Crace la miniera della memoria collazzone voci documenti immagini catalogo della mostra collazzone 2

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Mostr documentaria Mostraa storico storico-documentaria

in collaborazione con Circolo Culturale ARCI “La Gramigna� Scuola Elementare e Scuola Media di Collazzone



Catalogo della mostra realizzato con il contributo della Fondazione Cassa Risparmio Perugia

La mostra resterà aperta al pubblico dal 2 agosto al 31 dicembre 2003 • dal lunedì al sabato 9,00 - 13,00 • martedì e giovedì 15,30 - 18,00 • domenica e festivi (agosto e settembre) 16,00 - 20,00 • altri festivi chiuso

Per informazioni Ufficio Cultura del Comune di Collazzone tel. 075 8781722 (075 8781711 centr.) www.comune.collazzone.pg.it info@comune.collazzone.pg.it


Consulenza scientifica Renato Covino Progetto grafico Vito Simone Foresi Coordinamento Gianni Bovini Ricerche documentarie e iconografiche Marusca Ceccarini Cristina Saccia Realizzazione plastico e modello Viviana Fabre (Mancini Interior’s, Perugia) Progettazione plastico e modello Gian Paolo Mancini, Perugia Disegni e acquisizioni immagini Cristina Saccia Testi Marusca Ceccarini Cristina Saccia Trattamento elettronico delle immagini della ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni Marco Giani, Terni Realizzazione CRACE, Perugia Montaggio video Guido Fastellini Stampa pannelli Grafidea, Perugia Stampa catalogo Grilligraf, Collazzone

Collaboratori Isabella Alunno Alessia Fiaschini Palmiro Latini Rolando Latini Valentina Menghinelli Giorgiana Saccarelli Segreteria e organizzazione Silvana Favetti Primo Mazzoni Ugo Saveri Si ringraziano Archivio di Stato di Perugia Archivio di Stato di Terni Fornaci Briziarelli Marsciano Comune di Marsciano, Biblioteca Comunale “Luigi Salvatorelli” Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea Miriana Marabissi Roberto Monicchia Servizio Musei e Beni Culturali della Regione Umbria Soprintendenza Archivistica per l’Umbria ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni un ringraziamento particolare agli ex lavoratori Fabiola Andreani Rodolfo Bighi Adelmo Burletti Alessandro Cavalletti Frido Faraghini Gino Farinelli Roberto Farinelli Alceste Fiorini Ercole Marconi Antonio Mazzoni Gino Mazzoni Domenico Montagna Carlo Padiglioni Torello Padiglioni Igino Palermi Pietro Pelli Marsilio Proietti Ruggero Quintavalle Aldo Sposicchi

Il logo

è stato disegnato dagli alunni della scuola media

 2003 Comune di Collazzone


La miniera di lignite di Musolischio, che è stata così importante per gli abitanti di Collazzone e del suo circondario, ha dato l’idea di realizzare una mostra, prima tappa del percorso che ha come obiettivo finale l’allestimento di un museo della miniera. È per questo motivo che l’Amministrazione Comunale di Collazzone ha avviato un programma di ricerche e di collaborazione con altri enti e istituzioni che si concretizzerà a breve in una giornata di studi sulle miniere di lignite in Umbria. Queste iniziative si integrano con tutte quelle già avviate da tempo nel settore della cultura, del turismo e dell’ambiente e prevedono il completamento del sentiero naturalistico denominato della “miniera”, in quanto percorso dai lavoratori di Musolischio. Obiettivo specifico di questa mostra, realizzata grazie al prezioso contributo della Fondazione Cassa Risparmio Perugia, è quello di risvegliare l’interesse su un tratto di storia della comunità, di attivare quel canale di comunicazione che trasforma la memoria individuale in memoria collettiva. La ricerca che ha prodotto la mostra ha sicuramente raggiunto due obiettivi. Il primo è la sistematica raccolta di documentazione archivistica, bibliografica e iconografica, finora quasi completamente inesplorata, che sarà messa a disposizione di quanti vorrano prenderne visione, e che speriamo possa essere ulteriormente integrata. Il secondo è costituito dalle testimonianze di ex lavoratori, che sono state registrate e trascritte. Senza questa iniziativa quelle testimonianze, non meno preziose dei documenti, sarebbero rimaste relegate nella mente dei protagonisti, che non avrebbero potuto far conoscere, con le loro parole, alle nuove generazioni, i ricordi e le vicende particolari di quelle che le hanno precedute. Ai componenti del Circolo Culturale ARCI “La Gramigna” e a tutti gli ex lavoratori va il sentito ringraziamento dell’Amministrazione per la disponibilità e per il prezioso contributo che hanno voluto e saputo dare. Da ultimo, un ringraziamento va ai dirigenti scolastici, agli insegnanti, agli alunni delle scuole elementare e media di Collazzone, che hanno dedicato una parte del loro programma didattico a questo specifico aspetto della storia del nostro territorio. L’Assessore alla Cultura Anna Rosa Goracci

Il Sindaco Luciano Minciotti



Indice Questo catalogo ripropone i testi e le immagini della mostra: i numeri in basso a destra delle pagine dispari indicano quindi il numero del pannello. Le due pagine centrali del catalogo, non numerate, riportano invece una breve sintesi delle interviste fatte agli ex lavoratori dai componenti del Circolo Culturale ARCI “La Gramigna”.

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Il territorio La popolazione e le attività produttive La lignite in Umbria La coltivazione delle miniere di lignite

Gli ex lavoratori raccontano 5 6 7 8 9 10 11

L’uso della lignite La lignite a Collazzone: ricerche e sfruttamento La lignite a Collazzone: la gestione della Società Terni Le infrastrutture della miniera Il lavoro in miniera La chiusura della miniera Musolischio-Collazzone La miniera Musolischio-Collazzone oggi


Il territorio

1 I confini dell’attuale comune di Collazzone, con alcuni dei suoi principali centri abitati affrescati da Andrea Polinori, nel 1629, nella Carta geografica del territorio di Todi che si trova nella Galleria del Vescovado (tratte dal volume Collazzone. Catalogo delle opere d’arte, Ediart, Todi 1999).

2-4 A sinistra, alcune rappresentazioni del territorio di Collazzone nella cartografia storica; dall’alto: Territorio di Perugia. Perusia (A. Ortel, 1601), Umbria overo Ducato di Spoleto (J. Jansson, 1647 ca.) e Territorio Perugino (J. Jansson, 1647 ca.).

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l Bellucci riferisce della presenza di insediamenti umani nel territorio già nel Pliocene. Dopo lo svuotamento del lago Tiberino e la formazione dell’alveo del Tevere, viene abitato dagli Umbri, poi dagli Etruschi e, quindi, dai Romani. Le tracce epigrafiche rinvenute consentono di ricostruire lo stato degli insediamenti romani (”Le Carceri”). Il confine preromano e romano tra Perugia, Bettona e Todi correva a nord di Casalalta e Canalicchio, e corrisponde con il limite del territorio dell’antichissima diocesi tudertina: Todi è stata a lungo la città dominante; ad essa era collegata tramite la strada che da Orte conduceva al Nord. Intensi scambi si sono avuti anche con la vicina Marsciano: il fiume Tevere veniva superato grazie all’ausilio di barche (poi man mano soppiantate dai ponti) che hanno svolto un regolare servizio di traghettamento di merci e persone fino ai primi anni sessanta del Novecento. Questi rapporti gerarchici tra i territori non hanno subito sostanziali modifiche neanche dopo la costruzione della Ferrovia Centrale Umbra e, poi, della superstrada “E45”. Anzi, la presenza della lignite, segnalata già agli inizi del Seicento ed estratta in modo sistematico dalla fine dell’Ottocento fino al 1948, hanno rafforzato il rapporto con Marsciano.


5-6 A sinistra la piantina del territorio realizzata da Andrea Giovannelli nel 1734-35, all’epoca dei ritrovamenti archeologici nell’area delle “Carceri”. Al centro, a sinistra il disegno dei bassorilievi ritrovati dallo stesso (Biblioteca Oliveriana di Pesaro, foto di F. Orsini, in Giorgio Comez e Filippo Orsini, Collazzone. Venticinque secoli di storia, Comune di Collazzone, Collazzone 1997).

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4 Particolare della Corografia del territorio comunale di Collazzone databile alla seconda metà dell’Ottocento (Comune di Collazzone, Ufficio Tecnico). Sono evidenti sul Tevere le due barche utilizzate per oltrepassare il fiume e raggiungere il territorio di Marsciano; quella nei pressi di Piedicolle è stata in funzione fino all’inizio degli anni sessanta del Novecento.

Il territorio

Il manufatto “Le Carceri”, in vocabolo Belvedere, attesta la presenza di una villa romana nei cui vani “a sala” era raccolta una notevole quantità d’acqua per alimentare un complesso termale. Il nome deve però probabilmente attribuirsi a una tradizione medievale (Paolo Bruschetti, Una villa sul Tevere: insediamenti e vie d’acqua, in Accademia Properziana del Subasio di Assisi, Università degli Studi di Perugia, Assisi e gli Umbri nell’antichità, atti del convegno internazionale, Assisi, 18-21 dicembre 1991, a cura di Giorgio Bonamente e Filippo Coarelli, Società Editrice Minerva, Assisi 1996, fig. 3).

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La popolazione e le attività produttive

1 Variazioni percentuali dell’ammontare della popolazione residente di Collazzone e dell’intera provincia di Perugia negli intervalli intercensuari dal 1861 al 1951 (Luigi Tittarelli, Evoluzione demografica dall’Unità a oggi, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria, a cura di Giampaolo Gallo e Renato Covino, Einaudi, Torino 1989, pp. 146-149).

2 Una famiglia contadina nel 1910 (Immagini di donne dalle campagne umbre. ieri e oggi, a cura di Cecilia Cristofori e Maria Rosaria Porcaro, Regione dell’Umbria, 2000 - fototeca ISUC).

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’economia del territorio di Collazzone è essenzialmente agricola. Nel corso del tempo si passa da un’agricoltura scarsamente specializzata, basata prevalentemente sull’autoconsumo, a una caratterizzata dalla produzione di vite e olivo: nel 1890 il comune conta 252 addetti all’industria e ben 32 lavorano in 16 mole da olio. A Collazzone, come in tutta la regione, all’attività agricola si affianca quella tessile: numerosi (192 nel 1890) sono i telai istallati presso le famiglie contadine che forniscono un utile integrazione ai redditi provenienti dal lavoro nei campi. Fortemente legata all’agricoltura è la dinamica demografica: dall’Unità fino ai primi del Novecento la popolazione aumenta in misura maggiore rispetto a quella della provincia di Perugia, seguendo l’evolversi delle attività agricole che divengono sempre più specializzate e redditizie. Le rilevazioni disponibili (1870, 1910 e 1930) dimostrano un forte incremento della percentuale di seminativi arborati rispetto alla superficie agraria e forestale che passa dal 18% (valore analogo alla media regionale) al 45% (contro una media umbra del 31%). Nello stesso arco di tempo, di contro, la percentuale di addetti all’industria rispetto alla popolazione residente, pur registrando un sensibile incremento relativo (da 0,22% a 2,54), rimane costantemente inferiore alla media regionale (rispettivamente 1,27% e 6,86%), a sua volta inferiore a quella nazionale. In questo quadro, i bassi salari assicurati dalla miniera di Collazzone costituiscono solo un’in-


3 Una vendemmia nelle campagne di Collazzone nel 1949 (Umbria: gente, lavoro e tradizioni delle campagne umbre. Immagini di vita contadina tra Ottocento e Novecento, Regione dell Umbria, 1998 - foto Domenico Santoni, Torgiano).

4 La raccolta delle olive agli inizi del Novecento (Umbria: gente, lavoro e tradizioni delle campagne umbre. Immagini di vita contadina tra Ottocento e Novecento, Regione dell Umbria, 1998 - collezione Bartocci, Foligno).

La popolazione e le attività produttive

tegrazione a quelli dell agricoltura. Ciò nonostante, soprattutto in considerazione dell alto numero di addetti, la sua chiusura inciderà profondamente sull economia locale. La cessazione di questa attività industriale, insieme alla crisi del sistema mezzadrile, contribuirà a dare consistenza all ondata migratoria degli anni cinquanta del Novecento.

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La lignite in Umbria

1 Donne al lavoro nella miniera a cielo aperto di Pietrafitta nei primi del Novecento (Fototeca dell’Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea).

2 Le miniere di lignite in Umbria. I laghi Tiberino ed Eugubino sono stati desunti da Bernardino Lotti, L’antico lago Tiberino e le ligniti dell’Umbria, in “La Miniera Italiana”, I, 7, settembre 1917. Le miniere sono state localizzate sulla base dei dati riportati dalla “Rivista del Servizio Minerario”, poi “Relazione sul Servizio Minerario”.

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a lignite, classificata nel commercio internazionale come Brown Coal, cioè carbone marrone, è un carbone “molto giovane”. È infatti un materiale organico, di origine vegetale, in corso di fossilizzazione in un ambiente anaerobico, cioè privo di ossigeno. Quella presente in Umbria si è formata in epoca pliocenica; è un “prodotto di estuario” che si è originato dalla crescita di piante lacustri sui resti delle preesistenti. In quel periodo (da 5 a 1,7 milioni di anni fa), il Tevere non esisteva come corso fluviale e le acque del suo bacino si raccoglievano nel lago Tiberino. Il gruppo collinare di Collazzone, compreso nella parte settentrionale dei Monti Martani, costituiva lo spartiacque di questo grande lago, che nel quaternario antico (circa 1,7 milioni di anni fa) formava la più vasta distesa di acque dell’Italia centrale: sul suo bacino si trovano le principali miniere di lignite dell’Umbria. I depositi di questo lago sono formati da ciottoli e sabbie in alto e da argille in basso; tra queste, a livelli differenti, sono racchiusi banchi di lignite xiloide, in parte completamente legnosa costituita da tronchi di vege-


3 Sezione del giacimento lignitifero di Galvana (Renzo Battistella, L’Umbria e le sue ligniti, Giuffrè, Milano 1960, p. 67).

4 Sezione del giacimento di lignite di Colle dell’Oro, a Terni, 1887 (Archivio di Stato di Terni, Archivio Storico della Società Terni, primo versamento, b. 226, fasc. 10).

5 Operai nel piazzale della miniera di Bastardo, davanti agli imbocchi delle gallerie (Fototeca dell’Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea).

La lignite in Umbria

tali, in parte torbacea scistosa, formata essenzialmente da foglie delle stesse piante. Questi banchi hanno uno spessore che varia da 1,5 a 7 metri; il potere calorifico del combustibile, dopo essiccazione, è di circa 3.500 calorie. Il residuo terroso varia dal 2% della lignite xiloide al 10% della torbacea. Dato il ritardo dell’avvio del processo di industrializzazione in Italia, e in Umbria in particolare, prima della grande guerra mondiale vengono esplorati o sfruttati pochi giacimenti: Morgnano, Sant’Angelo, Colle dell’Oro, Fontevecchia, Caiperino. Durante gli anni del conflitto ne vengono messi in evidenza molti altri, specialmente con trivellazioni effettuate sulla scorta degli affioramenti: Tavernelle, Pietrafitta, Deruta, Collazzone, Massa Martana, Dunarobba, Collesecco, Montecastrilli, Cavallaro, Torgiano, Bevagna, Ilci, Galvana (questo giacimento si trova sui resti del lago Eugubino), Padule, Cannetaccio, Aspra, Orte, Braschi. A questi si devono aggiungere le esplorazioni che non ebbero grande successo, ma che dimostrarono la presenza di lignite anche sulla destra del Tevere nel bacino di Todi, a Compignano e a Morcella.

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La coltivazione delle miniere

1 Schema di coltivazione di una miniera a cielo aperto (V. Zoppetti, Manuale di arte mineraria, Hoepli, Milano 1881, fig. 81).

2-3 Una delle gallerie e lo smistamento dei carrelli nella miniera di Morgnano. I carrelli erano utilizzati sia per il trasporto della terra sia per la lignite (ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni).

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ccertata la consistenza del banco di lignite, si procede con i lavori di tracciamento che consistono nel seguire il banco tracciando gallerie a diversi livelli, messe in comunicazione da gallerie in pendenza (discenderie) e pozzi, fino a creare una rete detta quartiere o massiccio. Terminati i lavori preparatori si passa alla coltivazione della miniera e cioè all’estrazione del minerale. Molti e diversi tra loro sono i metodi di coltivazione, determinante nella scelta è la profondità e l’inclinazione del banco. Si pratica la coltivazione a cielo aperto, quando il minerale affiora in superficie o si trova poco sotto di essa ed è privo di inclinazione (vedi la miniera di Pietrafitta). Quando il giacimento è in pendenza si utilizzano gallerie inclinate dalle quali partono, a diversi livelli, le gallerie che seguono il giacimento (vedi la miniera di Collazzone). Se la profondità è elevata, il banco ha uno spessore consistente e non ha particolare pendenza si utilizzano pozzi verticali dai quali partono le gallerie di livello (vedi miniera di Morgnano). L’abbattimento della lignite avviene tramite l’utilizzo del piccone con il quale si forma un solco (intaglio) nel tratto di banco da abbattere. Nell’intaglio si piazzano le cariche esplosive in modo da provocare il distacco della porzione di banco desiderata.


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6 Schema di sfruttamento di un giacimento a bassa pendenza con pozzo e gallerie (Enciclopedia Treccani, ad vocem “Miniera”, 1937, fig. 4).

7 Il fronte di abbattimento del minerale in una miniera con giacimento inclinato fino a 30°-35°; in questo caso il taglio si dice “montante” (Enciclopedia Treccani, ad vocem “Miniera”, 1937, fig. 19).

La coltivazione delle miniere di lignite

Donne al lavoro nella miniera a cielo aperto di Pietrafitta alla fine degli anni dieci del Novecento (Fototeca dell’Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea). Gli attrezzi usati sono quelli riportati nella voce “Miniera” della Treccani.

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Gli ex la vor lavor voraatori racconta no ccontano

Isabella Alunno, Alessia Fiaschini, Valentina Menghinelli e Giorgiana Saccarelli (del Circolo Culturale ARCI “La Gramigna”), hanno intervistato diciannove ex lavoratori della miniera, tra cui una donna addetta alla cernita. La trascrizione delle interviste (alcune delle quali sono state anche registrate in video e in audio) hanno consentito di proporre la breve sintesi riportata in queste due pagine del catalogo.

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olti degli intervistati provengono da famiglia di mezzadrile o coltivatrice diretta, a conferma della prevalenza dell’economia agricola nel territorio collazzonese. Quasi tutte le loro famiglie sono numerose o composte da più nuclei familiari. Tutti lavorano nella miniera durante la gestione della Società Terni con mansioni diverse (minatore, vagonaro, arganista, frenatore, manovale, cernitrice) e spesso cambiano qualifica negli anni. Gli intervistati riferiscono modalità molto semplici per l’assunzione: una domanda diretta al responsabile della miniera, presso gli uffici di Ponte Bacarello. Molti entrano in miniera durante la guerra, dispensati dal servizio militare con licenza mineraria. Tutti conoscono le alterne vicende della miniera (un intervistato ha perso il padre in un incidente durante la precedente gestione), ritengono che la riapertura del 1938 (operata da tecnici della Società Terni provenienti da Spoleto) sia legata alle esigenze autarchiche e che la fine della guerra e del regime protezionistico rendano antieconomica l’estrazione della lignite. L’attività in miniera era organizzata su tre turni giornalieri (6-14, 14-22, 22-6) che prevedevano sei giorni lavorativi e uno di riposo (la domenica), durante il quale i comandati facevano quei lavori di manutenzione altrimenti non compatibili con la presenza dei minatori. Tutti riferiscono che una parte significativa dei dipendenti (circa il 50%) proveniva da paesi lontani come Pierantonio, Umbertide e Magione; non disponendo di un alloggio (la miniera non ha neanche spogliatoi, mensa e servizi igienici), si fa ospitare dai contadini della zona, per i quali svolgeva anche lavori occasionali. Solo nel 1941 la Società Terni costruisce a Ponte Bacarello due baracche (capaci di ospitare fino a 32 operai) e un refettorio, oltre a uno spogliatoio nei pressi dell’imbocco delle gallerie; qui era comunque presente un piccolo commerciante, “Cicione”, che vendeva carburo e alcuni generi alimentari. I lavoratori della miniera erano organizzati in compagnie. Ogni compagnia era costituita da due minatori (uno dei quali svolgeva la funzione di capo-minatore) e un vagonaro (che in pratica svolgeva attività da manovale). Per ogni turno di lavoro c’erano venti-trenta compagnie, un capo-turno e un capo-operaio. Il capoturno stabiliva gli obiettivi produttivi:

vigendo il cottimo ogni turno cercava di superare la produzione del precedente. Prima di scendere in miniera gli operai dovevano spostare la loro medaglietta dal medagliere a una cassetta. Il custode la svuotava, annotava i presenti sul registro delle presenze e lo passava agli impiegati. All’ingresso in galleria i minatori ricevevano le cariche di esplosivo (prelevate da una polveriera costruita dalla Società Terni nei pressi del piazzale della miniera) all’interno di cassette in legno. Il controllo del carico e scarico della Santa Barbara era molto rigido e la stessa era sorvegliata ed illuminata giorno e notte. I minatori provvedevano anche alla costruzione delle gallerie, a sezione trapezoidale, installando delle puntellature in legno (quadri), ciascuna delle quali era costituita da due assi verticali (gambe), sormontate da un cappello. Sul piano di calpestio della galleria venivano posizionati i binari per i carrelli, mentre lateralmente e sopra, a seconda del tipo di terreno attraversato, venivano posizionate delle assi di legno o delle fascine per evitare i crolli. La miniera aveva diverse gallerie, chiamate dirette, e discenderie, costruite per collegare le varie dirette, dove passavano i carrelli con la terra e la lignite. L’estrazione della lignite avveniva lungo le dirette, a partire dal fondo: il minatore faceva la rimonta (o camera di abbattimento), usando il malimpeggio, estraeva la terra presente tra i due strati di lignite posti sulla destra della galleria e scavava così lo strozzo, quindi piazzava le cariche di dinamite nei fori praticati con una trivella a mano, sia nello strato superiore sia in quello inferiore. Accese le micce e allontanatisi a distanza di sicurezza, ma sempre all’interno della galleria, i minatori e i vagonari attendevano lo scoppio di tutte le cariche, facendo bene attenzione a contare tutti gli scoppi per evitare che rimanessero cariche inesplose, quindi consumavano il pasto e poi riprendevano il lavoro non appena la visibilità era sufficiente (la ventilazione era assicurata solo da un pozzo e da un ventilatore, mentre per l’illuminazione si usavano lampade ad acetilene). Tutti i minatori intervistati riferiscono che lo spostamento d’aria dovuto all’esplosione era così forte da far scoppiare la testa a chi stava nelle vicinanze. Man mano che la terra e il minerale venivano estratti tramite i carrelli, la camera di abbattimento veniva puntellata; rag-


La teleferica aveva un guardalinea che controllava lo stato di usura delle strutture provvisto di una ricetrasmittente per le comunicazioni con l’ufficio. Un intervistato ricorda di aver lavorato al recupero della lignite caduta nel Tevere in seguito a un incidente occorso alla teleferica. Il lavoro in miniera è sottoposto a una rigida disciplina: gli errori e i ritardi vengono puniti con multe, ritirate direttamente dalla quindicina; inoltre, dopo l’entrata in guerra dell’Italia la maggior parte degli occupati sono militari esonerati che temono di essere mandati in prima linea. Tutti gli intervistati riconoscono però grande umanità al responsabile, Riccardo Militoni, che comminava le multe, con il quale si poteva anche protestare, ma entro certi limiti. Probabilmente per questo atteggiamento del responsabile nella miniera di Collazzone non si registrano mai vertenze sindacali, nonostante le scarse norme di sicurezza, i numerosi incidenti (di cui quattro mortali) e i bassi salari. Al passaggio del fronte l’attività viene interrotta e poi ripresa nel 1945. Tutti concordano nel dire che i compensi sono sempre stati bassi, ma comunque un’utile integrazione del reddito familiare, assicurato anche da altre attività (in primis dall’agricoltura). Nel 1948, quando cessa l’attività della miniera, agli addetti, già ridotti da 300 a 200 circa, vengono offerte due alternative: una liquidazione di 100.000 lire una tantum (somma ritenuta da tutti molto alta, tale da poter assicurare l’acquisto di una casa) o il reimpiego in un altro stabilimento della Società Terni. Gli intervistati dicono che la maggior parte degli addetti accetta la liquidazione ma che molti vanno a lavorare a Papigno, Terni, Nera Montoro e Colle dell’Oro. Chi emigra lo fa solo successivamente, nella metà degli anni cinquanta. Tutti concordano nel dire che la chiusura della miniera è stato un colpo duro per l’economia locale e che di quella attività rimangono solo poche tracce: non ci sono più il piazzale della miniera, la ferrovia e la teleferica, ma solo gli edifici di Ponte Bacarello e la cabina elettrica nei pressi dell’imbocco delle gallerie, celati da una fitta vegetazione. Tra le cose particolari, gli ex lavoratori ricordano soprattutto il ritrovamento, nel 1942, di un tronco intero, bianco, di grandi dimensioni, con le inserzioni delle ramificazioni ancora visibili: fu portato via dai tecnici della Società Terni.

Miniera di Collazzone 1942 È triste scendere in miniera, ti scompare l’ampiezza chiara del mondo e cammini in un cunicolo buio, nero e profondo. Scompare il sole, svaniscono le stelle ti privi di tutte le cose più belle. Se non portasse con sé l’acetilena gli occhi del minatore sarebbero spenti quella preziosa fiammella gli permette di lavorare andando avanti. Si avanza in fondo in discenderia con Mario Rubeca in mia compagnia, per rompere il legno lo dobbiamo minare, troviamo acqua e la dobbiamo pompare. Con del carbone e del fango riempiamo il nostro carrello ci scriviamo il nostro numero tredici poi lo spediamo fuori con l’arganello. È una vitaccia, ma non mi lamento: sono militare, ringrazio Collazzone e la miniera, qui mi sembra uno spasso, in confronto ai miei compagni artiglieri, che poco dopo il mio esonero, li hanno spediti sul fronte russo. Io e il mio caro amico Sabatino, insieme ad altri amici esonerati, anche se nei peggiori posti di lavoro, cantiamo tranquilli e beati. Non ci assentiamo mai dal lavoro e quando il Tevere è pieno e la barca non funziona, con una carrucola appesa al funicchio di ferro attraversiamo il fiume, appesi in una specie di cestello. Antonio Mazzoni

Gli ex lavoratori raccontano

giunta una lunghezza di 10-15 metri, a seconda dell’andamento e dello spessore degli strati di lignite, le puntellature venivano tolte, la camera franava e il lavoro riprendeva verso l’esterno. Il vagonaro caricava la terra e la lignite estratta dal minatore sul carrello. Questo giungeva in galleria con le ruote bloccate per non fargli prendere troppa velocità. Il vagonaro vi caricava sopra 5-6 quintali di lignite e lo tirava fuori, fino al piazzale, a mano lungo le dirette e con l’argano lungo le discenderie. L’arganista, coadiuvato da un agganciatore e da alcuni manovali, aveva il compito di manovrare l’argano. L’agganciatore agganciava i carrelli al cavo dell’argano che li tirava fuori dalla discenderia grazie ai suoi motori elettrici. Dalla miniera la lignite veniva trasportata a Ponte Bacarello mediante una ferrovia a scartamento ridotto lunga circa 3 km. Questo tragitto era così in pendenza che ogni convoglio doveva essere accompagnato da due frenatori, i quali azionavano manualmente i freni, di cui erano dotati solo alcuni vagoni, salendo e scendendo al volo dagli stessi. I vagoni, vuoti, ritornavano alla miniera trainati da una locomotiva a vapore capace di tirarne fino a 40; in un secondo momento ne venne usata anche una elettrica, a batteria, che non ne trainava più di 8. A Ponte Bacarello, su una proprietà del conte Bennicelli, si trovavano, oltre agli uffici, lo spaccio della Società Terni (che il 4 novembre, in occasione della ricorrenza di Santa Barbara, protettrice dei minatori, distribuiva generi alimentari, i cestini, alle famiglie dei minatori), la tramoggia e un vaglio utilizzato per distinguere la lignite in cinque tipi: polverone, cioè lo scarto; granitello, grande come la breccia di fiume; spezzato, pezzi di circa 30-40 cm, bianca, la migliore; torba. Al vaglio lavoravano da 18 a 20 donne, tutte della zona, che dovevano selezionare le diverse qualità di lignite, mentre il vaglio selezionava meccanicamente solo le pezzature. Alla ripresa dell’attività, nel 1938, la lignite così selezionata veniva trasportata all’Acciaieria di Terni mediante due camion della Ferrovia Centrale Umbra. Nel 1941-1942 venne installata una teleferica, dotata di 40-80 vagoni di legno, che da Ponte Bacarello arrivava alla stazione di Marsciano, dove la lignite veniva caricata, automaticamente, sui vagoni della Ferrovia Centrale Umbra.


L’uso della lignite

1 Una locomotiva a vapore alimentata a lignite durante il periodo dell’autarchia (ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni).

La lignite si divide in tre grandi categorie: picea, di origine eocenica (cioè di circa x milioni di anni fa), generalmente nera e lucente, con un potere calorifico di circa 5.500 calorie; xiloide, la lignite propriamente detta, quella estratta a Collazzone, con un contenuto medio di ceneri di circa il 15%-20% e un potere calorifico di circa 4.900 calorie; torbosa, ricca di acqua (circa 45%) e di ceneri (circa 27%), capace di dare, una volta essiccata, circa 4.100 calorie. La sua presenza su gran parte del territorio regionale e la sua varietà, nel corso del tempo ne favoriscono la diversificazione dell’uso, dapprima in ambiente “domestico”, al posto del carbone di legna, poi, con il procedere della modernizzazione, anche nell’industria. Già a partire dalla metà dell’Ottocento si susseguono numerosi studi che ne analizzano le caratteristiche chimico-fisiche e ne valutano le possibilità tecniche ed economiche di utilizzo. Nel 1863, ad esempio, uno studio ne proponeva l’uso per la produzione di gas illuminante per la città di Perugia. Da tale lavorazione si sarebbero poi potuti ricavare dei sottoprodotti, come il bitume, che avrebbero contribuito a rendere conveniente l’estrazione della lignite. Alla fine dell’Ottocento la Società Terni alimentava i suoi forni Martin-Siemens (utilizzati per produrre acciaio partendo dalla fusione della ghisa e dei rottami ferrosi) con gas di gassogeno proveniente dalla lignite. Nel 1905


2-3 Due esempi di utilizzo industriale della lignite umbra: in alto a sinistra i gassogeni delle Acciaierie di Terni (La Società degli Alti Forni Fonderie ed Acciaierie di Terni ed i suoi stabilimenti. Monografia, Terni 1898); a destra la centrale termoelettrica di Bastardo alla fine degli anni venti del Novecento (Servizio Musei e Beni Culturali della Regione Umbria).

4 Una “cucina economica” alimentata a lignite durante il periodo dell’autarchia (ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni).

5 Un forno per la cottura del pane alimentato a lignite durante il periodo dell’autarchia (ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni).

L’uso della lignite

la Società del Valdarno la utilizza per alimentare la sua centrale termoelettrica. Dopo la prima guerra mondiale l’industria dei combustibili fossili si orienta verso l’utilizzo della lignite in impianti di gassificazione e carbonizzazione con recupero dei sottoprodotti usati per aumentare la redditività degli impianti. Pietrafitta e Bastardo accedono, per esempio, al programma di sovvenzioni statali per la costruzione di centrali termo-elettriche alimentate a lignite. La crisi degli anni 1927-33 e numerose difficoltà tecnico-organizzative, legate soprattutto alle caratteristiche chimico-fisiche della lignite umbra e alla mancanza di approvvigionamenti consistenti e continuativi, bloccheranno l’orientamento verso nuovi usi e costringeranno a riprendere l’esperienza termoelettrica solo negli anni cinquanta del Novecento. Nel frattempo continuano gli utilizzi più tradizionali, anche in grande scala: le Fornaci Briziarelli di Marsciano, ad esempio, usano la lignite nel loro ciclo produttivo industriale; è probabilmente la convenienza di tale uso che nel 1925 induce la ditta esercente la miniera a progettare la costruzione di una propria fabbrica di laterizi nei pressi della stazione ferroviaria di Marsciano.

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La lignite a Collazzone: ricerche e sf rutta mento sfrutta ruttamento

1 Nel 1863 il prefetto Tanari, in base alla legge sarda 20 novembre 1859, autorizza la Società Umbro-Sabina a ricercare lignite nel vocabolo Le Valli, sulla proprietà di Andrea Cruciani, che ha già dato il suo assenso (Comune di Collazzone, Archivio Storico, b. 59, 1863).

2 Localizzazione dei permessi di ricerca e di sfruttamento della lignite nel territorio del comune di Collazzone (fonte: Comune di Collazzone, Archivio Storico; Archivio di Stato di Perugia, Fondo Prefettura, Amministrativo).

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a lignite xiloide di Collazzone viene indicata nelle pubblicazioni dell’epoca tra le migliori d’Italia per le sue caratteristiche chimico-fisiche. Essa è costituita in prevalenza da conifere, castagni e querce fortemente compresse e schiacciate. Gli indizi minerari sono diffusi nei dintorni di Collazzone su di una superficie di alcune centinaia di ettari: il giacimento di lignite occupa una vasta area sulla sinistra del Tevere, delimitata a nord dal torrente Puglia e a sud dal fosso di Piedicolle. Il primo permesso per la ricerca di lignite, mediante pozzi e gallerie, viene accordato già nel 1863 alla Società Anonima Umbro-Sabina, nel vocabolo Le Valli, sulla proprietà di Andrea Cruciani. L’anno seguente viene concesso un permesso anche a Giovanni Maria Ricci (di Rieti, ma domiciliato a Perugia) per i propri terreni di Casalalta e Canalicchio. La Società Umbro-Sabina mette in evidenza tre strati di combustibile fossile con uno spessore di 50-80 centimetri, intercalati da sottili letti di sabbie marnose. La lignite consiste essenzialmente in tronchi, radici e rami aventi ancora molti caratteri dell’essenza naturale e fortemente imbevuti di acqua. Non potendo far conto sul commercio locale, se ne tenta la carbonizzazione in cumuli di 2 metri di diametro e 80 centimetri di altezza, procedendo come per la legna. I cumuli, contenenti circa 2,5 1 1863, Società Anonima Umbro-Sabina (Peru-

gia), vocabolo le Valli, accordata ricerca. 2 1864, Giovanni Maria Ricci (Rieti), Casalalta e Canalicchio, accordata ricerca. 3 1892, Leone Leoni, territorio di Collazzone, non accordata ricerca. 4 1894, Angelo Duchini, vocaboli Fosso Cupo, Macchione, il Prato, Santo Stefano, accordata ricerca. 5 1901, Alessandro Desideri (Foligno) e Giulio Dini (Spello), Colle Marcianese, non accordata ricerca. 6 1905, Angelo Duchini, Collepepe, accordata ricerca. 7 1908, Luigi dell'Orso (Foligno), vocaboli Musolischio, Santa Maria, Cagnano, Molinella, accordata ricerca. 8 1908, Dario Tini, vocabolo Santa Maria, non accordata ricerca. 9 1910, Angelo Duchini, Molinella e fosso di Piedicolle, accordata ricerca. 10 1915, Virgilio Duchini, Musolischio e Santa Maria, accordata ricerca.

11 1916, Roberto Cruciani, Musolischio e Santa

Maria, non accordata ricerca. 12 1918, Ditta Fineschi e Feroci (San Giovanni Val-

darno - Arezzo), miniera Musolischio-Collazzone, accordato sfruttamento. 13 1918, Società Ferrovie Appennino Centrale e Ferrovia Centrale Ligure, Casalalta e Canalicchio, accordata ricerca. 14 1921, Società Anonima Ligniti Italia Centrale (Collazzone), miniera Musolischio-Collazzone, accordato sfruttamento.


3 Il 5 gennaio 1927 la Società Ligniti Italia Centrale occupa tredici operai. Come risulta dalla tabella compilata dal direttore, Alfonso Lenzi, ben cinque sono nati in un altro comune (uno, il sorvegliante, addirittura a Palmi, mentre gli altri provengono da Monte Castello di Vibio e da Todi). I minatori sono ben sei; a loro si aggiungono due vagonari, un carrettiere, un armatore e un manovale, oltre al sorvegliante e al guardiano (Comune di Collazzone, Archivio Storico, b. 142, anno 1927, cat. X, classe 12, fasc. 1).

Il 20 gennaio 1911 l’ingegnere capo del Corpo Reale delle Miniere scrive al prefetto della Provincia di Perugia in merito alla domanda di Angelo Duchini per avere un nuovo permesso di ricerca di lignite a Collazzone (Archivio di Stato di Perugia, Prefettura, Amministrativo, serie I, b. 193, fasc. 3): “il sottoscritto, facendo rilevare che il permesso di che trattasi venne accordato al ricorrente fin dal 30 agosto 1894 e che conseguentemente sarebbe tempo che il Sig. Duchini provvedesse a conseguire la dichiarazione di scoperta della miniera che da oltre 16 anni egli ricerca, prima che, per questa volta ancora, si possa dar corso alla nuova domanda di permesso”.

La lignite a Collazzone: ricerche e sfruttamento

tonnellate di lignite, rendono circa il 40%, cioè una tonnellata di carbone, che costa 33,10 lire. Essendo Perugia il principale mercato di sbocco, il costo del trasporto e il dazio comunale determinano un prezzo finale di 63,10 lire, non molto concorrenziale rispetto alle 65 lire del carbone di legna. Le ricerche vennero così interrotte. Un nuovo permesso per ricerche di lignite viene accordato solo nel 1894 ad Angelo Duchini, i cui lavori d’indagine producono 220 tonnellate di lignite, al costo unitario di 7 lire. Tra quanti chiedono permessi in questi anni, Duchini è il solo ricercatore che dà prova di attività, occupando 6 operai nell’estrazione a cielo aperto. Continua la coltivazione dello strato affiorante il figlio Virgilio, che nel 1915 inizia lavori in galleria nei campi minerari di Collazzone e Musolischio e l’allacciamento alla stazione di Marsciano con un binario Decauville, di circa 6 chilometri, che avrebbe dovuto oltrepassare il Tevere con un ponte di barche. In questo periodo si costruisce anche una strada di servizio che unisce la miniera a Ponte Bacarello. Nel 1917 la miniera di Collazzone, coltivata a cielo aperto, è in mano alla ditta Fineschi e Feroci, di San Giovanni Valdarno (Arezzo), ma senza grande sviluppo, anche se l’anno seguente viene completata la strada, la ferrovia e il ponte di barche sul Tevere. Il 29 marzo 1921 la miniera viene concessa alla Società Anonima Ligniti Italia Centrale. Nel 1923 un lungo periodo di inattività provoca frane nelle gallerie. All’inizio del 1924 riprendono i lavori per il loro ripristino e per il tracciamento del banco lignitifero in modo da poter riportare la miniera alla normale attività ed avere la produzione occorrente ai bisogni di alcune industrie locali. La ventilazione viene migliorata con la costruzione di un pozzo, completato nel 1925. In questo periodo viene progettata anche una teleferica per il trasporto del minerale da Ponte Bacarello alla stazione di Marsciano della ferrovia Terni-Perugia, e la costruzione di una fornace per laterizi, presso la stazione. Nel 1926 vengono accordati ulteriori permessi di ricerca a San Petronilla, Tuscella e Piedicolle, a protezione e a completamento della concessione mineraria di Musolischio-Collazzone. Le trivellazioni eseguite, fino a 15 e 28 metri, danno risultati negativi, mentre la galleria scavata in un vallone affluente del fosso di Piedicolle (8 metri) e quella nel fosso della Madonna (5 metri) incontrarono banchi di lignite di esiguo spessore. Le gallerie vengono quindi abbandonate, ma si riprendono le trivellazioni per cercare di arrivare al banco lignitifero. Nel 1927, per esplorare verso valle l’andamento del banco coltivato, si trivella presso Ponte Bacarello: a 45 metri di profondità viene attraversato un banco di lignite bruna di circa 50 centimetri di spessore, ma a 50 metri la ricerca viene abbandonata. Il 16 luglio 1928 la Società Anonima Ligniti Italia Centrale rinuncia alla concessione della miniera Musolischio-Collazzone.

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La lignite a Collazzone: la gestio gestione della Società TTerni erni

1 Schema dei dati tecnici delle gallerie della miniera (fonte: “Rivista del Servizio Minerario”, poi “Relazione sul Servizio Minerario”).

2 L’area della miniera: sul piazzale antistante l’ingresso delle gallerie si trovavano gli uffici, il medagliere, l’argano per l’estrazione dei carrelli dalle gallerie, il vaglio e la partenza della ferrovia Decauville. Poco distante dal piazzale c’erano la polveriera e la cabina elettrica, in evidenza nella foto.

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a Miniera di Musolischio-Collazzone, accordata il 10 agosto 1931 alla Società Prodotti Chimici Napoli (poi Prodotti Chimici Nazionali), fu abbandonata per molti anni e nel 1937 la Società venne dichiarata decaduta dalla concessione. L’11 maggio 1938 la miniera viene quindi concessa per trenta anni alla Terni Società per l'Industria e l'Elettricità, che, in questo periodo acquisisce così i principali giacimenti dell'Umbria: Branca, Gualdo Cattaneo, Colle dell'Oro, Catenaccio, Aspra e Morgnano e San Venanzo. La Società Terni riattiva le vecchie gallerie e la ferrovia Decauville, lunga 3 km, dal piazzale della miniera fino a Ponte Bacarello; nel biennio successivo fa scavare altri 1.512 metri di gallerie e 720 di discenderie, quindi installa una teleferica che da Ponte Bacarello, oltrepassando la statale Tiberina e il Tevere, porta la lignite alla stazione di Marsciano. Nel 1940 la produzione ammonta a quasi 40.000 tonnellate di lignite,


3 La produzione (in migliaia di tonnellate) della miniera di Collazzone durante la gestione della Società Terni (ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni, Archivio Storico della Società Terni, Terni. Società per l’Industria e l’Elettricità, Miniere. Miniere lignitifere della Soc. “Terni”, Terni, 1948).

4-5 Le tipologie di lignite riportate dal Catalogo generale riassuntivo 1928 della Società Terni e le tipologie estratte dalla miniera Musolischio-Collazzone, durante la gestione della Società Terni, così come riferite dagli ex lavoratori durante le interviste raccolte dai componenti del Circolo Culturale ARCI “La Gramigna”.

5 Questa sezione di una galleria e del banco di lignite della miniera di Musolischio-Collazzone, così come la terminologia riportata, sono stati desunti dalle interviste agli ex operai raccolte dal Circolo Culturale “La Gramigna”.

La lignite a Collazzone: la gestione della Società Terni

pari al 5% della produzione regionale; all'inizio del 1941 gli addetti sono 381. In questo periodo la lavorazione si svolge tutta in galleria; i livelli principali sono: Emilia (quota 227,50), Campania (225), Veneto (207), Basilicata (188) e Gubbio (168). Dalla galleria superiore, l'Emilia, tramite un argano, vengono estratti i vagoni con la lignite proveniente dai lavori alti; dalla Campania, lunga 540 metri, il combustibile della parte inferiore della miniera. Nel giugno 1946 i lavori di ricerca si arrestano a causa della grande quantità di acqua incontrata nelle gallerie. Nel mese di ottobre un nubifragio causa l'allagamento della miniera e il blocco della produzione. Nel 1948, ultimata l'estrazione della lignite, la Società Terni provvede a chiudere gli imbocchi della miniera e rinuncia alla concessione.

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Le inf infrrastrutture della minier minieraa

1 A sinistra, il vaglio della miniera di Morgnano utilizzato per caricare sui vagoni ferroviari la lignite estratta dalle gallerie mediante lo skip, l’ascensore posto nella torre visibile sullo sfondo, usato anche dagli operai per entrare e uscire dalle gallerie (ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni).

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a miniera di Musolischio-Collazzone disponeva di varie infrastrutture. Oltre al vaglio, alla tramoggia, alla cabina elettrica, alla polveriera, nei pressi delle gallerie, e agli uffici di Ponte Bacarello con i loro annessi (refettorio, dormitori), quelle piÚ significative erano senz’altro la ferrovia e la teleferica. La ferrovia viene progettata nel 1917 dalla ditta Fineschi e Feroci (che ipotizza addirittura di farla giungere direttamente alla stazione di Marsciano oltrepassando il Tevere con un ponte di barche). Inaugurata nel 1918, insieme alla strada che collega il piazzale della miniera con Ponte Bacarello, viene ristrutturata nel 1939 dalla Società Terni: era del tipo Decauville e aveva una lunghezza di circa 3,2 chilometri. Il percorso era in pendenza e ogni convoglio doveva essere accompagnato da due frenatori che azionavano manualmente i freni di cui erano dotati alcuni vagoni; nel tragitto di ritorno verso la miniera i vagoni erano


2 La teleferica per il trasporto della lignite dalla miniera di Bastardo a quella di Morgnano, raccordata alla linea delle Ferrovie dello Stato. La teleferica, progettata dalla Società Terni già durante il periodo della seconda guerra mondiale, ha una lunghezza di 17 chilometri; entra in funzione soltanto nel 1949 ma già nel 1955 viene abbandonata (ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni).

3 Automezzi utilizzati per il trasporto della lignite dalla miniera di Pietrafitta alla stazione ferroviaria di Magione alla fine degli anni dieci del Novecento. Nelle operazioni di caricamento, così come in quelle di cernita, erano impiegate anche le donne (Fototeca ISUC).

4 Il locomotore elettrico utilizzato per il trasporto dei vagoni dalla miniera di Morgnano alla stazione delle Ferrovie dello Stato di Spoleto, da dove la lignite giungeva agli stabilimenti di Terni. Una ferrovia a scartamento ridotto era stata installata già negli ultimi anni dell’Ottocento dalla Società Mineraria Appennino per collegare la zona estrattiva di Morgnano e Sant’Angelo in Mercole (Thyssen Krupp Acciai Speciali Terni).

Le infrastrutture della miniera

invece trainati da una locomotiva a vapore o da una elettrica (a batteria). La teleferica veniva usata, in alternativa ai mezzi su gomma, per il trasporto della lignite da Ponte Bacarello alla stazione di Marsciano, dove veniva caricata su camion mediante apposite tramogge. Progettata già nel 1925 (quando viene addirittura proposto al Comune di collegare la miniera al centro del paese), entra regolarmente in funzione solo nel febbraio 1945, durante la gestione della Società Terni. Era del tipo a sistema continuo, aveva una lunghezza di 3.680 metri e una portata oraria di 20 tonnellate, con una velocità di 2 metri al secondo. Con la sola eccezione della cabina elettrica nei pressi della miniera, degli uffici e degli annessi a Ponte Bacarello, di nessuna di queste infrastrutture rimane traccia se non nella documentazione archivistica e bibliografica, nonché nella memoria di chi vi ha lavorato.

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Il la voro lavoro in minier minieraa

1 Una “camera di abbattimento” della miniera di Morgnano (ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni).

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lavoratori della miniera erano organizzati in compagnie, ognuna costituita da due minatori (uno dei quali svolgeva la funzione di capo-minatore) e un vagonaro. Per ogni turno di lavoro c’erano venti-trenta compagnie, un capo-operaio e un capo-turno; quest’ultimo stabiliva gli obiettivi produttivi. Prima di scendere in miniera gli operai dovevano spostare la loro medaglietta dal medagliere a una cassetta. Il custode la svuotava, annotava i presenti sul registro delle presenze e lo passava agli impiegati. All’ingresso in galleria i minatori ricevevano le cariche di esplosivo all’interno di cassette in legno. La miniera aveva diverse gallerie, chiamate dirette e discenderie; queste ultime servivano per collegare le varie dirette, dove passavano i carrelli con la terra e la lignite. L’estrazione della lignite avveniva lungo le dirette, a partire dal fondo: il minatore faceva la rimonta (o camera di abbattimento): usando il malimpeggio estraeva la terra presente tra i due strati di lignite posti sulla destra della galleria e scavava così lo strozzo, quindi piazzava le cariche di dinamite nei fori praticati con una trivella a mano, sia nello strato superiore sia in quello inferiore. Accese le micce e allontanatisi a distanza di sicurezza, ma sempre all’interno della galleria, i minatori e i


2 L’imbocco “a giorno” di una galleria delle miniere di Morgnano; in primo piano l’ingegner Luigi Favi, direttore delle miniere agli inizi del Novecento (Aurora Gasperini, Le miniere di lignite di Spoleto. 1880-1960. L’organizzazione del lavoro, i rapporti economicosociali, la tecnologia, Edizioni dell’Ente Rocca di Spoleto, Spoleto 1980).

3 La cernita a mano della lignite passata al vaglio nella miniera di Morgnano (ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni).

4 L’argano del pozzo Moje della miniera di Sant’Angelo in Mercole (Aurora Gasperini, Le miniere di lignite di Spoleto. 1880-1960. L’organizzazione del lavoro, i rapporti economicosociali, la tecnologia, Edizioni dell’Ente Rocca di Spoleto, Spoleto 1980).

Il lavoro in miniera

vagonari attendevano lo scoppio delle cariche, facendo bene attenzione a contarle tutte per evitare cariche inesplose, quindi consumavano il pasto e poi riprendevano il lavoro non appena la visibilità era sufficiente (la ventilazione era assicurata solo da un pozzo e da un ventilatore, mentre per l’illuminazione si usavano lampade ad acetilene). Man mano che la terra e il minerale venivano estratti tramite i carrelli, la camera di abbattimento veniva puntellata; raggiunta una lunghezza di 10-15 metri, a seconda dell’andamento e dello spessore degli strati di lignite, le puntellature venivano tolte, la camera franava e il lavoro riprendeva verso l’esterno. Il vagonaro caricava la terra e la lignite estratta dal minatore sul carrello. Questo giungeva in galleria con le ruote bloccate per non fargli prendere troppa velocità. Il vagonaro vi caricava sopra 5-6 quintali di lignite e lo tirava fuori, fino al piazzale, a mano lungo le dirette e con l’argano lungo le discenderie. L’arganista, coadiuvato da un agganciatore e da alcuni manovali, aveva il compito di manovrare l’argano. L’agganciatore agganciava i carrelli al cavo dell’argano, che li tirava fuori dalla discenderia grazie ai suoi motori alimentati dalla cabina elettrica posta a circa 20 metri dal piazzale.

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La chiusur chiusuraa della minier minieraa Musolischio MusolischioCollazzone

1 Libretto di lavoro di Alceste Fiorini, assunto nella miniera, dalla Società Terni, il 16 agosto 1938 con la qualifica di Allievo minatore. Fiorini diviene poi Sgombratore, Manovale e infine Scaricarino, qualifica con la quale viene licenziato l’1 giugno 1948, al momento della chiusura.

2 Le miniere di lignite in Umbria. Le date di apertura e di chiusura, ove disponibili, sono state desunte dalla “Rivista del Servizio Minerario” (poi “Relazione del Servizio Minerario”). Sia prima che dopo la chisura della miniera continuano le attività di ricerca della lignite a Collazzone: nel 1931 la Società Prodotti Chimici Napoli a Piedicolle; nel 1938 la stessa Società Terni a Collepepe e la Società Anonima Industrie P.M. Ceretti in località Palombaro e Casale il Poggio; nel 1942 il ragionier Realino Carboni a Casalalta; nel 1949 Alceole Sculati a Ponte Bacarello (fonte: Comune di Collazzone, Archivio Storico).

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uando il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra, la miniera Musolischio-Collazzone, come tutte quelle umbre, è in piena attività. La produzione, che negli anni immediatamente precedenti la guerra aveva raggiunto l’apice, continua a mantenersi su livelli molto elevati. In questo periodo la manodopera necessaria è garantita dai molti richiamati alle armi che vengono mandati a lavorare in miniera. Agli inizi del 1941 la miniera di Collazzone è oggetto di ispezione da parte del Ministero delle Corporazioni. Nei verbali delle ispezioni si rilevano bassi livelli salariali e, addirittura, il non rispetto, da parte della Società Terni, del contratto collettivo di lavoro: ben 174 addetti ai lavori interni hanno in corso una vertenza sindacale per vedersi riconosciuta un’integrazione salariale tra quanto percepito e quanto stabilito dalle norme contrattuali. Inoltre, dal momento che oramai la miniera è in piena attività, la Società viene diffidata ad elevare la maggiorazione per


3 Uno dei documenti che costituiscono la pratica dell’ispezione alla miniera di Collazzone. L’Ispettorato Corporativo di Perugia rileva varie inadempienze contrattuali da parte della Società e la invita perentoriamente a provvedere ai dormitori, al refettorio e allo spogliatoio (Archivio di Stato di Perugia, Fondo Prefettura, serie Gabinetto, b. 167, fasc. 2, s.fasc. “n”, “Miniera di Collazzone”).

4 Schema di distribuzione a distanza del gas di lignite producibile dagli impianti umbri (Le ligniti dell’Umbria. Possibilità tecniche ed economiche di utilizzazione, atti del convegno provinciale di Perugia, 15 dicembre 1953 - 18 gennaio 1954, a cura della Amministrazione Provinciale di Perugia, Grafica Perugia, 1954).

La chiusura della miniera Musolischio-Collazzone

il cottimo dal 12% al 20%, così come previsto per tutte le altre miniere umbre. Infine, l’Ispettorato Corporativo di Perugia denuncia l’inadeguatezza delle infrastrutture per il personale. Anche in seguito ai rilievi mossi, la Società Terni costruisce a Ponte Bacarello un refettorio da cinquanta posti e affianca a una prima baracca capace di 14 posti letto altre due per un totale di 48; nei pressi della miniera costruisce uno spogliatoio. Lo spostamento delle operazioni militari sul territorio nazionale e, soprattutto, i bombardamenti, riducono la domanda e provocano poi la cessazione momentanea dell’attività, che viene ripresa solo dopo il passaggio del fronte. Nel dopoguerra, non potendo più puntare sulle produzioni belliche né sulle protezioni doganali, la Società Terni è costretta a rivedere la sua organizzazione produttiva e a ridimensionare fortemente l’occupazione. Il 14 giugno 1948 presenta domanda di rinuncia e sul finire dello stesso anno chiude la miniera Musolischio-Collazzone. Ai lavoratori viene data la possibilità di scegliere tra un indennizzo (100.000 lire) e l’occupazione in altro stabilimento del gruppo: alcuni vanno a lavorare nella miniera di Colle dell’Oro, dove viene tentata la gassificazione della lignite in sottosuolo. In questo periodo l’industria lignitifera umbra entra in una crisi che si protrae per tutti gli anni cinquanta e si conclude con la chiusura della quasi totalità delle miniere (che durante la guerra occupavano quasi 10.000 addetti). In tutto il periodo della crisi le istituzioni politiche e gli organismi economici regionali si impegnano nella ricerca di soluzioni che possano garantire la continuazione delle attività minerarie attraverso utilizzi alternativi della lignite: gli impieghi nella siderurgia appaiono ormai antieconomici. In questo contesto particolare attenzione è destinata alle realizzazioni termoelettriche, anche sulla base delle esperienze compiute tra le due guerre a Pietrafitta e a Bastardo.

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La minier minieraa Musolischio MusolischioCollazzone oggi

1 La cabina elettrica ospitava i trasformatori e i quadri di controllo dei motori per i vari apparati meccanici della miniera: l’argano, il vaglio, la tramoggia e, soprattutto, le pompe. Queste dovevano rimanere in funzione in modo continuativo per estrarre l’acqua dalle gallerie, mantenendole così praticabili e in sicurezza.

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ella miniera Musolischio-Collazzone, chiusa da oltre cinquanta anni, non sono più visibili – né tanto meno praticabili – le gallerie; non rimangono tracce neanche di infrastrutture significative come la ferrovia Decauville e la teleferica, ma sono ancora ben evidenti e “leggibili” il piazzale davanti agli imbocchi delle gallerie, il complesso di edifici che ospitavano gli uffici, il refettorio e gli annessi, a Ponte Bacarello, e la cabina elettrica nei pressi del piazzale della miniera, oggi “sommerso” dalla vegetazione.


A Ponte Bacarello, su una proprietà del conte Bennicelli, si trovano ancora gli edifici costruiti per ospitare gli uffici, l’arrivo della ferrovia Decauville, le strutture per la cernita della lignite, la partenza della teleferica, una cabina elettrica e uno spaccio. Qui, il 4 novembre, in occasione della ricorrenza di Santa Barbara, protettrice dei minatori, la Società Terni distribuiva generi alimentari, i “cestini”, alle famiglie dei minatori.

La miniera Musolischio-Collazzone oggi

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Finito di stampare nel luglio 2003 dalla Grilligraf, Collazzone (PG) per conto del Comune di Collazzone


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