative ritenute più significative, vanno ricordate alcune norme statutarie o alcuni aspetti particolari: “La VittoCapitolo 3


Infine, una nota di “colore”: tra il 1919 e il 1920 ben quattro cooperative (il Circolo Familiare Economico di Vallecaprina, la “Famiglia e Lavoro” di Campomicciolo, la “Risparmio e Fratellanza” di San Carlo e “La Sociale” di Terni) aggiungono allo scopo Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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ria”, costituita a Terni (in via Alberto Mario 3) il 18 luglio 1920 da 23 operi, prevede di restituire il 10% al socio che avrà sostenuto il maggior importo di spesa, instaurando così, di fatto, una sorta di gara all’acquisto; la “Cooperativa dell’Ordine”, costituita l’8 ottobre 1920 nel borgo “Costa”, prevede statutariamente una multa di 0,50 lire per chi non partecipi alle esequie di un socio. È invece comune praticamente a tutte le cooperative l’esclusione delle donne. Le uniche eccezioni sono rappresentate da “La Previdente” che, come detto nel capitolo precedente, le ammette come socie nel 1904 (ma solo nel 1910 una donna, Angelica Balabanoff, partecipa a un’assemblea), da “L’Economica” di Papigno, che però richiede il consenso del marito e, per il periodo qui considerato dalla Cooperativa “Cospea”, costituita il 14 novembre 1920 nell’attuale quartiere San Giovanni, che ha tra i suoi 34 fondatori una “casalinga”. Tutte le altre società, anche quelle che utilizzano donne per la gestione degli spacci, le ammettono come socie solo in caso di morte del marito e, comunque, mai con il diritto di partecipare alle assemblee o, tanto meno, con la possibilità di essere chiamate a ricoprire cariche sociali. Emblematico il caso delle cooperative costituite tra i dipendenti dei due stabilimenti ternani in cui è largamente prevalentemente la manodopera femminile. Il 28 luglio 1918, all’atto costitutivo della Cooperativa del Lanificio non partecipa alcuna donna (anche se poi nel 1927 tra i 15 operai che si presentano al notaio per dichiarare che la Cooperativa è stata messa in liquidazione ci sono 3 donne), né nello statuto si fa riferimento alla loro ammissione. La Cooperativa fra il Personale dello Jutificio all’atto costitutivo (6 settembre 1918) ammette le donne ma solo se capo famiglia e senza diritto a partecipare alle assemblee o ad essere elette; l’assemblea straordinaria del 31 gennaio 1919 ammette come “socie aggregate” le maggiorenni, ribadisce l’esclusione dalle cariche sociali ma concede il diritto di intervenire alle assemblee, diritto poi revocato dall’assemblea del 7 marzo 1928.

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sociale prioritario anche “lo svago dei soci”, obiettivo che indendono raggiungere, come si legge ad esempio nello statuto della “Famiglia e Lavoro” (di cui si dirà più dettagliatamente nelle pagine 145-154), allestendo un locale dove essi, possono radunarsi a loro piacere tutte le sere dei giorni festivi dalle 14 alle 22, e dei giorni feriali dalle 18 alle 22, allo scopo di divertimento e a conversazione tra loro. [...]. I locali debbono essere convenientemente forniti a buffet per le eventuali consumazioni dei frequentatori. Nel buffet non si somministra a credito.

Purtroppo la documentazione disponibile non consente di valutare il peso economico di quest’attività in nessuna delle Cooperative indicate, ma è certo che la si può considerare conseguenza del diffondersi di nuovi consumi tra i ceti popolari e, in qualche modo, anche “terreno fertile” sul quale poi si inseriranno le varie strutture dopolavoristiche della Società Terni62.

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L’Unione Cooperativa della Valnerina

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Questa cooperativa, costituita a Papigno già l’1 maggio 1907, viene analizzata in questo capitolo perché è un caso emblematico di Società di ispirazione operaia socialista che si contrappone a un’analoga struttura di ispirazione padronale, peraltro anch’essa aderente alla Lega, e che proprio a causa della sua attività subisce l’attacco delle squadre fasciste (mai citate esplicitamente nei documenti societari). L’Unione Cooperativa della Valnerina viene costituita da 55 soci, tutti residenti a Papigno (ma prevalentemente nati in altri comuni umbri), tra i quali si contano 2 impiegati e 1 ragioniere (chiamati a ricoprire cariche sociali: Porchetti e Orlandi quella di consigliere, Salvati quella di sindaco), 1 barbiere e ben 51 operai. Il primo consiglio di amministrazione risulta composto dai consiglieri Riccardo Porchetti, Ulderico Laliscia, Lazzaro Sabatini, Mosè Neri, Roberto Orlandi, Domenico Pennesi, Adolfo Panico, Cesare Caffarelli e Gio Battista Ferranti; dai sindaci effettivi Raniero Salvati, Martino Foschi e Ottorino Ferretti; dai sindaci supplenti Mariano Ottaviano e Giuseppe Marcucci. A far parte del collegio arbitrale vengono chiamati Guglielmo Petrelli, Giovanni Iacobelli e Pietro Farini. Obiettivo della Cooperativa, che già nell’atto costitutivo prevede l’istituzione di succursali nelle frazioni del comune, è “di giovare all’economia domestica, acqui-

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Informazioni sulle attività dopolavoristiche della Società Terni si trovano in alcuni volumi pubblicati dalla stessa impresa: Terni - Società per l’Industria e l’Elettricità. Anonima. Sede in Roma. 1884-1934, Barberino e Graeve, Genova 1934 e, soprattutto, Terni - Società per l’Industria e l’Elettricità, Dopolavoro, assistenza di fabbrica, assistenza sanitaria, Stab. Alterocca, Terni 1937; inoltre, cfr. Marinella Angeletti, Il tempo libero negli anni trenta: l’organizzazione del dopolavoro, in “Indagini”, 37, giugno 1987 e, della stessa autrice, Il Dopolavoro, in Storia illustrata delle città dell’Umbria, a cura di Raffaele Rossi, Terni, a cura di Michele Giorgini, vol. V, tomo II, Sellino, Milano 1994.

Capitolo 3


stando direttamente generi di prima necessità (specialmente alimentari) per rivenderli ai propri soci all’ingrosso e ad un prezzo non superiore al minimo corrente”. Possono essere soci della Cooperativa tutti (uomini e vedove di soci) i residenti a Papigno. Pur essendo chiara l’ispirazione socialista (gli avvisi di convocazione delle assemblee vengono pubblicati su “La Turbina” di Terni o su “L’Avanti”), nella ripartizione degli utili, oltre a una piccola quota (5%) a disposizione del consiglio di amministrazione per beneficenza e propaganda cooperativa e alla restituzione ai soci in proporzione degli acquisti fatti, è prevista anche remunerazione del capitale. Nella relazione sull’andamento dell’esercizio 1907 presentata all’assemblea dell’8 marzo 1908 il consiglio di amministrazione sottolinea le difficoltà incontrate nell’avvito dell’attività (ottobre 1907): l’esiguità del capitale sociale versato, la scarsa conoscenza del commercio da parte degli amministratori e la poca fiducia dei fornitori ma anche degli stessi fondatori. Sebbene vengano praticati prezzi in media inferiori del 10% rispetto a quelli praticati dai commercianti della zona, capaci di garantire un risparmio medio in 5 lire al mese per famiglia, ancora nel mese di dicembre i soci che utilizzano lo spaccio per i loro acquisti sono appena trentuno. Per ora possiamo dirvi che nostra prima cura fu quella di procurare ai soci consumatori tutte merci della migliore qualità, trascurando, o meglio, mettendo in seconda linea l’idea del guadagno. E questo appunto per esser ligi al principio che essendo queste cooperative costituite non già da speculatori, ma da consumatori, debbono avere per loro principale scopo di acquistare generi che non diano il massimo guadagno, ma il massimo beneficio igienico ai soci che li consumano. È ben vero che anche il commerciante privato ha interesse di presentare ai consumatori le merci migliori possibili per mantenere ed aumentare la sua clientela, ma è pur anche vero che avendo egli per suo principale scopo di ottenere un lucro sempre maggiore col minimo dispendio possibile, sarà indotto necessariamente a propendere più per la merce meno costosa che per quella di migliore qualità, almeno fino al punto in cui non ne risentirà uno svantaggio per la conseguente diminuzione dello smercio. Quando sa poi, come accade comunemente nei nostri paesi, che il consumatore deve rivolgersi a lui ad ogni costo perché legatovi dalla miseria che gli impedisce di scegliersi il migliore fornitore, o dall’abitudine invalsa di spendere a credito, allora il commerciante è spinto a provvedersi della merce meno cara e meno buona anche per l’alea che corre di non riscuotere i suoi crediti. Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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Luogo di nascita dei soci fondatori dell’Unione Cooperativa della Valnerina

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L’anno seguente, nella relazione all’assemblea del 21 marzo, il consiglio di amministrazione sottolinea nuovamente i benefici apportati dalla Cooperativa a tutti i soci nonché la funzione “morale ed educativa” da essa svolta “specialmente in mezzo alla classe operaia”.

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Diciamo specialmente in mezzo alla classe operaia, perché è quella che deve a noi interessare più delle altre in quanto essendo essa la più numerosa, mentre tiene il segreto dell’avvenire nelle sue mani, è d’altra parte disgraziatamente ancora la più tarda a riconoscere la via sicura per raggiungerlo.

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Gli amministratori sono dichiaratamente contrari alla religione e alla rivoluzione a ogni costo, ma favorevoli alla formazione della coscienza di classe degli operai, all’istruzione e all’educazione delle masse. Per raggiungere tali obiettivi e consentire ai “più deboli” di sollevarsi dalla condizione miserevole in cui si trovano lo strumento più idoneo viene individuato proprio nella cooperazione, che, consentendo di unire piccoli risparmi può formare capitali sufficienti per competere con i capitalisti che hanno il monopolio dell’industria e del commercio. Oltre a questa funzione “morale ed educativa” – come detto – ne viene però espletata anche una più concreta. Sebbene i prezzi di vendita delle merci vengano mantenuti inferiori (del 6%) rispetto a quelli praticati dai dettaglianti, l’esercizio 1908 viene chiuso con un utile di 1.685 lire. Questa cifra è certamente ragguardevole in rapporto al giro di affari della Cooperativa (13.041 lire) ma è interessante soprattutto per come viene utilizzata: in minima parte per remunerare il capitale (60,37 lire alle 1.773 costituenti il capitale sociale versato, pari a un interesse annuo del 3,46%) e per remunerare il lavoro prestato (22 lire) e soprattutto per restituire ai soci 652,03 lire per gli acquisti fatti (cioè, in media, 9,58 lire a ciascuno dei 68 soci) e per distribuire gratuitamente ai soci, durante le festività natalizie, merci per altre 225 lire. Inoltre, va rilevato che durante lo sciopero che dall’agosto all’ottobre 1908 vede contrapposta la Società Carburo ai suoi operai, l’Unione Cooperativa della Valnerina concede ai suoi soci dipendenti di quella impresa un credito di 355 lire per merce ritirata da rimborsare a rate. Nel 1910 matura così la convinzione dell’inadeguatezza dei locali destinati alla vendita, ragion per cui si avvia la raccolta di quote quindicinali da una lira ciascuna in modo da raggiungere la somma di 10-12.000 lire da destinare alla costruzione di nuovi locali per il magazzino e lo spaccio. A questa data la Cooperativa, oltre al reparto generi alimentari, ha un reparto pane, suini e farine a cui dal marzo 1910 aggiunge anche un reparto “mescita e merceria”. Come registrato anche in altre Società, la vendita del vino è tra le attività più remunerative: nel bilancio 1910 (chiuso con un utile di 3.509 lire) i generi alimentari, ancora riservati ai soli soci, risultano produrre un utile netto di 2.037 lire con un giro d’affari di 46.000 mentre “mescita e merceria” danno un utile netto di 2.425 lire a fronte di un giro d’affari di sole 12.000. L’assemblea del 26 marzo 1911 delibera quindi di aprire al pubblico anche il reparto generi alimentari. Questa decisione rende ancora più pressante la ricerca di spazi adeguati per la Capitolo 3


In questi ultimi tempi [...] la vostra amministrazione (d’accordo con i signori sindaci) si è accorta che per proseguire a mantenere un tale reparto (come fanno tutti i grandi commercianti) occorrono forti capitali, poiché esso lascia sempre i così detti fondi di bottega (generi passati di moda che non si vendono più) mentre, per mantenere la clientela è indispensabile essere ben forniti. D’altra parte il reparto fu utile negli anni passati, oggi, sia per la sempre maggiore concorrenza de’ vari merciai ambulanti e sarti, sia per la vicinanza alla città, sia per l’abuso del credito che noi non possiamo praticare ai clienti, si è dovuto riconoscere la necessità imprescindibile della soppressione e liquidazione del reparto.

Contemporaneamente, e per la prima volta, nella loro relazione i sindaci segnalano con preoccupazione la presenza di crediti molto elevati (1.884 lire) per somministrazioni. Su questo problema torna anche il consiglio di amministrazione nella sua relazione all’assemblea del 21 febbraio 1915, illustrando i suoi sforzi per la riscossione dei conti arretrati, anche per vie legali, e per incrementare la vendita in contanti, mentre quella a credito viene stigmatizzata come “perniciosa abitudine” che riducendo la disponibilità di cassa non consente di scegliere i fornitori né di fare acquisti al miglior prezzo. Del resto, è oramai cominciato il conflitto mondiale e la Cooperativa non è certo finanziariamente preparata, data l’esiguità dei suoi capitali, ad affrontare l’economia di guerra, che, oltre all’aumento dei prezzi e alla comparsa della speculazione, ha come conseguenza anche la richiesta da parte dei fornitori del pagamento in contanti della merce. Questa situazione di crisi (l’esercizio 1914 viene chiuso con un utile di sole 264 lire a fronte di utili lordi dalle vendite per 5.217) induce ancor Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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vendita, e siccome il Comune respinge la richiesta di cessione di un’area fabbricabile viene stipulato un contratto di affitto di quattro anni per l’utilizzo (anche di un reparto stoffe e mercerie) dei locali della Società Cooperativa “Il Lavoro”. Inoltre, a causa di divergenze sorte con i gerenti, viene acquistata una bilancia sulla quale i clienti possono controllare il peso della merce prima di uscire dal negozio e viene assunto un “collettore” per controllare la merce che entra ed esce dal magazzino e per “incassare l’importo di ogni minuta vendita”. Nella loro relazione i sindaci scrivono che l’utile dell’esercizio 1911 è stato di sole 1.125 lire non solo a causa delle spese sostenute per attrezzare i nuovi locali, ma anche per la volontà di mantenere bassi i prezzi di vendita, soprattutto quelli delle merci di prima necessità (farine, paste alimentari, olio ecc.). Già nel corso del 1912 il controllo al reparto generi alimentari viene soppresso perché inefficace e nel 1913 viene acquistato, a rate, un registratore di cassa, definito “mezzo facile di reclame” e di controllo giornaliero sugli incassi. Nello stesso anno la soppressione, con liquidazione della merce, del reparto mercerie e stoffe determina la chiusura dell’esercizio 1913 con una perdita di 3.506 lire (a fronte di utili lordi procurati dalle vendite pari a 7.025). Questa scelta viene così motivata dal consiglio di amministrazione nella sua relazione all’assemblea dei soci del 29 marzo 1914:

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più gli amministratori a far agire la Cooperativa come calmieratrice del mercato, a comprimere ancora di più le spese fino a ridurre lo stipendio al gestore dello spaccio e a richiedere sempre più prestazioni gratuite ai soci, e poi anche a chiedere al Comune di Papigno di costituire un Ente Autonomo di Consumo63:

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la nostra domanda non ebbe l’esito favorevole che ci attendevamo. Pazienza! Se siamo avversati, se non siamo compresi, noi seguitiamo la nostra via con rinnovato vigore. Ma da questo fatto scaturisce l’insegnamento che il popolo deve contare solo sulle proprie forze per migliorare le proprie Istituzioni.

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È probabilmente per questa convinzione, espressa dal consiglio di amministrazione all’assemblea del 18 febbraio 1917, che nel gennaio era stato diretto un appello con il quale si invitavano tutti i lavoratori ad associarsi in modo da creare “alla nostra cooperazione una base sempre più solida permettendole di estendere la propria sfera di attività”64, che il 9 dicembre l’Unione Cooperativa della Valnerina ospita i delegati della costituenda Federazione Umbra della Cooperative di Consumo e che si studia la fusione con la Cooperativa “Il Lavoro”. Del resto, l’Unione può vantare risultati eccellenti sia dal punto di vista economico sia sociale. Per l’esercizio 1916 distribuisce ai soci 2 lire per ciascuna azione posseduta e altre 2,50 per l’esercizio 1917, l’esercizio 1917 viene chiuso con un utile di 1.046 lire e nel 1918 l’utile è di ben 3.846 lire, risultati dovuti, oltre che al reparto generi alimentari e al “servizio caffè” istituito nel 1918, dal vino e dalle carni suine prodotti autonomamente, cioè con il lavoro gratuito dei soci. Questi sono in continuo aumento se all’assemblea del 16 marzo 1919 partecipano in 95, a quella del 29 febbraio 1920 in 106 e a quella del 20 marzo 1921 in 103 (erano 22 il 29 marzo 1914), tanto che si ricomincia a parlare anche della costruzione di una sede propria e di una succursale da aprire nella frazione di Marmore. Come nel caso di altre cooperative, le prime difficoltà sorgono con la fine della guerra, cioè a partire dal 1919. Anche se, nonostante il ribasso dei prezzi del 50% imposto dal governo nel luglio 1919 in seguito alle agitazione per il caro viveri, l’esercizio viene chiuso con un utile di 2.558 lire, già il 16 marzo si approvano una serie di modifiche allo statuto volte ad allargare la base sociale e ad aumentare le risorse disponibili: vengono ammessi anche soci non residenti a Papigno (tranne coloro che commerciano gli stessi generi venduti dalla Cooperativa), viene abolito il sovrapprezzo sulle azioni, vengono incamerate nel fondo di riserva le azioni versate da coloro che vengono espulsi e viene imposto l’obbligo di fare gli acquisti negli spacci sociali. Ma sono provvedimenti insufficienti se l’assemblea straordinaria del 9 luglio 1919 delibera che ogni socio versi immediatamente almeno altre

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Cfr. Attraverso l’Italia. Papigno (PG). Per l’ente autonomo dei consumi, in “La Cooperazione Italiana”, XXX, 1209, 15 settembre 1916 e Attraverso l’Italia. Papigno (PG). Ancora dei rapporti tra la Cooperativa di consumo e il Comune, in ivi, 1211, 29 settembre 1916. Cfr. Attraverso l’Italia. Papigno. Un appello della Cooperativa, in “La Cooperazione Italiana”, XXXI, 1225, 5 gennaio 1917.

Capitolo 3


Il Consiglio, venuto a conoscenza che alcuni sono sono entrati a far parte di altra società cooperativa istituita in Papigno (voc. Galleto) con mezzi della Società del Carburo, ritenuto che tale Cooperativa – per la sua natura e per la località ove è aperta – è in evidente contrasto con gl’interessi e con il carattere schiettamente operaio della nostra Unione Cooperativa (che vuole essere un presidio per la resistenza della classe lavoratrice nelle lotte economiche e preparazione per una migliore convivenza sociale) ritiene incompatibile che soci nostri facciano parte anche della Cooperativa predetta, anche perché (come hanno deliberato i vari congressi) è molto dannoso il sorere di più cooperative nella stessa località; e ritenuto inoltre che i soci iscritti a quella Cooperativa contravvengono alle disposizioni dello statuto nostro, delibera di richiamare i soci stessi ai doveri di rigida disciplina sociale, a scanso di spiacevoli provvedimenti66.

Riprendendo le argomentazioni dell’organo della Lega, l’assemblea dei soci dell’Unione il 29 febbraio 1920 ribadisce l’ispirazione socialista della Cooperativa, insiste sullo sbocco naturale di tutto il movimento cooperativo verso le istanze socialiste, e riconosce il gruppo parlamentare socialista (costituito dopo le elezioni politiche del 16 novembre 1919) come massimo referente. Il consiglio di amministrazione, dopo aver definito la Cooperativa promossa dalla Società Carburo “emanazione del capitalismo padronale”, ottiene dalla stessa assemblea l’espulsione dei soci che vi aderiranno. Il provvedimento non risulta molto efficace se si ricorre addirittura all’affissione di manifesti per pubblicizzare la deliberazione dell’assemblea straordinaria del 30 ottobre che ribadisce la necessità di punizioni contro gli inadempienti. L’assemblea del 20 marzo 1921 delibera l’espulsione di 11 soci (ma nel corso dello stesso 1920 ne vengono ammessi 36) 65

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La decisione dell’assemblea viene riportata anche in Dall’Umbria. Papigno, in “La Cooperazione Italiana”, XXXIII, 1361, 15 agosto 1919. Attraverso l’Italia. Papigno (Perugia), in “La Cooperazione Italiana”, XXXIV, 1384, 23 gennaio 1920.

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due azioni65 (la sottoscrizione minima di tre azioni verrà deliberata nuovamente dall’assemblea straordinaria del 30 ottobre 1920) e l’Istituto Nazionale di Credito per la Cooperazione concede una sovvenzione di 50.000 lire. Forse anche a causa della costituzione della Cooperativa di Consumo tra il Personale Impiegato e Operaio della Società Italiana per il Carburo di Calcio, i programmi dell’Unione Cooperativa della Valnerina vengono ridimensionati: la succursale di Marmore viene inaugurata, e sembra anche con un certo risultato se nel corso dello stesso 1919 i suoi soci passano da 30 a 80, si rinvia sine die la costruzione della sede e si acquistata (da Pietro Conti, per 5.500 lire) una casa in via Cavallotti, con annesso vano a pian terreno, per adibirla a varie lavorazioni e a cantina in modo da ridurre l’affitto pagare da alla Cooperativa “Il Lavoro”. Il pericolo maggiore viene però individuato nella concorrenza della Cooperativa di consumo costituita il 22 novembre 1919 per iniziativa della Società Carburo. Contro tale iniziativa si pronuncia anche “La Cooperazione Italiana”; il Consiglio Provinciale delle Cooperative, riunito il 4 gennaio 1920 a Bari, vota il seguente ordine del giorno:

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non perché solo undici soci hanno commessa la infrazione (poiché ve ne sono parecchi altri) ma perché per questi undici vi erano più motivi per giustificare la deliberata espulsione. È stato un passo spiacevole, ma necessario, che deve servire da avviso agli altri che non si trovano in regola, e corrono lo stesso percolo di espulsione.

Le elezioni amministrative dell’ottobre 1920 sembrano dare un po’ di respiro all’Unione Cooperativa: il Partito Socialista, nel quale militano molti amministratori della Società, conquista la maggioranza nel Comune di Papigno:

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Con la vittoria del Partito Socialista al Comune, che è anche il partito in difesa della cooperazione di classe, avemmo una tangibile attestazione di fiducia dalla nuova Amministrazione, con il passaggio a noi dell’importante servizio della gestione annonaria

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mediante convenzione, già a partire dai primi del novembre 1920. Ciò determina un vivace dibattito tra gli amministratori della Cooperativa, alcuni dei quali avevano già proposto di cessare la vendita di merci ai non soci, e ripetuti attacchi da parte dell’opposizione nel Consiglio Comunale. L’assemblea del 20 marzo 1921 discute quindi dell’opportunità o meno di proseguire nella gestione del servizio annonario, accetta le dimissioni del direttore contabile Odoardo Mazzetti, in carica da 13 anni, e di tutte le cariche sociali “per ragioni di delicatezza perché buona parte dei rimasti in carica sono troppo occupati nell’Amministrazione Comunale”. Vengono quindi eletti: Domenico Mariani, Cesare Massarini, Paris Alunno, Virgilio Morsetti, Arnaldo Viali, Geremia Sabatini, Arnaldo Cresta, Marcucci Giuseppe, Francesco Conti, Bernardino Carapacchio e Rinaldo Desideri; sindaci effettivi: Giuseppe Ascani, Attilio Pennesi e Pietro Tobia; sindaci supplenti: Torello Moscatelli e Umberto Sabatini; probiviri: Umberto Cheli, Francesco Fidanza e Guglielmo Petrelli. Alla stessa assemblea, che approva il bilancio 1920 (chiuso con un utile 3.183 lire a fronte di ricavi lordi dalle vendite per 32.490 e un capitale sociale 19.250 lire diviso in con 770 azioni), il consiglio di amministrazione dimissionario riferisce di un non meglio specificato incendio (spento rapidamente anche grazie all’aiuto delle donne) verificatosi nel negozio, incendio che ha temporaneamente ridotto l’attività del macello67 ma i cui danni sono stati pagati dall’assicurazione. Cosa ben diversa dell’attacco squadrista della notte dell’1 settembre 1922: E mentre eravamo a scòla, me ricordo, una ragazzina ch’era andata al gabinetto torna piangendo, l’accompagnava la bidella: “I fascisti hanno incendiato Papigno” […] Difatti a Papigno abbiamo visto la sezione comunista che ardeva; poi quando semo arrivati a Marmore, anche lì, j’avevano dato fòco. Cento metri più in là c’era la Cooperativa [la succursale l’Unione Cooperativa della Valnerina di Papigno], avevano fatto altrettanto68. 67

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Il macello viene avviato nel corso del 1920 per “non tollerare più il monopolio parassitario dell’unico macellaio”; alla fine dell’anno l’attività chiude però in perdita perché il macellaio privato riconquista la clientela che lo aveva abbandonato adeguando i suoi prezzi a quelli praticati dalla Cooperativa e a nulla valgono i richiami “alla disciplina” fatti a molti soci. Bruno Zenoni in Portelli, Biografia di una città cit. (a nota 18), p. 153.

Capitolo 3


Particolari del prospetto delle attività e dei ricavi della Cooperativa “Il Progresso” nei bilanci 1920 e 1929

Distrutte tutte le sue strutture, l’Unione Cooperativa della Valnerina cessa così di operare, senza neanche le pratiche per la messa in liquidazione.

Da questi documenti è evidente come il vino costituisca buona parte delle attività della Cooperativa e contribuisca in modo significativo a determinare i ricavi.

“La Famigliare” viene costituita il 21 settembre 1917 a Terni, in via Anastasio De Filis 19, non solo per gestire un “Magazzeno cooperativo di generi alimentari fra operai” (aperto solo due giorni alla settimana dalle 19,30 fino alle 22,30) ma anche con lo scopo di prestare “aiuto ai soci stessi, in caso di malattia”. L’articolo 19 dello statuto prevede infatti che il socio inabile al lavoro per più di 30 giorni riceva, una volta al mese, 1 lira da ciascuno dei soci (che quindicinalmente versano 0,50 lire nel fondo sociale). Oltre ad Amedeo Raggi e Ulisse Buono (operai nati a Terni), alla costituzione della Cooperativa partecipano i consiglieri Enrico Perni (operaio, nato a Massa Martana), Dante Carletti (operaio, nato a Perugia), Giuseppe Lustrissimi (operaio, nato a Subiaco), Nunzio Pangrazi (operaio, nato a Massa Martana) e Gerardo Morelli (operaio, nato a Terni), i sindaci effettivi Te-

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Il “Progresso”, già “La Famigliare”

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I soci della Società Cooperativa “La Famigliare” nella metà degli anni venti

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La Famigliare viene costituita il 21 settembre 1917, con sede in via Anastasio De Filis 19, con “lo scopo di giovare all’economia domestica dei soci acquistando generi di prima necessità per rivenderli a prezzo di costo e per aiuto ai soci stessi, in caso di malattia”. Il consiglio di amministrazione risulta composto dai consiglieri: Enrico Perni (operaio, nato a Massa Martana), Dante Carletti (operaio, nato a Perugia), Giuseppe Lustrissimi (operaio, nato a Subiaco), Nunzio Pangrazi (operaio, nato a Massa Martana) e Gerardo Morelli (operaio, nato a Terni); dai sindaci effettivi: Telemaco Contili e Giuseppe Fusacchia; dal sindaco supplente: Armando Mazzocchi. Oltre agli amministratori, alla costituzione della Cooperativa partecipano anche Amedeo Raggi (operaio, nato a Terni) e Ulisse Buono (operaio, nato a Terni). Dal 1921, anno in cui ha attivo uno spaccio in via Faustini (palazzo Fonzoli), per evitare confusioni con altre Società dal nome simile, modifica la ragione sociale in “Il Progresso”.

lemaco Contili e Giuseppe Fusacchia e il sindaco supplente Armando Mazzocchi. Tre anni dopo i soci sono ben 34 e, riuniti in assemblea il 21 febbraio 1921, confermano gli amministratori eletti nel 1917 e approvano la chiusura del bilancio 1920 con un utile di 1.899 lire, 1.518 delle quali vengono ripartite tra i soci in proporzione agli acquisti fatti. La situazione economica della Cooperativa deve essere considerata solida se l’assemblea del 27 febbraio, tenuta nei locali sociali di via Faustini (Palazzo Fonzoli), Capitolo 3


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oltre ad adottare la nuova denominazione di “Il Progresso” (in modo da evitare “disguidi della corrispondenza, equivoci e contrattempi spiacevoli” con le altre Cooperative ternane che hanno un nome simile) e a deliberare l’utilizzo de “La Cooperazione Italiana” come organo ufficiale, stabilisce nuovi criteri per la concessione del sussidio di malattia: il socio impedito a lavorare per più di 15 giorni avrà diritto a un sussidio di 40 lire, di 2,50 per ciascuno dei giorni successivi e di 1 lira dopo 6 mesi di malattia. Tali somme saranno prelevate dal fondo di previdenza, formato da versamenti quindicinali di 1 lira eseguiti da ciascun socio (anche da quelli malati o infortunati) e dal 20% degli utili netti. Nel caso il fondo di previdenza risultasse insufficiente, le somme necessarie saranno prelevate dagli utili dell’esercizio precedente: l’assemblea delibera infatti che la Cooperativa tratterrà gli utili spettanti ai soci fino al raggiungimento di una somma pari al valore di 10 azioni. Nel corso del 1923 il fondo di previdenza eroga “la bella somma” di 1.062 lire di sussidi a 5 soci ammalatisi. Nello stesso anno i soci sono diventati 41. Questo sarà il numero massimo di iscritti, che rimarrà senza grandi variazioni fino al 1926 per poi diminuire progressivamente fino a scendere sotto i 20 con l’inizio degli anni trenta. L’assemblea del 29 febbraio 1924 rinnova in maniera significativa il consiglio di amministrazione: ai riconfermati Enrico Perni e Telemaco Contili (eletti ancora dall’assemblea del 26 marzo 1933) si affiancano Guglielmo Spinelli, Giuseppe Fiumani, Augusto Colella, Riccardo Pierotti e Roberto Buono. Questo cambiamento è probabilmente indice di un qualche disaccordo tra i soci: già a partire dalla precedente assemblea straordinaria del 19 settembre 1923, che proroga la durata della Cooperativa di altri sei anni, aumenta in modo significativo il numero di coloro che non solo non partecipa alle assemblee ma addirittura non fornisce giustificazione della propria assenza, sebbene tale comportamento, a norma di statuto, sia passibile di ammenda. Contemporaneamente, nei verbali compaiono sempre più frequenti richiami non solo a quanti devono saldare i propri debiti ma anche al rispetto dei “turni di servizio” e all’utilizzo dello spaccio. L’assemblea straordinaria del 7 marzo 1926, convocata con avviso comparso sulla “Gazzetta Ufficiale” (“in sostituzione del giornale ‘La Cooperazione Italiana’, organo ufficiale della Cooperativa, giornale soppresso”), apporta una serie di modifiche allo statuto. Innanzitutto la proroga al 1931 perché, come sostiene Giuseppe Fiumani, la Cooperativa è “di esempio a tutte le altre, ha sempre progredito e promette molto bene anche per l’avvenire”. Ciascun socio viene poi autorizzato a possedere fino a 50 azioni, mentre l’utile netto viene così ripartito: 20% al fondo di riserva, 20% al fondo di previdenza “e per gli scopi di utilità morale dei soci” e il restante 60% ai soci in proporzione agli acquisti fatti “con l’obbligo però di capitalizzare la loro quota utili fino a tanto che non avranno liberate almeno dieci azioni”. Infine, viene deciso di ricostituire il fondo di riserva con un versamento a fondo perduto di 30 lire da parte di tutti i soci (33 presenti all’assemblea e 7 assenti giustificati), mentre nella successiva assemblea del 6 marzo 1927 il presi-

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dente Colella invita tutti a versare, come in passato, le quote quindicinali, anche di sole 5 lire, in conto azioni. L’assemblea del 10 marzo 1929 delibera così di prelevare dal fondo di previdenza 2.800 lire per rimborsare 100 lire a ciascuno dei 28 soci facenti parte della Cooperativa, nonché di prelevare dallo stesso fondo ulteriori 197 lire per pareggiare il deficit dell’esercizio 1928. Vari soci raccomandano che vengano rispettati i turni di servizio in Cooperativa. Questo è il primo bilancio chiuso in perdita ma sarà seguito da esercizi che registreranno una sensibile riduzione dell’utile, al massimo, di poche centinaia di lire, molto al di sotto dei sia pur modesti livelli degli anni precedenti. Significativo il conto profitti e perdite del 1929: da esso risulta che dalla vendita di “generi vari” la Cooperativa ha avuto “profitti” per 1.669 lire e dalla vendita di vino per 3.191 lire. Come per molte altre società, la vendita di vino costituisce la principale attività e la maggiore fonte di utili. Di ciò sono consapevoli anche gli amministratori della Cooperativa “Il Progresso” se chiedono al Comune l’autorizzazione a vendere vino al dettaglio. La crisi economica generale si dimostra però più forte di questa strategia aziendale se il numero dei soci continua a diminuire e, con esso, il giro d’affari e l’ammontare dei ricavi. Sebbene la Società venga poi autorizzata a vendere al pubblico anche i generi alimentari, deve ricorrere ai vari fondi di riserva per coprire le perdite e, in qualche modo, incoraggiare i soci. L’assemblea del 26 marzo 1933 approva la chiusura del bilancio 1932 con una perdita di 201 lire (prelevate dal fondo di riserva) e la distribuzione ai 19 soci di 600 lire (prelevate dal fondo di previdenza) “a titolo di incoraggiamento e quale compenso extra per il servizio, talvolta speciale e gravoso, da loro prestato”; inoltre, a conferma del generale momento di crisi e delle funzioni di sostegno al reddito svolto anche da questa Cooperativa, delibera la restituzione dei versamenti azionari eccedenti le 1.000 lire nel timore che i soci non sarebbero stati in grado di pagare i debiti contratti per gli acquisti fatti negli spacci sociali. Ciò nonostante, anche se all’assemblea del 18 marzo 1934 “Viene [...] riaffermata la ferma fiducia che la Cooperativa superi presto questo periodo poco felice e torni a prosperare come per il passato” e gli amministratori assicurino “che il Sodalizio farà tutto il possibile affinché i prezzi di vendita siano tenuti bassi”, i sindaci imputano la perdita riportata dal bilancio 1933 (363 lire) proprio alla “concorrenza enorme che difficilmente oggi può essere combattuta, specialmente da noi che di anno in anno vediamo assottigliare il nostro numero di soci e per conseguenza diminuire sempre più le vendite”. Del resto, nonostante la possibilità di vendere al pubblico, lo scarso numero di soci costringe a fare acquisti quantitativamente modesti e, quindi, a prezzi non sempre convenienti. L’assemblea del 16 settembre 1934, senza attendere un ulteriore peggioramento economico, dal momento che non ci sono debiti verso terzi e i crediti verso i soci sembrano recuperabili quasi per intero, che mobili e attrezzi sono già stati ammortizzati e che il fondo di riserva è cospicuo, delibera quindi lo scioglimento della Cooperativa e nomina liquidatori Giuliano Donzellini, Amedeo Raggi e Riccardo Pierotti. Capitolo 3


Quella della Cooperativa tra il Personale dello Jutificio Centurini è una vicenda senza alcuna particolarità: nella documentazione amministrativa non si è rintracciato alcun contrasto tra i soci o tra i soci e gli amministratori né alcuna problematica che superi l’ordinaria gestione, ma questa è una delle poche cooperative costituite tra i dipendenti di una fabbrica ed è significativa perché si tratta di una fabbrica in cui la stragrande maggioranza degli occupati è costituita da donne, mentre nella Cooperativa il ruolo delle donne è a dir poco marginale, e perché, in pratica, la sua gestione è nelle mani della direzione aziendale ed è fortemente dipendente dalle sorti economiche della fabbrica. Quando, tra la fine degli anni venti e la metà degli anni trenta, la crisi dello Jutificio ne riduce l’occupazione, i bilanci della Cooperativa ne risentono immediatamente e pesantemente, senza che essa riesca mai a svolgere alcuna funzione di supporto alla resistenza nei Luogo di nascita dei 79 soci periodi di conflittualità sindacale e di fondatori della Cooperativa contrasto con la direzione aziendale. dello Jutificio La Cooperativa viene costituita il 6 settembre 1918 da 79 soci (ben 40 dei quali analfabeti) il quali, per acclamazione, nominano presidente onorario il direttore dello stabilimento, l’ingegnere Emilio Mazza. Lo Jutificio Centurini era stato dichiarato “ausiliario” già nel 1916 per concentrarne l’attività nella fabbricazione di sacchi di juta per le trincee69 e sebbene le difficoltà nei rifornimenti di materia prima, proveniente prevalentemente dall’India, ne avevano a volte rallentato l’attività produttiva, disponeva di macchine capaci da dare lavoro fino a 1.700-2.000 addetti70. I soci fondatori, tutti maschi, approvano uno statuto che all’articolo

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Cfr. ACS, Ministero Armi e Munizioni, Mobilitazione industriale. Decreti di ausiliarità, b. 10, fasc. 96, s.fasc. 53 “Società Anonima Jutificio Centurini. Stabilimento di Terni. Sullo vicende dello Jutificio Centurini cfr. Le industrie di Terni. Schede su aziende, infrastrutture e servizi, a cura di Renato Covino, CRACE, Perugia 2002, pp. 53-56; Gisa Giani, Donne e vita di fabbrica a Terni, Sigla Tre, Perugia 1985; Maria Rosaria Porcaro, Operae ribelli e “chiassose”: le centurinare, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria, a cura di Renato Covino e Giampaolo Gallo, Einaudi, Torino 1989, pp. 705-733; Roberto Monicchia, Lo Jutificio Centurini, in Storia illustrata delle città dell’Umbria, a cura di Raffaele Rossi, Terni, a cura di Michele Giorgini, Milano 1994, vol. V, tomo II, pp. 587-598.

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La Cooperativa tra il Personale dello Jutificio Centurini: un altro caso di controllo da parte dell’impresa industriale

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Attivo, utile netto e debiti dei soci della Cooperativa di Consumo dello Jutificio

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Peso del debito dei soci sull’attivo della Cooperativa di Consumo dello Jutificio

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Capitolo 3


al gretto risparmio del soldo su qualche genere che altrove poteva aversi a minor prezzo e [speculato] su un altro che altrove non era facile trovare e costava di più.

Alla successiva assemblea di cui Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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6 ammette anche “le donne capi di famiglia comunque occupate presso lo Jutificio Centurini”; queste ultime, però, pur essendo tenute ad acquistare almeno un’azione, non possono partecipare alle assemblee né possono essere elette, anche se godono degli stessi diritti dei soci effettivi per la distribuzione dei generi e degli utili. L’ingerenza della direzione aziendale nella Cooperativa è anticipata già da alcune norme statutarie come quella che all’articolo 7 impone a ogni socio di “vigilare e denunciare al collegio dei sindaci, per le opportune indagini, qualunque scorrettezza di cui venisse a conoscenza”, oppure quella che all’articolo 15 autorizza il consiglio di amministrazione ad aprire un conto corrente con l’amministrazione della Società Anonima Jutificio Centurini per provvedere all’acquisto delle merci. Il controllo dell’impresa probabilmente non induce i dipendenti, che in genere superano i 1.000, a far parte della Cooperativa: l’assemblea più affollata vede infatti la partecipazione di soli 99 soci. All’assemblea straordinaria del 31 gennaio 1919, presenti 90 soci, il presidente del consiglio di amministrazione “ha parole di gratitudine per la direzione e l’amministrazione dello Jutificio per l’aiuto morale e materiale”, ma poi riconosce “una inesplicabile e sempre maggiore diminuzione negli acquisti da parte dei soci, sulla totalità dei quali si era basato nell’approvvigionare il magazzino”. Il bilancio 1918 viene presentato con un utile, anche se di sole 227 lire, ma la flessione nelle vendite e il ribasso dei prezzi – dovuto alla fine della guerra – dei generi alimentari di cui il magazzino è ampiamente fornito fanno prevedere prossime perdite che potranno essere evitate solo se “i soci non negheranno alla Cooperativa il loro valido appoggio con l’accorrere sempre più numerosi ad acquistare presso di essa quanto può fornirgli”. Oltre a questo bilancio l’assemblea approva una serie di modifiche allo statuto che prevedono l’ammissione come “soci effettivi” dei dipendenti maggiorenni maschi dello Jutificio e come “socie aggregate” delle donne maggiorenni. Rispetto al precedente statuto, tutti devono ovviamente acquistare almeno un’azione, le donne possono ora intervenire alle assemblee ma rimangono non eleggibili, pur dovendo sottostare agli stessi doveri degli uomini e godendo di tutti gli altri diritti. I 57 soci che partecipano all’assemblea del 3 febbraio 1920 approvano la chiusura del bilancio 1919 (dal quale risulta che la Cooperativa detiene azioni della Federazione delle Cooperative di Consumo per 150 lire) con un utile di 2.515 lire, somma che avrebbe potuto essere superiore se la fine della guerra non avesse costretto a deprezzare alcuni generi (legumi e conserva) o, come lamenta il consiglio di amministrazione, alcuni soci non avessero guardato

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è stato possibile rintracciare documentazione, cioè quella del 31 gennaio 1924, alla quale partecipano solo 29 soci, il consiglio di amministrazione comunica di aver ridotto il “tasso di utile sulle vendite”, disciplinato gli acquisti e dimezzato le spese di amministrazione. Successivamente, forse preoccupato dal continuo aumento del debito dei soci, come riferisce all’assemblea del 10 febbraio 1927, il consiglio di amministrazione giustifica l’utile di sole 1.467 lire con la vendita al reale prezzo di costo di tutti i generi di prima necessità, fatta, oltre che per dare un utile immediato sugli acquisti ai soci, anche per contribuire alla lotta contro il caro-vita giustamente voluta dal governo nazionale.

Le stesse identiche parole vengono riportate nel verbale dell’assemblea del 7 marzo 1928, probabile conferma del controllo della Cooperativa da parte dello Jutificio: i documenti sociali vengono redatti dal personale amministrativo dell’impresa e non sono frutto di una gestione autonoma né della partecipazione dei soci. Nella relazione presentata dai sindaci alla stessa assemblea si legge:

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la nostra Cooperativa compie il suo primo decennio di esistenza. Ben poche consorelle possono avere questo vanto e di ciò, se pure dovete serbare un sentimento di gratitudine alle diverse amministrazioni che si sono succedute con più o meno perizia nella trattazione degli affari, ma tute egualmente oneste, le vostre maggiori grazie vadano alla spettabile Società Anonima Jutificio Centurini che, finanziando dal suo sorgere a oggi questa Istituzione, ne ha assicurato l’esistenza e la prosperità.

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Gli stessi sindaci suggeriscono, e ottengono, alcune modifiche allo statuto: l’adesione all’Ente Nazionale della Cooperazione; la vendita di tessuti e calzature; l’esclusione delle donne, sempre “aggregate”, dalle assemblee e dalle cariche; l’aumento delle azioni a 25 lire e l’obbligo per ciascuna socio a sottoscrivere almeno 4; una nuova ripartizione dell’utile: 50% al fondo di riserva, 5% agli amministratori, 20% al capitale azionario (ma non oltre il 6%) e 25% ai soci in proporzione ai loro acquisti; le ultime due quote vengono però trattenute dalla Cooperativa in conto di nuove azioni. Su tutto ciò si abbattono le conseguenze della crisi del 1929. Nella loro relazione all’assemblea del 21 marzo 1930 i sindaci scrivono: La grave crisi che dal novembre scorso travaglia la nostra industria, crisi che ha riferimento mondiale più che nazionale per l’industria tessile in genere, ha capovolto la soddisfacente situazione che a tutto il terzo trimestre lasciava prevedere ben diverso risultato. Il consiglio di amministrazione colto di sorpresa dai numerosi e improvvisi licenziamenti di personale dallo Jutificio, non ha avuto il tempo di salvaguardare la Società da perdite non indifferenti, per crediti rimasti insoluti verso operai che lasciarono lo stabilimento.

All’assemblea del 25 marzo 1931, presieduta dal segretario della Federazione Interprovinciale Umbra, avvocato Girolamo Cataluddi, il presidente della Cooperativa, Silvestri, riferisce che il bilancio dell’esercizio 1930 non è molto diverso da quello dell’anno precedente: Capitolo 3


La forte crisi che ha colpito lo Jutificio, i molti licenziamenti effettuati, il forte deprezzamento di tutte le merci e i prezzi dei generi alimentari sempre al di sotto delle altre rivolge un caldo saluto a tutti i lavoratori che in terra d’Africa sacrificano anche la loro vita per il benessere collettivo, manda un saluto all’Esercito e alle camicie nere che sotto la sapiente guida dei capi stanno portando la civiltà in quelle terre selvagge. Rivolge un saluto al nostro amato duce, augurandogli una piena vittoria in tutte le sue aspirazioni che sono quelle di tutti gli italiani.

[se] si ha alle volte l’impressione che i prezzi non offrano sufficiente risparmio, tale impressione bisogna vincerla tenendo conto della qualità, e convincetevi che gli amministratori hanno fatto del loro meglio per acquistare ottima merce e praticare prezzi inferiori alla piazza e a volte anche al di sotto del calmiere.

Il segretario Franci aggiunge che i soci hanno dato bella prova della comprensione cooperativistica e dei benefici che da essa ne ritraggono [...] e augurando ancora lunga vita alla [...] Cooperativa, con il saluto al duce, scioglie la seduta.

Successivamente aumenta ancora il controllo della direzione dello Jutificio sulla Cooperativa. All’assemblea del 31 marzo 1938, che proroga la durata della Società di altri 10 anni, viene fatto pervenire “il saluto augurale dell’Ente della Cooperazione”, che esorta i soci a essere sempre più vicini e ad avere fiducia nel loro organismo destinato ad assumere un notevole e beneficio sviluppo a totale vantaggio dei soci stessi, nonché delle maestranze tutte dello stabilimento, sviluppo garantito dal personale interessamento del direttore dello Jutificio, al quale esprime il suo vivo compiacimento e porge sentiti ringraziamenti per la sua adesione.

Il consiglio di amministrazione invita quindi l’assemblea ad Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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Commentando l’utile realizzato nel corso dell’esercizio 1935 (2.702 lire) fa poi notare come alcuni prezzi dei generi venduti siano stati inferiori a quelli previsti dal calmiere e che quando sono stati superiori “è garantito e provato che anche la qualità della merce lo era”. Sia Silvestri sia Franci esprimono poi il loro compiacimento per ciò che ha fatto e fa la direzione dello Jutificio per la Cooperativa. Il segretario dell’ENFC invita quindi gli operai a sostenere “l’operato dei dirigenti delle cooperative, di modo che queste facciano sentire il loro peso e la loro importanza nell’azione calmieratrice intrapresa dalle autorità fasciste seguendo le direttive del nostro amato duce”. Il segretario provinciale dell’Ente Nazionale Fascista della Cooperazione interviene e viene chiamato a presiedere anche l’assemblea del 25 maggio 1937, alla quale “ordina il saluto al duce”. Da parte sua, il presidente del consiglio di amministrazione, dopo aver ricordato come nella relazione allegata al bilancio 1935 aveva salutato i combattenti in Africa Orientale che, “attuando i romani disegni del duce creavano l’Impero”, torna sul tema dei prezzi di vendita e della qualità dei prodotti:

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esprimere il loro compiacimento, il loro plauso e la loro riconoscenza all’ill.mo sig. direttore, per quanto ha continuamente fatto in passato e quanto farà in avvenire per l’Istituzione

e propone di eleggerlo presidente della Cooperativa, “certi che la sua illuminata competenza e il suo valore faranno della ns. Cooperativa stessa un vero spaccio modello”. L’unico provvedimento che è però possibile rintracciare è l’autorizzazione concessa da Chiappero, direttore dello stesso stabilimento, affinché i familiari dei soci della Cooperativa, se riconosciuti da altri soci, siano ammessi a fare acquisti nello spaccio posto all’interno della fabbrica.

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“La Rinascente”: un caso di continuità e disaccordo tra i soci

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“La Rinascente” viene costituita a Papigno, in vocabolo Campomicciolo, il 5 giugno 1919 da 15 operai, 7 dei quali il 2 dicembre 1905, sempre, nel comune di Papigno, avevano dato vita a “L’Economica” (cfr. supra, pp. 79-82). Non è quindi un caso se, come si è già detto nel capitolo precedente illustrando il caso di quest’ultima, se le due cooperative adottino statuti simili in alcune parti non insignificanti: oltre alla distribuzione ai soci di generi alimentari e merci al prezzo di costo maggiorato solo di una piccola percentuale per coprire le spese di amministrazione, entrambe prevedono la concessione di piccoli prestiti. Nessuna delle due, però, avvierà mai questa attività. “La Rinascente”, in particolare, sembra non puntare molto su questa attività se all’articolo 20 dello statuto prevede semplicemente che i prestiti verranno concessi ai soci quando in cassa ci sarà una somma disponibile. Il consiglio di amministrazione (presidente Augusto Ramozzi; consiglieri: Cesare Ciaccasassi, Enrico Pellegrini, Adriano Liurni, Luigi Aquilani, Nicola Paolelli, Pietro Rinaldi, Carlo Silvestri e Romolo Cerri; sindaci: Alfredo Pennacchi e Antonio Virili; supplente Costantino Leonardi; arbitri: Alfonso Neri, Emilio Pellegrini e Abramo Proietti) si concentra infatti soprattutto nella realizzazione di una sede propria, nell’aumentare il numero dei soci e nel distribuire agli stessi merci “coll’aumento dal prezzo di costo di quel tanto necessario a coprire le spese generali [...] senza tener conto del guadagno, perché questo non corrisponde all’interesse dei soci e della cooperazione in ispecie”. Questi sono obiettivi comuni a tutte le cooperative, così come le difficoltà di approvvigionamento e la mancanza di “forti somme a disposizione”, che le peggiora, come sottolineato dal consiglio di amministrazione nella sua relazione al bilancio 1919 approvato dall’assemblea del 7 marzo 1920. Questo problema viene ribadito anche nella successiva assemblea del 20 febbraio 1921, dal cui verbale emergono evidenti contrasti tra i soci che portano anche all’allontanamento di alcuni. Nella sua relazione il consiglio di amministrazione scrive che non risponde “alle critiche fatte [...] perché è troppo facile compito giudicare l’opera altrui” e perché vengono fatte “per scopi eminentemente personali” con “vili calunnie verso l’amministrazione nell’intento di demolire, non solo gli uomini, perché questi passano e si rinnovano, ma l’Istituzione, quest’Istituzione che abbiamo difeso Capitolo 3


con tutte le nostre forze dai nemici interni ed esterni” ma accenna alle difficoltà di approvvigionamento per la scarsità di prodotti e, soprattutto, per la mancanza “di forti somme a disposizione”: il capitale sottoscritto è infatti di appena 11.400 lire, e neppure completamente sottoscritto, troppo poco anche per un attivo di 58.653 lire. Si ritiene quindi “necessario aumentare le azioni se vogliamo chiamarci cooperatori, altrimenti la casa, le merci in Cooperativa non sono nostre, ma dei creditori”. Pur affermando che La Cooperativa, specialmente in questi critici momenti, deve servire da calmiere per gli ingordi speculatori e quindi cercare di aumentare le merci appena per coprire le spese generali. Chi ha un programma diverso da questo, non è per noi un buon cooperatore, come quelle cooperative che non mirano che ad accumulare forti interessi – la parola stessa è sinonimo di sfruttamento – tradiscono la loro missione,

gli amministratori propongono di aumentare il prezzo delle merci almeno dell’8% rispetto al prezzo di costo e rassegnano le dimissio-

Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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Luogo di nascita dei soci fondatori della Cooperativa “La Rinascente”

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ni per consentire all’assemblea di eleggere un nuovo consiglio che rispecchi “il sentimento della maggioranza dei soci”. Il presidente Ramozzi e il consigliere Ciaccasassi vengono confermati insieme al segretario Duilio Maccadei, mentre il sindaco supplente Leonardi viene letto consigliere insieme a: Giacomo Cianchetta, Adriano Liurni, Romolo Morrichini, Alfredo Liurni, Ernesto Polidori e Ferdinando Menichini. Completa la compagine sociale il cassiere Sebastiano Allegretti. I contrasti tra i soci portano anche a una riduzione del loro numero, che, tra il 1920 e il 1921, si riduce da 101 a 89. Questi il 12 marzo 1922 modificano l’articolo 6 dello statuto confermando in 10 il numero massimo di azioni che può possedere ciascun socio ma imponendo contemporaneamente il numero minimo di 4; inoltre, modificano il criterio di ripartizione degli utili: 5% alle azioni versate, 20% al fondo di riserva, il resto ai soci in proporzione alla loro spesa. Le divergenze non vengono però meno se all’assemblea del 20 febbraio 1924, il segretario Duilio Maccadei

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fa una critica vivace ai denigratori della Società. Difende la sua opera in ogni circostanza compiuta e contro i turbatori del buon ordine dice così: “Qui per causa di pochi, di quelli che quando hanno bevuto non sanno quel che dicono e tanto meno quello che fanno sono sorte delle questioni, una delle quali non bella per l’onorevole andamento della Società. Questi fatti amici devono cessare per sempre”.

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Anche se i consiglieri accennano a un furto di ben 5.446 lire, i contrasti tra i soci potrebbero essere di natura politica se ancora Maccadei aggiunge: La nostra Cooperativa è apolitica e tale rimarrà perché il nostro statuto ce lo impone, ma non ci aiuta in alcuni momenti e in date contingenze di rimanere estranei ad alcune manifestazioni di mente e di cuore, di esclusivo interesse generale.

Facendo riferimento alle elezioni del 6 aprile dice poi che tra i candidati vi è incluso un nome caro a noi combattenti. È un concittadino nostro che parla il nostro dialetto, conosce le nostre contrade e gli urgenti bisogni nostri. La sua influenza verso i dirigenti dello Stato dà tutti gli affidamenti perché domani la sua parola sia intesa e largamente valutata. Quest’uomo che durante la guerra si rivelò un essere prodigioso [...] da additarsi a tutti gli italiani, che fu cinque volte ferito e tre volte mutilato, che ebbe tre promozioni per merito di guerra e fu fregiato di una medaglia d’oro e due di argento è il tenente Elia Rossi Passavanti.

L’assemblea accoglie quindi la sua proposta di nominarlo presidente onorario, ma il 29 marzo 1925 il consiglio di amministrazione invita ancora a “Purificare la nostra Associazione di quei soci che sono più nocivi che utili”, scrive che il lavoro svolto resiste a tutte le critiche e che se sono stati commessi errori pure non è stato fatto nulla che potesse nuocere allo sviluppo della Cooperativa. Capitolo 3


Chi sente di avere un’anima cooperatrice e che sa valutare, in tutta la sua intenzione le circostanze della vita, non deve farsi deviare da quella corrente che vorrebbe a ogni costo opprimere la nostra voce, troncare la nostra missione. Anche noi, senza meritarlo, abbiamo dei nemici. Ebbene [...] questi nemici dobbiamo trattarli da nemici e sarebbe assurdo che la nostra Associazione lasciasse impuniti i suoi gugari che anche involontariamente si prestassero a questo gioco.

La relazione degli amministratori all’assemblea dell’11 aprile 1926 spiega come dopo l’apertura dell’esercizio del socio Paoletti

Insomma, anche se queste affermazioni sembrano indicare una chiara consapevolezza del ruolo e dei compiti della cooperazione, che vengono ribaditi anche all’assemblea del 13 marzo 1927, quando il consiglio di amministrazione scrive: “la cooperazione nelle nuove forme sociali [verso cui] va incanalandosi per merito del governo nazionale, è ancora necessaria e utile all’economia della famiglia e della nazione. Ed è per questo che dobbiamo persistere e migliorarci”, pure è indubbio che i problemi de “La piccola Rinascente” (questa la denominazione assunta dal 1924 in seguito alle proteste dell’omonima Società milanese) sono, come per le altre cooperative del Ternano, la scarsa capitalizzazione i debiti che i soci non saldano nei tempi previsti.

La Cooperativa “Famiglia e Lavoro” di Campomicciolo Anche la “Famiglia e Lavoro” durante i suoi oltre dieci anni di attività conosce forti contrasti tra i soci relativamente all’amministrazione ordinaria. Tali disaccordi vengono probabilmente superati grazie alla solidità assicurata alla Cooperativa dal “circolo di divertimento, il quale dà un utile considerevolissimo” – ed è una particolarità di questa Società –, ma anche grazie all’espulsione dei soci politicamente caratterizzati a sinistra. La Società viene infatti costituita il 28 settembre 1919 a Campomicciolo, frazione dell’allora comune di Papigno, da 16 operai che chiamano a dirigerla i consiglieri Evaristo Porazzini (presidente), Giuseppe Governatori, Domenico Neri, Giuseppe Falessi, Adamo Vitali, Sabatino Verducci e Luigi Nobili, i sindaci Belisario Falchetti, Americo Marsiliani e Odoardo Mazzetti, affiancati dai sindaci supplenti Federico Dolfos e Pietro Luciani e dai probiviri Emilio Iacobelli, Raniero Salvati e Guglielmo Petrelli. Tra questi, molti dei quali rimarranno in carica anche durante il periodo fascista, Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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si verificò un fatto strano, cioè alcuni soci si allontanarono dalla Società credendo e pensando forse che questa nostra Società essendo cooperativa avesse la possibilità di vendere le merci con un forte ribasso e che a parità di prezzo – senza discutere il genere – preferivano e preferiscono tutt’ora acquistare le merci dove meglio credono, non considerando che sono gli altri costretti [a] vendere come noi, perché se questa nostra Cooperativa sparisse vedrebbero allora come sarebbero trattati.

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va rilevata la presenza di Mazzetti, il quale, dal 1907 al 1920, come già detto nel capitolo precedente, era stato amministratore dell’Unione Cooperativa della Valnerina – che operava anch’essa a Papigno –, nel 1917 aveva partecipato alla costituzione della Federazione Umbra tra le Società di Consumo e all’inizio del 1919 si era impegnato anche a dar vita alla Cooperativa di Piediluco. Dall’atto costitutivo della “Famiglia e Lavoro”, sebbene l’articolo 2 dello statuto si specifichi che la Cooperativa “è prettamente apolitica”, si desume infatti un’impostazione simile a quella delle Società appena ricordate. In particolare, va rilevato che gli utili vengono trattenuti dalla Cooperativa come aumento di azioni fino al raggiungimento di un totale di 500 lire, che il versamento delle azioni può essere interrotto durante la disoccupazione, la malattia o il servizio militare; inoltre, per ridurre le spese la distribuzione delle merci viene affidata agli stessi soci, ciascuno dei quali alle assemblee può partecipare con un solo voto e non può farsi rappresentare. Proprio la prima assemblea, quella del 20 febbraio 1921, fornisce un altro elemento di similarità: i soci che non prelevano i generi alimentari esclusivamente negli spacci sociali vengono richiamati una prima volta e poi espulsi. Questa severità, formalmente comune a tutte le Cooperative, viene in realtà applicata solo da poche, cioè da quelle che hanno necessità di compattare la loro base sociale, soprattutto in questo periodo, durante il quale quelle di ispirazione socialista subiscono l’attacco delle squadracce fasciste. Non è forse un caso che l’assemblea del 20 febbraio 1921 si tiene nei locali della Pubblica Sicurezza e che i 70 soci che vi partecipano respingono la proposta del segretario di nominare un gerente per la distribuzione dei generi, preferendo mantenere il sistema vigente in cui sono gli stessi soci a provvedere, respingono la proposta del consiglio di amministrazione di multare chi rinuncia al servizio e chi lascia il magazzino prima del dovuto e che a favore Luogo di nascita dei 16 fondatori della Cooperativa Famiglia e Lavoro

del socio malato per più di 15 giorni gli altri facciano un versamento di 1 lira ogni 15 giorni per poi dividere in parti uguali tra tutti gli ammalati dello stesso periodo la somma raccolta. Nella relazione del consiglio di amministrazione si legge: Dalle rovine di una pseudo cooperativa è sorta la nostra Associazione, che benché ostacolata in tutte le maniere dai commercianti locali, in breve tem-

Capitolo 3


Per l’esercizio 1920, il primo della “Famiglia e Lavoro”, il consiglio di amministrazione afferma che la limitatezza degli utili è stata compensata dal risparmio garantito dai bassi prezzi di vendita e dall’abbondanza di merci disponibili nello spaccio. Questo, però, oltre a essere gravato da un alto affitto, ha spazi non adeguati che rendono difficile anche curare l’igiene e lo spostamento delle merci; tale limitazione impedisce di fatto l’apertura al pubblico e, quindi, non consente di aumentare i ricavi. Per questi motivi si pensa alla costruzione di un locale proprio ma il progetto viene abbandonato a causa del costo delle materie prime e della manodopera, così come viene ritenuto troppo oneroso l’acquisto di un locale già esistente (“non si vende che a prezzi favolosi”). Nonostante un buco di due anni nella documentazione e il cambio di diversi amministratori, i problemi della “Famiglia e Lavoro” sembrano rimanere gli stessi. Nella sua relazione all’assemblea del 2 marzo 1924, tenuta nel “locale di divertimento dell’Associazione” alla presenza di 35 soci (altri 16 sono assenti giustificati), il consiglio di amministrazione afferma che il risultato dell’esercizio 1923 non ha dato grandi risultati perché la Cooperativa ha venduto a prezzi bassi e ha fatto da calmiere e proprio per consentirle di continuare a svolgere questa funzione l’assemblea impone versamenti quindicinali ai soci che hanno contratto debiti con Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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po ha saputo affermarsi, riscuotendo la massima stima anche da coloro che prima ne erano scettici. Appena in un anno da una ventina di soci il numero degli iscritti è salito a più di cento e ogni giorno arrivano delle nuove domande che date le ristrettezze dei locali non è più possibile accettarle. Non pochi sono stati i benefici apportati nei critici momenti che si stanno attraversando. È noto che ben di rado è rimasta sprovvista di generi di prima necessità che sono serviti a colmare la lacuna lasciata dal governo nel rifornimento razionato dei generi di cui si è fatto monopolio. Pertanto non è stata trascurata l’economia domestica, perché in tutto ciò che è stato possibile sono stati praticati prezzi più bassi del mercato. Malgrado ciò molti soci hanno fatte delle lagnanze perché si rivendono i generi agli stessi prezzi delle altre botteghe. Potrebbero avere anche ragione, ma se si considerasse che anche le cooperative acquistano dagli stessi che acquistano i bottegai, i quali allo scopo di fare la concorrenza rivendono con un margine minimo e qualche volta anche in rimessa, perché il cooperativismo non prosegua il cammino trionfale che sta compiendo. Sperano così che ritorni presto per loro l’era felice in cui eravamo considerati come vassalli. Fortuna però che pochi possono sopravvivere a questa guerra. Se giriamo alquanto lo sguardo attorno a noi ce ne persuadiamo facilmente e vedosi già chiusi e molti altri traballanti che traballano nell’incertezza della loro esistenza. Tutto questo è frutto della vs. affezione alla Cooperativa, ed è indice certo che la considerate la vostra emancipazione. La Cooperativa deve essere la vostra seconda famiglia, la vostra scuola in cui imparate a vivere senza bisogno di tanti amministratori e ad economizzare quel tanto che vorrete guadagnare.

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la Cooperativa stessa. Inoltre, per far fronte all’inadeguatezza degli spazi per lo spaccio e all’alto importo dell’affitto, l’assemblea delibera la costruzione di una propria sede e invita i soci a contribuire all’iniziativa, prestando la loro opera materiale e un contributo. Infine, nel consiglio di amministrazione vengono eletti: i consiglieri Luigi Neri (presidente), Sabatino Verducci, Luigi Nobili, Domenico Neri, Aroldo Eleodori, Giuseppe Governatori e Giuseppe Lanci, il segretario Achille Latini, il cassiere Marino Neri, i sindaci Americo Marsiliani, Silvano Vitali e Cornelio Ciferri, i supplenti Amedeo Eleodori e Paris Cioccolanti, gli arbitri Guglielmo Petrelli, Duilio Miccadei e Antonio Picciacchi. Dal verbale della successiva assemblea, quella dell’8 marzo 1925, a cui partecipano 28 soci (e altri 17 sono assenti giustificati), comincia a delinearsi una certa personalizzazione della gestione sociale. Vista la necessità di provvedersi di una sede adeguata, l’assemblea abroga la norma che impediva a ciascun socio di avere più di 5 azioni (e da questo momento la dinamica del capitale sottoscritto è molto più sostenuta di quella del numero dei presenti in assemblea) e il consiglio di amministrazione propone addirittura che la acquistino, a loro nome, il cassiere Neri, il segretario Latini e il sindaco Marsiliani. All’assemblea del 21 marzo 1926 (a cui intervengono 32 soci e altri 11 sono assenti giustificati), il consiglio di amministrazione presenta una “relazione morale” in cui si legge: La nostra Associazione è al sesto anno di vita vissuta attraverso lotte non indifferenti che hanno continuamente cercato di minarne l’esistenza. Però, data la causa giusta e santa per cui ha combattuto e mercè l’oculatezza dei suoi dirigenti ha sempre vinto queste battaglie e oggi si presenta a voi bella e vittoriosa. Sei anni fa, quando la speculazione privata con la sua insaziabile voragine, approfittando della confusione generata dal dopoguerra, cercava maggiormente a sfruttarci e, disonestamente ad assorbirci i nostri miseri salari, un Capitolo 3


Ma ora la Cooperativa ha una sua sede, “non abbastanza decorosa all’esterno, ma che all’interno dispone di tutte le necessità per la buona manutenzione delle merci”. Gli amministratori sollecitano quindi i soci a pagare i loro debiti per consentire di completare il pagamento della sede e “fare acquisti molto migliori sapendo che è sempre più avvantaggiato chi sulla lotta può avere dei capitali per garantire i fornitori”. A dimostrazione di ciò si dice che il poco utile dell’anno precedente è dovuto anche al fatto che i locali inadeguati hanno causato il rovesciamento di 2 quintali di olio e l’avaria di 3 quintali di lardo, che si sono dovuti vendere a prezzo basso. Il consiglio di amministrazione invita i soci a non “dare sfogo alle questioni personali”. E noi diciamo a voi: “Lottate!”. La lotta che si sta combattendo è la lotta per la vita e siamo sicuri che non sarà lontano il giorno in cui raccoglieremo i frutti delle nostre battaglie. Siate uniti e girando uno sguardo intorno a voi pensate che queste mura sono n[ostre] e che non sarebbero state se fossimo vissuti sbandati come pecore. Però non ci fermiamo qui: questa sarà stata una delle prime tappe vittoriose, ma persuadiamoci che c’è ancora molto da fare. Dobbiamo emanciparci dalla speculazione privata che è la cosa più difficile. [...] Fate il v[ostro] dovere verso l’Associazione e sarà di molto facilitata la vittoria. Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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manipolo di pochi operai, facendo astrazione di qualsiasi idea politica, si unirono e costituendosi in Cooperativa fecero nascere la nostra Associazione. In breve tempo il numero dei soci raddoppiò non solo, ma si moltiplicò talmente che la piccola stanza in cui era nata non fu più sufficiente per contenerlo. Alla meno peggio si presero in affitto del altri locali, che, per quanto più numerosi, non furono mai corrispondenti ai bisogni sia perché stanze piccole e poco ariose sia anche perché scomode per la loro posizione. [...] I locali, questo è stato sempre il problema assillante che ha preoccupato di più l’amministrazione e crediamo anche voi. [...]. Le lotte intestine da una parte, che purtroppo non sono mancate; la guerra dei commercianti dall’altra, che è servita in un certo periodo a scoraggiare i pusillanimi che, non capaci di stare in lizza, abbandonarono le nostre fila non solo, ma si schierarono a favore dei nemici e ne resero più difficile l’attuazione.

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Attivo, capitale sottoscritto, debiti dei soci, fornitori e creditori, soci presenti alle assemblee della Cooperativa Famiglia e Lavoro

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Anche se in diminuzione rispetto agli anni iniziali, i debiti si mantengono su cifre significative: non scendono mai sotto il 20% dell’attivo e superano i 3/4 del capitale sociale. L’assemblea del 20 marzo 1927 (a cui partecipano 42 soci e altri 13 sono assenti giustificati) delibera ancora provvedimenti nei confronti dei soci che fanno la spesa anche altrove. Inoltre, nonostante l’abolizione del limite al numero di azioni che può possedere ciascun socio, le ridotte disponibilità di cassa impediscono di fare approvvigionamenti importanti, mentre i prezzi di vendita vengono tenuti bassi. Nella sua relazione il consiglio di amministrazione scrive poi: Lusingati dal fatto che il commercio per noi fosse una cosa facile, accettammo l’incarico da voi affidatoci di amministrare questa importante Istituzione. E ci accingemmo subito all’opera fiduciosi di fare molto di più di quanto abbiamo potuto fare. Però troppo presto ci siamo dovuti persuadere che grandi sono le difficoltà che s’incontrano. La principale di essa è il finanziamento che maggiormente poi viene acuita da voi stessi. Certo che è poco decoroso che dei soci tengano scoperti dei conti paralizzando così la vita dell’Istituzione. Se avessimo potuto avere a portata di mano quanto voi dovete dare per merce somministratavi, avremmo potuto veramente effettuare il programma che ci eravamo prefissi di espletare [...]. Invece siamo dovuti essere gli schiavi dei fornitori che il più delle volte si sono approfittati della nostra situazione. Molte volte abbiamo dovuto trascurare perfino di rifornire lo spaccio di generi per non dover fare cattive figure nei pagamenti. E la colpa è vostra se ancora non abbiamo finito di pagare il fabbricato che vogliamo chiamare nostro senza pensare al danno che ne deriva per i forti interessi che si devono corrispondere a chi ha anticipato l’importo. A conferma di ciò basta che sono state iniziate le pratiche per avere Capitolo 3


un prestito verso l’Istituto Nazionale di Credito della Cooperazione il quale ce lo accorderebbe al tasso del 10%. di ciò non ci sarebbe bisogno se voi faceste il vostro dovere. [...]. Fatelo una buona volta il vostro dovere e solleciterete la raccolta dei frutti per i sacrifici passati. [...]. Il primo nostro lavoro fu di sedare le discordie interne che dilaniavano la vita dell’Istituzione, e se non siamo completamente riusciti all’intento, almeno si sono eliminate quelle scenate triviali del passato e non si sono sentite più le critiche fatte per dare sfogo a questioni personali. Poi abbiamo studiato l’organizzazione del servizio disciplinando maggiormente il magazzino e il locale di vendita allo scopo di controllare più esattamente i movimenti delle merci per evitare il più possibile gli ammanchi. Anche negli acquisti abbiamo cercato di essere accorti sia per i prezzi come per la qualità e se qualche volta siamo caduti negli agguati sempre tesi nel commercio, non è dipeso dalla nostra volontà e per quanto ci è stato possibile siamo subito corsi ai ripari.

Il verbale dell’assemblea dell’1 aprile 1928 riferisce ancora di voci di accuse tra soci, ma anche di un’ispezione dell’ENFC condotta dal ragioniere Roberto Frascella, appositamente venuto da Roma. Questi scrive che

La successiva assemblea straordinaria del 3 luglio 1928 ratifica quindi la decisione del consiglio di amministrazione di iscrivere la Cooperativa all’Ente Nazionale delle Cooperative e all’Opera Nazionale Balilla, nonché la partecipazione all’esposizione di Roma del 28 ottobre 1928 con la pianta del preesistente e la foto del nuovo fabbricato in fase di ultimazione “per dimostrare il lavoro compiuto con stile fascista”. Da questo momento l’ENFC presta una grande attenzione alla Cooperativa, che sarà oggetto di varie ispezioni. Il consiglio di amministrazione, nella sua relazione all’assemblea del 7 aprile 1929, specifica a questo proposito: “Vada a loro il nostro plauso e la nostra promessa di seguire sempre la via tracciata dall’Ente, che sotto l’alta forte guida del duce porta l’Italia ai suoi alti destini rassegnatigli dalla storia”. La stessa assemblea, ricordate ancora “le lotte dei disfattisti della Cooperativa”, elegge consiglieri Luigi Neri (presidente), Angelo Guidarelli (vicepresidente), Orsino Neri, Pietro Luccioni, Giovanni Pannuzzi, Domenico Neri, Arduino Marsiliani e Giuseppe Falessi, sindaci Americo Neri, Amedeo Eleodori e Giuseppe Sani, supplenti Silvano Viali e Americo Marsiliani, segretario Felice Nardi e cassiere Sabatino Neri. L’assemblea del 23 febbraio 1930, presenti Bocci, fiduciario dell’ENFC, Romano Stefanelli, commissario dell’ENFC e Giuseppe Lendinara, incaricato dall’ENFC delle Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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Lo stato della Cooperativa [...] lungi dall’essere fallimentare, è ancora buono e tale da riprendere sollecitamente la sua primitiva prosperità. A questo scopo è fortemente necessaria una amministrazione esatta, coscenziosa e oculata. Egli dice di aver trovato un grande disordine amministrativo, dal quale sarebbe ben difficile stabilire a chi debbono essere imputate le colpe di avvenuti ammanchi, ha consigliato quindi la tenuta di alcuni libri di controllo, ha richiamato il consiglio a una severa sorveglianza sul personale [...], inoltre ha promesso il suo aiuto per tutto quello che nel campo amministrativo la Cooperativa dovesse aver bisogno [...]. Egli ha concluso che la Cooperativa così amministrata ha delle possibilità di prosperità veramente notevoli. Richiama quindi l’attenzione sul fatto che il debito dei soci è pari quasi al capitale sociale e non consente alla Cooperativa di espletare il suo compito.

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ispezioni contabili, approva quindi l’adozione di uno statuto sul tipo di quelli messi a punto dall’Ente “consono coi tempi attuali”. All’assemblea del 23 marzo 1931 il segretario interprovinciale dell’ENC, avvocato Girolamo Cataluddi, dopo aver raccomandato ai presenti “di essere, durante le discussioni, calmi, disciplinati e brevi”, riferisce che il Tribunale ha respinto un esposto presentato da alcuni soci contro l’assemblea che ha approvato il bilancio 1929 e modificato lo statuto. Nello stesso verbale si legge che alcuni soci il 24 maggio 1930 avevano convocato un’assemblea straordinaria che però non fu tenuta per disposizione del prefetto che, addirittura, “credette opportuno sospenderla per misure di ordine pubblico”; inoltre, si fa riferimento all’espulsione dalla Cooperativa dei soci Felice Nardi e Pietro Lucioni “in conseguenza della loro radiazione dall’OND e da qualsiasi altra organizzazione fascista per ordine del sig. avv. Lorenzo Amati, allora segretario federale”. Significativo il fatto che durante questa esposizione e durante la discussione nessuno chieda la parola, nemmeno i sottoscrittori dell’esposto, che pure avevano messo a punto un documento in cui si afferma che il bilancio 1929 non era in perdita per 541 lire ma in utile per 1.705, a causa di un’errata trascrizione dei conti di alcuni fornitori, e che le nomine nel consiglio di amministrazione non vennero fatte durante l’assemblea “bensì privatamente e in sede diversa dall’assemblea da parte di qualche persona non avente alcuna legalità di farlo”. Non sorprende quindi che nella sua relazione il consiglio di amministrazione lamenti che

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avremmo desiderato che i soci, maggiormente, avessero assecondato la nostra opera col mantenersi vicini, con amore e interessamento alla propria Istituzione che rappresenta i vitali interessi della loro economia domestica, sia nell’incremento delle spese dei generi di consumo, sia sul frequentare il Circolo che oggi il maggior incremento a questo è stato dato da dopolavoristi non soci della Cooperativa. [...]. Con questo non ne vogliamo dare un rimprovero né una colpa a coloro che hanno mancato a questo dovere se, malevoli hanno cercato trarli ai loro fini in buona fede. Però siamo certi che i soci tutti ben compresi dei benefici e degli interessi della propria Istituzione, vorranno stringersi intorno a essa e dimenticando il passato collaborare insieme per un prospero avvenire della Cooperativa che oggi, alle istituzioni economiche operaie sono assicurati quegli aiuti e controlli indispensabili per il buon funzionamento delle aziende cooperative a cui, mercè il crescente interessamento del duce, è stato finalmente assegnato il loro giusto posto nell’ordinamento corporativo della nazione con l’inquadramento obbligatorio nell’Ente Nazionale della Cooperazione e ciò per proteggere e meglio assicurare l’avvenire delle società cooperative.

Queste controversie inducono alcuni a chiedere lo scioglimento della Cooperativa, ma il presidente Porazzini ottiene che la questione sia posta all’attenzione del fiduciario dell’ENC e di un’apposita assemblea. Il 28 febbraio 1932 si riuniscono 23 soci: 14 votano a favore del proseguimento e 8 per la liquidazione. Nella relazione allegata al bilancio 1931 il consiglio di amministrazione scrive: Veniamo a illustrarvi un’annata che ha segnato il culmine di una crisi economica mondiale senza precedenti obbligandoci a presentarvi un bilancio chiuso con una notevole perdita. Capitolo 3


Infatti, la repentina caduta dei prezzi delle merci e la disoccupazione hanno fatto subito sentire alla nostra istituzione le tristi conseguenze:

molti soci, operai, a causa della crisi dell’industria “lavorano solo pochi giorni alla quindicina e non possono così corrispondere al pagamento della merce prelevata”, mentre altri, pur lavorando, non pagano i loro debiti, impedendo così di fatto alla Cooperativa di “rifornire lo spaccio dei generi necessari per non far cattiva figura con i fornitori”. Anche il nostro Circolo di divertimento, ambiente pulito e igienico e abbondantemente rifornito di merce da vari mesi è stato completamente disertato e con nostra meraviglia abbiamo constatato che molti soci frequentano altri locali pagando la merce più cara e spesse volte cattiva.

La perdita d’esercizio (3.614 lire coperte dal fondo di riserva) viene quindi attribuita a “tutti qui soci che senza aver compreso lo spirito e il benessere della cooperazione, hanno trascurato la vita della Società”. I sindaci scrivono che la perdita

che ha provocato una svalutazione della merce in magazzino (che, a volte, si è anche avariata) e una riduzione del consumo da parte dei soci e il mancato pagamento degli acquisti fatti. La consistenza del fondo di riserva ha consentito di assorbire la perdita “rimanendo così anche oggi integra la situazione finanziaria della vostra Cooperativa”. Il 21 agosto 1932, alla presenza del commissario Duilio Miccadei (nominato con decreto del Ministero delle Corporazioni del 6 giugno 1932) e dell’ispettore dell’ENC, Italo Pucci, “dopo movimentata discussione”, 36 soci deliberano all’unanimità di porre in liquidazione la Cooperativa. “Il rappresentante dell’Ente rinnova il saluto ai presenti e fa l’augurio che presto su basi solide possa risorgere una nuova cooperativa”. Nella sua relazione il commissario spiega che fu nominato “con la missione di ridar vita a questa vostra Istituzione che in un momento di sconforto da parte degli amministratori e dei soci era rimasta in balia di se stessa”. Scrive che “già conoscevo sommariamente la situazione di questa Società ma era necessario precisarne le condizioni economiche e di quale fede erano animati i suoi gregari”. Del bilancio che redige al 30 giugno scrive che non è buono e non consente rosee speranze. Le condizioni economiche, poi, vengono aggravate dalla mancanza di spirito cooperativistico da parte dei soci, base essenziale per superare le attuali difficoltà. Non è nel mio pensiero fare qui la disamina delle singole responsabilità che hanno maggiormente contribuito a creare queste situazioni [...] ma non posso tacere che una parte di responsabilità ricade verso quei soci, e sono due terzi, che Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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non deve impressionarvi in quanto essa è determinata da fatti indipendenti dal normale e regolare andamento dell’Istituzione ma dalla anormale situazione economia finanziaria venuta a trovarsi in seguito alla grande crisi mondiale

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qui hanno creato un debito diverse volte superiore alla loro azione versata, mettendo l’amministrazione nell’impossibilità di far fronte ai pagamenti delle merci. La responsabilità maggiore però, l’attribuisco all’amministrazione del 1928, che chiuse un bilancio con degli errori gravissimi:

non furono fatte le necessarie svalutazioni e furono invece assegnate ai soci 7.000 lire di utili, 1.000 delle quali ipotecate dal 1929; questi utili fecero gravare sulla Cooperativa ulteriori tasse, addirittura su un reddito “irreale”. Questo fu fatto al solo scopo di accontentare i soci abituati nei bilanci precedenti a dividersi degli utili. Lo scopo della cooperazione non è questo. Lo scopo della cooperazione non è questo. Il socio deve giorno per giorno, oggetto per oggetto che acquista, avere il suo centesimo di guadagno. Il principio della Cooperazione non è il commercio comune, ha una struttura economica sua, ha delle leggi speciali che la governano, specie nello Stato corporativo creato dal fascismo, e la sua funzione, specie in momenti di crisi, è di distribuire al socio le merci al minor presto possibile. [...]. L’esperienza c’insegna che quando in una famiglia non vi è concordia, non si è uniti, si cammina male. Questo è successo in questa vostra Società. In un dato momento vi siete divisi in più gruppi per contendervi il potere. Vi siete biasimata la vostra opera, ma oggi ne raccogliete i frutti malefici. Avete disgregata la vostra Istituzione, avete perduto ciò che di più bello e di più caro, forse, avete create in tanti anni di lotta e di sacrifici.

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Ciò nonostante, il commissario Miccadei71, che poi sarà nominato liquidatore della Cooperativa, scrive:

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Se fra voi tutti esistesse veramente una volontà precisa di ricostruire ciò che è stato parzialmente demolito dalla inconsapevolezza della maggioranza dei soci, se si trovassero degli uomini di buona volontà disposti ad assumersi l’incarico dell’amministrazione, la vostra Società potrebbe essere ancora salvata. Queste buone qualità lo avete dimostrate chiaramente, vi mancano e son persuaso che oggi, fra voi, non si riuscirebbe a trovare, fra i capaci, un socio che si assumesse l’incarico dell’amministrazione.

Prima di esporre il bilancio al 30 giugno 1932 il commissario invita quindi a porre in liquidazione la Società.

La Società Anonima Cooperativa di Consumo fra gli Impiegati Postelegrafici La Cooperativa Postelegrafonici viene costituita il 21 novembre 1927 da 19 postelegrafonici provenienti, inevitabilmente, da varie città. La Società merita atten-

71

Descrivendo se stesso Duilio Miccadei scrive: “mi conoscete, sapete che fin dai primi anni della mia giovinezza ho dedicato buona parte della mia attività a queste istituzioni: le amo, le servo con fervore, anche se in più casi devo dare dei rimproveri a me stesso, e oggi sarei lieto e orgoglioso se la mia modestissima opera valesse a ridare vita a questa vostra Società, perché quando sarà sparita, allora più di oggi ne apprezzerete l’importanza economica e la sua alta e benefica missione sociale”.

Capitolo 3


zione per due caratteristiche: quella di essere una delle poche costituite a Terni nel periodo fascista e quella di vendere, oltre ai combustibili, anche il vino, genere alimentare che, come si è visto nei casi precedentemente illustrati, era quello che maggiormente contribuiva al bilancio delle cooperative di consumo fin dalla fine dell’Ottocento. Per il resto, nell’attività della Cooperativa non c’è nulla di rilevante se non: 1) la vendita allargata anche ai non soci dalla metà del 1932 per seguire, si legge nel verbale dell’assemblea del 18 marzo 1933, “le direttive calmieristiche del regime”; 2) l’adozione, nel 1933, di un nuovo statuto, motivata dal “desiderio che la Società torni a maggior vantaggio finanziario dei suoi componenti, ma che in pratica all’articolo 2 prevede l’adesione alla Federazione Nazionale Fascista delle imprese cooperative di categoria e all’Ente Nazionale Fascista della Cooperazione, e all’articolo 3 individua come organo ufficiale “Il Lavoro Cooperativo”; 3) debiti iscritti a bilancio per importi generalmente inferiori al valore delle merci in magazzino ma superiori al capitale sociale. Nella loro relazione allegata al bilancio 1933 i sindaci scrivono:

ma poi l’assemblea del 30 luglio 1936 si tiene nella sede dell’Ente Nazionale Fascista della Cooperazione alla presenza del segretario provinciale dell’Ente stesso e del liquidatore. Lo spaccio cessa la sua attività nel novembre dello stesso anno ma il liquidatore, Luigi Morganti, impiega oltre cinque anni per chiudere la Cooperativa a causa delle difficoltà che incontra per alienare alcuni beni (tra cui una macchina da scrivere), recuperare i crediti e le imposte non dovute, risolvere una controversia con alcuni dipendenti, convincere i creditori a ritirare la loro richiesta di fallimento e rispondere alla sua chiamata alle armi.

Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista

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Abbiamo anche constatato che la vendita è in continuo aumento per quanto leggero ed è sperabile che in breve tempo si possano estinguersi totalmente le passività [...]. Siamo certi che il risultato verificatosi in questo primo anno di esercizio dello spaccio aumenterà la fiducia nella nostra Società

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La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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La situazione italiana

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Due sono i momenti importanti dello sviluppo cooperativo in Italia, il primo alla fine dell‘Ottocento, quando la cooperazione di consumo passa dalla gestione assistita delle grandi industrie alla gestione diretta degli operai che costituiscono organismi autonomi, in grado di reggere anche nei periodi di crisi sociale e il secondo nel dopoguerra, dopo la repressione del ventennio fascista. La cooperazione ha un intenso sviluppo nell’Italia liberata e, soprattutto, dopo la fine della guerra, grazie alla riconquistata libertà, alle scelte dei Partiti, ai problemi economici posti dalla ricostruzione, alla disoccupazione e alla generale crisi degli approvvigionamenti. Le nuove cooperative, spesso di dimensioni insufficienti, rispondono alla necessità della distribuzione di generi razionati e contingentati1. Delle 5.063 società di consumo censite nel 1946, il 12,5% erano state costituite tra il 1919 e il 1922, il 12,3% tra il 1901 e il 1918 e il 4,7% prima del 1900. La densità massima degli spacci si trovava nell’Italia Centrale, mentre le strutture patrimonialmente più solide erano quelle del Nord. Anche se la dimensione media era passata dai 200 soci del 1937 a 444 si rimaneva ben lontani dagli 8.707 delle cooperative inglesi. Inoltre, pur in presenza di processi di ristrutturazione e concentrazione, rispetto al 1937 si registrava quasi un dimezzamento della riserva media per socio (da 150 a 81 lire): la cooperazione di consumo, tranne casi isolati, con il 3% dei punti vendita totali, non riesce in alcun modo a influenzare il mercato2. In Umbria, secondo il Censimento delle cooperative di consumo pubblicato su “La rivista della cooperazione”, nel 1946 sono presenti 88 cooperative con 89 spacci, i soci sono 29.051, il rapporto tra spacci e abitanti è di uno a 8.607, contro una media nazionale di 1 ogni 5.468. Complessivamente le cooperative di consumo umbre non rappresentano che l’1,20% del totale nazionale, in pratica, come nel

1

2

Vera Zamagni, Patrizia Battilani e Antonio Casali, La cooperazione di consumo in Italia. Centocinquant’anni della Coop consumatori: dal primo spaccio a leader della moderna distribuzione, il Mulino, Bologna 2004, pp. 332-336. Maurizio degl’Innocenti, Geografia e struttura della cooperazione in Italia, in Guido Bonfante, Zeffiro Ciuffoletti, Maurizio degl’Innocenti e Giulio Sapelli, Il movimento cooperativo in Italia. Storia e problemi, a cura di Giulio Sapelli, Einaudi, Torino 1981, pp. 64-68.

Capitolo 4


3

Cfr. Renato Covino, Cooperazione e storia regionale, in Studi sulla cooperazione, a cura di Gianni Bovini e Renato Covino, Protagon, Perugia 1990, p. XXVI.

La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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periodo prefascista, il movimento cooperativo di consumo, nella nostra regione, si configura come più debole e meno esteso che nel resto d’Italia3. La cooperazione di consumo, soprattutto quella legata alla Lega delle Cooperative, resta uno strumento di difesa delle classi subalterne più che una vera e propria rete di imprese. Questo carattere rimarrà per tutti gli anni cinquanta e parte degli anni sessanta. Tra il 1956 e il 1968 il fatturato delle cooperative di consumo italiane rimane stazionario, nonostante il miracolo economico consentisse una accelerazione della crescita dei consumi mai vista prima. Anche il numero dei soci è in calo. La cooperazione di consumo, al contrario di altri gruppi della grande distribuzione, non ha l’assetto di un’impresa unitaria e dispone di una rete di negozi obsoleti e di piccole dimensioni, queste le cause della crisi. Dal 1968 il fatturato delle cooperative di consumo riprende a crescere, dal 1975 conquista quote crescenti dei consumi alimentari delle famiglie italiane e dal 1979 anche del settore extralimentare. Alla fine degli anni settanta la cooperazione di consumo comincia ad avere una immagine unitaria e a configurarsi come una impresa leader nel settore commerciale conquistando sempre maggiori quote di mercato. Questi sono i risultati di una profonda trasformazione, che ha radici negli anni precedenti che hanno visto lo sforzo del movimento cooperativo per organizzarsi come un sistema di imprese, per specializzarsi nel settore della grande distribuzione e per raggiungere una dimensione nazionale. Il superamento della crisi passa attraverso l’innovazione dei sistemi della distribuzione (magazzini centralizzati e linee di prodotti a marchio Coop) e della vendita (con i negozi selfservice e i discount) e la concentrazione aziendale (nel 1974 nascono le Coop regionali Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Veneto e Marche). Durante gli anni 1981-2003 la cooperazione di consumo vede crescere in maniera costante il suo fatturato, il numero dei soci e le quote di mercato. Il grande patrimonio di capacità manageriali e capitale umano formatosi negli anni settanta, soprattutto nelle cooperative emiliane e toscane, comincia a dare i propri frutti. La solidità raggiunta dal sistema farà superare senza gravi conseguenze la crisi economica dei primi anni novanta. Le direttrici sulle quali si muove la cooperazione di consumo negli anni ottanta e novanta sono lo sviluppo degli ipermercati (i primi 5 vengono inaugurati nel 1988) e delle grandi aree di vendita, l’ulteriore concentrazione delle cooperative regionali, la ricerca di una dimensione nazionale e la penetrazione nell’Italia meridionale. Nello stesso tempo si continua ad aprire discount cooperativi, nel 2002 se ne contano 188 in tutta Italia. Oggi il successo della cooperazione di consumo è dovuto alla sua capacità di tenersi al passo con i tempi e rispondere alle richieste sempre nuove dei consumato-

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ri come l’attenzione alla qualità e alla sicurezza in campo alimentare, all’etica e all’ambiente. Il processo di concentrazione aziendale si può dire quasi concluso, si contano 9 grandi cooperative che coprono il 91% del fatturato dell’intero sistema e l’Umbria, pur partita in ritardo, è pienamente inserita in questa rete aziendale4.

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La realtà umbra e ternana

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La cessazione delle operazioni belliche sul territorio regionale consente un graduale ritorno alla “normalità”. Subito dopo la Liberazione, grazie anche al contributo di vecchi soci e dirigenti, vengono ricostituite molte delle più importanti cooperative di consumo che avevano cessato la loro attività a causa del fascismo o durante il ventennio. La prima a riprendere l’attività, l’11 novembre 1944, è la Cooperativa di Consumo fra Lavoratori di Perugia, seguita, nello stesso anno, da quelle di Foligno e Todi; a Terni, nei primi mesi del 1945, vengono ricostituite la “Proletaria” di Papigno e l’Unione Lavoratori (di cui si dirà più avanti). Un quadro esaustivo della situazione al 1946 è offerto dal censimento delle cooperative di consumo pubblicato da “La Rivista della Cooperazione”5, da cui emerge come nell’immediato dopoguerra il fenomeno cooperativo in Umbria mantenga le stesse dimensioni rispetto al dato nazionale e gli stessi problemi dei periodi precedenti. Nel 1946 risultano operative, in 88 comuni della regione (7.254 in Italia), ben 63 cooperative (5.043 in Italia) con 89 spacci (8.168 in Italia) e 29.051 soci (2.244.416 in Italia); l’incidenza sul totale nazionale rimane trascurabile: la popolazione umbra rappresenta l’1,71% di quella italiana, i comuni in cui sono presenti cooperative sono l’1,21%, le cooperative l’1,25%, gli spacci l’1,01% e i soci l’1,29%. Anche nell’immediato dopoguerra il movimento cooperativo umbro è frammentato, economicamente debole e di piccole dimensioni aziendali: - solo una cooperativa, quella fra Lavoratori di Perugia, ha più di 5.000 soci, solo sette ne hanno più di 500, ben trentasette ne hanno tra 100 e 499, e diciotto ne hanno meno di 100; - solo quattro cooperative hanno un capitale sociale superiore ai cinque milioni di lire, diciotto ne hanno per meno di 500.000 lire e tutte le altre meno di 100.000; - solo una ha più di cinque spacci, sei ne hanno tra i due e i tre e le altre solo uno; - solo una effettua vendite per oltre 10 milioni di lire, quattro non arrivano ai 5 milioni, cinque sono sotto il milione e le restanti trentaquattro annualmente incassano meno di 500.000 lire6.

4 5 6

Zamagni, Battilani e Casali, La cooperazione di consumo in Italia cit. (a nota 1), pp. 344-369. Il censimento delle cooperative di consumo, “La Rivista della Cooperazione”, gennaio-marzo 1947, p. 13. Antonio Casali, Dalla Società di Mutuo Soccorso fra gli Artisti e gli Operai di Perugia alla Coop Umbria (18681988). Centoventi anni di cooperazione di consumo in Umbria, Coop Umbria, Perugia 1988, pp. 39-41.

Capitolo 4


Imprese cooperative operanti nel settore del commercio al dettaglio

Fonte: Nostra elaborazione su dati tratti da ISTAT, Censimenti generali dell’industria e del commercio, anni corrispondenti.

Fonte: Nostra elaborazione su dati tratti da ISTAT, Censimenti generali dell’industria e del commercio, anni corrispondenti. La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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Addetti delle imprese cooperative operanti nel settore del commercio al dettaglio

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Per contro, la base sociale è sostanzialmente omogenea e prevalentemente costituita da operai, contadini, artigiani e pensionati; la stessa base sociale che alle elezioni amministrative del 1946 determina la vittoria delle liste social-comuniste in tre quarti dei Comuni umbri. Ciò contribuisce a caratterizzare la cooperazione di consumo della regione come aderente alla Lega delle Cooperative7, e, almeno per tutti gli anni cinquanta e parte degli anni sessanta, come uno strumento di difesa delle classi subalterne più che una vera e propria rete di imprese. Del resto, come è già stato scritto8, e come dimostra l’esperienza dell’Unione Lavoratori di Terni, oltre ai CLN, sono le Camere del lavoro che, con il sostegno dei partiti politici, sollecitano la costituzione di cooperative di consumo per affrontare i numerosi problemi della ricostruzione. Non sorprende quindi che l’obiettivo principale venisse individuato, ancora una volta, nella funzione calmieratrice a vantaggio dei soci e dei ceti meno abbienti. Questa caratteristica del movimento cooperativo umbro permane fino a buona parte degli anni sessanta, accentuandosi

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quando si romperà la separattezza delle campagne e inizieranno a diffondersi le cooperative di produzione agricola e i molini cooperativi. Questi ultimi si caratterizzeranno come strumenti di costruzione di un tessuto connettivo e di resistenza del mondo rurale e in tal senso vanno direttamente correlati alle altre strutture del movimento contadino: dalle leghe alle case del popolo, dai partiti alle amministrazioni comunali e ai sindacati contadini. Questi, che rappresentano momenti di forza negli anni cinquanta, si trasformano, negli anni sessanta – quando il quadro economico del paese muta e più forti si manifestano i contraccolpi della crisi agraria – in elementi di debolezza. La necessità di rapportarsi con il mercato, di comportarsi da aziende, di gestire in modo manageriale le imprese, di trasformare la cooperazione in elemento di sviluppo della regione, divengono temi permanenti del dibattito interno alla realtà cooperativa9.

L’euforia della Liberazione e il ricollegarsi agli anni dell’impetuoso sviluppo del primo dopoguerra non riescono a far venire meno i numerosi problemi che avevano afflitto la cooperazione umbra: basso volume delle vendite, gestione affidata quasi esclusivamente alla buona volontà di amministratori senza alcuna formazione specifica, crediti ben superiori al controvalore delle azioni da loro sottoscritte, spacci troppo piccoli e numerosi. Alla fine del 1951 le cooperative di consumo sono in Umbria 119 (il 2,33% di quelle italiane), con 673 addetti (il 2,07% di quelli delle cooperative italiane) e 242 spacci (2,63% in Italia). Vere e proprie “case del popolo” di operai, mezzadri, braccianti, artigiani, le cooperative facevano della solidarietà di classe e del rapporto quotidiano coi soci l’obiettivo essenziale.

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8

9

Nel 1946 aderiscono alla Lega 44 cooperative umbre (cioè il 69,8% del totale) che rappresentano addirittura il 99,1% dei soci delle 63 cooperative della regione (cfr. Zamagni, Battilani e Casali, La cooperazione di consumo in Italia cit. (a nota 1), tab. 5.10 a p. 338). Francesco Alunni Pierucci, Le donne nella cooperazione dopo la Liberazione ed oggi, in “Umbria Coop”, a. II, 1° trimestre 1973, p. 3. Covino, Cooperazione e storia regionale cit. (a nota 3), pp. XXVI-XXVII.

Capitolo 4


Questi limiti e la contemporanea difficile congiuntura politica ed economica degli anni cinquanta portano rapidamente la cooperazione umbra ad essere “qualitativamente e quantitativamente come la più arretrata dell’Italia centrosettentrionale”11 sebbene, nel suo complesso, la cooperazione umbra copra “per tutto l’arco degli anni cinquanta, settori, esigenze, bisogni, per molti aspetti lasciati scoperti dallo Stato assistenziale (la casa, ad esempio) o marginali nell’ambito del mercato”12. Il censimento del 1961 rileva quindi in Umbria 91 cooperative di consumo (il 2,46% di quelle italiane), con 335 addetti (l’1,46% di quelli delle cooperative italiane). In un decennio, insomma, le cooperative diminuiscono, ma meno di quanto facciano a livello nazionale in seguito ai tentativi di unificazione che si manifestano a partire dal 1956-1957, mentre gli addetti praticamente si dimezzano. Questa dinamica negativa, sebbene vada letta con la generale arretratezza di un sistema distributivo che vede la presenza di un solo supermercato in Umbria contro i 14 della Toscana, è ancora più grave se paragonata con i progressi fatti registrare dal movimento cooperativo nelle vicine Toscana ed Emilia Romagna. Solo a partire dal 1961-1962 l’Alleanza Cooperativa del Trasimeno si farà promotrice dei primi tentativi di fusione tra cooperative di consumo in Umbria ma ancora nella metà del decennio la cooperazione di consumo nella regione segna il passo13. Una statistica dell’Alleanza Italiana delle Cooperative di Consumo rilevava come tra il 1956 e il 1965 le cooperative di consumo umbre aderenti alla Lega nazionale erano sì passate da 69 a 28, e i negozi da loro gestiti da 138 a 9214, ma senza alcun miglioramento nell’efficienza delle strutture, tanto che il fatturato, a prezzi costanti, era diminuito del 14,5%, mentre in Emilia Romagna era aumentato del 7,5% e in Toscana del 26,2%15.

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15

Casali, Dalla Società di Mutuo Soccorso cit. (a nota 6), p. 42. Ivi, p. 44. Covino, Cooperazione e storia regionale cit. (a nota 3), p. XXIX. Riferendo anche il pensiero di Spallone (Giulio Spallone, La nuova strategia del movimento tracciata dal XXVI congresso della Lega, in Il movimento cooperativo nella storia d’Italia (1854-1975), acura di Fabio Fabbri, Milano 1976, p. 862) Antonio Casali scrive a proposito di questo periodo: “Mentre a livello nazionale la Lega era già impegnata in un notevole sforzo di ‘ammodernamento e potenziamento tecnico’ teso al ‘superamento della polverizzazione nella distribuzione cooperativa, accanto all’abbandono di quello spirito antibottegaio che, nei fatti, ogni giorno perdeva sempre più di significato, visto che sia le cooperative di consumo che i dettaglianti erano incapaci di fronteggiare la impari concorrenza monopolitistica’, in Umbria si restava ancorati a un frammentazione, a un massimalismo ideologico che non potevano non risolversi in un preoccupante quadro di stagnazione” (Casali, Dalla Società di Mutuo Soccorso cit. (a nota 6), p. 48). Più in generale su questo periodo cfr. anche Valerio Castronovo, Dal dopoguerra a oggi, in Renato Zangheri, Giuseppe Galasso e Valerio Castonovo, Storia del movimento cooperativo in Italia. La Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue 1886-1986, Einaudi, Torino 1987, pp. 495-846. Cfr. M. Cesari, Caratteristiche strutturali della cooperazione di consumo nel quadro del sistema distributivo italiano, Angeli, Milano 1967, p. 63, citato in Casali, Dalla Società di Mutuo Soccorso cit. (a nota 2), p. 48. Ibidem.

La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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Del tutto estranea alla loro mentalità restava qualsivoglia logica “produttivistica” e “aziendalistica” e quella di far quadrare i bilanci o di migliorare i servizi appariva davvero l’ultima delle preoccupazioni10.

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La grave situazione di partenza e la preoccupante dinamica portano, tra il 1966 e il 1967, i più importanti sodalizi cooperativi di consumo del Perugino a maturare la convinzione di dar vita a una struttura di livello provinciale. Il 30 dicembre 1967, fondendo cinque cooperative (Cooperativa di Consumo fra Lavoratori di Perugia, Unione Generale Cooperativa di Consumo di Foligno, Alleanza Cooperativa del Trasimeno, Unione Cooperativa “La Risorta” di Marsciano, Cooperativa di Consumo fra Lavoratori di San Giovanni di Baiano), viene così costituita a Perugia l’Unione Cooperativa di Consumo. Gli amministratori perseguono l’obiettivo di razionalizzare e ammodernare la rete di vendita ma si scontrano con la scarsa liquidità disponibile e, soprattutto, con una mentalità campanilistica, diffusa presso gli stessi cooperatori, secondo i quali i piccoli spacci, non i grandi punti vendita, erano in grado di garantire il carattere democratico del movimento. Dopo cinque anni di attività, nonostante l’incremento delle vendite pari al 27%, il capitale sociale e, soprattutto, la rete distributiva, con 7 supercoop, 7 superettes e 26 negozi tradizionali, appariva inadeguata. L’Unione Cooperativa di Consumo registra così una serie di bilanci in perdita, nonostante i soci ammontino a circa 15.00016.

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Bisognerà attendere gli anni settanta-ottanta per vedere crescere il movimento in Umbria con cadenze e caratteri simili rispetto al resto del paese. [...] Il numero dei soci al 1980 è pari a 133.944, il capitale sociale ammonta a quasi 11 miliardi di lire, le immobilizzazioni a poco più di 9. Forte è anche la presa delle grandi centrali nazionali. [...] Alla fine degli anni settanta le cooperative aderenti alla Lega Nazionale delle Cooperative sono pari al 2,4% del totale nazionale, i soci al 6,5%, il fatturato al 2,9%, valori questi che pongono l’Umbria nel novero delle regioni dove più diffusa è la cooperazione rossa. Questa grande crescita va certamente correlata allo sviluppo e alla modernizzazione dell’Umbria avvenuto nell’ultimo ventennio, ma anche al fatto che grazie all’istituzione della Regione sono divenuti operanti i meccanismi dello “scambio politico” [...]. Legislazione, strumenti, forme di mediazione con le strutture dello Stato e con gli organismi comunitari, forme di finanziamento e credito agevolato sono stati alcuni degli elementi permissivi dello sviluppo del movimento cooperativo umbro in tutti i suoi comparti, che hanno reso possibile la sua trasformazione in un settore economico di peso non trascurabile17.

Le piccole cooperative a Terni: tra longevità e iniziativa In base ai rilevamenti fatti nel 1961 dal Centro Regionale per il Piano di Sviluppo Economico dell’Umbria risulta che nella provincia di Terni sono presenti 10 cooperative di consumo con 27 spacci di distribuzione; 5 di queste risiedono nel comune di Terni e gestiscono ben 22 spacci, pari al 50% delle cooperative e all’82% degli

16 17

Casali, Dalla Società di Mutuo Soccorso cit. (a nota 6), pp. 50-53. Covino, Cooperazione e storia regionale cit. (a nota 3), pp. XXX-XXXII.

Capitolo 4


spacci dell’intera provincia. Il resto delle cooperative e degli spacci sono dislocati nella parte nord-occidentale, nei comuni di Allerona, Fabro e Ficulle e nei comuni vicini al capoluogo: Polino e Arrone. L’alto numero di spacci presenti nella provincia e il numero esiguo delle cooperative, che danno una media di 2,7 spacci per cooperativa, più alta di quella della provincia di Perugia (2,3), farebbe pensare alla presenza di un buon numero di cooperative plurispaccio (con 2 o 3 spacci), ma così non è dato che, se si tolgono le uniche due cooperative con più di uno spaccio, che possono essere facilmente individuate nell’Unione Lavoratori di Terni con 17 spacci e l’Egualitaria di Borgo Bovio con 2, le altre sono tutte monospaccio. Gli spacci risultano per la gran parte localizzati nei centri abitati e in numero minore nelle frazioni18. Quindi, escludendo la Cooperativa Unione dei Lavoratori di cui si dirà più avanti, rimangono a Terni solo 4 cooperative di consumo, tutte di piccole o piccolissime dimensioni. La più longeva di esse è la Cooperativa Unione di Rocca San Zenone, una frazione di Terni. Fondata il 16 aprile 1916 da una ventina di soci, serviva la popolazione del circondario. Come ricorda l’ultimo presidente Maurizio Sbarzella gli stessi soci fondatori costruirono i locali della Cooperativa. Lo stabile materialmente è stato costruito dagli abitanti della zona, ottantanove anni fa. Erano tutti operai che lavoravano con turni massacranti, ma che, nelle ore libere, trovarono la forza di costruire il fabbricato della Cooperativa. Siamo intorno al 1916. Il fabbricato era a due piani, sopra gli uffici e sotto gli alimentari e la macelleria19.

è continuata anche durante la guerra e l’avvento del regime che ha tentato, a più riprese, di demolirla. Ma noi abbiamo avuto la forza di superare le rappresaglie. La nostra era una cooperativa che doveva assolvere anche a funzioni sociali e per questo il fascismo la guardava male20.

Nel dopoguerra l’attività dell’Unione riprende vigore, ma non supererà mai i quaranta soci, restando sempre una cooperativa locale. Nel 2001 viene cessata l’attività dello spaccio Siamo rimasti solo otto, nove soci sostenitori. Noi non eravamo più in grado di gestire questo stabile, poiché era più quello che pagavamo del guadagno. Così nel 2000-2001 abbiamo chiuso, per mancanza di clientela; tra l’altro, nel frattempo, avevano aperto altri due generi alimentari: uno privato, l’altro in un centro commerciale21.

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19 20 21

Cfr. Francesco Indovina e Adina Ciorli, Le cooperative di consumo in Umbria, Centro Regionale per il Piano di Sviluppo Economico dell’Umbria, Collana degli studi per il piano, volume XI Struttura e problemi dei servizi in Umbria, tomo IV, Perugia 1966, pp. 17-18 e 45. Brano tratto dall’intervista a Maurizio Sbarzella realizzata a Terni l’8 luglio 2005. Brano tratto dall’intervista a Maurizio Sbarzella realizzata a Terni l’8 luglio 2005. Brano tratto dall’intervista a Maurizio Sbarzella realizzata a Terni l’8 luglio 2005.

La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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Neanche il regime fascista riuscì a sradicare la Cooperativa, essa

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Distribuzione geografica degli spacci delle cooperative di consumo in Umbria nel 1961

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Fonte: Francesco Indovina e Adina Ciorli, Le cooperative di consumo in Umbria, Centro Regionale per il Piano di Sviluppo Economico dell’Umbria, Collana degli studi per il piano, volume XI Struttura e problemi dei servizi in Umbria, tomo IV, Perugia 1966, in particolare le tavole a pp. 19 e 27.

Capitolo 4


Fonte: Francesco Indovina e Adina Ciorli, Le cooperative di consumo in Umbria, Centro Regionale per il Piano di Sviluppo Economico dell’Umbria, Collana degli studi per il piano, volume XI Struttura e problemi dei servizi in Umbria, tomo IV, Perugia 1966, pp. 18 e 45.

Nel 2003 la Società viene incorporata dalla Cooperativa sociale AIDAS che ne acquisisce i locali destinandoli a struttura di assistenza agli anziani. La Società Anonima Cooperativa l’Economica viene costituita il 31 ottobre 1917 con sede nella borgata Vecchia Saponeria (via Emilia 13) a Terni da 16 soci con lo scopo di “giovare all’economica dei soci, nel provvedere i necessari generi alimentari”. Essa è una Cooperativa con un ridottissimo giro d’affari, ma che sopravviverà anche ai tentativi di chiusura del regime fascista che culminano il 7 giugno 1941 con il commissariamento prefettizio del consiglio di amministrazione e il cambiamento della denominazione della Società da Economica a Impero. Il 20 maggio 1945, con una assemblea straordinaria, viene ripristinata la vecchia denominazione della Società l’Economica. Per tutto il dopoguerra e negli anni successivi la La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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Distribuzione geografica delle cooperative di consumo e degli spacci nella provincia di Terni nel 1961

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vita della Cooperativa procede senza grossi problemi, ma sempre con un ridotto giro d’affari, servendo da spaccio di quartiere per i propri soci che non supereranno mai le sessanta unità. L’assemblea straordinaria del 16 giugno 1968 delibera lo scioglimento della Cooperativa, già scaduta il 31 dicembre 1967, “in quanto per la ridotta attività aziendale, è attualmente in passivo”. Le operazioni di liquidazione si protrarranno per alcuni anni, fino alla chiusura avvenuta il 15 giugno 1973. Il 22 luglio 1920 viene invece fondata da 10 soci la Cooperativa l’Egualitaria di Borgo Bovio. Il 21 maggio 1937, con un’assemblea straordinaria tenuta presso i locali della Federazione Provinciale dell’Ente Nazionale Fascista della Cooperazione e in linea con la fascistizzazione delle Cooperative che non hanno chiuso i battenti nel frattempo, i 14 soci cambiano la denominazione della Società in Littoria. Il 16 febbraio 1943 con decreto del Ministero per le Corporazioni la Cooperativa viene commissariata e sciolto il consiglio di amministrazione. All’indomani del passaggio del fronte, il 3 dicembre 1944 la Cooperativa viene rifondata da 30 soci, tutti operai di Terni, con la vecchia denominazione di Egualitaria. Per tutto il periodo post bellico e gli anni cinquanta la Cooperativa gode di buona salute, chiudendo sempre i bilanci con un utile seppure modesto, anche se il tradizionale ricorso al credito ai soci desta non poche preoccupazioni per la situazione finanziaria della Società. Nel 1950 viene aperto un secondo spaccio nella frazione San Carlo. Gli anni sessanta invece sono caratterizzati da una progressiva diminuzione del giro d’affari e da una serie di esercizi chiusi in perdita che portano alla messa in liquidazione della Cooperativa nel 1969 e alla definitiva chiusura il 30 settembre 1978. L’ultima delle cooperative attive al momento del censimento fatto per lo studio correlato alla elaborazione del Piano regionale di sviluppo economico dell’Umbria è la Cooperativa “La Concordia” costituita il 20 ottobre 1947 da 22 soci, con sede in viale Benedetto Brin 70 a Terni. La Cooperativa, di ispirazione socialista, rappresenta per tutta la sua esistenza il punto di rifornimento per i molti operai che risiedono nel quartiere delle Acciaierie. Nel 1969, i soci, che nel fratttempo sono diventati 72 decidono per la messa in liquidazione della Società, che avviene nel 1972. Un cenno va fatto alla proliferazione di cooperative costituite nell’immediato periodo post bellico, tra il 1944 e il 1947, segno di un rinnovao spirito cooperativo, ma anche del tentativo di creare un canale privilegiato nella distribuzione degli aiuti alimentari e nel difficile reperimento dei generi di prima necessità. In realtà la gran parte di queste cooperative(18 su 21) non inizieranno mai la loro attività restando solo sulla carta o facendo solo un primo tentativo senza però ottenere risultati apprezzabili22.

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Cfr. Carla Pernazza e Paola Boschi, I molini popolari in Umbria dal secondo dopoguerra alla fine degli anni sessanta, in Studi sulla cooperazione cit. (a nota 3), pp. 130-131 e il più recente Carla Pernazza, I Molini Popolari Riuniti di Ellera e Umbertide. Dai difficili anni cinquanta alla moderna azienda, in “Umbria Contemporanea”, n. 4 (2004), pp. 43-81.

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Il 15 settembre 1945 viene costituito a Teni, con sede in via Roma, il Consorzio fra le Cooperative di Consumo dell’Umbria Centralimenti. I soci fondatori, tutte cooperative di consumo di Terni e dei comuni limitrofi, sono: l’Unione dei Lavoratori di Terni (con 5.300 soci), la Cooperativa di Consumo del Popolo di Narni (1.134), la Cooperativa Arronese (370), l’Unione Proletaria di Papigno (307), la Cooperativa del Popolo di Piediluco (185), la Democratica di Terni (80), l’Economica di Alviano (70), l’Egualitaria di Borgo Bovio (55), L’Economica di Terni (48) e l’Unione di Rocca San Zenone (33). Ogni cooperativa versa 5.000 lire, divise in quote da 1.000 lire ciascuna, per costituire il capitale sociale ed è rappresentata nel consiglio di amministrazione da uno o più delegati: la Cooperativa del Popolo di Narni e l’Unione dei Lavoratori di Terni, quelle con più soci, ottengono tre delegati ciascuna, l’Unione Proletaria di Papigno due e un solo delegato per ciascuna delle altre cooperative. Fanno parte del primo consiglio di amministrazione: Marcello Silvestrelli in qualità di presidente, Elmiro Berrettini come vicepresidente e i consiglieri Gennaro Sallustio, Vito D’Amico, Pietro Tobia, Francesco Di Deodato, Adelmo Paolucci, Luigi Dolcetti e Armando Margheriti. Attraverso un esame incrociato dei documenti risulta subito evidente come la cooperativa maggiormente rappresentata all’interno del Consorzio sia l’Unione dei Lavoratori di Terni che è, del resto, quella con il maggior numero di soci: il presidente del Consorzio Marcello Silvestrelli è anche il vicepresidente dell’Unione dei Lavoratori e i consiglieri Vito d’Amico e Gennaro Sallustio ne son , rispettivamente, il presidente e il di direttore. Gli scopi sociali del Consorzio sono: a) sottrarre alla privata speculazione le Cooperative consorziate, i loro soci e i consumatori in genere; b) tendere con ogni sforzo al miglioramento economico e all’elevazione morale dei lavoratori aderenti alle cooperative consorziate, mediante avveduti provvedimenti e con l’unione delle molte piccole forze; c) provvedere all’acquisto all’ingrosso delle merci di ogni genere anche per quanto può necessitare alle attività agricole e alla loro buona conservazione per fornirle alle cooperative consorziate; d) curare che le cooperative consorziate possano ottenere il massimo credito; e) impiantare o assumere direttamente o indirettamente la gestione di stabilimenti o laboratori per la lavorazione in comune delle materie prime e di prodotti occorrenti alle cooperative consorziate per lo svolgimento della loro attività; f) svolgere in genere tutte quelle attività che servano a meglio raggiungere e perfezionare gli scopi sociali; g) diffondere fra i produttori e i consumatori i principi della vera e sana cooperazione.

Come si può notare lo spirito che sorregge il Consorzio si può riassumere con un motto: “l’unione fa la forza”. Si uniscono le cooperative per acquistare le merci all’ingrosso e, quindi, spuntare prezzi migliori e, inoltre, per accedere più facilmente al credito. Gli utili, tolte le quote da accantonare nei fondi di riserva previste dalla legge, La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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Il Consorzio Centralimenti: primo tentativo di associazione tra le cooperative di consumo della provincia di Terni

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Vecchi socialisti al congresso di ricostituzione della Lega Provinciale delle Cooperative (Terni 1945)

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Fonte: “Terni 1884-1984: dalla storia al museo della città”, mostra storico-documentaria conservata presso l’Archivio di Stato di Terni.

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vengono ripartiti tra le cooperative consorziate in rapporto all’ammontare delle merci da esse ritirate nel corso dell’anno al magazzino del Consorzio. In pratica le cooperative partecipanti al Consorzio si riprendono quanto hanno contribuito a creare. Questo sembra anche un buon metodo per fare in modo che le Cooperative socie si riforniscano più volentieri al magazzino consorziale. Nel 1946 aderiscono al consorzio altre sette cooperative della provincia di Terni: l’Agricola fra Smobilitati di Calvi, Famiglia e Lavoro di Campomicciolo, la Magistrale di Terni, La Proletaria di Nera Montoro, la Pietro Montesi di Marmore, Narnia di Narni e la Cooperativa fra Postelegrafonici di Terni. Il primo esercizio si chiude con un utile di 186.242 lire. Nella relazione del consiglio di amministrazione che accompagna il bilancio del 1946 si lamenta, tuttavia, la sensibile ascesa dei prezzi delle merci e il fatto che molte delle cooperative associate, contrariamente allo spirito del Consorzio, non si approvvigionino al magazzino consorziale. Si propone, inoltre, di iniziare anche la distribuzione della frutta e della verdura, per la quale bisogna approntare i necessari accorgimenti per evitarne il deperimento. Ascoltata la relazione del consiglio di amministrazione l’assemblea propone di intensificare la promozione del Consorzio per aumentare il numero di cooperative socie e di sollecitare le associate ad approvvigionarsi presso il Consorzio, inoltre solleva il problema di trovare ambienti più adatti per il magazzino, quindi propoCapitolo 4


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ne di chiedere alla Cooperativa Unione dei Lavoratori di Terni di mettere a disposizione del Consorzio i propri magazzini con le relative attrezzature e i locali per l’amministrazione del Consorzio stesso e della Lega Provinciale delle Cooperative. L’assemblea fissa inoltre le medaglie di presenza per i membri del consiglio di amministrazione (200 lire pro capite) e dei compensi (30.000 e 50.000 lire), da erogarsi una volta ogni tanto, al presidente e al vicepresidente. In questo stesso anno si dimette il direttore Umbro Tazza e viene sostituito da Angeletti. L’assemblea generale dei soci del 27 luglio 1947 rileva come si sia tentato in tutti i modi di tenere i prezzi di vendita più bassi possibile, ma il risultato non è stato soddisfacente a causa degli alti costi di gestione. Confrontando l’utile lordo con il totale delle spese si evidenzia una perdita d’esercizio dovuta alla cattiva gestione delle merci, alle provvigioni troppo alte degli altri grossisti che riforniscono il Consorzio e ad altri aggravi finanziari. L’assemblea conclude che il punto debole dell’azienda è rappresentato dalla carenza di capitale sociale e, quindi, dal ricorso al credito delle banche, con tutti gli oneri che questo comporta. Nel 1948 il bacino di utenza del Consorzio si allarga ulteriormente: si associano anche la Cooperativa del Popolo di Torre Orsina, la Cooperativa Bruno Buozzi di Spello, la Cooperativa di Consumo La Valle di Ferentillo, la Cooperativa Orvietana di Consumo, la Cooperativa di Consumo di Fornole di Amelia, la Cooperativa di Consumo di Porchiano, la Cooperativa di Consumo di Collestatte Piano, la Cooperativa di Consumo di Collestatte Paese, La Polinese di Polino e la Cooperativa dei Lavoratori di Ferentillo. L’11 aprile 1948 si riunisce l’assemblea generale ordinaria presso la sede di via dei Priori 12 a Terni, sono presenti il presidente Marcello Silvestrelli, il sindaco Gnocchini, il direttore Angeletti e 19 delegati. Il consiglio di amministrazione propone all’assemblea di autorizzare il direttore del Consorzio a fare acquisti collettivi insieme alla Cooperativa Unione dei Lavoratori di Terni, a quella del Popolo di Narni e alla Orvietana di Orvieto al fine di spuntare un miglior prezzo di acquisto delle merci e diminuire le spese per i trasporti. In pratica, il Consorzio, così facendo, acquisterebbe le merci insieme alle sue tre maggiori associate favorendo così anche le piccole cooperative che si riforniscono presso il magazzino consorziale. Si propone anche di organizzare il magazzino dei vini valendosi delle attrezzature e dei locali dell’Unione dei Lavoratori e di aumentare il capitale sociale per evitare di ricorrere al credito. In conclusione viene deliberato di effettuare per quanto possibile gli acquisti insieme alle cooperative più grandi per evitare la differenza di prezzo delle merci tra le varie cooperative; di avvalersi del magazzino e dell’attrezzatura dell’Unione dei Lavoratori per il commercio del vino e di accrescere il capitale sociale di tre milioni di lire sollecitando ciascuna cooperativa a sottoscrivere nuove azioni. La stessa assemblea rinnova le cariche sociali: Elmiro Berrettini diviene il nuovo presidente e Armando Margheriti il vicepresidente. Il 23 aprile 1949 l’assemblea generale ordinaria, alla presenza del presidente Elmiro

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Berrettini e di 14 delegati delle Cooperative associate approva il bilancio del 1948. Nella stessa assemblea sono esaminati e approvati i provvedimenti del consiglio di amministrazione per diminuire le spese generali. La relazione del collegio sindacale rileva, infatti, che la situazione dell’azienda è tutt’altro che florida. Nella stessa relazione si muovono critiche alle spese, ritenute troppo elevate, sostenute per il personale, per gli interessi passivi e per la manutenzione dei macchinari. Inoltre si esortano le cooperative associate a pagare le merci prelevate presso il magazzino del Consorzio con maggiore regolarità. Il bilancio del 1949 si chiude con un utile di 400.249 lire. Tuttavia nell’assemblea del 23 aprile 1950 si avanza l’ipotesi di sciogliere il Consorzio e critiche vengono mosse all’attività dei consigli di amministrazione delle singole cooperative associate. Nella relazione del consiglio di amministrazione, infatti, si rileva ancora una volta la lentezza con la quale le singole cooperative saldano le fatture degli acquisti, constringendo il Consorzio a ricorrere alle banche con tutti gli oneri passivi che ciò comporta. Nonostante questo però si sottolinea la maggiore crescita rispetto all’anno precedente che fa ben sperare per il futuro. Nell’aprile 1951, però, i contrasti all’interno del consiglio di amministrazione si acuiscono ulteriormente tanto da indurre il presidente Berrettini e tutto il consiglio di amministrazione a presentare al Tribunale di Terni le dimissioni motivate dall’impossibilità, in sede di assemblea ordinaria, di nominare nuove cariche sociali, con conseguente paralisi amministrativa. Il consiglio di amministrazione uscente invita il Tribunale a nominare un liquidatore che ponga termine alla situazione di irregolarità che si è venuta a creare. Il Tribunale nomina liquidatore del Consorzio Renato Cecchini. Nel 1952 il liquidatore deposita presso il Tribunale l’istanza di fallimento della Società, dimostrando lo stato di dissesto finanziario del Consorzio risalente, addirittura, al 1948: i crediti ammontano a circa 7 milioni a fronte di un attivo che non raggiunge le 500.000 lire. Preso atto della situazione, il 18 settembre 1954, il Tribunale di Terni dichiara il fallimento del Consorzio “Centralimenti”. Dopo alcuni anni dal fallimento del Centralimenti, nel 1963, viene fatto un altro tentativo di dar vita ad un consorzio tra le cooperative di consumo ternane. Il 9 febbraio viene costituito il Consorzio Cooperativo Provinciale tra le Cooperative di Consumo di Terni. Promotori dell’iniziativa, ancora una volta, sono le cooperative: Unione dei Lavoratori, rappresentata dal presidente Misiano Schiara e dai consiglieri Mario Benvenuti, Dazio Pascucci, Alberto Guidarelli e Rolando Zenoni; Egualitaria con Limperio Piermatti e Antonio Pannuzzi; Molino Cooperativo Intercomunale di Amelia con il suo presidente Gino Gelosi; Pietro Montesi di Marmore con Bramante Sapora; Il Popolo di Porchiano con Angelo Boccio; Rinascita di Cesi con Aspromonte Gennari; Pace e Lavoro di Allerona con Aldo Basili; Unione di Rocca San Zenone con Emolo Rosati e Unione Cooperativa Arronese con Augusto Pellegrini. Il Consorzio, in realtà, non andrà oltre la sua costituzione, non avviando mai la propria attività. Sarà infatti sciolto d’ufficio dal Tribunale di Terni il 6 giugno 1968. Capitolo 4


“L’Unione dei Lavoratori”: idee moderne, problemi antichi

dopo la guerra nacque il dilemma se ricostruire gli spacci aziendali o riavviare la cooperazione. Le difficoltà di approvvigionamento erano enormi, tant’è che la commissione interna (alcuni dei suoi membri erano anche del CLN), su richiesta degli stessi lavoratori, decise di intraprendere iniziative e andare in giro per il territorio nazionale alla ricerca di prodotti da rivendere a prezzo agevolato ai lavoratori che si trovavano in condizioni più disagiate (soprattutto quelli dei reparti più faticosi come la fonderia e i laminatoi). Così si è andati verso la cooperazione, anche se questa non aveva ancora le caratteristiche che avrebbe assunto poi25.

Nella riunione del CLN Provinciale del 25 ottobre 1944, alla presenza del sindaco Comunardo Morelli26, Si propone di mettere all’ordine del giorno della prossima riunione la creazione di una

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Alfredo Filipponi, “organizzatore del PCI nella clandestinità, partigiano, comandante della brigata ‘Gramsci’, arrestato per militanza politica, segretario della Federazione umbra del PCI, segretario della Federazione provinciale, presidente del Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale, presidente dell’ANPI, presidente del Fronte Popolare provinciale (anni ’20-’70)” (da Alvaro Valsenti, Diventammo protagonisti, Edizioni Galileo, Terni 1998, p. 220). Vincenzo Inches, “antifascista, partigiano, arrestato per militanza politica, confinato alle isole Tremiti, segretario della Camera del Lavoro di Terni, membro della segretaria della Federazione del PCI, assessore provinciale, presidente della commissione di controllo del PCI (anni ’20-’60)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 226). Brano tratto dall’intervista a Alfio Paccara realizzata a Terni il 23 giugno 2005. Comunardo Morelli, “antifascista, perseguitato, resistente, membro del Comitato di liberazione per Terni, membro del comitato federale del PCI, sindaco di Terni (anni ’20-’40)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 235).

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L’Unione dei Lavoratori, Società Cooperativa a responsabilità limitata, viene costituita a Terni il 28 novembre 1944 con un capitale sociale di 33.000 lire formato da azioni da 1.000 lire ciascuna (ogni socio non può possederne più di 50). I 33 soci che la fondano sono tutti domiciliati a Terni, tranne uno, ma molti provengono da altre regioni italiane (10) mentre tra i rimanenti 15 sono nati a Terni, 5 nel circondario e 3 nella regione; la loro estrazione è eterogenea, anche se prevale la componente operaia: 17, infatti, sono operai, 9 sono impiegati e, a seguire, un geometra, un commerciante, un artigiano, un avvocato, un professore, un medico, un industriale e uno che si dichiara senza professione. Tra i soci fondatori compaiono anche Alfredo Filipponi23, comandante partigiano e presidente del Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale e Vincenzo Inches24, segretario della ricostituita Camera del Lavoro. Sono, infatti, i dirigenti della Camera del Lavoro e, soprattutto, del CLN i veri promotori dell’Unione dei Lavoratori. Essi, fin dall’ottobre del 1944, spronati dall’urgenza dell’approvvigionamento alimentare per la popolazione, propongono la costituzione di una cooperativa di consumo. Ricorda Alfio Paccara, membro della commissione interna delle Acciaierie, che

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cooperativa operaia di consumo che non sia un trust e che sola potrà risolvere la questione alimentare27.

Alla riunione successiva, quella del 30 ottobre,

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Il CLN prende atto della dichiarazione dei rappresentanti della Democrazia Cristiana cioè: di voler conservare la cooperativa di consumo28 già costituita sotto ai loro auspici, come ente di partito anziché trasformarla in espressione del CLN. Tutti gli altri rappresentanti del CLN si trovano d’accordo di istituire una cooperativa di consumo; e pertanto deliberano di nominare dei comitati appositi di tre persone per ogni Partito per studiare il problema e gettare le basi di tale costituzione29.

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In effetti dopo poche settimane si costituirà l’Unione dei Lavoratori, che da subito riesce a garantire la salvaguardia dei consumi popolari dalla mancanza e dal continuo rincaro dei generi di prima necessità30. Gli intenti dei fondatori sono di ampio respiro, nello statuto si scorge già il futuro impianto e bacino di utenza della Cooperativa, si vuole cioè costituire un organismo che possa essere presente in tutto il territorio del comune di Terni e in quelli confinanti, che possa fungere da capofila per le altre cooperative di consumo che stanno sorgendo – o sorgeranno – in città e che abbia un rapporto privilegiato con le cooperative di produzione e lavoro. Lo scopo dell’Unione, quindi, è non solo quello di acquistare generi di prima necessità per rivenderli ai propri soci al minor prezzo possibile ma anche quello di attivare una rete di produzione e distribuzione basata sui principi cooperativistici. Per la prima volta, dopo la liquidazione de La Previdente avvenuta più di trent’anni prima, a Terni nasce un progetto più complesso e articolato delle semplici cooperative di resistenza, al quale prendono parte, a vario titolo, il CLN, la Camera del Lavoro e i Partiti della sinistra. Lo scopo sociale prevede l’acquisto e la distribuzione di merci e di generi di consumo a Terni e nelle “località viciniori”, la vendita delle merci deve essere regolata in contanti ed è riservata ai soci, ma l’assemblea ha il potere di estenderla anche ai non soci. Lo statuto prevede anche la possibilità di adesione per altre cooperative di consumo, che potranno così usufruire del servizio di magazzino e rifornimento offerto dalla Cooperativa, in modo da poter disporre di merci acquistate a prezzi più vantaggiosi. L’articolo 4 prevede che le altre Cooperative che intendano diventare socie della Cooperativa, se hanno capitale inferiore a L. 50.000 dovranno sottoscrivere un numero di azioni pari all’intero ammontare del capitale sociale; se con capitale superiore a L. 50.000 dovranno sottoscrivere azioni

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ACS, Comitato Centrale di Liberazione Nazionale, b. 10, fasc. 145, verbale della riunione del Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale di Terni del 25 ottobre 1944. Non sappiamo quale sia la cooperativa nata sotto gli auspici della Democrazia Cristiana e né se abbia proseguito la sua attività a ricostruzione avvenuta. ACS, Comitato Centrale di Liberazione Nazionale cit. (a nota 26), verbale del 30 ottobre 1944. Cfr. Gianfranco Canali, Terni 1944. Città e industria tra liberazione e ricostruzione, con un saggio introduttivo di Renato Covino, Amministrazione Comunale di Terni – ANPI Terni, Terni 1984, p. 87; recentemente ripubblicato in Gianfranco Canali, Operai, antifascisti e partigiani a Terni e in Umbria, CRACE, Perugia 2004.

Capitolo 4


fino a tale limite. Il consiglio di amministrazione di accordo con i consigli di amministrazione delle Società divenute socie, stabilirà i limiti entro cui dovranno aver luogo i rifornimenti.

Il consiglio di amministrazione deve, di volta in volta, provvedere a far convocare, […] nelle località ove risiedono non meno di 50 soci le assemblee separate dei soci. A tali assemblee dovrà intervenire un consigliere di amministrazione o un funzionario della Società delegato dal presidente del consiglio di amministrazione. […] Il consiglio di amministrazione dovrà pubblicare e comunicare ai soci l’ordine del giorno dell’assemblea, e le assemblee separate dovranno deliberare sulle materie che ne formano l’oggetto con le stesse norme di maggioranza e di validità previste per l’assemblea generale, eleggendo quindi un delegato per portare all’assemblea generale i risultati della votazione dell’assemblea separata. [art. 23]

Nello statuto, nella parte relativa alla ripartizione dell’utile, si prevede anche di corrispondere, in base alle quote effettivamente versate, un dividendo ai soci non superiore al saggio degli interessi legali dopo averne accantonato non meno del 40% nel fondo di riserva legale ordinario; l’eventuale avanzo sarà destinato in parti uguali al maggiore incremento delle riserve e a fini mutualistici. In alternativa i dividendi spettanti ai soci possono essere trattenuti dalla Società ed accreditati agli stessi in aumento della rispettiva quota capitale. In realtà fino al 1956 l’utile d’esercizio non verrà mai distribuito ma accantonato nel fondo di riserva per garantire una maggiore solidità all’azienda, mentre dall’anno successivo verrà rimborsata, a titolo di ristorno, una quota dell’utile in ragione di una percentuale sugli acquisti fatti presso gli spacci sociali da soci e non. In ultimo, lo statuto delinea anche l’organizzazione che la nuova Società dovrà avere: si prevedono un direttore, un comitato esecutivo, ispettori di spaccio e gestori di magazzino. Nell’atto costitutivo viene anche nominato il consiglio di amministrazione provvisorio che reggerà le sorti della Cooperativa fino al 31 gennaio 1945, data nella quale l’assemblea generale dei soci eleggerà per la prima volta tutte le cariche. La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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È evidente la volontà di creare una cooperativa di consumo intercomunale e una sorta di consorzio di cooperative con la gestione centralizzata del magazzino di rifornimento. Il singolo socio, invece, all’ammissione deve versare per intero almeno l’importo relativo a un’azione (1.000 lire) che gli garantirà, in caso di malattia o per necessità, e previa autorizzazione del consiglio di amministrazione, la concessione di un credito fino ai 2/3 della quota versata. Non è prevista, quindi, la rateizzazione della quota sociale, come invece accadeva nella quasi totalità delle cooperative dei periodi precedenti; è invece ancora in vigore, come nelle cooperative dei primi del Novecento, la presenza nello spaccio del libro dei reclami e suggerimenti da parte dei soci. Lo statuto, in previsione di numerosi soci sparsi sul territorio, prevede anche “assemblee separate”:

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Viene designato presidente il prof. Giovanni Di Giacomo31, vicepresidente il dott. Marcello Silvestrelli e consiglieri: Riziero Rossi, Renato Cecchi, Umberto Gatti, Bruno Tognarelli e Clasio Fulvi. Il 16 giugno 1946 il presidente Vito D’Amico, il primo eletto dall’assemblea dei soci, tramite i maggiori quotidiani legati ai Partiti della sinistra convoca al Politeama l’assemblea generale dei soci (oltre 5.300) per discutere il bilancio del 1945, il primo dalla costituzione della Cooperativa. Questo esercizio si chiude con un giro d’affari di 60 milioni di lire, non è poco per essere il primo anno di attività, ma il consiglio ritiene vada incrementato per tenere sotto controllo le spese e per raggiungere “il posto che […] compete [alla Cooperativa] nell’attività commerciale della provincia”, consentendo ad essa di fungere da calmiere a beneficio di tutta la cittadinanza. Per raggiungere questo obiettivo l’assemblea accoglie la proposta di aprire al pubblico gli spacci sociali, riservando comunque ai soci l’acquisto di determinati articoli a prezzi favorevoli. Alla chiusura del primo esercizio l’Unione si presenta già con una rete di vendita importante: nel giro di un anno sono stati aperti ben 20 spacci in città e nelle immediate vicinanze e molte sono le richieste per l’istituzione di spacci sociali da parte di soci residenti nei comuni limitrofi.

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La prima sede dell’Unione Lavoratori era nei locali della [Società] Terni, nell’area della Fonderia: il negozio centrale era questo, ma poi c’erano altri venti spacci aperti gradualmente nel corso degli anni; il culmine di apertura si è raggiunto nel ‘5232.

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Per gli amministratori però è subito evidente che “alcuni [spacci] hanno bisogno di perfezionamenti atti ad aumentare le vendite” mentre altri andrebbero chiusi, “per organica incapacità a reggersi”, visto che a nulla sono valsi gli interventi e le migliorie dettate dalla pratica acquisita nel primo anno di attività. Nello stesso periodo è in via di sistemazione, presso la sede sociale sita negli ex spacci aziendali della Società Terni in via Muratori, il complesso dei forni elettrici per la panificazione e si prevede di istituire anche il reparto di abbigliamento con annesso laboratorio di confezioni. La sede centrale all’inizio stava in via Muratori. [...] Sì, in via Muratori c’era questo grande negozio dove avevamo gli uffici al piano di sopra e sotto un grande negozio con il settore abbigliamento, ma anche la norcineria, il magazzino, il panificio, tutto nello stesso stabile. Lo spazio aziendale era di proprietà della [Società] Terni che lo ha affittato a noi33.

In questa prima fase i rapporti con la Società Terni sono buoni e improntati da

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Giovanni Di Giacomo, “antifascista, perseguitato politico, arrestato per militanza politica, consigliere della cooperativa Unione dei Lavoratori, nella segreteria del Comitato Provinciale per la Pace (anni ’40-’50)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti, cit. (a nota 23), p. 216). Brano tratto dall’intervista a Alfio Paccara realizzata a Terni il 23 giugno 2005. Brano tratto dall’intervista a Ivana Filipponi, dipendente dell’Unione dei Lavoratori dal 1947 alla sua chiusura nel 1966, realizzata a Terni il 27 giugno 2005.

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Risultati economici (utile/perdita d'esercizio) dell’Unione Lavorati dal 1945 al 1965

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uno spirito di fattiva collaborazione: l’impresa concede i locali di via Muratori in cambio di un canone di affitto simbolico di una lira, partecipa alla ristrutturazione dei forni e, soprattutto, riversa alla Cooperativa le somme trattenute dalle buste paga dei propri dipendenti per la spesa fatta presso gli spacci dell’Unione, di fatto garantendo così anche il credito concesso sugli acquisti, come era già successo tra la SAFFAT e la Cooperativa Alti Forni prima e la Cooperativa Impiegati e Professionisti Civili poi. Nonostante la recente costituzione, a dimostrazione dell’intento degli amministratori di portare L’Unione ad essere il punto di riferimento per la cooperazione di consumo ternana, l’assemblea generale procede alla revisione dello statuto sul modello di quelli dell’Ente Italiano Cooperativo Approvvigionamenti (EICA) di Milano e dell’Alleanza Cooperativa Piemontese di Torino. Le modifiche più rilevanti riguardano la vendita dei generi, che viene estesa anche ai non soci, e le condizioni di adesione per le altre cooperative. Per queste viene abolita la soglia di ingresso di 50.000 lire, dovendo esse acquistare in proporzione un’azione dell’Unione ogni 10 delle proprie; inoltre viene loro concessa la facoltà di acquistare merci presso il magazzino per due volte prima di divenire socie. Viene modificata anche la ripartizione dell’utile destinandone il 50% alle riserve legali e il restante, a discrezione del consiglio di amministrazione, all’incremento dei servizi cooperativistici, al rinnovo degli impianti, all’incremento dei servizi mutualistici, assistenziali e sociali, al fondo di “aiuto per gli organismi vari di difesa e di elevazione morale e sociale della classe lavoratrice”, al personale dipendente per premi ed incentivi, a disposizione del consiglio di amministrazione per “destinazioni speciali”. L’Unione aderisce, fin dalla sua costituzione, anche al Consorzio Provinciale delle Cooperative Centralimenti, piazzando alcuni suoi amministratori nel primo consiglio di amministrazione: Marcello Silvestrelli è presidente del Consorzio e vicepresidente nel primo consiglio di amministrazione dell’Unione, Gennaro Sallustio e Vito D’Amico sono consiglieri del Consorzio e, rispettivamente, direttore e presidente in carica dell’Unione. Nonostante questo, però, tra le due Società emergono da subito forti contrasti causati dalla distribuzione di merci alle piccole cooperative della zona svolta da entrambe. All’assemblea dei soci dell’Unione del 16 giugno 1946 si prospetta, addirittura, l’assorbimento del Consorzio e poi si costituisce una commissione (composta da Ugo Zenobi, Mario Della Bina, Luigi Michiorri34, Gino Romoli, Alfredo Filipponi, Riziero Rossi e Ettore Secci35) per stabilire se ritirare l’adesione al Consorzio e dirimere i rapporti tra i due Enti. La relazione della commissione, discussa nell’assemblea straordinaria del 21 luglio, enuclea con chia34

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Luigi Michiorri, “segretario della gioventù comunista nel Lazio, giornalista, antifascista, arrestato per militanza politica, assessore comunale e sindaco di Terni, membro del direttivo della Federazione del PCI (anni ’20-’50)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 233). Ettore Secci, “(Gubbio 17.7.1883 – Terni 10.4.1962), dipendente della Società Terni è autore si poesie per occasioni e avvenimenti particolari, edite e inedite” (da Gisa Giani, Raccolta di voci bibliografiche su Terni e territorio, Perugia 1977, p. 430).

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Mazzetti è anche: presidente (1909) e direttore contabile (dal 1908 al 1920) della Cooperativa di consumo della Valnerina di Papigno, fondata nel 1907 e segretario, fin dalla costituzione, della Federazione delle Cooperative di Consumo dell’Umbria, fondata nel 1917 dai rappresentanti di 21 cooperative di consumo. Inoltre, in qualità di segretario della Federazione, collabora, nel 1919, alla costituzione della Cooperativa di Consumo Unione di Piediluco (cfr. Attraverso l’Italia. Piediluco. Costituzione di una cooperativa di Consumo, in “la Cooperazione Italiana”, a. XXXIII, n. 1336, 21 febbraio 1919).

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rezza come il nodo del contendere stia nel fatto che l’Unione ha nel suo statuto la possibilità di associare e rifornire altre cooperative, in pratica, quindi, lo stesso scopo per cui è sorto il Consorzio, e nel fatto che alcuni membri del consiglio di amministrazione dell’Unione stanno anche nel consiglio del Centralimenti pur non potendolo controllare completamente. Infatti, l’Unione dispone all’interno del consiglio di amministrazione del Consorzio solo di tre membri contro i sei che rappresentano le cooperative minori e, quindi, tre consiglieri rappresentano gli oltre 5.000 soci dell’Unione, mentre sei rappresentano i 500 delle altre cooperative. La commissione conclude quindi affermando che l’Unione potrebbe tranquillamente assolvere la funzione del Consorzio che, tra l’altro, dispone di un capitale sociale minore di quello dell’Unione. Alla fine l’assemblea fissa delle “linee generali” a cui attenersi nei rapporti con il Consorzio: resta ferma l’adesione dell’Unione, ma si dà mandato al consiglio di amministrazione di proporre al Consorzio di spostate la sede sociale e il magazzino nei locali dell’Unione; inoltre, si chiede che nel nuovo consiglio di amministrazione del Consorzio l’Unione abbia la metà più uno dei consiglieri. Nella stessa assemblea straordinaria le procedure e la discussione per il rinnovo di tutti i consiglieri fanno emerge una certa rissosità tra i soci in qualche modo riconducibile a una divisione in “fazioni” che fanno capo ai Partiti e al movimento sindacale. Alfredo Filipponi addirittura propone una sorta di lottizzazione della commissione che dovrà scegliere la rosa dei candidati al consiglio di amministrazione, proponendo che ne facciano parte persone aderenti ai vari Partiti. Vincenzo Inches, presidente dell’assemblea, respinge la proposta, ribadendo che “nell’amministrazione occorre vi siano i veri cooperatori e persone oneste e competenti senza riguardo ai Partiti”. Vengono eletti consiglieri Gennaro Sallustio, Ernesto Coaccioli, Riziero Rossi, Tommaso Rinalducci, Ettore Santoni, Vito D’Amico, Giuffrida Angeletti, Rutilio De Angelis e Odoardo Mazzetti36. Il bilancio 1946 si chiude con un elevato volume di vendite (oltre 102 milioni di lire) ma con un utile non rilevante (194.189 lire), addirittura inferiore a quello dell’anno precedente, a causa della difficile situazione economica e della volontà del consiglio di amministrazione di tenere bassi i prezzi di vendita in modo da calmierare il mercato locale e così “difendere il potere d’acquisto dei salari con un’azione per quanto possibile efficace in questa caotica economia del dopoguerra”. Lo scarso utile è anche da attribuire all’aumento delle spese fisse di gestione per l’apertura di nuovi spacci e il miglioramento delle attrezzature. A questa data la Cooperativa dispone di 23 spacci, 3 in più rispetto all’anno precedente, tutti collocati nel comune di Terni, tranne quelli di Montefranco e di Sangemini, e ha

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riattivato i forni per il pane presenti negli ex spacci della Società Terni danneggiati dai bombardamenti. Gli effetti di questa strategia non sono facilmente quantificabili ma è certo che l’Unione vende il pane a 19 lire al kg, cioè 1 lira in meno del prezzo ufficiale, e che nelle zone della città dove è presente un suo spaccio i commercianti privati hanno dovuto adeguare i loro prezzi a quelli della Cooperativa. Significativo il giudizio del presidente Vito D’Amico che sa benissimo che un così elevato numero di punti vendita in un territorio ristretto dà luogo a forti diseconomie ma, al tempo stesso, sa che in questa fase è necessario raggiungere capillarmente tutti i soci per esercitare al meglio l’azione calmieratrice del mercato locale. Egli afferma: se questo [l’esistenza di 23 spacci], agli occhi di un tecnico, può sembrare senza dubbio un errore, in quanto con i forti immobilizzi e con il grande frazionamento del capitale a disposizione non si riesce a far fronte poi a quelle che sono le esigenze dei soci, è pur vero che ciò è stato fatto sotto la pressione costante dei soci e allo scopo di far giungere la nostra azione laddove particolari condizioni ambientali la richiedevano.

La rete di vendita della cooperativa non trascura neanche la periferia urbana dove, secondo i sindaci revisori:

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L’apertura degli spacci […] richiesta dai soci interessati ha facilitato, specialmente d’inverno, le famiglie dei soci evitando loro lunghi percorsi dalla periferia alla città con guadagno di tempo e incrementando le vendite.

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Per tenere sotto controllo i numerosi punti vendita e, nello stesso tempo, avvicinare i soci ad essi, vengono create le “Commissioni rionali di sorveglianza e controllo” che sovrintendono anche all’igiene e alla pulizia degli spacci. Contemporaneamente, per la vendita a credito vengono intraprese trattative con le direzioni dei maggiori stabilimenti industriali per fare in modo che venga trattenuta direttamente nella busta paga dei loro dipendenti l’importo della spesa e si evitino così rischi e perdite per la Cooperativa. Anche nell’assemblea del 16 maggio 1948, tenutasi nella sede della Camera Confederale del Lavoro, per l’elezione dei consiglieri si ripropone quanto accaduto nelle assemblee precedenti: Alfredo Filipponi, presidente della commissione incaricata di esprimere la rosa dei candidati, afferma che nella scelta dei nomi, si è tenuto “conto delle varie correnti politiche e della capacità dei prescelti”; vengono così confermati i consiglieri Vito D’Amico, Ernesto Coaccioli e Rutilio De Angelis ed eletti per la prima volta Italo Montanari (nuovo presidente), Emilio Conti, Ottorino Mencarelli, Agamante Androsciani37, Luigi Dolcetti e Giuseppe Balloriani. Nella stessa assemblea alcuni soci lamentano lo scarso contatto tra il consiglio di

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Agamante Androsciani, “antifascista, perseguitato politico, confinato, volontario nel Corpo di Liberazione Nazionale, resistente, nel comitato della sezione di San Valentino (anni ’40-’70)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 198).

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Gino Gelosi, “resistente, segretario della sezione a Borgo Rivo, fondatore del Molino Cooperativo di Amelia, membro del comitato federale, dirigente sindacale dei pensionati, nel comitato della sezione a San Giovanni, diffusore de ‘l’Unità’ e collettore (anni ’40-’90)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 223).

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amministrazione e i soci, spesso non al corrente dell’andamento della Cooperativa; Gino Gelosi38 ritiene che il malcontento sia dovuto alla cattiva organizzazione. Crispino Geremei, per stimolare l’attaccamento dei soci alla Cooperativa, propone di tenere i prezzi al di sotto di quelli del commercio privato, ma il presidente D’Amico risponde che non è sempre possibile anche per le difficili condizioni di approvvigionamento, l’instabilità del mercato e gli alti tassi di interesse praticati dalle banche. Nella relazione al bilancio 1947 il presidente ribadisce infatti che gli utili (527.706 lire) non sono rilevanti a causa della situazione economica generale che ha “turbato” la vita di tutte le piccole e medie aziende ma anche perché dal marzo 1947 l’imposizione di prezzi calmierati per alcune merci ha provocato vendite sotto costo. Il presidente, nella stesa relazione, fa notare le cifre elevate dei crediti (60.692.145 lire) e dei debitori (54.293.181 lire), dovute anche alla vendita rateale praticata nel reparto abbigliamento aperto alla fine dell’anno. L’alta cifra riportata in bilancio per interessi passivi e commissioni (709.276 lire) testimonia non solo l’elevato costo del credito ma anche come con un capitale sociale versato molto basso (4.973.275 lire) e per la maggior parte investito in mobili e attrezzature, sia praticamente obbligatorio il ricorso al finanziamento bancario per far fronte alle spese correnti. Per questo motivo, come già fatto nei due bilanci precedenti, viene proposto di accantonare interamente l’utile al fondo di riserva. Il bilancio 1948, approvato dall’assemblea del 15 maggio 1949, riporta un utile di 4.041.680 lire, sensibilmente superiore a quello dell’anno precedente. Il presidente Italo Montanari, che nel frattempo ha sostituito Vito D’Amico, pur segnalando come il buon andamento del settore abbigliamento abbia fatto salire il giro d’affari complessivo della Cooperativa rimarca l’elevato importo dei crediti (128.930.499,70 lire) e li imputa alle vendite rateali dell’abbigliamento e al credito ai soci praticato negli spacci. Nella relazione che accompagna il bilancio il consiglio di amministrazione conferma la politica dei bassi prezzi, che dà luogo a un basso utile d’esercizio nonostante l’elevato giro d’affari e ritiene imprescindibile la funzione di calmiere del mercato piuttosto che perseguire la politica del guadagno a tutti i costi. Nella relazione si segnala anche il problema della tasse molto elevate che, secondo gli amministratori, rivelano la volontà del governo di smantellare il sistema cooperativistico. Il problema dei bassi utili e la loro mancata distribuzione, correlato alla scarsa partecipazione dei soci alle asemblee, costituisce il nucleo centrale del dibattito che precede l’approvazione del bilancio. Molti partecipanti sostengono che la disaffezione dei soci alle assemblee è dovuta alla mancata ripartizione degli utili, ma sia il consiglio di amministrazione sia il rappresentante della Lega Nazionale

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delle Cooperative Bonelli sostengono che la Cooperativa non deve perseguire l’obiettivo della massimizzazione dell’utile per poter poi distribuire dividendi ma impegnarsi a tenere bassi i prezzi sull’esempio delle cooperative toscane. Per quanto riguarda l’andamento del 1949 il presidente Bruno Zenoni39 fa rilevare una sia pur lieve contrazione del giro di affari, “cosa ampiamente giustificata dalle peggiorate condizioni economiche della gran massa della nostra clientela, e della minaccia dei licenziamenti da parte della Società Terni” e sottolinea ancora come il settore abbigliamento sopperisca alle perdite degli altri settori. Indicatore, sia pur indiretto, del calo delle vendite è la diminuzione dei crediti verso i soci per oltre 25 milioni di lire. Nonostante questo si prosegue nell’accantonamento di parte degli utili destinandoli alla svalutazione dei crediti, operazione prudente, per cautelarsi nei confronti dei crediti inesigibili. In definitiva, comunque, la Cooperativa viene giudicata dai suoi amministratori solida ed in sviluppo. Afferma il presidente Zenoni

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dalla relazione finanziaria avete constatato lo sviluppo della cooperativa, la sua solidità economica, finanziaria e commerciale, il contributo da essa dato allo sviluppo della cooperazione nazionale contribuendo alla creazione dei complessi nazionali cooperativistici ad indirizzo consortile e sostenendo l’opera della lega Nazionale delle Cooperative con contributi annuali.

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La Cooperativa è anche divenuta socia dell’EICA di Milano e dell’Alleanza Italiana Cooperative di Consumo. Nella relazione al bilancio 1949 vengono anche fissati alcuni obiettivi per il futuro, vincolati però all’attuazione da parte del governo dell’articolo 45 della Costituzione e in particolare alla creazione di un fondo per il credito alle cooperative (promosso anche dalla Lega) e all’applicazione di sgravi fiscali. Se ci saranno queste premesse, sostiene il presidente, l’Unione potrà migliorare gli spacci esistenti e aprirne di nuovi in zone non servite, iniziare la vendita dei combustibili solidi e delle carni suine, aprire una macelleria, un frantoio e una cantina sociale, in sostanza “assolvere allo scopo sociale di portare il prodotto dall’origine al consumo”. L’assemblea del 30 aprile 1950, nella quale si approva il bilancio 1949, chiuso con un utile di 2.976.484 lire, vede la partecipazione di 49 soci e 50 delegati eletti dalle 19 assemblee separate convocate in quasi tutti gli spacci della Società. Durante la discussione, alla quale assiste anche il sindaco Luigi Michiorri, il presidente Zenoni risponde a molti quesiti sull’organizzazione e le prospettive della Cooperativa e afferma che: gli articoli di abbigliamento non possono essere venduti a 6 rate anziché 4 per opportunità finanziarie; non è possibile aprire uno spaccio farmaceutico perché la legge non lo consente; non può essere accettata

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Bruno Zenoni, “organizzatore del PCI nel periodo clandestino, antifascista, perseguitato politico, partigiano, nel comitato della sezione di Marmore, membro della segreteria della Federazione del PCI, presidente provinciale dell’ANPI (anni ’20-’80)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 255).

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Giuseppe Bolli, presidente della Cooperativa Unione dei Lavoratori dal 1949 al 1952

alcuna proposta di fusione con cooperative le cui condizioni economiche risultino precarie e comunque tali da danneggiare l’Unione. Inoltre, rispondendo a Filipponi, che attribuisce la disaffezione di alcuni soci alla rottura dell’unità politica delle forze della sinistra, afferma che

La stessa assemblea, in osservanza al nuovo statuto di cui si dirà più avanti, porta il numero dei consiglieri da 9 a 13 membri ed elegge Bruno Zenoni, Luigi Dolcetti (riconfermati), Emilio Fonte: collezione Alfio Paccara. Secci40, Emiliano Iacobelli, Giuseppe 41 42 Bolli , Bruno Capponi, Vinicio Battistelli , Lamberto Iezzi43, Gino Molinari, Danilo Neri, Armando Pagliari e Galvano Bindocci (nuovi eletti). Fa parte del nuovo consiglio anche Luigi Michiorri (nuovo eletto), sindaco della città. In seduta straordinaria, per adeguarsi alla nuove disposizioni di legge, l’assemblea sostituisce il vecchio statuto con quello tipo proposto dalla Lega Nazionale delle Cooperative. Da questo momento l’organo ufficiale della Coperativa sarà “La Cooperazione Italiana” in sostituzione de “l’Unità”, dell’”Avanti” e de “La Turbina”. Il

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Emilio Secci, “antifascista, nella segreteria della Federazione del PCI, corrispondente de ‘l’Unità’, membro del Consiglio di gestione delle Acciaierie, segretario provinciale della FIOM, sindaco di Terni, senatore (anni ’40’80)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 249). Giuseppe Bolli, “sindacalista negli anni ’20, antifascista, resistente, partigiano, perseguitato politico, membro del consiglio di amministrazione della Società Terni, presidente della Cooperativa Unione dei Lavoratori, sindacalista della FIOM (anni ’20-’60)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 204); Bolli non è nuovo al movimento cooperativo: è stato anche socio fondatore della Cooperativa di Consumo di vocabolo Toano costituita nel 1919 ed è probiviro della cooperativa L’Egualitaria di Borgo Bovio fondata nel 1920. Vinicio Battistelli, “antifascista, licenziato per rappresaglia politica, nel comitato della sezione ‘Gramsci’ (anni ’40-’70)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 202). Lamberto Iezzi, “antifascista, resistente, perseguitato politico, membro del Comitato di Liberazione Nazionale, membro del comitato della sezione a Città Giardino e del comitato federale del PCI (anni ’30-’60)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 226).

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l’unità in seno alla Cooperativa […] non è stata rotta da nessuno poiché tra i quattromila soci che non acquistano in cooperativa la stragrande maggioranza sono appartenenti o simpatizzanti dei partiti dei lavoratori come tra i 1.600 clienti degli spacci almeno il 20% sono persone non aderenti né simpatizzanti dei partiti dei lavoratori.

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Spacci della Cooperativa Unione dei Lavoratori al 1950

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valore delle azioni viene ridotto da 1.000 a 500 lire per agevolare l’ingresso di nuovi soci e si disciplina la vendita a credito facendo specifico riferimento ai dipendenti della Società Terni. Nell’articolo 2 si legge infatti: la Cooperativa potrà effettuare la vendita a credito di generi di consumo e articoli per l’abbigliamento e l’arredamento ai dipendenti degli imprenditori e degli Enti, particolarmente ai dipendenti degli stabilimenti della Società Terni, con regolazione mediante trattenute sulle mercedi o stipendi.

L’8 febbraio 1951 il consiglio di amministrazione, presieduto da Giuseppe Bolli, viene sciolto con decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e viene nominato commissario governativo, per 4 mesi, Francesco Dramis. Le motivazioni del commissariamento sono riportate nella relazione redatta dal prefetto di Terni in data 14 novembre 1950 a seguito dell’ispezione straordinaria prefettizia “dalla quale si rileva […] che, a seguito del suo irregolare funzionamento, si è determinato un peggioramento economico-finanziario ed amministrativo della società”.

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Localizzazione degli spacci della Cooperativa Unione dei Lavoratori al 1950

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Lo spaccio della Cooperativa Unione Lavoratori a Villaggio Italia

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Fonte: collezione Claudio Carnieri.

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Il bilancio 1950, che si chiude con un utile di 845.616 lire, sarà approvato dall’assemblea del 3 giugno 1951 alla presenza del vicepresidente della Lega Nazionale delle Cooperative Orazio Bardi e del commissario Dramis. Anche quest’anno l’utile non sarà distribuito ai soci ma sarà destinato al fondo di riserva ordinario (20%) e al fondo di riserva straordinario (80%). Nella sua relazione all’assemblea il commissario afferma che “presto si rese conto delle difficoltà d’ordine finanziario in cui si trovava la Cooperativa, pur constatando che la stessa aveva una buona situazione patrimoniale”. Secondo il commissario le difficoltà finanziarie sono dovute principalmente a quattro fattori: il primo è rappresentato dallo sfasamento, dovuto alla vendita rateale nel reparto abbilgiamento, tra l’incasso dei crediti e il pagamento dei fornitori: i primi vengono riscossi in cinque mesi i secondi vengono pagati in quattro; il secondo è costituito dall’acquisto, invece che dall’acquisizione in conto deposito, di merci difficilmente vendibili e soggette a forti variazioni di prezzo come gli articoli di abbigliamento; il terzo è rappresentato dalla concessione del credito negli spacci alimentari che ha raggiunto i 18 milioni di lire e il quarto è costituito dalla concessione di crediti a Enti diversi (Comune di Terni, aziende locali, altre cooperative). Il commissario ha quindi ridotto a quattro le rate praticate ai clienti del reparto abbigliamento e ha chiesto una dilazione fino a cinque mesi ai fornitori, in modo da invertire lo sfasamento tra incasso dei crediti e saldo dei fornitori; inoltre, ha vietato l’acquisto diretto delle merci del reparto abbigliamento e ha disposto la Capitolo 4


la contrazione delle vendite è dovuta alla situazione economica generale, e quindi della nostra clientela, composta prevalentemente da lavoratori, i quali maggiormente ne hanno risentito sia per la situazione delle industrie locali, sia per l’aumento dei prezzi a cui non ha corrisposto un adeguato aumento dei salari. Infatti abbiamo rilevato che la diminuzione delle vendite non si è riscontrata nel settore alimentare, ma soltanto in quello dell’abbigliamento, e cioè per gli articoli di minore indispensabilità.

Udite queste relazioni, l’assemblea chiama a far parte del consiglio di amministrazione: Gino Gelosi, Ovidio Laureti44, Armando Mazzocchi, Odoardo Mazzetti, Gino Molinari, Dazio Pascucci45 e Bruno Tognarelli, e conferma i consiglieri uscenti Galvano

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Ovidio Laureti, “nel comitato del Fronte della Gioventù, segretario provinciale della FGCI, nel comitato della sezione di San Giovanni, assessore comunale, arrestato per militanza politica, membro della segreteria del PCI, vicepresidente dell’Istituto Autonomo Case Popolari (IERP) (anni ’40-’70)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 227). Dazio Pascucci, “antifascista, confinato a Ventotene, arrestato, partigiano, membro della segreteria della Federazione del PCI, presidente della Cooperativa Unione dei Lavoratori, presidente della Lega delle Cooperative [di Terni] e della CNA (anni ’20-’80)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 239).

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limitazione del credito ai clienti negli spacci “dato che, per le condizioni economiche locali, non lo si può sopprimere totalmente”. Per quanto riguarda il credito alla Cooperativa, Dramis afferma che l’Unione deve essere grata alla Società Terni che ha messo a disposizione locali e attrezzature e che ha concesso una fideiussione di 20 milioni di lire, mentre le banche non hanno concesso alcun prestito. Per Dramis le spese generali “sono notevoli ma non esagerate” e inciderebbero di meno se si incrementasse il giro d’affari. Egli sostiene che per aumentare le vendite e incrementare il capitale sociale “i 24.000 organizzati della Camera del Lavoro dovrebbero essere altrettanti soci della Cooperativa”. La situazione patrimoniale viene definita modesta e non adeguata all’importanza della Cooperativa. Mentre il settore abbigliamento è ben organizzato, quello alimentare va completamente rivisto: nonostante l’inaugurazione del reparto per la lavorazione delle carni suine, complessivamente l’attrezzatura degli spacci lascia a desiderare e il personale non è sufficientemente preparato e, quindi, va sostituito. Dramis fa notare inoltre che il pane prodotto dal panificio della Cooperativa viene venduto “al prezzo più basso d’Italia, lire 80, cioè lire 20 in meno che a Roma” non riuscendo quindi a coprire i costi e provocando una perdita di 1.485.071 lire. Nonostante tutto, però, il commissario conclude affermando che, se adeguatamente risanata, “la Cooperativa Unione dei Lavoratori può diventare il centro di attrazione delle altre cooperative di consumo non solo della provincia ma di tutta l’Umbria”. Dal canto suo il presidente del disciolto consiglio di amministrazione, Giuseppe Bolli, nella propria relazione, oltre ad affermare che il commissariamento della Cooperativa è di natura politica e non amministrativa, individua le ragioni della forte riduzione degli utili rispetto all’esercizio precedente nella contrazione delle vendite del settore abbigliamento e nell’aumento delle spese generali:

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Bindocci, Bruno Capponi (futuro presidente della provincia di Terni), Luigi Dolcetti, Luigi Michiorri, Bruno Zenoni e il presidente Giuseppe Bolli. Il bilancio del 1951, approvato dall’assemblea del 4 maggio 1952, tenutasi presso la Camera Confederale del Lavoro, riporta un utile di 3.337.200 lire. Durante il 1951, come previsto dal piano del commissario Dramis, sono stati completamente rinnovati 7 spacci (Villaggio Italia, Villaggio Matteotti, Vocabolo Rivo, Cervara, Gabelletta di Cesi, Cesi, Quartiere Giardino), è stato inaugurato lo spaccio n. 25 a piazza Solferino (angolo via Garibaldi) ed è stato rilevato lo spaccio della Cooperativa Proletaria di Papigno. A questa data quindi fanno parte della rete commerciale dell’Unione 25 spacci alimentari (22 nel circondario di Terni, 1 a Stroncone, 1 a Cesi e 1 a Papigno), il panificio e il magazzino nella sede sociale negli ex spacci della Società Terni, lo spaccio dell’abbigliamento in via Faustini e un reparto per la lavorazione delle carni suine. Nella relazione del consiglio di amministrazione il presidente Bolli definisce l’utile riportato nell’esercizio più che soddisfacente dal momento che è stato ottenuto nonostante la perdita di 3.398.733 di lire registrata dal settore della panificazione, un aumento di 400.000 lire delle tasse e di 1.000.000 di lire degli interessi passivi dovuto, quest’ultimo, all’incremento dei clienti che effettuano acquisti a credito. Per quanto riguarda il panificio la perdita è talmente ingente che alla fine dell’ottobre 1951 viene chiuso. Secondo Bolli la causa va individuata nel fatto che la gran parte dei forni a Terni è a carattere familiare e quindi con costi di produzione molto inferiori a quelli della Cooperativa. Nel frattempo i soci Fabio Fiorelli46, Emilio Secci, Angelo Moretti sostituiscono i consiglieri Odoardo Mazzetti, Bruno Tognarelli e Gino Molinari nel consiglio di amministrazione. Il bilancio 1952 ha un andamento del tutto simile a quello dell’anno precedente, l’utile, pari a 3.847.835 lire, viene definito da Bolli, nella relazione del consiglio di amministrazione tenuta all’assemblea del 25 aprile 1953, lusinghiero tenuto conto della difficile situazione del commercio locale che ha determinato la chiusura di molti esercizi commerciali. La crisi economica in cui versa la città la si desume anche dall’aumento dei clienti che acquistano a credito e dalla diminuzione di 3 milioni di lire dell’utile lordo del settore alimentare rispetto a quello dell’anno precedente.

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“Fabio Fiorelli è presidente della Provincia [di Terni] dal 5 dicembre 1960 al 17 luglio 1970. Socialista, inizia nel 1952, con le prime elezioni provinciali, la sua attività di amministratore pubblico. Assessore alla Sanità e Assistenza fino al 1960 [...]. Molto attivo nel dibattito [...] per lo sviluppo regionale, dal 1965 al 1970 sarà presidente del Comitato Regionale per la Programmazione Economica in Umbria. Eletto consigliere regionale il 7 giugno 1970 sarà per sette anni presidente del Consiglio Regionale. Nel 1980 sarà eletto consigliere comunale di Terni e ricoprirà le cariche di vicesindaco e assessore alla Cultura. Amministratore di forte carattere e capacità, darà un chiaro impulso, come presidente della Provincia, per tutti gli anni sessanta, all’attività dell’Ente e alla sua identità nel territorio” (Dal decentramento all’autonomia. La Provincia di Terni dal 1927 al 1997, a cura di Renato Covino, Provincia di Terni, Terni 1999; su Fiorelli cfr. anche Fabio Fiorelli. C’era una volta un socialista scomodo. 1944-1970, intervista di Franco Fogliano, Thyrus, Arrone 1988).

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Ciò nonostante è continuato il riassetto della rete di vendita della Cooperativa: lo spaccio di Stroncone viene chiuso mentre vengono rinnovati quelli di Campitelli e Rocca San Zenone. Il consiglio di amministrazione viene nuovamente modificato: sono eletti consiglieri per la prima volta Armando Cardinali47, Aldo Galeazzi (sostituito l’anno successivo da Ferdinando Allegretti48), Alcide Martinelli49, Pietro Orsini (sostituito l’anno dopo da Ferruccio Lorenzoni), Faro Pellerito, mentre sono confermati i consiglieri Galvano Bindocci, Giuseppe Bolli, Bruno Capponi, Fabio Fiorelli, Gino Gelosi, Armando Mazzocchi, Dazio Pascucci e Bruno Zenoni. Il 1953 vedrà anche l’abbandono per ragioni di salute del presidente Bolli, sostituito da Armando Cardinali. L’esercizio 1953, anno cruciale per l’economia della città, si chiude con un utile (2.659.168 lire) nonostante, come si legge nella relazione che accompagna il bilancio, l’allontanamento dalle fabbriche, in maniera definitiva o temporanea, di migliaia di lavoratori, [abbia] rappresentato per tutte le attività economiche locali un danno rilevante, particolarmente accentuato per la Cooperativa, la cui clientela è prevalentemente costituita dai lavoratori del complesso Terni.

con i licenziamenti del ‘53 La Terni ha fatto la scelta politica di cacciare via dall’azienda le parti sociali più attive, dai sindacalisti ai politici, a quelli che si occupavano delle strutture e della cooperazione sociale50.

In questa particolare congiuntura si presta ancora più attenzione alla questione del credito ai clienti: si tenta di disciplinarlo affidandone la gestione a dei comitati esecutivi per evitare che i gestori dei vari punti vendita lo concedano a loro piacimento. In quel periodo, ricorda Ivana Filipponi, impiegata della Cooperativa, Ci sono diminuiti molti clienti; alcuni tra quelli licenziati continuavano a venire e noi provavamo a fare loro credito, ma in realtà erano pochi, perché molti si erano trasferiti, alcuni anche all’estero51.

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Armando Cardinali, “antifascista, partigiano, membro della segreteria della Federazione del PCI, presidente della Cooperativa Unione dei Lavoratori (anni ’30-’60)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 208). Ferdinando Allegretti, “antifascista, perseguitato, prigioniero di guerra (Innsbruck), membro del comitato federale, pittore (anni ’40-’50)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 197). Alcide Martinelli, “dirigente del Comitato Provinciale della Pace, dirigente sindacale della FIDAE e membro della commissione interna ai Sevizi Elettrici (anni ’40-’60)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 231). Brano tratto dall’intervista ad Alfio Paccara realizzata a Terni il 23 giugno 2005. Brano tratto dall’intervista a Ivana Filipponi realizzata a Terni il 27 giugno 2005.

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Ricorda Alfio Paccara che risalgono proprio a quel periodo le prime fratture tra i dirigenti della Società Terni e il movimento cooperativo cittadino:

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La moglie di uno degli oltre 2.000 licenziati dalla Società Terni riceve solidarietà presso lo spaccio n. 4 della Cooperativa Unione dei Lavoratori

Con molti dei licenziati della Società Terni si apre addirittura una controversia. Nella relazione che accompagna il bilancio il presidente Cardinali afferma che

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mentre la Cooperativa ha fatto il possibile per sostenere gli operai che lottavano per il loro posto di lavoro continuando a rifornirli di quanto poteva occorrere a loro e alle loro famiglie, solo una parte di questi, una volta liquidati, ha sentito il dovere di far fronte agli impegni assunti saldando regolarmente il credito anticipatogli. Altri, e sono un gruppo numeroso, si sono rifiutati di pagare quanto direttamante dovevano alla Cooperativa, per cui il consiglio di amminiFonte: “L’Unità”, 25 marzo 1953. strazione, seppure a malincuore, dopo ripetuti inviti, è stato costretto ad intraprendere l’azione legale, per recuperare il credito ad essi concesso nel periodo delle loro lotte.

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Anche il settore abbigliamento, quello che contribuisce in misura maggiore al giro d’affari della Cooperativa, risente della crisi: l’utile lordo si riduce talmente rispetto all’anno precedente che il personale viene ridotto. Del resto, anche nel 1953 continua la riorganizzazione della rete dei punti vendita: lo spaccio di viale Brin viene ingrandito,quelli di Quartiere Giardino, Gabelletta di Cesi, Cesi, vocabolo Toano, Cervara vengono rinnovati, quello di Villaggio Matteotti viene trasferito in una nuova sede, viene chiuso quello di via Roma e ne viene aperto uno in via Tiacci. Anche la relazione del consiglio di amministrazione al bilancio 1954, discussa in un’assemblea insolitamente affollata, che vede la presenza di oltre 400 soci, riporta l’attenzione sulla difficile condizione economica della città. Il presidente Cardinali descrive la difficile situazione del commercio dopo i licenziamenti della Società Terni e la conseguente diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie. Secondo Cardinali i commercianti ternani hanno visto calare sensibilmente le vendite e molte sono le attività che hanno dovuto chiudere. Nonostante tutto, però, o forse proprio perché gli operai in difficoltà si sono stretti attorno alla Cooperativa, quest’ultima ha tenuto, riportando utili (2.595.662 lire) anche in questo esercizio. Le vendite nel settore abbigliamento non hanno subito contrazioni e nel settore alimentare addirittura sono aumentate di 21 milioni di lire. Il consiglio di amministrazione ha stipulato nuove convenzioni con le aziende locali e con nuovi fornitori. Per tenere sotto controllo le spese generali ha ridotto di 7 unità il proprio personale e per migliorare la situazione finanziaria ha provveduto a restringere il credito presso gli spacci, soprattutto quello praticato irregoCapitolo 4


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Gino Viola, “nella segreteria della sezione ‘Gramsci’, membro del Consiglio di gestione alle Acciaierie, consigliere della Cassa di Previdenza (anni ’40-’60)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 255). Libero Mussoni, “antifascista, perseguitato politico, resistente, nel comitato della sezione a Città Giardino, membro del comitato federale [del PCI] (anni ’40-’80)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 235). Alvaro Valsenti, “resistente, nella segreteria provinciale del Fronte della Gioventù, organizzatore della cellula Marinai, segretario provinciale della FGCI, arrestato e licenziato per rappresaglia politica, nella Commissione interna alle Officine Bosco, nel comitato sindacale della FIOM, membro della segreteria della Federazione del PCI, presidente nel Comitato caccia, assessore provinciale, presidente nella commissione federale di controllo del PCI, nel comitato delle sezioni Sant’Agnese e San Giovanni, nell’unione comunale del PDS, presidente del Consiglio dei garanti del PDS (anni ’40-’90) (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 253).

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larmente dai gestori, e ha provveduto al recupero degli ammanchi negli spacci. Il presidente, dopo aver ricordato l’ispezione governativa e quella della Guardia di Finanza, lamenta che le banche hanno ridotto il credito e che la Società Terni ha ritirato la fideiussione, aumentato l’affitto dei locali e ridotto la rateizzazione degli acquisti dei propri dipendenti presso la cooperativa da 6 a 4 rate. Per la prima volta, nel rinnovo delle cariche, l’assemblea chiede che nella rosa dei candidati sia inserita almeno una donna. Il presidente della commissione elettorale risponde però che, “non è stato possibile reperire tra le socie un elemento adatto”. Vengono quindi eletti consiglieri: Armando Cardinali, Faro Pellerito, Giuseppe Bolli, Bruno Capponi, Dazio Pascucci, Luigi Dolcetti, Galvano Bindocci, Ferruccio Lorenzoni, Gino Viola52, Luigi Gennari, Mario Bucari, Libero Mussoni53, Alvaro Valsenti54. Il 1955 si chiude con un utile di 3.193.509 lire grazie all’aumentato giro d’affari nel settore alimentare. Il risultato, definito positivo dal presidente Cardinali, soprattutto in considerazione della crisi del commercio che sta investendo Terni, è stato ottenuto grazie all’afflusso di nuova clientela attirata dalla diminuzione dei prezzi di vendita. Inoltre, si è provveduto a consolidare le basi economiche della Cooperativa e si è sanata la situazione finanziaria tanto da non essere più necessario il ricorso al credito bancario. Le spese generali sono diminuite, nonostante che la Società Terni abbia portato l’affitto per la sede sociale da 1 lira simbolica a 2 milioni di lire. Per alleggerire la situazione finanziaria si è dovuto procedere alla vendita di tre spacci alimentari (viale Brin, Campitelli e Poscargano) e di alcuni terreni. Sono diminuiti gli ammanchi e i crediti non autorizzati grazie ad un maggiore controllo della direzione verso i gestori degli spacci e si sono intraprese azioni legali verso i clienti per il recupero dei crediti e verso gli ex-gestori per gli ammanchi. In questa azione di risanamento finanziario rientra anche il provvedimento di esclusione di 718 soci non in regola con le quote sociali e di 117 trasferiti o deceduti. All’assemblea del 5 maggio 1957, tenuta da 350 soci presso la Camera del Lavoro, la commissione elettorale, visto il buon funzionamento della Cooperativa, propone di riconfermare gli amministratori precedenti. Su questa proposta si sviluppa un dibattito tra i soci, tra i quali Alfredo Filipponi, Giovanni Di Giacomo e Alvaro Valsenti, sulla questione se procedere a elezioni per alzata di mano o a scrutinio

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segreto e se adottare una rosa di candidati ristretta o allargata. È evidente che il motivo del contendere è strettamente politico: in questi anni il consiglio di amministrazione è sempre stato espressione di due correnti, afferma il socio Bruno Galligani, e quindi passando dalla votazione per alzata di mano su una rosa ristretta a quella a scrutinio segreto con una rosa allargata di candidati, si deve dare tempo ad esse di preparare le elezioni e di presentare una rosa di candidati che rispetti l’equilibrio tra le due correnti. Accogliendo questa proposta si decide di rinviare le elezioni di una settimana e di tenerle a scrutinio segreto tra una rosa di 26 candidati. Alle elezioni partecipano 932 soci e vengono confermati i consiglieri: Armando Cardinali, Giuseppe Bolli, Dazio Pascucci, Alvaro Valsenti, Libero Mussoni, Galvano Bindocci, Faro Pellerito, Luigi Gennari e Luigi Dolcetti, mentre vengono eletti per la prima volta: Alido Berselli55, Menotti Vincenzoni, Alfredo Checchi56 e Mario Pietrini. In effetti il buon andamento della Cooperativa, sottolineato anche dalla commissione elettorale, risulta evidente nella relazione al bilancio 1956: l’utile è stato di 9.701.648 lire; il volume complessivo delle vendite è stato superiore a quello del 1955 (2,11% in più); nel settore abbigliamento, tessuti e calzature le vendite sono notevolmente aumentate. Anche gli immobilizzi delle merci si sono ridotti grazie ad una migliore politica degli acquisti e, quindi, ad una diminuzione della loro permanenza nei magazzini. Buona sembra tornata anche la situazione finanziaria se il presidente Cardinali può orgogliosamente affermare che:

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nel corso del 1956 siamo riusciti ad estinguere la fedeiussione rientrando presso le banche cittadine per la somma di 20 milioni garantiti dalla [Società] Terni. L’azienda ha fatto fronte brillantemente a tutti gli impegni di pagamento per la sua attività commerciale con i suoi propri mezzi senza l’elemosina della [Società] Terni e facendo ricorso alle banche cittadine esclusivamente per il solo servizio di cassa, tanto che gli interessi passivi sono scesi a 327 mila lire rispetto ai due milioni e trecentocinquantotto mila del 1955

e ancora che L’aumento delle vendite, tenuto conto del diminuito potere di acquisto del salario reale dei lavoratori, non è altro che aumento notevole del numero dei clienti.

L’aumento della clientela è attribuito a una più attenta politica dei prezzi e a nuove convenzioni con i fornitori, ma anche alla redistribuzione di parte dell’utile tramite il ristorno sugli acquisti e alle attività sociali promosse dalla Cooperativa

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Alido Berselli, “antifascista, Ardito del popolo, perseguitato politico, arrestato per militanza politica, licenziato per rappresaglia politica, partigiano, nella segreteria dell’ANPI e dell’ANPPIA, membro della segreteria della Federazione del PCI, presidente dell’ECA (anni ’20-’70)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 203). Alfredo Checchi, “antifascista, perseguitato politico, rifugiato in Francia, confinato nel campo del Vernet, partigiano, licenziato per rappresaglia politica, segretario delle sezioni di Papignoe Borgo Bovio, nel comitato della sezione di San Giovanni, diffusore de ‘l’Unità’ (anni ’20-’80)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 210).

Capitolo 4


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(corsi di taglio, gite sociali, assemblee negli spacci). Il ristorno sugli acquisti proseguirà anche negli anni successivi nella misura, stabilita a partire dall’1 gennaio 1957, dell’1% per i soci e dello 0,50% per gli altri clienti. Maggiore attenzione viene posta anche nel controllo della gestione dei punti vendita dove sono stati messi in atto “accorgimenti per evitare gestioni disoneste”. Anche il bilancio del 1957 si chiuse in maniera soddisfacente, riportando un utile di 8.951.073 lire. Nonostante il risultato positivo, però, il presidente Cardinali fa notare che le vendite sono state inferiori di trenta milioni di lire rispetto a quelle dell’anno precedente e la flessione interessa interamente il reparto abbigliamento. Proprio in questo reparto sono aumentate le rimanenze delle merci per la diminuzione dei rifornimenti in conto deposito ma, soprattutto, per la diminuzione del potere d’acquisto dei salari – sulla quale ha pesato non poco la sospensione da parte della Società Terni delle trattenute in favore della Cooperativa di cui si dirà oltre – che obbliga i clienti a ridurre le spese per l’abbigliamento e le calzature per concentrarle nei prodotti aliementari. Indicatore della riduzione dei consumi della clientela è anche la diminuzione di undici milioni di lire dei crediti inesigibili e di quelli “da banco” (la spesa a credito), fatto di per sé positivo ma non se accompagnato dal calo delle vendite. Alla contrazione del giro d’affari si accompagna anche l’aumento delle spese generali soprattutto per le tasse, per gli interessi passivi, per i salari e gli stipendi e per le spese sostenute per la stampa dei libretti e dei bollini per l’applicazione del ristorno ai soci e ai clienti. Nonostante tutti questi problemi l’utile non è diminuito in maniera significativa in confronto a quello del 1956 grazie a una più oculata politica dei rifornimenti che ha consentito di ottenere un margine maggiore tra il prezzo di acquisto e quello di vendita delle merci pur mantenendo i prezzi in linea con quelli della concorrenza; inoltre, si sono ridotte al minimo le perdite per merci deperite nel settore alimentare grazie ad una minore permanenza delle merci in magazzino. La situazione patrimonale della Società è migliorata per l’ingresso di 300 nuovi soci e per la regolarizzazione delle quote sociali di molti altri: il capitale sociale ha superato così i cinque milioni di lire. Per quanto riguarda invece la situazione finanziaria la relazione di Cardinali segnala alcune difficoltà tra le quali l’immobilizzo di ventuno milioni di lire per la sospensione delle trattenute applicate ai dipendenti della Società Terni per gli acquisti fatti presso gli spacci sociali. La chiusura di questo servizio significa per la Cooperativa la perdita di una sicura fonte di reddito e di liquidità. La sospensione delle trattenute si inquadra in un contenzioso che si è sviluppato nel corso degli ultimi tre anni tra la Società Terni e la Cooperativa. Nel 1955, sulla base delle direttive del ministro Scelba, l’affitto per i locali era stato portato dalla lira simbolica a due milioni e le rateizzazioni per gli acquisti dei dipendenti fatti negli spacci dell’Unione erano state ridotte da sei mensilità a quattro; nel 1956 era stata revocata la fedeiussione di venti milioni presso gli istituti di credito cittadini; infine, nel 1957, a causa di alcune irregolarità contrattuali, reali o presunte, commesse dalla Cooperativa, la Società Terni sospende le

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trattenute in favore dell’Unione a 443 dipendenti per un totale di ventuno milioni di lire. A questo punto la dirigenza della Cooperativa ipotizza un complotto della Società Terni per portare alla chiusura l’Unione. Cardinali afferma però che “il piano della [Società] Terni e di coloro che la manovrano per ragioni politiche può considerarsi fallito ancora una volta”. Nel 1959 Armando Cardinali, che più a lungo di chiunque altro ha ricoperto la carica di presidente, viene sostituito da Mario Caporella. Contemporaneamente vengono rieletti consiglieri: Faro Pellerito, Alido Berselli, Galvano Bindocci, Giuseppe Bolli, Luigi Dolcetti, Luigi Gennari, Libero Mussoni, Dazio Pascucci, Mario Pietrini e Menotti Vincenzoni; Alvaro Valsenti e Alfredo Checchi vengono sostituiti da Emilio Secci e Bruno Capponi. L’assemblea del 3 maggio 1959, tenuta presso la Cassa di Previdenza fra gli Operai Siderurgici della Società Terni, ratifica il bilancio 1958. In questo esercizio l’utile netto è diminuito a 1.613.410 lire e la causa viene individuata soprattutto nell’aumento delle spese generali e in particolare nella continua crescita di imposte e tasse (4.300.000 lire nel 1956, 7.374.712 nel 1957 e 10.833.785 nel 1958). Sono aumentate però anche le spese per stipendi e salari (dagli oltre 37 milioni del 1957 ai circa 46 del 1958) e per gli interessi passivi, a causa soprattutto della sospensione della Società Terni delle trattenute ai dipendenti. A questo proposito, la relazione allegata al bilancio rileva la mancata riscossione dei debiti contratti da parte di molti dipendenti delle Acciaierie ai quali sono state sospese le trattenute. Nel 1958 sono rimaste invariate le vendite del settore abbigliamento mentre si è verificato un aumento del 10% in quelle dei generi alimentari. La stagnazione del settore abbigliamento è causata dagli effetti della crisi economica generalizzata che Terni risente in maniera particolare per effetto della disoccupazione e per i provvedimenti presi contro la Cooperativa dalla Società Terni “che hanno reso più difficoltosi i rapporti con quella parte di clientela [gli operai delle Acciaierie] e che quindi hanno determinato una contrazione delle vendite.” Per risollevare la situazione del settore dell’abbigliamento, un tempo il più redditizio, si comincia a ipotizzare il trasferimento dello spaccio in una zona più centrale della città che consenta una maggiore e una migliore esposizione, e che ci dia la possibilità di convogliare verso la Cooperativa quegli strati cittadini che effettuano i loro acquisti quasi esclusivamente per contanti […] Crediamo sia a tutti noto come molti ancora ritengono che sia possibile acquistare presso la Cooperativa soltanto ai dipendenti della Società Terni, e ciò riteniamo dipenda dal fatto che tanto gli spacci di abbigliamento, quanto gli uffici, sono ubicati presso gli ex spacci aziendali della Società Terni.

Per quanto riguarda i locali e le attrezzature si segnala la chisura dello spaccio di via Tiacci e l’apertura di quello in piazza Corona descritto come “il più bello, il più ampio, il più moderno e il più igienico negozio di generi alimentari che ci sia nella città di Terni”. In effetti già la sua prevista apertura creerà parecchio scompiglio tra i commercianti della zona, che però riusciranno solo a ritardare la concessione della licenza da parte del Comune presentando ben 11 ricorsi. ContemporaneaCapitolo 4


la Cooperativa è tuttora presente in zone in regresso che quindi non offrono alcuna possibilità di sviluppo, mentre non lo è ancora nelle zone residenziali o in quelle località ove maggiormente oggi si addensa la popolazione.

Per questo è stato chiuso lo spaccio di Collescipoli e, invece, sono state avviate le trattative con l’Istituto Autonomo Case Popolari e l’INA-Casa per aprirne uno al Villaggio le Grazie.

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Mario Benvenuti, “dirigente del PSI, segretario del PSIUP, assessore comunale e vicesindaco di Terni, membro del direttivo della Federazione del PCI, presidente della USL e assessore provinciale, dirigente del movimento cooperativo (anni ’50-’90)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 203). Rodolfo Custodi, “nel comitato della FGCI di Orvieto, nel comitato della sezione di Orvieto, presidente della Cooperativa Unione dei Lavoratori, membro del comitato federale del PCI e della direzione dell’unione comunale del PDS (anni ’40-’90)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 214).

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mente viene rimodernato lo spaccio di San Valentino e vengono migliorate le attrezzature di tutti gli altri con frigoriferi, macinacaffè, tritaformaggi e affettatrici. Nel 1959 le vendite migliorano nel settore alimentare ma subiscono ancora una sia pur lieve flessione in quello dell’abbigliamento. L’incremento dell’utile da 1.613.410 lire a 2.259.620 lire è determinato dalla diminuzione delle spese generali e, in particolare, delle tasse e degli interessi passivi. All’assemblea del 8 maggio 1960, intervenendo per la prima volta, i soci Mario Benvenuti57 e Rodolfo Custodi58 propongono che la Cooperativa si inserisca attivamente nel Piano di Sviluppo Economico della provincia promosso dalla Camera di Commercio, inoltre Benvenuti chiede che l’Unione contribuisca alla costituzione di un organismo consortile cooperativo per l’acquisto collettivo dei generi alimentari. Si incominciano a intravvedere i limiti di un organismo che, seppure di notevoli dimensioni, non può, con i propri soli mezzi, sostenere il peso di una rete di vendita così capillare e, soprattutto, tenere il passo di una città in piena trasformazione. Alla stessa assemblea gli amministratori comunicano di aver preso in affitto i locali siti in corso Vecchio 150, 152 e 154 per trasferirvi gli spacci dell’abbilgiamento; il nuovo locale, di circa 500 mq., sarà inaugurato il 3 luglio 1960. Il 18 agosto la sede sociale viene trasferita dai locali della Società Terni, che nel frattempo ha sospeso definitivamente il servizio delle trattenute ai dipendenti in favore della Cooperativa, in quelli situati in via Anastasio De Filis 4; stessa sorte tocca al magazzino l’1 gennaio dell’anno successivo, recidendo così anche l’ultimo legame con le Acciaierie. Il bilancio del 1960 si chiude con un utile di 2.976.381 lire grazie alla crescita delle vendite sia nel settore alimentare sia in quello dell’abbigliamento. L’aumento di quest’ultimo è frutto del trasferimento del negozzio e del miglioramento dell’assortimento delle merci. Il settore alimentare, invece, nonostante il sostanziale buon andamento, risente di una inadeguata ubicazione degli spacci rispetto allo sviluppo edilizio che sta trasformando la città. Infatti, come sottolinea il presidente Caporella nella sua relazione al bilancio,

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Lo spaccio della Cooperativa Unione dei Lavoratori in corso Vecchio (anni ‘60)

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Fonte: Alvaro Valsenti, Diventammo protagonisti, Edizioni Galileo, Terni 1998.

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L’assemblea del 7 maggio 1961 vede il rinnovo di oltre la metà del consiglio di amministrazione con l’ingresso di 7 nuovi consiglieri: Mario Benvenuti, Virgilio Mulas, Alberto Guidarelli, Misiano Schiara59, Gianni Bertini, Giorgio Sagrafena e Rolando Zenoni60. Nella relazione del consiglio di amministrazione che accompagna il bilancio 1961 il nuovo presidente Misiano Schiara imputa la sensibile riduzione dell’utile (solo 670.558 lire) all’aumento delle spese per il personale e per gli interessi passivi, questi ultimi aumentati di 2.285.378 lire rispetto al 1960 a causa degli investimenti fatti per le attrezzature del nuovo negozio di abbigliamento e del magazzino. Schiara sottolinea poi le vendite nel settore abbigliamento (sono aumentate del 7%) grazie alla migliore ubicazione del nuovo negozio e come siano diminuite del 2,5% le vendite nel reparto alimentari. Questa flessione viene imputata sia alla

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Misiano Schiara, “nel comitato della sezione ai Servizi Elettrici, dirigente sindacale della FIDAE, membro del comitato federale del PCI, assessore provinciale, consigliere comunale, presidente dell’Azienda turismo, presidente della Cooperativa Unione dei Lavoratori (anni ’40-’90)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 248). Rolando Zenoni, “nel comitato della FGCI, nella segreteria della sezione di Marmore, membro della segreteria della Federazione del PCI, consigliere e presidente dell’ASM, assessore provinciale, nel comitato nazionale CISPEL (anni ’40-’90)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 256).

Capitolo 4


chiusura del negozio di Collescipoli sia alla diminuzione delle vendite in alcuni spacci situati in località dove la popolazione è in forte calo. Si pone quindi con forza il problema della localizzazione degli spacci. Alle pratiche già intraprese per l’apertura dei locali a Villaggio Le Grazie si aggiungono le trattative con l’Istituto Autonomo Case Popolari per aprire un nuovo spaccio nel Villaggio San Giovanni e quelle avviate con il Comune per ottenere uno stand nel nuovo mercato coperto. Si prevede inoltre di rinnovare gli spacci di Villaggio Italia, Città Giardino e Borgo Rivo e di introdurre la vendita dei generi ortofrutticoli in tutti gli spacci. L’offerta della Cooperativa si è nel frattempo arricchita dello spaccio di norcineria, aperto nel mese di ottobre in largo Liberotti. Contemporaneamente, il consiglio di amministrazione cerca di promuovere la costituzione di un consorzio fra tutte le Cooperative della provincia per fare acquisti in comune e adottare una “politica” delle vendite tendente a migliorare la distribuzione delle merci e a ridurre le spese generali. Nella relazione al bilancio, in cui vengono illustrate tutte queste strategie, si tratta anche il problema, nuovo per i tempi, delle sofisticazioni e delle frodi alimentari. Secondo il presidente Schiara la difesa del consumatore è uno dei compiti propri della Cooperativa:

Il presidente conclude la relazione accennando alla situazione economica cittadina e facendo presente che il decantato “miracolo economico” la nostra città non l’ha avvertito affatto […]. Certamente è diminuita la disoccupazione, ma è altrettanto certo che chi lavora non ha i mezzi sufficienti a soddisfare tutte le necessità della sua famiglia. Forse manderà i figli a scuola, forse sarà munito di una motoretta, ma a prezzo di indicibili sacrifici, di tante rinunce e con un bilancio familiare la cui voce principale è quella dei debiti.

Infatti, la somma iscritta in bilancio per crediti verso clienti, sia nel settore alimentare sia in quello dell’abbigliamento, ammonta a ben 128.993.679 lire. La ripartizione delgi utili conseguiti nell’anno 1961 prevede, oltre al ristorno sugli acquisti come gli anni precedenti, la distribuzione di un dividento del 5% sul capitale versato dai soci. Anche il bilancio 1962 si chiude con un utile assai modesto (215.240 lire), nonostante l’aumento degli articoli venduti (ortofrutta, carni e elettrodomestici). Causa di questo scarso risultato, come per alcuni degli esercizi passati, è l’aumento delle spese, in particolare nel settore alimentare. Gli utili lordi nel settore abbigliamento sono pressoché invariati rispetto all’anno precedente mentre quelli del reparto alimentari sono diminuiti. Sono stati eliminati alcuni spacci alimentari e ne sono stati aperti altri attrezzati secondo criteri di vendita più moderni e in linea con le direttive scaturite dall’assemblea dell’anno precedente. Sono stati La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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Il nostro impegno è quello di qualificarci anche di fronte a questi problemi perché, se è pure vero che per noi la difesa del consumatore è assunta sotto il profilo economico, è altrettanto connaturato con le nostre finalità sociali difenderlo sotto il profilo della qualità genuina dei prodotti e dei servizi che gli offriamo.

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ceduti, perché poco produttivi, lo spaccio di Cesi, venduto a una Cooperativa costituitasi tra gli abitanti della zona, e quello situato in via Faustini. Contemporaneamente, sono stati aperti uno spaccio alimentare e uno per le carni nel Villaggio le Grazie e un altro nel Villaggio San Giovanni. Inoltre, in collaborazione con la Lega delle Cooperative, viene commissionato alla Service Coop uno studio di mercato sulla città di Terni finalizzato alla individuazione della migliore ubicazione degli spacci in relazione allo sviluppo urbanistico della città. Ricorda il presidente di allora Misiano Schiara che

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facemmo fare un’indagine di mercato tramite esperti e membri della Lega delle Cooperative. Allora fecero una ricerca e si disse che bisognava aprire un grosso punto vendita al centro di Terni in quella zona che è ancora oggi il cuore del commercio, dove c’è il mercato coperto61.

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Nonostante questi provvedimenti, però, gli utili del settore alimentare si sono ridotti e le cause vengono individuate nell’aumento delle spese per il personale e nella scelta di tenere bassi i prezzi di vendita per poter condurre una efficace lotta contro il “carovita”. Per contenere i costi si spera che il neo costituito Consorzio Provinciale fra le Cooperative di Consumo riesca a ridurre le spese di distribuzione e, contemporaneamente ad acquistare le merci a prezzi più favorevoli. Per la prima volta, inoltre, si pone la questione di un’alleanza tra i piccoli commercianti, un tempo acerrimi nemici, e le cooperative per contrastare l’azione delle grandi catene distributive che si stanno affacciando sul mercato locale. Molto sentita è anche la difficoltà di ottenere il credito dalle banche. Si legge nella relazione allegata al bilancio del 1962 che è estremamente difficoltoso portare avanti l’attività di una azienda che ha un giro di affari di diverse centinaia di milioni con un credito bancario di tre milioni.

Inoltre, i crediti da riscuotere dai soci sono aumentati rispetto al 1961 di 15 milioni di lire, come rileva il presidente Schiara “il peso di oltre 144 milioni di crediti, per la nostra azienda è un peso insostenibile.” Nel 1963, dopo ben quattordici anni, si dimette il direttore della Cooperativa Gennaro Sallustio, mentre vengono eletti nel consiglio di amministrazione Giulio Bissi, Giovan Battista Caldarelli62, Umberto Delle Fate63, e Alfio Paccara64.

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Brano tratto dall’intervista a Misiano Schiara realizzata a Terni il 23 giugno 2005. Giovan Battista Caldarelli, “segretario di sezione, diffusore de ‘l’Unità’, membro del comitato federale, dirigente provinciale della Federterra, nel direttivo della CNA (anni-’50-’90)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 207). Umberto Delle Fate, “diffusore de ‘l’Unità’, segretario delle sezioni di Sant’Agnese e San Giovanni, nella segreteria della CNA, consigliere della III Circoscrizione (anni ’50-’90)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 215). Alfio Paccara, “nel comitato direttivo della FGCI, nella commissione interna delle Acciaierie, dirigente sindacale della FIOM, membro del comitato federale, assessore comunale (anni ’40-’80)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 237).

Capitolo 4


Tra gli altri si riconoscono Enido Sbandati, presidente della Lega Nazionale delle Cooperative e Dazio Pascucci presidente della Lega ternana e dell’Unione dei Lavoratori nel 1963-64. Fonte: Alvaro Valsenti, Diventammo protagonisti, Edizioni Galileo, Terni 1998.

Nella discussione che anima l’assemblea del 5 maggio 1963 Bruno Capponi riporta l’attenzione sull’aumento dei crediti di dubbia esigibilità e sulle appropriazioni indebite verificatesi nel corso dell’esercizio che hanno portato al licenziamento o alle dimissioni di alcuni gestori. Capponi ritiene che vada ripristinato un efficace servizio di ispezione nei confronti del personale addetto agli spacci alimentari per evitare gli ammanchi di gestione e l’arbitraria concessione dei crediti da banco. Il presidente Schiara precisa che si è provveduto al parziale ricambio dei gestori, sostituendo quelli che non osservavano le disposizioni della dirigenza “appropriandosi […] indebitamente dei valori della Cooperativa”. Il consigliere Benvenuti invece interviene sostenendo che il neo Consorzio Cooperativo Provinciale porterà sicuri benefici all’Unione, soprattutto sul piano La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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Alcuni soci della Cooperativa Unione dei Lavoratori

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organizzativo, ma insiste sulla necessità di rinnovare l’organizzazione del settore alimentare con negozi più grandi e con criteri moderni di vendita quali quello del self-service. Proprio a quest’ultimo argomento viene interamente dedicata l’assemblea generale dell’8 dicembre 1963 nella quale si discute della sistemazione degli spacci secondo un piano di ristrutturazione che tenga conto di moderni sistemi di vendita per ridurre i costi di distribuzione e mantenere in attivo il settore. Il bilancio 1963, illustrato all’assemblea del 10 maggio 1964 dal nuovo presidente Dazio Pascucci, termina con un utile (404.427 lire) superiore a quello dell’anno precedente nonostante continuino le difficoltà nel settore alimentare. Sostiene Pascucci che

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Il risultato negativo della gestione alimentare, ha, evidentemente, influenzato la situazione finanziaria già resa difficile dallo squilibrio esistente fra le esazioni presso la clientela e gli impegni relativi alle forniture. […] Spesso i soci lamentano l’analogia dei prezzi al dettaglio dei generi alimentari praticati dai privati esercenti con i prezzi presso i nostri spacci, ma basterebbe far rilevare la differenza degli stessi con quelli che vengono praticati in altri comuni della provincia e delle provincie vicine per rendersi conto della efficacia della funzione sociale che la Cooperativa esercita in questo importante settore, condizionandone il mercato locale.

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Ancora una volta si evidenzia che, così com’è, la gestione del settore alimentare non è più economicamente vantaggiosa a causa dell’ubicazione degli spacci e delle loro piccole dimensioni che incidono sensibilmente sui costi di gestione. Essi non sono più rispondenti alle esigenze della clientela, la loro superficie limitata non permette una adeguata esposizione della gamma merceologica che, nel frattempo, si è notevolmente allargata. La maggior parte degli spacci, nonostante i provvedimenti presi nel biennio 1962-63, non hanno subito alcuna modifica, quindi si impone un progetto di trasformazione articolato e complesso. Il piano di ristrutturazione del consiglio di amministrazione, da attuare in due fasi, prevede l’ammodernamento degli spacci del vocabolo Rivo e di Villaggio Italia e l’apertura in città, in un punto strategico, di un nuovo spacio di notevoli dimensioni contestualmente alla chiusura di alcuni piccoli spacci ormai troppo onerosi. Afferma il presidente che non si può restare a guardare, subendone le conseguenze, quando è riconosciuto che le vendite con negozi angusti sono destinate ad essere soppiantate da quelle dei nuovi complessi i quali possono permettersi, con la vendita al libero servizio, l’esito di enormi volumi di merci con scarso personale a costi notevolmente inferiori.

Anche a Terni si stanno affacciando le grandi catene di distribuzione (Superconti e La Rinascente-Upim) con i loro supermercati e la Cooperativa deve correre ai ripari. Per attuare il piano di ristrutturazione c’è bisogno però di interventi di carattere finanziario quali la riduzione del credito alla clientela e l’aumento del capitale sociale attraverso la sottoscrizione di nuove quote. La quota sociale del 1945 di Capitolo 4


1.000 lire, ridotta poco dopo a 500, e un capitale sociale di soli cinque milioni non sono più adeguati al giro d’affari, basti osservare i crediti verso i clienti che al 1963 sono ventidue volte superiori al capitale versato. Gli amministratori, quindi, propongono una nuova campagna di sottoscrizione per aumentare i soci e il capitale sociale. Nell’assemblea del 2 maggio 1965, alla presenza di soli 18 soci, viene riconfermato il consiglio di amministrazione dal quale restano fuori solo Alfio Paccara e Misiano Schiara, sostituiti da Acciaro Zeno Leti65 e Ciano Ricci Feliziani. Nella stessa assemblea si approva anche il bilancio 1964 chiuso con un utile di 233.423 lire. Illustrando i risultati, il presidente Dazio Pascucci afferma che è assolutamente necessario ridurre i costi di gestione degli spacci e, dove non sia possibile farlo, chiuderli, riducendo il personale. Inoltre, occorre ridimensionare il magazzino e i costi relativi al personale amministrativo. Nella relazione al bilancio dell’esercizio il consiglio di amministrazione fa notare che sono aumentate le vendite nel settore abbigliamento per 7.890.467 lire, ma sono contestualmente aumentati i crediti verso i clienti per un ammontare di 6.684.873. Nel settore alimentare le vendite si sono ridotte di 3.436.786 lire e sono aumentati i crediti concessi ai clienti per 506.026. Risulta evidente il deficit del settore alimentare che aggrava la già difficile situazione finanziaria della Cooperativa. Dichiara Pascucci che

Altro grave problema della società è, infatti, la disponibilità finanziaria, aggravata dalla restrizione del credito bancario che ha provocato l’ammanco di 24.543.577 lire nelle casse dell’azienda. Si è dovuto far fronte a tale illiquidità ricercando contatti con i fornitori per ottenere dilazioni di pagamento che, ovviamente, hanno comportato l’aumento delle spese bancarie, delle spese e interessi passivi.

Per risolvere la situazione del settore alimentare il consiglio di amministrazione ritiene necessario ristrutturare, ma forse è meglio dire ridimensionare, il settore in maniera da “eliminare la polverizzazione dei punti vendita che presentano altissimi costi di gestione” in quanto “Nessuna azienda commerciale ha costi e spese del settore alimentare superiori a quelli della nostra Cooperativa.” Contestualmente al piano di ristrutturazione della rete commerciale viene rilanciata

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Acciaro Zeno Leti, “responsabile del centro diffusione stampa del PCI, nella segreteria provinciale della FGCI, membro della commissione giovanile della Camera del Lavoro, nella commissione interna alle Acciaierie, presidente della commissione di controllo, segretario della sezione ‘Gramsci’, membro del comitato della sezione a San Giovanni e dell’unione comunale del PDS (anni ’40-’90)” (da Valsenti, Diventammo protagonisti cit. (a nota 23), p. 227).

La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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Se la situazione economica per questo bilancio può definirsi sana, non possiamo permetterci di continuare ad avere un risultato negativo nel settore alimentare il quale ci può compromettere la già precaria situazione finanziaria.

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la campagna per la sottoscrizione di nuove quote per aumentare il capitale mentre l’utile viene interamente destinato al fondo di riserva. Nel 1965 la situazione si aggrava, il bilancio si chiude con una perdita di 25.370.243 lire. Il presidente Rodolfo Custodi, nella relazione al bilancio, segnala il profondo dissesto finanziario causato dalle maggiori difficoltà di accedere al credito e dai minori incassi dovuti alla difficile situazione economica della città. Custodi denuncia in primo luogo la crisi economica in cui versa la provincia ternana attribuita alla mancata attuazione del Piano di Sviluppo Regionale e la conseguente crisi del settore commerciale colpita dalla contrazione delle vendite. Per la Cooperativa la crisi economica si riflette in una diminuzione di oltre trenta milioni di lire del reparto abbigliamento. In secondo luogo segnala l’insufficiente liquidità nella quale si trova l’Unione con tutte le implicazioni che ne derivano nei rapporti con i fornitori. Rallentandosi il ritmo degli incassi a fronte delle vendite a credito e rateali, non disponendo che di un credito bancario – appena tre milioni – tutta l’attività della cooperativa risente fortemente di questa situazione.

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In terzo luogo ricorda la ristrutturazione della rete commerciale mai portata a termine, che ha si chiuso alcuni spacci ormai obsoleti, ma non ha raggiunto quello che era il suo obbiettivo finale e cioè l’apertura di una struttura più moderna. Custodi, nella sua relazione al bilancio, precisa che

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per l’assenza di finanziamenti […] non sono potute seguire che soluzioni monche, di chiusura o di eliminazione di alcuni spacci alimentari, di piccolo e modesto riammodernamento di altri, senza possibilità di dar vita a strutture nuove, più confacenti al nuovo assetto urbanistico cittadino, più moderne per nuove tecniche operanti e per nuovi metodi di distribuzione, molto meno costose dal punto di vista dei costi specifici di gestione.

In effetti nel 1965 sette spacci sono stati venduti o ceduti e due chiusi: il n. 7 a Gabelletta di Cesi, il n. 8 in via Mentana, il n. 5 in via Piave, il n. 6 a Papigno, il n. 4 in piazza Corona, il n. 20 a Rocca San Zenone, il n. 11 a Cervara, il n. 1 nel quartiere San Giovanni, il n. 15 al mercato coperto. La chiusura di questi spacci, a cui non è seguita l’apertura di punti vendita più moderni, ha ridotto le vendite di 93 milioni di lire. La crisi economica ha fatto il resto, facendo ridurre le vendite negli spacci rimasti aperti (centro storico, Villaggio Matteotti, Villaggio Le Grazie, Toano e Borgo Rivo) di altri 31 milioni facendo salire i mancati introiti a oltre 124 milioni (si è passati da un volume di vendite di 363.256.687 lire nel 1964 a 239.065.801 nel 1965). Anche nel settore dell’abbigliamento la crisi si è fatta sentire: le vendite sono diminuite di circa 30 milioni (si è passati da un volume di vendite di 224.452.715 di lire nel 1964 a 193.591.144 nel 1965) portando a 155 milioni la contrazione delle vendite generali della Cooperativa. I licenziamenti del personale e la riduzione dei costi compiuti nell’ultimo trimeCapitolo 4


Un’assemblea della Lega Nazionale delle Cooperative a Terni negli anni sessanta

Fonte: Collezione Anna Lizzi Custodi.

stre del 1965, dopo la nomina a presidente di Rodolfo Custodi, non hanno inciso che in maniera minimale sull’andamento dell’azienda. Il presidente Custodi, per tentare di alleggerire la pesante situazione nella quale si trova la Cooperativa, chiude il suo intervento prospettando un piano di rilancio che riporti in pareggio la Cooperativa. Dice Custodi: Riteniamo che una congrua dilazione degli impegni, l’effettuato ridimensionamento aziendale, una riorganizzazione tecnica, commerciale e amministrativa dell’azienda, un suo nuovo collegamento nel movimento cooperativo, un più ragionevole fido bancario, l’ottenimento di un mutuo e soprattutto una grande e popolare campagna sociale per l’immissione nella Cooperativa di nuovo capitale, appoggiata da tutte le forze democratiche e sindacali […] consentino [sic!] alla nostra cooperativa di riacquistare il suo normale equilibrio rendendola nuovamente e pienamente operante in difesa degli interessi dei consumatori nella nostra città.

In effetti molti sono i tentativi di salvare la Cooperativa. Primo fra tutti il memoriale del consigliere Bruno Capponi che l’assemblea decide di inviare alle organizzazioni dei lavoratori, ai Partiti politici e alle autorità amministrative locali per La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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L’oratore è Gino Gelosi, fondatore del Molino Cooperativo di Amelia e consigliere della Cooperativa Unione dei Lavoratori di Terni negli anni 1950-52; seduto al tavolo sulla sinistra si riconosce Rodolfo Custodi, ultimo presidente dell’Unione dei Lavoratori.

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rendere pubbliche le condizioni di difficoltà nelle quali si trova la Cooperativa e per chiedere appoggi e solidarietà. Secondo Capponi i principali problemi della Cooperativa sono la cronica mancanza del credito da parte delle banche, la piaga degli acquisti a credito che sottraggono liquidità all’azienda e, da ultimo, la fallita campagna di sottoscrizione di nuovo capitale sociale che avrebbe portato una boccata di ossigeno alle finanze della società e permesso nuovi investimenti. La soluzione che prospetta è drastica, ma necessaria per evitare la chiusura della Cooperativa: eliminare completamnte il settore alimentare e proseguire solo quello dell’abbigliamento. Tra il settembre 1965 e l’ottobre 1966, per tutto il periodo di presidenza di Rodolfo Custodi, si registra una frenetica attività del consiglio di amministrazione per evitare la chiusura dell’Unione. Nella prima relazione al consiglio di amministrazione nel settembre 1965 Custodi delinea un lucido quadro del deficit finanziario della Cooperativa imputandolo alla restrizione del credito da parte delle banche e al sempre più difficile rapporto con i fornitori, in pratica, alla perdita di credibilità della Cooperativa. Per risolvere la situazione Custodi prospetta una serie di provvedimenti volti a reperire nuovo capitale circolante, restringere il credito alla clientela, recuperare i vecchi crediti, gestire in maniera più oculata gli acquisti e le giacenze di magazzino, ridurre il numero degli spacci portandoli a 4 o 5 e ridurre le spese generali anche attraverso la riduzione del personale amministrativo (da 15 a 12 addetti). Molti in questi mesi i contatti con i fornitori per ottenere la dilazione dei pagamenti delle merci, con gli amministratori locali per ottenere garanzie presso le banche e con l’Associazione Nazionale Cooperative di Consumo per ottenere appoggio organizzativo ma nessuno di questi interventi danno i frutti sperati dato che nell’ottobre del 1966 si decide di mettere in liquidazione la Cooperativa e si tenta di addivenire ad un accordo extragiudiziale con i fornitori per il pagamento dei debiti66. La situazione precipita nel 1967 quando, il 19 maggio, il Tribunale di Terni dichiara l’insolvenza della Cooperativa. Le vicende dell’Unione, dopo più di un quarto di secolo di attività, si concludono il 9 dicembre 1971 quando viene cancellata dal Registro Prefettizio della Provincia di Terni.

Coop Tevere: dall’agricoltura al consumo La Coop Tevere nasce dalla necessità del Molino Cooperativo di Amelia67 di separare

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Le notizie sull’ultimo periodo di attività della Cooperativa Unione dei Lavoratori sono state desunte, oltre che dai documenti reperiti presso l’Archivio della Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Terni, anche dalla documentazione conservata dall’ultimo presidente, Rodolfo Custodi, gentilmente fornite da Anna Lizzi Custodi. Ad Amelia lo spirito cooperativo ha solide radici. Fin dal 1916 è costituita l’Unione Cooperativa che svolgerà la propria attività fino al 1949, quando subirà un processo per fallimento conclusosi nel 1951. Nel 1920 un’altra cooperativa, l’Unione Cooperativa Popolare, tenterà di avviare la propria attività non riuscendo

Capitolo 4


l’attività agricola, che costituiva l’attività prevalente dell’azienda, da quella commerciale. Quest’ultima aveva raggiunto un livello tale di fatturato da indurre la Commissione prefettizia ad escludere il Molino Cooperativo di Amelia dall’Albo delle cooperative agricole con la perdita delle agevolazioni connesse. Mario Benvenuti, vicepresidente della Federazione delle Cooperative di Terni e responsabile del settore agricolo nel 1959 ricorda che

Il 26 marzo 1983, quindi, nasce ad Amelia la Coop Tevere - Società Cooperativa di Consumo a responsabilità limitata69. La sede sociale sarà fissata in via Roma 119. I soci fondatori sono 56, residenti in tre diverse province confinanti tra loro (Terni, Rieti e Viterbo). Nella provenienza dei primi soci sta già tutto il futuro bacino di utenza della Coop Tevere, il nucleo portante è costituito dal gruppo di Amelia (41%) seguito da quelli di Civita Castellana (16%) e Contigliano (14%) nel versante laziale. Tra essi prevale la componente operaia seguita dagli impiegati e dai pensionati. Tra i soci firmatari dell’atto costitutivo compare anche Evaristo Coco, presidente del Molino Cooperativo di Amelia nel 1964. Il capitale sociale della cooperativa ammonta a 560.000 lire diviso in quote di 10.000 lire ciascuna. Il primo consiglio di amministrazione è composto da Giancarlo Marchi, che assume la carica di presidente, da Massimo Cupido che diviene vicepresidente e dai consiglieri Giorgio Curci, Ivanovic Feliziola, Sergio Quadraccia, Alfredo Chiloni, Remo Antonio Pernazza, Paolo Novelli, Benedetto Latini, Claudio Pagliaricci ed Evaristo Coco. Nel 1985 Claudio Pagliaricci sostituisce alla vicepresidenza Massimo Cupido e gli viene affidata la responsabilità del settore soci. Principio ispiratore della cooperativa, come nella tradizione della cooperazione di consumo, è la mutualità tra i soci ma nello scopo sociale si dichiara che l’intento è quello di favorire gli interessi economici, sociali e culturali dei consumatori, che essi siano soci o non soci. È la prima volta che nell’atto costitutivo di una cooperativa di consumo si fa espressamente cenno ai consumatori e alla loro tutela. Nello specifico la Coop Tevere si prefigge di svolgere per i suoi consumatori, soci e

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nell’intento. Un’altra cooperativa, costituita alla fine degli anni venti, opererà nella frazione di Fornole fino alla sua liquidazione avvenuta nel 1936. Nel dopoguerra le cooperative operanti ad Amelia sono due, la Cooperativa Lavoratori di Fornole e la Cooperativa del Popolo. La prima, aperta nel 1946, verrà liquidata nel 1951, mentre la seconda, avviata nel 1947 continuerà la sua attività fino al 2000 per essere poi incorporata da un’altra società. Affianca le cooperative di consumo il Molino Cooperativo di Amelia fondato nel 1952. Esso avvierà la propria attività solo nel 1956 per concluderla con il fallimento nel 1991. Brano tratto dall’intervista a Mario Benvenuti realizzata a Terni il 23 giugno 2005. I dati e le notizie su Coop Tevere riportati in questa sezione sono stati desunti dai bilanci d’esercizio e sociali degli anni considerati.

La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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A quei tempi le cooperative agricole che risentivano in maniera profonda della crisi della mezzadria, avevano cominciato a portare avanti anche un’attività di tipo commerciale per cui in ogni centro di raccolta dei prodotti agricoli c’era anche un centro di distribuzione delle merci alimentari. La cosa poi finì perché, altrimenti, le cooperative agricole avrebbero perso i contributi destinati all’agricoltura68.

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Inaugurazione del Molino Cooperativo di Amelia (1958)

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Fonte: collezione Gino Gelosi.

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Soci fondatori della Coop Tevere

Capitolo 4


La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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non soci, le seguenti funzioni: fornire beni e servizi di buona qualità e alle migliori condizioni possibili; orientare gli acquisti verso i prodotti di maggiore qualità e minore prezzo; tutelare la salute del consumatore attraverso il controllo della qualità; “educare” il consumatore e formare i soci alle politiche cooperative; promuovere lo sviluppo della cooperazione. Tali premesse pongono quindi la Coop Tevere in una prospettiva più moderna, di superamento della mera funzione di resistenza e indirizzata verso l’educazione e la tutela del consumatore, prevedono non solo un apparato commerciale per l’acquisto e la distribuzione dei generi di consumo ma anche l’attività di controllo della qualità e della sicurezza dei beni distribuiti, la promozione di iniziative volte ad educare ed informare il consumatore, la formazione del personale, l’istituzione del prestito da soci per contribuire al raggiungimento degli scopi sociali, la creazione di strumenti per l’informazione sulle attività della cooperativa, la creazione di sezioni soci ed unità territoriali per favorire la partecipazione di questi ultimi alla vita della cooperativa. Una politica di questo genere, comune del resto a tutte le cooperative mediograndi, sarà perseguita anche da Coop Umbria dagli anni ottanta come anche quella volta a creare sinergie e convergenze tra cooperative che operano sullo stesso territorio o in territori limitrofi. Ne è un esempio concreto la partecipazione di Coop Tevere alla gestione del magazzino consortile di Castiglione del Lago di cui si dirà più avanti o il tentativo di fusione, per altro non riuscito, che le due Coop ipotizzano agli inizi degli anni novanta. La storia di Coop Tevere si può riassumere in cinque parole chiave che sono specializzazione, rinnovamento, espansione, concentrazione e comunicazione. La sua nascita è di per se una forma di specializzazione, dal Molino Cooperativo di Amelia si stacca la ormai ingombrante costola del commercio alimentare per dare vita alla Coop Tevere. Appena ereditata dal Molino di Amelia viene completamente rinnovata la rete dei 12 punti vendita, distribuiti nelle province di Terni, Rieti e Viterbo e, negli anni successivi, attraverso una serie di incorporazioni e fusioni strategiche, Coop Tevere espande il proprio territorio di riferimento prima nell’orvietano e nella bassa Umbria e poi, dal 1991, con l’incorporazione di Coop Alto Lazio di Sant’Oreste, nelle province di Frosinone e Roma. Uno degli obiettivi di Coop Tevere è la gestione di una rete di punti vendita di medie dimensioni tramite l’assorbimento di cooperative monospaccio, che gestiscono cioè un solo punto vendita, questo è il caso della Cooperativa di Fabro (assorbita nel 1989) e di quella di Allerona (1990). La strategia di Coop Tevere, attraverso la creazione di una propria rete distributiva e tramite accordi commerciali con le cooperative confinanti, è sempre stata quella di creare sinergie capaci contemporaneamente di abbattere i costi di gestione e migliorare la qualità del servizio. In questa ottica dalla sua fondazione si associa al Consorzio Cooperative di Consumo di Firenze che gestisce il magazzino di Castiglione del Lago e dal 1994 costituisce insieme a Coop Umbria, Unicoop Senese e Unicoop Firenze un consorzio per la gestione dello stesso magazzino.

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Soci, punti vendita, dipendenti, clienti e soci prestatori della Coop Tevere (1985-2003)

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Per avere un quadro dettagliato sull’evoluzione del numero di soci, del capitale sociale, dei punti vendita, dei dipendenti, delle vendite, del prestito da soci e dei risultati d’esercizio e per la distribuzione geografica e l’evoluzione dei punti vendita si vedano le tabelle della pagina seguente. L’attività di Coop Tevere ha inizio nel 1984, essa dispone di 12 punti vendita di piccole dimensioni acquisiti, dietro un indennizzo di 110 milioni di lire, dal Molino Cooperativo di Amelia. Nello stesso anno aderisce alla Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue. Tra il 1984 e il 1986 rileva le attrezzature e le merci della Cooperativa di Consumo Colli Cittadini di Fabrica di Roma e vi apre un nuovo supermercato, un altro viene aperto a Orte. Nel 1986, per dare seguito al principio statutario di informazione del consumatore, viene pubblicato il periodico di cooperativa “Coop Notizie”, sostituito, dal 1994, da “Nuovo Consumo”, mensile già di Coop Toscana Lazio. Nel 1987 vengono aperti i punti vendita di Acqua Pendente, Montefiascone e Montefranco e nel 1989 viene incorporata la Cooperativa di Consumo di Fabro Scalo, fondata nel 1962, che farà estendere il bacino di utenza di Coop Tevere nell’Orvietano. Contemporaneamente vengono aperti i punti vendita di Vetralla e Tuscania e viene avviata la costruzione del centro commerciale di Civita Castellana. Capitolo 4


Soci Coop Tevere (1985-2003)

L’anno successivo viene incorporata anche la Cooperativa Pace e Lavoro di Allerona, fondata nel 1951. Nel 1991 La sede sociale viene trasferita da Amelia a Terni (via Vanzetti, zona Maratta). I punti vendita passano dai 17 del 1988 (8 in Umbria e 9 in Lazio) ai 22 (8 in Umbria e 14 in Lazio) del 1991, frutto della fusione con Coop Alto Lazio e dell’espansione nel territorio laziale. A Terni rimarrà un solo punto vendita in via Dell’Argine aperto nel 1994 e chiuso in contemporanea all’apertura di Coop&Coop (oggi Ipercoop) della consorella Coop Centro Italia. Nel 1992 Coop Tevere opera in 5 province (Terni, Viterbo, Rieti, Frosinone, Roma), tra i suoi soci rimane saldo il tradizionale blocco costituito dagli operai (19%), dai pensionati (20%) e dalle casalinghe (34%), sono tuttavia in crescita gli impiegati e gli artigiani; le donne (55%), al contrario di quanto accadeva tra i soci fondatori, prevalgono sugli uomini. La quota di adesione, come nel 1983, rimane fissata a La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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Dipendenti Coop Tevere (1985-2003)

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Coop Tevere 1985-2003

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Capitale sociale della Coop Tevere (1985-2003)

Capitolo 4


Vendite della Coop Tevere (1985-2003)

10.000 lire. Questo stesso anno è caratterizzato dalla costituzione, nei diversi punti vendita, delle sezioni soci, che svolgono funzioni di educazione al consumo, raccolta del prestito sociale e partecipazione alla vita istituzionale della società. Si affiancano alla tradizionale attività commerciale una serie di iniziative cultuali, editoriali e di cooperazione internazionale. Sempre nel 1992 si apre un supermercato a Sora, nel Lazio, che apporta alle vendite totali circa 4 miliardi, successivamente ceduto a Conad. Nonostante tutto, questo è un anno di difficoltà per la Cooperativa che le derivano dalla chiusura del Molino Cooperativo di Amelia con il quale aveva da sempre consolidati rapporti di collaborazione. In conseguenza della chiusura del Molino, inoltre, si rivedono le cariche sociali: Carlo Ciliani, eletto presidente nel 1991, viene sostituito da Sergio Pecorari già direttore commerciale della Cooperativa e fra i promotori della costituzione della stessa. La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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Utile d’esercizio della Coop Tevere (1985-2003)

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I punti vendita della Coop Tevere

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Nel 1993 si rivede lo statuto e si regolamenta la Sezione prestiti sociali per raccogliere il risparmio dei soci da destinare al conseguimento dell’oggetto sociale e per un maggior servizio agli stessi. Da un dato riportato nel Bilancio sociale del 1996 si osserva che l’87,5% del prestito da soci viene impiegato in depositi bancari e titoli di Stato e il restante 12,5 investito in fabbricati e attrezzature. Il prestito sociale è attivo fin dal 1986 ma prenderà vigore dagli anni novanta in poi. Nel 1995, viene aperto un supermercato a Campagnano di Roma e si inaugura il nuovo supermercato di Narni che sostituisce quello già esistente per un investimento complessivo di 4 miliardi di lire. Nel 1997 diviene presidente Massimo Pelosi che sostituisce Sergio Pecorari scomparso in un incidente stradale nell’ottobre 1996 mentre si recava ad un incontro di lavoro. Pelosi guiderà l’azienda verso il consolidamento delle proprie posizioni commerciali e territoriali fino alla fusione per incorporazione con Coop Toscana Capitolo 4


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Dati tratti da “Nuovo consumo. Il mensile per i soci Unicoop Tirreno”, a. XIV, n. 146, maggio 2005, p. 34.

La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra

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Lazio. Nello stesso anno viene aperto un nuovo supermercato a Roma e Coop Tevere diviene la prima cooperativa di consumo nelle province di Terni e Viterbo e la seconda nel Lazio e in Umbria. Contemporaneamente, accanto ai grandi e medi centri commerciali viene rafforzata la presenza sul territorio con i supermercati di “vicinato”. Nel 2004, nell’ottica di una sempre maggiore concentrazione per la gestione del territorio, Coop Tevere viene incorporata da Coop Toscana Lazio che assumerà la denominazione di Unicoop Tirreno per sottolineare la già avvenuta espansione in Campania. La nuova Cooperativa conta oltre 650.000 soci, 91 supermercati in 4 regioni (Toscana, Umbria, Lazio e Campania), 5.800 dipendenti, con vendite che superano i 1.100 milioni di euro e un utile di 6.800.000 euro70.

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Proiettarsi nel futuro

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Coop Umbria: la nascita di una cooperativa moderna

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Coop Umbria, in linea con la tendenza nazionale di accorpamento delle cooperative comunali e intercomunali, nasce dalla volontà di unificazione di alcune cooperative di consumo della provincia di Perugia. Promotrice dell’iniziativa, attraverso il suo presidente Leonardo Scarpini, è l’Alleanza Cooperativa del Trasimeno, fondata a Castiglione del Lago nel 1959. L’intento è quello di creare un’organizzazione capace di contrastare l’azione dei grandi gruppi capitalistici già attivi a livello nazionale e che negli anni sessanta si affacceranno sul mercato provinciale. Attraverso una lunga serie di incorporazioni, nel 1966, la Cooperativa del Trasimeno arriva a disporre di 19 spacci alimentari e a collocarsi al secondo posto tra le cooperative della provincia, subito dopo la Cooperativa di Consumo fra Lavoratori di Perugia. Le cattive condizioni finanziarie di quest’ultima, che, per la sua collocazione nel capoluogo risente più delle altre della concorrenza dei grandi gruppi privati (Standa e Vegé), fanno maturare nei dirigenti la consapevolezza della necessità di compattare ulteriormente le cooperative del territorio perugino. L’obiettivo è raggiunto il 30 dicembre 1967 con la fondazione dell’Unione Cooperativa di Consumo, con sede a Perugia, che può contare su 59 spacci e 2 supercoop. Oltre a quella del Trasimeno e a quella di Perugia confluiscono nel nuovo organismo la Cooperativa Risorta di Marsciano, la Cooperativa Consumo fra Lavoratori di San Giovanni di Baiano e l’Unione Generale Cooperativa Consumo di Foligno1 . Fatto il compattamento restava però ancora da riorganizzare, su basi più moderne ed efficienti, la rete dei punti vendita e la distribuzione delle merci. Questo processo, che durerà un decennio, non sarà semplice né indolore per la mancanza di risorse e per la resistenza delle popolazioni dei centri minori alla chiusura dei piccoli spacci. Proprio queste difficoltà, alla metà degli anni settanta, portano a una serie di esercizi chiusi in perdita e a una generale crisi dell’Unione Cooperativa, tanto da indurre nel 1977 l’Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori (ANCC) a inviare Sergio Checconi, responsabile del Controllo di gestione dell’ANCC, per compiere un’approfondita analisi del quadro economico e finanziario della Società. Checconi, nella relazione che conclude la propria inchiesta conoscitiva,

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Cfr. Vera Zamagni, Patrizia Battilani e Antonio Casali, La cooperazione di consumo in Italia. Centocinquant’anni della Coop consumatori: dal primo spaccio a leader della moderna distribuzione, il Mulino, Bologna 2004, pp. 476-479.

Capitolo 5


si riapre il problema di come difendere il potere d’acquisto [degli operai], ritorna il dilemma se ricostruire una Cooperativa o spacci aziendali, purtroppo nel Consiglio di fabbrica,

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Cfr. Antonio Casali, Dalla Società di Mutuo Soccorso fra gli Artisti e gli Operai di Perugia alla Coop Umbria (1868-1988). Centoventi anni di cooperazione di consumo in Umbria, Coop Umbria, Perugia 1988, pp. 59-61. Cfr. ivi, pp. 64-69. Cfr. ivi, pp. 69-70.

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afferma che la situazione finanziaria è deficitaria a causa della lentezza nel recupero dei crediti derivanti dalle forniture agli Enti pubblici e che quella economica è aggravata da alcuni punti vendita in continua perdita e dal generale calo delle vendite; stabilisce, poi, che le cause della crisi sono l’arretratezza della rete di vendita e la scarsa capacità gestionale dei vertici. Inoltre individua come possibile soluzione della crisi la ristrutturazione della rete di vendita, la drastica limitazione della concessione dei crediti agli Enti pubblici e una incisiva operazione di recupero crediti. Recepita la relazione di Checconi l’ANCC decide di inviare un proprio funzionario, Gino Domenici, con il compito di risanare l’azienda2 . Nel 1978, pochi mesi dopo l’intervento dell’ANCC e in linea con le direttive di Checconi, si compie un rinnovamento dell’immagine e dei vertici dell’azienda: il 30 aprile l’Unione Cooperativa di Consumo diviene Coop Umbria e Domenici ne diviene il primo presidente. Nello stesso anno si mette mano al riordino dei punti vendita: vengono chiusi otto negozi tradizionali, ristrutturati quello di Todi e altri minori e aperto il nuovo punto vendita di Città di Castello. Si tenta, inoltre, di rilanciare il rapporto con i soci ribassando i prezzi e, soprattutto, promuovendo il prestito dai soci. Questa sarà per la Società una importante fonte di finanziamento. Il 1979, dopo l’acquisizione di due supermercati della catena A&O situati a Perugia, segna il ritorno all’attivo della Cooperativa: oltre 28 milioni di lire di utile, un notevole incremento delle vendite e dei clienti grazie a 37 punti vendita, in parte ristrutturati. Nello stesso anno viene pubblicato il primo numero di “Coop Umbria notizie”, il periodico di informazione rivolto ai soci con l’obbiettivo di promuovere un consumo più consapevole3. Il 1979 segna anche l’ingresso di Coop Umbria a Terni con l’apertura del punto vendita di Villaggio Matteotti, mentre nel 1980 viene rilevato dal Molino Cooperativo di Amelia (dal quale poi prenderà vita Coop Tevere) il negozio di via Cesare Battisti4 . La società perugina è la prima cooperativa di consumo, con sede sociale fuori dalla provincia, che impianta un proprio punto vendita a Terni. Con lo spaccio di Villaggio Matteotti l’esperienza cooperativa ternana riprende vita dopo il trauma della chiusura dell’Unione dei Lavoratori. Questa operazione però non è stata calata dall’alto, non è stata determinata solo dall’opportunità di riempire un vuoto e occupare un segmento di mercato lasciato libero, ma scaturisce da un’esigenza interna alla città, da una presa di coscienza della classe lavoratrice e della compagine sindacale cittadina. Ricorda Alfio Paccara, operaio e membro del Consiglio di fabbrica della Società Terni, che fin dai primi anni settanta

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dove c’è una ottima unità sindacale, su questo problema ogni componente va per conto suo. Noi della FIOM-CGIL insistiamo per la Cooperativa aperta a tutti i cittadini che ne volessero far parte ed allora Ettore Proietti Divi, allora segretario della FIOM, come dipendente della [Società] Terni si batté perché venisse riavviata la cooperazione e prese contatti con la Coop Umbria che [nel frattempo] si era costituita a Perugia. Diede incarico a Marino Elmi, altro uomo di grande importanza per noi nella cooperazione, di lavorare per ottenere l’adesione dei lavoratori alla Coop Umbria. Così, nel giro di pochi giorni, 3.000 lavoratori hanno dato adesione alla Coop pagando 1.000 lire ciascuno. Passano ancora alcuni anni ma a Terni non si Fonte: collezione Alfio Paccara. muove paglia, la volontà politica è assente, sembra rivolta verso l’associazionismo dei piccoli esercenti (Conad). Nel frattempo si ha l’esigenza di dotare il nuovo Quartiere Matteotti, da poco insediato da famiglie di lavoratori delle Acciaierie, di un centro commerciale, lo stesso Marino Elmi e altri soci ottengono dalla [Società] Terni la possibilità di utilizzare il salone adibito a centro sociale [del Quartiere] ed ecco il primo piccolo [spaccio] per vendere la merce ai soli soci, perché il Comune non poteva rilasciare licenze di vendita al pubblico visto che non c’erano tutti i requisiti di legge necessari5.

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Marino Elmi, operaio alle Acciaierie, promotore dello spaccio della Coop Umbria a Villaggio Matteotti

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I fatti che hanno preceduto l’ingresso di Coop Umbria a Villaggio Matteotti sono ben sintetizzati nelle parole di Teresa Elmi, moglie di Marino, operaio alle Acciaierie e sindacalista: la vita era dura [al Villaggio Matteotti] perché non c’era niente, non c’erano auto, non c’erano negozi, per ogni cosa dovevamo andare fuori, lontano. Allora Marino si dette da fare per aprire questa Coop: il Comune non ci lasciava nessuna licenza, così cominciammo a raccogliere delle firme, ma ce ne volevano tante! […] La raccolta delle firme serviva per ottenere l’autorizzazione amministrativa all’apertura della Coop e poi ai soci per avere la tessera e poter acquistare i prodotti. Con questa Coop il quartiere ha preso vita, c’era movimento6.

Nonostante l’impegno di molti abitanti del Villaggio Matteotti e l’interessamento del movimento sindacale ternano non sono poche però le difficoltà incontrate per aprire il nuovo punto vendita tanto che inizialmente, per superare le pastoie burocratiche, ci si limiterà alla vendita ai soli soci in una sorta di gruppo di acquisto locale. Inizialmente era una Cooperativa a sé, la Coop Umbria ha aderito solo in un secondo

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Brano tratto dall’intervista ad Alfio Paccara realizzata a Terni il 23 giugno 2005. Brano tratto dall’intervista a Teresa Elmi realizzata a Terni il 23 giugno 2005.

Capitolo 5


momento. Tanto è vero che non avendo la licenza commerciale vendeva solo agli associati alla Cooperativa stessa7.

Il negozio era piccolino, 200 metri quadrati circa, diviso in due piani: un piano terra, una scala e il piano superiore dove si vendeva la carne, la verdura, la frutta. […] [I locali] erano della [Società] Terni, erano locali destinati allo svolgimento di attività sociali ed è stato difficile averli! […] Pagavamo un affitto8.

Poco tempo dopo, ottenute le licenze, il presidente Gino Domenici inaugura il primo punto vendita di Coop Umbria a Terni:

In effetti la presenza di Coop Umbria a Terni si consoliderà nel tempo fino alla conquista di una significativa fetta del mercato cittadino con l’apertura, nel 1985, del supermercato “Valnerina” in via Saffi nel quale confluisce la licenza del punto vendita di via Cesare Battisti chiuso nel frattempo10. In quello stesso anno viene chiuso lo spaccio di Villaggio Matteotti ormai considerato troppo piccolo e, l’anno successivo, viene rilevato il supermercato Moretti di Corso del Popolo. Negli anni ottanta la struttura distributiva e la rete di vendita di Coop Umbria vengono ulteriormente riorganizzate ed espanse e si stabiliscono collaborazioni con le cooperative dei territori limitrofi. Come riferisce Mario Benvenuti, nel consiglio di amministrazione di Coop Umbria dal 1989 e oggi in quello di Coop Centro Italia ci si è resi conto che una visione autarchica, chiusa nella singola cooperativa, non avrebbe garantito la sopravvivenza. Ciò che ancora oggi ci garantisce un ruolo leader è che si sono accelerati questi processi di crescita e di unificazione11.

Nel 1980 vengono aperti i supermercati di Rieti, il primo fuori dall’Umbria, e di Castiglione del Lago, ai quali fa seguito, nel 1981, quello di via Cortonese a Perugia (con oltre 1.000 mq di superficie di vendita). Nel 1982, nonostante la generale crisi del settore, le vendite salgono a 40 miliardi di lire, il 36,98% in più del 1981 e gli investimenti superano il miliardo di lire; vengono inaugurati i punti vendita di Moiano e San Giovanni di Baiano. Nel 1983 le vendite crescono ulteriormente toccando i 52 miliardi, forte è anche l’incremento dei soci che, con 5.600 nuovi ammessi, arrivano a 19.000. Frattanto l’espansione territoriale e il processo di

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Alfio Paccara, Terni 23 giugno 2005. Teresa Elmi, Terni 23 giugno 2005. Ibidem. Cfr. Casali, Dalla Società di Mutuo Soccorso cit. (a nota 2), p. 76. Brano tratto dall’intervista a Mario Benvenuti realizzata a Terni il 23 giugno 2005.

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Io ricordo le parole testuali di Domenici il giorno dell’inaugurazione “Noi siamo entrati oggi da una porticina, ma vogliamo entrare da un portone e non uscire da una finestra!”9.

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Figura 1 – Soci, punti vendita, addetti e vendite della Coop Umbria dal 1983 al 1994

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* Le vendite relative al 1991 si riferiscono in realtà al 1990. Fonte: Vera Zamagni, Patrizia Battilani e Antonio Casali, La cooperazione di consumo in Italia. Centocinquant'anni della Coop consumatori: dal primo spaccio a leader della moderna distribuzione, il Mulino, Bologna 2004.

ristrutturazione continuano: vengono aperti i punti vendita di Bastia Umbra, Passignano sul Trasimeno e San Sisto e ristrutturati quelli di Città di Castello, Elce e piazza Matteotti a Perugia. Nel 1984 viene inaugurato, in collaborazione con Unicoop Senese, il magazzino consortile di Castiglione del Lago, con una superficie utile di oltre 60.000 mq: è la struttura più moderna per lo stoccaggio e la distribuzione di merci in Italia. Con il nuovo magazzino, che rifornisce i punti vendita della Coop Umbria, della Unicoop Senese, della Coop Tevere e di Risparmio 76 si realizza quella sinergia tra le Cooperative del Centro Italia per la quale già da tempo si stavano impegnando i dirigenti di Coop Umbria12. 12

Cfr. Zamagni, Battilani, Casali, La cooperazione di consumo in Italia, cit. (a nota 1), p. 479 e Casali, Dalla Società di Mutuo Soccorso cit. (a nota 2), p. 75.

Capitolo 5


Figura 2 – Incidenza percentuale di soci, punti vendita, addetti e vendite della Coop Umbria sul totale nazionale (dal 1983 al 1994)

Fonte: Vera Zamagni, Patrizia Battilani e Antonio Casali, La cooperazione di consumo in Italia. Centocinquant'anni della Coop consumatori: dal primo spaccio a leader della moderna distribuzione, il Mulino, Bologna 2004.

Nel 1985 – come si è detto – viene aperto il supermercato “Valnerina” di via Saffi a Terni. Esso è frutto di un investimento di oltre due miliardi di lire, dispone di una superficie utile di 1.000 mq e impiega 50 dipendenti. La quota di mercato detenuta da Coop Umbria si allarga così ulteriormente. Il 1986 si chiude con un utile di 1 miliardo e 445 milioni, le vendite raggiungono gli 83,5 miliardi (il 13,1% in più dell’anno precedente), i soci, con oltre 3.000 nuovi aderenti, sono più di 38.000, i dipendenti sono 400 e il prestito da soci supera i 22 miliardi, contribuendo a mantenere alto il grado di liquidità dell’azienda e praticamente nullo il ricorso al credito bancario. Nel 1987 viene varato il Piano Regionale del Commercio che prevede l’apertura di due centri commerciali a larga scala per la realizzazione dei quali Coop Umbria si attiva fin da subito chiedendo le necessarie autorizzazioni: solo nel 1997 si inaugurerà l’Ipercoop di Collestrada e nel 2005 Coop&Coop di Terni, oggi anch’essa Ipercoop. In quello stesso anno Coop Umbria inaugura il centro commerciale Agorà di Foligno, all’epoca il più importante dell’Umbria, collocato in una posizione strategica a nord-ovest della città, alla confluenza della statale 75, proveniente Proiettarsi nel futuro

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* Le vendite relative al 1991 si riferiscono in realtà al 1990.

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da Perugia, con la Flaminia e la statale 77 che va verso le Marche, in grado, quindi, di servire l’ampio e popoloso territorio tra lo Spoletino e il Folignate. In 3.500 mq coesistono il settore alimentare, quello commerciale e i servizi (posta e banca). Si realizza cioè il connubio, impensabile fino a poco tempo prima, tra piccoli commercianti e grande distribuzione. Poco dopo l’apertura dell’Agorà di Foligno l’operazione viene ripetuta a Perugia con l’inaugurazione del centro commerciale di Fontivegge, che vede insieme Coop Umbria e Upim. Negli stessi anni, contemporaneamente al risanamento economico e allo sviluppo della rete di vendita, i dirigenti di Coop Umbria non trascurano neanche l’attività sociale e la difesa dei consumatori: numerose sono le campagne informative e i convegni nelle scuole dedicati all’educazione al consumo e le iniziative su temi ecologici. Inoltre, per tutelare la salute dei consumatori, viene svolta un’intensa attività di controlli e analisi sulle merci vendute13. Come afferma Mario Benvenuti

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Oggi si punta alla difesa del risparmio, alla genuinità dei prodotti, alla difesa della natura: sono principi molto diversi da quelli che sollecitava una volta l’associazionismo. Allora si puntava alla dotazione primaria di servizi di sopravvivenza! Negli ultimi tempi si è imboccata la strada dell’unificazione e della crescita che ha portato al raggiungimento di dimensioni aziendali ottimali per essere in grado di raggiungere i livelli della grande distribuzione. Nonostante ciò, la Coop ha mantenuto un rapporto con la base sociale e i soci che fa la differenza con tutti gli altri e distingue il movimento cooperativo nel settore dei consumi. […] Nelle nostre iniziative c’è sempre un contenuto di grande solidarietà, di socialità che gli altri non posseggono perché puntano al consumismo mentre noi puntiamo al consumo consapevole; ci sono delle scelte di valori molto diverse. La nostra non è solo una strategia di marketing, ma una scelta di valore. Ci si è incamminati verso la grande distribuzione, mantenendo però lo spirito dei cooperatori, quello del servizio e della tutela del consumatore14.

Alla fine degli anni ottanta la grave situazione patrimoniale, finanziaria e organizzativa in cui la Cooperativa versava solo un decennio prima può dirsi completamente mutata. Essa non solo ha riacquistato credibilità presso il mondo economico e sociale umbro, ma ha anche conquistato posizioni fuori dal territorio regionale; inoltre la sua rete di vendita è stata interamente ristrutturata, possiede buoni margini di sviluppo e la sua dirigenza e struttura organizzativa sono state completamente rinnovate. Negli anni novanta Coop Umbria si presenta, ormai, come un’azienda solida e profondamente radicata nel tessuto della regione. Nel 1990 diviene presidente Giorgio Raggi, che imprime un ulteriore impulso allo sviluppo dell’azienda. Ormai superata la fase in cui la stessa sopravvivenza della Cooperativa sembrava essere messa in discussione, Raggi, e con lui il gruppo dirigente, punta al superamento delle divisioni politiche interne allo stesso consiglio di amministrazione e al rinnovamento della struttura organizzativa interna, non

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Cfr. Casali, Dalla Società di Mutuo Soccorso cit. (a nota 2), pp. 73-79. Mario Benvenuti, Terni 23 giugno 2005.

Capitolo 5


Figura 3 – Fatturato e patrimonio netto di Coop Umbria dal 1988 al 1995

Figura 4 – Soci e soci prestatori di Coop Umbria dal 1988 al 1995

Fonte: Giorgio Raggi, Diario di bordo 1988-1995. Come una cultura crea ricchezza: il caso Coop Umbria, Coop Umbria, Perugia s.d. Proiettarsi nel futuro

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Fonte: Giorgio Raggi, Diario di bordo 1988-1995. Come una cultura crea ricchezza: il caso Coop Umbria, Coop Umbria, Perugia s.d.

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Figura 5 – Addetti di Coop Umbria dal 1988 al 1995

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Fonte: Giorgio Raggi, Diario di bordo 1988-1995. Come una cultura crea ricchezza: il caso Coop Umbria, Coop Umbria, Perugia s.d.

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solo nel senso di una maggiore efficienza e produttività del lavoro, ma anche di una cultura d’impresa che avvicini la dirigenza alla base15. Si punta così all’unità di intenti di tutto il gruppo dirigente, orientato verso il raggiungimento dell’obiettivo di trasformare Coop Umbria in un’azienda organizzata con criteri moderni. Prende piede il concetto della “piramide rovesciata”, al cui vertice c’è il consumatore, verso il quale l’azienda si deve orientare e conformare: l’azienda deve mettersi al servizio del consumatore. Per fare questo occorre rafforzare gli elementi collaterali all’oggetto sociale principale che è la distribuzione delle merci e quindi puntare anche sulla qualità del servizio, sull’assortimento dei prodotti, sull’ubicazione dei locali, sulla comunicazione e il marketing16. I risultati di questo nuovo spirito imprenditoriale si vedono già nei primi anni novanta: la produttività dell’azienda aumenta considerevolmente: si passa dalle 240.000 lire di vendite per ora lavorata del 1990 alle 330.000 del 199417.

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Cfr. Giorgio Raggi, Diario di bordo 1988-1995. Come una cultura crea ricchezza: il caso Coop Umbria, Coop Umbria, Perugia 1996, p. 16. Cfr. ivi, pp. 19-22. Cfr. ivi, pp. 18-50 e in particolare il grafico a p. 90.

Capitolo 5


Nel 1991 Coop Umbria possiede 26 punti vendita che danno lavoro a 524 dipendenti, i soci sono 69.700 e le vendite ammontano a oltre 172 miliardi di lire. Nel 1994 si registra un ulteriore balzo in avanti: i soci sono 91.000, i dipendenti sono saliti a 607, i punti vendita si sono ridotti a 21 ma sono di dimensioni maggiori, tanto da portare le vendite a 246 miliardi18. Questi risultati vengono conseguiti nonostante la flessione del mercato, l’ingresso in Umbria di nuove catene di supermercati e l’apertura di numerosi discount19. Nel frattempo si continuano ad aprire punti vendita (Gualdo Tadino, Umbertide e Castiglione del Lago, Gubbio, Rieti, San Sisto a Perugia e Città di Castello)20. Nel 1995 si comincia a lavorare alla realizzazione dell’ipermercato di Perugia a Collestrada, inaugurato nel 1997. Contemporaneamente, anche grazie alla colla-

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Cfr. ivi, pp. 65-74. Cfr. ivi, pp. 49-50. Cfr. ivi, p. 59.

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Figura 6 – Le tappe dell’evoluzione di Coop Umbria

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borazione di Giorgio Marini, presidente dell’Associazione Regionale delle Cooperative di Consumo Umbre, Coop Umbria continua nell’intento di creare sinergie con le cooperative confinanti. Nel 1994, insieme a Coop Tevere, Unicoop Senese e Coop Risparmio 76, crea il Consorzio Cooperative Centro Italia per la gestione del magazzino rifornimenti di Castiglione del Lago dopo che Unicoop Firenze ha incorporato il magazziono di Sesto Fiorentino che insieme a quello di Castiglione del Lago costituiva il Consorzio creato nel 198421. Questo nuovo consorzio può essere letto come il preludio a quanto avverrà nel 1997 quando, il 20 maggio, Coop Umbria annuncia la fusione con Unicoop Senese dando vita a Coop Centro Italia, una delle nove grandi Coop a livello nazionale.

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Da Coop Umbria a Coop Centro Italia: i dati della crescita

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Il periodo che va dal 1986 al 1996 è strategico per Coop Umbria. Esso rappresenta il passaggio da azienda di medie dimensioni, con centri di distribuzione in cui i legami con la tradizione risultano per molti aspetti prevalenti, ad un’ impresa che opera nel settore della grande distribuzione e che rappresenta uno dei punti di eccellenza nel settore. Di rete commerciale moderna in Italia si comincia a parlare solo nel corso degli anni ottanta del XX secolo. È in questo periodo che si conclude quella lunga fase dell’economia italiana basata dapprima sulla compressione dei consumi e, successivamente, a partire dagli anni sessanta, dalla dilatazione dei consumi tradizionali22. Solo con gli anni ottanta l’Italia entra nel novero dei paesi consumatori moderni, che utilizzano sempre più prodotti industriali per soddisfare le proprie esigenze. Ciò comporta una rivoluzione degli stili di vita, un allargamento della gamma dei prodotti e, soprattutto, rende l’Italia un mercato appetibile sia dal punto di vista industriale sia da quello delle politiche commerciali. Sono questi gli anni in cui cresce l’interesse delle corporation alimentari nei confronti dell’industria italiana del settore che, nel giro di pochi anni, viene quasi tutta assorbita – almeno per quanto riguarda i marchi più prestigiosi – da grandi multinazionali straniere23, è in questa fase che cresce la sperimentazione e la diffusione di nuovi prodotti legati alla catena del freddo e dei precotti. Funzionale a questa “rivoluzione” è una distribuzione moderna. Anche qui crescono gli appetiti delle grandi reti commerciali europee, soprattutto francesi e tedesche. I contraltari nazionali a questa offensiva sono fragili, quando non inesistenti. È su questo terreno che la cooperazione di consumo inizia una lunga marcia di trasformazione che consentirà di promuovere una rete commerciale nazio-

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Cfr. il bilancio sociale della Coop Tevere per l’anno 1994. Francesco Chiapparino e Renato Covino, Consumi e industria alimentare in Italia dall’Unità a oggi, Perugia, CRACE, 2002, pp. 13-29. Ivi, pp. 140-157.

Capitolo 5


Figura 7 – Strutture commerciali della Coop Umbria e loro dimensioni

nale moderna. Di questo sforzo sono partecipi, prima, Coop Umbria e, poi, Coop Centro Italia. Tale processo risulta evidente anche da un’analisi sommaria dei bilanci aziendali. In primo luogo vanno collocate le trasformazioni della rete commerciale. Tra il 1986 ed il 1991 si assiste ad un ampliamento delle superfici di vendita grazie alla crescita di strutture sempre più grandi. Il trend è graduale ma significativo (fig. 7). Ma è soprattutto dal 1989-1990 che viene fatta una scelta definitiva, dettata da esigenze della competizione di mercato e da nuovi criteri di efficienza che vengono assunti come canone di gestione. Gli elementi che guidano questo cambiamento di ottica sono, per un verso, l’affermarsi della Coop Umbria come struttura commerciale leader in Umbria e Sabina e, per l’altro, il superamento della fase di ricostruzione e di conquista della sopravvivenza. L’essersi, cioè, trasformata in struttura aziendale solida, fuori dalle precarietà che avevano caratterizzato la cooperazione umbra tra la fine degli anni settanta e gli anni ottanta. Viene, così, decisamente impostato quel programma di aumento delle dimensioni commerciali che porterà nel corso degli anni successivi alla costruzione di centri e di piattaforme di vendita più grandi di quelle precedenti. Si passa dai 14.000 mq destinati alla vendita ai 23.000 previsti dal piano di sviluppo 1991-1994 e ci si propone di giungere, tra il 1995 ed il 1998, a 29.000 mq. L’Ipermercato di Collestrada, inaugurato nel 1997, rappresenta, da questo punto di vista, il culmine della fase Proiettarsi nel futuro

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Fonte: Coop Umbria, Bilanci d’esercizio, anni 1987-1997.

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iniziata alla fine degli anni ottanta e sviluppatasi nel decennio successivo e aprirà la strada ad una scelta di coordinamento e fusione con la Unicoop senese, decisa dai consigli di amministrazione nel novembre 1995 e realizzata l’1 gennaio 1997. Tali scelte implicano una strumentazione societaria più raffinata e un robusto piano di investimenti.

Da Coop Umbria a Coop Centro Italia: i fattori dello sviluppo Il punto di svolta è rappresentato, lo si è già accennato, dal 1990. Fino a quel momento la struttura è caratterizzata da una sorta di navigazione a vista, in cui la produttività è bassa e gli ammanchi inventariali (furti dei fornitori, dei clienti e del personale) nel 1989 risultano essere il doppio rispetto all’utile aziendale. La risposta è quella tradizionale: “Si cerca l’efficienza per la sopravvivenza: il costo del lavoro la fa sempre da padrone nel determinare il risultato finale. L’approccio è di tipo tayloristico”, ciò provoca più di un inconveniente “più produttività richiede uno sforzo maggiore che deteriora il servizio ai clienti e aumenta gli ammanchi inventariali (stante l’impossibilità di svolgere controlli seri)”. Non solo:

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Si acuisce la distanza fra [...] sede e negozi. A volte lo scontro è violento, senza dialogo. Non sembra di essere una cooperativa: proprio questo molti capinegozio ci rimproverano! Il contrasto fra i valori che ciascuno sente dentro (anche se mai esplicitati, sempre e solo individualmente vissuti) e il comportamento alla “Valletta” è stridente. Come è stridente anche nel cuore di molti dirigenti e quadri24.

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È da questa esperienza che nasce, tuttavia, la necessità di una nuova filosofia aziendale. Essa matura proprio nel 1990 ed emerge da due esigenze. La prima è “la voglia di superare il contrasto stridente tra l’essere cooperativa e l’approccio da carabiniere sulla produttività e sui costi”. Essa si coniuga con una seconda esigenza che viene più facilmente risolta: Le pressioni del mondo esterno non sono scomparse, e non sempre collimano con gli interessi di Coop Umbria. Sanciamo […] il definitivo tramonto delle componenti politiche: un tramonto salutare per lo sviluppo della Cooperativa e per l’unità del gruppo dirigente25.

Per quanto riguarda il primo aspetto la questione è, invece, più complessa e comincia ad essere risolta attraverso un approccio culturale diverso che supera, recuperandone molti aspetti, la tradizionale matrice solidaristica e contiene le spinte all’efficientismo aziendalista attraverso l’assunzione di una “missione”: quella dell’interesse del consumatore a cui viene piegata l’organizzazione dell’impresa.

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Giorgio Raggi, Diario di bordo 1988-1995, cit. (a nota 15), p. 16. Ivi, p. 18.

Capitolo 5


Figura 8 – Occupati in Coop Umbria

In sintesi: si diffonde tra noi la cultura della piramide rovesciata (l’organizzazione è al servizio del cliente, è orientata al mercato) e del fiore e dei petali (la convenienza percepita è il “core business”, ma ogni petalo – servizio, sorriso, parcheggio – è essenziale)26.

A ciò sono funzionali i processi di diffusione di una nuova cultura d’impresa che assume la missione come fatto produttivo essenziale e la partecipazione come percorso obbligato. L’obiettivo diviene “non perdere l’efficienza raggiunta, ma volerla proiettare in un disegno vissuto dai più”27. La partecipazione è, peraltro, funzionale ad una maggiore efficienza, ad una motivazione più forte del personale, ad un aumento di produttività, di contenimento dei costi, delle disfunzioni e degli sprechi, rompendo l’“assioma: più lavoro = più organico, più partecipazione = più personale”28, non a caso la crescita occupazionale appare contenuta (fig. 8), rispetto agli sforzi di aumentare la produttività. Questo percorso si definisce progressivamente e viene, infine, sancito nella Carta dei valori, promulgata il 21 maggio 1995, che fissa i principi condivisi e acquisiti dalla cultura dell’azienda intesa in senso ampio.

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Ivi, p. 26. Ivi, p. 31. Ivi, p. 32

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Fonte: Coop Umbria, Bilanci d’esercizio, anni 1987-1997.

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Figura 9 – Produttività e scontrino medio

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Fonte: Coop Umbria, Bilanci d’esercizio, anni 1987-1997.

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Il risultato: sappiamo tutti perché stiamo assieme “oltre” lo stipendio. La missione è rappresentata dalla promozione della tutela del consumatore: il profitto è la condicio sine qua non della sopravvivenza e dello sviluppo, ma non è il fine dell’organizzazione. L’azienda è uno strumento per raggiungere il fine, non è lo scopo di se stessa. La visione punta alla dimensione adeguata dell’impresa per raggiungere il fine: il mercato globale richiede più risorse e competitività. La fusione con la nostra consorella di Siena diventa un obiettivo di tutti. I valori: l’etica non è la “sovrastruttura” dei processi produttivi o di intermediazione, ma il fattore vincente per l’unità interna dei membri della Cooperativa e il fattore vincente per affermare la nostra distintività sul mercato29.

Fuori di chiave, il lungo percorso che va dalla struttura solidaristica all’impresa, dopo le mitologie del mercato e l’ideologia funzionalista degli anni settanta e ottanta, assume la tradizione come risorsa da giocare sul mercato, visto come misuratore di efficienza più che come meccanismo destinato a favorire l’arricchimento, mentre l’azienda è assunta come strumento. Cambia il target di riferimento: non più solo i soci, ma l’insieme dei consumatori a cui assicurare prezzi contenuti e qualità. In questo quadro l’efficienza è uno degli elementi di contenimento dei prezzi. Ciò riguarda molti fattori: dalla diminuzione degli ammanchi inventariali fino a giungere alla produttività del personale. L’elemento più evidente di questo assioma è dato dal rapporto tra quest’ultimo dato e il valore dello scontrino medio (fig. 9).

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Ivi, pp. 53-54.

Capitolo 5


nessuno accetta di sacrificarsi per il gruppo, ma nessun gruppo vuole essere dominato da un singolo individuo. Nessuno vuole sentirsi defraudato o annullato nella collettività: nessun gruppo di sede o negozio accetta però di farsi carico dei menefreghismi o carrierismi personali. Ognuno vuole sentirsi protagonista [...] nella crescita del gruppo vede il proprio futuro personale. Ma anche il gruppo vede nella crescita delle singole individualità il suo futuro31.

È lo spirito di squadra il tratto specifico di questo nuovo gruppo dirigente, che si unisce alla consapevolezza che il quadro economico in cui si opera sta mutando, che la competizione ed i competitori si fanno sempre più aggressivi e che l’innovazione è l’unico strumento in grado di garantire lo sviluppo dell’impresa. Questa nuova filosofia aziendale, comune a molti grandi gruppi commerciali, si coniuga in Coop Umbria e poi in Coop Centro Italia con un aspetto assolutamente distintivo dell’azienda e che potremmo definire con uno slogan “democrazia economica”. Essa viene messa in pratica attraverso due organi consultivi che affian-

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Cfr. Casali, Dalla Società di Mutuo Soccorso cit. (a nota 2), pp. 62-85. Raggi, Diario di bordo 1988-1995 cit. (a nota 15), p. 24.

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La questione non è di poco conto e spiega come, con un valore medio dello scontrino che si colloca costantemente all’ultimo o al penultimo posto del sistema cooperativo, si riesca a mantenere alta la qualità del servizio e a tenere bassi i prezzi per i consumatori: la Coop Umbria si disloca, infatti, sempre nelle fasce alte della produttività fino a raggiungere nel 1995 il terzo posto. È evidente come, in questo contesto, pesino i livelli di coesione e di iniziativa di chi governa la Cooperativa, di chi ne indirizza le strategie e le scelte. Se nel periodo che va dal 1978 al 1990 l’obiettivo era stato il superamento delle improvvisazioni che avevano caratterizzato la vicenda dell’Unione Cooperativa di Consumo e la costituzione di un’azienda solida30, in cui diminuiscono gli elementi di precarietà, la fase successiva si caratterizza come una ricerca non solo finalizzata all’efficienza e all’ottimizzazione dei fattori produttivi ma volta a smentire il luogo comune secondo cui il governo dell’impresa sarebbe monocratico. La sfida in cui si impegna è come “essere impresa”; cioè come si rapporta in modo vincente con la concorrenza e con il mercato, rimanendo però un’azienda che rappresenta un momento di democrazia economica. Più semplicemente i problemi sono una partecipazione motivata del management, dello staff e dell’insieme dei lavoratori alla gestione e un rapporto con la proprietà, i soci, che si basi su un mix di interesse e di coinvolgimento. Tutto ciò ha bisogno di una cultura condivisa e di un governo che la rappresenti. Tale esigenza si manifesta compiutamente nel 1990 quando, con l’assunzione da parte di Gino Domenici della presidenza di Fincooper e la sua sostituzione con Giorgio Raggi alla presidenza di Coop Umbria, debutta un gruppo dirigente completamente rinnovato, la cui cultura è così riassumibile:

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cano il consiglio di amministrazione nell’organigramma di governance della cooperativa e che rappresentano le sue due parti fondanti: i soci, ossia la proprietà, e i lavoratori. Essi sono gli stati generali, previsti nello statuto dal 2002, di cui fanno parte i rappresentanti, eletti a scrutinio segreto, delle singole sezioni soci e il consiglio dei novanta eletto dai dipendenti, inserito nello Statuto nel 2004. Il consiglio di amministrazione, l’organo di governo dell’azienda, è tenuto a consultare entrambi gli organismi sulla politica commerciale, gli indirizzi per lo sviluppo e la formazione e le attività sociali. Gli stati generali, inoltre, esprimono il loro parere anche in materia di bilancio preventivo e consuntivo e propongono all’assemblea dei soci la lista delle candidature al consiglio di amministrazione. Accanto al fare squadra si colloca quello che in precedenza si definiva come mix di interesse e coinvolgimento dei soci, ossia le attività sociali: dalle iniziative verso le scuole, al finanziamento di attività culturali, ai viaggi sociali e del personale, alle feste, ecc. È il tentativo, in una realtà in crescita e in cambiamento, di mantenere vivo l’aspetto comunitario e solidaristico, che culmina nel maggio 1995 nella Carta dei valori. Fin qui i fattori soggettivi, per così dire la “filosofia” che guida la gestione della Cooperativa. Ma sarebbe limitativo sostenere che questi siano gli unici elementi che spiegano la performance positiva di Coop Umbria, anche se sono essenziali per comprenderne la crescita. Accanto ad essi si pongono le virtù del sistema cooperativo, i suoi aspetti caratterizzanti che rappresentano, a seconda delle fasi, punti di forza o di debolezza. Il riferimento è all’impianto solidaristico, di esperienza di democrazia economica, di educazione alla socialità che la caratterizzano e, ancora, al rapporto solido, costruito nel tempo, con i territori su cui l’impresa insiste. Si tratta, cioè, di far agire nel nuovo contesto gli elementi originari che spiegano la durata del fenomeno e le sue stesse capacità di riferimento. Non si tratta, in realtà, di un fenomeno specifico di Coop Umbria, ma dell’intero movimento cooperativo italiano, nel suo complesso. Negli ultimi trent’anni, la cooperazione ha triplicato l’incidenza dei propri occupati sul totale dell’Italia, passando dal 2% del 1971 al 6% in questo momento; più di un milione di persone lavorano in imprese cooperative in Italia, senza considerare tutti quei lavoratori che hanno una veste imprenditoriale32,

simile è l’andamento in relazione al peso sul prodotto interno lordo del paese (7%). Ancora: “La cooperativa non nasce per remunerare il capitale del socio, ma per dare una risposta a un bisogno, erogare un servizio che si realizza nello scambio mutualistico tra socio e cooperativa”33. Funzionali a tali caratteri sono da una

32 33

Giuliano Poletti, Coop: il paese ci può contare, in “Gli argomenti umani”, a. VI, n. 10, ottobre 2005, p. 44. Ivi, p. 45.

Capitolo 5


Figura 10 – Soci, soci prestatori e prestito sociale

Fonte: Coop Umbria, Bilanci d’esercizio, anni 1987-1997.

l’impresa cooperativa che ha come obiettivo quello di erogare servizi ai propri soci di oggi e domani, e quindi una logica intergenerazionale, produce comportamenti imprenditoriali diversi rispetto a quelli di altre imprese35.

Infine: L’impresa cooperativa nasce per rispondere a bisogni tipici dei cittadini, che le danno vita; e quindi vive direttamente le questioni dei territori e degli ambienti; specularmente la cooperativa ha una relazione più forte con il territorio, una sorta di obbligo a garantire lavoro nel posto e non scegliendo altre strade”36,

è questo, peraltro, che fa sì che fenomeni di delocalizzazione o di speculazione entrino in conflitto con l’azienda cooperativa: “Non si fa ‘il colpo della vita’; si lavora per una prospettiva nel tempo; ma questo significa anche investire grandi risorse nell’impresa in termini di investimento sistematico del risultato d’impresa”37. 34 35 36 37

Ivi, p. 46. Ibidem. Poletti, Coop: il paese ci può contare cit. (a nota 32), p. 47. Ibidem.

Proiettarsi nel futuro

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parte “la funzione prima della cooperativa [che] è far partecipare il cittadino”34, dall’altra la durata nel tempo

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Questi elementi, validi in generale, funzionano anche nel caso specifico di Coop Umbria e poi di Coop Centro Italia. In primo luogo l’utile d’esercizio entra a far parte del capitale sociale e finanzia direttamente l’impresa, diminuendo l’esposizione bancaria. Un vincolo normativo e strutturale, nel caso della necessità di una crescita dimensionale dell’azienda, si tramuta in un immediato vantaggio. In secondo luogo la socialità, più che un residuo del passato, diviene volano di sviluppo, non fosse altro perché costituisce la base del prestito soci, altro elemento che definisce un processo virtuoso e diffuso che consente una maggiore liquidità all’impresa (fig. 10). I dati da questo punto di vista sono assolutamente eloquenti: i soci crescono di quasi tre volte, i soci prestatori di oltre cinque e l’entità del prestito sociale si moltiplica per undici.

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Ruggine o futuro?

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In tale contesto va collocata la questione dell’apertura della piattaforma commerciale nell’area dell’ex Ferriera di Terni, in cui si cumulano tutti gli elementi prima descritti, con in più l’effetto simbolico di una struttura commerciale collocata, in una città operaia, in un’area industriale dismessa. Il problema di una struttura commerciale di più ampie dimensioni si pone nei primi anni novanta del Novecento. I motivi sono, per molti aspetti, ovvi e riguardano la caduta e/o la stagnazione delle percentuali di vendita delle province di Terni e di Rieti nei confronti di quella di Perugia nella seconda metà degli anni ottanta (fig. 11), destinata almeno a Terni a durare fino alla costituzione di Coop Centro Italia e oltre. La questione di Rieti verrà risolta nel 1993 con l’apertura di una nuova struttura commerciale. Per quanto riguarda Terni nel 1990, nella relazione del consiglio di amministrazione all’assemblea dei soci per l’anno 1989, si afferma che si è concorso alla assegnazione di due centri commerciali a vasta scala previsti dai programmi regionali. A Terni quella Amministrazione Comunale non ne ha ancora definito le procedure, anche se, stando alle attuali normative la nostra richiesta sembra avere tutte le carte in regola per il successo”38.

Il riferimento è al Piano regionale del commercio del 1987 che aveva previsto la realizzazione in Umbria delle due strutture di Collestrada a Perugia e di quella di Terni. La localizzazione di quest’ultima veniva prevista dal Piano comunale del

38

Coop Umbria, Assemblea generale dei soci. Bilancio esercizio 1989, Perugia, Centro congressi Capitini, 1989, p. 11.

Capitolo 5


Gli edifici della ex SIRI prima della ristrutturazione e dell’utilizzo per Coop&Coop (oggi Ipercoop)

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Figura 11 – Vendite per provincia

Fonte: Coop Umbria, Bilanci d’esercizio, anni 1987-1997.

Proiettarsi nel futuro

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commercio del luglio 1991 a Maratta39. Nell’ottobre 1993 la Commissione comunale per il commercio assegnerà a Coop Umbria l’autorizzazione amministrativa per esercire il punto vendita a larga scala a Maratta, autorizzazione che verrà poi confermata dalla Giunta regionale nel luglio 199440. La Giunta municipale di Terni, infine, concederà l’autorizzazione nell’ottobre 199441. Nel frattempo nel tessuto commerciale di Terni erano intervenute consistenti modificazioni. Conad, cui era stata assegnata l’autorizzazione per realizzare una struttura commerciale a Cospea di dimensioni medio-grandi, ma pur sempre destinata a servire il quartiere, aveva ottenuto una licenza edilizia per la realizzazione di una superficie di oltre 10.000 mq, che verrà aperta il 14 luglio 1994, utilizzando integralmente l’area (nella superficie despecializzata si utilizzò un accorgimento tecnico che separava l’area di vendita degli alimentari dal resto). Ciò provocherà una serie di preoccupazioni, tanto che la Giunta municipale adotterà un atto volto a mantenere le autorizzazioni nei limiti previsti dalla programmazione commerciale, indipendentemente dalla dimensione della superficie autorizzata in sede urbanistica e successivamente realizzata42. Da tutta la vicenda emerge un’assenza di raccordo fra gli atti dei due settori comunali: quello dell’urbanistica e quello del commercio, tema questo che il legislatore, negli anni successivi, affronterà sia in Parlamento che in Consiglio regionale. Il risultato del centro di Cospea sarà quello di alterare gli equilibri della programmazione commerciale e di favorire l’inserimento a Terni della grande catena Promodès, che sarà successivamente assorbita da Carrefour a cui, dal 2002, subentrerà Leclerc43. Queste presenze di fatto hanno vanificato lo spirito originario della programmazione commerciale comunale: quello di privilegiare gli operatori associati. In relazione a tali fatti si registra una evidente vischiosità e lentezza della discussione e della realizzazione di un ipermercato della Coop Umbria. A metà del 1991 si denunciano i ritardi relativi all’approvazione del Piano del commercio44. Preoccupazioni, queste, che vengono esplicitate nella relazione del consiglio di amministrazione:

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40 41

42 43

44

Comune di Terni, Assessorato al commercio, Piano di sviluppo e di adeguamento della rete distributiva al dettaglio in sede fissa. Norme di attuazione, Comune di Terni, s.l. 1991. Il piano viene approvato in Consiglio Comunale il 29 luglio 1991. Archivio della Coop Umbria, Deliberazione della Giunta Regionale dell’Umbria, 28 luglio 1994. Ivi, Lettera di autorizzazione del Comune di Terni, 1° Dipartimento, VI Sezione, alla Coop Umbria per un centro commerciale a grande scala, 7 ottobre 1994. Ivi, Ordinanza del sindaco di Terni, 3 agosto 1994. Cfr. in proposito Soci, fatturato e utili in crescita per il gruppo Pac 2000 A/Conad, in “Lega informazioni” agenzia settimanale di notizie, a. VI (1995), n. 27, 3 luglio 1995, pp. 17-18. Sulla questione della vendita ai francesi prenderà posizione il presidente della sezione soci di Terni Lino Peri con una nota dal titolo Perché tanti silenzi sull’ingresso di un gruppo francese all’interno del Pianeta?, in “Il Messagero”, 24 agosto 1995 che riportiamo integralmente in questo capitolo. Si veda anche Archivio della Coop Umbria, Ordine del giorno del consiglio di amministrazione di Coop Umbria del 14 luglio 1995. Coop Umbria, Bilancio esercizio 1990, Assemblea generale ordinaria, Terni, Teatro Verdi, 19 maggio 1991, p. 12.

Capitolo 5


Su questo terreno Coop Umbria acquisisce l’appoggio delle organizzazioni sindacali che si dichiarano favorevoli all’investimento. Nonostante l’apertura del Centro di Cospea, la relazione del consiglio di amministrazione all’Assemblea dei soci per il 1993 recita “A Terni l’Amministrazione Comunale ha emesso il proprio parere positivo perché Coop Umbria realizzi […] il centro commerciale a larga scala in località Maratta”46. L’autorizzazione del Comune arriverà nel corso del 1994, nel 1995 si acquisisce l’area su cui deve sorgere il centro commerciale. Intanto si segnalano ritardi da parte dell’amministrazione comunale e, nel corso del 1996, si ristruttura il negozio di corso del Popolo, segno che non si prevedono tempi rapidi per la realizzazione del centro commerciale. La questione delle piattaforme di vendita a Terni non si pone allo stesso modo del resto dell’area di influenza della Coop Umbria. Terni tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta del secolo scorso vive una situazione di crisi che deriva dall’esaurirsi di esperienze imprenditoriali pubbliche e dalla caduta dell’occupazione. La città subisce una profonda trasformazione delle proprie caratteristiche sociali e culturali, frutto di una crisi economica che rappresenta la causa fondamentale che determina, addirittura, il cambio di maggioranza dell’Amministrazione Comunale che viene conquistata dal centro destra nel 1993 e che solo nel 1999 il centro sinistra riuscirà a riprendere. In questa fase si pongono in maniera intrecciata due problemi di indubbia importanza che sono, da una parte, la necessità di una differenziazione delle attività economiche, puntando sulle strutture di servizio e sui percorsi di valorizzazione dei beni culturali e, in genere, di sviluppo delle strutture culturali e del territorio; dall’altra, l’individuazione di un percorso che consenta di rafforzare e ridefinire una identità urbana in crisi. In tal senso il dibattito si concentra sulla necessità di costruire una piattaforma commerciale che consenta alla città di divenire attrattiva nei confronti dei territori circostanti, ma anche di costruire un percorso di valorizzazione del tessuto

45 46

Ivi, p. 9. Coop Umbria, Bilancio Esercizio 1993. relazione del consiglio di amministrazione all’Assemblea dei soci, Perugia, 1994, p. 11.

Proiettarsi nel futuro

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Nuove strutture moderne di vendita, di significative e vaste proporzioni, sono in corso di realizzazione in tutta l’area che ci riguarda e, spesso, ancora una volta, la programmazione commerciale risulta piegata, se non inficiata, da autorizzazioni urbanistiche e edilizie che nascono fuori da ogni contesto relativo all’analisi dei fabbisogni dei consumatori e dei cittadini. Terni, con la Standa prima e oggi con la vicenda relativa al centro commerciale di Cospea, rappresenta emblematicamente questo stato di cose, tanto da averci imposto una forte iniziativa democratica che impedisca la realizzazione surrettizia di un centro commerciale dalle dimensioni non previste: una petizione popolare di 5.300 firme, in grado di rafforzare la nostra candidatura in questa città di un centro commerciale a larga scala con annesso Iper45.

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Articolo uscito su “Il Messaggero” del 24 agosto 1995 tratto da una lettera inviata dal presidente della Sezione soci della Coop Umbria di Terni Lino Peri il 21 agosto.

urbano tradizionale e delle aree industriali dismesse. Si tratta di un percorso non semplice, che si conclude con la decisione di costruire nell’area ex SIRI il centro commerciale contiguo ad un recupero a fini culturali e museali dell’ex stabilimento, il più antico della città, l’unico salvaguardato da un vincolo monumentale della Sopraintendenza ai Monumenti dell’Umbria. L’operazione prevede, per un verso, l’abbandono dell’ipotesi di Maratta – dove la Capitolo 5


La nostra Sezione Soci, riunitasi il 18 novembre 1996, ha preso in esame, ancora una volta, la situazione della rete distributiva nel comprensorio di Terni. Il fatto più clamoroso di questi giorni è il cambiamento di ragione sociale del “Pianeta” che è diventato “Continente” a seguito dell’ingresso dominante della catena francese Premodes (sic!). Per noi questo fatto non ha certamente rappresentato una novità in quanto, già dal mese di luglio 1995, prendemmo pubblica posizione anche sulla stampa locale (vedi allegato copia “Messaggero”). I quesiti che ci ponemmo in quella circostanza non hanno mai trovato risposta alcuna. In sintesi li riproponiamo ancora oggi: 1°) Come si concilia con gli scopi istituzionali del Consorzio Nazionale Dettaglianti (Conad) che una associata permetta la penetrazione sul mercato dell’Italia Centrale di un gruppo straniero capace di sviluppare un alto livello di aggressività commerciale che avrà come effetto l’ulteriore e ancor più drastica espulsione dal mercato delle piccole e medie imprese commerciali? 2°) È lecito che il Conad, o meglio Pac 2000, (associata alla Lega) che per l’insediamento a Cospea ha usufruito delle norme della legislazione regionale e del piano del commercio di Terni che favoriscono le forme associative, anche dei dettaglianti, trasferisca questi benefici ad un gruppo privato in palese contrasto con gli interessi dei dettaglianti e dei consumatori, quindi in contrasto con gli interessi generali? Quali interessi particolari e privati ha tutelato e privilegiato questa operazione? 3°) Operazioni di questo tipo sono state possibili solo a Terni e a Roma. A Modena si sono guardati bene dal farlo. Perché?

4°) Eppure in Umbria, e a Terni in particolare, ci sono altri soggetti imprenditoriali che dal 1989 (come Coop Umbria) lavorano per realizzare strutture moderne di grande distribuzione senza venirne, almeno per ora, a capo? Per tutti questi motivi e per ragionare sullo sviluppo e l’ammodernamento della rete distributiva, per evitare che in futuro si ripetano queste dolose distorsioni di tutte le regole, siamo dell’avviso di promuovere a Terni una iniziativa pubblica che, tenuto conto dei gravi problemi che sono sul tappeto, sia utile a rilanciare l’iniziativa della Cooperazione di Consumo come interlocutore idoneo alla difesa degli interessi generali dell’insieme della nostra comunità. Confidiamo sulla vostra sensibilità e vi preghiamo di predisporre un incontro per decidere tempi e modi per la realizzazione di questa iniziativa.

Lettera inviata al presidente della Lega Regionale delle Cooperative, al presidente della ARCC, al presidente di Coop Umbria e al presidente di Coop Tevere dal presidente della Sezione soci della Coop Umbria di Terni Lino Peri (nella foto in alto) il 21 novembre 1996.

Proiettarsi nel futuro

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Proposta di iniziativa pubblica sulla rete distributiva a Terni

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scoperta di una necropoli rendeva difficile la realizzazione di una superficie commerciale – e, per l’altro, un equilibrio non semplice da raggiungere, soprattutto nel momento in cui parte dell’area e delle sue immediate pertinenze è destinata a funzioni residenziali. In sintesi si tratta di coniugare la modernità di un impianto e di una funzione con la tradizione e il recupero di spazi urbani di qualità. Questi due concetti: modernità e tradizione, sono tramutati in segni concreti e tangibili attraverso il progetto architettonico della struttura che, richiamando alla memoria le attività prima svolte in quel sito, prevede il mantenimento del “laghetto” e delle “torrette” come simboli significativi e riconoscibili per la cittadinanza, pur inserendole in un intervento di ricostruzione ex novo. Inoltre, per rendere meno invasivo possibile l’intervento edilizio e mantenere la struttura più aderente all’originale si rinuncia a 12.000 mc di superficie edificabile prevista dagli strumenti urbanistici. Ciò avviene, tuttavia, in un contesto in cui la fusione tra Coop Umbria e Unicoop Senese muta le dimensioni dell’impresa e rende meno pressante la questione di Terni, dove peraltro si concentra una realtà associativa rilevante, che conta circa 13.500 soci nel 2000. La Coop Centro Italia – uno dei nove grandi gruppi in cui si articola la cooperazione di consumo legata alla Lega delle Cooperative che nel 2004 si estende sulle province di Siena, Arezzo, Perugia, Terni, Rieti l’Aquila – con un fatturato che nello stesso anno raggiunge i 576. 231.000 di euro, un risultato di esercizio di 23.848.883 euro, 2.344 addetti, 374.565 soci e 70.326 soci prestatori per un ammontare di 650,8 milioni di euro47, configura una realtà aziendale di natura diversa da quelle da cui ha avuto origine. Terni, tuttavia, senza il salto ad una grande superficie di vendita, rimane una realtà marginale che non riesce a crescere in modo significativo, attestandosi sul 4,5% dell’intero fatturato del gruppo. D’altro canto, nonostante i rinnovamenti e gli ammodernamenti e l’attenzione nella gestione dei supermercati presenti in città, dai conti economici relativi alla gestione dei supermercati di piazza Bruno Buozzi e di corso del Popolo del 1994 e del 1996 emerge una realtà destinata, con piccole varianti, a ripetersi nel corso degli anni successivi. Entrambi i negozi non raggiungono i budget preventivati. Ambedue i supermercati mostrano, sia nel 1994 che nel 1996, saldi commerciali negativi. La questione si presenta per alcuni aspetti come bloccata: la Coop Centro Italia ha bisogno a Terni di piattaforme più ampie, ma non riesce a realizzarle per ostacoli che provengono dalla realtà commerciale cittadina e per il dibattito che ciò provoca in Consiglio Comunale: alcuni si oppongono al progetto e siedono sia sui banchi della destra che in quelli della sinistra. Tale stallo è testimoniato dagli scarsi cenni che in proposito danno le relazioni alle assemblee annuali dei soci.

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Coop Centro Italia, Bilancio consolidato 2004, poligrafato.

Capitolo 5


La questione viene riportata alla ribalta il 28 settembre 2000, quando viene presentato alla Camera di Commercio di Terni il progetto che s’intende realizzare all’ex SIRI. In quell’occasione il sindaco Paolo Raffaelli, oltre a giudicare il progetto valido, si impegna a far sì che le procedure burocratiche per la concessione delle autorizzazioni amministrative vengano portate a termine nel più breve tempo possibile. Tutto ciò rappresenta un fatto nuovo e positivo nei raporti tra Coop Centro Italia e l’Amministrazione ternana. Nel forum “Ruggine o futuro”, che segue alla proiezione del video illustrativo e alla presentazione del progetto ex SIRI, Giorgio Raggi sottolinea come la Coop Centro Italia eserciti a Terni “la sua attività già per 3.000 mq” e “abbia acquistato licenze dai commercianti […] per circa 4.500 mq”. Dall’intervento emergono quali siano le preoccupazioni che agitano la città. La convinzione è che la costruzione di una nuova grande struttura metta in crisi i piccoli operatori commerciali del centro storico. La risposta è netta: “Noi siamo e saremo competitori dei grandi non dei piccoli: non saremo in antitesi a corso Tacito, ma alle aziende che oggi gestiscono grandi superfici di vendita. Sarà così non per bontà nostra, ma per posizionamento nostro nel mercato”. Ma la ratio del ragionamento è proiettata soprattutto in due direzioni. La prima è

l’attenzione alle produzioni locali che nel 2000 erano per l’intera rete di vendita pari al 16%. Si sottolinea che “poco più del 2%, […], è la produzione del territorio ternano, che trova sbocco nelle nostre reti di vendita”, l’obiettivo è ampliare la quota dei prodotti locali sia su quelli nazionali che extra nazionali: ma non semplicemente accrescendo i nostri acquisti. Intendiamo proporre ai produttori locali un patto: studiare insieme i trend del mercato e l’evoluzione dei consumi, creare i prodotti Proiettarsi nel futuro

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Invito al forum “Ruggine o futuro? Gli interventi di Coop Centro Italia a Terni: l’ex SIRI può finalmente cambiare vita!” tenuto a Terni il 28 settembre 2000 presso la Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Terni

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Progetto del complesso edilizio di Coop&Coop, oggi Ipercoop, presentato al forum “Ruggine o futuro”.

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consoni con appositi piani di marketing, fornire noi uno sbocco certo di mercato. Questa vuole essere una caratteristica precisa della nostra distintività: perché il mercato globale non omologhi e non affossi le differenti specificità territoriali48.

La seconda direzione in cui si articola la prospettiva è rappresentata dalla riflessione sul fatto che a Terni “una quota significativa dei consumi, pari a circa 60 miliardi [di lire] emigra fuori città: a Rieti, a Collestrada, alla periferia di Roma. La domanda è: vuole, prima di tutto almeno portare a reddito il proprio reddito?”. La proposta è evitare “l’emorragia di reddito dei ternani fuori da Terni” ma anche “Può Terni non solo frenare la sua emorragia ma, capovolgendo i termini, essere città moderna che funge da attrazione per territori più vasti?”. Insomma quella che si propone è una politica di sviluppo basata su elementi di marketing territoriale e da strumenti più moderni di penetrazione sul mercato. Ma lo stesso titolo del Forum: Ruggine o futuro? assume un effetto simbolico. La ruggine non è solo quella dell’antico stabilimento nella cui area deve sorgere il nuovo centro commerciale, ma anche quella di una città che ancora fatica a trova-

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Giorgio Raggi, relazione al forum Ruggine o futuro? Coop ed ex SIRI, poligrafato, 28 settembre 2000.

Capitolo 5


Posa della prima pietra del centro commerciale Coop&Coop, oggi Ipercoop (15 aprile 2003)

re nuove direttrici di sviluppo e delle stesse strutture cooperative che posseggono realtà di vendita inadeguate a recepire la nuova realtà del mercato. Fatto sta che a partire dal 28 settembre 2000 la questione dell’Ipermecato ternano torna all’attenzione degli organi societari. Non a caso nella relazione all’assemblea dei soci che da conto della gestione e del bilancio del 2000 si scrive Con il Forum Ruggine o futuro?, […], abbiamo fatto conoscere il progetto ex SIRI ed oggi stiamo ancor più insistendo per far sì che a Terni il futuro e la Coop sconfiggano la ruggine di una nostra presenza non adeguata e di una rete commerciale obsoleta”49.

Il cantiere inizia i lavori nel 2003 e il nuovo centro commerciale, denominato Coop&Coop perché provvisto di due aree di vendita distinte, con due barriere casse separate, viene aperto il 18 settembre 2005, dopo più di quindici anni di gestazione. Alla fine del 2006, le due aree vengono unificate e, quindi, viene

49

Coop Centro Italia, relazione sulla gestione cooperativa e bilancio 2000. relazione e bilancio consolidato 2000, Sinalunga, Tipografia Rossi, 2001, p. 14.

Proiettarsi nel futuro

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Da destra si riconosce il sindaco di Terni Paolo Raffaelli, il vescovo di Terni Vincenzo Paglia, il presidente di Coop Centro Italia Giorgio Raggi e il vicepresidente Paolo Grazi.

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Conferenza stampa che precede l’inaugurazione di Coop&Coop, oggi Ipercoop

Si riconoscono da destra: il presidente di Coop Centro Italia Giorgio Raggi, il vescovo di Terni Vincenzo Paglia, il sindaco di Terni Paolo Raffaelli, l’assessore alle Attività Produttive della Regione Umbria Mario Giovannetti e il vicepresidente di Coop Centro Italia Paolo Grazi.

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L’inaugurazione di Coop&Coop, oggi Ipercoop (18 settembre 2005)

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Il sindaco di Terni Paolo Raffaelli taglia il nastro alla presenza del presidente della Regione Umbria Maria Rita Lorenzetti, del vescovo di Terni Vincenzo Paglia e del presidente di Coop Centro Italia Giorgio Raggi. Capitolo 5


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Coop&Coop, oggi Ipercoop, il giorno dell’inaugurazione (18 settembre 2005)

Proiettarsi nel futuro

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Coop&Coop, oggi Ipercoop, il giorno dell’inaugurazione (18 settembre 2005)

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Capitolo 5


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meno l’esigenza di utilizzare l’insegna Coop&Coop, e il punto vendita viene ribattezzato Ipercoop. L’antica realtà cooperativa di Terni, fondata sulla solidarietà che scandisce nel corso dei decenni la vita della città operaia, si rinnova e dà vita ad una struttura distributiva moderna. Ciò avviene in un’area industriale dismessa, che viene recuperata e valorizzata. Un luogo, che per oltre un secolo e mezzo ha rappresentato la modernità e il lavoro, torna – sia pure in modo diverso – a produrre ricchezza, occupazione e sviluppo.

Proiettarsi nel futuro

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Apparati


Sigle e abbreviazioni

Sigle ACS, CPC ANPI ASSI AST, ASCT

AST, ASST

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CESTRES

246

CDL CGDL CLN COMI CRACE DC EICA ENC ENFC FIOM ICSIM

INA ISTAT

Apparati

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migliaia anno anno accademico busta confronta citato fascicolo figura chilogrammo/i numero nuova serie pagina/e senza data tabella volume


Indice dei nomi di persona

Alberti Fabrizio, 79. Alfieri Dino, 105n. Allegretti Ferdinando, 187, 187n. Allegretti Sebastiano, 144. Alterocca Virgilio, 46n, 47f, 57, 57n, 58f59f. Alunni Pierucci Francesco, 160n. Alunno Paris, 132. Amati Lorenzo, 152. Amici Giuseppe, 69. Andreasi Annamaria, 98n. Andreoli Enrico, 79. Androsciani Agamante, 178, 178n. Angeletti Giuffrida, 169, 177. Angeletti Marinella, 126n. Angeloni Publio, 5. Angelucci Francesco, 79. Angelucci Romeo, 106. Aquilani Luigi, 142. Aroldi, 32. Ascani Giuseppe, 132. Attanassi Dante, 106. Avolanti, ragioniere, 38, 38n. Balabanoff Angelica, 68, 68n, 125. Balloriani Giuseppe, 178. Barberini Edoardo, 30. Bardea Luigi, 34n. Bardi Orazio, 184. Bardini Riccardo, 106. Bartocci Biblide, 106. Bartolini Dante, 91. Basili Aldo, 170. Battilani Patrizia, XIII, 156n, 158n, 160n, 212n, 216n, 216f-217f. Battistelli Ezio, 79. Battistelli Vinicio, 181, 181n. Battistoni Dario, 38, 43, 43n. Battistoni Valentino, 38, 42, 42n.

Bea Loreto, 79. Bedini Ambrogio, 43, 43n, 66, 68-69. Belardinelli Fernando, 79. Benedetti Ottavio, 106. Benedetti Roncalli D., 6, 7n. Benucci Filippo, 106. Benvenuti Elio, 49n, 93n. Benvenuti Mario, VI, 170, 193, 193n, 194, 197, 203, 203n, 215, 215n, 218, 218n. Bergui Clemente, 30. Bernatti Antonio, 43. Berni Angelo, 106. Bernini Bruno, 112. Berrettini Elmiro, 167, 169-170. Berselli Alido, 190, 190n, 192. Bertini Gianni, 194. Biagi Augusto, 43, 43n. Bianchi Fausto, 93. Bianciardi Ludovico, 33. Bicciolo Emilio, 36, 68-69. Bindelli(?)Ottavio, 106. Bindocci Galvano, 181, 186-187, 189-190, 192. Bissi Giulio, 196. Bitti Angelo, 26n, 50n, 73f, 91, 91n. Blanc Gaspare, 30, 31, 31n., 32. Bocci, 151. Boccio Angelo, 170. Boglietti Emilio, 33. Bolletta Angelo, 106. Bolli Giuseppe, 111, 181, 181n, 181f, 182, 185-187, 189-190, 192. Bon Cassian, 2, 26, 26n. Bonelli Franco, 52n, 93n, 180. Bonfante Guido, XIII, 13n, 45n, 85n, 156n. Bonfanti Carlo, 30. Borri, eredi, 61. Bortolato Antonio, 33.

Indice dei nomi di persona

strumenti & documenti • Storia della cooperazione di consumo a Terni

(i numeri si riferiscono alle pagine b=box; f=figura; n=nota; t=tabella)

247


strumenti & documenti • Storia della cooperazione di consumo a Terni

Borzacchini Alfredo, 43. Boschi Paola, 166n. Bosco Antonio, 33. Bovini Gianni, XIII, 2n, 5n, 10n-11n, 15n, 21n, 29n, 49n, 52f, 72n, 74n, 84n, 93n, 107n, 157n. Breda Vincenzo Stefano, 33. Briganti Walter, 99, 99n. Broatelli Giuseppe, 33. Bronzetti Giuseppe, 34n. Bucari Mario, 189. Buffoli, 105. Buono Roberto, 135. Buono Ulisse, 133, 134f. Buozzi Bruno, 98n.

248

Caffarelli Cesare, 126. Cagli Emilio, 34n. Cairo Enrico, 115. Calandri Ruggero, 106. Caldarelli Giovan Battista, 196, 196n. Campagnoli Alfonso, 38. Canali Gianfranco, XIII-XIV, 6, 7n, 10n, 90n, 99n, 172n. Caporella Mario, 192-193. Capponi Bruno, 181, 186-187, 189, 192, 197,201-202. Carapacchio Bernardino, 132. Cardinali Armando, 187, 187n, 188-192. Cardinali Cinzia, XIV. Carini Arduino, 43, 62. Carletti Dante, 133, 134f. Carnieri Claudio, XIV, 184f. Casagrande Giovanni, 106. Casali Antonio, XIII, 89f, 100n, 156n, 158n, 160n-162n, 212n, 213n, 215n, 216f, 216n, 217f, 218n, 227n. Casalini Alessandro, 33, 38n. Castronovo Valerio, XIII, 1n, 161n. Cataluddi Girolamo, 140, 152. Cecchi Renato, 174. Cecchini Renato, 170. Centonze Michele, 66n, 67f. Cerri Romolo, 142. Cesari Enrico, 34n. Cesari Mario, 161n. Cesio Giuseppe, 13.

Apparati

Chatillon Pietro, 33. Checchi Alfredo, 190, 190n, 192. Checconi Sergio, 212-213, 221f. Cheli Umberto, 132. Chiapparino Francesco, XIII, 222n. Chiappero, direttore Jutificio, 142. Chiari Duilio, 106. Chiloni Alfredo, 203. Chiri M., 89f. Ciaccasassi Cesare, 79, 142, 144. Cianchetta Giacomo, 144. Ciaurro Italo, 10n. Ciferri Cornelio, 148. Ciliani Carlo, 209. Ciocca Paolo, 98n. Cioccolanti Paris, 148. Cioci Adriano, 93n. Ciorli Adina, 163n, 164f-165f. Ciuffetti Augusto, 6n, 29n, 35n, 66n, 67f. Ciuffoletti Zeffiro, XIII, 13, 13n, 16n, 45n, 85n, 156n. Coacci Alessandro, 43. Coaccioli Ernesto, 177. Cocca Pietro, 106. Coco Evaristo, 203. Colantoni Pietro, 69, 106. Colasanti Giovanni, 69. Colella Augusto, 135-136. Coletti Attilio, 34n. Conti Emilio, 178. Conti Francesco, 132. Conti Pietro, 131. Conti Roberto, 69. Contili Telemaco, 134, 134f, 135. Cordon[n]ier, 42n. Coronelli Vladimiro, XIV. Costa Andrea, 37. Covino Renato, XIII, 2n, 5n-6n, 10n-11n, 15n, 20n-21n, 24n, 26n, 28f, 29n, 49n, 52n, 52f, 54f, 84n, 88n, 90n, 92n-93n, 98, 98n, 137n, 157n, 160n-162n, 172n, 222n. Cresta Arnaldo, 132. Cruciani Guglielmo, 43. Cupido Massimo, 203. Curci Giorgio, 203. Curli Barbara, 3, 5n, 15n.


D’Amico Vito, 167, 174, 176-179. Dami Alfonso, 36. David Elisabetta, XIV. Dazio Pascucci, 198. De Angelis Gualtiero, 27, 106. De Angelis Rutilio, 177-178. De Luca Ciro, 30. degl’Innocenti Maurizio, XIII, 13n, 45n, 85n, 156n. Della Bina Mario, 176. Delle Fate Umberto, 196, 196n. Di Deodato Francesco, 167. Di Giacomo Giovanni, 174, 174n, 189. Di Matteo Vittorio, 33. Di Sano Luigi, 26n. Dolcetti Luigi, 167, 178, 181, 186, 189-190, 192. Dolfos Federico, 145. Domenici Gino, 213, 215, 221f, 227. Donzellini Giuliano, 136. Dramis Francesco, 182, 184-186. Drussard Giuseppe, 30. Eleodori Amedeo, 148, 151. Eleodori Aroldo, 148. Elmi Marino, VI, 214, 214f. Elmi Teresa, 214, 214n-215n. Ernesto Coaccioli, 178. F.M., 98n. Fabretti Leopoldo, 33. Fabri Alessandro, 10, 38, 106. Fabri Angelo, 34n. Fabri Ferdinando, 106. Facchini Fabio, 6n. Faina, famiglia, 6n. Faina Carlo, 92. Faina Eugenio, 6, 44b. Falchetti Belisario, 145. Falessi Giuseppe, 145, 151. Farini Pietro, 50, 50n, 67-68, 72, 72n, 73f, 74, 90-91, 91n, 108, 126. Federici Giuseppe, 106.

Feliziola Ivanovic, 203. Ferranti Gio Battista, 126. Ferraris Pietro, 33. Ferretti Domenico, 34n. Ferretti Ottorino, 126. Fidanza Francesco, 132. Filippi Pietro, 43, 106. Filipponi Alfredo, 171, 171n, 176-178, 181, 189. Filipponi Ivana, 174n, 187, 187n. Fiorelli Fabio, 186, 186n, 187. Fiumani Giuseppe, 135. Folli Diodato, 30. Fongoli Luigi, 79. Foschi Martino, 126. Francescangeli Eros, 90n. Franci, 141. Frascella Roberto, 151. Fulvi Clasio, 174. Furno Epifanio, 69. Fusacchia Giuseppe, 134, 134f. Galasso Giuseppe, XIII, 1n, 161n. Galeazzi Aldo, 187. Gallea Giuseppe, 30. Galletti Oreste, 30. Galligani Bruno, 190. Gallo Giampaolo, XIII, 2n, 20n, 26n, 29n, 28f, 43n, 52n, 54f, 57n, 88n, 137n. Garofoli Paolo, 10. Gatti Umberto, 174. Gelosi Gino, XIV, 170, 179, 179n, 185, 187, 201f, 204f. Gennari Aspromonte, 170. Gennari Luigi, 189-190, 192. Geremei Crispino, 179. Giani Gisa, 17n, 30n, 33n, 35n-36n, 40n, 68n, 176n. Giannelli Domenico, 10, 10n-11n. Giannelli Umberto, 43, 43n. Giardinieri Giuseppina, 45n. Giolitti Giovanni, 84. Giorgini Michele, 12n, 24n, 29n, 49n, 57n, 74n, 93n, 98n, 126n, 137n. Giovannetti Mario, 240f. Giovetti Giuseppe, 34n. Giulivi Alfiero, 114.

Indice dei nomi di persona

strumenti & documenti • Storia della cooperazione di consumo a Terni

Custodi Rodolfo, 193, 193n, 200-201, 201f, 202, 202n.

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Giustinelli Franco, 108-109. Gnocchini, 169. Governatori Giuseppe, 145, 148. Grassi Savino, 69. Grazi Paolo, 239f-240f. Greco Eugenio, 2t, 4f. Grilli Cesare, 33. Grilli Giovanni Filippo, 30. Grohmann Alberto, 2n. Grohmann Alberto, 3, 3n, 4f, 11n, 20n. Guagliozzi Giuseppe, 106. Guerrini Enrico, 79. Guerrucci Chiara, XIV. Guidarelli Alberto, 170, 194. Guidarelli Angelo, 151.

strumenti & documenti • Storia della cooperazione di consumo a Terni

Iacobelli Emiliano, V, 181. Iacobelli Emilio, 145. Iacobelli Giovanni, 126. Iezzi Lamberto, 181, 181n. Inches Vincenzo, 171, 171n, 177. Indovina Francesco, 163n, 164f, 165f.

250

Jacobis Gaetano, 79. Jezzi Remigio, 68. Jezzi Vittorio, 33. Labriola Antonio, 17. Laliscia Ulderico, 126. Lanci Giuseppe, 148. Lanzi Luigi, 46n, 47f, 58f-59f. Lanzoni Antonio, 34n. Latini Achille, 148. Latini Benedetto, 203. Laureti Ottavio, 110. Laureti Ovidio, 185, 185n. Lendinara Giuseppe, 151. Leonardi Costantino, 142, 144. Leti Acciaro Zeno, 199, 199n. Liurni Adriano, 79, 142, 144. Lizzi Custodi Anna, XIV, 201f, 202n. Longobardi Michele, 34n. Lorenzetti Maria Rita, 240f. Lorenzoni Ferruccio, 187, 189. Lucarelli Ovidio, 43. Lucchini Riccardo, 69. Luccioni Pietro, 151.

Apparati

Luchini Altobrando, 106. Luciani Pietro, 145, 152. Lui, 11n. Luigi Michiorri, 176n. Luna Arturo, 64f, 65, 68-69. Lustrissimi Giuseppe, 133, 134f. Luzzatti Luigi, 14-15, 105. Luzzi G., 42n. Maccadei Duilio, 144. Malaspina Alessandro, 106. Malfatti Bernardino, 106. Malussina Alessandro, 106. Mammarella A., 89f. Mancinelli Salvatore, 43. Mancisei Tommaso, 66n, 67f. Manelli Raimondo, 11n-12n, 31n, 37n. Mangiucca Falando(?), ragioniere, 106. Mani Quirico, 34n. Manni Mario, 76. Marcarelli Ettore, 34n. Marchi Giancarlo, 203. Marcucci Giuseppe, 126, 132. Margheriti Armando, 167, 169. Mariani Domenico, 132. Mariani Tullio, 38, 42, 42n, 43, 43n, 45, 46, 46n, 48, 56-57, 60-61, 65, 67. Marini Giorgio, XIV, 222. Marocchino Luigi, 34n. Marsiliani Americo, 145, 148, 151. Marsiliani Arduino, 151. Martinelli Alcide, 187, 187n. Massarini Cesare, 132. Massarucci Alceo, 10. Mazza Emilio, 137. Mazzetti Odoardo, 117n, 132, 145-146, 177, 177n, 185-186. Mazzini Giuseppe, 1, 13-14, 105. Mazzocchi Armando, 134, 134f, 185, 187. Melisurgo Giuseppe, 34n. Mencarelli Ottorino, 178. Menichini Ferdinando, 144. Menicocci Giuseppe, 106. Merli Stefano, 40n. Miccadei Duilio, 148, 153-154. Michele Centonze, 66n, 67f. Michiorri Luigi, 176, 180-181, 186.


Nardi Felice, 151-152. Negroni Ismaele, 33. Neri Alfonso, 142. Neri Americo, 151. Neri Danilo, 181. Neri Domenico, 145, 148, 151. Neri Luigi, 148, 151. Neri Marino, 148. Neri Mosè, 126. Neri Orsino, 151. Neri Sabatino, 151. Nevi Nevio, 106. Nicali Emilio, 106. Nitti Saverio, 84. Nobili Luigi, 145, 148. Nobili Tito Oro, V, 19, 106-109. Novelli Paolo, 203. Offredi Giovanni, 33. Orlandi Roberto, 126. Orlando Giuseppe, 51, 78. Orsini Pietro, 187. Ottaviani Ezio, 90n, 107n, 108, 108n. Ottaviano Mariano, 126.

Paccara Alfio, VI, 171, 171n, 174n, 181f, 187, 187n, 196, 196n, 199, 213, 214f, 214n-215n. Paganelli, 5. Paglia Vincenzo, vescovo, 239f-240f. Pagliani Luigi, 66n, 67f. Pagliari Armando, 181. Pagliaricci Claudio, 203. Pallotta Agostino, 38. Palmieri Umberto, 38. Palmili Giacomo, 34n. Palombi Roberto, 114. Panetti Rodolfo, 114. Pangrazi Nunzio, 133, 134f. Panico Adolfo, 126. Pannuzzi Antonio, 170. Pannuzzi Giovanni, 151. Paolelli Nicola, 142, 145. Paolucci Adelmo, 167. Paolucci Luca, 79, 106. Papuli Gino, 29n. Parruccini Andrea, 33. Pascucci Dazio, 170, 185, 185n, 187, 189190, 192, 197f, 199. Passavanti Elia Rossi, 92. Pazzaglia Fabio, 69. Pecorari Sergio, 209-210. Pellegrini Augusto, 170. Pellegrini Enrico, 79, 142. Pellerito Faro, 187, 189-190, 192. Pelosi Massimo, 210. Pennacchi Alfredo, 142. Pennesi Attilio, 132. Pennesi Domenico, 126. Pepoli Gioacchino Napoleone, 26. Pera Alessandro, 69. Perazzini Romolo, 43. Peri Lino, VI, 232n, 234f, 235b. Pernazza Carla, 166n. Pernazza Remo Antonio, 203. Perni Enrico, 133, 134f, 135. Perotti Raimondo, 106. Petrelli Guglielmo, 126, 132, 145, 148. Picciacchi Antonio, 148. Piccinini Rosanna, XIII-XIV, 10n. Pierangeli Onesto, 68-69. Pierini Tommaso, 69.

Indice dei nomi di persona

strumenti & documenti • Storia della cooperazione di consumo a Terni

Misuri Alfredo, 90. Molinari Gino, 181, 185-186. Monicchia Roberto, 137n. Montanari Italo, 178-179. Montecchi Olivo, 33. Montesi Pietro, 168, 170. Morelli Angelo, 106. Morelli Comunardo, 171, 171n. Morelli Gerardo, 133, 134f. Morelli Giulio, 62, 65, 67-68. Moretti Angelo, 186. Moretti Gervasio, 75. Morganti Luigi, 155. Moriconi Rodolfo, 69. Morrichini Romolo, 144. Morsetti Virgilio, 132. Mortara Angelo, 98n. Moscatelli Ercole, 43. Moscatelli Torello, 132. Mulas Virgilio, 194. Mussolini Benito, 86, 100. Mussoni Libero, 189, 189n, 190, 192.

251


Piermatti Limperio, 170. Pierotti Riccardo, 135-136. Pierucci Roberto, 30. Pietrini Mario, 190, 192. Pileri Italo, 111. Piscini Giuseppe, 79. Pitteluga Francesco, 33. Poletti Giuliano, 228n-229n. Polidori Ernesto, 144. Ponti L., 21n. Porazzini Evaristo, 145, 152. Porcaro Maria Rosaria, 137n. Porchetti Riccardo, 68, 126. Portelli Alessandro, 90n-91n, 132n. Postiglione Gaetano, 86. Pozzi Augusto, 7n, 10n. Prampolini Camillo, 18. Proietti Abramo, 79, 142. Proietti Dante, 79. Proietti Divi Ettore, VI, 214. Proietti Domenico, 106. Pucci Italo, 153.

strumenti & documenti • Storia della cooperazione di consumo a Terni

Quadraccia Sergio, 203. Quaglia Vittorio, 79.

252

Rabbeno Ugo, 15-16. Raffaelli Paolo, 237, 239f-240f. Raggi Amedeo, 133, 134f, 136. Raggi Giorgio, VII, 218, 219n, 220f, 220n, 224n, 227, 227n, 237, 238n, 239f-240f. Ramozzi Augusto, 79, 142, 144. Ramozzi Settimio, 81. Ratti, ingegnere, 49. Ravazzini, 115n. Riccardi Luigi, 5, 38, 42, 45, 59f, 73f. Riccardi Paolo, 69, 79, 106. Ricci Feliziani Ciano, 199. Ridolfi Angelo, 38. Rinaldi Francesco, 30. Rinaldi Pietro, 142. Rinalducci Tommaso, 177. Rizzi Enrico, 38, 38n, 43, 43n. Roberti Augusto, 106. Romagnoli Marisa, 12n, 24n, 42n, 45n. Romoli Gino, 176. Rosati Emolo, 170.

Apparati

Rossi Passavanti Elia, 144. Rossi Raffaele, 12n, 24n, 98n, 126n, 137n. Rossi Riziero, 174, 176-177. Sabatini Geremia, 132. Sabatini Lazzaro, 126. Sabatini Umberto, 132. Sagrafena Giorgio, 194. Sallustio Gennaro, 167, 176-177., 196. Salvati Antonio, 106. Salvati Raniero, 126, 145. Sani Giuseppe, 151. Santoni Ettore, 177. Sapelli Giulio, XIII, 13n, 45n, 85n, 156n. Sapora Bramante, 170. Sassi Ercole, 79. Sbandati Enido, 197f. Sbarzella Maurizio, 163, 163n. Scarnigi Augusto, 79. Scarpetti Clemente, 34n. Scarpini Leonardo, 212. Scelba Mario, 191. Scheggi Roberto, 103f . Schiara Misiano, 170, 194, 194n, 195-196, 196n, 197, 199. Sconocchia Adriano, 10, 10n. Sconocchia Americo, 106. Sconocchia Guglielmo, 33. Sconocchia Salvatore, 77. Scorza Ruggero, 106. Secci Emilio, 181, 181n, 186, 192. Secci Ettore, 106, 176, 176n. Selva Giovanni, 30. Sensi Eugenio, 106. Sensini Daniele, 60, 65, 67, 69. Sigismondi, 40. Silvestrelli Marcello, 167, 169, 174, 176. Silvestri Carlo, 79, 140-142. Spadoni Amilcare, 33, 78. Spallone Giulio, 161n. Spinelli Guglielmo, 135. Stanchina Giovanni, 30, 32. Starace Achille, 93. Stefanelli Romano, 151. Stefanini Cesare, 106. Storari Eugenio, 34n.


Vaccari O., 27n. Valsenti Alvaro, 174n, 176n, 178n-181n, 185n, 187n, 189, 189n, 190, 190n, 192, 193n, 194f, 194n, 196n, 197f, 199n. Venanzi Marco, 26n.

Verducci Sabatino, 145, 148. Vergnanini Antonio, 19-20. Vincenzi Giacomo, 110. Vincenzoni Menotti, 190, 192. Viola Gino, 189, 189n. Virili Antonio, 142. Vitali Adamo, 145. Vitali Silvano, 148. Wapler Gernot, 20n. Zamagni Vera, XIII, 98n, 156n, 158n, 160n, 212n, 216f, 216n, 217f. Zangheri Renato, XIII, 1n, 3, 3n, 161n. Zenobi Ugo, 176. Zenoni Bruno, 99n, 132n, 180, 180n, 181, 186-187. Zenoni Rolando, 170, 180, 194, 194n. Zenzero Luigi, 106. Zibordi Giovanni, 18.

strumenti & documenti • Storia della cooperazione di consumo a Terni

Tazza Altobrando, 106. Tazza Umbro, 169. Terruzzi Paolo, 87. Tieri Antonio, 38, 43, 43n. Tini Severino, 66n, 67f. Tittarelli Luigi, 20n, 26n, 29n, 52n, 54f. Tobia Pietro, 132, 167. Tognarelli Bruno, 174, 185-186. Toniolo Gianni, 98n. Tosti Mario, XIV. Trevisan, assessore, 108n. Trottarelli Giacomo, 65, 66n, 67f. Turati Filippo, 17, 85.

Indice dei nomi di persona

253



strumenti & documenti COLLANA

DIRETTA DA

Villaggi operai nell’Italia settentrionale e centrale tra XIX e XX secolo, a cura di Renato Covino, ISBN 88-87288-15-1. Le industrie di Terni. Schede su aziende, infrastrutture e servizi, a cura di Renato Covino, ISBN 88-87288-16-X. Francesco Chiapparino e Renato Covino, Consumi e industria alimentare in Italia dall’Unità a oggi, ISBN 88-87288-19-4.

RENATO COVINO co-industriale, ISBN 88-87288-48-8. Mauro Cavallini, Fortuitum & sordidum opus. Appunti di storia della metallurgia, ISBN 88-87288-58-5. Renato Covino, Prometeo incatenato. Vita e morte di un organizzatore operaio. Francesco Innamorati (1893-1944), ISBN 8887288-70-4.

Augusto Ciuffetti, La città industriale. Un percorso storiografico, ISBN 88-87288-259.

Angelo Bitti e Stefano De Cenzo, Distruzioni belliche e ricostruzione economica in Umbria. 1943-1948, ISBN 88-8728865-8.

Paolo Raspadori, L’autorità debole. Il Comitato di Liberazione Nazionale di Spoleto attraverso i verbali delle sue riunioni (19441946), ISBN 88-87288-22-4.

Patrimonio e monumenti industriali in Umbria, atti del convegno (Narni, 26 novembre 2004), a cura di Francesca Ciarroni, ISBN 88-87288-57-7.

Stefano De Cenzo, La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria. 18451927, ISBN 88-87288-20-8.

Il museo come memoria: la miniera di lignite di Collazzone, atti della giornata di studi (Collazzone, 12 dicembre 2003), a cura di Roberto Monicchia, ISBN 8887288-56-9.

Gino Papuli, Archeologia del patrimonio industriale. Il metodo e la disciplina, ISBN 88-87288-37-2. Augusto Ciuffetti, Casa e lavoro. Dal paternalismo aziendale alle “comunità globali”: villaggi e quartieri operai in Italia tra Otto e Novecento, ISBN 88-87288-429. Gianfranco Canali, Operai, sovversivi e resistenti. Scritti sull’Umbria e su Terni, a cura di Renato Covino e Rosanna Piccinini, ISBN 88-87288-18-6. Rosa Alba Petrelli, L’Arsenale Marittimo Militare di Taranto. Un’indagine archeologi-

Gianni Bovini, Renato Covino, Cristina Saccia, La cooperazione di consumo a Terni. Dalla ruggine al futuro, ISBN 8887288-78-X.

Volumi in preparazione Pietro Farini, In marcia con i lavoratori, a cura di Angelo Bitti, ISBN 88-87288-178. Francesca Tenore, Rilevazione, censimento e catalogazione del patrimonio industriale in Europa.


finito di stampare da Edizioni Prhomos - Divisione Stampa Digitale CittĂ di Castello (PG) nel dicembre 2006 per conto di CRACE


ISBN 88-87288-78-X

Storia della cooperazione di consumo a Terni. Dalla ruggine al futuro

15,00 (IVA inclusa)

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GIANNI BOVINI RENATO COVINO CRISTINA SACCIA

Indice del volume Premessa; 1. La genesi della cooperazione di consumo: le società di mutuo soccorso; 2. La cooperazione di consumo tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale; 3. Dalla prima guerra mondiale al crollo del regime fascista; 4. La cooperazione di consumo nel secondo dopoguerra; 5. Proiettarsi nel futuro; Apparati: Sigle e abbreviazioni; Indice dei nomi di persona.

GIANNI BOVINI RENATO COVINO CRISTINA SACCIA

Storia della cooperazione di consumo a Terni Dalla ruggine al futuro


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