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ISBN 88-87288-39-9
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Premessa; Nota editoriale e guida alla lettura; Introduzione; Capitolo 1 L epoca preunitaria (1845-1859); Capitolo 2 Le direttrici fondamentali (1860-1875); Capitolo 3 Tra istanze territoriali e progetti di respiro internazionale (1876-1885); Capitolo 4 Una provincia da costruire (1885-1900); Capitolo 5 Una regione da aprire all esterno (1901-1927); Conclusioni; Apparati: Sigle e abbreviazioni archivistiche; Indice dei nomi di luogo; Indice dei nomi di società, enti, istituzioni e associazioni; Indice dei nomi di persona; Riferimenti bibliografici.
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Indice del volume
La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
I
l tema delle comunicazioni ferroviarie e ancor più stradali continua ad essere in cima all agenda degli amministratori umbri, nella convinzione che la nostra regione, tanto nella sua totalità, quanto nei diversi territori che la compongono, sia decisamente penalizzata rispetto alle parti più sviluppate del paese. Il dato interessante, e curioso allo stesso tempo, è che rispetto a più di un secolo fa, pur tenendo conto delle profonde differenze esistenti sul piano sociale, politico ed economico, ben poco sembra essere mutato se, per fare solo un paio di esempi, ci si continua a battere per realizzare, anche se su strada e non più su rotaia, collegamenti diretti tra Terni e Rieti o tra Foligno e Civitanova Marche. Senza dimenticare, in campo più strettamente ferroviario, le continue discussioni, e le relative aspettative, in merito al rilancio della Ferrovia Centrale Umbra, ad un suo prolungamento oltre l Appennino o, più semplicemente, all ancora incompleto raddoppio dell AnconaRoma. Questo lavoro, pur con i suoi limiti, potrebbe allora servire a dimostrare che, tutto sommato, le motivazioni che spingevano gli amministratori di allora ad intraprendere certe battaglie non erano poi così diverse da quelle di oggi; e, senza alcuna presunzione, attraverso la conoscenza di quanto è accaduto in passato, e la comprensione di come e perché certe ipotesi non si sono mai realizzate, forse il dibattito attuale potrebbe arricchirsi di nuovi spunti e maggiore consapevolezza.
La centralità mancata La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
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LA CENTRALITĂ€ MANCATA La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
di STEFANO DE CENZO
Realizzazione Centro Ricerche Ambiente Cultura Economia (CRACE) via Baldeschi, 2 - 06123 Perugia tel. 075 5728095 fax 075 5739218 http://www.crace.it e-mail: info@crace.it
Direzione e coordinamento editoriale Gianni Bovini
Copertina e progetto grafico Vito Simone Foresi
Elaborazioni grafiche Cristina Saccia
Redazione e impaginazione Marusca Ceccarini
in copertina Una locomotiva a vapore in una campagna italiana dal film “Proibito”, di Mario Monicelli (1954). (In treno al cinema. Immagini per un viaggio in Italia, Peliti Associati e Studio Errepi, Roma 1998, p. 20)
© CRACE 2004 Tutti i diritti riservati ISBN 88-87288-20-8
ristampa seconda edizione febbraio 2006
Sommario V
Premessa
VI
Nota editoriale e guida alla lettura
VII 11 1
Introduzione
1 6 13 21 29 37 32 37 38 48 52 55 75
76 83 88 95 98 103 106
Capitolo 1 L’epoca preunitaria (1845-1859) Le origini del dibattito: sollecitazioni esterne e sviluppi interni Il manifestarsi di un “municipalismo” ferroviario Un tentativo di mediazione: il caso della Società Nazionale Il tracciato della Pio Centrale (Roma-Ancona-Bologna) Il collegamento con la Toscana Capitolo 2 Le direttrici fondamentali (1860-1875) Verso la realizzazione del collegamento tra Firenze e Roma: i decreti Pepoli Il prolungamento della ferrovia Aretina nell’alternativa tra la via del Trasimeno e quella del Tevere Il parallelo avanzare della Centrale Toscana La costruzione dell’Ancona-Roma La bretella Terontola-Chiusi Capitolo 3 Tra istanze territoriali e progetti di respiro internazionale (1876-1885) Per una ferrovia dell’alta valle del Tevere La ferrovia Arezzo-Fossato Ferrovie economiche e tramvie Il ritorno dell’Adriatico-Tiberina Il declino della Terontola-Foligno Ancora ferrovie economiche Il caso sabino
117 117 136
154 166 182 183
Capitolo 5 Una regione da aprire all’esterno (1901-1927) La Ferrovia Centrale Umbra: una soluzione, parziale, all’assetto territoriale interno Proiezioni verso l’esterno Realizzazioni minime L’isolamento sabino Questione ferroviaria e questione regionale
195
Conclusioni
200 201 210 217 222
Apparati Sigle e abbreviazioni archivistiche Indice dei nomi di luogo Indice dei nomi di società, enti, istituzioni e associazioni Indice dei nomi di persona Riferimenti bibliografici
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IV
Capitolo 4 Una provincia da “costruire” (1885-1900) Verso il consorzio per la Ferrovia Centrale Umbra Obiettivi diversi
Nota editoriale e guida alla lettura
Le pagine seguenti sono il frutto della rielaborazione della mia tesi di dottorato intitolata La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927), discussa nel maggio 1997, al termine dell’VIII ciclo del dottorato in Storia Urbana e Rurale delle Università degli Studi consorziate di Ancona, Macerata, Perugia, Roma “La Sapienza” e Siena. I motivi che, ormai più di dieci anni fa, mi hanno spinto ad intraprendere questo percorso di ricerca sono stati principalmente due: in primo luogo la curiosità di misurarmi con un argomento, come quello della storia delle comunicazioni ferroviarie in Umbria, rimasto in ombra e, comunque, non ancora affrontato in modo complessivo; in secondo luogo, il desiderio di verificare se questa vicenda, una volta ricostruita nelle sue linee essenziali, potesse, in qualche modo, confermare quanto ormai acquisito in merito alla scarsa coesione regionale dell’Umbria. Oggi la pubblicazione di questo testo vuole essere un piccolo contributo ad un dibattito ancora aperto e ad una questione ancora irrisolta. È noto, infatti, che il tema delle comunicazioni ferroviarie – e ancor più stradali – continua ad essere in cima all’agenda degli amministratori umbri, nella convinzione che la nostra regione, tanto nella sua totalità, quanto nei diversi territori che la compongono, sia decisamente penalizzata rispetto alle parti più sviluppate del paese. Il dato interessante, e curioso allo stesso tempo, è che rispetto a più di un secolo fa, pur tenendo conto delle profonde differenze esistenti sul piano sociale, politico ed economico, ben poco sembra essere mutato se, per fare solo un paio di esempi, ci si continua a battere per realizzare, anche se su strada e non più su rotaia, collegamenti diretti tra Terni e Rieti o tra Foligno e Civitanova Marche. Senza dimenticare, in campo più strettamente ferroviario, le continue discussioni, e le relative aspettative, in merito al rilancio della Ferrovia Centrale Umbra, ad un suo prolungamento oltre l’Appennino o, più semplicemente, all’ancora incompleto raddoppio dell’Ancona-Roma. Questo lavoro, pur con i suoi limiti, potrebbe allora servire a dimostrare che, tutto sommato, le motivazioni che spingevano gli amministratori di allora ad intraprendere certe battaglie non erano poi così diverse da quelle di oggi; e, senza alcuna presunzione, attraverso la conoscenza di quanto è accaduto in passato, e la comprensione di come e perché certe ipotesi non si sono mai realizzate, forse il dibattito attuale potrebbe arricchirsi di nuovi spunti e maggiore consapevolezza. Nel caso – assai probabile – che ciò non debba accadere, mi auguro, perlomeno, che la lettura, risulti ai pochi il meno noiosa possibile. Stefano De Cenzo
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Nota editoriale e guida alla lettura
VI
Rispetto al testo fornito dall’autore, le poche modifiche apportate hanno riguardato soprattutto l’uniformità alle norme grafiche e redazionali della collana e, in particolare, l’uso delle minuscole e delle maiuscole, che è stato limitato alle denominazioni proprie e uniformato anche all’interno delle citazioni e delle note. I tracciati delle varie linee di trasporto oggetto della trattazione sono stati cartografati quanto più dettagliatamente possibile, riportando tutte le località interessate e indicando con una freccia le città di destinazione. Tutte le località cartografate sono state riportate nell’Indice dei nomi di luogo. Per tutte vengono indicati tra parentesi il Comune e la Provincia di appartenenza, almeno nei casi in cui esse stesse non siano Comune o capoluogo di Provincia ed è stata possibile una localizzazione certa, facendo riferimento alle divisioni amministrative attuali. Nell’Indice dei nomi di società, enti, istituzioni e associazioni sotto le località sono stati accorpati i riferimenti alle varie realtà amministrative locali che si sono succedute nel corso del tempo (Legazione, Delegazione, Comunità, Mandamento, Circondario, Comune, ecc.) e ai loro organismi (Magistratura, Governo, Consiglio, Giunta, Commissione, ecc.). Parimenti, per gli enti sovracomunali, sotto la voce Provincia sono stati accorpati i vari uffici e organismi come, ad esempio, l’Ufficio Tecnico, il Consiglio, ecc. Nell’Indice dei nomi di persona è riportata la qualifica solo nel caso in cui non è stato possibile fornire il nome di battesimo. In tutti gli indici l’ordine alfabetico delle varie voci è quello restituito automaticamente dal computer. Nelle note di ciascun capitolo è stato indicato il numero di nota in cui un’opera bibliografica è stata citata per la prima volta. Tutti i titoli citati sono confluiti, in ordine cronologico, nei Riferimenti bibliografici.
Nota editoriale e guida alla lettura
Una regione con una “fisionomia debole”1, così l’Umbria è stata definita alla luce di un percorso ventennale di ricerca storica. D’altro canto la sua attuale configurazione politico-amministrativa è un fatto recente. Dal 1860 sino al 1923, infatti, essa, in quanto circoscrizione provinciale unica, comprendeva anche la Sabina e solo nel 1927 si è verificato lo scorporo della provincia di Terni da quella di Perugia. Senza dimenticare che l’antico dualismo tra i territori situati agli opposti lati del Tevere era stato definitivamente superato, amministrativamente s’intende, soltanto a partire dal 1850, in virtù delle riforme introdotte dal cardinale Antonelli che collocavano l’odierno capoluogo regionale al vertice di una Legazione comprendente le Delegazioni di Perugia, Rieti e Spoleto. Inoltre, anche volendo prescindere dall’assetto istituzionale, per riflettere, invece, in termini di regione economica, si perviene ad un identico risultato, dal momento che, lo stesso percorso di ricerca ha evidenziato, sul lungo periodo, proprio l’assenza della condizione necessaria al riconoscimento di un’area economica, ovvero della capacità dei diversi territori che la costituiscono di rendersi complementari a livello produttivo. All’interno di queste coordinate, comunque, la storia dell’Umbria contemporanea è stata ricostruita in ampiezza e profondità, mentre il tema delle comunicazioni ferrotranviarie è rimasto in ombra. Infatti se ad esso si è fatto cenno in molti lavori, pur tuttavia rari, e per la maggior parte non collocabili all’interno di una produzione storiografica vera e propria, sono stati i casi in cui lo si è affrontato in modo specifico2. Si tratta di una lacuna non irrilevante, poiché il riconosciuto basso livello di sviluppo di questo genere di viabilità non implica che la società umbra, quantomeno nelle sue espressioni istituzionali, lo abbia trascurato, anziché farne, come è effettivamente avvenuto, uno dei principali argomenti del proprio impegno per la valorizzazione del territorio regionale. 1 2
R. Covino, L’invenzione di una regione. L’Umbria dall’Ottocento a oggi, Quattroemme, Perugia 1995, p. 9. Cfr. La città di Foligno e gli insediamenti ferroviari, Electa/Editori Umbri Associati, Perugia 1989 e in particolare P.M. Buttaro e R. Covino, Le ferrovie in Umbria: realizzazioni e progetti, in ivi, pp. 14-17; A. Melelli, La ferrovia Ancona-Roma, Calderini, Bologna 1973; M. Arca Petrucci, Le gemmazioni ferroviarie in Umbria, La Goliardica, Roma s.d.; A. Cioci, Due ferrovie, una storia. Terontola-Foligno, Ellera-Tavernelle, Kronion, Bastia Umbra 1988; id., La ferrovia Spoleto-Norcia, Kronion, Bastia Umbra 1988; Id., La ferrovia Terni-Rieti-L’AquilaSulmona, Kronion, Bastia Umbra 1989; Id., La tramvia Terni-Ferentillo, Kronion, Bastia Umbra 1989; id., Ferrovie in Umbria, Kronion, Bastia Umbra 1990; id., Le strade ferrate in Umbria (dalle origini ai giorni nostri), Volumnia, Perugia, 2001; M. Garzi, La ferrovia Sansepolcro-Umbertide-Perugia-Terni, Calosci, Cortona 1979; M. Garzi e P. Muscolino, La ferrovia dell’Appennino Centrale. Linea Arezzo-Fossato, Calosci, Cortona 1981; L. Micucci, Ferrovia Centrale Umbra, Copylitart, Perugia 1977. Altri riferimenti verranno fatti nel corso della trattazione.
Introduzione
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Dall’epoca di Pio IX alla metà degli anni venti del Novecento, infatti, le élites umbre si sono battute, quasi senza soluzione di continuità, per promuovere, tanto in chiave interna, quanto in proiezione esterna, la costruzione di ferrovie e tramvie. Nessuno stimolo proveniente dal governo centrale, sia esso pontificio che italiano, è stato trascurato, né il mancato riconoscimento dei propri sforzi le ha indotte alla resa. Ma la dialettica che si è configurata, non è stata semplicemente tra centro e periferia; quest’ultima infatti è stata continuamente attraversata da tensioni tra le diverse aree e comunità locali. Insomma la vicenda ferroviaria umbra conferma la mancanza di una coesione regionale non meramente politico-amministrativa; o meglio, aiuta a comprendere le difficoltà che i territori hanno incontrato nel farsi regione. D’altronde, il rapporto tra sviluppo delle comunicazioni e assetto territoriale di aree determinate, già messo in risalto come terreno di ricerca praticabile all’inizio degli anni settanta3, è senz’altro uno degli aspetti più e meglio indagati dalla storiografia italiana che si è occupata del tema ferroviario nel corso dell’ultimo ventennio. Si pensi, in via esemplificativa, ai lavori condotti, in gruppo o singolarmente, da studiosi che gravitano attorno a riviste ormai affermate come “Storia Urbana”, “Padania”, “Meridiana”, “Proposte e ricerche” e alla giovanissima “Memoria e Ricerca”4. Un ambito all’interno del quale l’Umbria si colloca con la particolarità data dal fatto che, pur occupando una posizione centrale nel corpo della penisola, presenta tutte le caratteristiche di area periferica. È sin troppo evidente che la politica ferroviaria di Pio IX sia stata incentrata sulla realizzazione dell’asse Ancona-Roma-Civitavecchia al fine di potenziare il flusso di merci verso la capitale e che la salvaguardia di Foligno come punto imprescindibile della linea non sia dipesa da altro se non dalla sua riconosciuta funzione di porto di terra, crocevia di traffici longitudinali e trasversali. Allo stesso modo, dopo l’Unità e, in particolare, 3
4
Cfr. in proposito I. Insolera, L’urbanistica, in Storia d’Italia, vol. V, I documenti, I, Einaudi, Torino 1973, pp. 450-462 e L. Gambi, Il reticolo urbano in Italia nei primi vent’anni dopo l’unificazione, in “Quaderni storici”, IX, 27, fasc. III, settembre-dicembre 1974, pp. 735-760. Cfr. tra gli altri R. Colapietra, Ferrovie e territorio nel Mezzogiorno d’Italia: il caso del Molise, in Città e territorio nel Mezzogiorno fra ‘800 e ‘900, a cura di R. Colapietra, Angeli, Milano 1982, pp. 21-87; Le ferrovie in Padania, in “Padania”, IV (1990), 7; R. Balzani, Industrie minerarie e trasporti in Romagna dall’Unità al primo conflitto mondiale, in “Padania”, II (1988), 2, pp. 97-121; Id., “Il vantaggio del tram”. Progetti tranviari fra l’Appennino Tosco-Romagnolo e la pianura Padana nel secondo Ottocento, in “Padania”, VI (1992), 11, pp. 219-235; F. Mercurio, Le ferrovie e il Mezzogiorno; i vincoli “morali” e le gerarchie territoriali (1839-1905), in “Meridiana”, 19, gennaio 1994, pp. 155-193; A. Minetti, La ferrovia Falconara-Fossato, in Nelle Marche Centrali. Territorio, economia, società tra Medioevo e Novecento: l’area Esino-Misena, a cura di S. Anselmi, Cassa di Risparmio di Jesi, Jesi 1979; Id., La rete ferroviaria: le origini e le prima fase di esercizio, in La provincia di Ancona. Storia di un territorio, a cura di S. Anselmi, Laterza, Bari Roma 1987, pp. 263-269; M. Proli, Le reti immaginarie. I progetti ferroviari a Forlì, in “Memoria e ricerca”, II, 4, dicembre 1994, pp. 75-102. Non si può, inoltre, fare a meno di segnalare gli atti del convegno nazionale di studi storici organizzato dal Comune di Rieti nei giorni 24-26 gennaio 1986, pubblicati a cura di Roberto Lorenzetti con il titolo La questione ferroviaria nella storia d’Italia. Problemi economici, sociali, politici e urbanistici, Editori Riuniti, Roma 1989. Più in generale, per un bilancio della produzione storiografica italiana dedicata al tema ferroviario nei suoi diversi aspetti, si veda A. Giuntini, Il paese che si muove. Le ferrovie in Italia fra ‘800 e ‘900, Angeli, Milano 2001.
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dopo la presa di Roma, è chiarissimo come l’Umbria abbia suscitato l’interesse governativo solo in quanto via di transito per i collegamenti tra il nord del Regno e la nuova capitale. Né l’attenzione nei suoi confronti è cresciuta nella fase di realizzazione della cosiddetta rete complementare. Con ciò non si vuole sostenere che il mancato sviluppo ferroviario dell’Umbria debba esclusivamente imputarsi alla cattiva volontà dei poteri centrali succedutisi nel tempo. Si è già detto, e le pagine seguenti avranno modo di renderlo evidente, che il rapporto centro-periferia risulta appesantito da forti tensioni localistiche. A parte lo scontro per assicurarsi il passaggio delle linee nazionali, non c’è accordo, se non alla fine, neppure sul tipo di assetto da dare alle comunicazioni in chiave regionale. Il fatto è che le molteplici gravitazioni esterne a cui i diversi territori umbri sono sottoposti finiscono per negare il bisogno di riconoscersi in un’area, non solo amministrativa, che faccia capo a Perugia. La vicenda della Ferrovia Centrale Umbra, ovvero la Umbertide-Ponte San Giovanni (Perugia)-Terni, è da questo punto di vista esemplare. Essa, praticamente, si protrae per oltre trent’anni durante i quali la volontà perugina di trasformare la propria centralità da un fatto meramente amministrativo ad uno reale, attraverso la costruzione di una linea longitudinale che tagli l’intero territorio regionale e che possa poi dar luogo ad altri collegamenti trasversali, viene puntualmente vanificata dalla divergenza degli interessi in campo. Per anticipare quanto verrà ampiamente trattato in seguito, tanto l’alta valle del Tevere, ricca di prodotti agricoli, quanto il bacino industriale di Terni, si mostrano indifferenti ai potenziali vantaggi scaturibili da un reciproco collegamento e, soprattutto, insofferenti verso le ambizioni perugine. Tuttavia con lo scorrere del tempo, pur restando pressoché intatta la caratteristica della scarsa complementarietà economica dei territori umbri, una coscienza regionale va formandosi ed il legame con la questione ferroviaria diviene, via via, più intenso. Un ambito in cui verificare questa lenta maturazione è senz’altro rappresentato dal livello di governo intermedio. Seguendo diacronicamente la politica dell’Amministrazione Provinciale, si può infatti definire il passaggio da una fase in cui ci si limita ad ordinare le diverse istanze locali, per poi magari selezionarle scegliendo di sostenerne solo alcune, ad una in cui si tenta, anche se non necessariamente riuscendoci, di tradurle in un disegno il più organico possibile, questo sì da promuovere nella sua interezza. Nel corso della vicenda ferroviaria umbra, il treno, in diversi momenti, si va caricando tanto di una valenza economica, quanto di una politico-amministrativa. In quest’ultima chiave si spiega, ad esempio, la scelta governativa di far transitare per il lago Trasimeno e per Perugia, anziché lungo la valle del Tevere, la ferrovia di collegamento tra la Firenze-Arezzo e l’Ancona-Roma. Davanti ad una simile alternativa, che crea tensioni territoriali non indifferenti, l’autorità prefettizia, a più riprese, non ha alcun dubbio nel sostenere la candidatura del capoluogo. Alla luce di questo episodio, non del tutto marginale se si tiene conto che per un decennio la Terontola-Perugia-Foligno rappresenta la via di transito più diretta tra Firenze e
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Roma, si può concordare con chi, come Franco Mercurio, ha evidenziato come la Destra storica abbia teso ad esaltare, nel solco della tradizione preunitaria che aveva trovato la sua massima sintesi nell’opera del conte Carlo Ilarione Petitti5, il ruolo politico e morale delle ferrovie – con esse si potevano fare gli italiani – al punto da trascurare sia gli aspetti tecnico-realizzativi che la redditività delle linee. In altri termini, secondo questa interpretazione, le forze liberali non avrebbero agito, diversamente da quanto sostenuto da Emilio Sereni e Rosario Romeo6 che per primi hanno affrontato il rapporto tra costruzione della rete ferroviaria nazionale e sviluppo economico, in base ad “un chiaro progetto ferroviario nazionale. Semmai la volontà di costruire il mercato e di realizzare una robusta infrastruttura nazionale [sarebbe stata] piuttosto una consapevolezza [...] acquisi[ta] in itinere”7. Quanto, poi, al raggiungimento di tali obiettivi vale forse la pena di ricordare un contributo, anche se non recentissimo, di Vera Zamagni, che ne ha svelato, per l’appunto, il sostanziale fallimento. Riprendendo le riflessioni di Sidney Pollard8, in merito ai diversi effetti provocati dalle costruzioni ferroviarie in paesi a differente grado di sviluppo industriale, Zamagni ha evidenziato le caratteristiche paradigmatiche del caso italiano, che “sintetizza in un unico paese sia effetti positivi che negativi, stante il dualismo della struttura economica sulla quale le
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C.I. Petitti, Delle strade ferrate italiane e del migliore ordinamento di esse, Tipografia e Libreria Elvetica, Capolago 1845. Come è noto, per Sereni l’imponente impegno finanziario assunto dallo Stato italiano per la costruzione della rete ferroviaria era, consapevolmente, finalizzato alla formazione del mercato nazionale; in E. Sereni, Il capitalismo nelle campagne (1860-1900), Einaudi, Torino 1980, pp. 5-9. Romeo sottolineava, piuttosto, la volontà statuale di creare “quell’insieme di servizi, preliminari ad ogni efficace sviluppo industriale, che vanno [...] sotto il nome di ‘infrastrutture’”. In R. Romeo, Risorgimento e capitalismo, Laterza, Bari 1974, p. 133. Più dubbiosa è l’analisi del rapporto tra ferrovie e sviluppo industriale sviluppata da Gino Luzzatto e Luciano Cafagna; entrambi, infatti, in tempi diversi, hanno sottolineato i debolissimi effetti della pur accelerata politica ferroviaria italiana sulla crescita dell’industria metallurgica e meccanica nazionale, in particolare a causa della prevalenza del capitale straniero nella composizione delle società concessionarie. Cfr. G. Luzzatto, L’economia italiana dal 1861 al 1894, Einaudi, Torino 1980, pp. 21 e 122-126 e L. Cafagna, La rivoluzione industriale in Italia 1830-1900, in L’industrializzazione in Italia (1861-1900), a cura di G. Mori, il Mulino, Bologna 1981, p. 98. Il dibattito è proseguito con gli interventi di Stefano Fenoaltea che, rivalutando la politica ferroviaria della Sinistra, hanno evidenziato la diversa capacità di incidere sullo sviluppo industriale e, più in generale, economico italiano della fase di costruzione della rete complementare rispetto alla precedente fase di realizzazione di quella principale. Cfr. S. Fenoaltea, La ferrovia e lo sviluppo industriale italiano 1861-1913, in Lo sviluppo economico italiano 1861-1940, a cura di G. Toniolo, Laterza, Bari 1973, pp. 157-186; Id., Le costruzioni ferroviarie in Italia 1861-1913, in “Rivista di storia economica”, n.s., vol. I, fasc. I, giugno 1984, pp. 61-94 e G. Canciullo, Ferrovie e sviluppo economico, in “Italia contemporanea”, 161, dicembre 1985, pp. 117-121. Infine, sempre in questo ambito, non si possono ignorare due significativi contributi di Michèle Merger. Cfr. M. Merger, Un modello di sostituzione: la locomotiva italiana dal 1850 al 1914, in “Rivista di storia economica”, n.s., vol. III, fasc. I, febbraio 1986, pp. 66-108 e Id., Origini e sviluppo del management ferroviario italiano (1850-1905), in “Annali di storia dell’impresa”, 8, 1992, pp. 379-417. Mercurio, Le ferrovie e il Mezzogiorno cit. (a nota 4), p. 161. Cfr. S. Pollard, La conquista pacifica. L’industrializzazione in Europa dal 1760 al 1970, il Mulino, Bologna 1984, pp. 213 e sgg.
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V. Zamagni, Ferrovie e integrazione del mercato nazionale nell’Italia post-unitaria, in Studi in onore di Gino Barbieri, vol. III, IPEM, Salerno 1983, p. 1648. Ivi, p. 1637.
Introduzione
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ferrovie si innesta[no]”9. Ella, prendendo in esame l’ampio periodo che va dall’unificazione al 1911, ha dimostrato che una politica costruttiva troppo anticipata rispetto ai tempi e ai ritmi dello sviluppo non è riuscita a far crescere, così come invece auspicato dai suoi promotori, in maniera significativa il commercio interregionale; ovvero che le ferrovie, da sole, non sono state in grado di modificare un quadro, come quello italiano all’indomani dell’Unità, caratterizzato da un basso grado di complementarietà tra le diverse aree produttive del paese né di “mobilizzare ambienti economici stagnanti”10. Queste considerazioni, pur con le dovute differenze, crediamo possano valere anche su scala regionale. È vero che il caso umbro presenta molte differenze; in primo luogo il fatto che nella regione la politica ferroviaria è stata tutt’altro che forzata. Tuttavia, è altrettanto vero che, conclusasi con l’apertura della bretella Terontola-Chiusi la fase di costruzione delle linee di interesse nazionale, già intorno all’idea della Ferrovia Centrale Umbra, le considerazioni di tipo politico-amministrativo – la necessità di potenziare le comunicazioni da e per il capoluogo – si accompagnano a quelle di natura economica. Come accennato in precedenza si punta a far comunicare, attraverso Perugia, le campagne dell’alta valle Tiberina con le industrie ternane, tenendo conto, inoltre, che Umbertide e Terni sono punti di diramazione di altre linee che servono ulteriori pezzi dell’Umbria: l’ArezzoFossato che, anche se a scartamento ridotto, attraversa l’Eugubino e la RietiL’Aquila che consente i rapporti con il capoluogo del circondario sabino. Se si aggiunge che il collegamento con l’Orvietano è, nel bene e nel male, assicurato dalla ricordata bretella e ferme restando le posizioni di Foligno e Spoleto, ecco disegnata una rete regionale potenzialmente in grado di rafforzare il primato politico-amministrativo di Perugia e di creare un’area economica. Le cose non andranno così. Nonostante un arco di tempo superiore ad ottanta anni non si dimostri sufficiente a diminuire il grado di artificiosità della regione, pur tuttavia nel suo corso il quadro socio-economico dell’Umbria, ferma restando la scarsa complementarietà delle diverse aree, viene mutando sensibilmente. Il contratto mezzadrile, sempre più elemento regolatore dei rapporti sociali in una realtà quasi esclusivamente agricola, dopo aver consentito, a partire dagli anni venti dell’Ottocento, il superamento del ciclo endemico epidemia-carestia tipico dell’ancien régime, diviene a sua volta un ostacolo allo sviluppo. Nel ventennio che chiude il XIX secolo la pressione demografica sulle campagne si fa sempre maggiore e, pur se in ritardo, non manca di verificarsi il crollo dei prezzi agricoli effetto della concorrenza dei grani russi. Sintomi del disagio contadino sono tanto l’indurimento del patto mezzadrile, quanto la diffusione della pellagra; tuttavia, l’inasprimento delle con-
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dizioni contrattuali non riesce ad evitare che anche le rendite padronali subiscano un ribasso. Se i contadini cercano una via di uscita attraverso l’emigrazione, sempre più permanente, e le lotte agrarie, i settori più illuminati della proprietà terriera tentano di modernizzare la produzione agricola, insistendo su concetti quali la riforma del patto, il credito, l’istruzione tecnica, ma sempre rigidamente all’interno del modello mezzadrile. Una costrizione che conduce, inevitabilmente, ad un progressivo esaurimento della spinta innovatrice e tuttavia, alla vigilia della prima guerra mondiale, il regime dei campi umbri è profondamente mutato rispetto all’epoca dell’Inchiesta Jacini: la superificie coltivata a cereali è diminuita notevolmente scendendo dall’81% al 57% dell’area a seminativo; non solo, ma la sua composizione interna registra il fortissimo calo del mais in parte compensato da un incremento del frumento. La vera novità è, comunque, rappresentata dal raddoppio delle colture foraggere, che passano dal 10% al 22% dell’area a seminativo. Parallelamente al verificarsi della rivoluzione foraggera, frutto di un doppio adattamento prima alla crisi e, poi, alla ripresa dei prezzi agricoli, l’altro grosso mutamento della struttura produttiva umbra è rappresentato dalla nascita del distretto industriale ternano che si colloca temporalmente tra il 1881 e il 1888. Rispetto alla fragilità dell’assetto territoriale regionale si tratta di un fenomeno notevolissimo. A partire da questo momento Terni, sostituendo Spoleto come centro preminente dell’Umbria meridionale, diviene a tutti gli effetti l’antagonista per eccellenza della volontà egemonica perugina, in una contrapposizione che, ormai, attiene anche al modello di sviluppo prescelto. La vicenda ferroviaria riflette tutto questo. Non è un caso che proprio a partire dal 1883, pur tenendo conto dello stimolo rappresentato dalla normativa vigente, l’Amministrazione ternana decida di impegnarsi per promuovere la costruzione di due ferrovie l’una lungo la valle del Nera, in direzione delle Marche, l’altra sino a Todi. Il caso ternano, inoltre, ha il merito di fare intravedere la possibilità di un diverso modello di sviluppo per l’Umbria, basato su uno schema che assegna alle Amministrazioni locali, con il contributo dello Stato, il compito di realizzare, sul piano infrastrutturale, le condizioni favorevoli all’intervento di forze imprenditoriali locali ed esterne. Un’ipotesi destinata al fallimento, che tuttavia non solo origina un dibattito che, con alti e bassi, proseguirà sino alla fine degli anni venti del Novecento, ma guida le esperienze modernizzatrici dei blocchi popolari che in chiusura del XIX secolo conquistano la Amministrazioni dei principali comuni umbri. A Perugia la Giunta retta da Ulisse Rocchi (1893-1903) costruisce il nuovo acquedotto, impianta la rete dell’illuminazione elettrica e il servizio tranviario urbano e, non meno importante, contribuisce in modo significativo, favorendo l’esaurimento di una conflittualità ventennale, alla costituzione del consorzio per la Ferrovia Centrale Umbra. A Spoleto, prima l’amministrazione liberale ringiovanita dall’ingresso di forze fresche nelle elezioni supplementari del 1885, poi, a partire dal 1903, quella popolare guidata da Domenico Arcangeli, oltre a determinare la produzione diretta di energia elettrica, pongono con forza il problema del
Introduzione
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Covino, L’invenzione cit. (a nota 1), pp. 55-56.
Introduzione
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collegamento con l’alta Valnerina e la montagna nursina. Si gettano le basi per la futura ferrovia Spoleto-Norcia e, intanto, si tenta un’esperienza singolare come quella delle autolinee a vapore: i pirobus. La rivincita dei conservatori provoca, è vero, un rientro nelle compatibilità del modello mezzadrile, seppure nella versione illuminata proposta a fine Ottocento, e tuttavia, seppur sconfitta sul piano pratico – tra il 1890 e il 1911 i lavoratori dell’industria rappresentano, stabilmente, meno del 5% della popolazione residente – l’ipotesi di sviluppo industriale della regione continua ad alimentare un vivace dibattito. L’agitazione del 1906 per l’estensione all’Umbria dei provvedimenti legislativi speciali in favore del Mezzogiorno, che vede in primo piano il deputato conservatore Guido Pompilj, lo stesso che appena quattro anni prima aveva esaltato la vocazione agricola della regione, e la costituzione nel 1910, ad opera di Arcangeli, dell’associazione Pro Umbria rappresentano gli esempi più eclatanti del perpetuarsi dello schema che individua nella costruzione di una rete infrastrutturale, a partire dallo sfruttamento delle risorse idriche disponibili, da realizzare con il contributo dello Stato, il prerequisito fondamentale per la crescita di un apparato industriale. Inutile sottolineare che all’interno di questo disegno il tema delle comunicazioni ferrotranviarie occupa un posto di assoluto rilievo. Risolta, almeno sul piano dell’accordo tra i Comuni interessati, la questione della Centrale Umbra, si mira a completare la rete ferroviaria regionale con il prolungamento da Umbertide in direzione di Forlì, puntando a Venezia, e con una trasversale da Foligno a Porto Santo Stefano via Todi ed Orvieto. Si tratta, è chiaro, di progetti che ripresentano in nuova veste aspettative che risalgono ai primi anni del dibattito ferroviario: quella di porsi al centro di un collegamento tra i due mari e quella di sfondare sulle coste venete per assicurarsi un ulteriore sbocco sull’Adriatico e una via di accesso per il Nord Europa. Accanto, continuano a vivere progetti minori che attengono, maggiormente, ad aspettative di singoli centri, quali il collegamento di Perugia con Chiusi, che non verrà mai realizzato e quello di Spoleto con la montagna nursina. Quest’ultimo, che, se si eccettuano il prolungamento della Centrale Umbra sino a Sansepolcro nel 1956 e la breve parentesi della ElleraTavernelle (1953-60), chiude l’epoca delle costruzioni ferroviarie in Umbria, vedrà la luce nel 1926. Il fascismo congela gli equilibri economici e sociali per un ventennio; “esso rappresenta la forma politica attraverso cui i proprietari terrieri e il gruppo industriale monopolistico presente nella regione, la Società Terni, mantengono e rafforzano la loro egemonia nel e sul territorio e sulle comunità locali”11. Inutile dire che l’ipotesi modernizzatrice ne esce definitivamente sconfitta, anzi finisce per essere negata, persino, sul piano teorico. L’alienazione delle aziende municipalizzate di
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produzione e distribuzione di energia elettrica che pure avevano resistito alla controffensiva conservatrice, la battaglia con cui la Società Terni, favorita dal regime e invano contrastata dall’Amministrazione locale, perviene al controllo delle acque del bacino Nera-Velino, l’istituzione della seconda Provincia sono tutti elementi funzionali alla realizzazione del disegno egemonico. In particolare, l’ultimo provvedimento si configura come una tipica forma di “regionalizzazione” – nell’accezione di Lucio Gambi12 – piuttosto che come una risposta razionale ad istanze territoriali pure da lungo tempo presenti e motivate. L’eclisse dell’ipotesi modernizzatrice trascina con sé anche il tema ferroviario: se si nega la possibilità di un diverso modello di sviluppo è implicito il disconoscimento della necessità di realizzarne i prerequisiti. Per i sostenitori del regime, l’autorizzazione al prolungamento della Ferrovia Centrale Umbra sino a Sansepolcro, decretata dal governo Mussolini, è sufficiente a soddisfare le esigenze regionali. D’altronde, come è noto, la politica ferroviaria fascista è quasi esclusivamente indirizzata alla costruzione delle linee direttissime ed alla elettrificazione di quelle più importanti, finendo per contribuire “a rafforzare la crescita del potere di attrazione delle massime aree metropolitane e delle città più importanti”13. Non certo dell’Umbria, la cui centralità geografica sempre più a fatica riesce a nasconderne la marginalità socio-economica.
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Si veda, L. Gambi, Le “regioni” italiane come problema storico, in Orientamenti di una regione attraverso i secoli: scambi, rapporti, influssi storici nella struttura dell’Umbria, Atti del X convegno di studi umbri, Gubbio, 23-26 maggio 1976, Perugia 1978, pp. 9-33, pubblicato con lo stesso titolo anche in “Quaderni storici”, XII, 34, fasc. I, gennaio-aprile 1977, pp. 275-298. L. Bortolotti, Viabilità e sistemi infrastrutturali, in Storia d’Italia, Annali 8, Insediamenti e territorio, a cura di C. De Seta, Einaudi, Torino 1985, p. 348.
Introduzione
Capitolo 1 L’epoca preunitaria (1845-1859)
È difficile stabilire con esattezza dove e quando, all’interno dell’area oggi riconosciuta come Umbria, si sia cominciato a discutere apertamente di ferrovie. Le indagini condotte sulle carte delle Delegazioni apostoliche e dei Comuni non hanno rilevato, a differenza che in altre province pontificie1, alcun atto precedente al 1846, anno in cui, salito al soglio Pio IX, si dette avvio, anche nello Stato della Chiesa, ad una politica ferroviaria. Sta di fatto che un simile argomento doveva avere covato a lungo sotto le ceneri, dal momento che la reazione periferica alle sollecitazioni provenienti da Roma non fu solo immediata ma anche consistente, come testimoniano tanto gli atti delle Amministrazioni locali quanto un’abbondante pubblicistica2. D’altra parte numerosi sono i segnali che dimostrano la conoscenza, in sede locale, di quegli scritti che negli anni immediatamente precedenti avevano caratterizzato il dibattito ferroviario nella penisola; un dibattito che da una fase nella quale avevano prevalso le problematiche in materia dei singoli Stati era approdato ad una dimensione nazionale della questione3. Su tutti emergeva l’opera di sintesi4 del conte Carlo Ilarione Petitti che ipotizzava un sistema centrato su due grandi arterie, moventi entrambe da Torino: la prima, a sinistra del Po, avrebbe dovuto spingersi, via Vercelli e Novara, sino a Milano e da qui, più o meno in linea retta, sino a Venezia e, ancora, a Trieste; la seconda avrebbe dovuto puntare verso il cuore della pianura padana, via Alessandria, Piacenza, Parma, Modena, sino a Bologna per poi scendere più giù, sino al porto di Ancona. Da quest’ultimo punto i binari avrebbero dovuto attraversare la penisola per giungere prima a Roma e poi a Napoli, quindi compiere il percorso inverso in direzione della Puglia o, in alternativa, puntare sullo Ionio, alla ricerca di uno scalo marittimo in grado di acco1
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“Nel 1844 un gruppo di esponenti della nobiltà e della borghesia di Bologna costituì una società avente lo scopo di progettare e di attuare linee ferroviarie nel territorio delle Legazioni, incontrando all’inizio il favore delle autorità locali”. In P. Negri, Gregorio XVI e le ferrovie in alcuni documenti degli Archivi di Stato di Roma e Bologna, in “Rassegna degli Archivi di Stato”, XXVIII, 1, Roma, gennaio-aprile 1968, p. 105. Alla stessa conclusione è già giunto Antonio Minetti. Cfr. A. Minetti, La ferrovia Falconara-Fossato, in Nelle Marche Centrali. Territorio, economia, società tra Medioevo e Novecento: l’area Esino-Misena, a cura di S. Anselmi, Cassa di Risparmio di Jesi, Jesi 1979, p. 1042 e nota. C. Carozzi e A. Mioni, L’Italia in formazione. Ricerche e saggi sullo sviluppo urbanistico del territorio nazionale, De Donato, Bari 1970, pp. 267 e sgg. Petitti ebbe il merito “di aver sintetizzato, con molta cura, gli studi che fino a quel momento erano stati condotti sul problema della futura rete nazionale”. Ivi, p. 271.
L’epoca preunitaria (1845-1859)
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Le origini del dibattito: sollecitazioni esterne e sviluppi interni
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gliere i traffici provenienti dall’Oriente. A questo sistema principale si sarebbero, poi, dovute collegare altre linee di non minore importanza quali la Genova-Alessandria, la Bologna-Pistoia, via la Porretta, con diramazione tanto per Firenze, quanto per Livorno, e, naturalmente, una linea in grado di unire la capitale del Granducato con Roma5. Il disegno di Petitti, che per alcune porzioni di territorio si limitava a includere tratti già costruiti o in via di realizzazione6, rispondeva all’esigenza di dotare il paese di una rete nazionale che, pure nella salvaguardia delle singole autonomie degli Stati, consentisse di raccogliere la sfida del commercio internazionale, con attenzione particolare a quanto si stava muovendo nel Mediterraneo orientale, in previsione della prossima apertura del canale di Suez. Da ciò, l’importanza attribuita agli allacciamenti con le reti ferroviarie degli altri paesi europei attraverso i valichi del Cenisio, Lucomagno, Brennero e Tarvisio, ma, nello stesso tempo, quella della corrispondenza tra scali marittimi e ferroviari da realizzarsi tanto lungo la costa mediterranea (Genova, Livorno, Napoli), quanto, e soprattutto, lungo quella adriatica (Trieste, Venezia, Ancona, Brindisi). A prima vista, l’Umbria entrava in questo quadro, semplicemente, come una delle eventuali vie di transito per i collegamenti tra il porto dorico, Roma e Firenze, ma in realtà Petitti la riteneva adatta a contenere lo snodo, e quindi il fulcro, del sottosistema ferroviario facente capo ai tre centri in questione. Pur specificando che si trattava di linee “possibili, perchè l’esame della carta tali le dimostra, senza che però finora alcun divisamento renda quelle probabili”7, l’autore finiva per porre sul tappeto, più o meno, tutte le varianti che di lì in avanti sarebbero state discusse e, solo in parte, realizzate. Definendo Perugia “uno fra i luoghi più importanti dello Stato Pontificio, situata pressoché al centro della penisola, e per conseguenza a portata di concentrare in sé gli interessi di un vasto territorio”8, la candidava a divenire luogo di transito della ferrovia da Firenze a Roma, per la quale indicava il tracciato della valle dell’Arno sino ad Arezzo, quindi Castiglion Fiorentino, Cortona e da qui, lungo il territorio ad oriente del Trasimeno, appunto, a Perugia; la linea, infine, avrebbe dovuto proseguire lungo la valle Umbra sino al punto di incontro con la ferrovia proveniente da Ancona. Tre erano le varianti ipotizzate da Petitti rispetto al trac5
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C.I. Petitti, Delle strade ferrate italiane e del migliore ordinamento di esse, Tipografia e Libreria Elvetica, Capolago 1845. Per una percezione immediata della rete immaginata da Petitti, oltre alla corografia allegata al volume, si veda il Discorso quinto alle pp. 498-99. Alla fine del 1844, in Italia, erano stati attivati i seguenti tronchi ferroviari: nel Napoletano, Napoli-Nocera, con diramazione per Castellamare di Stabia e Napoli-Caserta; nel Lombardo-Veneto, Milano-Monza e PadovaMestre; in Toscana, Livorno-Pisa. Per una quadro più dettagliato, si veda, A. Crispo, Le ferrovie italiane. Storia politica ed economica, Giuffrè, Milano 1940, pp. 23 e sgg. Petitti, Delle strade ferrate cit. (a nota 5), p. 349. In realtà, per esplicita ammissione dello stesso Petitti, le ipotesi di tracciato relative all’Italia centrale erano state mutuate da M.A. Sanfermo, Cenni sulle linee ferrate più convenienti all’Alta Italia ed all’Italia centrale, Crescini, Padova 1845. Petitti, Delle strade ferrate cit. (a nota 5), pp. 350-351. Più in generale, per i tracciati possibili nel triangolo Ancona-Firenze-Roma si vedano le pp. 349-357.
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G. Fritz, Le strade dello Stato Pontificio nel XIX secolo, in “Archivio economico dell’unificazione italiana”, serie I, vol. XVI, fasc. I, ILTE, Torino 1967, p. 92. Petitti, Delle strade ferrate cit. (a nota 5), p. 354. Ivi, p. 355. Sulle origini di queste due ipotesi, la prima risalente addirittura al 1836, la seconda al 1844, si veda il preziosissimo A. Giuntini, Leopoldo e il treno. Le ferrovie nel granducato di Toscana. 1824-1861, ESI, Napoli 1991, pp. 125-135 e 186-189. Petitti, Delle strade ferrate cit. (a nota 5), p. 356.
L’epoca preunitaria (1845-1859)
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ciato di quest’ultima: la prima prevedeva il percorso, via Loreto e Recanati, sino a Macerata, la valle del Chienti sino a Serravalle e, passato l’Appennino, la discesa lungo il corso del Menotre sino a Foligno, punto di incontro con la ferrovia proveniente da Firenze; la seconda, la valle dell’Esino sino a Serra San Quirico, Sassoferrato, il corso del Sentino sino a Scheggia e, valicato l’Appennino, la valle del Chiascio; la terza – da lui preferita, sebbene maggiormente sinuosa, perchè con meno ostacoli naturali da superare – seguiva la costa sino al porto di Recanati per poi risalire il corso del Potenza sino a Castelraimondo, quindi a Matelica, Cerreto d’Esi, Fabriano, il valico nei pressi di Fossato e la discesa lungo il Chiascio. Dal punto di unione delle due ferrovie – che nel caso si fosse scelto di percorrere la valle del Chiascio veniva ipotizzato nei pressi di Santa Maria degli Angeli – a Roma, la via più semplice da seguire sembrava essere quella utilizzata correntemente per i percorsi postali che toccava i centri di Foligno, Spoleto, Terni, Narni, Civita Castellana, Nepi9. Il passaggio tra Spoleto e Terni veniva tracciato per il valico della Somma, mentre l’attraversamento del Tevere si sarebbe dovuto compiere oltre Magliano Sabina (tav. 1). Le ipotesi alternative a questo mini sistema non sembravano convincere Petitti: no a un prolungamento della Centrale Toscana (Firenze-Empoli-Siena) in direzione di Roma, via Chiusi, Città della Pieve, Orvieto e Viterbo, a causa “di una scabrossisima e forse inconciliabile esecuzione, di un dispendio gravissimo, e di una estensione oltremodo lunga”10; no, allo stesso modo, all’idea, caldeggiata dai cittadini di Livorno, di una ferrovia che da quel porto muovesse verso la capitale dello Stato Pontificio lungo la Maremma, toccando Grosseto e, successivamente, scegliendo tra la via di Viterbo e quella di Civitavecchia: una strada che “passerebbe in luoghi malsani e spopolati, [perciò] di nessunissima convenienza”11. Negativo era anche il giudizio, destinato ad aprire una lunga polemica, sul collegamento ferroviario tra Roma e Civitavecchia: “inutile quanto al congiungimento dei due mari”12, che, al contrario, avrebbe dovuto ritenersi ampiamente conseguito una volta realizzato a nord il collegamento tra Livorno e Venezia, attraverso il valico appenninico della Porretta, al centro quello tra Livorno e Ancona attraverso la via di Perugia, al sud quello tra Napoli e un porto del basso Adriatico da definire (Termoli, Manfredonia o Brindisi). Inoltre, secondo Petitti, la ristrutturazione del porto di Civitavecchia avrebbe richiesto una quantità tale di capitali da sconsigliare l’assunzione di una simile impresa tanto ad una società privata, quanto allo stesso governo pontificio, gravato da un notevole deficit finanziario.
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Tav. 1 – Ferrovie da Firenze e da Ancona per Roma tracciate da Carlo Ilarione Petitti (1845)
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Il dibattito che prese corpo in territorio pontificio nel luglio 1846, non appena la Segreteria di Stato annunciò che il pontefice era sul punto di nominare una commissione consultiva per le strade ferrate13, se per ciò che riguarda i tracciati si colloca, più o meno interamente, nel quadro appena descritto, d’altro canto riconduce, almeno in buona parte, la questione ad una dimensione interna agli interessi dello Stato; si perde, cioè, il respiro “nazionale” dell’opera di Petitti che tanto favorevolmente aveva colpito anche Cavour, il quale, non a caso, nel maggio del 1846, con la scusa di recensirla, ne aveva ripreso le parti essenziali per farne uno scritto di natura tutta politica14. La convinzione, ormai, diffusa del prossimo taglio dell’istmo di Suez, rilanciava il ruolo della penisola italiana nelle correnti commerciali tra il nord Europa, il Mediterraneo e l’Oriente in un sistema di trasporti integrato ferrovia-mare: si doveva 13
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L’annuncio venne dato “agli e.mi legati e prelati delegati” il 5 luglio 1846, con circolare n. 403 della Segreteria di Stato. Tre giorni dopo lo stesso organo comunicò l’avvenuta nomina della commissione consultiva. In P. Negri, Le ferrovie nello Stato Pontificio (1844-1870), in “Archivio economico dell’unificazione italiana”, serie I, vol. XVI, fasc. 2, ILTE, Torino 1967, p. 117. Si veda, in proposito, C. Cavour, Le strade ferrate in Italia, a cura di A. Salvestrini, La Nuova Italia, Firenze 1976.
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Interessante è la definizione della centralità pontificia data da Benedetto Blasi, segretario della Camera di Commercio di Civitavecchia: “Lo Stato Pontificio è [...] nel centro dell’Italia e dell’Europa, se per centro vuolsi intendere, non la posizione geografica e materiale rispetto alle altre nazioni, ma il sito più acconcio a comunicare per terra e per mare con esse in proporzione della loro importanza verso gli ordini attuali d’incivilimento” (B. Blasi, Del danno che avverrebbe allo Stato Pontificio da qualunque strada ferrata di comunicazione fra la Toscana e l’Adriatico, Tipografia delle Belle Arti, Roma 1846, p. 11). Per un approfondimento di questi brevi accenni all’economia pontificia ottocentesca si veda M. Caravale e A. Caracciolo, Lo Stato Pontificio da Martino V a Pio IX, in Storia d’Italia, a cura di G. Galasso, vol. XIV, UTET, Torino 1978, pp. 625-629 e 688-698.
L’epoca preunitaria (1845-1859)
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fare dell’Italia il crocevia obbligato tra Oriente e Occidente, vincendo la concorrenza dei porti francesi, Marsiglia in primo luogo. Le ferrovie trasversali, in grado di collegare l’Adriatico con il Tirreno, avrebbero svolto un compito fondamentale per il raggiungimento di un simile obiettivo, consentendo il trasferimento di merci da un mare all’altro in un tempo assai ridotto rispetto a quello necessario alla circumnavigazione della penisola. In un clima del genere, denso di aspettative, numerosi erano coloro i quali sostenevano che lo Stato Pontificio, e per la posizione centrale che occupava all’interno del corpo peninsulare15 e per l’estensione dei suoi confini da costa a costa, poteva e doveva aspirare ad esercitare il controllo su tali flussi commerciali, imponendosi come unico crocevia e rovesciando, così, il rapporto di subalternità economica nei confronti di quegli stati agevolati dai più vicini valichi di confine e dalle più frequentate vie marittime. Si tenga presente che per quanto riguarda gli scambi con l’estero, nonostante una rigida politica protezionistica, lo Stato Pontificio presentava tutte le caratteristiche di un’area “coloniale”, ovvero esportazione di prodotti agricoli e semilavorati e importazione di manufatti ad alto valore aggiunto. Il caso più emblematico è, forse, quello della seta, il cui aumento di produzione, dovuto alla diffusione della coltura del gelso, non aveva provocato alcuna ricaduta nel campo della lavorazione, con il risultato che si continuava ad esportare seta greggia, per poi reimportarla sotto forma di prodotto finito16. Al fine di superare tale dipendenza appariva necessario, in primo luogo, valorizzare i porti di Civitavecchia e di Ancona, mettendoli in comunicazione mediante una strada ferrata che, naturalmente, passasse per la capitale. Contemporaneamente si doveva respingere ogni ipotesi di raccordo con linee ferroviarie di Stati limitrofi, proprio per evitare di cedere loro parte dei benefici che ne sarebbero risultati. Concretamente si trattava di scongiurare l’idea di un collegamento ferroviario con le linee toscane che finisse per comporre una comunicazione tra il porto di Livorno e quello di Ancona, con danni economici incalcolabili non solo per Civitavecchia ma per l’intero Stato. Diverso, almeno in parte, era l’atteggiamento nei confronti del Regno di Napoli, nella consapevolezza che esso aveva, comunque, la possibilità di costruirsi una strada ferrata da costa a costa, ma anche che la posizione di Civitavecchia, più a nord di Napoli, avrebbe consentito al porto laziale di attirare con maggior forza, se non in modo esclusivo, i traffici commerciali da e per i paesi dell’Europa occi-
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dentale. Non mancavano, tuttavia, opinioni più sfumate che pur riconoscendo la priorità degli interessi dello Stato e l’importanza di una rete ferroviaria interna, prefiguravano la possibilità di collegamenti tanto con la Toscana quanto con il Napoletano17.
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Il manifestarsi di un “municipalismo” ferroviario
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Anche le province non toccate dal mare parteciparono a pieno titolo al dibattito ferroviario. In Umbria si evidenziarono immediatamente almeno quattro distinte posizioni, riconducibili, in linea di massima, alle aspirazioni dei capoluoghi di delegazione. La collocazione centrale dell’area determinò che si discutesse tanto del collegamento tra i due mari, quanto di quello con il Granducato. Nella delegazione di Rieti, in realtà, si mosse ben poco: la proposta ascolana di adesione al progetto di una ferrovia che da Ancona a Roma seguisse la costa adriatica, passando per Fermo, sino alla foce del Tronto e, quindi, ne risalisse il corso giungendo ad Ascoli, da qui a Rieti e, infine, a Roma, non trovò “molto seguito nell’ambiente sabino ancora poco convinto dell’importanza che avrebbe potuto rivestire il passaggio di una strada ferrata nel proprio territorio”18. Di diversa intensità è, invece, il dibattito – ovvero l’intero sistema di relazioni che venne a delinerasi tra il governo centrale e le amministrazioni periferiche, tanto in senso verticale (centro-periferia) che orizzontale (periferia-periferia) – che si sviluppò nelle delegazioni di Perugia e Spoleto coinvolgendo a pieno titolo, oltre ai due capoluoghi, le città di Foligno e Terni. Nell’adunanza del 21 luglio la magistratura perugina, dichiarandosi favorevole ad un manoscritto dell’ingegnere Antonio Rutili Gentili sottolineò l’estrema utilità di una linea che segua i corsi de’ fiumi Potenza e Topino dall’Adriatico al centro dell’Umbria sul Tevere, e di altra proveniente da Firenze pei piani di Arezzo e Cortona, e continuata per le valli del Trasimeno e di Magione fino al Tevere presso Perugia, e lungo il detto fiume fino a ricongiungersi coll’altra sopra indicata19.
Rutili, folignate, membro della Giunta di Revisione del Censo sosteneva che nell’interesse dello Stato Pontificio la strada ferrata “più importante [fosse] quella che ne pone[sse] in comunicazione i due mari mettendo da Ancona a Roma, ed a Civitavecchia, ovvero ad ambedue questi estremi servendo ancora la Toscana”20. In 17
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La diversità di posizioni è ben rappresentata dal botta e risposta tra Angelo Galli, computista generale della Reverenda Camera Apostolica, e Blasi. Cfr. A. Galli, Sull’opportunità delle strade ferrate nello Stato Pontificio e sui modi di adottarle, Tipografia Menicanti, Roma 1846 e Blasi, Del danno che avverrebbe cit. (a nota 15). R. Lorenzetti, Strade di ferro e territori isolati. La questione ferroviaria in un’area dell’Italia centrale (18461960), Angeli, Milano 1986, p. 28. ASP, ASCPG, Atti del Gonfaloniere e degli Anziani, reg. n. 4, 1846-1847. A. Rutili Gentili, Idea sul migliore andamento di una strada ferrata dall’Adriatico al Mediterraneo, Tomassini, Foligno 1846, p. 6.
Capitolo 1
verità la sua attenzione era, prevalentemente, indirizzata al tratto di percorso da Ancona a Foligno, e, in particolare, alla scelta del valico appenninico, che proponeva di realizzare nella zona compresa tra Pioraco e Bagnara, mediante una galleria che consentisse il passaggio dalla valle del Potenza a quella del Topino. Da Foligno in avanti, egli si limitava ad indicare il territorio di Torgiano come “il solo praticabile da una strada ferrata”21 per superare la catena dei monti Martani che separa la valle Umbra da quella del Tevere, mentre il punto di incontro con la ferrovia proveniente dalla Toscana veniva fissato nelle vicinanze di Marsciano (tav. 2). Un’ipotesi del genere, oltre ad essere osteggiata dalla città di Spoleto, non convinceva sino in fondo neppure l’Amministrazione Municipale di Foligno; entrambe, pertanto, stabilirono di collaborare22 alla ricerca di un passaggio tra i monti Martani
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Tav. 2 – Ferrovie da Firenze e da Ancona per Roma tracciate da Antonio Rutili Gentili (1846)
Ivi, p. 8. ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, tit. 13.9.4.
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assai più a sud di quello di Torgiano e, contemporaneamente, alternativo al valico della Somma, la cui salita, con una pendenza del 14%, veniva definita “lunga e disastrosa”23 nell’ambito della stessa viabilità ordinaria. Un altro scritto che circolò molto in quei mesi fu quello del bolognese Giuseppe Bavosi, ingegnere ispettore di prima classe del censimento pontificio. Ritenendo che “la parte di penisola italiana che forma[va] il dominio della Santa Sede [fosse] in una felice situazione per essere quasi ovunque tracciata da strade ferrate”24, egli indicava come obiettivi primari da raggiungere tanto il collegamento trasversale tra i due mari, quanto quello longitudinale tra Roma e i confini settentrionale e meridionale dello Stato. Inoltre, prima ancora di passare in rassegna i tracciati possibili, dichiarava la necessità di
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far passare una strada ferrata prossima a Perugia perché la città troppo abbonda di meriti sia per civiltà, scienze, arti e ricchezza di cui è fornita, perchè non debba essere l’ultima su questo punto, ed anche per la sua centrale posizione, come ognuno potrà da sé verificare qualora porti esame sulla carta del nostro Stato e dell’intera Italia25.
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Con tali premesse e nella convizione che l’arrivo dei binari a Civitavecchia non sarebbe stato, comunque, sufficiente ad indebolire il primato economico del porto di Livorno, egli suggeriva di collegare quest’ultimo con Ancona. Il percorso avrebbe dovuto condursi per Pisa, Firenze, Arezzo, quindi, lungo la riva destra o sinistra del Trasimeno, sino a Ponte San Giovanni. Da qui risalendo la valle del Tevere si sarebbe giunti ad Umbertide, per poi deviare verso l’Appennino, lungo il corso dei torrenti Assino e Saonda, sino a Scheggia. Il valico veniva fissato tra i monti Catria e Cucco, mentre il proseguimento sino al porto dorico sarebbe dovuto avvenire lungo le valli del Sentino e dell’Esino, toccando centri come Sassoferrato e Jesi. L’altra linea, quella diretta alla capitale, avrebbe dovuto innervarsi sulla prima a Ponte San Giovanni, luogo commerciale poco distante da Perugia, che si sarebbe così caratterizzato come “punto per eccellenza per le strade ferrate della parte centrale e meridionale dello Stato Pontificio”26, per poi proseguire lungo la valle Umbra incontrando Foligno, “punto da non doversi abbandonare per le strade ferrate, sia perchè è un vero porto di terra pel giro commerciale, e sia per la sua favorevole situazione nella quale fanno capo le prime strade nazionali”27, e Spoleto. Dal capoluogo di delegazione a Terni, altra città da non trascurare, la ferrovia avrebbe potuto seguire la via della Somma o, in alternativa, quella segnata dal corso dei torrenti Maroggia e Serra. Allo stesso modo, due erano le possibilità che 23 24
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Fritz, Le strade dello Stato Pontificio cit. (a nota 9), p. 39. G. Bavosi, Pensieri per la costruzione di alcune strade ferrate nello Stato Pontificio sulle linee che sembrano più confacenti alla sua prosperità, Tomassini, Foligno 1846, p. 10. Ibidem. Ibidem. Ivi, p. 13.
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Bavosi indicava per ricongiungersi con la valle del Tevere che avrebbe guidato la ferrovia nel suo tratto conclusivo sino a Roma: la prima per Narni, lungo il corso del Nera; la seconda per Vacone, centro del Reatino, lungo l’antica via Salaria. L’alternativa per il tratto Foligno-Roma, costituita dal risalire la valle Umbra sino a Torgiano per poi seguire la via del Tevere, toccando Todi, Baschi e Orte, non lo convinceva, a causa delle difficoltà legate al superamento dello stretto del Forello, nelle vicinanze di Todi. Allo stesso modo, sulla scia di Petitti, bocciava tanto la linea Firenze-Roma, via Chiusi, Città della Pieve, Orvieto e Viterbo, quanto quella Livorno-Civitavecchia-Roma. Infine, quanto al semplice collegamento di Roma con il porto di Civitavecchia, egli lo auspicava, anche se non credeva affatto che fosse sufficiente ad indebolire il primato economico del porto di Livorno (tav. 3). Lo scritto di Bavosi si dimostrò talmente favorevole a Perugia che la magistratura
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Tav. 3 – Ferrovie da Firenze e da Ancona per Roma tracciate da Giuseppe Bavosi (1846)
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cittadina si liberò da ogni impegno con Rutili, col quale si era in precedenza accordata, e lo incaricò di compiere un approfondimento d’indagine, al fine di indicare il più facile varco appenninico28. Naturalmente il dibattito si arricchiva delle suggestioni provenienti dalle aree circostanti. Nelle provincie marchigiane le magistrature comunali si dividevano sulla scelta del tracciato della linea destinata ad unire Ancona e Roma intorno alle alternative rappresentate dalle valli del Tronto (Ascoli e Osimo), del Potenza (Macerata e Fabriano) e dell’Esino (Jesi), interrogandosi, nel contempo, su quali dovessero essere i criteri guida da utilizzare nella definizione del percorso. In particolare il gonfaloniere di Ancona proponeva di affidare il compito ad una commissione interprovinciale di ingegneri che, pur nella giusta ricerca del tragitto più breve e più facile da realizzare, non dovesse spingersi al punto tale da danneggiare la maggior parte dei territori, escludendoli dai benefici indotti dalla strada ferrata29. Nel Granducato di Toscana si scontravano ipotesi diverse riguardo al modo di collegarsi con le future strade ferrate pontificie. In concorrenza con il prolungamento della Firenze-Siena, già alla fine del 1844, in ambienti legati alla Società della Strada Ferrata Leopolda, aveva preso corpo l’idea di una strada ferrata denominata Aretina “che staccandosi da Firenze e procedendo per Ponte a Sieve, il Val d’Arno superiore, Arezzo e la Val di Chiana si dirig[esse] al confine pontificio”30; ma l’iniziativa, nonostante la partecipazione di un personaggio del calibro di Bettino Ricasoli, si sarebbe arenata alla fine del 184631. Malgrado ciò, la notizia era giunta all’Amministrazione perugina che, preoccupata di quale avrebbe potuto essere il tracciato in territorio pontificio, se, come auspicato, lungo il Trasimeno, la piana di Magione e la stessa Perugia, oppure, via Sansepolcro, lungo il Tevere, aveva immediatamente cercato un contatto con la città di Arezzo32. L’ipotesi Bavosi, che aveva dato nuova linfa alle aspettative dei perugini spingendoli a guardare alla vicina Toscana, non fu accolta male neppure nei centri della valle Umbra. L’Amministrazione folignate propose a quella spoletina di stendere un unico progetto che per il tratto Ancona-Foligno si rifacesse a Rutili (PotenzaTopino), mentre per quello Foligno-Roma seguisse le indicazioni di Bavosi (SpoletoTerni). Contemporaneamente la magistratura di Spoleto e quella di Terni si accor-
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Adunanze del 24 e 25 agosto e del 27 ottobre 1846 in ASP, ASCPG, Atti del Gonfaloniere e degli Anziani, reg. n. 4, 1846-1847. Si veda in proposito Ivi, Amministrativo 1817-1859, b. 135, Rapporto sulla strada ferrata del Gonfaloniere alla magistratura della Comunità di Ancona del 13 agosto 1846. In merito al dibattito sul tracciato marchigiano della Ancona-Roma, cfr. Minetti, La ferrovia Falconara-Fossato cit. (a nota 2), pp. 1041 e sgg. G. Antonelli, Sulle strade ferrate da Firenze al lago Trasimeno per Arezzo e da Siena al lago medesimo, Tipografia Calasanziana, Firenze 1851, p. 6. Il riferimento è ad una disposizione governativa dell’8 aprile 1846. Giuntini, Leopoldo e il treno cit. (a nota 11), pp. 118-125. ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1859, b. 135, lettera del gonfaloniere di Perugia al gonfaloniere di Arezzo del 29 luglio 1846.
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ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, tit. 13.9.4, lettera del gonfaloniere di Foligno al gonfaloniere di Spoleto del 17 agosto 1846 e carteggio tra il gonfaloniere di Spoleto e quello di Terni, 13-15 agosto 1846. Ivi, lettera del gonfaloniere di Spoleto al gonfaloniere di Civitavecchia del 31 agosto 1846. Memoria della Commissione Amministrativa della Provincia di Spoleto sulla utilità e convenienza di preferire ad ogni altra la linea di Spoleto, Terni, e Narni per continuare da Fuligno alla volta di Roma la strada ferrata proveniente dal porto di Ancona, Bassoni e Bossi, Spoleto 1846. Per un approfondimento in ordine alla variazioni apportate al riparto territoriale durante il pontificato di Gregorio XVI si veda R. Volpi, Le regioni introvabili. Centralizzazione e regionalizzazione dello Stato Pontificio, il Mulino, Bologna 1983, pp. 291-301. Per il quadro completo delle adesioni si veda Alla santità di nostro signore Pio papa IX, felicemente regnante per gli abitanti delle provincie del Patrimonio di San Pietro e porzione dell’altra di Perugia, Angiolo Fumi, Montepulciano 1846. P. Bocci, Progetto per la costruzione di una strada ferrata a doppie guide che partendo da Roma, o da Civitavecchia per Viterbo, ed Orvieto vada a terminare ai confini toscani, sotto Città della Pieve con la denominazione di Pia Cassia, Sperandio Pompei, Orvieto 1847.
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darono al fine di individuare il passaggio migliore tra i territori delle due città33. La difesa dei propri interessi conduceva alla ricerca di alleanze a tutto campo, con il rischio, talvolta, di incorrerre in posizioni, quantomeno, contraddittorie. Così, nello Spoletino, mentre l’Amministrazione Municipale dichiarava il proprio appoggio alla città di Civitavecchia, negando l’utilità di un collegamento con la Toscana che avrebbe finito per avvantaggiare il porto di Livorno34, quella Provinciale, per addolcire la posizione dei perugini che con l’Ancona-Roma lungo la valle Umbra sarebbero stati tagliati fuori, sosteneva con forza l’esatto contrario35. Frattanto la rivendicazione ferroviaria prese corpo anche in quell’area che si estende da Città della Pieve a Viterbo e che, in seguito alla riforma territoriale del 1831, si distribuiva nelle tre distinte delegazioni di Perugia, Orvieto e Viterbo36. Si trattava di territori che, contrariamente alle opinioni di Petitti, si ritenevano naturalmente candidati ad accogliere la strada ferrata di collegamento tra Roma e la Toscana. L’iniziativa, promossa e coordinata dal pievese Pietro Bocci, raccolse il consenso e il sostegno, oltre che dei Governi delegatizi di Orvieto e Viterbo, delle Comunità di Viterbo, Bagnorea, Montefiascone, Orvieto, Ficulle, Città della Pieve, solo per citare le maggiori37, e si concretizzò in un progetto, presentato alla Commissione Consultiva il 20 settembre 1846. La ferrovia, denominata Pia Cassia (tav. 4), muovendo dal confine toscano nelle vicinanze di Chiusi, avrebbe dovuto proseguire in linea retta, via Città della Pieve ed Orvieto, sino all’altezza di Bomarzo, deviare verso il mare in direzione di Viterbo e, giunta a Vetralla, o dirigersi a Roma via Civitavecchia o, piuttosto, puntare direttamente sulla capitale passando tra i laghi di Vico e Bracciano e, solo successivamente, ripiegare verso il porto tirrenico38. Intenzionati a raccogliere il capitale necessario all’impresa attraverso l’emissione di azioni, i promotori della Pia Cassia ne elogiavano la facilità di realizzazione e le potenzialità sul piano commerciale; mentre, a giustificazione del collegamento tra i porti di Ancona e Livorno che ne sarebbe scaturito, evidenziavano come questo avrebbe comportato, a differenza che in una linea passante per Perugia, il passag-
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Tav. 4 – Ferrovia Pia Cassia tracciata da Pietro Bocci (1846)
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gio obbligatorio per Roma. Questa iniziativa, inoltre, tendeva a coordinarsi con quanto di analogo si muoveva in ambiente senese. Anche qui, a dispetto del giudizio di Petitti e in polemica con le aspirazioni degli aretini, era maturata la convinzione che “solo la Centrale Toscana avrebbe potuto essere il naturale prolungamento per lo Stato Pontificio”39. La risposta del centro alle contrastanti sollecitazioni giunte dalle periferie si concretizzò nella notificazione pontificia del 7 novembre 1846 che, fissando le strade ferrate di primaria importanza per l’interesse dello Stato, chiuse la prima fase dei lavori della commissione consultiva. Quattro furono le linee prescelte: Roma-Ceprano, Roma-Anzio, Roma-Civitavecchia e quella “che da Roma, correndo i luoghi più popolosi dell’Umbria, com’è principalmente Foligno e la valle del 39
G. Catoni, Un treno per Siena. La strada ferrata Centrale Toscana dal 1844 al 1865, in “Bullettino Senese di storia patria”, LXXXVII, 1980, p. 45.
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Potenza, mette in Ancona; e quindi da Ancona a Bologna, seguendo le tracce della via Flaminia-Emilia”40. Soltanto in un secondo tempo il governo si riservava di “prendere nella dovuta considerazione la linea che da Foligno mette verso Perugia e Città di Castello per la valle del Tevere, e anche altre linee di comunicazione con gli stati vicini”41. Da questa disposizione, che si presentava agli occhi dei sudditi pontifici come definitiva, ma che gli avvenimenti futuri provvederanno in gran parte a smentire, uscivano penalizzate tanto le aspirazione perugine quanto, soprattutto, quelle orvietane neppure riconosciute; ma l’aver fissato in territorio umbro il solo punto di Foligno lasciava, di fatto, aperto il discorso sulla definizione del tracciato della Ancona-Roma.
L’intervallo di tempo che intercorse tra la nomina della Commissione Consultiva e la notificazione di novembre fece registrare, accanto alla mobilitazione delle amministrazioni periferiche, la costituzione di società private che si candidavano a ricevere in concessione la costruzione e l’esercizio delle future linee ferroviarie. Nei paesi più avanzati dell’Europa occidentale, così come in quegli stati della penisola che in questo campo avevano preceduto quello Pontificio, si erano già sperimentate forme differenziate di gestione dell’impresa ferroviaria. In Piemonte, sull’esempio belga, “lo Stato aveva avocato a sé il diritto non solo di stabilire la priorità delle linee da eseguire, ma anche di costruire in proprio ed esercitare le linee di importanza nazionale, mantenendo per il resto un semplice controllo sull’azione dei privati nelle linee secondarie”42. Tuttavia, altrove, sulla falsariga di quanto era avvenuto in Inghilterra, l’iniziativa privata aveva campo aperto. Così nel Lombardo-Veneto, dove “le linee principali erano affidate a grandi compagnie private facenti capo alle concentrazioni finanziarie internazionali, quelle secondarie a piccole compagnie di operatori locali”43; ma soprattutto nel Granducato, dove determinante era il ruolo del “capitale straniero nel promuovere le iniziative ferroviarie [...] il più delle volte con chiari intenti di speculazione finanziaria”44. Nello Stato della Chiesa la scelta di affidare la costruzione delle strade ferrate
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Disposizioni risguardanti l’esecuzione delle strade ferrate nello Stato Pontificio. 7 novembre 1846. Notificazione, in “Raccolta delle leggi e disposizioni di pubblica amministrazione nello Stato Pontificio emanate nel pontificato della santità di nostro signore papa Pio IX felicemente regnante”, vol. I, Stamperia della RCA, Roma 1849, p. 82. Ivi, pp. 81-82. A. Mioni, Le trasformazioni territoriali in Italia nella prima età industriale, Marsilio, Padova 1976, p. 82. Ibidem. Carozzi e Mioni, L’Italia in formazione cit. (a nota 3), p. 280.
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Un tentativo di mediazione: il caso della Società Nazionale
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“alla privata industria di compagnie rappresentate da sudditi pontifici”45 fu dettata, più che da questioni teoriche – anche se il dibattito, ancora una volta stimolato da Petitti, fiero sostenitore del modello piemontese, non mancò di manifestarsi46 –, dalla ormai cronica debolezza della finanza pubblica. Tra le compagnie che si costituirono ancora prima della notificazione emerse, per l’ambizioso disegno che intendeva realizzare, la Società Principe Conti e Compagni per le Strade Ferrate nello Stato Pontificio, meglio nota come Società Nazionale. Già il 14 luglio 1846, non ancora trascorsa una settimana dalla nomina della commissione consultiva, ad ulteriore testimonianza di come la censura operata da Gregorio XVI non avesse impedito il formarsi di un interesse per le comunicazioni ferroviarie, la compagnia aveva reso pubblico il proprio progetto: capitalizzarsi attraverso un azionariato diffuso e costruire l’intera rete pontificia dal confine del Regno di Napoli sino a quello estense. Proprio in virtù del carattere nazionale che intendeva assumere, la società si strutturava in quattro presidenze: la centrale, con sede a Roma, quella delle quattro legazioni, quella umbro-perugina e quella delle Marche47 . La linea principale, da Ceprano a Bologna, via Roma, Terni, Spoleto, Foligno e Ancona, avrebbe varcato l’Appennino nel punto, già indicato da Rutili, che separa le valli del Topino e del Potenza, o con “un varco nelle vicinanze del monte Pennino” o mediante la “apertura di un traforo di non lunga base”. Cinque le diramazioni previste: le prime due da Roma ai porti di Anzio e Civitavecchia, la terza “da Foligno a Perugia città centrale distinta per li suoi eminenti pregii”; la quarta da Faenza a Ravenna sino al mare e l’ultima da Bologna al Po attraverso Ferrara48 (tav. 5) La Notificazione del 7 novembre impose dei mutamenti al disegno della Società Nazionale ma non ne scalfì la volontà di affermarsi come unica concessionaria. In pochi giorni, essa era già in grado di dare alle stampe un quadro dell’intera rete ferroviaria pontificia, divisa in linee, tronchi e sezioni, con tanto di distanze chilometriche e stazioni e una relazione sul modo di attivare i lavori in breve tempo49. L’ambizione della compagnia, tuttavia, era destinata a svanire assai pre-
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Disposizioni risguardanti cit. (a nota 40), p. 82. Cfr. Petitti, Delle strade ferrate cit. (a nota 5), pp. 495 e sgg; Galli, Sull’opportunità delle strade ferrate cit. (a nota 17), pp. 81-85; R. Campitelli, Discorso intorno le strade ferrate per gli stati pontificj, Sartorj Cherubini, Ancona 1846, pp. XXV-XXVI ed, infine, Bavosi, Pensieri per la costruzione cit. (a nota 24), p. 8. Cfr. Progetto nazionale della Società Principe Conti e C. per le Strade Ferrate nello Stato Pontificio, Tipografia de’ classici sacri, Roma 1846 e Società Nazionale per le Strade Ferrate nello Stato Pontificio, Programma, Tipografia de’ classici sacri, Roma 1846. P. Provinciali, Breve cenno sulle linee delle vie ferrate negli stati pontifici, Tipografia de’ classici sacri, Roma 1846, passim. L’autore, comandante maggiore del Genio Militare, era ingegnere capo e presidente della sezione tecnica della società. Per il passaggio tra Spoleto e Terni la cartina allegata indicava la via dei Balduini. Società Nazionale per le Strade Ferrate nello Stato Pontificio, Quadro che dà la divisione della gran vena delle strade ferrate nello Stato Pontificio in linee, tronchi, e sezioni, Tipografia de’ classici sacri, Roma 1846. Il
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tronco Orte-Foligno, lungo complessivamente 73,5 km, risultava diviso nelle sezioni Orte-Terni (24 km), Terni-Spoleto (25,5 km), Spoleto-Foligno (24 km) e prevedeva la costruzione di tre stazioni di prima classe a Terni, Spoleto e Foligno; quattro di seconda classe a Corese, Magliano, Orte e Narni; quattro di terza classe a Monte Rotondo, Otricoli, San Gemini e Trevi. Il tronco Foligno-Fiuminata (36 km), tracciato lungo la valle del Topino, era suddiviso in due sezioni: da Foligno a Nocera (21 km) e da Nocera a Fiuminata (15 km); nessuna stazione di prima classe oltre a quella, già menzionata, di Foligno; una di seconda classe a Nocera e una di terza classe a Fiuminata. I tratti rimanenti della linea restavano fissati lungo la riva sinistra del Tevere, con attraversamento del fiume a nord di Magliano, per il tronco Roma-Orte, e lungo la valle del Potenza, sino a Porto Recanati, per i due tronchi da Fiuminata a Macerata (49,5 km) e da Macerata ad Ancona (49,5 km), con questi due ultimi punti sede di altrettante stazioni di prima classe. Sull’organizzazione dei lavori si veda P. Provinciali, Relazione sul sistema di attivare fra breve tempo i lavori delle strade ferrate nello Stato Pontificio presentata alla presidenza centrale di Roma della Società Nazionale per le Strade Ferrate nello Stato Pontificio, Tipografia de’ classici sacri, Roma 1846.
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Tav. 5 – Progetto di rete ferroviaria della Società Nazionale per le Strade Ferrate nello Stato Pontificio (1846)
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sto e precisamente il 25 agosto 1847, quando, con deliberazione del Consiglio dei Ministri, sarebbe stata esclusa dal novero delle pretendenti50. D’altra parte, sul piano locale, l’impresa mostrava la corda già da tempo. Nelle delegazioni di Perugia e Spoleto la campagna di sottoscrizione delle azioni venne avviata pubblicamente nei giorni immediatamente seguenti l’adunanza della presidenza umbro-perugina, che si tenne a Perugia, il 4 gennaio 184751, al fine di eleggere tre rappresentanti da inviare a Roma per elaborare la redazione definitiva dello statuto. Si trattò di una seduta burrascosa, dove si consumò una rottura tra i consiglieri perugini, da una parte, e i folignati e gli spoletini, dall’altra. Ma il dissidio si era già manifestato in precedenza, quando, a distanza di un paio di settimane dalla notificazione del 7 novembre, i consiglieri perugini avevano scritto alla presidenza centrale, minacciando le proprie dimissioni, nel caso che non si fosse preso in esame il tracciato che da
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Foligno, invece di progredire per Nocera, dovrebbe volgersi inverso Spello passandogli quasi a contatto, e da Spello trapassando per la Madonna degli Angeli allacciar dovrebbe As[s]isi che gli è poco più di un miglio distante, e progredendo correr dovrebbe quella amena e fertile pianura dirigendosi ad avvicinare il più possibilmente Perugia: quindi per la valle del Chiagio volgendosi dalla parte del Pianello a Fossato darebbe facilità di accesso e commodità di più o meno comparteciparne a Fratta, Città di Castello, e Gubbio con gl’innumerevoli paesi sparsi in quei distretti, passerebbe per Gualdo e per il santuario detto di Cancelli, da dove per la valle del Giano andrebbe a fecondare l’illustre città di Fabriano, ponendo in comunicazione Sassoferrato, ed altri popolosi luoghi circonvicini, e per Matelica, che toccherebbe a Castelraimondo proseguirebbe la linea stessa che avrebbe a percorrere se passasse per Nocera, sino ad Ancona52.
La reazione in ambiente folignate era stata fortemente negativa, soprattutto perchè l’atto dei perugini aveva ritardato l’inizio della campagna di sottoscrizione53. È alquanto comprensibile che la scelta della città di Perugia in favore della linea del Chiascio, già indicata da Sanfermo e Petitti e caldeggiata dalle Amministrazio-
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La deliberazione oltre ad escludere la Società Nazionale proponeva “l’immediata concessione della linea da Roma al confine napoletano (presso Ceprano) alla Società ‘Altieri e De Rossetti’ [e] la concessione dell’intera linea da Roma verso il confine estense (cioè la Roma-Ancona-Bologna)” alle società rappresentate da Leopoldo Fabbri e dal marchese Annibale Banzi (Società di Bologna), “a condizione [...] che si fondessero in un unico ente”. In Negri, Le ferrovie nello Stato Pontificio cit. (a nota 13), pp. 4-5. V’è da aggiungere che già nella primavera dello stesso anno era circolata la notizia che la Società Nazionale si era “fusa con la Società Principe Doria e Comp.”. In ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1859, b. 135, lettera del 13 maggio 1847 da monsignor Spinello Antinori al gonfaloniere di Perugia. Su questa fusione cfr. Giuntini, Leopoldo e il treno cit. (a nota 11), p. 188. In ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1859, b. 135, pubblico avviso, del 14 gennaio 1847, fatto affiggere dalla presidenza umbro-perugina nei principali centri urbani delle delegazioni di Perugia e Spoleto. Risposta alle osservazioni sul primo atto della presidenza umbro-perugina per la Società Nazionale delle Strade Ferrate nello Stato Pontificio, s.e., Perugia 1846, p. 6. G.C. Agostini, Osservazioni sul primo atto della presidenza umbro-perugina per la Società Nazionale delle Strade Ferrate nello Stato Pontificio, Campitelli, Foligno 1846, p. 5.
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Tale comunanza di interessi è testimoniata dal carteggio tra il gonfaloniere di Perugia e quelli delle altre due città che si sviluppò nel periodo a cavallo della notificazione del 7 novembre 1846. In ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1859, b. 135. Ivi, Amministrativo 1817-1870, Atti del Consiglio, reg. n. 7, 16 febbraio 1846 - 30 dicembre 1847, adunanza del 21 novembre 1846. ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, tit. 13.9.4, lettera di Pietro Fontana, consigliere della presidenza umbroperugina della Società Nazionale, ad Alessandro Onofri, gonfaloniere di Spoleto, del 9 gennaio 1847; lettere di Onofri a Vincenzo Pianciani, a Pompeo di Campello e al gonfaloniere di Foligno, Francesco Barnabò del 12 gennaio 1847; risposta del gonfaloniere di Foligno del 16 gennaio 1847. Valgano gli esempi del marchese Emanuele Bourbon di Sorbello e di Francesco Guardabassi, contemporaneamente, anziani del magistrato di Perugia e consiglieri della presidenza umbro-perugina della compagnia ferroviaria. Cfr. ASP, ASCPG, Atti del gonfaloniere e degli anziani, reg. n. 4 cit., e Organizzazione e nomi dei membri che compongono la Società Nazionale, in C.I. Petitti, Difesa della Società Nazionale per le Strade Ferrate Pontificie, Tipografia della Società editrice romana, Roma 1847. ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, tit. 13.9.4, resoconto dell’adunanza del 26 febbraio 1847.
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ni di Gubbio e Fabriano54, subì un’accelerazione proprio a seguito della notificazione che procrastinava ogni decisione in merito al collegamento con la Toscana. Il Consiglio Comunale di Perugia era pienamente consapevole che il sito collinare della città male si prestava ad accogliere i binari, ma, nello stesso tempo, giudicava assolutamente necessario fare tutto il possibile affinché l’unica ferrovia, tra quelle decretate, destinata ad attraversare la delegazioni umbre transitasse il più possibile vicino al proprio centro, pena il danneggiamento dell’economia del territorio circostante. Pertanto aveva concluso che l’approfondimento di studi commissionato a Bavosi non fosse sufficiente a impostare una valida controffensiva da condurre sia sul piano tecnico che politico e, a tal fine, aveva nominato una commissione di tre ingegneri – Coriolano Monti, Matteo Martini, Odoardo Poggi – e un agente in Roma, nella persona del conte Alessandro Baldeschi Eugeni55. L’adunanza del 4 gennaio della presidenza umbro-perugina della Società Nazionale si aprì, quindi, in un clima già segnato negativamente da reciproci timori e che si esasperò ulteriormente per l’autocandidatura perugina a divenire, ufficialmente, sede filiale della società. Una pretesa che scatenò la reazione dei consiglieri spoletini e folignati, i quali vi lessero il preludio ad un mutamento del tracciato nel senso auspicato da Perugia56. Certo è che alla luce di questi avvenimenti, sebbene l’osservazione sia limitata alla sola presidenza umbro-perugina, non è difficile comprendere le ragioni del fallimento dell’impresa, l’insuccesso della campagna di sottoscrizione. Ad ogni modo, prima della formale esclusione di agosto, la sostanziale identità di ceto tra amministratori locali e consiglieri della società, quando non si trattasse addirittura delle stesse persone57, consentì il proseguimento della battaglia municipalista per il passaggio della ferrovia. A Spoleto il Consiglio Comunale, a larga maggioranza, in seguito ad una proposta avanzata dai concittadini consiglieri della presidenza umbro-perugina – conte Solone di Campello, commendatore Giovanni Parenzi, cavaliere Pietro Fontana, conte Pietro Morelli –, deliberò di stanziare una somma di 100 scudi, per realizzare gli studi tecnici di un passaggio in località Balduini58.
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A Perugia l’accordo tra l’Amministrazione locale e la Società Nazionale condusse alla pubblicazione, nel mese di maggio, di una Dimostrazione in favore della linea del Chiascio che tolse ogni dubbio rispetto alle aspirazioni della città. Lo studio recava la firma dei membri della sezione tecnica della presidenza umbro-perugina, vale a dire il presidente Matteo Martini, i consiglieri Odoardo Poggi, Giuseppe Bavosi e Ugo Calindri, l’ingegnere di tronco Filippo Cerroti e quelli di sezione Coriolano Monti, Giuseppe Ortis e Cesare Goretti. Guarda caso, Martini, Monti, che fu nei fatti l’estensore dello scritto, e Poggi erano gli stessi tecnici già incaricati di compiere studi dal Municipio. Secondo gli estensori, il lavoro – una dimostrazione comparativa, per il tratto di ferrovia compreso tra la valle del Potenza e Foligno, tra l’andamento per la valle del Topino, che avrebbe fatto seguito al valico di Nocera, e quello per la valle del Chiascio, con valico appenninico a Fossato – trovava giustificazione nella corretta interpretazione delle disposizioni contenute nella notificazione del 7 novembre, che non prescriveva in alcun punto “che fra i detti due estremi [valle del Potenza e Foligno] abbia implicitamente compresa la sola valle del Topino ad esclusione del resto dell’Umbria e in particolar modo del Perugino”; ma, anzi, bandendo un premio a chi sarebbe stato in grado di indicare il passaggio più facile ed economico tra l’Umbria e le Marche, non faceva altro che “chiama[re] alla concorrenza quant’altre linee, che da Foligno conducono al valico dell’Appennino per direzioni diverse da quella del Topino”59. Il tracciato proposto era lo stesso in favore del quale si era già pronunciati i consiglieri perugini della Società Nazionale alla fine di novembre, suscitando la risentita reazione di Foligno e Spoleto. L’altro, attribuibile a Rutili, che nel frattempo aveva incrementato le sue pubblicazioni60, prevedeva, invece, di seguire il corso del Topino sino a Nocera, di traforare l’Appennino sotto i monti di Bagnara, giungere quindi a Pioraco e da qui a Castelraimondo (tavv. 6-7). Dovendo sostenere un percorso quasi doppio rispetto a quello concorrente (km 100,4 contro km 56,3) gli ingegneri perugini puntavano tutto sulle spese di costruzione. Secondo i loro calcoli il costo chilometrico della linea del Topino sarebbe ammontato a quasi il doppio dell’altro (circa 53.000 scudi contro 31.000), a causa, come già evidenziato da Bavosi61, dell’asprezza del tratto appenninico e, in particolare, del traforo (lungo poco meno di 5 chilometri e con un dislivello difficilmente percorri59
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Dimostrazione comparativa del tronco appenninico di via ferrata secondo l’andamento del Chiagio, Santucci, Perugia 1847, p. 1. A. Rutili Gentili, Livellazione per la strada ferrata da Fuligno a Castelraimondo percorrendo le valli del Topino e del Potenza, Tipografia della Pallade Romana, Roma 1847; Id., Osservazioni sopra alcune critiche riguardanti il varco dell’Appennino per la valle Topino-Potenza, Tomassini, Foligno 1847 e Id., Risposta ad alcuni articoli e memorie pubblicate in Roma ed in Perugia contro l’andamento della strada ferrata per le valli del Topino e del Potenza, Tipografia della Pallade Romana, Roma 1847. G. Bavosi, Relazione all’illustre e nobile magistrato di Perugia intorno ai vari tronchi di strade ferrate fra l’Umbria e le Marche, Santucci, Perugia 1846, in particolare pp. 19-22. Si tratta dell’esito dell’incarico affidatogli dalla magistratura perugina a seguito della pubblicazione del suo primo scritto.
Capitolo 1
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Tav. 6 – Ferrovia da Ancona a Roma tracciata dalla presidenza umbro-perugina della Società Nazionale (1846-47)
Tav. 7 – Ferrovia da Ancona a Roma. Confronto di tracciati per il tratto Ancona-Foligno
L’epoca preunitaria (1845-1859)
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bile da veicoli su rotaia) da realizzarsi tra la valle di Bagnara e Poggio Sorifa. Inoltre, si affermava che in ordine tanto alla bellezza del paesaggio, quanto alle risorse economiche, la valle del Chiascio non aveva da temere il confronto con quella del Topino. La polemica era nei confronti della città di Foligno, la quale, dimenticando che la sua centralità sarebbe stata, comunque, salvaguardata,
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pretende designare la direzione che la ferrata ivi pervenuta dovrà tenere, quasi che val Topina, Bagnara semplici villaggi, e la piccola città di Nocera componessero il rimanente della vasta regione dell’Umbria, o senza dubbio ne fossero i luoghi più ragguardevoli per popolazione, per vastità e feracità di campagne, per ricchezza d’industria e per attività di commercio62.
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Con la pubblicazione di questo scritto, il conflitto in atto tra Perugia, da una parte, e Spoleto e, soprattutto, Foligno, dall’altra, si concretizzò, definitivamente, nell’alternativa tra la valle del Topino e quella del Chiascio. Uno scontro, ragionando in meri termini di tracciato, poco comprensibile, dal momento che la via caldeggiata dai perugini riguardava il solo tratto da Foligno all’Appennino e quindi non sembrava avere alcuna incidenza sul destino ferroviario delle altre due città; ma che lo diventa assai più se si guarda ai reali interessi che muovevano i centri urbani: alla volontà egemonica perugina che trovava conforto nella politica governativa; al tentativo finale di Spoleto di contrapporvisi; all’aspirazione di Foligno a rinnovare la storica funzione di nodo viario. Di lì a tre anni, nel novembre 1850, a dibattito ferroviario ancora aperto, gli editti emanati dal cardinale Giacomo Antonelli avrebbero sanzionato formalmente il primato territoriale di Perugia, ponendola al vertice della Legazione dell’Umbria, riunente le Delegazioni di Perugia, Spoleto e Rieti. Si tratta dell’ultimo passo di un lungo cammino iniziato nel Cinquecento, allorché, parallelamente alla ricomparsa del termine Umbria – sparito dall’epoca del riordinamento amministrativo di Diocleziano di fine III secolo e non più usato neppure nella documentazione e nella tradizione colta – il potere centrale individuò in Perugia la città “che per le sue dimensioni, il suo prestigio, il suo passato [sembrava] la più adatta a divenire il capoluogo effettivo della provincia”63 costituita, per la maggior parte, dai territori dell’ex Ducato di Spoleto. Più in generale, gli editti Antonelli rappresentano l’atto definitivo del lungo, e mai compiuto, tentativo di razionalizzazione dell’ordinamento amministrativo e territoriale pontificio avviato nel XVI secolo. Più di tre secoli nel corso dei quali, a più riprese, il governo di Roma perseguì l’obiettivo “di decentrare una parte delle proprie funzioni a strutture che trascend[essero] la vetusta costellazione di città, tese ognuna alla gelosa difesa del proprio contado”64, così che i singoli territori si compattarono, per poi tornare a frammentarsi, in entità amministrative e giuridizionali di vario genere: Province, Distretti, Governi, Comuni. 62 63 64
Dimostrazione comparativa cit. (a nota 59), p.2. Volpi, Le regioni introvabili cit. (a nota 36), p. 69. Ivi, p. 7. Sugli editti Antonelli si veda Ivi, pp. 306 e sgg.
Capitolo 1
Il tracciato della Pio Centrale (Roma-Ancona-Bologna)
Il 25 agosto 1847, il Consiglio dei Ministri, oltre ad escludere la Società Nazionale dal novero di quelle rimaste in gara, propose, contemporaneamente, la concessione della linea da Roma al confine estense alle società rappresentate, rispettivamente, dal marchese Annibale Banzi e da Leopoldo Fabbri, a condizione di una loro fusione. L’8 ottobre una circolare della Segreteria di Stato informò i legati e delegati dell’avvenuta concessione, invitandoli a facilitare i prossimi sopralluoghi degli incaricati della società, guidati dall’ingegnere Pholmayer, per la definizione del tracciato65. Intorno all’ispezione Pholmayer e alla possibilità che, blandito dai folignati, potesse optare per il tracciato Rutili, si sviluppò, nei primi giorni di novembre, una fitta corrispondenza tra i gonfalonieri di Perugia e Fabriano66. Frattanto la società mosse, ufficialmente, i primi passi in direzione delle Amministrazioni locali, attraverso una circolare in cui illustrava le proprie intenzioni e richiedeva un contributo alla formazione del capitale67; laddove tale mezzo si dimostrava insufficiente si cercavano contatti diretti, informali; si facevano promesse. Alla municipalità perugina venne lasciato intendere che in cambio dell’acquisto di un buon numero di azioni, anche da parte di privati cittadini, la società si sarebbe impegnata a far transitare la ferrovia a poche miglia dalle mura urbane, nonostante lo svantaggio derivante dal sito collinare. Il parere favorevole del magistrato non fu, tuttavia, sufficiente a convincere il Consiglio Comunale che, riunitosi il 26 novembre, rigettò la proposta68. Diversamente, il Consiglio Comunale di Foligno, il giorno precedente, si era dichiarato favorevole all’acquisto69. Comunque, anche questo tentativo era destinato a dissolversi rapidamente: il 4 febbraio dell’anno successivo la “Gazzetta di Roma” annunciò che la linea da Roma al confine estense era nuovamente a concorso in
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Banzi rappresentava la Società di Bologna che aveva richiesto la concessione del solo tratto Bologna-Ancona, “contro garanzia di 30 mila scudi per gli studi e 350 mila per i lavori”. La società rappresentata da Fabbri aveva domandato, invece, la concessione del tronco Ancona-Roma “su garanzia di 40 mila scudi per gli studi e 400 mila per i lavori”. In, Negri, Le ferrovie nello Stato Pontificio cit. (a nota 13), pp. 4-5. Cfr. nota 70. ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1859, b. 135. La circolare è a firma di Leopoldo Fabbri e la si può trovare in ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1859, b. 135; ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, tit. 13.9.4; ASF, ASCF, Moderno I, b. 889, fasc. “1847”. Nell’occasione risultò decisivo l’intervento del consigliere Giambattista Sereni, giurista, il quale sottolineò l’assoluta impossibilità, per una società, come quella in questione, ancora priva di statuto, di fornire alcuna formale garanzia. In ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1870, Atti del Consiglio, reg. n. 7, 16 febbraio 1846 30 dicembre 1847, adunanza del 26 novembre 1847. ASF, ASCF, Moderno I, b. 889, fasc. “1847”, nota del delegato apostolico al gonfaloniere di Foligno del 7 gennaio 1848 per mezzo della quale si rendeva noto che era stato approvato l’atto consiliare del 25 novembre 1846 con cui il Comune di Foligno si era impegnato ad acquistare un certo numero di azioni della società rappresentata da Leopoldo Fabbri.
L’epoca preunitaria (1845-1859)
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La prima concessione
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seguito allo scioglimento della Società Banzi-Fabbri, che non aveva tenuto fede né all’impegno di fusione né a quello di versamento della cauzione70. Il disegno di Coriolano Monti
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All’inizio del 1848 irruppe nel dibattito ferroviario, con uno scritto di ampio respiro che richiamava come struttura l’opera di Petitti, Coriolano Monti71. Dopo avere ricoperto un ruolo di primo piano nella stesura della Dimostrazione in favore della valle del Chiascio, l’ingegnere perugino offrì un contributo di indubbio rilievo, non limitandosi a trattare della Ancona-Roma, ma affrontando, più in generale, l’intero problema ferroviario pontificio. Attraverso un minuzioso esame e confronto tra i diversi tracciati proposti – partendo dall’analisi del valico appenninico, nella consapevolezza che era questo il nodo da sciogliere – egli indicò una linea che
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sviluppandosi nel bacino di Terni schiva i monti Martani e la controcatena della Somma coll’ascendere i dolci clivi di Cesi, segue pell’alto piano di Acquasparta il corso della Naja, imbocca sotto Todi nella valle Tiberina, avvanza pella pianura degli Angioli a Fuligno, monta il Topino e pel pianoro di Gualdo dirigesi a varcare l’Appennino a Fossato, di qui procede a Fabriano e Matelica, onde far capo a Castelraimondo, e il Potenza guadagnato, sino al lito adriatico lo costeggia72.
Si trattava di un tracciato a dir poco complesso (tav. 8) che, mettendo insieme la valle del Potenza, il valico di Fossato, le valli del Topino e del Tevere, tentava una sintesi azzardata delle proposte sino a quel momento elaborate. Per giustificarne la scelta, egli adduceva tanto la necessità di individuare le vie più naturali, che avevano bisogno di un minore intervento sul territorio, quanto quella di attenersi al criterio, sancito dalla stessa notificazione del 7 novembre, di attraversamento dei luoghi demograficamente ed economicamente più floridi.
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Negri, Le ferrovie nello Stato Pontificio cit. (a nota 13), p. 5. Coriolano Monti, nato a Perugia il 15 novembre 1815 da famiglia borghese, fu, come si vedrà, una figura di primissimo piano nella vicenda ferroviaria umbra e di rilievo in quella nazionale. Ingegnere e architetto, egli fu al tempo stesso politico e amministratore. Già rappresentante di Perugia all’Assemblea costituente della Repubblica Romana, dopo l’esilio fiorentino, dal 1860 al 1865 visse ed operò a Bologna, in qualità di ingegnere capo municipale; è in questo periodo che si colloca, principalmente, la sua attività di architetto. Tornato a Perugia, venne eletto, una prima volta, alla Camera dei deputati e vi restò sino al 1876. Nonostante abbia ricoperto più volte la carica di consigliere comunale e provinciale, il suo rapporto con il ceto dirigente perugino non fu mai privo di tensioni. Per un approfondimento della sua biografia si veda, Alla memoria del commendator Coriolano Monti, Boncompagni, Perugia 1880. Sulle modalità che portano alla prima elezione di Monti a deputato parlamentare cfr., F. Bartoccini, La lotta politica in Umbria dopo l’Unità, in Prospettive di storia umbra nell’età del risorgimento, Atti dell’VIII convegno di studi umbri, Gubbio-Perugia, 31 maggio-4 giugno 1970, Università degli Studi di Perugia, Perugia 1973, p. 241. Cfr., inoltre, M.E. Fuiano, Ingegneria e tecnica in Perugia ottocentesca nell’opera di Coriolano Monti, Università degli Studi di Perugia, Facoltà di lettere e filosofia, tesi di laurea, a.a. 1977-1978. C. Monti, Dell’andamento più conveniente sotto l’aspetto tecnico statistico ed economico della ferrata vertebrale nell’Umbria e nelle Marche, Bartelli, Perugia 1848, p. 237.
Capitolo 1
Tutte città dell’una e l’altra regione sono incluse nella zona d’intima attività, eccetto Spoleto [ma, d’altronde] seguendo (seppur fosse possibile) la via de’ Balduini e Fiuminata, Todi, Perugia, Fabriano, resterebbero escluse dal benficio delle vie a vapore, pregiudicate Assisi, Gualdo, Matelica, allontanate le molte provenienze dell’Urbinate e dell’alto Piceno. E questo, fatta ragione ai singoli pregi agricoli e manifatturieri e civili dei rispettivi paesi e territori, sarebbe perdita rilevantissima; per nulla paragonabile allo scapito di Spoleto, la quale per numero d’abitanti è la quarta città dell’Umbria, e per doti di cultura e commercio di lunga mano la cede a Perugia e Fabriano73.
È fin troppo evidente che all’origine di un simile progetto vi fosse, in primo luogo, la volontà di salvaguardare gli interessi della propria città, nella convinzione che, se realizzata, una linea del genere avrebbe consentito di fissare in prossimità di Perugia, per l’esattezza a Torgiano, il punto di confluenza con l’auspicato prolun-
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Ivi, p. 240.
L’epoca preunitaria (1845-1859)
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Tav. 8 – Ferrovie da Firenze e da Ancona per Roma tracciate da Coriolano Monti (1848)
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gamento della ferrovia Aretina. Ma accanto a ciò, Monti alimentava le aspirazioni di un altro centro, Todi, destinato per la sua posizione geografica a ricoprire un ruolo non secondario nel dibattito relativo alla costruzione di una ferrovia longitudinale tiberina che si sarebbe aperto in modo esplicito dopo l’Unità.
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La scelta definitiva
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Gli avvenimenti politici del biennio 1848-1849 finirono, inevitabilmente, per mettere in secondo piano il tema ferroviario, anche se fu proprio il ministro dei Lavori Pubblici del governo provvisorio romano ad autorizzare, il 25 novembre 1848, la Società Generale d’Imprese Industriali Italiane a costruire la linea ferroviaria da Roma al confine napoletano presso Ceprano, costituendo una società anonima denominata Pia Latina. La Società Generale, formatasi a Firenze sino dal 1846, era presieduta dal ministro dell’Interno del governo toscano Cosimo Ridolfi. I suoi rappresentanti a Roma, firmatari della richiesta di concessione, provenivano, in parte, dalla ex Società Nazionale, come i principi Tommaso Corsini e Pietro Odescalchi, il marchese Giuseppe Melchiorri, l’avvocato Francesco Benedetti74. Con il ripristino dell’autorità del pontefice e l’annullamento di tutti gli atti emanati dopo l’allontanamento di Pio IX, decadde anche la concessione della RomaCeprano. Il 21 novembre 1849 la linea venne nuovamente concessa alla Società Pia Latina, ma solo per il tratto Roma-Frascati; la continuazione fino a Ceprano sarà assicurata soltanto l’11 giugno 1850. Nel frattempo, il 5 marzo 1850, la commissione governativa aveva autorizzato i principi Altieri e Conti e Angelo Ferlini “promotori di una grande società di strade ferrate nei domini pontifici”, a costituire una o più società anonime per la concessione di linee ferroviarie, esclusa, naturalmente, la Roma-Frascati, già concessa75. Le iniziative legate al gruppo Altieri-Conti-Ferlini, lasciando intravedere la possibilità di una nuova concessione della Roma-Ancona-Bologna, non passarono inosservate nelle periferie dello Stato, creando nuovi fermenti. Il sistema delle alleanze municipali si era ormai delineato e se si confermava l’asse Foligno-SpoletoTerni, a fianco di Perugia, oltre Todi, portata alla ribalta dallo scritto di Monti, si poneva la città marchigiana di Fabriano il cui destino ferroviario sembrava legato all’eventuale affermazione della via del Chiascio76. Il bisogno di seguire da vicino, se non di anticipare, le decisioni governative imponeva la presenza di propri incaricati nella capitale. Proprio dalla lettura di questo tipo di corrispondenza, più che dagli atti ufficiali, si riesce a cogliere la strategia, troppo spesso ricca di contrad-
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Negri, Le ferrovie nello Stato Pontificio cit. (a nota 13), pp. 5-6. Ivi, pp. 9-10. ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1859, b. 135, note del gonfaloniere di Perugia al gonfaloniere di Todi dell’8 e 15 settembre 1851, nota del gonfaloniere di Fabriano al gonfaloniere di Perugia del 2 ottobre 1851 e risposta del 30 ottobre.
Capitolo 1
[l]a strada ferrata moverà da un punto posto sulla riva destra del Tevere, vicino alla porta angelica; toccherà Orte, Terni passerà il Colle di Cerro: toccherà Foligno, varcherà l’Ap[p]ennino al colle di Fossato, si avvicinerà a Fabriano e si congiungerà seguendo la valle dell’Esino alla linea da Ancona a Bologna79.
Dopo dieci lunghi anni dalla prima notificazione pontificia il tracciato della trasversale era, finalmente, definito in via ufficiale. Rispetto a quella disposizione, la scelta del valico di Fossato, come il più semplice da realizzare, determinava l’abbandono della valle del Potenza a vantaggio di quella dell’Esino, mentre rimaneva, e d’altra parte non era stato mai messo in discussione, il passaggio per Foligno.
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Esemplare è, da questo punto di vista, la corrispondenza tra la Municipalità perugina e il proprio rappresentante a Roma, monsignor Spinello Antinori, uditore della Sacra Rota che si snoda tra l’ottobre 1850 e l’aprile 1853. In ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1859, b. 135. In Negri, Le ferrovie nello Stato Pontificio cit. (a nota 13), p. 119. Concessione della strada ferrata da Roma ad Ancona e Bologna, Ministero del commercio e dei lavori pubblici, Notificazione del 21 maggio 1856, in “Raccolta delle leggi e disposizioni di pubblica amministrazione nello Stato Pontificio...” cit. (a nota 40), vol. X, Stamperia della RCA, Roma 1857, p. 96.
L’epoca preunitaria (1845-1859)
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dizioni, messa in atto dalle singole Municipalità per non lasciarsi sfuggire l’obiettivo tanto desiderato77. Ad ogni modo, nonostante l’estremo interesse con cui dalle province si seguivano gli avvenimenti romani, nulla di veramente significativo si verificò sino alla fine del 1852, quando il governo, dando incarico all’ingegnere Michel dell’Amministrazione Ponti e Strade di Francia di compiere gli studi per l’esatta definizione del tracciato della linea in questione78, prese una decisione che si sarebbe rivelata assai importante per lo sviluppo della vicenda, soprattutto in ordine allo scontro tra i Municipi umbri. Nel giro di pochi mesi apparve chiaro che le aspirazioni di Perugia e Todi di condurre la ferrovia lungo le valli del Tevere e del Chiascio non avrebbero avuto esito favorevole: il treno sarebbe passato per Terni, Spoleto e Foligno. Oltre a sancire definitivamente il passaggio lungo la valle Umbra e quella del Topino, gli studi di Michel determinarono una decisione non meno importante: quella di fissare il valico appenninico a Fossato e di proseguire in direzione di Ancona lungo la valle dell’Esino. La scelta del tracciato – che resterà tale, fatta eccezione per il passaggio tra Terni e Spoleto che, diversamente da quanto indicato da Michel, non si realizzerà lungo la Valnerina e attraverso Forca di Cerro, ma lungo il corso dei torrenti Serra e Maroggia – non si dimostrò, tuttavia, sufficiente ad accelerare il cammino verso la concessione della linea, che giunse solo il 21 maggio 1856, a vantaggio della Società Casavaldés e Compagni. Il capitolato stabiliva che i lavori avrebbero dovuto essere compiuti entro il termine massimo di dieci anni, mentre la concessione dell’esercizio sarebbe rimasta in vigore per novantacinque. Accogliendo quelle che erano state le conclusioni di Michel,
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Troppo favorevole era il sito di questo centro urbano, che ne aveva determinato la centralità, nel lungo periodo, tanto negli itinerari tra Tirreno e Adriatico quanto in quelli longitudinali.
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Ultimi fuochi
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Da questo momento in avanti l’attenzione si spostò sui guai finanziari della Casavaldés che già nell’agosto successivo condussero alla costituzione di una nuova società denominata Società Generale delle Strade Ferrate Romane, da Roma a Bologna, per Ancona, e da Roma a Civitavecchia, dette Linea Pio Centrale, che rilevò tutti i diritti acquisiti da Casavaldès con le concessioni del 23 aprile (linea Roma-Civitavecchia) e del 21 maggio80. Il rinnovamento societario ebbe come primo riflesso positivo l’avvio dei lavori per la Roma-Civitavecchia (8 ottobre 1856) e, successivamente, con l’inizio del nuovo anno subì un’accelerazione anche l’iter relativo alle altre linee. Il 27 gennaio il Ministero dei Lavori Pubblici comunicò che l’ingegnere francese Froyer era stato incaricato di compiere gli studi definitivi delle linee da Roma ad Ancona e da Bologna a Ferrara81. La notizia fu accolta con particolare interesse a Perugia e Todi, soprattutto se si tiene conto che, a dispetto di ogni ragionevole previsione, le conclusioni di Michel non avevano affatto cancellato la speranza di una modifica al tracciato. Infatti sin dal luglio 1856, su invito dei tuderti, si era sviluppata una nuova iniziativa tesa a dimostrare alla società intraprendente delle strade ferrate negli stati pontifici le ragioni che consigliano a preferire la linea del Tevere a quella pel Colle di Cerro presso Spoleto nell’andamento della ferrovia da Foligno a Roma sia pel lato della minore spesa, sia per quello dei maggiori prodotti82.
L’offensiva avrebbe dovuto sostenersi sugli studi di Coriolano Monti, al quale era stato commissionato di riproporre, in una nuova veste tale da renderlo più efficace, il progetto del 1848. L’ingegnere si era messo immediatamente al lavoro, tanto che la nuova opera era stata data alle stampe entro la fine dell’anno. Tagliare fuori Spoleto: era questo il messaggio principale che emergeva dal lavoro di Monti, il quale tornava a proporre la necessità, una volta giunti a Foligno dal valico di Fossato lungo la valle del Topino, di risalire la valle Umbra sino a Torgiano per imboccare quella Tiberina, lasciarla sotto Todi e puntare, infine, verso Terni83.
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Negri, Le ferrovie nello Stato Pontificio cit. (a nota 13), p. 13-14 e n. Ivi, p. 122. ASP, ASCPG, Atti del gonfaloniere e degli anziani, reg. n. 6, 1854-58, adunanza del 16 luglio 1856. C. Monti, Dell’andamento della strada ferrata da Roma ad Ancona particolarmente nell’Umbria rispetto anche alla congiunzione colla Toscana ed alla comunicazione tra i due mari nell’Italia centrale. Nuove considerazioni, Natali, Todi 1856.
Capitolo 1
Qualunque osservazione contraria sarebbe frustranea ed inopportuna, poiché ciascuno e specialmente i pubblici rappresentanti non possono non vedere nella loro saviezza di quanta utilità e convenienza sia per essere la richiesta cooperazione, e me ne appello al buon senso di V.S. Illma, rilevando che quantunque le strade ferrate in discorso [Ancona-Roma e Roma-Civitavecchia] non avessero un vantaggio immediato per il non contatto con il di lei Comune, lo avranno certamente mediato, venendo ad essere di sperimentata commodità anche a qualche distanza86.
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L’incarico era stato attribuito dalla magistratura perugina al proprio agente a Roma, avvocato Nazareno Calderini, impiegato presso il Ministero dell’Interno. In ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1859, b. 135, lettera di Nazareno Calderini al gonfaloniere di Perugia del 6 febbraio 1857. Negri, Le ferrovie nello Stato Pontificio cit. (a nota 13), p. 122. Si veda, inoltre, Ministero del Commercio e dei Lavori Pubblici, Statuti della Società Generale delle Strade Ferrate Romane da Roma ad Ancona e Bologna e da Roma a Civitavecchia riunenti l’Adriatico al Mediterraneo dette Linea Pio-Centrale, estratto dal “Giornale di Roma”, nn. 69, 71, 72, del 14, 16 e 17 marzo 1857, Roma, 1857. ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1859, b. 135, circolare del 20 marzo 1857 a firma del delegato apostolico di Perugia Tancredi Bella.
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La marginalizzazione di Spoleto – raccordabile a Foligno mediante un semplice tronco secondario – veniva giustificata in relazione al collegamento con la Toscana, rispetto al quale non solo si dovevano porre la condizioni in grado di garantire che venisse realizzato con la minore spesa possibile, ma si doveva anche scongiurare che fosse condotto, non nel mezzo dell’Umbria, ma lungo le Chiane e l’Orvietano, con detrimento assoluto non solo per Perugia, ma per l’intera Umbria. La scelta di Torgiano rispondeva, proprio, alla necessità di individuare un punto, nelle vicinanze di Perugia, in grado di svolgere la funzione di nodo ferroviario: qui infatti si sarebbero incontrate la Roma-Ancona e la ferrovia proveniente da Arezzo, per completare la quale, in territorio pontificio, non ci sarebbe stato bisogno che del solo tratto dal confine, presso il Trasimeno, a Torgiano. Diversamente il punto di incontro delle due linee non avrebbe potuto aversi che a Foligno, con la necessità quindi di costruire ex novo il tratto da Foligno al Trasimeno. Il passaggio per Torgiano e Todi, inoltre, nella sua centralità in direzione di Roma, avrebbe contribuito a scongiurare il rischio rappresentato dalla via delle Chiane o, quanto meno, ad attutirne gli effetti negativi. In realtà questa proposta non aveva alcuna possibilità di essere accolta e i perugini sembravano saperlo, dal momento che, contemporaneamente, erano tornati a muoversi per sostenere la via del Chiascio, in opposizione a quella del Topino, per il tratto Fossato-Foligno84. Frattanto, il governo, dopo aver concesso, l’11 marzo, alla Società Pio-Centrale anche il tratto della linea da Bologna a Ferrara fino al Po, ne sosteneva, con decisione, la campagna di sottoscrizione delle azioni, al punto che lo stesso Pio IX figurava al primo posto tra i sottoscrittori85. Dalla circolare del 20 marzo del delegato apostolico di Perugia alle magistrature municipali, più che un invito a sottoscrivere direttamente e a far sottoscrivere “i ricchi proprietari”, emerge un ordine perentorio:
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Le risposte date dai singoli Consigli comunali furono di segno diverso. Assai positiva quella dell’Amministrazione folignate che, rassicurata dall’esito delle ispezioni di Froyer, si impegnò a sottoscrivere 100 azioni, oltre a nominare una speciale commissione al fine di individuare altri sottoscrittori tra i privati cittadini87. Non più di 20 azioni sottoscrisse il Consiglio Comunale di Perugia, a dimostrazione che, al di là della reiterazione degli sforzi per ottenere una qualche modifica al tracciato, si aveva la consapevolezza che molto difficilmente la Roma-Ancona si sarebbe avvicinata alle proprie mura88. Di gran lunga al di sotto di ogni aspettativa fu, invece, la risposta dell’Amministrazione spoletina che deliberò di acquistare soltanto un paio di azioni89: un atteggiamento inspiegabile, se si pensa che i sopralluoghi di Froyer avevano sancito, per il tratto di congiunzione con Terni, il passaggio dei Balduini; che, pure se considerato dagli spoletini meno vantaggioso di quello della Somma, aveva definitivamente scongiurato la temuta via della Valnerina. L’ultimo tentativo della Municipalità perugina di ottenere il passaggio della ferrovia per la valle del Chiascio si esaurì nel corso del 1858, in un clima ormai contrassegnato da un diffuso scetticismo90. A nulla valse l’impegno della locale Cassa di Risparmio a prestare all’Amministrazione, senza interessi, il capitale necessario a finanziare gli studi91. L’altolà fu posto, in modo netto e inequivocabile, dal delegato apostolico che, convinto sulla base delle informazioni provenienti direttamente dalle sedi ministeriali dell’assoluta inutilità dell’iniziativa, ricorse al diritto di veto, negando l’approvazione dello stanziamento deliberato92. Si tenga conto, inoltre, che queste ultime schermaglie ebbero luogo a cantieri già aperti. I primi lavori per la costruzione della strada ferrata erano già stati avviati, alla fine del maggio 1857, nelle vicinanze di Jesi, dove lo stesso pontefice si era recato in visita93; mentre a pochi mesi di distanza, il 24 ottobre, nel territorio di Spoleto, si era iniziato a scavare “nel punto in cui [doveva] aprirsi la galleria dei Balduini”94. Tuttavia, si procedeva ad un ritmo molto lento, a causa della costante 87
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ASF, ASCF, Moderno I, b. 889, fasc. “1857”, nota del delegato apostolico al gonfaloniere di Foligno del 7 aprile 1857. ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1870, Atti del Consiglio, reg. n. 7, 1854-57, adunanza del 16 aprile 1857. ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, tit. 13.9.2, ricevuta della Esattoria Comunale di Spoleto. L’acquisto era stato fatto per mezzo del conte Francesco Pianciani. Delle due persone indicate dal Consiglio per condurre a Roma la trattativa con la società concessionaria, la prima, Alessandro Baldeschi Eugeni, rifiutò e la seconda, Fabio Ansidei, accettò con pochissima convinzione. Si veda, ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1859, b. 135, lettera di Alessandro Baldeschi-Eugeni al gonfaloniere di Perugia del 25 febbraio 1858 e lettera di Fabio Ansidei al gonfaloniere di Perugia del 23 aprile 1858. Ivi, lettera del 19 giugno del presidente della Cassa di Risparmio al gonfaloniere di Perugia. Per due volte il Consiglio Comunale deliberò di accettare il prestito e, per altrettante, il delegato apostolico fece mancare la sua approvazione agli atti in questione. Ivi, dispacci del delegato apostolico del 9 settembre 1858 e del 5 gennaio 1859; ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1870, Atti del Consiglio, reg. n. 12, 1857-60, adunanze dell’1 luglio e 24 settembre 1858. Negri, Le ferrovie nello Stato Pontificio cit. (cit. a nota 13), p. 16. ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, tit. 13.9.2, nota del gonfaloniere di Spoleto al ministro dei Lavori Pubblici del 27 ottobre 1857.
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crisi finanziaria che investiva la società concessionaria; una crisi che faceva il paio con quella dell’altra compagnia pontificia, la Pio Latina, al punto che entrambe, il 20 luglio 1859, chiesero al Commissariato Generale per le Ferrovie di essere liquidate, per dare vita ad una nuovo, unico, soggetto. Il 12 marzo 1860, venne decretata la “fusione delle due società mediante cessione della Pio Latina alla Pio Centrale”95.
Parallelamente a questa vicenda, si sviluppò quella relativa all’allacciamento tra la nascente rete ferroviaria pontificia e quella toscana. Si trattava di una questione assai più complessa. In primo luogo perchè il governo di Roma, con la notificazione del 7 novembre, non ne aveva riconosciuto l’urgenza; secondariamente perché la natura interstatuale dell’eventuale linea ferroviaria obbligava qualsiasi società avesse avuto l’intenzione di costruirla a trattare con due distinti governi, fermo restando che soltanto dietro previo accordo degli stessi l’impresa avrebbe avuto possibilità di successo. Per ciò che concerne il coinvolgimento dei territori umbri, dato per acquisito l’elemento del municipalismo, mutava la geografia dello scontro: da una parte, ancora una volta, Perugia, ma dall’altra, al posto di Foligno e Spoleto, Città della Pieve e, soprattutto, Orvieto. Le resistenze di Roma a questo collegamento, ancora legate al timore del definitivo declino del porto di Civitavecchia, fecero sì che lungo il decennio che precedette l’annessione sabauda fosse soprattutto ciò che si muoveva nel Granducato a suscitare l’attenzione delle Amministrazioni locali. Qui, come si è detto in precedenza, l’idea di una strada ferrata denominata Aretina “che staccandosi da Firenze e procedendo per Ponte a Sieve, il Val d’Arno superiore, Arezzo e la Val di Chiana si dirigesse al confine pontificio”96 aveva ufficialmente preso corpo già alla fine del 1844, in ambienti legati alla Società della Strada Ferrata Leopolda. Successivamente, nel corso del 1845, era entrato in scena “un personaggio di rilievo assoluto nella Toscana di Leopoldo II, Bettino Ricasoli, per il quale una ferrovia prossima ai possedimenti di Brolio avrebbe significato un indiscutibile vantaggio”97. Alleatosi, dopo qualche ri-
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Negri, Le ferrovie nello Stato Pontificio cit. (a nota 13), pp. 23-25. Il cambiamento di denominazione della società concessionaria della Roma-Ceprano, da Pia a Pio Latina, non era stato soltanto un fatto formale, ma stava ad indicare un mutamento di sostanza verficatosi l’11 novembre 1854, allorché con decreto del Ministero dei Lavori Pubblici si era approvato lo statuto della Società Anonima della Strada ferrata da Roma a Frascati, che era subentrata alla Pia Latina, rivelatasi finanziariamente inaffidabile. La nuova concessionaria, al contrario, si era dimostrata, ben presto, all’altezza del proprio compito, tanto che l’11 giugno 1856 aveva ottenuto l’autorizzazione a proseguire sino a Ceprano. Il 7 luglio successivo, alla presenza del pontefice, era stato inaugurato il tronco Roma-Frascati. In Ivi, p. 11 e n. e p. 12. G. Antonelli, Sulle strade ferrate da Firenze al lago Trasimeno cit., Tipografia Calasanziana, Firenze 1851, p. 6. Il riferimento è ad una disposizione governativa dell’8 aprile 1846. Giuntini, Leopoldo e il treno cit. (a nota 11), p. 119.
L’epoca preunitaria (1845-1859)
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Il collegamento con la Toscana
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serva, con due uomini d’affari con una buona disponibilità di capitali, Giuseppe Bardi e Graziano Sinigaglia, egli si era battuto con particolare veemenza al fine di ottenere la concessione e sbaragliare gli altri gruppi che puntavano allo stesso risultato. Tuttavia l’iniziativa si era arenata alla fine del 1846, colorandosi, addirittura, di giallo a causa della sparizione del progetto da sottoporre all’approvazione del Consiglio degli Ingegneri98. La questione si riaprì all’inizio del 1850 e fu subito evidente lo scontro che opponeva senesi e aretini. Traducendo in pratica un’aspirazione originaria, la Società della Centrale Toscana chiese al granduca “di intraprendere gli studi per la prosecuzione della [ferrovia] verso Città della Pieve e il lago Trasimeno”99. La risposta degli aretini fu immediata, forte del pieno sostegno dell’Amministrazione Municipale. La ridda di interventi e pubblicazioni che seguì, dall’una e dall’altra parte, coinvolgendo numerosi tecnici, è la migliore testimonianza dello scontro di interessi in atto100. Su queste due posizioni alternative finirono, inevitabilmente, per confluire le opposte aspirazioni dei perugini, da una parte, e dei pievesi e orvietani, dall’altra. Facendo un balzo all’indietro, i promotori del ricordato progetto della ferrovia Pia Cassia non si erano fermati neppure davanti all’esito negativo della notificazione del novembre 1846. Trascorsa poco più di una settimana si erano riuniti a Firenze con i rappresentanti del comitato toscano per la costruzione di una linea ferrata da Siena ai confini pontifici sotto Città della Pieve, stabilendo una solida intesa. Come ha già evidenziato Andrea Giuntini, i mesi successivi [...] furono caratterizzati da un intrecciarsi continuo di alleanze e di schermaglie. Nel maggio 1847 appariva la notizia che addirittura tre comitati toscani e quattro pontifici avevano stretto una coalizione per avversare i sostenitori della linea per Arezzo. La stessa Società della Centrale [Toscana] non poteva restare indifferente a tanto rumore e si costituiva in comitato con il fine di organizzare gli studi per la prosecuzione sino al confine pontificio101.
E in effetti, la sera dell’11 marzo, una delegazione di ben otto persone in rappresentanza della Deputazione delle Provincie Etrusco-Romane, dei comitati EtruscoRomani e del consiglio della Strada Centrale Toscana, portatrice di una istanza in favore della Pia Cassia, era stata ricevuta dal pontefice, il quale dopo aver graziosamente ascoltate le cose [esposte] in favore della richiesta via ferrata [aveva assicurato] che la domanda di quelle popolazioni [sarebbe stata] presa in considerazione, e che nell’esame della medesima il governo [avrebbe posto] una diligente sollecitudine102.
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In generale sul sorgere dell’ipotesi di una ferrovia aretina, Ivi, pp. 118-25. Giuntini, Leopoldo e il treno cit. (a nota 11), p. 243. Ivi, pp. 243 e sgg. Cfr., inoltre, Catoni, Un treno per Siena cit. (a nota 39), pp. 72-83. Ivi, p. 189. Deputazione alla santità di nostro signore papa Pio IX per la strada ferrata Pia Cassia, estratto dal “Contem-
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poraneo” del 13 marzo 1847, Bertinelli, Roma 1847. La Deputazione era composta “di monsig. Orfei mommendatore di Santo Spirito, di monsig. Piccolomini cameriere segretario di N.S. e del sig. march. Gualterio deputati di Orvieto, dei sigg. principe di Canino, duca di Bracciano deputati di Viterbo e di Città della Pieve, del sig. Pietro Bocci promotore, del sig. cav. A. Gori Pannilini di Siena deputato del consiglio della Strada Centrale Toscana e del sig. march. Potenziani deputato dei comitati etrusco-romani, ed agente generale dei medesimi”. ASO, ASCO, 1800-1860, Posizioni diverse, b. 18, fasc. 178, lettera di Gualterio al gonfaloniere di Orvieto del 24 aprile 1847. Di Filippo Gualterio, si veda, inoltre, Id., Discorso sulla strada ferrata Pia Cassia, Tipografia della RCA, Roma 1847. Nato ad Orvieto il 6 agosto del 1819 e morto, a soli 54 anni, il 10 febbraio 1874, Gualterio, convinto sostenitore della causa sabauda, all’indomani dell’annessione, fu il primo prefetto della Provincia dell’Umbria. Successivamente, ricoprì la stessa carica a Genova, Palermo e a Napoli. Eletto deputato, nel collegio di Cortona, al primo Parlamento italiano e nominato senatore nel 1862, egli fu, innanzitutto, un politico, esponente della Destra moderata. Per un approfondimento biografico si veda, F. Gilardini, Commemorazione del marchese Filippo Antonio Gualterio, G. Carnesecchi e figli, Firenze 1875. Per una riflessione sul delicato ruolo politico che Gualterio, e dopo di lui Luigi Tanari e Giuseppe Gadda, fu chiamato a svolgere in Umbria, con la questione romana ancora aperta, si veda F. Bartoccini, L’Umbria nella questione romana, in “Bollettino della Deputazione di storia patria dell’Umbria”, vol. LXVIII, 1971, fasc. 2, pp. 110-111. ASO, ASCO, 1800-1860, Posizioni diverse, b. 18, fasc. 178, lettera di Bocci al presidente della commissione municipale di Orvieto del 23 gennaio 1851; note dei presidenti delle Commissioni municipali di Montefiascone, Bagnorea e Città della Pieve al presidente della Commissione municipale di Orvieto del 20, 24 e 26 febbraio 1851. Non potendo reggere il confronto sul piano della brevità del percorso, i perugini puntavano sugli aspetti economici, mettendo in evidenza che la Pia Cassia, attraversando terre poco popolate, non sarebbe stata in grado di garantire utili di esercizio. In, ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1859, b. 135, nota di Filippo Giovio, presidente della Commissione municipale provvisoria, a Spinello Antinori del 21 marzo 1851.
L’epoca preunitaria (1845-1859)
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Al di fuori dei resoconti ufficiali, tuttavia, emergevano tensioni anche all’interno dello stesso fronte. Esemplare è, in proposito, la lunga lettera con la quale il marchese Filippo Gualterio, rappresentante del Municipio di Orvieto, racconta lo stesso episodio e gli sviluppi seguenti al gonfaloniere della sua città. In realtà il pontefice si sarebbe mostrato cortese solo con i deputati di Orvieto e ciò avrebbe suscitato il risentimento del rappresentante di Viterbo; ma, al di là di questo, la descrizione che Gualterio fa dei rapporti che intercorrono tra gli alleati denota una tensione continua103. In ogni caso, all’inizio del 1851, fu ancora Bocci a rilanciare, sull’onda di quanto si muoveva nel Granducato, l’idea della Pia Cassia, registrando, in breve tempo, l’adesione di Orvieto, Montefiascone, Bagnorea e Città della Pieve104. A Perugia, ancor prima che si andasse delineando l’intesa con Arezzo, il continuo guardare ai movimenti romani indusse ad un errore di valutazione. Così, nel marzo, la presenza nella capitale del ministro toscano Giovanni Baldasserroni suggerì agli amministratori perugini che fosse imminente un accordo in materia ferroviaria tra i due governi. Nella convinzione che l’intesa riguardasse il collegamento tra Firenze e Roma, immediatamente si diffuse il timore che questo venisse condotto, anzichè per il centro dell’Umbria, lungo l’itinerario della via Cassia105. Nella realtà, il soggiorno romano di Baldasseroni prelude alla convenzione, che sarà firmata, sempre a Roma, l’1 maggio 1851, dai rappresentanti della Santa Sede, dell’Austria, dei Ducati di Modena e Parma e del Granducato di Toscana, per la costruzione
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di una strada ferrata che assumerà il nome di Strada Ferrata dell’Italia Centrale, e che partendo, per una parte, da Piacenza si debba dirigere per Parma e Reggio, e, per l’altra parte, staccatosi da Mantova proceda ugualmente a Reggio, e di colà per Modena e Bologna a Pistoia o a Prato, secondo che sarà riconosciuto più agevole e meno dispendioso il passaggio dell’Appennino, congiungendosi in fine, nell’una o l’altra di dette città, alla rete delle strade ferrate toscane106.
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Il trattato, che corrisponde, in sostanza, al varo della Porrettana, non fu, però, affatto privo di influenza sull’allacciamento tra Firenze e Roma; poiché, rendendo la linea Aretina “strettamente funzionale al nuovo sistema di strade ferrate”107 in esso sancito, costrinse Leopoldo II, il quale si era finora mostrato equidistante rispetto allo scontro che opponeva senesi e aretini, a concedere al Municipio di Arezzo, tra la fine di maggio e la prima metà di giugno, l’autorizzazione non solo ad eseguire nuovi studi, ma anche “a costituire [...] a proprie spese un consiglio di direzione, già pronto per guidare la costruzione della ferrovia, nominato dal Consiglio Municipale”108. In tale quadro si inserì, sempre in giugno, l’intesa tra le Amministrazioni di Perugia e Arezzo, che, tuttavia, non fu tale da consentire l’inclusione di Coriolano Monti nel gruppo di ingegneri incaricati di condurre gli studi109. A partire da questo momento, si era all’inizio di agosto del 1851, sino al 1856, tanto a Perugia, quanto ad Orvieto, sembrò calare il silenzio in merito alla questione del collegamento con la Toscana; ma nel Granducato la gara tra aretini e senesi proseguì. Il Municipio di Arezzo, continuando a sfruttare il momento favorevole, nel giugno del 1852 ottenne la concessione provvisoria. Era sua intenzione di finanziare l’impresa costituendo una società anonima a capitale misto, in prevalenza fornito dalle Amministrazioni locali consorziate110. Tuttavia, l’insufficienza delle somme raccolte – nonostante il largo consenso ricevuto –, le numerose offerte di società private che fiutarono l’affare in rapporto alla costruzione della Centrale Italiana e, da ultimo, la volontà del granduca di evitare, ancora una volta, per quanto possibile, un impegno diretto dello Stato, contribuirono in uguale misura a determinare il fallimento di un’iniziativa troppo all’avanguardia111. Il 23 luglio 1853, Leopoldo
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Negri, Le ferrovie nello Stato Pontificio cit. (a nota 13), pp. 6-7. Giuntini, Leopoldo e il treno cit. (a nota 11), p. 245. Ibidem. Coriolano Monti aveva posto la propria candidatura, per mezzo dell’amministrazione perugina, convinto di poter svolgere un compito di grande utilità alla causa della sua città natale. Dal canto suo il gonfaloniere di Arezzo dichiarò di non poterla prendere in esame per la necessità, dovendo tenere dietro ai senesi, di non perdere tempo. In, ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1859, b. 135, lettera di Monti al presidente della Commissione municipale di Perugia del 4 agosto 1851; nota del presidente della Commissione municipale di Perugia al gonfaloniere di Arezzo del 6 agosto e risposta dell’11 agosto 1851. “Il progetto prevedeva l’istituzione di azioni a credito, destinate in gran parte ai Comuni facenti parte del consorzio, ma acquistabili anche dai privati, meccanismo che era stato studiato per garantire un afflusso di capitale consistente senza da un lato trascinare verso un rischio troppo sostenuto i Comuni protagonisti dell’iniziativa e dall’altro far loro esercitare uno stretto controllo in modo tale da tenere lontani affaristi non abbastanza robusti o peggio poco onesti”. In Giuntini, Leopoldo e il treno cit. (a nota 11), p. 246. “L’idea era rivoluzionaria [e si configurava] come una sorta di ribellione al modo dominante di intendere la
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politica ferroviaria nel Granducato negli anni quaranta, basato più sulla speculazione e sul rapido arricchimento che su un programma di dotazione infrastrutturale”. Ivi, pp. 246-247. Ivi, p. 258. In opposizione al progetto Pianigiani che prevedeva il passaggio per Asciano, Rapolano e Bettolle, fu avanzata, in verità con scarso successo, la proposta di un tracciato per Buonconvento e Torrita. Pesanti furono, invece, le conseguenze del decreto del 19 febbraio 1856 che autorizzava il completamento della Lucca-Pistoia e che ebbe l’effetto, immediato, di deviare i capitali pronti a finanziare il prolungamento della Centrale Toscana verso quest’altra linea, le cui obbligazioni risultavano maggiormente appetibili. Per una ricostruzione più puntuale di questi fatti, relativi tanto ad Arezzo quanto a Siena, si veda Ivi, pp. 243-262. Sulle controversie legate alla concessione della Centrale Italiana si veda Negri, Le ferrovie nello Stato Pontificio cit. (a nota 13), p. 8.
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II concesse la costruzione della linea, in via sperimentale, agli inglesi fratelli Gandell, riservandosi la facoltà di estendere, in qualsiasi momento, l’autorizzazione a proseguire verso Roma anche alla Società della Centrale Toscana. Naufragato anche questo esperimento per mancato rispetto dei termini contrattuali, senza che i lavori avessero avuto inizio, il 16 agosto 1856, la realizzazione della linea venne nuovamente concessa al marchese Giacinto De Flers, legato ai Rotschild francesi, e rappresentato in Italia da Giulio Cesare Casali. In campo senese un primo risultato si registrò il 13 aprile 1854, allorché venne autorizzata la prosecuzione della Centrale Toscana sino a Chiusi, anche se con la “tacita condizione della realizzazione del collegamento con l’Aretina”112 in un punto non meglio precisato. La concessione, così a lungo attesa, rilanciava, almeno temporaneamente, le sorti della società che, a causa di gravi difficolta finanziarie, era stata sul punto di confluire nella Leopolda. Dopo un inizio lampo, tuttavia, l’avanzamento dei lavori fu seriamente compromesso dalle difficoltà incontrate nel reperimento dei capitali necessari e da controversie legate alla definizione del tracciato, tanto che alla fine del marzo 1856, la società, con sole 8 miglia costruite delle 38 previste, si trovò sull’orlo della bancarotta: la salveranno l’intervento delle Casse di risparmio di Siena e Firenze e, in un secondo tempo, del Monte dei Paschi113. Nel corso di questi anni, il silenzio umbro in ordine al collegamento con la Toscana dipese anche dal fatto che l’attenzione governativa era rivolta, piuttosto, a definire il tracciato e la concessione della Roma-Ancona-Bologna, a far decollare l’impresa della Centrale Italiana114, ad impedire che le difficoltà finanziarie della Società Pia Latina facessero naufragare la realizzazione della linea Roma-Ceprano. Alle soglie dell’estate del 1856, il tema tornò a coinvolgere l’Amministrazione perugina, in un modo che conferma la molteplicità degli interessi – societari, governativi, municipali – in gioco. In questa fase i principali interlocutori degli amministratori perugini sono identificabili, oltre che nell’ingegnere Coriolano Monti, nell’avvocato Nazareno Calderini agente della Municipalità a Roma, nei rappresentanti della società francese De Flers, che di lì a a poco avrebbe ottenuto la concessione della ferrovia Aretina con la denominazione di Strada Ferrata Ferdinanda da
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Firenze agli Stati Romani per Arezzo e, infine, nell’ambigua figura di un americano, tale James Thompson, che si presentava come rappresentante della Società Casavaldés. Promesse, richieste di finanziamento, incontri più o meno ufficiali, tutto appariva confuso; soltanto Monti sembrava seguire un disegno preciso, fondato sull’assoluta convinzione che la soluzione del problema ferroviario di Perugia non potesse scaturire dai benefici derivabili da un solo tronco, ma soltanto dall’insieme dell’evoluzione che avesse preso l’intero sistema di strade ferrate destinato a solcare il territorio dello Stato Pontificio, e più in generale dell’Italia centrale. Egli rovesciava l’idea che una linea di congiunzione tra la ferrovia Aretina e la Pio Centrale sarebbe stata di danno a quest’ultima, sostenendo, al contrario, che l’AnconaRoma, linea “per difficoltà di siti, [e] e per radezza di popolazioni, tutt’altro che in espettazione di prosperità” ne avrebbe ricevuto notevoli vantaggi in termini di profitto115. Vivendo esule a Firenze, poteva seguire da vicino il cammino delle linee toscane verso Roma e la sua preoccupazione principale, più volte manifestata agli amministratori perugini, era che il collegamento tra i due stati si facesse per Siena e Orvieto, o peggio ancora, per la Maremma. Dal canto suo Calderini era chiamato a tastare il polso di quanto si muoveva a Roma, ad anticipare, se possibile, le mosse governative, a seguire le vicende della neonata Società Generale delle Strade Ferrate Romane che, a dispetto delle aspettative, continuava a presentare una situazione finanziaria assai precaria. Sarà proprio lui, nel febbraio del 1859, ad incontrare nella capitale James Thompson, l’americano che nel giugno di tre anni prima aveva scritto ad Alessandro Antinori, gonfaloniere di Perugia, prospettandogli la concreta possibilità di realizzazione da parte della Società Casavaldés della linea “dal confine toscano a Fuligno per sotto Perugia”116. Ne parlerà come di “un impresario di esecuzione dei lavori [che] aveva un contratto subalterno [con] Casavaldés”117, ma che la società subentrata al gruppo spagnolo non ha voluto riconoscere: da qui un’aspra vertenza risoltasi con il suo allontanamento dalla capitale. Il desiderio di rientrare in gioco era tale da condurlo a intraprendere una strada assolutamente fuori dalle regole: non quella, consuetudinaria, di offrire i propri servizi alle società concessionarie, bensì, quella di trattare direttamente con le Amministrazioni municipali, addirittura in ordine a strade ferrate non ancora concesse. Dopo alcune schermaglie, attraverso la mediazione di Monti, i contatti tra la Società Ferdinanda, che aveva appena avviato i lavori per il tratto Firenze-Pontassieve118, e il Comune di Perugia si aprirono ufficialmente nel giugno del 1857, allorché il presidente del consiglio di amministrazione Giulio Cesare Casali, invitando il 115
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ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1859, b. 135, lettera di Coriolano Monti al gonfaloniere di Perugia del 18 agosto 1856. Ivi, lettera di James Thompson al gonfaloniere di Perugia del 13 giugno 1856. Ivi, lettera di Calderini al gonfaloniere di Perugia del 24 febbraio 1859. Giuntini, Leopoldo e il treno cit. (a nota 11), pp. 253-254.
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ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1859, b. 135, lettera di Cesare Casali al gonfaloniere di Perugia del 27 giugno 1857. Giuntini, Leopoldo e il treno cit. (a nota 11), pp. 255 e sgg. ASO, ASCO, 1800-1860, Protocollo, b. 27, fasc. 100, lettera di Augusto Gori Panillini al gonfaloniere di Orvieto del 17 novembre 1858. Nello stesso fascicolo si vedano inoltre: copie dei rapporti di Policarpo Bandini, segretario generale della Centrale Toscana, all’adunanza generale dei soci del 30 aprile 1858 e dell’ingegnere Girolamo Tarducci sullo stato dei lavori, sempre all’aprile del 1858, trasmesse al gonfaloniere di Orvieto con nota di Bandini del 17 giugno 1858; Osservazioni sul proseguimento della Ferrovia centrale Senese per Val di Chiane Toscana e Pontificia nelle adiacenze del Paglia e del Tevere fino a Roma, s.e., Orvieto 1858.
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gonfaloniere a collaborare nella trattativa con il governo pontificio, lo rassicurò che, a prescindere dal punto di congiunzione con la Pio Centrale a Foligno, piuttosto che ad Orte, la strada ferrata sarebbe passata “sotto la eccelsa città di Perugia”119. Niente era tuttavia così semplice come poteva sembrare, anche perchè nei due anni che precedettero l’annessione sabauda, il rapporto tra la Società Ferdinanda e quella della Centrale Toscana si ribaltò: mentre la prima si avviava ad un lento declino, la seconda era in piena ripresa. La scelta della Ferdinanda di studiare e costruire contemporaneamente tratti diversi della linea si rivelò dannosa, provocando una dilatazione dei tempi di esecuzione. Il lentissimo avanzamento dei lavori spinse la società a chiedere una proroga del termine di consegna del primo tratto a tutto il 1858. Dall’altra parte, il salvataggio in extremis operato dalle banche aveva ridato slancio alla società senese, che aveva potuto riprendere i lavori, anche se con una variante al percorso che prevedeva, dopo Rapolano, la discesa verso Torrita. Il 14 ottobre 1858 venne concessa l’autorizzazione a proseguire la linea da Torrita a Chiusi. A nulla valse l’estremo tentativo degli aretini di arrestare l’avanzamento dei rivali con un’azione legale. La vicenda assunse per la Ferdinanda toni drammatici. Dopo il mancato rispetto di un’ulteriore proroga, che fissava la consegna all’estate 1859, la società si dichiarò pronta ad inaugurare il tratto Firenze-Pontassieve per l’ottobre dello stesso anno, ma questa volta il governo – non più retto da Leopoldo II, fuggito in aprile –, creando un precedente, si rifiutò di concedere il nulla osta e il 7 dicembre dichiarò decaduta la concessione. Tutt’altra aria si respirava in ambiente senese, dove, appena due mesi e mezzo prima, il 19 settembre, si era potuto esultare per l’apertura del tronco SienaSinalunga120. Inevitabile fu la ricaduta di tali sviluppi sui territori pontifici direttamente coinvolti. La corrispondenza che intercorre tra illustri esponenti della Centrale Toscana e l’Amministrazione orvietana testimonia la volontà di quest’ultima di accelerare i tempi, al punto che la stessa società senese si trovò costretta a porre un freno a tanta intraprendenza, invitando il gonfaloniere di Orvieto ad attendere, tenendo pronti “due memorie e progetti [...] onde presentarli, subito dopo che sarà pubblicata la concessione fino a Chiusi, sia al governo pontificio sia a quella compagnia di capitalisti, che al momento sarà la più opportuna al caso”121. Come si vedrà più avanti, sarà la stessa società senese a ricevere, il 19 giugno 1861, l’au-
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torizzazione a proseguire sino all’incontro con la Ancona-Roma, lungo le valli del Paglia e del Tevere; ma, anziché dal papa, il decreto verrà emesso dal neogoverno italiano122. Dal lato perugino la vicenda è, certamente, meno lineare e si intreccia con gli ultimi tentativi dell’Amministrazione di ottenere la variazione del tracciato della Pio Centrale. L’11 gennaio 1859, a Firenze, il consiglio di amministrazione della Ferdinanda, presieduto da Giulio Cesare Casali, si riunì, appositamente, per ascoltare Nicola Danzetta e il conte Ruggero Ranieri, in rappresentanza della città di Perugia. Le rassicurazioni si sprecarono, tanto che si affermò che la strada ferrata avrebbe potuto essere condotta, addirittura, “alle mura stesse della città”123. Come si è appena ricordato, invece, la società entro la fine dell’anno avrebbe chiuso i battenti. Parallelamente agli incontri ufficiali si percorrevano altre vie, ed era soprattutto Alessandro Antinori che, a dispetto delle informazioni che riceveva da Calderini e all’insaputa di parte della magistratura, continuava a tenere in debita considerazione il rapporto con James Thompson. Ciò conferma, se ancora ve ne fosse bisogno, la presenza e l’importanza di un livello non ufficiale, semioscuro, della trattativa, rispetto al quale non si hanno elementi per dire se emergessero interessi personali, ma che, certamente, le Amministrazioni periferiche, nella loro interezza o meno, giudicavano indispensabile praticare per stabilire rapporti preferenziali con quella società che si riteneva essere in procinto di ottenere la concessione; tutto ciò nell’attesa che il pontefice desse il proprio assenso, senza il quale, qualsiasi pratica, qualsiasi tattica si sarebbe rivelata, comunque, inutile. Tuttavia, il quadro politico e istituzionale di riferimento era destinatato a cambiare in tempi rapidi. Perugia, ancora insanguinata dall’eccidio del 20 giugno 1859, sarà liberata dalle truppe piemontesi il 14 settembre, e il disegno sarà portato a termine con la liberazione di Orvieto operata da un battaglione misto di “perugini, [...] umbri e [...] toscani”124. Con la nomina, il 12 settembre 1860, del marchese Gioacchino Napoleone Pepoli a commissario generale straordinario nelle Provincie dell’Umbria125 si aprirà una nuova fase per i territori umbri e anche la vicenda ferroviaria ne trarrà vantaggio, passando, finalmente, dalle parole alle realizzazioni concrete.
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Giuntini, Leopoldo e il treno cit. (a nota 11), p. 300. ASP, ASCPG, Amministrativo 1817-1859, b. 135, lettera di Ruggero Ranieri al gonfaloniere di Perugia del 13 gennaio 1859. L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, vol. 2, Unione Arti Grafiche, Città di Castello 1960, p. 487. G.B. Furiozzi, La Provincia dell’Umbria dal 1861 al 1870, Provincia di Perugia, Perugia 1987, p. 5.
Capitolo 1
Capitolo 2 Le direttrici fondamentali (1860-1875)
I tre mesi e mezzo di governo di Gioacchino Napoleone Pepoli, dalla metà di settembre alla fine del 1860, risultarono decisivi per la definizione dell’assetto politico e amministrativo dell’area in questione, soprattutto per l’istituzione, con decreto del 15 dicembre, dell’unica Provincia dell’Umbria, che accorpava i territori delle ex Delegazioni pontificie di Perugia, Spoleto, Orvieto e Rieti1. Se le intenzioni del nuovo governo erano quelle di favorire la “più ampia e benefica unione dei comuni dell’Umbria, perché po[tessero] nell’associazione di tutte le loro forze produttive e nell’unità dell’amministrazione trovare il modo di riscattarsi dal passato”2, non certo positive furono le reazioni “di varie comunità locali, timorose di perdere uffici, preminenza amministrativa, integrità territoriale”3. Per controbilanciare la spinta centralizzatrice fu così realizzata una ripartizione amministrativa interna – 6 intendenze, poi denominate circondari, e 31 mandamenti – che può apparire eccessiva in rapporto e alla superficie territoriale e alla densità della popolazione, ma che assicurava il “mantenimento di alcune forme di decentramento delle funzioni pubbliche”4. D’altronde centralizzazione e parcellizzazione rappresentavano due modi complementari per assicurare ad un’area di confine – come era allora l’Umbria – un assetto amministrativo il più stabile possibile, così da favorire il controllo sulle dinamiche sociali e politiche e l’ampliamento della base di consenso del nuovo Stato attraverso la cooptazione di pezzi delle vecchie classi dominanti, in particolare di quella che si era configurata come la parte moderata dello schieramento risorgimentale. All’interno di questo generale processo di riordino il tema ferroviario, come era naturale, riemerse con forza e così Pepoli, oltre a prefigurare da parte del futuro Consiglio Provinciale la stesura di un piano generale stradale5, diede finalmente il via al collegamento tra la rete dell’ex Granducato di Toscana e la ormai interstatuale
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G.B. Furiozzi, La Provincia dell’Umbria dal 1861 al 1870, Provincia di Perugia, Perugia 1987, p. 5. R. Abbondanza, La Provincia dell’Umbria come premessa dell’istituzione regionale, relazione tenuta al Convegno “Regionalizzazione e regionalismo nell’Italia mediana. Orientamenti storici e linee di tendenza”, Perugia, 4 novembre 1994. R. Covino, Dall’Umbria verde all’Umbria rossa, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria, a cura di R. Covino e G. Gallo, Einaudi, Torino 1989, p. 511. Ibidem. Abbondanza, La Provincia dell’Umbria cit. (a nota 2).
Le direttrici fondamentali (1860-1875)
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Verso la realizzazione del collegamento tra Firenze e Roma: i decreti Pepoli
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Roma-Ancona. Tra la fine di ottobre e i primi di novembre il commissario straordinario autorizzò, nell’ordine, i Comuni di Perugia ed Orvieto a compiere studi in merito. Inutile ricordare che gli interessi erano divergenti, poiché se i perugini miravano ad “una ferrovia che partendo dal confine delle provincie toscane nel punto in cui terminerà la ferrovia Aretina, e passando per la città di Perugia, [andasse] a raggiungere la ferrovia Centrale Romana”6, gli orvietani, rilanciando l’idea della Pia Cassia, puntavano, piuttosto, ad una ferrovia “che partendo da Chiusi [andasse] al confine della provincia viterbese, lungo la linea dei fiumi Chiana, Paglia e Tevere”7. Per riaffermare la propria imparzialità, inoltre, Pepoli autorizzò la Società Generale delle Strade Ferrate Romane – ormai unica concessionaria delle linee pontificie in seguito all’assorbimento della Pio Latina e fresca di riconoscimento da parte del Regno d’Italia – a studiarle entrambe8.
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Il prolungamento della ferrovia Aretina nell’alternativa tra la via del Trasimeno e quella del Tevere Non fu questo, però, lo scontro che si delineò di lì a poco, bensì quello che oppose Perugia ai centri dell’alta valle del Tevere in ordine alla scelta del tracciato utile al proseguimento della ferrovia Aretina. Si trattava, infatti, di stabilire se fosse più idonea la via del Trasimeno, caldeggiata dai perugini, o quella del Tevere. Il fatto che le due direzioni fossero in concorrenza tra loro non rappresentava una novità. Già nel progetto inviato nel marzo del 1845 a Leopoldo II da Bardi e Sinigaglia si prevedevano entrambe9. Successivamente, Giuseppe Bavosi, pur riconoscendo la superiorità della via “per Cortona e il lago Trasimeno [fin] sotto Perugia”, aveva dovuto confessare che [la] linea di borgo Sansepolcro e Città di Castello quantunque da noi non trovata di quel pregio che ci sembra l’altra [...] potrebbe non pertanto divenirlo se potesse sentire dell’influenza vantaggiosa che risveglierebbero al commercio le strade ferrate, che possono costruirsi nelle Legazioni e nella parte settentrionale Toscana10.
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Decreto 29 ottobre 1860, Serie n. 79, in “Atti ufficiali pubblicati dal marchese Gioacchino Napoleone Pepoli deputato al Parlamento nazionale, Regio Commissario Generale straordinario per le provincie dell’Umbria”, vol. I, Firenze, Stamperia Reale, 1861, pp. 305-306. In realtà, già la settimana precedente il Municipio aveva ricevuto, in seguito a precedente istanza, l’autorizzazione direttamente dal Ministero dei Lavori Pubblici. In ASP, DAP, b. 5236, fasc. 2, dispaccio dalla Segreteria generale del Ministero dei Lavori Pubblici al sindaco di Perugia del 22 ottobre 1860. Decreto, 5 novembre 1860, Serie n. 96, in “Atti ufficiali” cit., vol. II, pp. 467-468. Decreto 11 dicembre 1860, Serie n. 96, in “Atti ufficiali” cit., vol. II, pp. 467-468. Per ciò che riguarda la convenzione del 3 ottobre 1860 tra il neo Stato italiano e la Società Generale delle Strade Ferrate Romane si veda P. Negri, Le ferrovie nello Stato Pontificio (1844-1870), in “Archivio economico dell’unificazione italiana”, serie I, vol. XVI, fasc. 2, ILTE, Torino 1967, pp. 36-37. A. Giuntini, Leopoldo e il treno. Le ferrovie nel granducato di Toscana. 1824-1861, ESI, Napoli 1991, p. 120. G. Bavosi, Pensieri per la costruzione di alcune strade ferrate nello Stato Pontificio sulle linee che sembrano più confacenti alla sua prosperità, Tomassini, Foligno 1846, p. 12.
Capitolo 2
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Disposizioni risguardanti l’esecuzione delle strade ferrate nello Stato Pontificio. 7 novembre 1846. Notificazione, in “Raccolta delle leggi e disposizioni di pubblica amministrazione nello Stato Pontificio emanate nel pontificato della santità di nostro signore papa Pio IX felicemente regnante”, vol. I, Stamperia della RCA, Roma 1849, pp. 83-84. C. Monti, Dell’andamento più conveniente sotto l’aspetto tecnico statistico ed economico della ferrata vertebrale nell’Umbria e nelle Marche, Bartelli, Perugia 1848, in particolare pp. 126-136. Ivi, p. 298. ASP, ASCPG, Amministrativo 1860-1870, b. 14, nota del sindaco di Cortona al sindaco di Perugia del 7 giugno 1861.
Le direttrici fondamentali (1860-1875)
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Sul piano ufficiale, poi, la notificazione del 7 novembre 1846, pur rinviando ad un secondo tempo la possibilità di un collegamento con la Toscana, aveva fatto esplicito riferimento alla “linea che da Foligno mette verso Perugia e Città di Castello per la valle del Tevere”11. Senza dimenticare, infine, che la questione aveva trovato spazio, e non poteva essere altrimenti, anche nello scritto di Monti del 1848, teso a dimostrare la centralità di Perugia, nel quale, invece, inequivocabile era la propensione per la via del Trasimeno12. Come era già avvenuto nel quindicennio precedente, gli impulsi provennero dalla vicina Toscana. Qui, ritirata per inadempienza la concessione alla Società Ferdinanda, dopo diversi tentativi pubblici e privati, il completamento della ferrovia Aretina sino ad incontrare l’Ancona-Roma fu definitivamente attribuito, nel febbraio del 1861, dal governo italiano alla Società delle Strade Ferrate Livornesi, “nata dalle ceneri della Leopolda”13. Immediatamente gli amministratori perugini si mossero per scongiurare qualsiasi ipotesi di tracciato che avrebbe tagliato fuori la loro città. Un primo risultato fu ottenuto tra il giugno e il luglio successivi, allorché la convenzione tra il governo e le Livornesi, che prevedeva esplicitamente il passaggio della ferrovia nei “pressi di Perugia”, fu trasformata in legge. In particolare questa risoluzione, seppur vaga, sembrava eliminare la possibilità che la linea venisse tracciata, muovendo da Arezzo, per Cortona, Valdipierle, Fratta e Gubbio, con sbocco sulla Ancona-Roma a Fossato, con legittima soddisfazione anche dei folignati che, altrimenti, avrebbero dovuto abbandonare l’idea di rinnovare la propria storica funzione di crocevia. In realtà, le ipotesi di tracciato concorrenziali erano diverse. Per il Municipio di Cortona, chiamato dal capoluogo umbro alla collaborazione nell’impegno parlamentare in favore della via del Trasimeno, le possibilità per la prosecuzione della ferrovia Aretina erano tre: “[l]a prima da Arezzo per la valle del Cerfone a Monterchi, Città di Castello e Fratta a Perugia; [l]a seconda da Arezzo per Cortona e Fratta a Perugia; [l]a terza [per il] Trasimeno”14 (tav. 9). Tutto ciò creava un clima di confusione tale che, anche tra coloro che avrebbero dovuto battersi per una stessa causa, albergavano valutazioni assai differenti. A sostegno della propria tesi l’Amministrazione perugina fece pubblicare una memoria, diffusa a partire dai primi giorni di ottobre, nella quale, non sul piano tecnico ma su quello economico, si dimostrava la superiorità della via del Trasimeno su ogni altra, in particolare su quella per Valdipierle, Fratta e Ponte San Giovan-
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Tav. 9 – Prolungamento della ferrovia Firenze-Arezzo sino all’incontro con l’Ancona-Roma: tracciati alternativi promossi dalle Amministrazioni municipali (1861-62) Firenze
Ancona Monterchi Città di Castello
Arezzo
Gubbio Umbertide Cortona Tuoro
Fossato Passignano
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Magione
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Perugia
Ponte San Giovanni
Foligno
Amministrazione municipale di Perugia Umbertide Gubbio Città di Castello
Roma
ni15. Nonostante la carenza di argomentazioni di natura tecnica, aspramente criticata da Coriolano Monti16, la memoria riscosse una buona dose di consensi: si dichiararono, infatti, favorevoli i Municipi di Bastia, Spello, Foligno, Montefalco, Trevi, Spoleto, Terni, Todi e Castiglione del Lago17. Tuttavia la conduzione di studi tecnici per proprio conto cessò di essere rinviabile quando, con l’emanazione del decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 21 novembre 1861, contemporaneamente all’adozione del
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Sulla prosecuzione della ferrovia Aretina pei pressi di Perugia fino all’incontro della linea da Roma ad Ancona, Bartelli e Santucci, Perugia 1861. C. Monti, Intorno alle strade ferrate nell’Umbria. Manifestazioni del 10 novembre 1861, Vitali, Bologna 1861. ASP, ASCPG, Amministrativo 1860-1870, b. 14, risposte dei Comuni che hanno ricevuto l’opuscolo.
Capitolo 2
Il decreto provocò una reazione frenetica, anche perché da Torino si ebbe notizia che il tempo disponibile per la presentazione degli studi non sarebbe stato superiore ai due mesi19. Dopo alcune trattative andate a vuoto il Comune di Perugia incaricò l’ingegnere milanese Luigi Tatti di studiare l’intero percorso da Camucia a Bastia; nello stesso tempo, al fine di trarre vantaggio anche da una efficace comparazione, attribuì all’ingegnere Michele Balducci20 il compito di compiere il profilo di livellazione per la linea di Valdipierle. Abbandonando per un attimo l’angolo di visuale dei perugini, si può notare che, escludendo definitivamente la possibilità di una confluenza sull’Ancona-Roma a Fossato e valorizzando Foligno a nodo ferroviario dell’Italia centrale, il decreto aveva chiarito un punto importante. Ed è questo un aspetto che non passò inosservato nelle sedi amministrative provinciali, come dimostra il giudizio positivo espresso dall’allora prefetto: avere fissato il punto di congiunzione a Fuligno, è già un primo ed irrevocabile beneficio, che mentre ripara alla parte più grave del pericolo che correva questa nobile città, assum[e] in pari tempo la prosperità di una piazza che è il principale mercato dell’Umbria, e fa quindi sperare un aumento di prosperità materiale per tutta la provincia21.
Tuttavia la lunga lettera con la quale Gualterio si rivolge al ministro dei Lavori Pubblici è, nei fatti, concepita per fare pressione affinché lo stesso beneficio non venga negato a Perugia. Il discorso perde ogni connotazione di tipo economico per orientarsi su questioni che attengono esclusivamente alla sfera politico-amministrativa. Si insiste, soprattutto, sulle difficoltà che incontrerebbe la burocrazia a svolgere il proprio compito in un capoluogo privo di comunicazioni ferroviarie, per di più in una provincia così estesa. Quasi certamente, in breve tempo, ne 18
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Ivi, nota da Ministero dei Lavori Pubblici del 27 novembre 1861, trasmesso con dispaccio del prefetto al sindaco di Perugia del 29 novembre. L’informazione arriva da Nicola Danzetta; in ASP, ASCPG, Amministrativo 1860-1870, b. 14, verbale di riunione della Deputazione Municipale del 27 novembre 1861. Michele Balducci, ingegnere di Passignano sul Trasimeno, si era proposto nel dibattito ferroviario con alcuni suoi scritti sino dal 1846, ma nonostante i suoi sforzi non era riuscito ad ottenere alcun incarico ufficiale dal Municipio di Perugia. Cfr. M. Balducci, Indicazione di un passaggio fra l’Umbria e le Marche, Passignano, s.e., 1846; Id., In difesa del diritto quesito e di altri riguardi di Perugia, Santucci, Perugia 1861; Id., Cenni descriventi un andamento che ho studiato fino da più anni per il quale da Camucia pei pressi di Perugia discende sul Tevere al Ponte Valdiceppi, Santucci, Perugia 1861. ASP, ASCPG, Amministrativo 1860-1870, b. 14, nota del prefetto al ministro dei Lavori Pubblici del 5 dicembre 1861.
Le direttrici fondamentali (1860-1875)
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tracciato che dipartendosi da Arezzo passando sotto Castiglion Fiorentino si porta a Camucia in vicinanza di Cortona, e quello che da Bastia passando per Spello porta a Foligno, fu lasciato in sospeso ogni provvedimento per il tronco intermedio fra Camucia e Bastia fino a conoscere il risultato dei progetti particolarizzati delle due linee che potrebbero seguirsi per la valle di Pierla e pel Trasimeno e dei maggiori studi ordinati per acchiarire anche se vi sia o non la possibilità di collocare la stazione di Perugia alle Fontiveggie, senza andare incontro a troppo gravi spese di costruzione ed a troppo onerose condizioni di esercizio18.
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scaturirebbe la necessità di decretare un nuovo capoluogo tra le città meglio servite dalle strade ferrate. Proprio questa eventualità dovrebbe allarmare il governo [i]mperocchè per quanto possano e debbano crescere d’importanza altri centri commerciali dell’Umbria io credo che non sarebbe senza danno il far funzionare il governo in altre città meno civili, meno colte di questa, meno ricche di tradizioni e di monumenti, e in fine soggiungerò d’indole meno docile e meno facilmente governabile22.
Questo ultimo è il punto cruciale, attorno al quale il prefetto costruisce l’intero ragionamento. La quiete sociale di Perugia trova conferma nelle statistiche giudiziarie, e Gualterio è pronto ad
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affermare nel modo il più assoluto che con Perugia a capo dell’Umbria, [egli] rispond[e] e risponderà sempre di quella tranquillità assoluta, di quella docilità ed universale cooperazione al buon andamento dell’amministrazione mercè la quale si ottenne in quest’anno che fu così scabroso per tante altre provincie una quiete invidiabile e una diminuzione di cure al governo centrale23.
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Un documento del genere è estremamente importante, perché dimostra come, dopo un inizio in cui sembrava avessero prevalso ragioni commerciali – il collegamento tra i due mari –, il prolungamento dell’Aretina sino all’incontro con l’AnconaRoma fosse divenuto, soprattutto, un problema legato ad una esigenza di controllo del territorio. La decisione ministeriale di abbandonare l’ipotesi del punto di confluenza delle due linee a Fossato, con la conseguenza di un notevole allungamento della distanza tra i porti di Ancona e Livorno, andrà pur letta in questa chiave. Si tenga conto, inoltre, che la funzione di collegamento tra Tirreno e Adriatico, tanto verso Venezia quanto verso Ancona, avrebbe potuto essere svolta assai più efficacemente, come poi effettivamente lo sarà nel giro di un paio di anni, dalla progettata linea transappenninica da Firenze a Bologna, via la Porretta, già indicata da Petitti e Sanfermo24. Sta di fatto che il 15 marzo 1862 l’ingegnere Luigi Tatti consegnò al sindaco di Perugia, “il progetto per la traccia di una ferrovia che dal borgo di Camuccia presso Cortona fino a Bastia, pass[asse] sotto Perugia presso il sito detto Fonti Veggie”25 (tav. 10). Rispondente alle caratteristiche tecniche fissate dal decreto, il tracciato usciva vittorioso dal confronto con quello di Valdipierle, dimostratosi più lungo (71 contro 65,6 chilometri) e di più difficile realizzazione26. A prescin22 23 24
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Ibidem. Ibidem. Si veda C.I. Petitti, Delle strade ferrate italiane e del migliore ordinamento di esse, Tipografia e Libreria Elvetica, Capolago 1845, pp. 338-349. Sul lungo cammino che, il 3 novembre 1864, condusse all’inaugurazione della Porrettana cfr. A. Giuntini, I giganti della montagna. Storia della ferrovia Direttissima BolognaFirenze (1845-1934), Olschki, Firenze 1984, pp. 1-88. L. Tatti, Prolungamento della ferrovia Aretina per Perugia. Studio comparativo fra la linea del Trasimeno e quella della Val di Pierle, Politecnico, Milano 1862, p. 15. Allegato alla relazione Tatti venne stampato anche il Rapporto sulla livellazione a grandi tratti della linea detta di val di Pierle, steso da Michele Balducci. Tatti, Prolungamento della ferrovia aretina cit. (a nota 25), pp. 16-25.
Capitolo 2
dere da qualsiasi valutazione sul grado di parzialità della relazione Tatti, in modo particolare per la parte di comparazione con il tracciato alternativo, è evidente che con questi studi l’offensiva perugina poteva dirsi compiuta anche dal lato tecnico. Anche il nuovo prefetto intervenne a sostegno della via del Trasimeno. Rispetto a Gualterio, Luigi Tanari, grazie al lavoro di Tatti, potè affrontare il tema da tutti i punti di vista. Soprattutto potè insistere sul fatto che gli studi tecnici rispondevano perfettamente ai criteri fissati nel decreto del 21 novembre 1861, così da superare anche l’ultimo ostacolo. Tuttavia la tesi di fondo, in base alla quale Perugia non poteva in alcun modo restare esclusa dalle comunicazioni ferroviarie, era, ancora una volta, incentrata sulle necessità di governo e di costruzione del consenso:
Le direttrici fondamentali (1860-1875)
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Tav. 10 – Prolungamento della ferrovia Firenze-Arezzo sino all’incontro con l’Ancona-Roma: progetti alternativi (1862)
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[i]l beneficio della libertà quantunque sia un gran bene, male verrebbe apprezzato da un popolo abituato a vedersi negare ogni vantaggio materiale dal cessato governo, ove non fosse congiunto a quei miglioramenti a cui ha diritto di aspirare, e che la giustizia gli consente27.
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A suo parere il prolungamento della ferrovia per il Trasimeno e Perugia sino a Foligno era in grado non solo di favorire il legame tra il capoluogo e l’intero territorio provinciale, ma anche di proiettare, in potenza, l’esercito alla porte di Roma. Questo imponeva lo stato delle cose, anche se non era affatto da escludere che in un secondo tempo, con Roma capitale del Regno d’Italia, non si sarebbe potuto ritornare sul proposito originario del più breve collegamento tra i due mari, costruendo un “altro tronco di strada da Fossato per Gubbio, Città di Castello ed Arezzo che costituisca l’unica vera linea diretta da Ancona a Livorno”28. Le pressioni del prefetto Tanari sul ministro dei Lavori Pubblici si collocano temporalmente un paio di settimane dopo l’emanazione di un provvedimento legislativo, destinato ad accelerare notevolmente il cammino verso la definizione dell’intero tracciato, che conferma l’interesse del governo per questa linea: si tratta della nomina, con decreto reale del 21 aprile, di una commissione speciale, presieduta dal senatore Giorgini, incaricata di indicare, per il tratto da Camucia a Bastia, il progetto migliore dal lato tecnico ed economico oltre che maggiormente aderente ai criteri fissati dalla legge del 7 luglio 1861 e di esprimere pareri su altre questioni riferibili all’andamento generale della linea. I lavori della commissione si conclusero in giugno, non limitandosi alla visione della documentazione esistente, ma dando origine a sopralluoghi nei territori coinvolti e ad incontri con rappresentanze delle parti in causa: le Amministrazioni provinciali e comunali, la società concessionaria, le associazioni di categoria (proprietari, commercianti, operai). I progetti messi a confronto furono quello Tatti e quello dell’ingegnere Giuseppe Laschi (tav. 10), steso per conto della Società delle Strade Ferrate Livornesi, in base al quale la ferrovia da Camoscia salirebbe nella valle dell’Esse e di là passerebbe nella valle del Niccone o val di Pierle, sboccando in val di Tevere nelle vicinanze della Fratta; da questo borgo scenderebbe lungo la valle medesima a Ponte Felcino od a Ponte Valle Ceppi, collocando in uno di questi due punti la stazione di Perugia, d’onde raggiungerebbe Bastia29.
È bene dire subito che il giudizio conclusivo fu, unanimemente, a favore della via del Trasimeno: a parità di spese di esercizio questa risultò più breve di oltre due chilometri, realizzabile in un tempo di appena due anni e mezzo, ovvero con un
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ASP, ASCPG, Amministrativo 1860-1870, b. 29b, nota del prefetto al ministro dei Lavori Pubblici del 3 maggio 1862. Ibidem. La relazione finale della commissione, stesa da Giuseppe Zanardelli è contenuta in Alcuni documenti sulla ferrovia Aretina pei pressi di Perugia, Martini e Boncompagni, Perugia 1863, pp. 5-39. In particolare p. 7.
Capitolo 2
si presta acconciemente a ricevere edifizii che si colleghino e si diano la mano con quelli dell’antica città e mediante i quali un futuro sobborgo la possa allacciare al grande movimento nazionale degli uomini e delle merci32.
Le considerazioni della commissione Giorgini oscillano dal piano politico-amministrativo a quello economico, dalle necessità della provincia dell’Umbria, ai bisogni della regione Umbria. Nel primo caso si doveva favorire il collegamento ferroviario tra il capoluogo e i restanti centri urbani, un obiettivo che non si poteva certo conseguire fissando la stazione ferroviaria ad una distanza tale dal centro cittadino da comportare più di un ora di trasbordo in carrozza, equivalente a trenta chilometri di viaggio ferroviario. Nel secondo, oltre al fatto che le classi commercianti muovonsi più che le agricole, le classi agiate più che le povere [così] che è a ritenersi che una città importante come Perugia rappresenti comparativamente agli altri luoghi che sono sulla linea assai maggiori elementi e bisogni di circolazione33,
si aggiungeva “che l’Umbria è la sola regione dell’Italia continentale che non possieda ancora le animatrici e unificatrici influenze delle ferrovie”34, che invece avrebbero potuto rappresentare la leva per una crescita economica, potenziale tanto in virtù di una produzione agricola in eccedenza, quanto per la ricchezza di
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Ivi, p. 23. Ivi, p. 16. Ibidem. Ivi, p. 18. Ivi, p. 19.
Le direttrici fondamentali (1860-1875)
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anticipo di almeno tre anni rispetto all’altra, e ad un costo inferiore di circa quattro milioni e mezzo di lire. Risolta la questione dal lato realizzativo, la relazione, per le considerazioni che viene svolgendo, fornisce un contributo significativo utile a comprendere meglio l’intera vicenda. Innanzitutto consente di cogliere quale doveva essere, nelle intenzioni del governo, la funzione che l’intera linea era chiamata a svolgere: certamente non quella di collegare nel modo più breve i porti di Ancona e Livorno, il silenzio delle quali Amministrazioni era la prova del loro disinteresse per la disputa in atto, ma, piuttosto, di “servire ai rapporti della regione umbra, e [...] collegare tra loro la Toscana, l’Umbria, le Marche e l’Abruzzo”30. In quest’ottica è evidente che il tronco tra Camucia e Bastia non doveva avere “altro maggiore interesse che di arrivare a Perugia, [...] che di connettere bene ai punti più lontani quell’unico punto veramente importante pel quale la linea deve passare”31. Era pertanto incoerente accettare un percorso, come quello di Valdipierle, che fissava la stazione di Perugia a non meno di 7 chilometri dalle mura cittadine. Al contrario, il sito di Fontivegge, oltre a distare solo un chilometro e mezzo circa dalle mura,
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“acque motrici, efficaci strumenti d’una industria che da già segno di svilupparsi”35. All’interno della relazione la questione del collegamento con Roma è appena accennata, ma anche nelle poche righe che vi sono dedicate non si coglie l’intenzione del governo di fare della linea in oggetto la principale arteria di collegamento tra la futura capitale del Regno d’Italia e le province settentrionali. Emerge, piuttosto, il concetto che con Roma capitale fosse immaginabile pensare ad una convergenza di più linee, in qualche modo concorrenziali. L’estate incombente rallentò, nuovamente, l’evoluzione della vicenda, con la conseguenza che le risultanze dei lavori della commissione Giorgini rimasero lettera morta sino al 27 settembre 1862, giorno in cui un nuovo decreto del ministro dei Lavori Pubblici stabilì che
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[i]l tronco di congiunzione delle sezioni Arezzo-Camuccia e Bastia-Fuligno della strada ferrata Aretina sarà tracciato lungo il Trasimeno, e a tal’oggetto verrà dalla Società delle Ferrovie Livornesi redatto apposito progetto di dettaglio in base al progetto di massima fatto studiare dal Municipio di Perugia, e pubblicato colle stampe, e sarà presentato all’approvazione del governo entro un termine non maggiore di mesi tre36.
La macchina si era ormai messa in moto: la società concessionaria rese noto di aver incaricato l’ingegnere Cesari di compiere degli studi definitivi37, ma il rapporto tra l’Amministrazione perugina e le Livornesi si fece ben presto difficile. Nel giugno 1863, ben oltre i tre mesi previsti dall’ultimo decreto, gli studi non erano ancora stati ultimati, al punto che il sindaco fu costretto a sollecitare l’intervento del ministro dei Lavori Pubblici, accusando la società di temporeggiare al fine di stravolgere l’originario progetto Tatti e ripresentare la via di Valdipierle38. La tensione divenne palpabile anche in città, dove si raccolsero firme per una petizione popolare; né servì ad allentarla una nota ministeriale che, informando che gli studi di dettaglio presentati dalla società concessionaria erano all’esame del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, rassicurava che la presenza “di alcune lievi modificazioni” al progetto Tatti non implicava in alcun modo “che ne po[tesse] esser sostanzialmente mutato il tracciamento”39. Soltanto con i decreti ministeriali del 15 e 18 dicembre che dichiararono urgenti i lavori per il tronco dal Trasimeno a Bastia, i perugini ebbero la certezza, dopo la bellezza di diciotto anni, di avere la ferrovia alle porte della loro città40. 35 36 37
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Ivi, p. 20. Ivi, p. 44. ASP, ASCPG, Amministrativo 1860-1870, b. 29b, nota del regio commissario tecnico delle strade ferrate livornesi del 22 ottobre 1862. Ivi, b. 45b, nota del sindaco di Perugia al ministro dei Lavori Pubblici del 22 giugno 1863. Ivi, nota del ministro dei Lavori Pubblici del 4 luglio 1863 trasmessa al sindaco di Perugia con nota del prefetto dell’8 luglio. Ivi, copia dei decreti 15 e 18 dicembre 1863 del ministro dei Lavori Pubblici trasmessa al sindaco di Perugia con nota del prefetto del 21 dicembre 1863.
Capitolo 2
La disposizione di procedere d’urgenza venne estesa, ai primi di febbraio del 1864, anche ai tratti da Camucia al Trasimeno e da Bastia a Foligno41, ma l’andamento dei lavori non fu affatto lineare. Già in marzo si segnalavano interruzioni42; inoltre la resistenza dei proprietari dei terreni da espropriare, nella zona di Fontivegge, costringeva a rinviare l’apertura del cantiere per la costruzione della stazione che l’Amministrazione Municipale avrebbe gradito inaugurare il 5 giugno, in occasione della festa dello Statuto del Regno43. Seppure con difficoltà di questo genere, in breve tempo, l’intera area destinata ad accogliere i binari si trasformò in un grande cantiere.
Alla metà di luglio del 1865, quando in Toscana era in esercizio il solo tratto Firenze-Montevarchi, i lavori in territorio umbro non procedevano al ritmo previsto, ma erano “relativamente in ritardo”45 in diversi punti, tanto che l’apertura dell’intera linea non poté essere ragionevolmente prevista, come poi effettivamente sarà, che per la fine del 1866. La costruzione della galleria di Magione, l’unico tra i trafori inclusi nel progetto di una lunghezza significativa, tenne impegnata la ditta appaltatrice dall’estate del 1864 ai primi di febbraio del 1866: alla fine la misura risultò di circa 200 metri superiore a quella prevista da Tatti (1.301 contro 1.120 metri). Denso di avvenimenti, fausti e infausti, fu il mese di marzo del 1866. Il giorno 16, a seguito dell’apertura del tratto Montevarchi-Torricella (circa 88 chilometri), i binari correvano, senza alcuna interruzione, da Firenze alle sponde del Trasimeno. Da Perugia fu immediatamente attivato un servizio di vetture a cavalli, con il risultato che si poteva giungere a Firenze in circa 9 ore: una rivoluzione rispetto alle venti ore circa necessarie per compiere l’intero percorso in diligenza. Tuttavia, a soli due giorni di distanza, crollarono tre arcate del ponte in costruzione sul Tevere a Ponte San Giovanni46: occorsero altri tre mesi per la
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ASP, ASCPG, Amministrativo 1860-1870, b. 67, copie dei decreti 29 gennaio e 1 febbraio 1864 del ministro dei Lavori Pubblici trasmesse, rispettivamente, al sindaco di Perugia con note del prefetto del 5 e 7 febbraio 1864. Ivi, nota del sindaco di Perugia al ministro dei Lavori Pubblici del 17 marzo 1864. ASP, ASCPG, Atti della Giunta, reg. n. 4, a. 1864, adunanze del 19, 23 e 27 maggio. Cfr., inoltre, Ivi, Amministrativo 1860-1870, b. 64a, fasc. “Festa dello Statuto”. A. Cioci, Due ferrovie, una storia. Terontola-Foligno, Ellera-Tavernelle, Kronion, Bastia Umbra 1988, p. 35. Strade Ferrate Romane, Processi verbali della prima adunanza generale della società anonima tenutasi in Firenze e Parigi il 20 luglio 1865, Tipografia delle Murate, Firenze 1865, p. 28. Cfr., in proposito, C. Sacuto, Delle vere cause che produssero la rovina del ponte sul Tevere presso Perugia, Sardi, Livorno 1866. Ingegnere, titolare di una ditta che sino all’agosto aveva assunto in subappalto, dalla Impresa Costruttrice B. Spagnoli, Comelli e Comp., la costruzione di alcune opere d’arte, tra cui il ponte in questione, Sacuto sostenne, a sua difesa, che la causa principale del crollo non era imputabile né alla scelta dei materiali, né alla messa in opera, ma ad un errore progettuale.
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Le ditte che si prest[ava]no per la società concessionaria reclut[ava]no manovali ed operai ovunque. Notevole [fu] la mano d’opera proveniente dai centri della regione e delle provincie limitrofe; uomini che trascin[ava]no con sé anche le proprie famiglie44.
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ricostruzione. Più o meno nello stesso periodo furono portate a termine le restanti gallerie ed opere d’arte, mentre per l’edificazione delle stazioni più importanti – Assisi e Perugia – si dovette attendere la seconda metà dell’anno. La scansione cronologica delle date di apertura dei rimanenti tronchi della linea è la seguente: 21 luglio 1866, Collestrada-Foligno; 3 settembre, Ponte San Giovanni-Collestrada; 14 ottobre, Torricella-Ellera; 12 dicembre, Ellera-Ponte San Giovanni. L’inaugurazione ufficiale dell’ultimo tratto fu del 19 dicembre e “[p]er l’occasione il Municipio di Perugia autorizzò il Monte di Pietà a restituire alle famiglie bisognose i piccoli pegni”47.
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Il parallelo avanzare della Centrale Toscana
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Contemporaneamente alla definizione e realizzazione della Terontola-Foligno anche la Centrale Toscana, così come auspicato dagli orvietani, avanzò verso Roma. Il 30 gennaio 1860 il governo provvisorio di Bettino Ricasoli confermò alla società senese quanto già concesso da Leopoldo II il 14 ottobre 1858, ovvero la facoltà di prolungare i binari sino a Chiusi48. Successivamente, nonostante il ricordato decreto Pepoli del 5 novembre 1860 avesse autorizzato la Società Generale delle Strade Ferrate Romane a compiere gli studi per il tratto seguente, fu la stessa società senese – forte del sostegno finanziario del Monte dei Paschi, al punto da rifiutare la fusione con tutte le altre compagnie operanti in Toscana nella nascente Società delle Strade Ferrate Livornesi – ad ottenere dal governo italiano, il 19 giugno 1861, la concessione di proseguire la sua strada ferrata “oltre Chiusi fino ad Orte per la vallata del Paglia e del Tevere, onde congiungersi presso detta città di Orte al tratto di via ferrata, quasi che costruito, che da essa va a Roma, e per proseguire anche indipendentemente da detto tratto alla indicata metropoli”49.
Mentre si discuteva dell’alternativa tra Trasimeno e Valdipierle, la ferrovia senese continuò ad avanzare: il 24 luglio 1862 giunse, finalmente, a Chiusi e alla fine dell’anno risultò percorribile sino a Ficulle50. In pratica tutte le preoccupazioni espresse da Coriolano Monti, sin dai suoi primi interventi, si stavano dimostrando fondate: Roma appariva molto più prossima, oltre che diretta, dalla via senese che da quella aretina e ciò ridimensionava notevolmente le aspirazioni di centralità del capoluogo umbro e di Foligno. Ad ogni modo, sul versante societario, la con-
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Cioci, Due ferrovie cit. (a nota 44), p. 43. Giuntini, Leopoldo e il treno cit. (a nota 9), p. 300. G. Catoni, Un treno per Siena. La strada ferrata Centrale Toscana dal 1844 al 1865, in “Bullettino Senese di storia patria”, LXXXVII, 1980, p. 96. Strade Ferrate Romane, Processi verbali della prima adunanza cit. (a nota 45), p. 29.
Capitolo 2
correnza tra le due linee durò assai poco, poiché, diversamente da quanto successo un paio di anni prima, la Società della Centrale Toscana si mostrò ben disposta nei confronti di un’ipotesi di fusione. Come ha scritto Giuliano Catoni,
È possibile seguire la crescita di questo convincimento guardando all’evoluzione della normativa. Con il procedere delle annessioni si estese alle neo regioni italiane la legislazione piemontese, che in materia ferroviaria aveva avuto una “prima generica disciplina”52 all’interno della legge n. 3754 del 20 novembre 1859 sul riordinamento delle opere pubbliche. Una legge ispirata tanto alla normativa austriaca, dalla quale era stata mutuata la distinzione tra ferrovie pubbliche e private, quanto a quella francese, fonte delle norme regolatrici la costruzione e l’esercizio, tra le quali si deve evidenziare quella che stabiliva che la concessione di una linea ad un soggetto privato non poteva avvenire che per legge53. Tuttavia, in questa prima fase, ogni ipotesi di riordinamento venne meno; piuttosto il nuovo governo tese ad assumere, via via che i confini si ampliavano, tutti gli impegni sottoscritti dai governi preunitari e provvisori e, non limitandosi a questo, emanò anche nuove concessioni, oltre a farsi carico direttamente della costruzione di alcune linee. Tra le concessioni è senz’altro da ricordare quella, sancita dalla legge 21 luglio 1861, in favore del finanziare francese Paolino Talabot, in rappresentanza della Società delle Strade Ferrate Lombarde e dell’Italia Centrale, per la costruzione di alcune linee nei territori dell’ex Regno delle Due Sicilie. Dal suo successivo annullamento, infatti, dipenderanno, inizialmente, la gestione diretta dei lavori da parte dello Stato e, in un secondo tempo, passando attraverso il progetto di convenzione Depretis con il gruppo Rotschild, la nascita, nel 1863, della Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali. Destinata, con il nome Bastogi, ad avere un lungo futuro tra le più importanti holding italiane, tale società nacque al termine di un’operazione politico-finanziaria estremamente ambigua coordinata da Pietro Bastogi, già ministro delle Finanze, il quale sfruttò al meglio la reazione nazionalista innescatasi in Parlamento al momento della discussione sul disegno Depretis54.
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Catoni, Un treno per Siena cit. (a nota 49), p. 97. A. Crispo, Le ferrovie italiane. Storia politica ed economica, Giuffrè, Milano 1940, p. 82. La stessa legge “quanto alle modalità di carattere finanziario, non prevede sovvenzioni da parte dello Stato, mentre assicura a quest’ultimo una partecipazione negli utili oltre un certo limiti, partecipazione cui lo Stato può rinunciare contro una diminuzione delle tariffe dei trasporti: disciplina infine la regolazione dei rapporti fra Stato e concessionario al termine della concessione, sia che essa avvenga anticipatamente per decadenza o riscatto. È accennato pure alla possibilità di aiuti sotto forma di garanzia di un minimo d’interesse al capitale o di un minimo di prodotto o di facilitazioni doganali”. Ibidem. Nel pieno di un’accesa polemica parlamentare Bastogi costituì, rapidamente, una società di banche e finan-
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la ragione di questo cambiamento è da ricercare soprattutto nella progressiva convinzione che il gruppo aristocratico-borghese fautore dell’unità nazionale [...] andò formandosi sulla necessità di un accentramento nell’amministrazione e negli investimenti ferroviari51.
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Il disordine, appena sommariamente accennato, era aggravato dal fatto che le società concessionarie si trovavano in uno stato di costante difficoltà, dovuto all’incapacità di rispettare i termini di conclusione dei lavori previsti nelle convenzioni e di rientrare nei costi preventivati. In sede istituzionale, ad una fase in cui trovò largo consenso l’ipotesi di una statalizzazione di tutte le linee ne seguì ben presto un’altra, contrassegnata da maggior realismo, nella quale la debolezza delle finanze statali consigliò di demandare la gestione dell’intera rete ai privati. Il frutto di questa diffusa consapevolezza è rappresentato dalla legge n. 2279 del 14 maggio 1865, “la prima legge “organica” sulle ferrovie italiane”55, che insieme all’allegato F in materia di lavori pubblici, alla precedente legge n. 2248 del 20 marzo sull’unificazione amministrativa del Regno e a quella, di poco successiva, del 25 giugno sulle espropriazioni dei terreni per opere di pubblica utilità, “costituì la base della politica ferroviaria italiana per i successivi 15 anni”56. Per consentire un’applicazione il più equa possibile del principio fondamentale della gestione privata, la legge prevedeva la concentrazione di tutte le società esercenti in quattro grandi compagnie, ciascuna delle quali andava ad operare in un settore territoriale equivalente agli altri in ampiezza e in potenzialità di sviluppo. Inoltre, lo Stato, attraverso una gamma differenziata di interventi mirati – contributi chilometrici e altro genere di incentivi –, si impegnava a riequilibrare, in caso di necessità, la condizione di parità economica tra le compagnie. Tra queste quella che nacque dalla fusione delle società toscane e romane e alla quale vennero concesse le ferrovie di Toscana, Umbria e Lazio, assunse la denominazione di Società delle Strade Ferrate Romane. Le altre furono, rispettivamente, la Società delle Strade Ferrate dell’Alta Italia, appartenente al gruppo Rotschild, alla quale vennero affidate le linee padane e, dopo il 1866, anche quelle venete e la Società delle Strade Ferrate Meridionali, beneficiata delle ferrovie del sud della penisola tranne quelle della Basilicata, della Calabria e delle isole. Le linee di queste ultime regioni, con l’eccezione di quelle sarde assegnate dopo il 1870 alla Compagnia Reale Sarda costituitasi per l’occasione, vennero concesse alla Società delle Strade Ferrate Calabro-Sicule57. In realtà l’idea di dare vita ad un’unica compagnia per la gestione delle ferrovie ex toscane e romane partiva da più lontano e precisamente dall’8 maggio 1863, data della firma, a Firenze, di un progetto di convenzione tra i rappresentanti delle
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zieri solo italiani, candidandola a prendere il posto del gruppo Rotschild. In realtà la maggior parte dei capitali sottoscritti proveniva dai mercati di Londra e Amsterdam. Successivamente una commissione parlamentare d’inchiesta accertò che il successo dell’operazione era stato reso possibile da un profondo livello di corruzione che aveva coinvolto i vertici dello Stato. Su queste vicende oltre a Crispo, Le ferrovie italiane cit. (a nota 52), pp. 89-110, cfr. A. Mioni, Le trasformazioni territoriali in Italia nella prima età industriale, Marsilio, Padova 1976, pp. 97-101 e F. Mercurio, Le ferrovie e il Mezzogiorno; i vincoli “morali” e le gerarchie territoriali (1839-1905), in “Meridiana”, 19, gennaio 1994, p. 165. Mioni, Le trasformazioni territoriali cit. (a nota 54), p. 102. Ibidem. Ibidem.
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Sulle vicende legate alla ferrovia Maremmana, dai primi progetti sino alla costituzione della società e alla realizzazione, si veda Giuntini, Leopoldo e il treno cit. (a nota 9), pp. 125-135, 263-265, 303-306; cfr., inoltre, Id., Speculazione e strade ferrate nella Toscana granducale: il caso della Ferdinanda Maremmana (1845-1847), in “Bollettino della Società Storica Maremmana”, n. 49, 1985, pp. 202-212. Negri, Le ferrovie nello Stato Pontificio cit. (a nota 8), p. 41. La fusione delle quattro compagnie ferroviarie nell’unica Società delle Strade Ferrate Romane prevedeva un periodo di transizione di cinque anni durante il quale il consiglio di amministrazione si sarebbe diviso in due sezioni, l’una residente a Firenze con il compito di amministrare la linea Ancona-Roma e quelle poste al suo nord, l’altra, a Parigi, responsabile della gestione delle linee a sud della Ancona-Roma. La funzione di raccordo tra le due istanze, o meglio di supervisione, sarebbe stata assicurata da una commissione mista. Si veda, Allegato alla convenzione 22 giugno 1864 riguardante la fusione della Società delle Strade Ferrate Romane con quelle della Toscana, in “Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia”, vol. XI, Stamperia Reale, Torino 1865, pp. 755-57. Strade Ferrate Romane, Processi verbali della prima adunanza cit. (a nota 45), pp. 18 e sgg.
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società delle strade ferrate Romane, Livornesi, Centrale Toscana e Maremmana58. In seguito al nulla osta deliberato dai consigli di amministrazione delle quattro società, il 22 giugno 1864, si era proceduto alla firma dell’atto definitivo di fusione, poi sancito dalle legge 2279. L’intero pacchetto di linee già attribuite alle singole società – con l’eccezione della Ancona-Bologna e la diramazione CastelbologneseRavenna da cedersi o allo Stato italiano o ad altra società da esso indicata – venne riunito in una sola concessione della durata di 99 anni a decorrere dalla data di promulgazione della legge. Il governo si impegnava a garantire una sovvenzione annua di 13.200 lire/km, da diminuirsi progressivamente nel caso il prodotto lordo superasse 12.500 lire/km, sino ad annullarsi oltre la soglia di 30.000 lire/ km Per contro la società si impegnava “a congiungere, entro 18 mesi [...] le linee della Toscana e la Ancona-Roma alle linee napoletane, per mezzo di una diretta comunicazione ferroviaria”59. Al 20 luglio 1865, giorno della prima assemblea generale degli azionisti, convocata simultaneamente a Parigi e Firenze60, l’intera rete di competenza della nuova compagnia si estendeva per complessivi 2.061 chilometri, a cui se ne dovevano aggiungere 291 di linee che il governo, come da convenzione, si riservava di concedere in futuro – tra le quali la Terni-Avezzano-Ceprano. Guardando ai soli chilometri già concessi, 1.192 erano in esercizio e i restanti 869 in costruzione. Con la sola eccezione del prolungamento della Centrale Toscana, giunta come si è ricordato sino a Ficulle, per un totale di 171 chilometri in esercizio sui 231 previsti da Empoli a Orte, le linee che interessavano l’Umbria erano in grave ritardo: dei 210 chilometri previsti per la Firenze-Foligno, solo 54 erano in esercizio nel tratto Firenze-Montevarchi; assai più pesante, dal momento che la concessione originaria risaliva addirittura al 1856, la situazione sulla Roma-Ancona, con appena 37 chilometri in esercizio, nel tratto Roma-Corese, sui 283 previsti61. Una cifra assolutamente misera, che neppure le vicissitudini politiche erano sufficienti, da sole, a giustificare, né il fatto che si trattasse di una linea a cavallo tra due Stati in conflitto, anche perché, nel nuovo assetto territoriale, soltanto 50 chilometri rimanevano all’interno dei confini pontifici.
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La costruzione dell’Ancona-Roma
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Non si può insomma non tenere nel giusto conto la debolezza finanziaria, già in precedenza ricordata, della società concessionaria. Dopo la fusione del 12 marzo 1860 tra la Pio Latina e la Pio Centrale nell’unica Società Generale delle Strade Ferrate Romane, il nuovo consiglio di amministrazione aveva stipulato, in tempi rapidi, un contratto con l’imprenditore spagnolo Josè Salamanca relativo alla costruzione dell’intera rete pontificia nel termine di tre anni62. Contemporaneamente, al fine di poter equiparare il capitale sociale effettivo a quello nominale, pari a 85 milioni di franchi, il costruttore aveva chiesto al governo pontificio l’autorizzazione ad emettere obbligazioni per un valore di 17 milioni di franchi, peraltro negata in attesa del completamento dei lavori tanto sulla Roma-Ancona-Bologna, quanto sulla Roma-Ceprano. Come se non bastasse, in Francia, paese nel quale la compagnia aveva sede amministrativa, il fallimento di Mirès, banchiere e vicepresidente della società, aveva fatto scattare, nel febbraio del 1861, un’indagine amministrativa che si era conclusa con il diniego della possibilità di ricorrerre al credito pubblico63. Una situazione di costante crisi finanziaria, quindi, che, sommandosi alle difficoltà dipendenti dalla congiuntura politica che costringevano la società a trattare, nello stesso tempo e per una stessa linea, con due governi in conflitto, non poteva non ripercuotersi sull’andamento dei lavori. Un’interessante, quanto sconfortante, fotografia del loro stato di avanzamento sul lungo tratto della Ancona-Roma che attraversava il territorio della Provincia dell’Umbria – circa 172 chilometri da Passo Corese a Fossato – è data dal commissario generale Pepoli al ministro dei Lavori Pubblici in uno specifico rapporto che risale alla metà di novembre del 1860. Studi da ultimare, movimenti di terra in assoluto ritardo rispetto ai tempi previsti, nessuna opera d’arte avviata. Per ciò che riguardava le importanti gallerie dei Balduini, tra Spoleto e Terni, e di Fossato, nel primo caso, tenendo conto che la lunghezza prevista era di 1.633 metri, si è già da vario tempo aperta la piccola galleria; si è fatto lo scavo della calotta nella metà della lunghezza del sotterraneo; [...], e quattro tratti di volta per m[etri] l[ineari] 280 complessivamente; ammontando tutti i lavori fatti a lire 483.000 circa, e tenendoci impiegati soli 220 operai!. [...] nel tunnel di Fossato, lungo m[etri] l[ineari] 1.908, [...] si è già fatta la piccola galleria per m[etri] l[ineari] 1.160, [...] coll’impiego di circa 300 braccianti64.
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“Il tutto per un costo complessivo di 83 milioni e 300 mila franchi, da pagarsi al Salamanca in un triennio, in ragione di 25 milioni l’anno e del saldo di 8 milioni e 300 mila franchi dopo attivate le linee”. In, ivi, p. 26. In base ad un decreto del governo francese del 22 maggio 1958 la mancata liberazione del capitale azionario impediva ad una società di ricorrere al credito pubblico. Si veda in proposito Negri, Le ferrovie nello Stato Pontificio cit. (a nota 8), p. 17. ASP, DAP, b. 5236, Rapporto sulla via ferrata Pio Centrale, in costruzione nella provincia umbra, del 13 novembre 1860.
Capitolo 2
Pepoli punta il dito sulle responsabilità del governo pontificio, colpevole di non avere esercitato il necessario controllo su “un lavoro di tanta importanza”, ma non tralascia di attaccare anche la compagnia concessionaria che
Di fronte a tale situazione si imponeva un fermo intervento nei confronti della società affinché “entro brevissimo tempo” colmasse ogni lacuna progettuale “ed in pari tempo dia mano alla esecuzione dei lavori coll’impiego dei molti operai; che abbondano nell’Umbria e che ànno urgente bisogno di lavoro; la mancanza del quale potrebbe nella imminente stagione esser causa di malcontento”66. Nonostante che con una convenzione del 3 ottobre 1860 ne avesse riconosciuto il ruolo, il governo piemontese continuava ad essere estremamente diffidente nei confronti della Società Generale delle Strade Ferrate Romane. Soprattutto si preoccupava di non apparire in alcun modo accondiscendente, raccomandando a Pepoli di non “incorrere in alcun atto che po[ssa] far solo supporre che [si] accetti assolutamente e senza riserva alcuna, le condizioni alle quali fu convenuto dal governo pontificio la concessione della ferrovia da Roma ad Ancona”67. Le premure del nuovo Stato erano, però, destinate a risultare vane, dal momento che il primo tronco ad essere completato e aperto all’esercizio, l’1 aprile 1865, fu proprio quello da Roma a Passo Corese, l’unico rimasto in territorio pontificio68. Nel corso di questi cinque anni, in Umbria, i lavori avevano continuato a procedere a un ritmo molto lento e con frequenti interruzioni. La percezione dei benefici futuri che la ferrovia avrebbe apportato non era affatto universalmente condivisa e se non mancavano i Municipi che si adoperavano, in tutti i modi, per assicurarsi la vicinanza dei binari al centro abitato o che, associandosi, avanzavano un ultimo, inutile, tentativo per ottenere delle variazioni al tracciato, per converso non meno numerosi erano gli episodi di resistenza, non solo collegati alla pratica dell’esproprio69.
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Ibidem. Ibidem. Ivi, nota del ministro dei Lavori Pubblici Stefano Jacini a Gioacchino Napoleone Pepoli del 17 novembre 1860. Negri, Le ferrovie nello Stato Pontificio cit. (a nota 8), p. 35. Si vedano, in proposito, le istanze di segno opposto conservate in ASP, PPA 1860-70, b. 20, fasc. 10; b. 25, fasc. 3; b. 48.
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unita in società coll’appaltatore generale dei lavori di tale strada, con quella immoralità che à qualificato quasi sempre tutti gli appaltatori dei grandi lavori nel cessato pontificio governo eseguiti, anteponendo alla onestà necessaria in chi costruisce tali opere, ed alla pubblica sicurezza uno smodato amore di lucro eccessivo, non si dà alcun carico perché le opere murarie del tunnel ai Balduini riescano eseguite a norma delle prescrizioni ed a seconda delle buone regole d’arte, non solo per ciò che si riferisce alla apparenza esterna delle medesima, quanto alla loro durevolezza, che più di tutto interessa a prevenire qualunque sinistro incidente a danno di chi con ogni fiducia di sicurezza vi dovrà transitare65.
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Accanto a questi elementi di natura esterna vi era poi il manifestarsi di ostacoli che sorgevano nel seno stesso dell’impresa. Si pensi agli incidenti sul lavoro, più o meno gravi, tra i quali non si può non segnalare il crollo di “un pezzo di volta di circa sei metri” nella galleria dei Balduini, il 25 gennaio 1862, che provocò la morte di due operai e obbligò il ministro dei Lavori Pubblici ad aprire un’inchiesta70. Si pensi soprattutto alla, mai troppo ricordata, cronica debolezza finanziaria della società concessionaria e degli appaltatori. Da questo punto di vista il 1864 fu un anno assai difficile. Alla fine di gennaio, nel circondario di Terni, l’impresa esecutrice York licenziò “inaspettatamente [...] la massima parte dei propri impiegati, e [...] sospese i lavori su tutta la linea”71. Nei giorni immediatamente seguenti, inoltre, fonti governative annunciarono che la società avrebbe manifestato l’intenzione di rallentare i lavori, a partire dal 10 di febbraio, al fine di contenere le spese72. Per fortuna la preoccupazione svanì in breve tempo e il 7 febbraio giunse da Terni l’attesa notizia che le “società Salamanca e York [avevano] ieri richiamato in servizio impiegati già licenziati e dato ordine per la ripresa dei lavori delle ferrovie su tutta la linea”73. Ad ogni modo, la stessa neo Società delle Strade Ferrate Romane si vide costretta a confermare, alla metà del 1865, “il rallentamento naturale dei lavori” verificatosi, nel tratto Orte-Ancona, a partire dal giugno del 1864, “[i]n primo luogo [per una] sospensione, seguita più tardi dal fallimento del sottoimprenditore che era incaricato della sezione più importante; [i]n secondo luogo [per] il cattivo tempo”74. La speranza di portare a compimento l’intera opera entro la fine dell’anno venne delusa. Soltanto nel corso del 1866, e comunque, nonostante tutto, entro l’originario termine di dieci anni, l’Ancona-Roma fu ultimata: il 4 gennaio venne aperto al traffico il tronco Corese-Foligno e il 29 aprile, finalmente, quello da Foligno ad Ancona75. Così, dopo più di venti lunghi anni, il disegno, delineato per primi da Sanfermo e Petitti, di un collegamento tra Firenze, Ancona e Roma con il suo punto di snodo nel cuore della valle Umbra divenne una realtà. Guardando ai centri urbani dell’Umbria, ciò si traduceva in una posizione di assoluto vantaggio per Foligno che riacquistava, a pieno titolo, quella centralità che le era appartenuta in modo evidente nei secoli XI-XV, ma della quale si trovano tracce anche per l’età feudale76; lo stesso dicasi per Perugia, nonostante fosse toccata da una soltanto delle 70
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Ivi, b. 20, fasc. 10, telegramma del sottoprefetto di Spoleto al prefetto del 26 gennaio 1862 e nota del commissario tecnico governativo per la ferrovia Roma-Ancona al prefetto del 30 gennaio 1862. Ivi, b. 78, nota del sottoprefetto di Terni al prefetto del 31 gennaio 1864. Ivi, b. 69, nota del commissario tecnico governativo per la ferrovia Roma-Ancona al prefetto del 3 febbraio 1864. Ivi, telegramma del sottoprefetto di Terni al prefetto del 7 febbraio 1864. Strade Ferrate Romane, Processi verbali della prima adunanza cit. (a nota 45), p. 34 A. Melelli, La ferrovia Ancona-Roma, Calderini, Bologna 1973, p. 14. In A. Grohmann, Caratteri ed equilibri tra centralità e marginalità, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria, Einaudi, Torino 1989, pp. 30-34.
Capitolo 2
La bretella Terontola-Chiusi L’idea di allacciare le ferrovie Aretina e Senese risale, addirittura, a Leopoldo II, il quale, con molta probabilità, aveva pensato, in questo modo, di rendere meno conflittuale il rapporto tra la Società della Centrale Toscana e la municipalità aretina79. Nella precipitazione del processo unitario, tuttavia, il progetto aveva finito per essere accantonato, mentre entrambe le linee, seppure con tempi e modi diversi, avanzavano con successo verso Roma. Con la proclamazione del nuovo Regno, il tema era destinato a ritornare in auge; in particolare in Umbria, segnando in modo incancellabile le sorti ferroviarie della regione. Intorno ad esso, buona parte dei territori umbri fu costretta a misurarsi in una dimensione che, per la prima volta, trascendeva, pur senza riuscire ad abbandonarlo, l’angusto limite municipale. Il tema del collegamento tra le due ferrovie entrò così a pieno titolo nell’agenda dei lavori della nuova Amministrazione Provinciale, dando inizio ad una faticosa opera di mediazione degli interessi locali e favorendo il delinearsi dei contorni di una questione ferroviaria umbra. Analogamente a quanto si era già verificato in
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G. Fritz, Le strade dello Stato Pontificio nel XIX secolo, in “Archivio economico dell’unificazione italiana”, serie I, vol. XVI, fasc. I, ILTE, Torino 1967, p. 92. F. Ogliari e F. Sapi, Storia dei trasporti italiani, vol. XI, Toscana-Marche-Umbria, I, Archetipografia, Milano 1971, p. 113. Giuntini, Leopoldo e il treno cit. (a nota 9), p. 258.
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due linee, che in più rafforzava il suo ruolo di capoluogo provinciale collegandosi con tre, su cinque, capoluoghi di circondario; tanto Spoleto, quanto Terni, infine, confermavano la posizione che avevano avuto negli itinerari principali del periodo tardopontificio77. Restavano, tuttavia, esclusi da questo minisistema centri di assoluta rilevanza come Orvieto e Rieti; ma se il primo era stato già raggiunto dai binari provenienti dalla Toscana il 27 dicembre 186578 e poteva guardare con sufficiente fiducia in direzione di Roma, il secondo, e con esso l’intera Sabina, scontava un notevolissimo ritardo. Inoltre, nonostante gli sforzi prodotti negli anni trascorsi, rimanevano prive di strade ferrate intere zone come l’alta e la media valle del Tevere: con l’eccezione dell’attraversamento di Ponte San Giovanni, nelle vicinanze di Perugia, lungo il corso del principale fiume dell’Italia centrale non c’era traccia di binario da Città di Castello a Todi. Si trattava, però, di un assetto destinato a mutare ben presto, a seguito dell’apertura al traffico della bretella Terontola-Chiusi. Con essa, fatta eccezione per i benefici che ricadranno sul Pievese-Orvietano, si assisterà alla definitiva marginalizzazione ferroviaria dell’Umbria, perlomeno del suo corpo centrale, esemplificata dal declassamento, pur se in diversa misura, di Perugia e Foligno.
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merito al prolungamento della ferrovia Aretina, motivi di ordine politico-amministrativo si intrecciarono con quelli economici, la ricerca di direttrici commerciali si intersecò con la necessità di tenuta dell’assetto territoriale provinciale. Nello specifico, la vicenda si legò da un lato all’apertura dei mercati delle Chiane, dall’altro ai reiterati tentativi del circondario di Orvieto di scindere il legame con il capoluogo per aggregarsi alla provincia di Siena80. La prima presa di posizione, unanime, del Consiglio Provinciale dell’Umbria risale alla fine di settembre del 1863 e venne suggerita da una mozione presentata da un gruppo di consiglieri eletti in diversi mandamenti (Perugia, Spoleto, Orvieto, Città della Pieve), nella quale si sottolineavano i vantaggi economici, oltre che politico-amministrativi, che sarebbero derivati alla provincia da un tronco ferroviario “che movendo da Chiusi si congiung[esse] coll’Aretina alla Magione, e che ven[isse] apert[o] insieme a quella ultima stazione”81. Si tentava, insomma, di sfruttare la circostanza favorevole dei cantieri ancora aperti o, addirittura, da aprire: come è noto la Centrale Toscana aveva toccato Chiusi il 24 luglio 1862, avendo la società ottenuto, già da un anno, l’autorizzazione a proseguire sino ad Orte, mentre i lavori sul tratto umbro dell’Aretina non erano neppure iniziati. Ad un anno di distanza, con l’atto definitivo di fusione delle società toscane e romane già siglato, ferme restando le motivazioni, le intenzioni dell’Amministrazione Provinciale si fecero più decise. Su proposta di Francesco Francesconi, consigliere del Mandamento di Perugia, nonostante il manifestarsi di una minoranza contraria, l’Amministrazione Provinciale si risolse a chiedere direttamente al governo la concessione della Chiusi-Magione, con l’intenzione di realizzarla in proprio. Spingeva in questa direzione il timore che la neonata Società delle Strade Ferrate Romane, gestrice di entrambe le linee Aretina e Senese, potesse non essere interessata alla costruzione della bretella, giudicandola poco redditizia. Dal canto loro, gli oppositori sostenevano – e il tempo darà loro ragione – che un’operazione del genere sarebbe stata tutta in perdita82. Questo primo segmento della vicenda si chiuse con un nulla di fatto nel 1865, nonostante che lo studio del tracciato, senza attendere alcuna concessione governativa, fosse stato condotto a termine dagli ingegneri provinciali Filippo e Guglielmo Bandini e inviato tanto al Ministero dei Lavori Pubblici quanto alla Società delle Strade Ferrate Romane83 (per questo come per i progetti successivi cfr. tav. 11). Nel 1866, in risposta alla città di Cortona, alla quale era stato concesso di verificare la fattibilità di un tronco da Camucia a Sinalunga, ritenuto estremamente dannoso per l’Umbria, la Deputazione Provinciale chiese a sua volta, ottenendolo,
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Sul desiderio orvietano di aggregarsi a Siena si veda Furiozzi, La Provincia dell’Umbria dal 1861 cit. (a nota 1), pp. 43-45. ACPU, 1863, SO, seduta del 23 settembre, p. 194. Ivi, 1864, SO, seduta del 24 settembre, p. 188. Ivi, 1865, SO, seduta del 28 settembre e allegato n. 26, pp. 89 e 213-215.
Capitolo 2
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Tav. 11 – Tronco di congiunzione tra la ferrovia Aretina e la Centrale Toscana: progetti alternativi
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il permesso ministeriale per studiare una bretella da Tuoro a Salcheto. Gli studi vennero commessi all’ingegnere Cesare Cesari, già direttore della sezione di Perugia della Società delle Strade Ferrate Livornesi, ma il progetto che ne scaturì prevedeva un costo troppo oneroso per le sole finanze provinciali84. Con il passare del tempo la situazione si fece più ingarbugliata, anche perché in Toscana andavano prendendo corpo diverse ipotesi, tra le quali quella promossa dalla Provincia di Arezzo e dal Comune di Cortona di un tronco Cortona-FoianoSalarco. Una linea che raccoglieva il consenso di parte degli amministratori umbri, in considerazione del fatto che sarebbe servita sia ad accedere a Foiano, “il mercato principale della Valdichiana”85, che a congiungere Perugia ed Orvieto. Ma, in realtà, era evidente quanto la posizione degli umbri fosse subordinata alle proposte toscane e quanto le loro scelte dipendessero, piuttosto, dalla necessità di limitare i danni. È, quest’ultima, una filosofia che avrebbe caratterizzato il ruolo dell’amministrazione provinciale umbra per tutto il prosieguo della vicenda, sino ad un esito, per certi versi, paradossale. La ricerca, pertanto obbligata, di un accordo con la confinante Provincia aretina determinò che, tra la fine del 1868 e l’inizio del 1869, ci si indirizzasse verso la progettazione di una linea Camucia-Foiano-Torrita di Siena, punto addirittura più a nord di Salarco, il cui studio, forse per indorare la pillola agli umbri, venne affidato a Coriolano Monti86. A partire dalla presentazione del progetto Monti87, che risale al novembre del 1869, nulla di veramente significativo si verificò sino a quando l’annessione di Roma non trasformò la costruzione del tronco di congiunzione tra le due ferrovie in un problema di rilevanza nazionale. Il mutamento di prospettiva è chiaramente rappresentato dall’ingresso nella vicenda della città di Firenze, preoccupata per la costruzione, prospettata dal governo, di un tronco da Pistoia ad Empoli che, sfruttando la ferrovia senese, una volta completato anche il tratto da Orvieto a Orte, avrebbe consentito il collegamento tra la nuova capitale e il nord Italia, tagliandola fuori88. Naturalmente, tutto ciò costrinse le Province aretina ed umbra ad accantonare temporaneamente ogni iniziativa relativa alla Camucia-Torrita e a cercare di stabi-
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Ivi, 1866, SO, relazione della Deputazione sulla gestione 1865, pp. XXXII-XXXIII. Si veda inoltre ASP, PPA 1860-70, b. 69, note della Deputazione Provinciale dell’1 e 25 maggio 1866. ACPU, 1868, SO, seduta dell’8 settembre, pp. 48-49. In pratica i consiglieri si divisero tra i sostenitori della Cortona-Salarco e quelli che riproponevano la Magione-Chiusi; tra questi ultimi, Nicola Danzetta, già sindaco di Perugia e deputato al Parlamento, le cui proprietà, guarda caso, si estendevano proprio nell’area dove il tronco avrebbe dovuto essere costruito Ivi, 1869, SO, relazione della Deputazione sulla gestione 1868, pp. 173-176. Difronte al Consiglio Provinciale umbro l’ingegnere perugino dichiarò che, avendo esaminato l’andamento di tutte le varianti proposte, la Camucia-Foiano-Torrita era risultata “la più breve per congiunzione; la più diretta e regolare; la più solida per consistenza e qualità del suolo battuto; la più facile, od a meglio dire la meno affetta di difficoltà, ossia di lavori di qualche rilievo; la meno dispendiosa, anche a riguardo dei terreni che attraversa e del costo delle espropriazioni”. In Ivi, 1869, SO, seduta del 22 novembre, p. 375. Ivi, 1871, SS, seduta del 4 luglio, p. 97.
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Ivi, pp. 95-96. Ivi, p. 92. Gli altri undici progetti sul tavolo erano i seguenti: Cortona-Torrita, Cortona-Acquaviva, Bucine-Rapolano, Bucine-Sinalunga, Bucine-Salarco, Ponticino-Salarco, Bastardo-Salarco, Olmo-Salarco, Frassineto-Salarco, Castiglion Fiorentino-Salarco, Castiglion Fiorentino-Torrita. Di queste linee, oltre naturalmente la TuoroChiusi, soltanto le prime due venivano giudicate non completamente lesive degli interessi della provincia umbra ma con essi “conciliabili”. In ivi, p. 93. ACPU, 1871, SO, seduta del 6 dicembre, pp. 421-433. Il progetto per il tronco Tuoro-Chiusi, detto anche linea Castiglionese, era stato presentato al Consiglio Provinciale in occasione della seduta del 14 settembre. Cfr. Sulla congiunzione delle ferrovie Umbro-Aretina e Centrale Toscana e sulla relazione del comm. Bella. Osservazioni della Commissione Municipale di Cortona, Tipografia della Gazzetta d’Italia, Firenze 1872.
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lire un’intesa con il Comune fiorentino, anche se le tensioni territoriali interne rendevano il compito quanto mai arduo. In provincia di Arezzo, ad esempio, gli abitanti del Valdarno preferivano una bretella che si staccasse dalla ferrovia Aretina all’altezza di Bucine; gli aretini, invece, prediligevano la Olmo-Salarco, che avrebbe valorizzato al massimo il loro scalo; infine, i cortonesi, ovviamente, puntavano su una variante che muovesse proprio dalla loro stazione89. In Umbria, d’altro canto, la spinta secessionista dell’Orvietano non si era affatto esaurita, traendo nuova linfa proprio dalle difficoltà in cui si trovava l’Amministrazione Provinciale riguardo al tema ferroviario90. È alquanto comprensibile, pertanto, che il Consiglio Provinciale dell’Umbria si riunisse in sessione straordinaria, il 4 luglio 1871, approvando, all’unanimità, un ordine del giorno che stabiliva che la ricerca di un’intesa con le altre Amministrazioni andasse subordinata alla condizione che la linea “non si dipart[isse] al di là di Cortona”. Si tenga presente che, nel frattempo, il numero dei tracciati alternativi era cresciuto a dismisura; se ne contavano almeno dodici91, tra i quali una nuova proposta di Coriolono Monti che aveva suggerito il tratto da Tuoro a Chiusi, al punto che il governo aveva incaricato Giuseppe Bella, ispettore del Genio Civile, di vagliarli tutti al fine di sceglierne uno. La cautela che spinse gli amministratori umbri a non optare, immediatamente ed esclusivamente, per la Tuoro-Chiusi perse, progressivamente, ragione di manifestarsi nel corso dei mesi successivi, allorché sembrarono esaurirsi le possibilità di giungere ad un accordo con gli altri enti coinvolti. Il 6 dicembre il Consiglio Provinciale non si limitò ad adottare il progetto nato da un’idea di Monti e steso da Guglielmo Bandini che presentava una lunghezza di 26 chilometri, un costo di due milioni di lire ed un tempo di realizzazione pari a sei mesi, ma avviò, contemporaneamente, le pratiche per il rilascio della concessione governativa92. Nonostante questo debba essere considerato un passaggio decisivo, poiché se si eccettua la variazione del punto di partenza – Terontola, anziché Tuoro – si trattava proprio del tracciato che nel giro di qualche anno sarebbe stato realizzato, la risoluzione della vicenda era ancora lontana. Nuovi elementi giunsero, infatti, dal fronte toscano, dove la scelta di Bella in favore della Bastardo-Salarco, ispirata a criteri di ordine esclusivamente tecnico93,
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non solo lasciò insoddisfatti gli interessi di Arezzo e Cortona, ma non convinse neppure Ubaldino Peruzzi, sindaco di Firenze, il quale, nonostante l’ostracismo della propria Amministrazione Provinciale intenta ad ottenere che la bretella muovesse da Bucine, rilanciò l’idea di un tronco dipartentesi da Cortona, proponendo la costituzione di un consorzio umbro-toscano94. Parallelamente a questo movimento, nel primo semestre del 1872, ve ne fu un altro che si delineò, a livello di sole Amministrazioni municipali, intorno all’ipotesi di un tracciato da Camucia a Chiusi. Tra i promotori del consorzio, al quale in un secondo tempo avrebbero aderito anche Orvieto e Perugia, i Comuni di Fabro, Paciano, Panicale, Città della Pieve, Sarteano, Castiglione del Lago, San Casciano, Cetona, Monteleone d’Orvieto e Chiusi95. Per sostenere la domanda di concessione, inoltrata entro la fine di maggio, venne scelto Coriolano Monti96. Il moltiplicarsi dei diversi interessi territoriali, rispetto ad un collegamento che pure avrebbe dovuto assolvere, primariamente, una funzione nazionale, creava non poche difficoltà al governo che, accantonata l’idea della Pistoia-Empoli, il 10 giugno 1872, presentò alla Camera dei deputati un progetto di legge (DevincenziSella) con cui chiedeva, senza tuttavia specificare nulla in merito al tracciato, l’autorizzazione a concedere la linea per decreto. Nella breve relazione che lo accompagnava si sottolineava che lo Stato non avrebbe concorso in alcun modo alle spese di costruzione e che irrilevante sarebbe stato l’aggravio finanziario indiretto dovuto all’obbligo di garantire un determinato profitto alla Società delle Strade Ferrate Romane97, poiché la perdita nei prodotti dell’esercizio che la società esercente le linee Aretina e Senese, inevitabilmente, avrebbe registrato in conseguenza della diminuzione chilometrica della percorrenza di merci e viaggiatori sarebbe stata compensata da un quasi certo aumento del volume del traffico98. 94
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ACPU, 1872, SO, seduta del 13 settembre, pp. 153-162. Si veda, inoltre, ASP, ASCPG, Amministrativo 18711953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1878, estratto “dal Giornale d’Italia” del 18 marzo 1872 in cui si fa riferimento al consorzio per la linea da Bucine a Rapolano (o in alternativa Montepulciano) costituito dalle Province di Firenze, Grosseto e Siena. È bene ricordare che il governo, in base all’articolo 25 della legge n. 5858 del 28 agosto 1870, era autorizzato, per un triennio, a concedere per decreto linee ferroviarie “a favore dell’industria privata e di quelle Provincie e Comuni che [avessero provveduto] alle spese occorrenti senza aggravio del pubblico Tesoro”. In “Raccolta ufficiale delle leggi” cit. (a nota 60), vol. XXVIII, Stamperia Reale, Firenze 1870, p. 2189. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1878, nota del sindaco di Chiusi al sindaco di Perugia del 5 marzo 1872. Ivi, nota del sindaco di Chiusi al sindaco di Perugia del 28 marzo 1878 in cui si faceva un bilancio dell’esperienza del consorzio. La questione del sussidio era regolata dall’art. 21 della convenzione tra lo Stato e la società ferroviaria che, in ogni caso, non contemplava la possibilità che ad una diminuzione del prodotto lordo di esercizio potesse far seguito un innalzamento del tetto massimo di sovvenzione annua fissato a 13.200 lire al chilometro. Si veda, Convenzione per la fusione della Società delle Strade Ferrate Romane con quella delle Ferrovie Toscane, allegato alla legge n. 2279 del 14 maggio 1865, in “Raccolta ufficiale delle leggi” cit. (a nota 60), vol. XI cit. (a nota 60), p. 698. Progetto di legge presentato dal ministro dei Lavori Pubblici (Devincenzi) di concerto col ministro delle finanze (Sella) nella tornata del 10 giugno 1872, Facoltà al governo di fare concessione di una ferrovia di congiungimento della ferrovia Aretina colla Centrale Toscana, in “Atti della Camera dei deputati”, Legislatura XI, sessione II (1871-72).
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Relazione della Commissione Generale del Bilancio, presentata nella tornata del 15 giugno 1872, sul progetto di legge del ministro dei Lavori Pubblici di concerto col ministro delle Finanze, per facoltà al governo di fare concessione di una ferrovia di congiungimento della ferrovia Aretina colla Centrale Toscana, in “Atti della Camera dei deputati”, Legislatura XI, sessione II (1871-72). ACPU, 1872, SO, seduta del 13 settembre, pp. 153-62. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1873, deliberazione del Consiglio Comunale di Perugia del 28 febbraio 1873. L’istanza venne, poi, inviata il 28 marzo.
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L’elemento di maggiore debolezza del progetto di legge era, ad ogni modo, l’indeterminatezza del tracciato, come dimostrò, a pochi giorni di distanza, la Commissione Generale del Bilancio che, in conseguenza della riconosciuta importanza dell’argomento, suggerì alla Camera di rinviare la discussione “per attendere il momento nel quale il Ministero [avrebbe] present[ato] una proposizione concreta tendente a risolvere in modo completo la questione del tracciato e contenente la convenzione relativa alla concessione della linea”99. Una conclusione a cui la Commissione era giunta nonostante il manifestarsi al suo interno di una consistente minoranza che, preoccupata per lo slittamento della questione alla ripresa autunnale dei lavori parlamentari, aveva premuto per l’approvazione del progetto di legge, a patto, però, che il governo si fosse impegnato a scegliere, pur tenendo conto degli interessi locali, un tracciato il più possibile rispondente alla necessità primaria e si fosse riservato il diritto di riscatto della linea, in qualsiasi momento e al solo rimborso del capitale impiegato dal concessionario per costruire, armare e dotare la linea del materiale rotabile. Si tratta di indicazioni importanti, destinate a condizionare le tappe successive del percorso legislativo. Il 26 giugno, dopo che l’ingegnere Siben, al quale il consorzio promosso da Peruzzi si era rivolto, ebbe concluso il confronto tra la Camucia-Acquaviva e la CamuciaChiusi, sottolineando la brevità della prima e l’economicità della seconda, i soci tornarono a riunirsi in un clima tutt’altro che concorde. Tanto la Provincia di Arezzo, quanto il Municipio di Cortona non manifestarono alcuna intenzione di appoggiare lo sbocco a Chiusi e così, per evitare che tutto si sfasciasse a vantaggio dell’ipotesi del Bucine, la delegazione umbra fu costretta, ancora una volta, a fare buon viso a cattivo gioco, dichiarandosi disposta ad accettare il punto di confluenza in località Acquaviva. Tale posizione fu poi fatta propria dal Consiglio Provinciale100, ma nel febbraio del 1873 il Comune di Perugia contribuì a cambiare, nuovamente, le carte in tavola, schierandosi senza indugi per la Tuoro-Chiusi e incaricando la propria giunta di presentare relativa istanza al Ministero dei Lavori Pubblici101. L’entrata in scena dell’Amministrazione perugina, che sino a quel momento si era limitata ad aderire, in seconda battuta e senza alcuna pretesa egemonica, al consorzio promosso da Chiusi, induce a verificare quale sia stata, in quegli anni, la posizione dell’altro centro urbano, Orvieto, il cui nome affiorava costantemente nelle discussioni del Consiglio Provinciale per il suo desiderio di aggregarsi alla provincia di Siena.
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Fermo restando che l’attenzione degli orvietani era, naturalmente, rivolta al completamento della Centrale Toscana sino a Orte e che tale aspettativa crebbe con l’annessione di Roma al Regno d’Italia102, già nel 1869, nel pieno della trattativa tra il Municipio di Cortona e le Province di Perugia e Arezzo che avrebbe condotto all’accordo sul tronco Camucia-Foiano-Torrita, il Comune di Orvieto, sollecitato103, aveva espresso la propria preferenza per un tronco da Rapolano a Montevarchi, dicendosi, comunque, disposto ad accettare di buon grado qualsiasi altra soluzione104. Ed era ovvio, poiché ognuno dei tracciati in discussione avrebbe, in ogni caso, garantito un aumento del traffico di passeggeri e merci transitante per Orvieto. Né gli orvietani sembravano attratti dalla prospettiva di poter migliorare il collegamento con un capoluogo dal quale si volevano affrancare anche amministrativamente. Non si trattava, perciò, come potrebbe apparire in superficie, di equidistanza dal problema, ma di difesa dei propri interessi. Lo confermano gli ulteriori sviluppi della vicenda. Nel luglio 1871, quando ormai il tema della congiunzione tra le ferrovie Senese e Aretina aveva assunto una dimensione nazionale, l’Amministrazione orvietana aveva manifestato la propria preoccupazione per il rallentamento dei lavori sul tratto Orvieto-Orte105, ricevendo dalla direzione generale della Società delle Strade Ferrate Romane la rassicurante risposta che i lavori sarebbero stati ultimati entro l’anno successivo, grazie ad un’operazione finanziaria con il Municipio di Firenze106. Ed in effetti il Comune fiorentino, sin dall’ottobre 1870, si era impegnato a concedere un prestito di due milioni di lire per accelerare il completamento dei lavori, consapevole che la sua futura centralità nel collegamento ferroviario tra Roma e il settentrione sarebbe dipesa, in uguale misura, tanto dalla scelta della congiunzione, quanto dall’ultimazione della Centrale Toscana107. Guarda caso, a partire da tali fatti, il Municipio di Orvieto si era affrettato a dichiararsi alleato dei fiorentini. Ad ogni modo, la diversità degli interessi orvietani rispetto a quelli più generali della provincia era emersa chiaramente nel corso dei primi mesi del 1872. Di fronte alla richiesta dell’Amministrazione Provinciale di sostenere con un voto favorevole l’impegno per la Tuoro-Chiusi, il Consiglio Comunale, pur nella varietà delle posizioni espresse al suo interno, aveva ribadito che l’obiettivo principale da raggiungere attraverso la congiunzione delle due linee doveva essere quello del “pas-
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ASO, ASCO, Protocollo 1862-1900, b. 48, fasc. 148, deliberazione del Consiglio Comunale di Orvieto del 29 novembre 1870. Ivi, b. 41, fasc. 68, nota circolare del sindaco di Cortona del 4 aprile 1869. Ivi, deliberazione del Consiglio Comunale di Orvieto del 25 maggio 1869. Ivi, b. 50, fasc. 10, note del sindaco di Orvieto al Ministero dei Lavori Pubblici del 10 luglio 1871 e alla direzione generale delle Strade Ferrate Romane dell’11 luglio 1871. Ivi, nota della direzione generale delle Strade Ferrate Romane al sindaco di Orvieto del 19 luglio 1871. ACPU, 1972, SO, seduta del 13 settembre, p. 154.
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ASO, ASCO, Protocollo 1862-1900, b. 55, fasc. 2, deliberazione del Consiglio Comunale di Orvieto del 3 gennaio 1872. Ivi, deliberazione del Consiglio Comunale di Orvieto del 22 marzo 1872. Progetto di legge presentato dal ministro dei Lavori Pubblici (Devincenzi) di concerto col ministro delle Finanze (Sella) nella tornata del 28 marzo 1873, Facoltà al governo di fare concessione di una ferrovia di congiungimento della ferrovia Aretina colla Centrale Toscana, in “Atti della Camera dei Deputati”, Legislatura XI, sessione II (1871-72). Ibidem.
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saggio dei treni internazionali”108; solo in seconda battuta ci si sarebbe dovuti occupare del collegamento con il capoluogo. Con identico distacco, ma soprattutto senza alcun impegno di tipo finanziario, il Municipio di Orvieto, nel marzo dello stesso anno, aveva aderito al consorzio promosso dal Comune di Chiusi in favore del tracciato Camucia-Chiusi109. La decisa presa di posizione dei perugini a sostegno della Tuoro-Chiusi, che risale al febbraio 1873, anticipò di un mese esatto la scelta definitiva del governo: un nuovo progetto di legge – ancora a firma di Devincenzi e Sella – fu infatti presentato in aula il 28 marzo. Ad indicare come preferibile il tronco Tuoro-Chiusi si era giunti dopo pareri contrastanti. Se, infatti, una commissione tecnica del Genio Civile, incaricata di esaminare tutti i progetti, gli studi e le memorie presentate, dopo avere ristretto il campo a sole cinque varianti (Bucine-Buoninsegna, Bastardo-Salarco, Olmo-Salarco, Cortona-Acquaviva, Tuoro-Chiusi), aveva finito per suggerire un ulteriore tracciato Bastardo-Olmo-Salarco, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici aveva, invece, optato per la soluzione Bucine-Buoninsegna, la cui concessione era stata richiesta dalla Provincia di Firenze, adducendo, tra l’altro, la motivazione che “la costruzione di questa linea non [avrebbe fatto] ostacolo alla concessione di un altro tronco di congiunzione presso il Trasimeno nell’interesse speciale delle provincie di Arezzo e di Perugia”110. Dal canto suo, il Ministero della Guerra, fra le linee di congiunzione proposte, aveva dichiarato preferibili sotto il profilo strategico “quelle più verso sud, [senza] però [...] attribui[re] a questa preferenza una importanza tale da doverle sacrificare gli interessi economici e commerciali del paese”111. La non facile scelta governativa venne giustificata in base a diversi elementi, primi su tutti il minore costo di costruzione e il minore tempo di realizzazione; ma anche rispetto ad altri due fattori come i tempi di percorrenza e la riduzione del percorso sulle due linee da congiungere – per le quali il governo era impegnato a garantire alla società esercente un profitto minimo – il tronco Tuoro-Chiusi poteva risultare, nel complesso, preferibile. Infatti, nel primo caso, esso avrebbe consentito un risparmio di tempo nel viaggio da Firenze a Roma calcolabile in 176 minuti, inferiore di nove unità al solo Bastardo-Olmo-Salarco, ma superiore a tutti gli altri; mentre, nel secondo, avrebbe determinato una perdita di percorrenza di 83,5 chilometri, superiore solo a quella determinata dal tronco Cortona-Acquaviva, di appena 75 chilometri. Il tracciato Tuoro-Chiusi, inoltre, essendo il più meridio-
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nale tra quelli proposti, avrebbe soddisfatto meglio di ogni altro l’aspetto strategico. A queste motivazioni, che rispondevano all’interesse generale, si aggiungevano quelle di taglio locale ovvero la necessità di non tradire le aspettative di Arezzo e della provincia di Perugia. Il cammino che condusse all’approvazione delle legge, tuttavia, registrò ancora un paio di tappe. In sede di commissione parlamentare, infatti, il progetto venne profondamente modificato sino al punto di arrivare all’anomala proposta di concedere tanto la Tuoro-Chiusi quanto la Bucine-Buoninsegna. Una simile conclusione era il frutto, da un lato, del riconoscimento degli elementi di positività che avrebbero caratterizzato entrambe le linee tanto nell’interesse generale quanto in quelli locali, dall’altro, della natura della concessione che il governo era chiamato a fare, la quale non avrebbe comportato alcun impegno finanziario, se non, come già visto112, un aumento indiretto del sussidio chilometrico necessario a garantire i profitti della Società delle Strade Ferrate Romane, in proporzione alla perdita economica che essa era destinata a subire in seguito all’apertura al traffico della bretella. Tuttavia, c’è un altro aspetto, non trascurabile, che differenziava il progetto di legge governativo da quello parlamentare: riprendendo un tema già sollevato in sede di Commissione Generale del Bilancio, il secondo conteneva un articolo che prevedeva espressamente la facoltà del governo di riscattare le linee concesse in qualsiasi momento e al solo prezzo di costo fissato preventivamente. Una clausola che, si sosteneva, “metterà alla prova il convincimento dei richiedenti”, dissuadendoli dall’intraprendere un’iniziativa non realmente utile all’interesse generale e locale e, in conseguenza, poco profittevole113. Con queste due differenti valutazioni, l’11 giugno, si aprì il dibattito in aula. Fu una discussione aspra, che impegnò, quasi per intero, anche le sedute dei tre giorni successivi. Accesi furono gli interventi dei deputati che rispondevano ad una logica tutta territoriale114. Nella tornata del 12 intervenne Coriolano Monti, con un discorso, naturalmente in favore della Tuoro-Chiusi, in cui, giusta o sbagliata che fosse, tornava ad emergere con chiarezza la sua idea di un sistema ferroviario dell’Italia centrale che, come è noto, poneva nelle vicinanze di Perugia (Torgiano o Ponte San Giovanni) il punto d’incrocio delle due, uniche, linee destinate ad unire Roma, Ancona e Firenze (Livorno). La necessità, ormai improcrasti-
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Cfr. nota 97. Relazione della commissione composta dai deputati Depretis, presidente..., sul progetto di legge... Facoltà al governo di fare concessione di una ferrovia di congiungimento della ferrovia Aretina colla Centrale Toscana, Tornata del 29 maggio 1873 in “Atti della Camera dei Deputati”, Legislatura XI, sessione II (1871-72). Tra i diversi interventi vale la pena di segnalare quello dell’onorevole Fossombroni, già presidente della commissione mista umbro-aretina, il quale, nell’impossibilità di deliberare un’ulteriore sospensiva che servisse da stimolo alla ricerca di un punto di mediazione tra le Amministrazioni locali coinvolte, dichiarò la propria preferenza per il tronco Olmo-Salarco. Ma anche il duro scontro che contrappose l’onorevole Busacca al ministro dei Lavori Pubblici Devincenzi, accusato dal primo di essere ricorso a dati errati pur di rigettare le conclusioni del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici favorevoli alla Bucine-Buoninsegna. In “Atti della Camera dei Deputati”, Legislatura XI, sessione II (1871-72), tornate dell’11 e 12 giugno 1873.
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C. Monti, Sul progetto di legge per la congiunzione delle strade ferrate Aretina e Senese, in Id., In materia di strade ferrate. Tre discorsi pronunciati alla Camera dei Deputati nel giugno 1873, Eredi Botta, Roma 1873. “Atti della Camera dei deputati”, Legislatura XI, sessione II (1871-72), tornata del 14 giugno 1873. Successivamente l’approvazione del progetto di legge verrà sancita a scrutinio segreto nella tornata del 18 giugno a larga maggioranza (votanti 176; favorevoli 151; contrari 25). “Atti del Senato”, Legislatura XI, sessione II (1871-72), tornata del 25 giugno 1873. Le modifiche apportate dall’Ufficio Tecnico provinciale prevedevano la costruzione ex novo di tre stazioni; oltre a quella di Terontola, infatti, ne erano state individuate due lungo il percorso: una nei pressi di Castiglione del Lago e l’altra, più avanti, nel territorio di Panicale. In ACPU, 1873, SS, seduta del 9 agosto, p. 10. Si tratta dell’art. 4, in “Raccolta ufficiale delle leggi” cit. (a nota 60), vol. XXXIX, Stamperia Reale, Firenze 1873, p. 1422. In ACPU, 1873, SS, seduta del 9 agosto, p. 11.
Le direttrici fondamentali (1860-1875)
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nabile, di una congiunzione tra le due ferrovie che dalla Toscana muovevano a Roma era, a suo avviso, proprio una delle conseguenze della cecità, non tanto dei governi preunitari, dai quali non era stato possibile pretendere una visione concorde del problema, quanto di quello italiano incapace di invertire, quando ancora il ritardo dei lavori lo avrebbe permesso, la tendenza in atto di costruire linee per loro stessa natura concorrenziali115. Le ragioni addotte da Devincenzi, alla fine, convinsero i deputati che il 14 giugno approvarono, seppur emendato, il progetto di legge governativo; la modifica più significativa era rappresentata dall’inserimento della clausola relativa al riscatto in merito alla quale tanto si era insistito da più parti116. Il 25 dello stesso mese seguì l’approvazione del Senato117 e quattro giorni dopo venne finalmente promulgata la legge 1460 che autorizzava il governo a concedere alla Provincia dell’Umbria la costruzione e l’esercizio del tronco ferroviario Tuoro-Chiusi. Da quel momento in avanti l’Amministrazione Provinciale fu chiamata a svolgere un compito ben più gravoso di quello meramente rivendicativo. Compiuti gli studi tecnici definitivi che, spostando l’innesto sull’Aretina da Tuoro a Terontola, avevano fissato la lunghezza del tracciato in km 27,673 ed il costo complessivo, escluso il materiale rotabile, in 2.463.225 lire118, fu necessario avviare la discussione sul modo di utilizzare la concessione governativa. L’articolo della legge che regolava le modalità del riscatto, il cui diritto il governo avrebbe potuto esercitare “in ogni tempo e a suo beneplacito, rimborsandone ai concessionari la sola effettiva spesa di costo, da non però eccedere le lire 2.600.000”119, escludeva, di fatto, la soluzione preferibile in assoluto, ovvero quella di cedere ad altri la concessione. Rimaneva in piedi l’alternativa tra lo stipulare una convenzione con una società privata, che si assumesse tanto la costruzione quanto l’esercizio della linea, “mediante una garanzia chilometrica fissa e una cointeressenza della Provincia negli utili eventuali possibili”120 o realizzarla direttamente attraverso la contrazione di un debito. Il dibattito che ne seguì, nel corso della seduta straordinaria del 9 agosto, è estremamente interessante poiché, ferme restando alcune caratteristiche proprie della territorialità121, i consiglieri si divisero, piuttosto, tra “innovatori” e “conser-
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vatori”: da una parte coloro che sostenevano che la Provincia avesse tutte le possibilità per assumere direttamente l’impresa e godere appieno dei benefici futuri; dall’altra quelli che al timore di un fallimento aggiungevano la considerazione che una pubblica amministrazione non potesse comportarsi come una società privata alla ricerca del profitto. Non è un caso che i primi fossero guidati da Zeffirino Faina, il quale a partire da qualche anno aveva avviato con successo, in una piccola porzione collinare delle sue terre che si estendevano nei comuni di Marsciano, San Venanzo, Fratta Todina e Monte Castello di Vibio, un esperimento di coltura vinicola specializzata122. Facendosi forte della disponibilità dichiarata da Ubaldino Peruzzi, che avrebbe condotto ad un accordo tra Banca Toscana e Cassa di Risparmio di Perugia, egli sosteneva che l’Amministrazione Provinciale avrebbe potuto “contrarre un prestito a condizioni eque ed a breve scadenza” ad un tasso non superiore al 6%. Inoltre aggiungeva che, tenendo conto tanto del ribasso del prezzo di alcuni materiali rispetto ai costi già preventivati, quanto della fissazione al rialzo dell’intero preventivo a tutela di eventuali aumenti di spesa in fase di realizzazione e considerando che la linea “non potrà rendere meno di lire 16.000” al chilometro a fronte di una spesa di esercizio di 10.000 lire, essendo il costo della linea di lire 2.463.22[5] secondo la perizia, ed essendo essa della lunghezza di 27 chilometri circa, ne viene che pagati gli interessi in ragione di lire 5.400 circa al chilometro, resta un beneficio per la Provincia di lire 600. Che se il governo si varrà del suo diritto di riscatto, la Provincia salderà subito il suo debito, e sarà liberata dall’onere degli interessi123.
L’entusiasmo di Faina trovava un freno, soprattutto, in Giuseppe Danzetta il quale metteva insieme preoccupazioni finanziarie e considerazioni sui limiti del ruolo spettante ad una pubblica amministrazione. A suo parere la Provincia non poteva ricavare alcun utile da una simile impresa, perché se “fallisse, si subirebbe una grave perdita a danno dei contribuenti: se invece riuscisse, il governo si varrebbe del suo diritto di riscatto ed ogni profitto sparirebbe”124. Si trattava, evidentemente, di due visioni diametralmente opposte che rendevano arduo qualsiasi tentativo di mediazione e, così, il Consiglio approvò un ordine del giorno con cui demandava alla Deputazione la scelta tra le due soluzioni.
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Valga come esempio la posizione assunta da un rappresentante eugubino che si astenne dal votare l’ordine del giorno conclusivo con la motivazione che il suo territorio avrebbe tratto maggiori vantaggi dalla linea Cortona-Acquaviva. G. Nenci, Proprietari e contadini nell’Umbria mezzadrile, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. L’Umbria cit. (a nota 3), p. 220. ACPU, 1873, SS, seduta del 9 agosto, passim. Ibidem. Giuseppe Danzetta, perugino, fratello del più noto Nicola, è una figura di non secondaria importanza nel precipitare degli eventi risorgimentali: già membro del Comitato di Difesa cittadino, ferito negli scontri del giugno 1859, nel settembre del 1860 contribuì alla liberazione di Orvieto, Montefiascone e Viterbo. In U. Ranieri di Sorbello, Perugia della Bell’epoca, Volumnia, Perugia 1979, pp. 14, 19 e 43.
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ACPU, 1873, SO, pp. LIV-LV. Convenzione per la concessione della costruzione e dell’esercizio di una strada ferrata da Tuoro a Chiusi per la congiunzione della ferrovia Aretina con la Centrale Toscana, allegato n. 5 alla Relazione della commissione nominata dal Consiglio nella seduta ordinaria del 14 settembre 1876 per studiare e riferire intorno a questioni attinenti alla costruzione della ferrovia Tuoro-Chiusi, in ACPU, 1878, pp. 525-526. Si veda l’art. 42 della Convenzione per la fusione cit. (a nota 97), p. 704. Convenzione, in data 5 marzo 1874, con la Società delle Strade Ferrate Romane relativa al diritto di prelazione, ed all’incominciamento dei lavori per la costruzione della ferrovia Tuoro-Chiusi, in Relazione della commissione nominata cit. (a nota 126), pp. 541-543. ACPU, 1874, relazione della Deputazione sulla gestione 1873-74, pp. 221. Per il testo del decreto cfr. Relazione della commissione nominata cit. (a nota 126), allegato n. 4, pp. 524-525.
Le direttrici fondamentali (1860-1875)
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Le tensioni che si colgono in questa prima seduta, per così dire operativa, sono ancora poca cosa rispetto a quanto si andò verificando nell’avanzare dell’impresa. Tensioni che contribuirono a rendere l’intera vicenda, come la si è già definita, paradossale; perché, al di là delle previsioni più o meno ottimisticamente azzardate sui benefici economici che sarebbero potuti derivare dalla nuova linea, l’intero ceto dirigente umbro era chiaramente consapevole, sin dall’inizio, che i “centri principali [della provincia sarebbero stati] danneggiati dalla linea Tuoro-Chiusi, non meno che dalla Cortona-Acquaviva, dalla Bucine-Buoninsegna, dalla Bastardo-Salarco, od altra qualunque che si fosse dipartita dall’Aretina al di là di Tuoro” e che l’unico “compenso” a questo danno era rappresentato dall’unione di Perugia con Orvieto. Parole assolutamente eloquenti con le quali il prefetto Maramotti aprì, l’11 settembre 1873, la sessione ordinaria dei lavori del Consiglio Provinciale, augurandosi, in conclusione, “che in un tempo non lontano” potesse giungere all’Umbria “il giusto conforto di altre linee, che percorrendo le sue valli più ubertose daranno la vita a paesi e città industriose, e la ricongiungeranno ad una parte di quel movimento da cui non meritava di essere divisa”125. Le prime difficoltà cominciarono a manifestarsi già nella fase di definizione dei rapporti che sarebbero dovuti intercorrere tra lo Stato, l’Amministrazione Provinciale e la società esercente. Il 24 novembre 1873, a Roma, venne sottoscritta da Zeffirino Faina, in rappresentanza della Provincia dell’Umbria, e dai ministri dei Lavori Pubblici e delle Finanze, Silvio Spaventa e Marco Minghetti, la convenzione per la concessione della linea126. I primi quattro mesi trascorsero invano, mentre già si levavano voci polemiche, in attesa che la Società delle Strade Ferrate Romane decidesse se far valere o meno il diritto di prelazione che le spettava in quanto concessionaria di entrambe le linee da congiungere127. Finalmente, il 5 marzo, si arrivò ad un’intesa con la società, che rinunciava a tale facoltà ma si riservava di rilevare la concessione in un secondo tempo, comunque non oltre un anno, dietro rimborso alla Provincia delle spese di costruzione sino alla somma massima stabilita nel preventivo di 2.600.000 lire e fatto salvo il diritto dello Stato al riscatto. Inoltre, l’esercizio della linea sarebbe stato da subito ceduto dalla Provincia alla società a condizioni da stabilirsi128. Il 4 maggio la Gazzetta Ufficiale pubblicò il regio decreto 19 marzo 1874, n. 1886 (serie 2), che approvava la convenzione tra lo Stato italiano e l’Amministrazione Provinciale dell’Umbria129.
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Risolti, almeno temporaneamente, gli aspetti giuridici, si trattava di dare inizio ai lavori, anche perché il capitolato annesso alla convenzione fissava il termine per la loro ultimazione al 4 gennaio 1875130. Dopo un rapido disbrigo delle pratiche di espropriazione, senza mai dover ricorrere ad una procedura forzosa, si passò all’appalto dei lavori di terra e murati, con l’accordo che avrebbero dovuto essere compiuti entro quattro mesi dalla data di consegna. Tuttavia, nella seconda quindicina di giugno il loro stato di avanzamento era inferiore alla metà del totale da compiersi, essendo stati eseguiti lavori per circa 264.000 metri cubi di terra sui circa 600.000 previsti. Niente si era fatto per i fabbricati, neppure l’appalto, mentre erano già stati siglati alcuni contratti con tre case belghe per la fornitura del materiale metallico. Per ciò che concerne la copertura finanziaria la Deputazione Provinciale aveva contratto un prestito di lire 1.500.000, metà con la Banca Nazionale del Regno d’Italia e metà con la Banca Nazionale Toscana, ad un tasso annuo del 6%, estinguibile al 31 marzo 1876. Si era scelto un prestito a breve scadenza nella convinzione che il governo avrebbe operato il riscatto non appena la linea fosse entrata in esercizio; ferma restando la possibilità, se questo non fosse accaduto, di contrarre un ulteriore prestito a lungo termine mediante ipoteca sulla linea già funzionante. L’impossibilità di acquistare il ferro con pagamento dilazionato, a causa di condizioni troppo onerose, aveva, tuttavia, reso necessario il ricorso ad un altro prestito per una somma oscillante tra le 700 e le 800 mila lire, per il quale si erano avviate trattative131. Nonostante le speranze, il termine del 4 gennaio 1875 venne abbondantemente saltato. Le difficoltà legate alla natura del suolo rallentarono i lavori, oltre a determinare un aumento di spesa oscillante tra le 50 e le 60.000 lire. Ma il principale motivo del ritardo, che preoccupava non poco gli amministratori umbri, era dato dal disaccordo sorto con la Società delle Strade Ferrate Romane. A giudizio della Deputazione, alla fine di agosto di quell’anno, la linea, nonostante la mancanza di alcuni particolari relativi soprattutto ai fabbricati, sarebbe stata già percorribile, senonché la società, sostenuta in ciò dal governo, si rifiutava di prenderla in consegna perché insoddisfatta della sistemazione delle stazioni di Terontola e Chiusi. Non solo, ma l’atteggiamento ostile della compagnia aveva finito per provocare la rottura delle trattative relative alla cessione dell’esercizio. Un’ostilità che Coriolano Monti, in qualità di consigliere di amministrazione delle Romane nominato dal governo, spiegava con il fatto che la società non avesse, in realtà, alcun interesse ad affrettare l’apertura della linea132. 130
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L’articolo 4 stabiliva che “[i]l concessionario è tenuto ad incominciare i lavori entro due mesi dalla data in cui la concessione sarà diventata definitiva, e a darli ultimati nel termine di otto mesi dalla medesima data”. Si veda, Capitolato per la concessione della costruzione e dell’esercizio di una strada ferrata da Tuoro a Chiusi per la congiunzione della ferrovia Aretina con la Centrale Toscana, allegato n. 6 alla Relazione della commissione nominata cit. (a nota 126), p. 528. ACPU, 1874, relazione della Deputazione sulla gestione 1873-74, pp. 216-223. Ivi, 1875, SO, seduta del 24 agosto, pp. 41-48 e relazione della Deputazione sulla gestione 1874-75, pp. 208-210.
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Convenzione fra la Società delle Ferrovie Romane e la Provincia dell’Umbria per l’esercizio della ferrovia da Terontola a Chiusi, in ACPU, 1876, relazione della Deputazione sulla gestione 1875-76, pp. 190-197. ACPU, 1876, SO, seduta del 14 settembre, pp. 82-100. Capitolato per la concessione della costruzione e dell’esercizio di una strada ferrata da Tuoro a Chiusi cit. (a nota 130), allegato n. 6 alla Relazione della commissione nominata cit. (a nota 126), p. 532.
Le direttrici fondamentali (1860-1875)
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Seppure con la Provincia dell’Umbria sempre più tra l’incudine e il martello, la bretella venne finalmente aperta il 15 novembre 1875, dopo che il giorno prima, a Perugia, in seguito alla ripresa delle trattative tra l’Amministrazione Provinciale e la Società delle Strade Ferrate Romane, si era giunti alla firma della convenzione per la regolazione dell’esercizio. In base a tale accordo la società assumeva l’esercizio “con materiale mobile e personale suo proprio”, dietro compenso di “[u]na quota fissa di lire quattromila per chilometro” e “[u]na quota proporzionale, cioè il quaranta per cento sulle prime quindicimila lire per chilometro di tutti i prodotti lordi [...] e il trentatré per cento sui prodotti eccedenti il detto limite”. Prodotti lordi che, fatto salvo il dovere di compensare la società, “apparterranno alla Provincia dell’Umbria e saranno incassati per di lei conto dalla Società delle Ferrovie Romane”133. Il venire a capo di questa faticosa trattativa concesse una boccata di ossigeno agli amministratori umbri che, tuttavia, dovevano fare i conti con una notevole lievitazione delle spese di costruzione e con l’aggravamento della posizione debitoria che ne era conseguita; ma, soprattutto, con la resistenza governativa a riscattare la linea che ostruiva loro l’unica, realistica, via di uscita. Nel corso della prima seduta del Consiglio Provinciale successiva all’apertura della linea, il 14 settembre 1876, nonostante i tentativi della Deputazione, e per essa di Zeffirino Faina, di inquadrare i fatti, per altro inequivocabili, da una diversa angolazione, l’impresa mostrò tutti, o quasi, i caratteri del fallimento. Rispetto al preventivo di spesa, che era stato, come è noto, di 2.600.000 lire e che il governo aveva assunto come limite massimo per il riscatto, si era già fuori di circa un milione. Le voci sui cui gravava l’aumento erano essenzialmente due. Innanzitutto, quella relativa alle stazioni, che aveva fatto registrare un aumento di oltre 600.000 lire contro le circa 130.000 preventivate. Si trattava del risultato della già accennata controversia tra la Provincia, da una parte, e la Società delle Strade Ferrate Romane e il governo, dall’altra, in merito alla sistemazione definitiva delle stazioni di Chiusi e Terontola134. Per dare un’idea dell’asprezza del contrasto è sufficiente evidenziare che, nonostante l’articolo 16 del capitolato per la concessione della costruzione ed esercizio della linea, risalente al 24 novembre 1873, prevedesse espressamente che la Provincia e la compagnia romana dovessero “prendere [...] gli opportuni concerti”135 in merito, soltanto il 18 ottobre 1875 le due parti erano giunte ad un accordo, a onor del vero, a tutto danno dell’Amministrazione umbra che si era impegnata, a “eseguire ad esclusive sue spese, e secondo [i] disegn[i] approvati[i] dal governo, [tanto] tutti i lavori di costruzione della stazione di
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Terontola”, quanto quelli necessari alla sistemazione di quella di Chiusi, in primo luogo “[l’]allargamento del piazzale”136. L’altra voce di spesa in aumento era quella degli interessi passivi sul capitale impiegato. Se per questa la Deputazione ammetteva candidamente di avere fatto un errore tecnico omettendola, addirittura, dal preventivo, in merito ai lavori delle stazioni l’autodifesa era categorica, scaricando ogni responsabilità sulle eccessive, e in continuo aumento, pretese della società, coperta dal governo. Il deficit era, inoltre, appesantito dai mancati introiti nell’esercizio dovuti alla ritardata apertura del traffico alle merci a piccola velocità avvenuta soltanto l’1 agosto 1876; una perdita che secondo calcoli presuntivi avrebbe dovuto aggirarsi, al 31 dicembre 1876, intorno alle 30.000 lire. Naturalmente questa situazione aveva aggravato la posizione debitoria dell’Amministrazione Provinciale, che oltre ad un prestito di 800.000 lire, già preventivato per far fronte agli obblighi di pagamento per l’acquisto di ferro e contratto con la Banca Generale Romana, era aumentata di altre 200.000 lire ricevute, in parti uguali, dalla Banca Popolare di Milano e dalla Cassa di Risparmio di Terni137. Ad ogni modo, più che per ogni altra cosa, gli amministratori umbri erano preoccupati per il mancato, contro ogni previsione, riscatto governativo. Si è già visto come proprio il fatto che il governo si fosse riservato tale facoltà, sino dalla legge che autorizzava la concessione, avesse finito per spingerli ad assumere direttamente la costruzione della linea. Una temerarietà, quindi, per molti versi obbligata, anche dalla rinuncia della Società delle Strade Ferrate Romane ad esercitare il diritto di prelazione sulla concessione. D’altra parte, sebbene il governo si fosse limitato a riservarsi un diritto, senza per questo assumere alcun impegno preciso, forti erano stati in quei mesi i segnali di un probabile, prossimo, riscatto dell’intera rete esercitata dalla compagnia in questione. Basti ricordare che al 20 e 21 giugno 1872 risale la discussione alla Camera dei Deputati dei risultati – pessimi – dell’inchiesta sulle condizioni di esercizio delle linee appartenenti alle Romane e che il 17 novembre 1873, dopo che l’assemblea degli azionisti, preso atto del deficit insormontabile, aveva nominato una commissione con mandato di trattare con il governo, si era giunti alla stipula di una convenzione per il riscatto138. Certo è che gli avvenimenti politici del marzo 1876139 avevano capovolto la situazione ed ora la prospettiva del riscatto si era fatta assai più remota, alimentando negli amministratori umbri un forte senso di preoccupazione. Inoltre, anche con136
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Convenzione, in data 18 ottobre 1875, con la Società delle Ferrovie Romane rispetto alle opere occorrenti nelle stazioni di Terontola e Chiusi, allegato n. 14 alla Relazione della commissione nominata cit. (a nota 126), pp. 551-555. ACPU, 1876, SO, seduta del 14 settembre, pp. 82-100 e relazione della Deputazione sulla gestione 1875-76, pp. 197-201. Crispo, Le ferrovie italiane cit. (a nota 52), p. 159-160. Cfr., tra gli altri, F. Ippolito, Lo stato e le ferrovie dalla unità alla caduta della destra, in “Clio”, II, 2-3, aprile-settembre 1966, pp. 314-340 e, in particolare, A. Berselli, La questione ferroviaria e la “Rivoluzione parlamentare” del 18 marzo 1876, in “Rivista Storica Italiana”, 1958, 2, pp. 188-238 e n. 3, pp. 376-420.
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Ivi, 1876, SO, seduta del 14 settembre, p. 96. ACPU, 1879, relazione della Deputazione sulla gestione 1878-79, pp. 216-218.
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tinuando ad avere fiducia nell’intervento governativo, rimaneva il problema, tutt’altro che secondario, dell’aumento di spesa, il cui rimborso non era stato contemplato nei termini della concessione che fissava il tetto massimo rimborsabile al costo preventivato di 2.600.000 lire. Per far fronte a tutti questi problemi il Consiglio Provinciale dell’Umbria, dietro parere della Deputazione, stabilì di nominare una commissione che facesse il punto sullo sforzo finanziario prodotto e, nello stesso tempo, incaricò la Deputazione stessa di trattare con il governo la questione del riscatto e dell’aumento di spesa e l’autorizzò a contrarre due prestiti: il primo “di lire 2.600.000 per estinguere il debito fluttuante creato per la costruzione della linea, da dimettersi con il prezzo ed all’epoca del riscatto”; il secondo “di un milione per sopperire alle maggiori spese oltre il prezzo fissato per il riscatto, a quelle migliori condizioni che potrà ottenere, da estinguersi ratealmente in 25 anni ed anche prima, ottenuto che sia il rimborso che deve domandarsi”140. Il passaggio dalla posizione debitoria a breve a quella a lungo termine si sarebbe compiuto definitivamente soltanto il 17 aprile 1879, allorché la Cassa Depositi e Prestiti sarebbe stata autorizzata, per decreto, a concedere alla Provincia la somma di 1.600.000 lire, rimborsabile in 25 rate annuali a partire dall’1 gennaio 1880. In precedenza l’Amministrazione umbra era riuscita, non senza fatica, ad ottenere, sempre dallo stesso istituto, due prestiti di un milione di lire ciascuno, il primo autorizzato con regio decreto del 13 febbraio 1877, estinguibile in 15 annualità a decorrere dall’1 gennaio 1878, il secondo, con decreto del 24 giugno 1878, in 25 annualità a partire dall’1 gennaio 1879. L’insieme di queste somme aveva consentito all’ente non solo di azzerare il debito con le banche ma di soddisfare anche alcuni impegni assunti con la Società delle Strade Ferrate Romane per lavori a spese comuni141. La definizione dei rapporti con la società relativi alla liquidazione dei prodotti dell’esercizio è uno dei due terreni, essendo l’altro quello del riscatto governativo, sul quale si svolse l’azione della Deputazione Provinciale dalla ricordata seduta del settembre 1876 sino alla chiusura dell’intera vicenda. Nei confronti della compagnia si rivendicava una revisione delle quote di ripartizione dei prodotti dell’esercizio relativamente al periodo trascorso dall’apertura della linea all’agosto 1876, data della introduzione del traffico merci a piccola velocità, sostenendo che la mancata attivazione del traffico a pieno regime, con conseguente ridimensionamento degli incassi presunti, non potesse essere caricata sulle spalle del solo concessionario ma dovesse gravare in proporzione, appunto attraverso un aggiustamento dei criteri di ripartizione stabiliti nella convenzione che regolava l’esercizio, anche sulle finanze della società esercente.
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D’altronde, oltre al mancato riscatto, era proprio l’andamento, inferiore alle aspettative, del prodotto di esercizio a deludere maggiormente gli amministratori umbri. Lasciando da parte i mesi iniziali in cui era stato attivo il solo traffico viaggiatori e gli incassi non erano riusciti neppure a coprire la quota dovuta alla società a compenso delle spese di gestione, nel triennio 1877-1880, il prodotto medio lordo chilometrico annuale non superò mai le 12.000 lire, mantenendosi ben al disotto delle 14.000 lire preventivate e, nello stesso tempo, dimostrandosi inferiore a quello medio registrato nell’intera rete gestita dalle Romane. La situazione cambiò nel 1880 quando il prodotto medio lordo chilometrico sfiorò le 15.000 lire – nell’ultimo trimestre si attestò addirittura oltre le 18.000 – facendo balzare il profitto netto della Provincia ad oltre 100.000 lire, una cifra maggiore alla somma dei profitti realizzati negli anni precedenti142. Tuttavia si era ormai a breve distanza dal riscatto e dalla nuova convenzione con la compagnia che definì, in via ultimativa, i conti sia per ciò che concerneva i lavori di costruzione che per la ripartizione di prodotti. In base a questo atto, siglato il 10 novembre 1881, l’ente provinciale ottenne, per il periodo 15 novembre 1875 – 31 dicembre 1880, un rimborso di oltre 280.000 lire, mentre, venendo a stabilirsi che a decorrere dall’1 gennaio 1881 i prodotti dovevano intendersi ripartiti in ragione del 70% alla società, “in compenso delle spese di esercizio e prestazione del materiale mobile”, e per il rimanente 30% all’Amministrazione Provinciale, quest’ultima fu accreditata della somma di 136.340 lire143. Venendo al tema del riscatto e a quello collegato dell’aumento delle spese di costruzione, la commissione nominata nella seduta consiliare del 14 settembre 1876 riuscì a presentare la sua relazione soltanto dopo due anni, il 18 agosto del 1878. Ripercorrendo l’intera vicenda a partire dalla legge 29 giugno 1873 che aveva autorizzato la concessione, la commissione giunse a sostenere che la Provincia non era in alcun modo tenuta ad affrontare spese non previste nel progetto originario. Si sottolineò il mutamento dell’atteggiamento del governo in seguito alla, già ricordata, convenzione del 5 marzo 1874 tra l’Amministrazione e la Società delle Strade Ferrate Romane che aveva previsto, senza tuttavia fissarne le condizioni, la cessione dell’esercizio alla compagnia una volta terminata la linea. Da quel momento in avanti, il governo, in accordo con la società, aveva aumentato le pretese nei confronti del concessionario, in considerazione del fatto che il nuovo tronco sarebbe stato parte integrante del collegamento Firenze-Roma e non più quindi, come avevano in un primo tempo lasciato intendere la convenzione per la concessione e il relativo capitolato, una semplice linea di importanza locale. Ecco come si spiegava la richiesta, poi diventata imposizione sotto la minaccia di una
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Cfr. le relazioni della Deputazione per le gestioni 1876-77, 1877-78, 1878-79, 1879-80, 1880-81 in ACPU, 1877, pp. 221-225; ACPU, 1878, pp. 221-225; ACPU, 1879, pp. 215-221; ACPU, 1880, pp. 215222; ACPU, 1881, pp. 230-233. Ivi, 1882, relazione della Deputazione sulla gestione 1881-82, p. 209.
Capitolo 2
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Relazione della commissione nominata cit. (a nota 126), pp. 493-515 e ACPU, 1878, SO, seduta del 29 agosto, pp. 228-232. ACPU, 1881, SO, seduta del 4 settembre, pp. 416-421. Ivi, 1882, relazione della Deputazione sulla gestione 1881-82, pp. 207-210. Ivi, 1883, relazione della Deputazione sulla gestione 1882-83, p. 221.
Le direttrici fondamentali (1860-1875)
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revoca della concessione, di lavori supplementari per le stazioni di Chiusi e Terontola. A tali obblighi la Deputazione si era piegata confidando in un recupero delle spese al momento del riscatto, non fosse altro per un motivo di equità, ma la commissione contestò questo comportamento basandosi sul fatto che, legalmente, il governo non aveva avuto alcun diritto di imporre ulteriori lavori a carico della Provincia, il cui unico scopo, sancito dalla concessione, doveva essere quello di provvedere alla costruzione di un tronco ferroviario, indipendentemente dal suo inserimento in una linea di respiro nazionale. Di fronte alle conclusioni della commissione che proponevano un’azione legale nei confronti del governo, il Consiglio Provinciale preferì seguire la via politica e incaricò la Deputazione di fare pressioni sul ministro dei Lavori Pubblici affinché presentasse, al più presto, in Parlamento un progetto di legge per il riscatto che prevedesse anche il rimborso della maggiori spese o, altrimenti, se necessario, di presentarlo essa stessa144. Dal 29 agosto 1878, data della deliberazione appena ricordata, si dovette attendere sino al settembre 1881, quando il Consiglio Provinciale fu chiamato ad esprimersi su una proposta di riscatto per una somma forfetaria di 3 milioni di lire, a decorrere dall’1 gennaio 1882. Naturalmente accettò, così come dovette accogliere la clausola in base alla quale il governo si impegnava a pagare la somma stabilita entro tre mesi dalla data di promulgazione della legge, senza che, nel corso di questo intervallo, maturasse alcun interesse145. La convenzione per il riscatto fu firmata a Roma il 16 novembre 1881 e divenne legge il successivo 25 luglio146; la linea fu formalmente consegnata nei giorni 11 e 12 ottobre 1882 ma per il versamento effettivo dei tre milioni nelle casse della Provincia si dovette attendere il 31 gennaio 1883, naturalmente senza la maturazione di alcun interesse147.
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L’apertura della bretella Terontola-Chiusi concluse, in Umbria, la fase di costruzione delle grandi direttrici ferroviarie; più in generale, l’anno che di lì a poco si aprì, il 1876, può essere preso come momento di verifica per l’intero livello nazionale. A partire dal 1865, che, come si è visto, può a ragione considerarsi il punto d’avvio della politica ferroviaria italiana, l’estensione della rete era pressoché raddoppiata, passando da circa 4.500 ad 8.440 chilometri1. Come ha evidenziato Alberto Mioni “è questa una fase in cui ogni nuovo tronco aperto contribuisce al completamento del disegno fondamentale”2. Al 1876, tanto la longitudinale adriatica quanto quella tirrenica potevano dirsi terminate, mentre tre (Porrettana, Ancona-Roma e Foggia-Napoli) erano le trasversali che le mettevano in comunicazione tra loro; i porti ionici – i tanto desiderati scali per l’Oriente – erano, ormai, collegati con la pianura Padana, dove la rete ferroviaria si era andata infittendo a integrazione dei fondamentali tracciati pedemontani. Infine, per ciò che attiene alle comunicazioni transalpine, erano già percorribili i valichi del Frejus – il cui traforo era stato ultimato nel 1872 – del Carso, del Brennero e di Ventimiglia3. In Umbria i binari si allungavano per circa 300 chilometri che, in rapporto alla modesta estensione del territorio e al contenuto carico demografico, non erano poi tanto pochi. Tuttavia dietro queste cifre si nascondeva una realtà fortemente disomogenea. Oltre al persistere di zone ancora escluse dai collegamenti ferroviari, anche tra quelle servite si registravano notevoli differenze. L’apertura del tronco Terontola-Chiusi modificò profondamente il movimento ferroviario regionale a tutto svantaggio di Perugia e Foligno. Se per la prima si trattò di una perdita prevalentemente di prestigio, per la seconda significò il definitivo abbandono di quella funzione di nodo ferroviario di primaria importanza attraverso cui si intendeva recuperare una centralità di lungo periodo e, nello stesso tempo, costruire un’ipotesi di sviluppo economico. Opposta la situazione di Orvieto, ormai al centro della direttrice Firenze-Roma, che, contro le troppo ottimistiche previsioni degli amministratori provinciali, rafforzava, anziché, diminuire la propria estraneità al capoluogo. Vantaggi ne derivarono anche per Terni, dove aveva
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C. Carozzi e A. Mioni, L’Italia in formazione. Ricerche e saggi sullo sviluppo urbanistico del territorio nazionale, De Donato, Bari 1970, p. 298. A. Mioni, Le trasformazioni territoriali in Italia nella prima età industriale, Marsilio, Padova 1976, p. 90. Ivi, pp. 88 e sgg.
Tra istanze territoriali e progetti di respiro internazionale (1876-1885)
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Capitolo 3 Tra istanze territoriali e progetti di respiro internazionale (1876-1885)
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avuto inizio la trasformazione urbana conseguente al mutato assetto produttivo, la cui vicinanza da Orte rendeva più agevoli i collegamenti con la Toscana. Tutti questi centri e rispettivi territori erano comunque lambiti o attraversati dalla ferrovia e potevano ritenere, in qualche modo, di non avere sprecato, almeno non completamente, le energie profuse a partire dall’ormai lontano luglio 1846. Ma accanto ad essi ce n’erano altri per i quali il tempo sembrava essere trascorso invano, che più volte erano stati sul punto di ottenere il beneficio sperato senza, tuttavia, riuscirci; in modo particolare l’eugubino, l’alta valle del Tevere e la Sabina.
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Per una ferrovia dell’alta valle del Tevere
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Senza risalire nuovamente alle origini del dibattito, si rammenterà che nella questione relativa al prolungamento della ferrovia Aretina i territori dell’Eugubino e dell’alta valle del Tevere si erano posti, senza successo, in opposizione a Perugia, favorevole alla via del Trasimeno, spingendo, invece, per una linea che da Arezzo, mantenendosi il più possibile a nord, si congiungesse con l’Ancona-Roma a Fossato. In realtà il fronte non si era mostrato particolarmente compatto. Infatti, se Gubbio si era battuta essenzialmente perché da Umbertide i binari non seguissero altra direzione che quella della valle dell’Assino, concedendo tuttavia ai perugini la possibilità di una diramazione lungo il Tevere sino a Foligno4; se Umbertide aveva aggiunto a ciò la preferenza che la linea arrivasse alle sue porte dalla Valdipierle5; dal canto suo Città di Castello, fintanto che non era risultato evidente che l’unica alternativa possibile sarebbe stata proprio quella tra il Trasimeno e la Valdipierle, si era opposta anche a quest’ultima, operando affinché la ferrovia proveniente da Arezzo raggiungesse la valle del Tevere attraverso quella del Cerfone6 (tavv. 9-10). Tuttavia, già in quegli anni, e per la verità anche precedentemente, il destino ferroviario dell’Umbria nord orientale appariva legato, piuttosto, alla realizzazione di un collegamento transappenninico tosco-umbro-romagnolo. La reciproca aspettativa, in tal senso, di toscani e romagnoli si era manifestata sino dalla metà degli anni quaranta del secolo, scontrandosi con le inevitabili resistenze pontificie. Successivamente, il diverso, e più aperto, atteggiamento dei governi provvisori, prima, e di quello italiano, poi, aveva sortito l’effetto di liberare tutte le proposte conservate nel cassetto. Tra queste si colloca quella di una linea da Arezzo a Fano attraverso Sansepolcro e la valle del Metauro che, partorita in ambiente
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Cfr. Sulla ferrovia Aretina. Memoria del Municipio eugubino, Gubbio, 1861 e U. Baldelli, Sul proseguimento della ferrovia Aretina dalla Fratta a Fossato per la valle dell’Assino ed altipiano di Gubbio, Torino, 1862. Osservazioni sugli ultimi scritti perugini intorno alla ferrovia, s.l., s.s. s.d. ASCCC, tit. 6.2.5, Ferrovia per la valle superiore del Tevere. Atti diversi, 1861-70, Memoria degli abitanti della valle superiore del Tevere al ministro dei Lavori Pubblici del 2 luglio 1861.
Capitolo 3
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Cfr., in proposito, A. Giuntini, I progetti ferroviari di comunicazione fra la Romagna e la Toscana: rassegna e note critiche, in “Studi Romagnoli”, XXXV, 1984, pp. 401-426. La nomina della commissione, costituita da quattro ispettori del Genio Civile, rientrava nel più vasto disegno di riordino del sistema ferroviario culminato nella legge del 14 maggio 1865. In realtà, già i governi provvisori di Toscana ed Emilia, per orientarsi tra le numerose proposte avanzate in seguito alla promulgazione dei decreti 1 gennaio e 27 marzo 1860, che invitavano alla presentazione di progetti per una ferrovia di congiunzione fra la Romagna e la Toscana al di sotto della costrunda Porrettana, avevano nominato una commissione, che però si era sciolta prima di giungere ad una concreta conclusione (cfr. Giuntini, I progetti ferroviari cit. (a nota 7), pp. 404-405 e 412). P. Tagliaboschi, Della congiunzione più diretta, più utile e più sicura dell’Adriatico col Mediterraneo, e di Ancona con Livorno, per una ferrovia da Fano ad Arezzo, in “Il banditore del Metauro”, 1865, n. 13, pp. 5053. Cfr. Al Parlamento italiano la presente memoria sulla ferrovia Metaurense da Fano ad Arezzo per la più diretta congiunzione dell’adriatico al Mediterraneo da Ancona a Livorno secondo il progetto dell’ingegnere cavaliere Amedeo Peyron la Deputazione Provinciale di Pesaro e Urbino caldissimamente raccomanda, Nobili, Pesaro 1865. ASCCC, tit. 6.2.5, Ferrovia per la valle superiore del Tevere. Atti diversi, 1861-70, nota del sindaco di Gubbio al sindaco di Città di Castello del 12 gennaio 1866. Cfr. ASP, PPA 1860-70, b. 69, verbale seduta consiliare di Città di Castello del 29 gennaio 1866. ASP, PPA 1860-70, b. 69, verbale seduta consiliare di Città di Castello del 6 maggio 1866. U. Baldelli, Ferrovia Assinate per il più facile congiungimento di Livorno ad Ancona. Tronco da Arezzo a Fossato per la valle del Tevere e l’altopiano di Gubbio, Città di Castello 1867.
Tra istanze territoriali e progetti di respiro internazionale (1876-1885)
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sansepolcrese sin dal 1852, allorché l’Amministrazione Comunale ne aveva fatto verificare la fattibilità, era tornata in auge grazie all’impegno, oltre che di Sansepolcro, dei Municipi di Urbino, Urbania e Sant’Angelo in Vado. Nello stesso tempo, però, era fiorita una serie nutrita di varianti che indicavano il punto di confluenza sulla Bologna-Ancona a Rimini oppure a Cesena o addirittura, tagliando fuori Arezzo, suggerivano di muovere direttamente da Firenze in direzione di Forlì o Faenza7. In risposta ad un tale proliferare di proposte alternative, il governo, riconoscendo la necessità di realizzare una ferrovia transappennica intermedia alle costruende Porrettana ed Ancona-Roma, già nel 1863 aveva nominato, in seno al Genio Civile, una specifica commissione tecnica che si occupasse di individuarne il tracciato migliore8. Tre anni dopo, una commissione parlamentare presieduta da Francesco Crispi, con in mano il progetto della Metaurense steso dall’ingegnere Amedeo Peyron su incarico della Provincia di Pesaro e Urbino9 (per questo come per i progetti succesivi cfr. tav. 12), aveva assunto il compito di interpellare in proposito i Comuni dell’Umbria settentrionale. Era stato in quell’occasione che Gubbio aveva avanzato una contro proposta, rilanciando l’idea della Arezzo-Fossato10. Tale iniziativa aveva, quindi, prodotto un convegno, tenutosi l’1 marzo 1866 ad Ancona, in cui le rappresentanze di Città di Castello, Umbertide, Jesi, Fabriano e, naturalmente, Gubbio, avevano stabilito di affidare lo studio del tracciato all’ingegnere eugubino Ulisse Baldelli11, il quale, nel corso dell’anno successivo, aveva portato a termine il lavoro12. Il responso del Genio Civile era giunto, finalmente, il 28 luglio 1870 ed era stato favorevole alla Firenze-Faenza, la cosiddetta Faentina. Prevedendolo, i Comuni
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Tav. 12 – Progetto per la ferrovia Adriatico-Tiberina e tracciati per una linea Umbro-Tosco-Romagnola
Venezia
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Forlì
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Cesena
Meldola Civitella Galatea Santa Sofia
Firenze
Borello Mercato Saraceno Sarsina San Piero in Bagno Fano Stia Bagno di Romagna Urbino Pieve Santo Stefano Fossombrone Bibbiena Fermignano Mercatello Anghiari Urbania Ancona Sansepolcro Sant’Angelo Arezzo in Vado Città di Castello Gubbio Fossato
Umbertide
Perugia
progetti
Ponte San Giovanni
Marsciano
Monti-Coletti (1874-78)
Todi Orvieto
Peyron (1865)
Baschi
Baldelli (1867) Mercanti (1872) Mercanti (1873)
Capitolo 3
Roma
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ASCCC, tit. 6.2.5, Ferrovia per la valle superiore del Tevere. Atti diversi, 1861-70, nota del ministro dei Lavori Pubblici al sindaco di Città di Castello dell’8 gennaio 1870; circolare del sindaco di Città di Castello del 6 maggio 1870; verbali del convegno di Gubbio del 4 luglio e dell’adunanza di Perugia del 29 novembre 1870. Sulla Società Anonima Umbro-Sabina, costituita a Perugia nel 1862, che vantava tra i suoi promotori Reginaldo Ansidei, Eugenio e Zeffirino Faina, cfr. G. Gallo, Tipologia dell’industria ed esperienze d’impresa in una regione agricola, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria, Einaudi, Torino 1989, p. 363 e n. e, in particolare, R. Monicchia, L’industria lignitifera in Italia: il caso umbro (1860-1940), Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Lettere e Filosofia, tesi di laurea a.a. 1987-88. Nel novembre 1870 l’ingegnere perugino, sempre in prima linea nel dibattito ferroviario regionale, era stato chiamato a rappresentare il comitato altotiberino a Roma. In ASCCC, tit. 6.2.5, Ferrovia per la valle superiore del Tevere. Atti diversi, 1861-70, verbale dell’adunanza del comitato assinate tenuta a Perugia il 29 novembre 1870. Lo stesso comitato promotore per la ferrovia dell’alto Tevere non era rimasto estraneo alla questione del collegamento tra la ferrovie Aretina e Senese e, in seguito al responso di Bella favorevole al tronco BastardoSalarco, aveva fatto istanza al ministro dei Lavori Pubblici affinché la bretella si dipartisse dalla ferrovia Aretina nelle vicinanze di Cortona. In ASCCC, tit. 6.2.5, Ferrovia per la valle superiore del Tevere. Atti diversi, 1871-80, istanza del comitato per la ferrovia dell’Assino del 31 gennaio 1872. C. Monti, Sistema delle strade ferrate italiane e delle comunicazioni con Bartoli, Roma 1872, pp. 15-20.
Tra istanze territoriali e progetti di respiro internazionale (1876-1885)
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sostenitori dell’Arezzo-Fossato, ai quali Sansepolcro aveva fatto mancare la sua adesione, dichiarandosi maggiormente interessato alla Metaurense, si erano orientati nella ricerca di una società privata disposta a costruire ed esercitare la linea, formalizzando l’intesa raggiunta nella costituzione del comitato promotore per la ferrovia dell’Assino, poi dell’alto Tevere, del quale era entrata a far parte anche la Società Anonima Umbro-Sabina delle Miniere13. Così come accaduto per i collegamenti longitudinali, il trasferimento della capitale del Regno da Firenze a Roma aveva, poi, finito per mutare, inevitabilmente, i termini del dibattito ferroviario anche nell’area appenninica; ad esempio, rendendo meno necessaria la condizione che la nuova transappenninica facesse termine al capoluogo toscano. Soprattutto, però, spostando l’attenzione sul collegamento tra la nuova capitale e il Veneto. Lo testimonia uno scritto di Coriolano Monti14 del 1872 che, sebbene destinato ad entrare prevalentemente nella polemica allora in corso sulla congiunzione tra Aretina e Senese15, conteneva in nuce, anche perché a tale scopo era stato concepito, il concetto di quella che sarebbe stata poi definita la linea Adriatico-Tiberina. Insistendo sul fatto che lo spostamento della capitale poneva il Veneto in una situazione di inferiorità nelle comunicazioni con Roma rispetto alle altre grandi regioni settentrionali e, parimenti, sulla necessità di potenziare il valico del Brennero, egli aveva suggerito di costruire una ferrovia lungo quella direttrice naturale che si stendeva in un unico meridiano da Roma a Venezia e che era in gran parte rappresentata dal corso del Tevere, da risalire sino alla sorgente per valicare l’Appennino, discendere, poi, lungo la Marecchia sino a Rimini e puntare, infine, a Venezia16. Guardando all’Umbria, un percorso del genere avrebbe avuto il merito di unire longitudinalmente Orvieto (Baschi), Todi, Perugia (Ponte San Giovanni), Umbertide e Città di Castello; in pratica una linea in grado di mettere in comunicazione, attraverso il capoluogo, alta e bassa valle del Tevere e, inoltre, di
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elevare Ponte San Giovanni, e quindi Perugia, al rango di nodo ferroviario di primaria importanza. Si tratta di considerazioni che Monti non esplicitava nel suo scritto, ma che appaiono sin troppo ovvie alla luce della sua produzione precedente e successiva, tesa, costantemente, ad assicurare alla sua città natale una funzione nodale. Nel corso dello stesso anno, inoltre, da Sansepolcro era partita la proposta per una linea umbro-tosco-romagnola, da intendersi come tronco della Roma-Venezia. Identico al progetto Monti era il tratto tiberino da Ponte San Giovanni a Pieve Santo Stefano, ma, anziché proseguire sino alla sorgente del fiume, la linea avrebbe dovuto piegare in direzione di Bagno di Romagna e da qui, attraverso un tunnel, giungere nella valle del Bidente per seguirla sino a Forlì; da Ponte San Giovanni, invece, sarebbe stato sufficiente scendere sino a Foligno per incrociare la Ancona-Roma17. L’Amministrazione Comunale di Città di Castello aveva optato, tuttavia, per la soluzione Monti, anche se lo stesso, dopo aver ottenuto agli inizi di agosto l’autorizzazione agli studi, aveva abbandonato la via del Marecchia in favore di quella del Savio con sbocco a Cesena; ne era conseguita la costituzione di un consorzio tra i Comuni di Bagno di Romagna, Pieve Santo Stefano, Sansepolcro, Città di Castello e Umbertide18. Contemporaneamente l’ingegnere si era mosso, in accordo con il Municipio di Todi, per verificare la fattibilità del tratto da quella cittadina a Baschi19. Prima che il fervore si placasse per qualche anno c’era stato spazio per un’ulteriore iniziativa, promossa dal Comune di Arezzo, che intendeva collegarsi con Forlì, via Bibbiena e Stia20. È all’interno di un quadro così in movimento che si deve interpretare la decisione governativa di nominare, nell’estate del 1877, ottenuta l’approvazione parlamentare, una nuova commissione tecnica che, dimenticando il giudizio precedente favorevole alla Firenze-Faenza, riesaminasse tutti i progetti esistenti per una ferrovia transappenninica intermedia a quelle transitanti per i valichi della Porretta e di Fossato, tenendo conto delle esigenze della nuova capitale21. In Umbria ciò si tradusse in un’iniziativa del Municipio di Perugia, che coinvolse anche l’Amministrazione Provinciale22, a sostegno della Roma-Venezia, ormai comunemente defi-
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M. Proli, Le reti immaginarie. I progetti ferroviari a Forlì, in “Memoria e ricerca”, II, 4, dicembre 1994, p. 83. Cfr., inoltre, L. Mercanti, La rete ferroviaria italiana: progetto di una linea ferrata da Forlì a Perugia, Becamorti, Sansepolcro 1872. ASCCC, tit. 6.2.5, Ferrovia per la valle superiore del Tevere. Atti diversi, 1871-80, nota del sindaco di Città di Castello al sindaco di Perugia dell’8 marzo 1873. Monti viene autorizzato con decreto del ministro dei Lavori Pubblici n. 16007 del 9 agosto 1872, in Ibidem. C. Monti, Origini, fasi e stato della nuova strada ferrata Adriatico-Tiberina, Civelli, Roma 1879, p. 4. Proli, Le reti immaginarie cit. (a nota 17), p. 84. Cfr. L. Mercanti, Ferrovie italiane. La vera linea centrale da sostituire alla Porrettana, Tipografia della Gazzetta d’Italia, Firenze 1873. Proli, Le reti immaginarie cit. (a nota 17), p. 85. Nell’occasione il Consiglio Provinciale non si limitò ad accogliere la proposta perugina di finanziamento degli studi per un tronco da Pierantonio a Marsciano, ad integrazione del progetto già steso da Monti per conto dei Comuni consorziati dell’alto Tevere, relativamente al tratto Bagno di Romagna-Pierantonio, ma stabilì, per la
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prima volta, di nominare una commissione che affrontasse la questione ferroviaria umbra nel suo complesso. In ACPU, 1877, SO, seduta del 31 agosto, pp. 224-230. Ferrovia per l’alta valle del Tevere a Roma. Verbale di adunanza tenutasi il 3 novembre 1877 in Perugia da varii rappresentanti di Municipi, Boncompagni, Perugia 1877. Sulle caratteristiche principali di tale disegno di legge si veda, A. Crispo, Le ferrovie italiane. Storia politica ed economica, Giuffrè, Milano 1940, pp. 185-186. Ferrovia per l’alta valle del Tevere a Roma. Verbale di adunanza tenutasi il 20 gennaio 1878 in Sansepolcro da vari rappresentanti di Municipi, Sansepolcro, Becamorti, 1878. Nella stessa adunanza si colse l’occasione per richiamare alla giusta causa il deputato Piero Puccioni, eletto nel collegio elettorale di Sansepolcro, che, a seguito del responso della commissione tecnica governativa, si era fatto promotore di un allacciamento tra Sansepolcro ed Arezzo; cfr. C. Monti, Ferrovia Tiberina. Lettera al comm. Puccioni intorno al convegno promosso il 20 gennaio a borgo Sansepolcro, Bartelli, Perugia 1877. Su questi aspetti cfr. F. Ippolito, Lo Stato e le ferrovie dalla caduta della Destra alle convenzioni dell’85, in “Clio”, III, 2, aprile-giugno 1967, pp. 231-248 e Giuntini, I progetti ferroviari cit. (a nota 7), p. 420.
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nita linea adriatico-tiberina. Il 3 novembre, nel capoluogo umbro, si tenne una riunione a cui presero parte rappresentanze di Cavarzere, Rimini, Cesena, Mercato Saraceno, Roversano, Sarsina, Pieve Santo Stefano, Sansepolcro, Umbertide e Todi. Del precedente consorzio tra i Comuni altotiberini mancava soltanto Bagno di Romagna, dichiaratasi neutrale. Si costituì un comitato, aperto ad ulteriori adesioni23. Tali sforzi, al pari di quelli aretini e forlivesi, furono vanificati dopo soli sette giorni, allorché la commissione tecnica governativa, pur non mostrando preclusione nei confronti delle altre linee, scelse, ancora una volta, la FirenzeFaenza, che venne così inclusa nel progetto di legge presentato alla Camera dei deputati, nella seduta del 22 novembre 1877, dal presidente del Consiglio e nuovo ministro, ad interim, dei Lavori Pubblici Agostino Depretis24. Contrariamente a quanto si possa supporre, tali sviluppi non frenarono, anzi stimolano ulteriormente, l’iniziativa in favore della Adriatico-Tiberina. Un nuovo congresso venne promosso a Perugia, il 13 gennaio 1878: ad esso partecipò anche una rappresentanza del comitato permanente per gli studi ferroviari della provincia di Venezia. Una settimana dopo, a Sansepolcro, si riunirono i soli comuni, umbri e toscani, dell’alta valle del Tevere con l’aggiunta di Perugia. In quella sede fu espressa la convinzione “che il parere della Commissione Governativa non [fosse] affatto decisivo sulla questione, che anzi [fosse] insufficiente ad illuminare il Parlamento, il quale certo si [sarebbe ispirato] agli interessi generali della nazione” e che, quindi, l’impegno in favore della Adriatico-Tiberina andasse quanto mai rafforzato25. D’altro canto una tale speranza si fondava sull’instabilità della scena politica nazionale, sulle evidenti difficoltà con cui la sinistra tentava di porre ordine al problema ferroviario, nel quale si intrecciavano la necessità di realizzare nuove costruzioni e quella di regolare ulteriormente l’esercizio e, non ultimo, sulla politica estera italiana di avvicinamento alle potenze centrali, che dava nuova linfa alla vocazione internazionale della linea26. La fine della sessione parlamentare, prima, e la caduta, poi, del gabinetto Depretis avevano però impedito l’esame del progetto di legge, che tuttavia era stato ripreso, per essere modificato, dal nuovo ministro dei Lavori Pubblici Baccarini.
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Nonostante le aspettative dei perugini27, anche il progetto di legge Baccarini, presentato il 18 maggio 1878, incluse la Firenze-Faenza, pur se la contemporanea nomina di una nuova commissione tecnica sembrò lasciare aperto qualche spiraglio28. Ad ogni modo il mese di maggio del 1878 va ricordato soprattutto per un altro motivo, cioè per il fatto che, per la prima volta, il Consiglio Provinciale dell’Umbria, tenendo fede ad un impegno assunto nell’estate dell’anno precedente, affrontò organicamente il problema ferroviario. Aquila-Rieti, Terni-Rieti-Avezzano, Adriatico-Tiberina, Porto Civitanova-Macerata-Nocera: sono queste le linee da costruire di cui si intendeva discutere. Le prime due, decretate per la prima volta con la legge n. 2279 del 14 maggio 1865 e confermate dalla successiva n. 5858 del 28 agosto 1870, erano state cancellate da Depretis, il quale, mantenendo solo il tronco Terni-Rieti, le aveva sostituite con la Sulmona-Roma-Tivoli. Baccarini le riprendeva, includendole tra le linee di terza categoria, ossia da costruirsi per 8/10 della spesa a carico dello Stato e per il resto a carico delle Amministrazioni provinciali. L’idea di una linea che dal porto di Civitanova, attraverso Macerata, muovesse in direzione dell’Appennino, lungo le valli del Chienti e del Potenza, per poi valicarlo e confluire sulla Ancona-Roma a Nocera, era stata avanzata dalla Provincia di Macerata nel 187129. Successivamente, però, i maceratesi avevano cambiato idea preferendo un semplice tronco da Civitanova a Tolentino. Il cammino dell’Adriatico-Tiberina è sufficientemente noto. Il fatto che si discutesse di più linee contemporaneamente non implicava, però, una visione organica del problema; come sempre il dibattito risentiva della territorialità dei consiglieri. Da parte dei rappresentanti del Ternano e del Reatino, ad esempio, si sollevavano le più decise obiezioni al proseguimento della battaglia per una linea, come l’Adriatico-Tiberina, esclusa addirittura dall’ultimo progetto di legge; al contrario, si insisteva perché tutte le ferrovie destinate ad attraversare, o comunque a beneficiare, la parte meridionale della provincia venissero salvaguardate, compresa la Roma-Sulmona, che pure era in evidente concorrenza con la Terni-Rieti-Avezzano. Emergeva poi, sempre rispetto alla Roma-Venezia, la paura che la Provincia corresse il rischio di imbarcarsi finanziariamente in una impresa negativa analoga a quella sostenuta per la Terontola-Chiusi. In clima del genere qualsiasi tentativo di mediazione, in cerca di una decisione unanime, appariva
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ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1879, deliberazioni della giunta e del Consiglio Comunale di Perugia del 6 e 14 maggio 1878. Crispo, Le ferrovie italiane cit. (a nota 24), pp. 187-190. La commissione, nominata nell’ambito del Genio Civile, aveva il compito di compiere lo studio finale in preparazione della legge, in Giuntini, I progetti ferroviari cit. (a nota 7), p. 422. Si veda Intorno al nuovo progetto di ferrovia dalla stazione del Porto Civitanova-Marche a quella di Foligno nell’Umbria. Relazione della commissione speciale al Consiglio della Provincia di Macerata, Macerata, Mancini, 1871 e Appendice alla relazione della commissione speciale al Consiglio della Provincia di Macerata intorno al progetto di strada ferrata dalla stazione di Porto Civitanova a quella di Nocera per Foligno, Befani, Roma 1871.
Capitolo 3
La ferrovia Arezzo-Fossato L’esclusione della linea adriatico-tiberina dal disegno di legge Baccarini contribuì a riaccendere l’aspirazione, peraltro mai sopita, dell’Eugubino e dell’alta valle del Tevere ad un collegamento longitudinale tra Arezzo e Fossato di Vico; con una nuova consapevolezza però, ovvero che il modo più sicuro per ottenerlo, superando l’ostacolo finanziario contro il quale avevano urtato i precedenti tentativi, fosse quello di battersi per una ferrovia a sezione ridotta. L’iniziativa prese corpo tra la fine di marzo e il luglio 1879, più o meno parallelamente alla discussione in aula della legge; per meglio dire, crebbe con l’aumentare della certezza che la Roma-Venezia non sarebbe stata inclusa nel novero delle linee da concedere. Il 6 luglio, a Firenze, si costituì ufficialmente il comitato promotore della ferrovia Umbro-Aretina a sezione ridotta, che incaricò gli ingegneri Scipione Lapi e Leopoldo Gigli di studiare il tracciato; i due tecnici portarono a termine il progetto con
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Quasi unanimità (19 favorevoli contro 1) ci fu, invece, nel voto con cui si chiedeva il salto di categoria per la Terni-Rieti-L’Aquila. In ACPU, 1878, SS, seduta del 20 maggio, pp. 77-96. Il coinvolgimento dei veneti è testimoniato dalla loro partecipazione a due convegni, il primo tenutosi a Sansepolcro il 30 giugno 1878, il secondo svoltosi a Cesena il 9 marzo 1879. Per i resoconti degli incontri si veda “La Ferrovia Adriaco-Tiberina”, a. I, nn. 15-17, Sansepolcro, 6-15 luglio 1878 e Congresso dei rappresentanti i corpi morali tenuto il 9 marzo 1879 in Cesena per propugnare l’attuazione della ferrovia AdriaticoTiberina, in “Satana”, a. VIII, supplemento al n. 36, Cesena, 19 marzo 1879. Cfr. il documento preparatorio: Congresso per la ferrovia Adriatico-Tiberina, in Id., a. VIII, n. 34, Cesena, 1 marzo 1879. Monti, Origini, fasi e stato cit. (a nota 19), pp. 9-11. Crispo, Le ferrovie italiane cit. (a nota 24), pp. 193 e sgg. Sui successivi avvenimenti che condussero al ripristino del capolinea di Firenze vedi, Giuntini, I progetti ferroviari cit. (a nota 7), pp. 423-425.
Tra istanze territoriali e progetti di respiro internazionale (1876-1885)
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improbo, come dimostra la spaccatura (12 sì contro 7 no) registrata in merito all’opportunità di continuare a sostenere l’Adriatico-Tiberina30. Ad ogni modo si andò avanti, tra speranze e timori. Questi ultimi espressi proprio da colui che per primo l’aveva ipotizzata, Coriolano Monti, il quale, benché non potesse che giudicare favorevolmente il cresciuto coinvolgimento nella campagna del Comune e della Provincia di Venezia31, da lui stesso più volte auspicato, constatava amaramente che il progetto non era riuscito a conquistare ancora il consenso necessario, nè nell’opinione pubblica, né all’interno delle istituzioni32. La legge 29 luglio 1879, n. 5002, a conclusione di un’estenuante discussione parlamentare protrattasi per più di un mese e mezzo, apportò notevoli modifiche al progetto Baccarini, ma non certo tali, come realisticamente previsto da Monti, da includere la Roma-Venezia in una delle tre categorie di linee da realizzare. Tuttavia nemmeno i fiorentini potevano esultare, perlomeno per il momento, visto che la stessa Faentina, sebbene riconosciuta di prima categoria ovvero da costruirsi a intero carico dello Stato, risultava in parte modificata, con la sostituzione di Pontassieve al terminal di Firenze33.
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celerità e accuratezza, tanto che il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici non ebbe alcuna difficoltà ad approvarlo il 21 febbraio 1880 (tav. 13). In questo lasso di tempo il comitato, in trattativa con il governo per l’ottenimento della linea in concessione, si convinse della necessità di farsi sostituire da un consorzio di enti locali. Il ministro, infatti, si era dichiarato disponibile ad includere la linea nei 1.530 chilometri di ferrovie secondarie di 4a categoria concedibili esclusivamente a corpi morali e non a soggetti privati34. D’altra parte segnali confortanti in questa direzione giungevano dalla quasi totalità delle Amministrazioni municipali interessate che, giudicando favorevolmente il progetto, erano disponibili a consorziarsi. Così, nella seduta del 4 aprile 1880, il comitato deliberò la cessione del progetto
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Tav. 13 – Ferrovia a scartamento ridotto Arezzo-Fossato di Vico (1886-1944)
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Si veda l’articolo 10 della legge 5002, 22 luglio 1879, in “Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia”, serie 2a, vol. 57, Stamperia Reale, Roma 1879, p. 1354.
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Ferrovia Umbro-Aretina a sezione ridotta. Relazione del consiglio amministrativo letta nell’assemblea del comitato promotore in Città di Castello il 4 aprile 1880, Lapi, Città di Castello 1880. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1881, seduta del Consiglio Comunale di Città di Castello del 26 aprile 1880. La costituzione del consorzio venne approvata in breve tempo ai termini dell’articolo 44 della legge n. 2248 del 20 marzo 1865 sui lavori pubblici, dalle Deputazioni provinciali di Arezzo (22 giugno) e Perugia (5 luglio). L’approvazione definitiva giungerà con regio decreto 241 del 24 maggio 1881, in “Raccolta ufficiale delle leggi” cit. (a nota 34), serie 3a, vol. 63, Tipografia Regia, Roma 1881, pp. 1382-1383. ASP, PPA1, b. 47, 1, a, Consorzio per la Ferrovia Umbro-Aretina. Adunanza dell’assemblea generale dei delegati del 15 agosto 1880. Si veda regio decreto n. 276 (serie 3a) del 9 giugno 1881 in, “Raccolta ufficiale delle leggi” cit. (a nota 34), vol. 63 cit. (a nota 37), pp. 1666-1685. ASP, PPA1, b. 47, 1, a, Consorzio per la Ferrovia Umbro-Aretina. Adunanza dell’assemblea generale dei delegati del 15 agosto 1880. Cfr. in proposito Giuntini, Leopoldo e il treno cit. (a nota 7), p. 48. Le altre due proposte erano quella dell’ingegnere Camillo Prunieau, residente a Roma e rappresentante della Società d’intrapresa dei lavori con sede a Bruxelles e quella di Luigi Schanzer e Paolo Auban di Milano. Cfr. C.P. Sheibner, All’onorevole assemblea generale del consorzio per la Ferrovia Umbro-Aretina, Lapi, Citta di Castello 1881 e Consorzio per la Ferrovia Umbro-Aretina, Relazione per l’assemblea generale del 15 settembre 1881, Lapi, Città di Castello 1881. ASP, PPA1, b. 47, 1, a, Consorzio per la Ferrovia Umbro-Aretina. Adunanza dell’assemblea generale dei delegati del 15 settembre 1881.
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Lapi-Gigli al Municipio di Città di Castello, promotore del futuro consorzio, senza tuttavia decretare il proprio scioglimento35. L’Amministrazione tifernate agì rapidamente36, anche perché si muoveva su di un terreno già abbondantemente preparato. Costituitosi il consorzio37, la prima assemblea generale dei delegati si tenne a Città di Castello il 15 agosto, con all’ordine del giorno, da un lato, la domanda di concessione e, dall’altro, la ricerca di una società privata in grado di costruire ed esercitare la linea38. Se la risoluzione del primo problema non avrebbe incontrato intoppi rilevanti – la convenzione con il governo fu firmata l’1 giugno 1881 e ratificata il 9 successivo39 –, più tortuoso sarebbe stato il cammino verso la stipula di una subconcessione. Sino dal 17 aprile 1880, ancora prima della costituzione del consorzio, Cherubino Dari, sindaco di Città di Castello e vicepresidente del comitato promotore, si era accordato in via preliminare con l’ingegnere inglese Charles Sheibner40. Successivamente il consorzio, in attesa della concessione governativa, aveva ricevuto altre tre proposte, finendo per preferire quella presentata dal francese barone Moser Dulfus insieme a Sebastiano Fenzi – figlio del noto banchiere Emanuele, uomo ricco e potente e figura di primissimo piano nella vicenda ferroviaria del Granducato41 – e Luigi Alberti di Firenze42. Tuttavia, alla metà di settembre, il nodo era ancora lungi dall’essere sciolto, perché Dulfus non aveva accettato di modificare la sua proposta nel senso indicato dal consorzio e, soprattutto, non aveva versato il milione di lire richiestogli a garanzia del rispetto del proprio impegno. Così, l’assemblea generale dei delegati fu costretta a ripartire da zero, annullando tutti i precedenti accordi, e dando mandato alla Deputazione Amministrativa di aprire un nuovo concorso a trattativa privata43.
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La preoccupazione principale che condizionava il consorzio nelle trattative era quella relativa ai 4/10 del costo di costruzione che – ai termini della legge 29 luglio 1879, ribaditi nella convenzione44 – era tenuto a coprire. Dal momento che il preventivo di spesa – nel progetto Lapi e Gigli – era stato fissato in 5.885.000 lire e che lo Stato si era impegnato a versare a fondo perduto, in dieci rate annuali, a decorrere dall’apertura all’esercizio della linea, la somma di 3.531.000 lire, il consorzio era in cerca di una società che si accollasse la differenza in cambio della cessione dell’esercizio. La trovò, finalmente, nella Società Generale per le Ferrovie Complementari45. Le condizioni offerte dall’impresa romana erano così allettanti e la necessità di accelerare i tempi era tale che nel corso del mese di ottobre si andò, rapidamente, alla stipula del contratto di sub-concessione. La società, oltre ad assumere la costruzione della linea, in cambio della cessione dell’esercizio per l’intero periodo di durata della concessione governativa, pari a 90 anni, e del suolo stradale, si accollava tanto il pagamento dei 4/10 della spesa, quanto il costo degli interessi sull’anticipazione del contributo governativo; inoltre si obbligava a cedere al consorzio il 15% del prodotto lordo di esercizio eccedente lire 10.000 al chilometro. Tra i restanti articoli del contratto degni di nota v’era quello per il quale la compagnia si impegnava ad utilizzare per i lavori di costruzione ed esercizio manodopera residente nei comuni consorziati e l’altro con cui la stessa “si riserva[va] il diritto di costituire in ogni tempo una speciale società anonima per la ferrovia [in] oggetto [che] avrà un capitale proporzionato all’entità dell’impresa ed avrà il diritto di emettere obbligazioni”46. La ratifica governativa all’accordo, però, tardava ad arrivare perché il Ministero dei Lavori Pubblici insisteva affinché, per mantenere intatto lo spirito della legge 5002 che rendeva vincolante la partecipazione alla spesa degli enti morali, fosse stipulato fra i contraenti un atto suppletivo, nel quale si stabilisse che qualsiasi risparmio nella spesa di costruzione dovrà per 6/10 andare a profitto dello Stato, non potendo assolutamente ammettersi che la diminuzione di costo effettivo dell’opera, in confronto alla somma peritale, vada ad esclusivo beneficio del consorzio47. 44
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Cfr. gli articoli nn. 11 e 18 della legge n. 5002 del 1879 in “Raccolta ufficiale delle leggi” cit. (a nota 34), vol. 57 cit. (a nota 34), pp. 1355 e 1383 e l’articolo n. 2 della Convenzione per la concessione della costruzione e dell’esercizio di una ferrovia a sezione ridotta da Arezzo a Fossato, in “Raccolta ufficiale delle leggi” cit. (a nota 34), vol. 63 cit. (a nota 37), p. 1669. La società, con sede a Roma, si era costituita il 18 maggio 1881; l’atto costitutivo era stato, poi, riconosciuto con regio decreto del successivo 20 giugno. In ACS, MAIC, Direzione Generale del Credito e della Previdenza. “Industrie, Banche, Società” (d’ora in avanti Industrie, Banche, Società), b. 261, fasc. 1460, adunanza generale dei sottoscrittori di azioni della Società Generale per le Ferrovie Complementari del 17 maggio 1881; atto costitutivo del 18 maggio; e, inoltre, Società Generale per le Ferrovie Complementari, Statuto, Salviucci, Roma 1881. ASP, PPA1, b. 47, 1, a, Consorzio per la Ferrovia Umbro-Aretina. Subconcessione della costruzione e dell’esercizio della Ferrovia Umbro-Aretina: consorzio a favore Società Ferrovie Complementari. Atto stipulato il 18 ottobre 1881. Si veda, in particolare, l’articolo 14. Ivi, nota della Direzione Generale delle Strade Ferrate al prefetto dell’Umbria del 20 gennaio 1882.
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Anche la nuova società, riconosciuta con regio decreto del 13 ottobre 1882, aveva sede legale a Roma. Al momento della sua costituzione le Complementari sottoscrissero 6.500 azioni su un totale di 16.000. In ACS, MAIC, Industrie, Banche, Società, b. 260, fasc. 1456, processo verbale dell’assemblea generale degli azionisti per la costituzione della Società per le Ferrovie dell’Appennino Centrale del 15 luglio 1882; atto costitutivo; e, inoltre, Società per le Ferrovie dell’Appennino Centrale, Statuto, Armanni, Roma 1882. ASP, PPA1, b. 47, 1, a, Consorzio per la Ferrovia Umbro-Aretina. Adunanza dell’assemblea generale dei delegati del 30 agosto 1883. Ivi, Subconcessione della costruzione ed esercizio della Ferrovia Umbro-Aretina: Consorzio a favore della Società per le Ferrovie dell’Appennino Centrale. La clausola in questione è contenuta nell’articolo 8. Ivi, nota della Direzione Generale delle Strade Ferrate al prefetto dell’Umbria del 13 agosto 1885. M. Garzi e P. Muscolino, La ferrovia dell’Appennino Centrale. Linea Arezzo-Fossato, Calosci, Cortona 1981, p. 56. In generale, sull’andamento dei lavori, Ivi, pp. 56 e sgg.
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La soluzione a questo nuovo problema si trovò nel momento in cui, dal seno stesso della Società Generale per le Ferrovie Complementari, si costituì, il 15 luglio 1882, la Società per le Ferrovie dell’Appennino Centrale48. Il rapporto di filiazione con le Complementari, il legame di entrambe con la Societè Belge des Chemins de Fer, l’obiettivo dichiarato della nuova società di costruire una vera e propria rete appenninica e, infine, il mantenimento delle precedenti condizioni contrattuali furono tutti elementi che contribuirono a convincere facilmente l’assemblea generale dei delegati dell’opportunità di rescindere il contratto con le Complementari e stipularne uno nuovo con la neonata società49. Entrambi questi atti vennero sottoscritti a Città di Castello il 2 giugno 1884. Il testo della nuova intesa, per il resto identico al precedente, conteneva in più la clausola, imposta dal governo, relativa alla ripartizione degli eventuali risparmi sul preventivo di spesa50. Il rapporto di dipendenza che legava la società concessionaria al gruppo belga venne esplicitato il 29 aprile dell’anno successivo, allorché la prima cedette al secondo il credito rappresentato dal contributo statale51. Questo gioco di scatole cinesi non impedì, tuttavia, l’avvio dei lavori, il cui termine era stato fissato in cinque anni a decorrere dalla data della concessione governativa e che la Società per le Ferrovie dell’Appennino aveva, seppure di poco, ulteriormente accorciato, impegnandosi ad attivare la linea entro il mese di aprile del 1886. Il compito venne affidato all’impresa Martini e Lattanzi, di Roma, chiamata ad operare in tempi assai ristretti. Si procedette a ritmo frenetico, “anche nelle più avverse condizioni atmosferiche”52, al punto che uno dei titolari, l’ingegnere Bernardino Lattanzi, febbricitante, vi perse la vita. Ma non fu il solo. Al pari di tanti altri cantieri ferroviari anche quello della Arezzo-Fossato ebbe le sue morti bianche: il 23 marzo, a causa di uno smottamento nella valle del Cerfone morirono due operai, Domenico Tribolini e Angelo Morelli. Nonostante l’impegno profuso la scadenza prevista non venne rispettata: il 5 aprile 1886 fu attivato il solo tronco da Fossato a Città di Castello di 73 chilometri; l’1 maggio i binari, per altri 22 chilometri, giunsero sino ad Anghiari; ma per stendere gli ultimi 39 chilometri fino ad Arezzo – i più difficoltosi per la presenza di 21 delle 23 gallerie dell’intera linea e delle opere d’arte in muratura più laboriose – si dovette attendere il 16 agosto53.
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Ferrovie economiche e tramvie
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La costruzione dell’Arezzo-Fossato è, quindi, un esempio di ferrovia voluta “dal basso”, nel quale il ruolo delle élites locali è risultato decisivo. Furono soprattutto il tempismo e il realismo con cui esse sfruttarono al meglio le potenzialità offerte dalla nuova legge per il completamento della rete ferroviaria a consentire loro di dare corpo ad aspirazioni territoriali convergenti. È, inoltre, un’esperienza alla quale sin dall’inizio, dalla ricordata costituzione del comitato promotore il 6 luglio 1879 a Firenze, Perugia guardò con attenzione e preoccupazione. Anche nel capoluogo umbro l’insuccesso dell’Adriatico-Tiberina favorì il ritorno in auge di ipotesi assai meno ambiziose, come quella di una ferrovia a sezione ridotta per l’alto Tevere, suggerita circa un decennio prima dagli ingegneri Monaldi, Pasta e Santini54. Così la notizia dell’incontro di Firenze indusse la Giunta Municipale a nominare una commissione con il compito di studiare, avvalendosi dell’opera dell’ingegnere capo Alessandro Arienti, il modo per collegarsi lungo il Tevere alla ferrovia che si andava progettando, che, diversamente, sarebbe risultata “dannosissima” per la città e il territorio di Perugia55. L’iniziativa perugina trovò immediato consenso a Umbertide – luogo deputato a divenire punto di congiunzione tra le due linee, il cui Municipio si impegnò a compiere gli studi per il tratto compreso nel suo territorio – ed a Città di Castello56. Non solo, ma inevitabilmente attirò l’attenzione anche di quegli imprenditori che si andavano muovendo attorno al comitato alto-tiberino, come Charles Sheibner, il quale, tra gennaio e aprile 1880, scrisse un paio di volte al sindaco del capoluogo, sottoponendogli la sua intenzione di costruire ed esercitare, analogamente all’Arezzo-Fossato, una linea da Umbertide a Perugia, con la possibilità di proseguire, via Todi, sino a Terni, a condizione che la Provincia s’impegnasse a rimborsargli il capitale impiegato in ragione del 5% annuo57. La proposta di Sheibner non lasciò insensibile l’Amministrazione perugina, che, preso atto del completamento degli studi relativi alla Umbertide-Perugia, stabilì di promuovere un consorzio tra i Comuni interessati58. Tuttavia in una fase come questa, in cui i progetti più ambiziosi avevano lasciato il posto a soluzioni maggiormente realistiche, a fianco dell’idea di costruire ferrovie a sezione ridotta prese corpo quella di realizzare, più semplicemente, tramvie. All’inizio dell’estate la Deputazione Provinciale dell’Umbria ricevette, da parte del marchese Napoleone Portalupi d’Albavilla, la richiesta di concessione per l’impian-
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Progetto di ferrovia economica per la valle dell’alto Tevere da Ponte San Giovanni a Borgo Sansepolcro, Santucci, Perugia 1868. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1881, delibera della Giunta Municipale di Perugia del 9 luglio 1879. Ivi, note del sindaco di Umbertide del 31 ottobre 1879 e del sindaco di Città di Castello del 24 gennaio 1880 al sindaco di Perugia. Ivi, lettere di Sheibner al sindaco di Perugia del 27 gennaio e 29 aprile 1880. Ivi, deliberazione del Consiglio Comunale di Perugia del 15 giugno 1880.
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ACPU, 1880, relazione della Deputazione sulla gestione 1879-80, pp. 221-222. Ivi, SO, seduta dell’8 settembre, pp. 125-49 e in particolare pp. 142-143.
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to di tre tramvie: la prima da Rieti a Passo Corese, la seconda da Terni a Todi, con la possibilità di proseguire sino a Perugia, l’ultima da Terni a Norcia. L’offerta si presentava molto vantaggiosa per l’Amministrazione Provinciale, chiamata soltanto a concedere l’utilizzo del suolo stradale dove le tramvie sarebbero state impiantate. Ottenuto l’assenso della quasi totalità dei Municipi interessati (trentasette contro tre), la Deputazione incaricò il proprio Ufficio Tecnico di preparare uno schema di capitolato59. Di ferrovie economiche e tramvie si discusse, finalmente, in Consiglio Provinciale nella seduta dell’8 settembre 1880. All’ordine del giorno, oltre alla domanda di Portalupi d’Albavilla, la proposta di Sheibner, la richiesta di adesione al costituendo consorzio per la ferrovia a scartamento normale Rieti-Passo Corese e quelle di un contributo economico inoltrate tanto dal consorzio per la Arezzo-Fossato, quanto dal Municipio di Perugia in qualità di promotore di un consorzio per la UmbertidePerugia. Nonostante la Deputazione spingesse decisamente in favore dell’ipotesi tranviaria, in sede di dibattito si verificò una prima contrapposizione tra i sostenitori dei due diversi sistemi di trasporto: se da parte dei rappresentanti del capoluogo si pensava ad un unico sistema di collegamento per l’intero territorio provinciale, che potesse essere assicurato da linee a scartamento ridotto, non mancavano quei mandamenti, è il caso di Todi, che, sensibili sopra ogni cosa alla crisi economica che li colpiva, intravedevano nella tramvia il sistema più semplice ed immediato per ravvivare gli scambi, senza dover assumere alcun impegno di spesa. In merito alla duplice richiesta di sussidio la Deputazione riteneva che l’ArezzoFossato e la Umbertide-Perugia potessero essere utili alla provincia solo se prese nel loro insieme, poiché la realizzazione della sola prima avrebbe finito per provocare un’ulteriore danno alla già penalizzata Terontola-Foligno. In seguito a tali considerazioni, condivise dall’assemblea, sia Cherubino Dari, per il consorzio ArezzoFossato, che il sindaco di Perugia Ulisse Rocchi ritirarono le rispettive domande, dopodiché il Consiglio concesse l’occupazione del suolo stradale per entrambe le ferrovie. Per il resto, la proposta di Sheibner venne ignorata, ogni giudizio sulla Rieti-Corese sospeso in attesa che si costituisse legalmente il consorzio, la trattativa con Portalupi d’Albavilla autorizzata “escluso per altro ogni concorso o sussidio della Provincia”60. In sostanza l’ennesima mediazione a livello provinciale si risolse nella possibilità per entrambi i disegni – ferrovia e tramvia – di proseguire. Il loro avanzare contemporaneo rende complicata la ricostruzione di ciò che avvenne nei mesi successivi che, ad ogni modo, sembrano caratterizzarsi, soprattutto, per l’attività dell’Amministrazione perugina, che mirava a collegarsi sia all’alta che alla bassa valle del Tevere. È bene chiarire subito che la promozione del consorzio per la Umbertide-Perugia
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fallì miseramente, al punto che la Deputazione Provinciale, l’11 dicembre, fu costretta a non autorizzarne la costituzione. Il progetto attorno al quale si cercava il consenso – steso per il tratto compreso nel comune di Perugia (26 km) da Alessandro Arienti e per quello entro il comune di Umbertide (7 km) dagli ingegneri Giuseppe Santini e Gustavo Scagnetti – prevedeva il passaggio, anziché lungo il Tevere, per via interna, lungo le falde del monte Tezio. Un percorso ideato, sin troppo esplicitamente, a vantaggio degli abitanti del capoluogo: a partire dal capolinea di Fontivegge ben due erano le fermate urbane previste, l’una a porta Santa Croce, l’altra a piazza Grimana, mentre nel prosieguo del cammino, per ammissione dello stesso Arienti, non si incontravano località di “grande interesse”61 (tav. 14).
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Municipio di Perugia, Sulla ferrovia a binario ridotto Perugia-Umbertide, Boncompagni, Perugia 1880, p. 14.
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Ivi, p. 12. La convenzione viene stipulata il 22 ottobre 1880, vedi ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1881. Ivi, verbale della riunione della Giunta Municipale di Perugia del 13 dicembre 1880. Ivi, verbale (a stampa) dell’adunanza della Deputazione Provinciale dell’11 dicembre 1880. Ivi, verbale dell’adunanza dei sigg.ri sindaci interessati nel consorzio per la costruzione della ferrovia PerugiaUmbertide tenutasi in Perugia il 19 dicembre 1880 e nota del prefetto al sindaco di Perugia del 25 marzo 1881. Ivi, lettera circolare di Sheibner del 2 ottobre 1880. Ivi, note circolari del sindaco di Perugia del 29 ottobre e 20 novembre 1880.
Tra istanze territoriali e progetti di respiro internazionale (1876-1885)
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Per l’ingegnere comunale la via tiberina non era funzionale ad una ferrovia economica, il cui obiettivo principale doveva essere quello di favorire le comunicazioni locali e, nella fattispecie, di collegare, nel modo più semplice ed immediato, il capoluogo all’Arezzo-Fossato e, per mezzo di essa, ai territori dell’alto Tevere e dell’Eugubino. Ma tali considerazioni, unite ad un preventivo di spesa, “senza dubbio rispettabile”62, di circa due milioni di lire, non riuscirono gradite alle tredici Amministrazioni municipali chiamate a concorrere. Né la situazione mutò quando, a seguito della stipula di una convenzione preliminare con Sheibner63, il Comune di Perugia stilò una nuova tabella di riparto con quote assai più contenute. Alla fine, nonostante il progetto avesse ricevuto anche l’approvazione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici64, soltanto quattro Municipi – Umbertide, Città di Castello, Citerna e Deruta – dichiararono la propria disponibilità, peraltro condizionata, ad aderire al consorzio: un insuccesso incontrovertibile, di cui la Deputazione Provinciale non poté che prendere atto65. A nulla valse, infine, il ricorso che, contro questa decisione, il Comune di Perugia intentò al governo66. Simultaneamente ai passi appena ricordati, gli amministratori del capoluogo si mossero anche in direzione della bassa valle del Tevere, con l’intenzione di dar vita ad un consorzio per una linea, sempre a scartamento ridotto, che da Perugia si dirigesse a Terni, toccando Marsciano e Todi. Qui però c’era da fare i conti con la proposta di tramvia di Portalupi d’Albavilla, che sembrava riscuotere un discreto successo. In verità, la prima mossa concorrenziale all’ipotesi tranviaria la compì Sheibner, informando i sindaci interessati, all’inizio di ottobre 1880, di aver richiesto al Ministero dei Lavori Pubblici la concessione per la costruzione ed esercizio di una linea a sezione ridotta da Perugia a Terni, via Todi ed Acquasparta67. L’iniziativa perugina è di poco successiva, ma la risposta che giunse dai Municipi interpellati fu ben poco confortante. Per cercare di strappare qualche consenso il sindaco Rocchi ricorse a tutte le argomentazioni possibili, mettendo in evidenza tanto la compatibilità dei due sistemi – in proposito rese nota la disponibilità della sua Amministrazione a concedere a Portalupi l’occupazione del suolo stradale comunale – quanto la superiorità di quello ferroviario, che avrebbe consentito anche il trasporto delle merci e, soprattutto, permesso di creare un’unica rete provinciale in unione con la Arezzo-Fossato e la Perugia-Umbertide68. Intanto, però, la soluzione tranviaria appariva vicina a concretizzarsi; infatti nel
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corso del mese di dicembre la trattativa tra l’Amministrazione Provinciale e Portalupi sfociò nella sottoscrizione di una convenzione preliminare e di un capitolato d’oneri per la costruzione delle tramvie Terni-Ferentillo, da proseguirsi sino a Norcia, e Perugia-Ponte San Giovanni-Marsciano-Todi-Terni69. Proprio al fine di mutare tali accordi in una concessione definitiva il Consiglio Provinciale fu chiamato a riunirsi in sessione straordinaria il 17 marzo 1881. All’ordine del giorno v’era, tuttavia, anche un’istanza del Comune di Deruta, che chiedeva la sospensione di ogni deliberazione in merito alla concessione di tramvie, in attesa dell’esito di una riunione, da esso stesso promossa, dei sindaci della intera valle del Tevere. Questo piccolo centro posto alla sinistra del Tevere, poco più a sud del piano dove la valle Tiberina incontra quella Umbra, intendeva svolgere un ruolo non marginale nella questione in virtù della competenza ed autorevolezza dell’ingegnere Claudio Cherubini, consigliere comunale, già intervenuto nel dibattito relativo all’Adriatico-Tiberina70, e destinato a ricoprire un ruolo di primo piano nel prosieguo della vicenda ferroviaria regionale. Il Comune di Deruta era stato chiamato ad aderire al consorzio per la Umbertide-Perugia e, ovviamente, la sua risposta era stata negativa71; in un secondo momento, però, temendo l’affermazione della proposta Portalupi di una tramvia lungo la riva destra del Tevere, era tornato sui suoi passi, dichiarando la propria disponibilità, a patto che il capoluogo si fosse fatto promotore, nello stesso tempo, di una linea ferroviaria a sezione ridotta Perugia-TodiTerni da condurre lungo la riva sinistra del fiume. Il passo ulteriore, protagonista Cherubini, era stato quello di lanciare, nel corso della seduta straordinaria del Consiglio Comunale del 16 febbraio 1881, l’idea di un unico consorzio per una linea economica da Umbertide a Terni, giudicata la sola in grado di soddisfare gli interessi dell’intera provincia. Il tracciato, nel tratto da Umbertide a Perugia (Fontivegge) avrebbe dovuto, nella sostanza, ricalcare quello indicato da Arienti; per il tratto Fontivegge-Ponte San Giovanni si sarebbero potuti tranquillamente inserire i nuovi binari all’interno di quelli della Terontola-Foligno, una linea da considerare, ormai, marginale; infine – ed è questo l’elemento che stava più a cuore all’Amministrazione di Deruta – a partire da Ponte San Giovanni il percorso avrebbe dovuto condursi lungo la riva sinistra del Tevere, toccando Torgiano, Deruta e Todi, per poi proseguire per Collevalenza, Acquasparta, Cesi, Terni (tav. 14). La superiorità della via di sinistra veniva dimostrata sia sul piano tecnico – necessità di soli due ponti anziché tre – sia su quello della potenziale redditività della linea, tenendo conto sia del bacino di utenza che del flusso delle merci. Una superiorità in grado di conservarsi anche di fronte all’imporsi dell’ipotesi tranviaria, in virtù
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ACPU, 1881, pp. 57-80. Si veda, tra gli altri, C. Cherubini, I pregi militari della ferrovia Adriatico-Tiberina, in “La Ferrovia AdriaticoTiberina”, I, 19, 27 luglio 1878. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1881, verbale (a stampa) dell’adunanza della Deputazione Provinciale dell’11 dicembre 1880, p. 11.
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C. Cherubini, Discorso in ordine ai progetti di ferrovie economiche e di tramvia per la valle Tiberina, Sgariglia, Foligno 1881. ACPU, 1881, SS, seduta del 17 marzo, pp. 19-45. Ottavio Coletti (Terni 14 novembre 1823, Terni 13 gennaio 1894), capitano del Genio, partecipe in prima persona delle guerre risorgimentali, ricoprì elevate cariche amministrative comunali e provinciali. Come ingenere comunale si impegnò a fondo nella risoluzione dei problemi relativi alla crescita urbana di Terni, effetto dei nuovi insediamenti industriali; si veda G. Giani, Terni. Cento anni d’acciaio. Bibliografia dell’industrializzazione, Sigla Tre, Perugia 1984, pp. 51-54. La sua azione in favore dello sviluppo ferroviario dell’Umbria fu di assoluta rilevanza, come testimoniano i suoi numerosi scritti: O. Coletti, Nuovo sistema di conche per locomozione con applicazione speciale al solo trasporto di merci lungo il piano inclinato dei Giovi presso Genova e alla salita delle Marmore, Dalmazzo, Torino 1862; Id., Rivendicazione di diritti sul progetto ferroviario da Terni a Roccasecca pubblicato dal generale Filippo Cerroti deputato al Parlamento nazionale, Pallotta, Roma 1873; Id., Seconda protesta contro il generale Filippo Cerroti per la rivendicazione dei suoi diritti sugli studi della ferrovia Terni-Roccasecca, Pallotta, Roma 1873; Id., Ferrovia da Cesena ad Arezzo per le valli del Savio e del Corsalone. Progetto studiato nel 1874 a cura del Municipio d Cesena pel nuovo valico dell’Appennino fra Porretta e Fossato, Collini, Cesena 1878; Id., Calcoli e confronti fra le linee di Forlì-Arezzo, Cesena-Arezzo, Cesena-Perugia che concorrono a comporre la direttissima Roma-Venezia. Relazione, Vignuzzi, Cesena 1890.
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della facoltà di utilizzare il piano della strada provinciale. Su tale proposta Cherubini aveva raccolto il consenso unanime del Consiglio Comunale che, dopo aver dato mandato al sindaco di promuovere l’iniziativa, aveva stabilito di inoltrare alla Deputazione Provinciale l’istanza sospensiva72. Il dibattito che si sviluppò in sede di Consiglio Provinciale risultò fortemente influenzato dalla richiesta del Municipio di Deruta e più che entrare nel merito del preaccordo stipulato con Portalupi, si giocò tutto sullo scontro tra i sostenitori della ferrovia economica e quelli della tramvia. Tra i primi ad accogliere favorevolmente la proposta sospensiva, oltre, ovviamente, ai perugini Ulisse Rocchi e Reginaldo Ansidei, vi furono alcuni consiglieri eletti nei Mandamenti di Città di Castello e Umbertide. All’opposto si collocarono coloro che rappresentavano gli interessi di Todi e Terni73. Si delineò, insomma, una contrapposizione tra i territori dell’alta e bassa valle del Tevere che, al di là dello specifico relativo al sistema di trasporto, testimoniava una divergenza di interessi che il capoluogo faceva fatica a ricomporre, essendo il frutto di equilibri ormai consolidati. Il lungo cammino – saranno necessari più di trent’anni – che condurrà alla posa dei binari lungo il Tevere sarà proprio caratterizzato dal continuo tentativo di raccordo, di mediazione degli interessi contrapposti, operato dal capoluogo al fine di dare corpo ad una centralità altrimenti riconosciuta, e non senza difficoltà, sul solo piano amministrativo. Ad ogni modo il Consiglio Provinciale finì per votare una sospensione di due mesi, utile a sondare i Municipi e, soprattutto, ad individuare una soluzione che fosse bene accetta dalla maggioranza degli stessi. Osservando il periodo delle “consultazioni”, durante il quale incontri, ufficiali e non, si susseguirono senza sosta, i diversi interessi in campo si chiariscono ancora meglio. Ad esempio, che la Deputazione Provinciale – al cui interno emergeva la figura dell’ingegnere Ottavio Coletti74, consigliere comunale a Terni –, al di là delle dichiarazioni di neutralità,
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premesse decisamente per la soluzione tranviaria, lo si capisce fin troppo bene dalla tempestività con cui, a soli dodici giorni dall’assise consiliare, convocò i sindaci dei comuni interessati alla linea Perugia-Todi-Terni. Affermando di non mirare ad alcun obiettivo se non a quello di “chiarire le idee circa la concessione di tramvie nella provincia”75, essa puntava a fare leva sulla preoccupazioni finanziarie dei convenuti, evidenziando i rischi connessi alla costituzione di un consorzio che divenisse concessionario di una ferrovia economica; e poteva farlo con cognizione di causa, quindi con successo, perché era ancora in piedi la questione del riscatto della bretella Terontola-Chiusi. A questo disegno non intendevano allinearsi le Amministrazioni di Perugia e Deruta che promossero un ulteriore incontro, per il 27 aprile a Todi, nel corso del quale il sindaco perugino sottopose all’attenzione dei presenti gli studi di massima, portati a termine dall’ingegnere comunale Arienti, per una linea a sezione ridotta di circa 80 chilometri, realizzabile con una spesa di poco inferiore ai quattro milioni di lire. Le reazioni, però, furono estremamente negative – in particolare quella del sindaco di Todi, il quale, pur lodando le capacità dell’ingegnere perugino, definì il progetto “destituito di ogni fondamento di accettazione e di esecuzione”76 – e la proposta venne rigettata. L’altro grande sostenitore della tramvia, il Comune di Terni, rifiutò addirittura di partecipare all’adunanza. Nonostante non fosse riuscita a far breccia nel muro innalzato dai suoi oppositori l’azione perugina proseguì e, sulla base del progetto Arienti, la Giunta Municipale si apprestò a promuovere il consorzio77. La nuova riunione del Consiglio Provinciale, il 6 giugno, giunse quindi in una situazione in cui le contrapposizioni erano ancora più nette che in marzo78. La relazione della Deputazione evidenziò che solo Deruta e Perugia si erano opposte alla definizione dell’accordo con Portalupi, ma, mentre il rifiuto della prima veniva giudicato frutto esclusivo del municipalismo e, pertanto, facilmente riassorbibile con la realizzazione di una semplice diramazione che tenesse conto delle esigenze espresse, il secondo diniego non poteva essere trascurata. Ciò nonostante, le obiezioni espresse dall’Amministrazione del capoluogo, secondo il parere della Deputazione, non reggevano alla prova dei fatti; innanzi tutto perché i due sistemi di trasporto andavano sempre più somigliandosi e le tramvie potevano benissimo assicurare il trasporto merci; ma, soprattutto, perché l’obiettivo dichiarato dai perugini di migliorare il collegamento del capoluogo e dell’alta valle del Tevere
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Amministrazione Provinciale dell’Umbria, Tramvia Perugia-Todi-Terni. Processo verbale dell’adunanza del 29 marzo 1881 dei sindaci dei comuni interessati, Boncompagni, Perugia 1881, p. 2. Municipio di Deruta, Processo verbale dell’adunanza dei sindaci dei Comuni interessati nei progetti di ferrovia o di tramvia per la linea Perugia-Todi-Terni, Santucci, Perugia 1881, p. 11. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1881, delibera del Consiglio Comunale di Perugia del 13 maggio 1881. ACPU, 1881, SS, sedute del 6 e 7 giugno, pp. 96-123 e 126-149.
Capitolo 3
Il ritorno dell’Adriatico-Tiberina Uno degli elementi a proprio sostegno al quale i fautori della tramvia PerugiaTodi-Terni ricorrevano abitualmente era che, a differenza della ferrovia a binario ridotto, essa non avrebbe compromesso la possibilità di veder realizzata in futuro la Roma-Venezia. Un progetto, questo, che dopo la bocciatura registrata con la legge del 29 luglio 1879, tornò a far discutere alla fine del 1881, in seguito all’interessamento della ditta Trezza di Verona. La proposta della società prevedeva la costituzione di un consorzio interprovinciale che richiedesse la concessione al
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L’atto fu sottoscritto il 12 luglio 1881. In ACPU, 1881, relazione della Deputazione Provinciale sulla gestione 1880-81, p. 233. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1881, carteggio vario relativo alla duplice trattativa, tra il Comune e le due società in questione, in atto tra giugno 1881 e febbraio 1882. ACPU, 1883, relazione della Deputazione Provinciale sulla gestione 1882-83, p. 231.
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con la città di Terni veniva disconosciuto da quest’ultima che giudicava a ciò sufficiente la linea esistente. La difesa degli interessi di Perugia fu affidata al sindaco Rocchi e a Reginaldo Ansidei, ma a nulla servì insistere sull’isolamento che la città avrebbe rischiato anche in conseguenza del fallimento del consorzio per la linea di congiunzione con l’Arezzo-Fossato; né l’evidenziare che la ristrettezza demografica della provincia avrebbe dovuto indurre alla scelta di un mezzo di locomozione maggiormente adatto al traffico delle merci. Il fatto è che un simile appello poteva suscitare ben pochi entusiasmi in territori che, a differenza del Perugino, erano totalmente privi di comunicazioni ferro-tranviarie. Come non comprendere la preoccupazione sabina di vedere sfumare, dopo tante illusioni e delusioni, una soluzione, seppur di ripiego, finalmente concreta? Niente, perciò, riuscì ad incrinare la coalizione tranviaria che ottenne il via libera alla stipula della concessione definitiva con Portalupi per le tramvie, Terni-Ferentillo-Norcia, Rieti-Passo Corese e Perugia (Ponte San Giovanni)-Marsciano-Todi-Terni79. Non si arrese, però, il capoluogo, che continuò a lavorare all’ipotesi della ferrovia economica, cercando società private disposte ad accollarsene la costruzione e l’esercizio. Prima la ditta Anaclerio di Napoli, poi la Società Generale per le Ferrovie Complementari: trattative che condussero anche ad intese preliminari, ma che finirono, inevitabilmente, in fumo80. Senonché, anche quella che appariva come un’impresa già realizzata era destinata al fallimento. Il 20 aprile 1883, alla scadenza di una proroga di tre mesi per il termine dei lavori, concessa a Portalupi quando già era trascorso oltre un anno dalla firma della convenzione definitiva e niente era stato fatto, la Deputazione Provinciale fu costretta a dichiarare nullo l’impegno81.
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governo ai termini delle leggi del 29 luglio 1879 e 5 giugno 188182. Su iniziativa delle Province di Venezia e Ravenna, il 25 maggio del 1882, si tenne a Roma una conferenza a cui presero parte rappresentanze delle Province di Venezia, Rovigo, Ravenna, Forlì, Pesaro, Perugia e dei Municipi di Cesena e Borgo Sansepolcro e che si concluse con la stesura di uno schema di convenzione in base al quale, una volta ottenuta la concessione governativa – alle condizioni previste per le ferrovie economiche, ovvero con il concorso dello Stato per i 6/10 della spesa – il consorzio interprovinciale avrebbe affidato a Trezza la costruzione della linea in cambio della cessione dell’esercizio per un dato numero di anni83. Al di là della perplessità che nutriva in ordine al fatto di richiedere in concessione una linea di interesse nazionale alle condizioni previste per una ferrovia locale, l’Amministrazione Provinciale umbra giudicò eccessivo l’ammontare del preventivo di spesa, al punto da astenersi dall’aderire al consorzio84. Un timore che svanì allorché il comitato promotore stipulò un nuovo accordo con l’impresa veneta in base al quale il costo della linea si ridusse di un sesto, passando da circa 250 a poco più di 208 milioni di lire; restava però intatta la perplessità sul fatto che una linea del genere potesse essere ottenuta in concessione al pari di una ferrovia economica85. Dopo l’assenso dei diversi Consigli provinciali il processo subì una forte accelerazione: il 14 dicembre 1883, a Roma, si costituì il consorzio, con sede presso la locale Deputazione Provinciale, e si nominò un comitato esecutivo; nel febbraio successivo il presidente del comitato, senatore Gaspare Finali, diede notizia che la domanda di concessione era stata inoltrata; il 20 marzo si tenne sempre a Roma una riunione di parlamentari che si chiuse con l’impegno a battersi in favore della linea; all’inizio di maggio il comitato esecutivo inviò al governo una memoria nella quale si rammentavano tutte le promesse fatte in passato. A questo punto, però, si verificò un primo arresto, poiché, contrariamente a quanto auspicato, nel corso delle discussione parlamentare sul bilancio del Ministero dei Lavori Pubblici, il tema dell’Adriatico-Tiberina non fu neppure sfiorato86. Si trattò di un campanello d’allarme che lasciava presagire il peggio anche rispetto al futuro dibattito sulle convenzioni regolatrici l’esercizio dell’intera rete ferroviaria italiana, già stipulate il 23 aprile 188487, e che indusse il consorzio a convo-
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Sulle modifiche di tipo tecnico e finanziario che la legge 5 giugno 1881, n. 240, apportò alla precedente 5002 si veda Crispo, Le ferrovie italiane cit. (a nota 24), pp. 201 e 221. ACPU, 1882, SS, seduta dell’11 dicembre, pp. 133-135. Ivi, seduta dell’14 dicembre, pp. 222-234. Ivi, 1883, SS, seduta del 20 marzo, pp. 21-31. Anche in, Amministrazione Provinciale dell’Umbria, Sul consorzio per la Ferrovia Adriatico-Tiberina. Relazione della commissione consiliare adottata dalla Deputazione Provinciale, Boncompagni, Perugia 1883. ACPU, 1884, relazione della Deputazione Provinciale sulla gestione 1883-84, pp. 257-67. Si veda, inoltre, Comitato Esecutivo del Consorzio per la Ferrovia Adriatico-Tiberina, Memoria per la strada Ferrata AdriaticoTiberina, Lapi, Città di Castello 1884. Crispo, Le ferrovie italiane cit. (a nota 24), p. 213.
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Ferrovia Adriatico-Tiberina. Congresso tenuto in Perugia il giorno 10 giugno 1884, Boncompagni, Perugia 1884, p. 7. Ferrovia Adriatico-Tiberina. Congresso tenuto in Venezia il giorno 17 novembre 1884, Antonelli, Venezia 1885, p. 12 Ivi, p. 16. Crispo, Le ferrovie italiane cit. (a nota 24), pp. 212 e sgg. Mioni, Le trasformazioni territoriali cit. (a nota 2), p. 104.
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care un congresso a Perugia per il 10 giugno. Un’occasione, in generale, per ribadire l’importanza della linea Adriatico-Tiberina, per rinnovare la mobilitazione dei parlamentari in sua difesa; ma anche, per la Deputazione Provinciale umbra, una cassa di risonanza per amplificare il disagio per l’assetto ferroviario del proprio territorio. Era opinione diffusa che senza la realizzazione della grande arteria tiberina “le molte agevolezze che la legge sulle ferrovie complementari accorda[va] ai Comuni e Provincie, non val[essero] che a creare delle fatali illusione, [allontanando l’Umbria] sempre più da quell’assetto definitivo della rete principale al quale [aveva] diritto d’aspirare”88. In sostanza, si era perfettamente consapevoli che la costruzione di ferrovie economiche avrebbe acquistato ben altro spessore in raccordo ad una linea di tale respiro. Gli ostacoli che bloccavano il cammino della ferrovia erano, essenzialmente, di natura procedurale e finanziaria: non convincevano il dicastero dei Lavori Pubblici né la singolare richiesta di avere in concessione una linea di primaria importanza a condizioni proprie delle ferrovie economiche, né la spesa prevista, giudicata eccessiva. Inoltre la si riteneva potenzialmente alternativa alle longitudinali tirrena e adriatica89. Tutto questo senza contare le divergenze che si manifestavano all’interno del fronte dei sostenitori e che il successivo congresso, tenutosi a Venezia l’11 novembre, rese palesi. Lo spettro delle posizioni era ampio e andava da chi, come la Deputazione Provinciale umbra, propose un ordine del giorno perentorio nel quale si chiedeva ai parlamentari di impegnarsi affinché “non ven[isse] sancita alcuna nuova disposizione sull’assetto delle ferrovie italiane”90 senza che prima fosse stata decretata l’Adriatico-Tiberina; a chi sosteneva che essi avrebbero dovuto limitarsi a far sì che la linea fosse inclusa nei mille chilometri di nuove costruzioni previsti nel progetto di legge; sino a coloro i quali ritenevano che spettasse esclusivamente a deputati e senatori la scelta del momento in cui riproporre la Roma-Venezia all’attenzione del Parlamento. Alla fine, anche per il rifiuto di gran parte dei parlamentari presenti di vincolarsi a una deliberazione che avrebbe impedito loro la libertà di voto in occasione della prossima discussione in aula sulle convenzioni ferroviarie, prevalse l’ipotesi più morbida. Così, anche per la scarsa convinzione dei suoi sostenitori, l’Adriatico-Tiberina, come era già successo in occasione della legge 5002 del 1879, non trovò spazio neppure in quella che di lì a qualche mese, dopo una lunga discussione parlamentare, sarebbe diventata la legge 27 aprile 1885, n. 304891, terza tappa fondamentale della politica ferroviaria italiana, destinata a “governare la vicenda [...] per i vent’anni successivi”92.
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Il declino della Terontola-Foligno
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La tenacia con cui l’Amministrazione perugina si batteva in favore di una linea ferroviaria lungo il Tevere – fosse essa a scartamento normale o ridotto – dipendeva, in larga misura, anche dal declassamento subito dalla Terontola-Foligno, unica linea transitante per il capoluogo, a seguito dell’apertura della bretella Terontola-Chiusi. C’è chi ha definito il periodo che intercorse tra il 12 dicembre 1866 e l’11 novembre 1875, durante il quale Perugia rimase al centro del collegamento ferroviario tra Firenze e Roma, un “decennio d’oro”93, ma nella realtà anche in quegli anni il rapporto tra la municipalità e la società esercente, già compromesso al tempo dell’alternativa tra le vie del Trasimeno e di Valdipierle, fu assai difficile, a testimonianza di un’insoddisfazione dei perugini per il tenore del servizio ferroviario. Grande era lo scontento dell’Amministrazione Comunale per i modi di gestione della Società delle Strade Ferrate Romane, in particolare per ciò che riguardava la stazione. Per circa un anno dall’inaugurazione, l’edificio era rimasto privo di sale d’attesa per i passeggeri, i quali si erano dovuti accontentare di panche di legno o, nel caso migliore, di sedie sistemate provvisoriamente. Inoltre la società aveva sempre risposto negativamente all’invito a realizzare la copertura del peristilio, onde evitare che i viaggiatori “riman[essero] esposti alle intemperie [...] prima di montare nei vagoni”, anche quando la Municipalità si era offerta di anticipare, a interesse zero, il capitale necessario. Tutto questo, lamentava il sindaco, nonostante un incasso per l’anno 1867 di “lire 230 mila” e per i primi due mesi del 1868 di “ben 50 mila lire”, ovvero importi superiori a quelli registrati in Arezzo, “città provveduta di un sontuoso scalo tutto coperto”94. Disservizi a parte rimane il fatto, incontestabile, che per due lustri la TerontolaFoligno rappresentò la via di collegamento primaria tra Firenze e Roma, al punto che nelle carte della società esercente essa non era indicata come linea autonoma, bensì si faceva riferimento alla Firenze-Foligno. Purtroppo la frammentarietà della documentazione raccolta non consente di ricostruire, specie per questi dieci anni, il volume del traffico lungo tale direttrice. Non si può, quindi, verificare in che misura il treno abbia soddisfatto la domanda degli umbri di spostamenti più rapidi e a più basso costo né quanto abbia agito sui caratteri stessi della domanda modificandola in quantità e qualità. Ad ogni modo, l’impatto del treno si misura anche dalla capacità che esso ha di modificare l’equilibrio funzionale e morfologico dei centri urbani che ne vengono beneficiati. Nel capoluogo umbro, tuttavia, ben oltre questo primo periodo, non si rileva alcuna modificazione significativa. Come ha notato Alberto Grohmann:
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A. Cioci, Due ferrovie, una storia. Terontola-Foligno, Ellera-Tavernelle, Kronion, Bastia Umbra 1988, p. 44. ASP, ASCPG, Amministrativo 1860-70, b. 156, fasc. 5, nota del sindaco al ministro dei Lavori Pubblici del 3 marzo 1868. Sulle trattativa tra il Comune e la società concessionaria in merito all’impianto di un’agenzia cittadina per lo smistamento delle merci cfr. Ivi, b. 133a, fasc. 5.
Capitolo 3
D’altronde persino Foligno, che pure per l’intero decennio svolse una fondamentale funzione di nodo ferroviario, testimoniata dall’impianto di rilevanti fabbricati di servizio quali un deposito di vaporiere, un’officina di trazione tra le più grandi dell’intero Regno e numerosi uffici, non conosce sino alla fine del secolo variazioni di rilievo sul piano demografico e dell’assetto urbano96. È evidente, pure in considerazione del fatto che dieci anni non possono comunque essere considerati un lasso di tempo sufficiente a determinare mutamenti profondi, che l’apertura di una via più diretta tra Firenze e Roma contribuì non poco a depotenziare le possibilità di sviluppo dei centri e più in generale dei territori attraversati dalla Terontola-Foligno. Il declassamento di questa linea sta tutta nelle cifre riportate nella tabella 1. A partire dal 1878, quando per la prima volta la linea è classificata a sé nei documenti societari, e sino a tutto il 1881, ultimo anno di esercizio, perlomeno ai termini di legge97, della Società delle Strade Ferrate Romane prima del riscatto governativo, la Terontola-Foligno risulta sempre in perdita. Ciò è dovuto, in particolare, ad un alto livello di spesa. Infatti, in ciascuno dei quattro anni presi in esame la tratta fa registrare il più alto costo unitario di esercizio, che a differenza di quanto si verifica per le altre linee, pur oscillando, non scende mai al di sotto delle 10.000 lire al chilometro. Purtroppo le relazioni di bilancio riescono a spiegare solo in parte le variazioni di spesa e, comunque, per l’intera rete. Si sa, perciò, che l’economia verificatasi nell’esercizio 1879 è dovuta, principalmente ai capitoli di spesa denominati “Mantenimento e Sorveglianza” e “Trazione e Materiale mobile” ovvero “ai ribassi subiti dall’acciaio e degli altri metalli, [...] al migliorato armamento delle linee, [a]l ribasso nei prezzi del combustibile”98. Sono sempre questi due capitoli a determinare in gran parte, nell’esercizio successivo, un generale aumento delle spese per l’intera rete derivato “dal maggior svi-
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A. Grohmann, Perugia, Laterza, Roma-Bari 1981, pp. 142-144. M. Arca Petrucci, Le gemmazioni ferroviarie in Umbria, La Goliardica, Roma, s.d., p. 19. Cfr., inoltre, M. Giorgini, Ferrovie. Officine e crescita urbana, in La città di Foligno e gli insediamenti ferroviari, Electa/Editori Umbri Associati, Perugia 1989, pp. 47-48. Fu la legge 29 gennaio 1880, che approvava le convenzioni del 17 novembre 1873 e 26 aprile 1879 fra il governo e la Società delle Strade Ferrate Romane, a fissare la data del riscatto all’1 gennaio 1882. In “Raccolta ufficiale delle leggi” cit. (a nota 34), serie 2a, vol. 59, Stamperia Reale, Roma 1880, pp. 170-171. Tuttavia il carteggio che l’Amministrazione perugina continuava ad avere con la direzione generale della società dimostra che essa mantenne l’esercizio. Strade Ferrate Romane, Esercizio 1879. Bilancio generale e relativi allegati. Relazione dei sindaci, Civelli, Firenze 1880, p. 78.
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Lo iato tra la città sull’alto del colle e la ferrovia alla sua base rimane a lungo netto. Bisognerà attendere il ventennio fascista e ancor più gli anni della ricostruzione, della crisi agraria, dell’incremento demografico basato in gran parte sull’immigrazione dei contadini, perché lungo la strada di congiungimento tra la stazione ferroviaria e le principali sedi della vita politica, amministrativa ed economica della città, si crei una continuità di edifici95.
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luppo del traffico, e più che altro da quello segnalato nei trasporti a piccola velocità”99. Tuttavia, nelle tre linee a confronto esso è riscontrabile solo nella Terontola-Foligno. L’andamento torna ad uniformarsi nel 1881, all’interno di un ulteriore aumento complessivo dei costi di esercizio, dovuto “all’ampliamento del personale, [...] alle maggiori spese e di manovre e di noli di veicoli, conseguenza dell’aumentato traffico [...], [a]lla maggior quantità di rotaie cambiate e [a]i maggiori restauri occorsi alla opere d’arte e ai fabbricati”100.
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Id., Esercizio 1880. Bilancio generale e relativi allegati. Relazione dei sindaci, Civelli, Firenze 1881, p. 75. Id., Esercizio 1881. Bilancio generale e relativi allegati. Relazione dei sindaci, Civelli, Firenze 1882, p. 70.
Capitolo 3
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Se si guarda al prodotto dell’esercizio, al di là di una tendenza simile che diverge solo nel 1881 quando, in contrasto con il dato medio relativo all’intera rete, la Terontola-Foligno fa segnare un ribasso, l’inferiorità rispetto alle altre due linee è evidentissima. Mentre il prodotto medio annuo della Falconara-Orte, partendo da poco meno di 12.000 lire al chilometro, continua a crescere sino a superare, nell’ultimo anno, la soglia delle 13.000 lire; mentre quello della Chiusi-Orte, muovendo da circa 14.000, giunge lievemente al di sotto delle 18.000 lire al chilometro; il prodotto medio annuo della Terontola-Foligno soltanto nell’esercizio 1880 riesce a portarsi al di sopra delle 8.000 lire al chilometro. Ulteriori considerazioni possono farsi estraendo dal prodotto totale le due voci principali che insieme ne costituiscono all’incirca i 4/5, cioè il traffico viaggiatori e quello delle merci a piccola velocità (tab. 2). Da questi dati appare come il vero handicap della Terontola-Foligno sia rappresentato proprio dal movimento dei viaggiatori, di gran lunga inferiore a quello che si sviluppa nelle altre due linee. Il picco di 3.420 lire/km, raggiunto nell’ultimo anno di esercizio, è lontanissimo dal minimo toccato dalla Orte-Falconara nel 1879, mentre il confronto con la Chiusi-Orte è addirittura improponibile. Decisamente più contenuto è il gap nel trasporto delle merci a piccola velocità, anzi nel
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1878 la Terontola-Foligno incassa più della Chiusi-Orte; ma la gerarchia è ristabilita già a partire dall’anno seguente101. I dati appena forniti non possono essere tenuti in considerazione che nella loro frammentarietà, tuttavia non fanno che confermare quanto già notato da altri a partire dalle modifiche all’orario apportate dalla società esercente dopo l’apertura della bretella Terontola-Chiusi – soppressione dei treni diretti Firenze-Roma via Perugia ad eccezione di una sola coppia di treni che incrociava a Fontivegge nel cuore delle notte – e dalle continue lamentele che, conseguentemente, si levavano, in modo particolare dal capoluogo e che arrivavano sino in Parlamento102. Una situazione di profondo disagio, a cui l’Amministrazione Municipale perugina tentò di far fronte tra l’estate del 1883 e quella dell’anno successivo, ovvero nel periodo di avvicinamento alla nuova legge sul riordino dell’esercizio ferroviario; un arco di tempo nel quale, nonostante a partire dall’1 gennaio 1882 il riscatto governativo fosse divenuto operativo, la Società delle Strade Ferrate Romane continuava ad esercitare, per conto dello Stato, le linee già avute in concessione. L’iniziativa dei perugini, ancora una volta difensiva, prese corpo in seguito all’entrata in vigore del nuovo orario ferroviario che, con la soppressione di alcuni treni, rendeva quasi impossibile il collegamento tra il capoluogo e l’Orvietano. Si trattava di modifiche inaccettabili, soprattutto se si tiene conto dello sforzo economico sostenuto dalla Provincia nella realizzazione della Terontola-Chiusi, al solo ed unico scopo di agevolare le comunicazioni tra Perugia e il circondario di Orvieto. A partire da tale questione la piattaforma rivendicativa si ampliò con la richiesta di vetture dirette da e per Roma e Firenze, della facoltà di emettere biglietti di andata e ritorno per tutte le stazioni della provincia e per Ancona e con l’ennesimo invito a dotare la stazione di una pensilina in ferro lungo i binari103. La risposta, negativa, della società, consente di cogliere alcuni ulteriori elementi rispetto al traffico lungo la Terontola-Foligno. L’introduzione di vetture in direzione Roma-Perugia veniva giudicata assolutamente antieconomica, dal momento che nel 1883 i passeggeri di 1a e 2a classe saliti nella capitale e diretti nel capoluogo umbro erano stati “appena n. 1360; vale a dire una media di viaggiatori 3 3/4 al giorno che repartiti nei quattro treni giornalieri che vi sono da Roma a Perugia fanno meno di un viaggiatore per giorno”. Né il riconoscimento della fondatezza delle lamentele perugine riguardo ai collegamenti con Orvieto, poteva indurre ad aumentare il percorso chilometrico giornaliero dei treni, poiché ciò avrebbe comportato un aumento di spesa inconciliabile con il prodotto della linea. Al massi101
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Al momento dell’apertura della bretella Terontola-Chiusi, la società esercente aveva stabilito, transitoriamente, di limitare il traffico ai viaggiatori e alle merci veloci, mentre quelle a piccola velocità restavano appannaggio della Terontola-Foligno. In Cioci, Due ferrovie cit. (a nota 93), p. 52. Ibidem. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1884, interpellanza di Cesare Fani nella seduta consiliare straordinaria del 4 dicembre 1883.
Capitolo 3
Ancora ferrovie economiche Il biennio che precedette la promulgazione della legge 27 aprile 1885, n. 3048, non fu soltanto caratterizzato dalla nuova offensiva in favore dell’Adriatico-Tiberina e dai tentativi di Perugia di contenere il declino della Terontola-Foligno, ma anche 104 105 106
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Ivi, nota della direzione generale delle Strade Ferrate Romane del 26 febbraio 1884. Ivi, seduta consiliare del 10 aprile 1884. Ivi, nota della Deputazione Provinciale al sindaco di Perugia del 24 aprile 1884 in cui si rendeva noto di avere fatto istanza in favore delle richieste avanzate dal Comune di Perugia tanto al Ministero dei Lavori Pubblici quanto alla direzione generale delle Strade Ferrate Romane. Ivi, nota della direzione generale delle Strade Ferrate Romane al sindaco di Perugia dell’8 giugno 1884. Ivi, copia di nota del ministro dei Lavori Pubblici del 7 giugno 1884.
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mo, si potevano reintrodurre due coincidenze quotidiane da Terontola per Orvieto, sopprimendone, però, un paio da Foligno per Spoleto e Terni104. La trattativa proseguì sino a condurre, all’inizio di aprile del 1884, una delegazione dell’Amministrazione perugina a Firenze, nella sede della direzione generale della società. Da quell’incontro, giudicato evidentemente positivo, i perugini trassero linfa per stendere una più dettagliata piattaforma rivendicativa che conteneva, tra l’altro, una sorta di contro-orario105. A sostegno della Municipalità intervenne anche la Deputazione Provinciale, ancora scottata dall’affare TerontolaChiusi, che giustificò la propria iniziale non opposizione alle modifiche proposte dalla società col fatto di avere chiaramente espresso alla compagnia che il nuovo orario non avrebbe dovuto danneggiare le comunicazioni ferroviarie nel territorio provinciale106. Tuttavia l’esito che si andava prefigurando era quello più conforme alle esigenze di bilancio della società. In ordine ad un elenco di stazioni per le quali Perugia intendeva emettere biglietti di andata e ritorno e viceversa, la direzione generale delle Romane rese noto che le stazioni di Bastia, Tuoro, Panicale e Castiglione del Lago erano già a ciò abilitate e che per quelle di Ponte San Giovanni ed Ellera si era già disposto favorevolmente; mentre per le altre – ovvero Spello, Trevi, Narni, Carnaiola e Ficulle – si registrava “un movimento di viaggiatori con Perugia così limitato, appena una media di un viaggiatore al giorno che non si crede[va fosse] necessario l’invocato temperamento”107. Ma, soprattutto, la mediazione ministeriale che chiuse la vertenza, e che il Comune fu costretto ad accettare, non era altro che la riproposizione della soluzione già prospettata dalla società: in attesa che “si present[asse] la opportunità di una diversa disposizione dei treni sulla linea Terontola-Foligno”108, l’introduzione di una coppia di treni tra Perugia e Orvieto, con cambio a Terontola, poteva effettuarsi in cambio della soppressione di un’altra coppia sul tratto Perugia-Foligno. Silenzio totale in merito alla questione della copertura di Fontivegge.
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dalla contemporanea ripresa dell’idea di realizzare una o, meglio, più ferrovie economiche lungo la valle del Tevere. Trascorsi poco più di tre mesi dall’annullamento della concessione a Portalupi d’Albavilla, l’imprenditore che intendeva coprire buona parte del territorio umbro con tramvie, nella cittadina di Todi si costituì un comitato, presieduto da Giacinto Caprale, allo scopo di promuovere una linea ferroviaria a sezione ridotta tra Todi e Terni109. Immediata fu la reazione del capoluogo provinciale che, riprendendo l’idea mai abbandonata di una linea longitudinale da Umbertide a Terni, in grado di congiungersi a nord alla nascente Arezzo-Fossato e a sud tanto all’Ancona-Roma, quanto alla ferrovia in via di ultimazione per Rieti e L’Aquila, lanciò la proposta di costituire un unico consorzio tra tutti i Comuni interessati110. A tale fine l’Amministrazione perugina contattò anche la ditta Maynard e Cooke di Londra, alla quale offrì la possibilità di costruire ed esercitare la ferrovia per un periodo da definire, a condizione che essa coprisse i 4/10 delle spese di realizzazione non sovvenzionati dal governo111. Tuttavia, le aspettative dei perugini andarono ben presto deluse dalla mancata adesione dei comuni chiamati a concorrere, in modo particolare di quelli dell’alta valle del Tevere e dell’Eugubino, proiettati, piuttosto, sul collegamento tra Arezzo e Fossato e interessati, al massimo, ad una linea che non scendesse oltre il capoluogo112. Non restava pertanto altra strada che quella di procedere per segmenti. Intanto, il comitato tuderte, ottenuto l’assenso dei Comuni di Massa Martana, Acquasparta, San Gemini, Cesi e Terni, aveva avviato le pratiche per la costituzione del consorzio. Il 20 novembre 1883, il Consiglio Comunale di Perugia, riunito in seduta straordinaria, deliberò di richiedere al governo la concessione di una ferrovia a scartamento ridotto da Perugia a Umbertide, secondo il progetto Arienti già in massima approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici il 20 dicembre 1880 e, contemporaneamente, di riprendere in mano l’altro progetto Arienti del 1881 per la Perugia-Todi-Terni, al fine di completarlo e sottoporlo, anch’esso, all’approvazione ministeriale. In merito a questo secondo livello di iniziativa stabilì, inoltre, di promuovere, in concerto con il comitato tuderte, la formazione di un consorzio113. Trascorsi soli due giorni, i soggetti interessati alla linea meridionale si incontrarono a Marsciano. Tra i partecipanti e principali animatori di questa riunione, oltre a Giacinto Caprale presidente del comitato tuderte, vi erano Ulisse Rocchi, sindaco di Perugia, Zeffirino Faina, in qualità di assessore del Comune di Marsciano, Euge-
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ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1887, fasc. “Ferrovia Umbertide-Perugia-TodiTerni 1883-86”, nota del sindaco di Todi al sindaco di Perugia del 4 agosto 1883. Ivi, note circolari del sindaco di Perugia del 14 agosto 1883. Ivi, nota del sindaco di Perugia alla ditta Maynard e Cooke del 3 ottobre 1883. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1887, fasc. “Risposta dei Municipi sulla ferrovia Umbertide-Perugia-Todi-Terni”. Ivi, fasc. “Ferrovia Umbertide-Perugia-Todi-Terni 1883-86”, seduta del Consiglio Comunale di Perugia del 20 novembre 1883.
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Ivi, verbale dell’assemblea di Marsciano del 22 novembre 1883. L’adesione del Comune di Deruta all’ordine del giorno venne subordinata alla condizione che il consorzio provvedesse “a costruire contemporaneamente alla ferrovia una comunicazione diretta con Deruta di fronte alla stazione che verrà stabilita sulla destra del Tevere [...] mediante un passaggio stabile per i ruotabili sul fiume stesso”. Ivi, fasc. “Ferrovia Perugia-Todi. Deliberazioni consiliari per la costituzione del consorzio. 1884”. Ivi, fasc. “Ferrovia Perugia-Todi-Terni. Sulla necessità di un unico consorzio. 1884”, nota della Deputazione Provinciale al sindaco di Perugia del 21 marzo 1884. Consiglio Comunale di Perugia, Sulla dimanda di concessione della costruzione ed esercizio della Ferrovia Centrale Umbra. Relazione della Giunta. Sedute del 21 e 28 gennaio 1888, Boncompagni, Perugia 1888, pp. 20-21. Crispo, Le ferrovie italiane cit. (a nota 24), p. 222. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1887, fasc. “Ferrovia Umbertide-Perugia-TodiTerni 1883-86”, seduta della Giunta Municipale di Perugia del 12 maggio 1885.
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nio Faina, come sindaco di San Venanzo e Claudio Cherubini, in rappresentanza del Comune di Deruta. Alla fine fu approvato un ordine del giorno, presentato da Eugenio Faina, favorevole alla costituzione di un consorzio che si incaricasse di definire gli studi e di ottenere in concessione una ferrovia Perugia-Marsciano-Todi lungo la valle del Tevere e, nello stesso tempo, agisse in collaborazione con quello per la linea Todi-Terni, “per procedere uniti tanto nella dimanda della concessione quanto nella concessione dei lavori”114. Entro la metà di dicembre tutti i consigli comunali coinvolti, compreso quello di Deruta, vi aderirono115. Tuttavia pure questa concertazione ridotta fallì – anche perché, avendo già autorizzato la costituzione del consorzio per la Todi-Terni, la Deputazione Provinciale non riteneva di avere elementi sufficienti a consentirne l’allargamento ai Comuni interessati al tratto Perugia-Todi116 – e così si giunse a due distinte domande di concessione: la prima inoltrata dal consorzio per la TodiTerni nell’ottobre 1884; la seconda, per la Perugia-Todi, dal solo Comune di Perugia il 13 gennaio 1885117. Che l’obiettivo dei perugini continuasse ad essere quello di una longitudinale unica lo dimostra la missione a Roma del consigliere comunale Cesare Fani, già in prima linea contro il decadimento della Terontola-Foligno, il quale, in compagnia dei parlamentari Eugenio Faina e Leopoldo Franchetti, dopo pochi giorni dalla promulgazione della legge 3048 – che in ordine alle nuove costruzioni aggiungeva 1.000 chilometri di ferrovie secondarie di quarta categoria ai 1.530 già previsti nella legge del 1879118 – si recò a perorare la causa di tutti e tre i tronchi ferroviari. La risposta ministeriale giunse inaspettata: la Umbertide-Perugia sarebbe stata sicuramente concessa; il giudizio sulla Perugia-Todi fu favorevole; ma riguardo all’ultimo tratto si lasciò intendere, in via informale, che sarebbe stato preferibile proseguire per Baschi e Orte, anziché per Terni; non solo, ma a tal fine si considerava molto più utile la costituzione di un unico consorzio per l’intera linea Umbertide-Baschi, che avrebbe potuto essere concessa, ai termini della nuova legge, con un finanziamento per la costruzione a carico per 9/10 del governo e il resto diviso tra consorzio e Provincia119.
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Si trattava di suggerimenti che imponevano, ovviamente, un mutamento di rotta. Immediatamente, il 16 maggio, la Giunta Municipale di Perugia si riunì estendendo l’invito ad una rappresentanza del Municipio di Todi. Fermo restando l’impegno all’interno del consorzio Todi-Terni, i tuderti si dichiararono pronti a sostenere anche un progetto alternativo nel caso che questo, come sembrava, fosse più gradito a Roma. In ogni modo ritenevano che, vista la libertà d’azione di cui godeva e il vantaggio che avrebbe ricavato da un abbreviamento del collegamento con la capitale, spettasse all’Amministrazione del capoluogo promuovere questa ulteriore iniziativa120. Evidentemente non apparteneva solo ai perugini il vizio di giocare, contemporaneamente, su più tavoli.
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Il caso sabino
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Il periodo che intercorse tra le due fondamentali leggi del 1879 e 1885 fu anche quello nel corso del quale le aspettative dei reatini in materia ferroviaria trovarono una parziale risposta. Il 28 ottobre 1883, infatti, venne interamente aperta al traffico la linea Terni-Rieti-L’Aquila, ancora oggi in funzione. Se, per la quasi totalità dell’arco di tempo preso in esame, la Sabina rappresentò, amministrativamente, un pezzo dell’Umbria, ciò non è, tuttavia, sufficiente ad evitare di trattare separatamente – così come, peraltro, è già stato fatto in maniera estremamente documentata121 – la sua vicenda. D’altro canto, che con l’inclusione del circondario di Rieti nella provincia unica dell’Umbria si fosse compiuta un’aggregazione quanto mai artificiosa, dettata da esigenze di natura politico-militare, e perciò temporanea, era estremamente chiaro anche a colui, Gioacchino Napoleone Pepoli, che l’aveva decretata122. Come per l’Orvietano si era di fronte ad un territorio che aveva subito una degradazione del suo status amministrativo rispetto all’epoca pontificia123, ma con una sostanziale differenza: che il distacco della Sabina, anche se avrebbe dovuto at-
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Ivi, seduta della Giunta Municipale di Perugia del 16 maggio 1885. Il riferimento è a R. Lorenzetti, Strade di ferro e territori isolati. La questione ferroviaria in un’area dell’Italia centrale (1846-1960), Angeli, Milano 1986. Si tratta del prodotto di una lunga e documentatissima ricerca promossa dall’Archivio di Stato di Rieti, che rischia di rendere superfluo qualsiasi tentativo di ulteriore approfondimento. Dove non altrimenti specificato, il testo di questo paragrafo, e degli altri relativi alla Sabina, è da intendersi come sunto dell’opera di Lorenzetti. Si veda in proposito, R. Abbondanza, La Provincia dell’Umbria come premessa dell’istituzione regionale, relazione tenuta al convegno “Regionalizzazione e regionalismo nell’Italia mediana. Orientamenti storici e linee di tendenza”, Perugia, 4 novembre 1994. In realtà “la tradizione storica che vuole dall’inizio del Seicento la Sabina una provincia a parte”, era già stata interrotta, una prima volta, nel 1824, da Leone XIII che aveva istituito la Delegazione riunita di Spoleto e Rieti; ripristinata l’autonomia con la successiva riforma del 1831, sotto Gregorio XVI, la Delegazione di Rieti era stata, quindi, decretata parte della Legazione dell’Umbria dagli editti del cardinale Antonelli del novembre 1850. In R. Volpi, Le regioni introvabili. Centralizzazione e regionalizzazione dello Stato Pontificio, il Mulino, Bologna 1983, p. 298 passim.
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G.B. Furiozzi, La Provincia dell’Umbria dal 1861 al 1870, Provincia di Perugia, Perugia 1987, p. 43. La Pescara-Ceprano, così concepita, era stata inclusa, per la prima volta, tra le linee da costruire nella convenzione del luglio 1861 tra il governo e Paolino Talabot, al quale era poi subentrata – con legge 21 agosto 1862 – la neonata Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali; in Crispo, Le ferrovie italiane cit. (a nota 24), pp. 96 e 104. Si veda, in proposito, Sopra un articolo ed una memoria, pubblicati in Napoli, in ordine al nuovo progetto ministeriale per la modifica della ferrovia Ceprano-Pescara, in “Corriere degli Abruzzi”, II, 17, Aquila, 13 marzo 1865; dove emergono le mire divergenti delle Amministrazioni locali abruzzesi, in particolare di L’Aquila e Sulmona.
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tendere più di sessanta anni prima di verificarsi, appariva segnato sino dall’inizio. Valga come esempio la tranquillità con la quale il Consiglio Provinciale dell’Umbria, nel settembre 1862, discusse in merito all’istanza del Municipio di Rieti di ricostituire una Provincia autonoma. Si era più o meno nelle stesse settimane in cui da Orvieto si premeva per l’aggregazione alla provincia di Siena, ma tanto spaventava questa seconda ipotesi, quanto sembrava naturale la prima, rispetto alla quale l’unica resistenza che si frapponeva era relativa al coinvolgimento del circondario di Terni, che doveva restare “parte integrante dell’Umbria”124. Il 1862 fu anche l’anno in cui, con la nomina di una commissione municipale reatina incaricata di occuparsi, in modo specifico ed esclusivo, di strade ferrate, la questione ferroviaria sabina poté dirsi ufficialmente aperta. In precedenza, lo si è già ricordato, il coinvolgimento di quest’area era stato praticamente nullo. Nessuna risposta era stata data, nel 1846, alle sollecitazioni provenienti da Ascoli che intendevano promuovere una linea ferroviaria alternativa all’Ancona-Roma; né, una volta concessa quest’ultima, il Municipio reatino aveva inteso partecipare alla bagarre scatenatasi sulle possibili variazioni al tracciato; con il risultato che alla vigilia dell’annessione piemontese, soltanto la fascia territoriale posta tra i monti Sabini e il Tevere si apprestava ad essere attraversata, seppure marginalmente, dalla ferrovia. L’ingresso nel nuovo Regno si accompagnò ad una maturazione della coscienza ferroviaria, che cresceva intorno a due obiettivi: il primo era quello di un collegamento trasversale da mare a mare; il secondo quello dell’inserimento in una direttrice longitudinale interna, che fosse in grado di unire, saltando l’ostacolo pontificio, le province centro settentrionali a quelle meridionali del paese. L’ipotesi di una linea che da Pescara si dirigesse a L’Aquila, quindi a Rieti, sino a congiungersi a Corese sull’Ancona-Roma, venne prospettata proprio dalla commissione municipale reatina, nel gennaio 1864, alle Amministrazioni di Ascoli Piceno, Teramo e L’Aquila. Un tracciato che, inevitabilmente, si poneva in alternativa a quello, ancora in campo nonostante le riconosciute difficoltà di realizzazione, da Pescara a Ceprano, via Sulmona, Celano e Avezzano125; ma che andava incontro agli interessi della città di L’Aquila che, altrimenti, avrebbe rischiato di essere tagliati fuori126. Il conseguente accordo tra le due Municipalità prevedeva che il Comune sabino si impegnasse a far eseguire gli studi per il tratto da Rieti al punto di
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incontro con l’Ancona-Roma e quello de L’Aquila a fare lo stesso per il tratto da Popoli – punto di diramazione verso Ceprano della linea proveniente da Pescara – a Rieti. Lo sforzo congiunto, sostenuto dalle rispettive rappresentanze parlamentari, ottenne un positivo riscontro all’interno della nuova convenzione tra lo Stato e la Società delle Strade Ferrate Meridionali – parte integrante della famosa legge organica n. 2279 del 14 maggio 1865 – che indicò espressamente la costruzione di una linea Pescara-Popoli-L’Aquila-Rieti127. Prima ancora di adoperarsi in favore della trasversale, l’Amministrazione Municipale reatina si era mossa per promuovere la linea del Salto, ovvero la Terni-RietiAvezzano-Roccasecca-Ceprano, richiedendone l’autorizzazione agli studi. Si trattava, come si è già accennato, di una ferrovia che, se realizzata, avrebbe consentito di collegare per via interna il nord e il sud del Regno senza attraversare il territorio ancora pontificio; la stessa, inoltre, in virtù dell’equidistanza dai due mari, esprimeva un alto potenziale strategico. Motivazioni, queste, che non erano appannaggio dei soli reatini ma che trovavano spazio e consenso anche all’interno dell’Amministrazione Provinciale umbra. Nella seduta consiliare del 29 maggio 1863 un gruppo di sei consiglieri aveva avanzato la proposta che la Provincia si facesse promotrice della costruzione della linea in questione. Tenendo conto del fatto che il governo aveva già decretato la Pescara-Ceprano, l’ente avrebbe dovuto limitarsi ad intraprendere la costruzione del solo tratto da Terni128 ad Avezzano, lungo 90 chilometri. Pure con la certezza di una partecipazione alla spesa della Provincia cointeressata dell’Abruzzo Ultra Secondo, i proponenti ritenevano che, anche in caso contrario, l’impresa non sarebbe stata particolarmente gravosa per la propria Amministrazione. La sicura redditività della linea, dovuta alla sua funzione di raccordo – da Terni si sarebbero aperte le direzioni di Roma, Ancona e Firenze –, avrebbe consentito di reperire il capitale necessario, garantendo un interesse minimo, senza alcun rischio129. A partire da questi elementi aveva, poi, lavorato la Deputazione Provinciale, giungendo alla conclusione che l’importanza della linea era tale che l’Amministrazione avrebbe dovuto promuoverla anche da sola: o facendola costruire per proprio conto, o stipulando una convenzione, tanto per la costruzione quanto per l’esercizio, con una società privata, garantendole un determinato livello di profitto130. Riguardo alla formazione del capitale necessario, che veniva fissato, all’incirca, in 45 milioni di lire, anche nell’eventualità di individuazione di un’impresa privata, rimaneva il problema dell’interesse minimo da garantire. La Deputazione aveva cercato di sollecitare, in proposito, l’orgoglio locale, richiamando l’esempio senese 127 128
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Crispo, Le ferrovie italiane cit. (a nota 24), p. 123. ACPU, 1863, SS, allegato n. 9, p. 1. In realtà, i promotori indicavano il punto di confluenza sulla AnconaRoma all’uscita della galleria dei Balduini, in direzione Terni. Ivi, pp. 1-8. In pratica si era di fronte ad un’anticipazione dei temi che sarebbero stati discussi a proposito della bretella Terontola-Chiusi, anche se in questo caso tutto restò a livello di dibattito.
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ACPU, 1863, SO, allegato n. 51, p. 446. Ivi, seduta del 25 settembre, pp. 230-232. La preferenza dei reatini per Spoleto, anziché Terni, come punto di confluenza, a nord, sulla Ancona-Roma, non valeva solo per la longitudinale, ma anche per la trasversale. E non si trattava solo di una questione tecnica rappresentata dalle oggettive difficoltà legate al superamento del dislivello di Marmore: il fatto è che i reatini volevano collegarsi a Roma in modo più diretto, via Corese, e la sostituzione di Terni con Spoleto era funzionale a questo obiettivo, poiché avrebbe consentito di mantenere, nonostante il taglio di Terni, il punto di allaccio con i traffici provenienti dalla Toscana in territorio umbro.
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della Centrale Toscana –, appellandosi a “i collegi della Mercanzia e del Cambio, [al]la Cassa di risparmio; [al]la Università [...] e tutti gl’istituti sottoposti alla Congregazione di Carità”131. Ad ogni modo, ferma era la volontà di non mettere a repentaglio le finanze provinciali; pertanto, nel caso che ad esse si fosse dovuto ricorrere per garantire il capitale privato, sarebbe stato necessario che lo Stato, attraverso i beni demaniali incamerati, che in Umbria ammontavano a oltre 100 milioni di lire, se ne fosse fatto, a sua volta, garante. L’audacia, anche se più apparente che reale, della Deputazione non aveva, però, convinto il Consiglio, che si era limitato ad approvare un ordine del giorno assai più interlocutorio, in cui si sosteneva la necessità di trovare un accordo con le altre Amministrazioni provinciali coinvolte – in particolare quelle di Napoli e di Terra di Lavoro che avevano mostrato un chiaro interessamento – al fine di ottenere l’autorizzazione governativa a costruire la linea132. Anche a seguito di queste pressioni, il governo aveva incaricato il personale tecnico del Ministero dei Lavori Pubblici di studiare, direttamente, il tracciato, che alla fine, da Terni ad Avezzano, attraverso prima l’agro Reatino e poi la valle del Salto, veniva a misurare intorno a 68 chilometri. Nei contatti stabiliti, a cavallo tra il 1863 e il 1864, tra i rappresentanti delle Amministrazioni municipali di Ascoli Piceno, Teramo e L’Aquila si era discusso anche della linea del Salto; in particolare il Comune aquilano si era impegnato a non ostacolarne la promozione, nonostante ne avrebbe ricavato benefici molto ridotti. L’accordo, tuttavia, era destinato a mostrare, presto, la sua fragilità; infatti, già intorno alla metà di maggio del 1864, si era delineata una contrapposizione tra i reatini che continuavano a sostenere la linea del Salto – anche se con la variante di Spoleto al posto di Terni133 – e gli aquilani che spingevano per una ferrovia alternativa lungo la valle dell’Aterno. Quest’ultima, nelle intenzioni dei promotori, avrebbe assicurato una più ampia funzione di raccordo tra il nord e il sud della penisola mediante una doppia diramazione in entrambe le direzioni: a nord, tutte e due partendo da L’Aquila, l’una per Monteraele, Amatrice, Norcia, Foligno, Perugia, Firenze; l’altra per Antrodoco, Cittaducale, Rieti, Roma; a sud, la prima da Popoli per Pescara e Foggia; la seconda da Molina per Avezzano, Ceprano, Napoli. La risposta di Rieti non si era fatta attendere, né sul piano teorico né su quello pratico (tav. 15). Nonostante questo contrasto, lo sforzo reatino venne premiato: all’interno della legge 2279 trovò spazio anche la Terni-Rieti-Avezzano-
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Tav. 15 – Progetti e realizzazioni in Sabina Foligno
Spoleto Balduini Ferentillo Terni Narni Piediluco
Orte
Ascoli Arquata Norcia Vallo del Tronto di Nera Acquasanta Accumoli Leonessa Amatrice Arrone Cittareale Monterale Borbona Posta
Rieti
Antrodoco
Pescara
L'Aquila
Cittaducale Corese
Acciano Molina
Popoli Sulmona
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Avezzano
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Roma
linee realizzate
Ceprano
progetto Amici (1903): Antrodoco-Ascoli progetto Bernabei (1909): Rieti-Accumoli progetto Bandini (1864): Rieti-Spoleto progetti: Cerroti (1875), Amici (1908): Rieti-Ceprano
progetti: Trivellini (1879), Portalupi (1880), Amici (1907): Rieti-Corese Napoli
variante di Pellescritta (1877-1878)
Roccasecca, la cui costruzione, pur se con l’esclusione della variante di Spoleto, venne concessa alla Società delle Strade Ferrate Romane, che si impegnò a presentare il progetto definitivo entro il 1866. Purtroppo, però, il duplice successo che Rieti sembrava avere conseguito si dimostrò effimero. La convenzione con la Società delle Strade Ferrate Meridionali fissava in un quinquennio il termine per la consegna dei lavori sulla Pescara-AquilaRieti; nel Reatino si provvide rapidamente ai rilievi, ai sopralluoghi, si iniziò a discutere del sito della futura stazione. Nello stesso tempo, dal momento che la concessione governativa stabiliva il termine della linea a Rieti, senza far menzio-
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Non, naturalmente, degli spoletini che, in accordo con la città di Rieti, miravano a sostituirsi a Terni come nodo dell’Umbria meridionale. A seguito dell’inadempienza della società (come fissato dall’allegato G alla legge 14 maggio 1865 il tratto Pescara-L’Aquila avrebbe dovuto essere portato a termine entro 3 anni e 4 mesi a partire da quella data, in “Raccolta ufficiale delle leggi” cit. (a nota 34), vol. XI, Torino 1865, pp. 851-852), il 14 ottobre 1868 si stipulò una nuova convenzione con la quale il governo, al fine “di consolidar[e] l’esistenza [della società] e provvedere ad un tempo all’interesse della pubblica finanza”, assumeva in proprio, “in quel modo e con quei mezzi e sistemi [ritenuti] più opportuni”, il compito di far costruire la linea, liberando la società da ogni precedente obbligo e dal pagamento delle sanzioni conseguenti al mancato rispetto dei termini prestabiliti; in ASP, ASCPG, Amministrativo 1860-70, b. 192b, nota del presidente della Camera di Commercio ed Arti di Foligno al sindaco di Perugia del 3 maggio 1870. Di fatto, con questo accordo, la costruzione della linea venne rimandata ad un tempo indeterminato. Discorde è l’opinione di Roberto Lorenzetti e Adriano Cioci nel distribuire tra i due soggetti il carico di responsabilità per l’accantonamento della linea: il primo indica come principale responsabile il governo, il secondo la società. Cfr. Lorenzetti, Strade di ferro cit. (a nota 121), pp. 41-42 e A. Cioci, La ferrovia Terni-Rieti-L’Aquila-Sulmona, Kronion, Bastia Umbra 1989, p. 14. Oltre alla reazione delle amministrazioni locali non bisogna dimenticare il mutato atteggiamento della società ferroviaria che aveva “istituito giudizio contro il governo” allo scopo di essere riammessa alla costruzione della linea Pescara-Popoli-L’Aquila-Rieti-Terni; in ASP, ASCPG, Amministrativo 1860-70, b. 192b, copia a stampa di delibera della Deputazione Provinciale di Abruzzo Ultra Secondo del 21 aprile 1870. In particolare, nei primi mesi del 1871, si sviluppò un’aspra polemica tra le amministrazioni delle due città, una volta diffusasi la notizia che gli aquilani, proprio per venire incontro alla società concessionaria, avevano incaricato Coriolano Monti di studiare un percorso alternativo in direzione di Roma, via Sulmona, Avezzano e Tivoli. Secca e risentita fu la smentita che giunse da L’Aquila ed in effetti Monti aveva ricevuto tale incarico, sino dal settembre 1870, direttamente dall’allora ministro dei Lavori Pubblici Gadda. Si veda, C. Monti, Sopra la nuova strada ferrata da Sulmona a Roma, Tipografia della Gazzetta d’Italia, Firenze 1874. Lorenzetti, Strade di ferro cit. (a nota 121), p. 47.
Tra istanze territoriali e progetti di respiro internazionale (1876-1885)
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ne del proseguimento verso Roma, il Municipio si adoperò per assicurarsi che questo ulteriore tronco si facesse in direzione di Corese e non di Terni, come, invece, era nelle intenzioni della maggioranza degli umbri134. Tutto questo fervore svanì rapidamente, mentre i lavori tardavano a cominciare. Sebbene non sia completamente chiaro in che misura tanto il governo, quanto la società concessionaria, abbiano determinato un esito così poco felice, sta di fatto che nel corso del 1868, consensualmente, la linea venne accantonata135. La decisa reazione degli amministratori aquilani e reatini costrinse il governo, nel giro di due anni, a ritornare sulle proprie decisioni e così, con legge n. 5858 del 28 agosto 1870, la ferrovia venne reintegrata e nuovamente concessa alla Società delle Strade Ferrate Meridionali, che si impegnò a consegnare il tratto PescaraL’Aquila entro gennaio del 1874 e quello da L’Aquila a Rieti entro settembre del 1875136. I lavori ebbero inizio nel luglio del 1871, ma limitatamente al territorio abruzzese: il 10 maggio 1875 il treno era in grado di coprire il percorso da Pescara a L’Aquila; nulla, tuttavia, era stato fatto nel tratto seguente. Ancora una volta non è semplicissimo individuare le responsabilità di questo mancato avvio. I reatini, che potevano contare sull’appoggio della propria Amministrazione Provinciale e della Camera di Commercio ed Arti di Foligno, le imputavano agli aquilani, rimproverandoli di assecondare i desideri della società137, che giudicava il segmento da L’Aquila a Rieti “antieconomico, soprattutto per le eccessive spese necessarie alla sua costruzione a causa delle difficoltà naturali del tracciato”138. Il principale interprete del sentimento reatino, in cui si mescolavano
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l’orgoglio per la propria terra e il timore di essere condannati ad un perenne isolamento, fu l’onorevole Luigi Solidati Tiburzi139. Nello stesso periodo anche la realizzazione della ferrovia del Salto si andò facendo sempre più improbabile. Pure in questo caso era la società concessionaria ad opporre resistenza, come dimostra il fatto che, alla fine di novembre del 1868, il governo approvò un piano della Società delle Strade Ferrate Romane che considerava opzionale la costruzione della linea. Nel corso del nuovo anno, tuttavia, l’interesse intorno alla ferrovia tornò a destarsi, anche in conseguenza dell’offerta avanzata da una ditta inglese rappresentata dal banchiere Lowinger. Un’importante funzione di raccordo delle tante istanze territoriali venne svolta dalla Camera di Commercio ed Arti di Foligno, che, all’inizio di aprile, inoltrò al Parlamento una petizione a firma, tra gli altri, delle Deputazioni provinciali di Perugia e L’Aquila, dei Comuni di Rieti, Terni, Spoleto, Foligno, Pescara, L’Aquila e delle Camere di commercio di Arezzo, L’Aquila, Bari140. C’era però un aspetto, tutt’altro che secondario, dell’ipotesi Lowinger che non convinceva i reatini: la ditta inglese intendeva superare il passaggio critico delle Marmore adottando un sistema economico che rischiava di ridurre notevolmente la capacità di trasporto della linea141. Per scongiurare ciò il Comune si affidò all’ingegnere Filippo Cerroti, generale del Genio Militare142. Sebbene gli si richiedesse un sostegno di tipo, fondamentalmente, politico, Cerroti interpretò diversamente l’incarico, esaminando, con la collaborazione del ternano Ottavio Coletti, tutti i progetti sul tappeto, bocciandoli e venendo alla conclusione che fosse necessario finanziare nuovi studi attraverso un consorzio delle Amministrazioni interessate. Naturalmente l’aver imboccato questa strada significava il definitivo abbandono dell’ipotesi Lowinger ed un’ulteriore dilatazione dei tempi, mentre era sempre più evidente che, con la soluzione della questione romana, la ferrovia sarebbe stata destinata a perdere gran parte della sua potenzialità. Comunque, nel gennaio del 1870 il sindaco di Rieti lanciò l’idea di un consorzio dei Comuni sabini e di un convegno pubblico da tenersi, a Napoli, al termine di un’azione di propaganda itinerante lungo quello che avrebbe dovuto essere il 139
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L. Solidati Tiburzi, Interpellanza al Ministero dei Lavori Pubblici sulle ferrovie per Rieti del deputato del collegio avv. Luigi Solidati Tiburzi e relativa discussione alla Camera nelle tornate del 23-24 gennaio 1873 Rieti 1873. ASP, ASCPG, Amministrativo 1860-70, b. 173b, nota del presidente della Camera di Commercio ed Arti di Foligno al sindaco di Perugia del 17 maggio 1869. Per il testo della petizione cfr., F. Palmegiani, All’onoratissimo sig. direttore del Marruccino di Chieti, s.e., Rieti 1869. L’ostacolo tecnico rappresentato, nel tratto tra Rieti e Terni, dal superamento del dislivello di Marmore – da cui ha origine la celebre cascata – era apparso in tutta la sua asprezza sin dall’inizio, stimolando la ricerca di soluzioni, anche estremamente complesse. Cfr. Coletti, Nuovo sistema di conche cit. (a nota 74). Filippo Cerroti è un altro dei personaggi ricorrenti nella vicenda ferroviaria umbra sin dalle origini. Nel 1847, nel pieno della discussione sul tracciato della Roma-Ancona, fu, insieme a Coriolano Monti, tra i firmatari della Dimostrazione in difesa della linea del Chiascio. Nel novembre del 1861, allora colonnello, trattò con il Comune di Perugia per ottenere un incarico tecnico nell’ambito della definizione del tracciato della futura Terontola-Foligno.
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In particolare Monti, in una lettera del 9 novembre 1870 al sindaco di Perugia, sottolinea l’importanza della linea per il capoluogo umbro “cui solo può assicurare il transito diretto di oltre un quarto d’italiani che stanno al sud”; in ASP, ASCPG, Amministrativo 1860-70, b. 192b. Si veda, inoltre, la successiva lettera del 20 dicembre. A testimonianza del prosieguo della mobilitazione, tanto in favore della linea del Salto, quanto della TerniRieti-L’Aquila, vale la pena di segnalare l’incontro, a Roma, l’11 aprile 1876, con il ministro dei Lavori Pubblici Zanardelli, di una delegazione in rappresentanza della Provincia e della Camera di Commercio dell’Umbria, dei Comuni di L’Aquila, Spoleto, Rieti, Terni, Cittaducale, e un’ulteriore istanza promossa della Camera di Commercio dell’Umbria del 15 marzo 1877. In, ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, tit. 21.12.1, 1878-79.
Tra istanze territoriali e progetti di respiro internazionale (1876-1885)
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tracciato della linea. Il convegno si tenne il 6 marzo del 1870 e vi furono rappresentate le Province di Perugia, L’Aquila e Caserta e i Comuni di Rieti, Avezzano, Terni, Magliano de’ Marsi e Isola Liri; purtroppo, la successiva crisi interna all’Amministrazione reatina vanificò ogni risultato raggiunto in quella sede. Superata la burrasca, si tentò di ripartire, cercando, ancora una volta, l’appoggio di Cerroti e Coletti e potendo, inoltre, contare su quello di Coriolano Monti, il quale riteneva la linea utile agli interessi della provincia umbra143. Tuttavia, ormai, la presa di Roma aveva mutato lo scenario di riferimento, facendo svanire di colpo la principale prerogativa della ferrovia del Salto: quella di un raccordo tra il nord e il sud del paese esterno al territorio pontificio. Restavano in piedi soltanto le motivazioni strategiche ed è con queste che i reatini, attraverso Cerroti, che nel 1875 sarebbe arrivato a presentare un proprio progetto al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, Solidati Tiburzi e altri144, si apprestavano a continuare la loro battaglia. Il bilancio della vicenda ferroviaria sabina alla metà degli anni settanta dell’Ottocento, ovvero a più di un decennio di distanza dalla nomina della commissione municipale reatina sulle strade ferrate, era, pertanto, se si eccettua il passaggio marginale della Ancona-Roma, totalmente negativo. In particolare, era sfumato l’ambizioso progetto del capoluogo di porsi al centro di un duplice collegamento trasversale e longitudinale. Rimaneva, tuttavia, l’urgenza di superare un isolamento divenuto insopportabile ed al conseguimento di questo obiettivo furono dedicati i due lustri seguenti L’annessione di Roma restituì slancio, inevitabilmente, al desiderio di collegarvisi, riportando in primo piano l’idea di un tronco da Rieti a Passo Corese. Così, si compirono studi di massima – progetto Trivellini approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici nel marzo 1879 – e si costituì un comitato promotore – la cui presidenza venne offerta a Filippo Cerroti – con l’obiettivo di rientrare nei 1.530 chilometri di ferrovie secondarie previsti dalla legge n. 5002. L’iniziativa, però, fallì, anche perché urtò contro l’ostacolo rappresentato dal progetto tranviario di Portalupi d’Albavilla, caldeggiato dall’Amministrazione Provinciale, la quale, inoltre, temeva che la linea in questione – che il comitato, in una posizione quanto mai contraddittoria, avrebbe voluto fosse realizzata a sezione ordinaria e non ridotta – si sarebbe dimostrata concorrenziale e, perciò, dannosa alla Terni-Rieti-
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L’Aquila, considerata di grande interesse per l’Umbria e da poco inserita, nella legge n. 5002, tra le ferrovie di prima categoria da costruirsi a completo carico dello Stato145. Ma a tradire ulteriormente le aspettative del comitato fu lo stesso Municipio di Rieti che, dopo un primo sostegno, scelse di schierarsi in favore della tramvia. D’altronde un risultato, seppure minimo, l’Amministrazione reatina l’aveva ottenuto, proprio con il definitivo riconoscimento legislativo della linea destinata ad allacciarla a Terni e L’Aquila. La situazione di stallo, che aveva caratterizzato la prima metà degli anni settanta, si era sbloccata allorché, in virtù di un’abile e paziente azione diplomatica, il Municipio di Rieti, per compiere gli studi del tratto sino a Terni, era riuscito ad ingaggiare Coriolano Monti, ovvero l’autore del progetto della concorrenziale Sulmona-Avezzano-Tivoli-Roma. Il successo di questa operazione – l’ingegnere perugino aveva ultimato il lavoro in due anni nonostante l’ostacolo rappresentato dal dislivello di Marmore, così da consentire che il tronco Rieti-Terni venisse compreso nel disegno di legge Depretis del 22 novembre 1877 – era stato, tuttavia, in parte annullato dalle difficoltà ancora irrisolte relative al tratto di collegamento con L’Aquila, sebbene anche per questo vi fosse in fase di ultimazione uno studio commissionato dallo stesso Comune di Rieti. Finalmente, la tenacia di reatini e aquilani, venne premiata con la già ricordata legge n. 5002 del 1879. Rimaneva da definire il tracciato. In particolare, nel tratto L’Aquila-Rieti si doveva sciogliere il nodo legato alla direzione da seguire per giungere ad Antrodoco: se passando a nord per la via di Pellescritta, o a sud per Rocca di Corno (tav. 15). Un’alternativa a cui non era insensibile il comitato per la RietiCorese, che premeva per la prima soluzione nella speranza di riuscire, in questo modo, a “convogliare sulla [propria linea] gli interessi di una vasta area di territorio dell’alto aquilano e di alcuni mandamenti di Ascoli e Teramo”146. Si optò, invece, per Rocca di Corno147. Il 23 luglio 1881 fu approvata, definitivamente, la concessione della linea alla Società delle Strade Ferrate Meridionali. I lavori procedettero a buon ritmo: nonostante i numerosi trafori, il tratto da Terni a Marmore venne ultimato in soli dieci mesi; il 22 giugno 1882 i binari erano a Rocca di Corno; il 28 ottobre 1883 la linea fu completata. Dopo un impegno ventennale, il capoluogo sabino era riuscito, dunque, a rompere l’isolamento ferroviario e, anche se dovendo rinunciare a buona parte delle aspirazioni iniziali, si poneva al centro di una linea (Roma-Orte-Terni-Rieti-L’AquilaSulmoma-Pescara) di circa 350 chilometri, destinata a svolgere, per un quinquen-
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ACPU, 1880, SO, seduta dell’8 settembre, pp. 134-138. Lorenzetti, Strade di ferro cit. (a nota 121), p. 99. Il tracciato da L’Aquila a Rieti, per Sella di Corno, Antrodoco, Cittaducale, già nel Quattrocento rappresentava una delle vie più battute “da numerosi mercanti e da grosse partite di bestiame e di mercanzie” che attraversavano l’Appennino. In A. Grohmann, Caratteri ed equilibri tra centralità e marginalità, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria, a cura di R. Covino e G. Gallo, Einaudi, Torino 1989, p. 37.
Capitolo 3
strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria 1845-1927
nio, la funzione di grande trasversale centrale della penisola. Ad ogni modo, la prospettiva di un più diretto collegamento con la capitale non era stata abbandonata. Ricomposta, grazie alla mediazione operata da Filippo Cerroti, la frattura maturata tra il comitato da lui presieduto e l’Amministrazione reatina, in vista di una nuova legge sul riordinamento dell’esercizio ferroviario, si tentò di costituire un consorzio per la Rieti-Corese. Venne, però, a mancare il sostegno dei Comuni della bassa Sabina, che in base al progetto Trivellini avrebbero beneficiato assai marginalmente della linea. Alla fine Rieti riuscì a far valere il proprio peso politico-territoriale e a spezzare il fronte degli oppositori, ma ulteriori difficoltà, apparentemente di natura burocratica, diedero luogo ad un conflitto tra l’Amministrazione reatina e quella provinciale, con la conseguenza di far saltare anche l’opportunità rappresentata dai 1.000 chilometri di ferrovie complementari decretati nella legge del 27 aprile 1885.
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Capitolo 4 Una provincia da “costruire” (1885-1900)
Verso il consorzio per la Ferrovia Centrale Umbra
Anche se la legge n. 3048 non portò in Umbria alcuna nuova linea, essa ebbe comunque il merito di avere stimolato le élites locali ad una ulteriore e più profonda riflessione sull’assetto delle comunicazioni nell’intera provincia, favorendo il compimento di un altro passo verso il delinearsi di una questione ferroviaria umbra. La prima testimonianza di ciò si ha nel rinnovato compito di mediazione dei diversi interessi territoriali che l’Amministrazione Provinciale fu chiamata a svolgere. L’1 giugno 1885 il Consiglio Provinciale dell’Umbria si riunì in sessione straordinaria esclusivamente per rispondere alle richieste di sostegno morale e finanziario avanzate da consorzi e singoli Comuni. Sul tavolo, oltre alle domande relative alle già ricordate Perugia-Umbertide (via Pantano), Perugia-Todi, Todi-Terni e RietiCorese, quelle riguardanti ferrovie inter- o, addirittura, extra-regionali come la Chiento-Nerina, la Talamone-Allerona, la Fano-Urbino-Selci Lama e la CortonaTorrita. Dalla relazione della Deputazione, prima ancora che il giudizio di merito sulle singole proposte, emergeva, a differenza che in passato, una visione generale del problema che denotava una crescita della coscienza regionale. Si sosteneva, infatti, che il vero limite dell’Umbria fosse dato dalla carenza di linee nazionali, le uniche realmente in grado di aprirne l’economia all’esterno, favorendone lo sviluppo. Ne conseguiva che la costruzione di ferrovie secondarie avesse senso e potesse produrre profitto solo in funzione di un ampliamento della rete principale; ma soprattutto – proseguiva l’analisi – era assolutamente da evitare che la concessione di linee complementari potesse pregiudicare la futura realizzazione di quelle principali ancora mancanti. Non ci vuole molto a capire che il rammarico espresso dalla Deputazione concerneva, in primo luogo, il fallimento dell’ipotesi Adriatico-Tiberina; ma anche l’accantonamento della linea del Salto, oltre che, naturalmente, il declino della Terontola-Foligno. Tale convinzione di fondo guidava il giudizio di merito sulle singole richieste. Tra le linee in parte esterne al proprio territorio la Deputazione promuoveva soltanto la Talamone-Allerona, caldeggiata dal Municipio toscano di Scansano, e la Rieti-
Una provincia da “costruire” (1885-1900)
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Una provincia ancora da “costruire”
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Corese: la prima, nonostante un’evidente marginalità rispetto all’Umbria, andava sostenuta per la sua particolarità di assicurare uno sbocco sul mar Tirenno; la seconda, pur se concorrenziale all’Ancona-Roma e destinata a diminuire, inevitabilmente, il traffico nella stazione di Terni, non doveva essere trascurata in virtù dell’evidente beneficio che avrebbe potuto recare agli interessi sabini. La bocciatura della Chiento-Nerina, promossa dalle Province di Ancona e Macerata – in pratica una ferrovia dal porto dorico a Terni, da condurre lungo le valli del Chienti e del Nera – e il conseguente suggerimento ai Comuni umbri della Valnerina di orientarsi, più semplicemente, verso una ferrovia economica in grado di collegarli con Terni, dipendeva, come si approfondirà più avanti, tanto dal timore di danneggiare l’Ancona-Roma, quanto da un’insoddisfazione per il tracciato proposto. Quella, analoga, riservata alla Metaurense Fano-Urbino-Selci Lama, promossa da uno specifico consorzio, era, invece, la conseguenza della sua evidente marginalità rispetto al territorio provinciale, non compensata da alcuna possibilità di apertura di nuovi sbocchi, essendo la linea stata pensata, in primo luogo, per migliorare, grazie all’allacciamento con l’Arezzo-Fossato, i rapporti tra la Toscana e le Marche. Lapidario era, infine, il giudizio negativo espresso dalla Deputazione in merito alla Cortona-Torrita che, oltre ad essere completamente esterna all’Umbria, richiamava alla mente, in modo inevitabile, la fallimentare impresa della TerontolaChiusi. Le considerazioni più interessanti, tuttavia, erano quelle riguardanti le linee da costruire lungo la valle del Tevere. La Deputazione Provinciale bocciava, senza mezzi termini, l’obiettivo perugino di creare una rete complementare, riproponendo, invece, la costruzione di una grande arteria lungo il fiume, da Baschi a Umbertide, che, nello stesso tempo, potesse servire alle comunicazioni locali e rappresentare un primo concreto passo verso la realizzazione dell’Adriatico-Tiberina. Si esprimeva la convinzione che il desiderio del capoluogo di avere i binari prossimi al centro abitato avrebbe potuto benissimo essere risolto “con una sola ferrovia economica, o con due rami distinti facenti capo alle due stazioni di Ponte San Giovanni e di Fontivegge”1. Ed inoltre che lo stesso tronco Todi-Terni, questo sì da costruire a scartamento ridotto, ne avrebbe tratto vantaggio, poiché soltanto l’allacciamento ad una ferrovia ordinaria avrebbe potuto sortire l’effetto di sostituire la via di Foligno nelle percorrenze tra Perugia e Terni. Infine – si aggiungeva – la UmbertideBaschi avrebbe avuto il merito, non secondario, di mitigare gli effetti negativi della Arezzo-Fossato, impedendo che l’Eugubino e l’alta valle del Tevere stabilissero dei rapporti esclusivi con la Toscana e con le Marche e finissero per non preoccuparsi più di ciò che si muoveva nel resto della provincia. Una simile relazione, che si concludeva con la proposta di fare istanza al governo affinché, in nessun modo, l’eventuale concessione di ferrovie secondarie potesse 1
Amministrazione Provinciale dell’Umbria, Sulle ferrovie secondarie di 4a categoria nella provincia, Boncompagni, Perugia 1885, p. 17.
Capitolo 4
L’Umbria, divisa sino al 1860 in piccole Delegazioni, tenute dal sospettoso governo pontificio gelosamente estranee le une alle altre, non è riuscita ancora, dopo un quarto di secolo, a formare un tutto omogeneo con un capoluogo che sia, per così dire, la sintesi delle aspirazioni, della gloria degli interessi comuni; nonostante i grandi lavori stradali compiuti dalla provincia, la buona volontà di tutti, le simpatie generali per Perugia, manca ancora il cemento che saldi gl’interessi locali in uno – l’interesse provinciale. Questo sentimento unitario che forma la forza e la considerazione delle altre regioni italiane, non poteva ottenersi se non da un buon assetto ferroviario, faciente capo a Perugia, che conservasse al capoluogo ufficiale la posizione assegnatagli dalla natura e dalla storia, di centro commerciale e intellettuale della regione4.
La ferrovia in questione, proprio perchè esaltava la centralità del capoluogo, poteva consentire, meglio di ogni altra, il raggiungimento di tale traguardo. Essa restituiva “una provincia al capoluogo, un capoluogo alla provincia, e permette[va] che l’Umbria cess[asse] una volta dall’essere una semplice espressione geografica, per tornare ad essere un tutto omogeneo”5. Parole forti e chiare, rivelatrici della consapevolezza che i ceti dirigenti umbri, almeno i più illuminati, avevano della debolezza del tessuto regionale. 2 3
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ACPU, 1885, SS, seduta dell’1 giugno, pp. 18-30. Già citato in precedenza, Eugenio (1846-1926) era figlio di un fratello di Zeffirino. Amministratore, politico, ma soprattutto agricoltore illuminato, egli, a partire dagli anni ottanta, attraverso l’applicazione nelle sue proprietà di una rotazione colturale moderna, puntò ad ottimizzare la conduzione mezzadrile. Su questi aspetti si veda, G. Nenci, Proprietari e contadini nell’Umbria mezzadrile, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria, a cura di R. Covino e G. Gallo, Einaudi, Torino 1989, pp. 221-226. Per un approfondimento biografico si veda F. Andreani, Necessità della educazione ed istruzione tecnica elementare e media in agricoltura. Pionieri umbri: Eugenio e Carlo Faina, Centro Umbro di Diritto Comparato, Perugia 1963. E. Faina, La ferrovia Umbertide-Perugia-Todi-Terni. Considerazioni, Tosini, Orvieto 1885, pp. 7-8.
Una provincia da “costruire” (1885-1900)
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pregiudicare il necessario ampliamento della rete principale, non poteva non suscitare reazioni contrarie in seno al Consiglio, in particolare nei rappresentanti del mandamento di Perugia. Ulisse Rocchi, benché non più sindaco, attaccò apertamente la Deputazione per essere entrata nel merito dei tracciati e, soprattutto, per aver sollevato inopportunamente la questione dell’Adriatico-Tiberina. La sua posizione risultò così convincente che alla fine il Consiglio approvò un suo ordine del giorno che, di fatto, stravolgeva quello proposto dalla Deputazione, poiché invitava il governo a servirsi di linee locali per completare l’assetto ferroviario regionale2. Con questa decisione il Consiglio Provinciale anteponeva, di fatto, esigenze di equilibrio territoriale interno al bisogno di aperture verso l’esterno. Una conferma di ciò giunge dall’autorevole ingresso nel dibattito di Eugenio Faina3. La tesi che il deputato della Destra esponeva a sostegno della concessione di una ferrovia economica Umbertide-Perugia-Todi-Terni, era costruita proprio attorno alla necessità, inderogabile, di unificare i divergenti interessi territoriali presenti in Umbria; per essere più chiari, di trasformare, finalmente, dei territori giustapposti in una vera provincia.
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A partire da tale considerazione di fondo, Faina sviluppava la rivendicazione. Le statistiche dimostravano, a suo avviso, che l’Umbria era stata svantaggiata dalle concessioni ferroviarie ispirate alla legge del 29 luglio 18796; ne conseguiva che essa, più di ogni altra regione italiana, aveva il diritto di essere risarcita dal nuovo provvedimento legislativo. Egli, poi, come aveva fatto la Deputazione Provinciale, valutava le diverse proposte di linee sul tappeto. Tanto la Metaurense, quanto la Chiento-Nerina – anche se in merito a quest’ultima non poteva fare a meno di riconoscere i benefici che ne sarebbero derivati per gli abitanti della Valnerina – erano giudicate marginali all’interesse provinciale, oltre che concorrenziali alle linee già esistenti (Arezzo-Fossato e Ancona-Roma) nei collegamenti con le Marche. Se la chiave di lettura era, come si è appena visto, quella di identificare gli interessi della provincia/regione con quelli del capoluogo, allora è sin troppo comprensibile il giudizio negativo che il nobile possidente esprimeva nei confronti della Rieti-Corese, la cui costruzione avrebbe creato “un diversivo potente alle relazioni e ai commerci oggi esistenti fra Perugia ed il Reatino”7, favorendo Roma a discapito del capoluogo umbro. Concorde con la Deputazione era la stima di Faina in merito ai vantaggi che l’Umbria avrebbe ricavato da una linea come l’Allerona-Talamone, in grado di proiettarla sul Tirreno8. Ad ogni modo l’intera disamina non aveva altro scopo che quello di dimostrare la superiore utilità di quella che ormai era stata definita la “Centrale Umbra”, che mentre da un lato unisce col capoluogo l’alta Umbria, raccogliendo ad Umbertide e convogliando a Perugia le provenienze di Fossato e Gubbio a nord-est, di Città di Castello e tutta l’alta valle del Tevere a n[ord]-o[vest], dall’altro attrae al centro naturale e politico della provincia il movimento della valle inferiore, che, per mancanza di comunicazioni, oggi non ha che un andamento discendente verso la capitale9.
Una linea criticabile solo per la sua lunghezza di circa 100 chilometri, certamente non pochi in rapporto ai mille concedibili in virtù della legge n. 3048, ma neppure sufficienti a colmare il debito che lo Stato aveva nei confronti dell’Umbria. Una
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Ivi, p. 17. Mettendo a confronto sia la quantità di chilometri di nuove costruzioni ferroviarie decretati dalle leggi 29 luglio 1879 – eccetto quelli per ferrovie di 1a categoria ovvero ad esclusivo carico dello Stato – e 28 aprile 1885 sia la rispettiva spesa presunta con elementi quali la superficie territoriale, la popolazione e la ricchezza (imposte dirette esigibili mediante i ruoli, esclusa la ritenuta per ricchezza mobile) dell’Umbria, Faina giungeva alla conclusione che la regione – che a seguito di tali provvedimenti legislativi aveva visto costruire, nella estremità settentrionale del proprio territorio, soltanto la ferrovia Arezzo-Fossato, realizzata, tra l’altro per favorire i rapporti tra Toscana e Marche – era in credito nei confronti dello Stato di 208 chilometri di linee ferroviarie ovvero di oltre 19 milioni di lire di sussidio. Ivi, pp. 9-13. Ivi, p. 16. Non si può far a meno di osservare come Eugenio Faina, esprimendosi in favore dell’Allerona-Talamone, oltre a difendere gli interessi provinciali, non trascurasse i propri. A poca distanza dalla stazione di Allerona egli aveva, infatti, i suoi possedimenti ed era in quegli anni che lo stesso andava maturando l’idea di renderle assai più produttive puntando su un’agricoltura di tipo intensivo che esaltasse le potenzialità del contratto mezzadrile. Cfr. Nenci, Proprietari e contadini cit. (a nota 3), pp. 221-226.
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ferrovia, concludeva Faina, che non aveva eguali dal punto di vista del soddisfacimento degli interessi provinciali, anche per ciò che concerneva l’ultimo tratto tra Todi e Terni, che [h]a il pregio di far capo ad una città eminentemente consumatrice, massime di prodotti alimentari [...]. Terni, centro industriale di un grande avvenire, può anche utilizzare meglio di ogni altra i capi morti delle industrie agricole, che, a cagione del loro peso e volume, non sono trasportabili con vantaggio a grandi distanze, (quali sanse, vinacce, fecce) e può restituire a sua volta ai paesi agricoli suoi fornitori, concimi e sostanze fertilizzanti diverse. In fine Terni, capolinea della ferrovia per Aquila e Pescara, faciliterebbe le comunicazioni del territorio compreso fra Perugia e Terni con gli Abruzzi10.
In un quadro così delineato, proseguiva l’azione delle Amministrazioni locali, forte anche dell’approvazione, da parte del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, degli studi per i tronchi Perugia-Todi e Todi-Terni11. Il bisogno di fare il punto della situazione, in particolare in merito all’alternativa Terni/Baschi, sfociò in un’adunanza di sindaci che si tenne a Perugia l’8 ottobre 1885 e che, all’unanimità, si concluse con un voto d’invito all’Amministrazione Provinciale a sostenere, presso il governo, la linea Umbertide-Perugia-Todi-Terni. La Provincia, tuttavia, dopo avere inviato a Roma – conformemente all’esito della seduta consiliare del primo giugno – un’istanza di tipo generico, non intendeva fare ulteriori passi in avanti prima di ottenere una qualche risposta. Tale attendismo non riuscì, comunque, a frenare le Municipalità, che in una rappresentanza congiunta, all’apertura del 1886, insieme ad alcuni deputati eletti nei collegi umbri, si incontrarono con una delegazione del governo, ottenendo, però, niente altro che promesse12. Frattanto, mentre anche il consorzio per la Ferrovia Umbro-Aretina Arezzo-Fossato, che era sul punto di essere inaugurata, manifestava il proprio sostegno alla Centrale Umbra13, il Comune di Perugia teneva viva la trattativa con Maynard e Cooke, avviata un paio di anni prima, in merito alla costruzione ed esercizio dei tronchi Umbertide-Perugia e Perugia-Todi. Si giunse sino alla stesura di un compromesso tra le parti, ma, successivamente, tutto sfumò per una controversia relativa alla 9 10 11
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Ivi, pp. 16-17. Ivi, p. 20. La notizia dell’approvazione degli studi venne data dal prefetto al sindaco di Perugia il 19 giugno 1885, si veda ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1887, fasc. “Ferrovia Umbertide-PerugiaTodi-Terni 1883-86”. Come si ricorderà l’approvazione del tronco Umbertide-Perugia (via Pantano) risaliva al dicembre 1880. Consiglio Comunale di Perugia, Sulla dimanda di concessione della costruzione ed esercizio della Ferrovia Centrale Umbra. Relazione della Giunta. Sedute del 21 e 28 gennaio 1888, Boncompagni, Perugia 1888, pp. 23-24. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1887, fasc. “Ferrovia Umbertide-Perugia-TodiTerni. 1883-86”, nota del consorzio per la Ferrovia Umbro-Aretina al sindaco di Perugia del 20 febbraio 1886. Il sostegno alla linea venne manifestato indipendentemente dallo sbocco a Terni o a Baschi.
Una provincia da “costruire” (1885-1900)
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Orvieto o Terni?
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facoltà di poter introdurre variazioni al tracciato, che il Comune, in quanto futuro concessionario, avrebbe voluto riservarsi, anche dopo la stipula del contratto definitivo, senza, per questo, prevedere alcun indennizzo in favore della società14. Ad un anno esatto di distanza dal precedente, ci fu un nuovo intervento di Eugenio Faina, che testimonia lo stallo in cui si trovava la questione. Egli spiegava le difficoltà che ostacolavano il soddisfacimento delle aspettative umbre con motivi d’ordine nazionale e locale. In primo luogo con la natura “essenzialmente parlamentare” del governo che finiva per subordinare ogni decisione, in particolare quelle che concernevano bisogni “fortemente sentiti” come quelli locali, alla necessità di mantenere l’equilibrio politico. Secondariamente, ed era questa una considerazione che contrastava con l’identificazione tra gli interessi provinciali e quelli del capoluogo teorizzata in precedenza, la Centrale Umbra, a causa della rilevante lunghezza chilometrica, eliminava, di fatto, la possibilità per altre parti della provincia di ottenere linee ferroviarie, caratterizzandosi, perciò, in modo opposto allo scopo per il quale era stata pensata, come un ulteriore elemento di indebolimento della coesione territoriale interna. Per superare questi ostacoli Faina, dopo uno scambio di opinioni con l’ingegnere Arienti, autore dei progetti di massima dei tratti Umbertide-Perugia e PerugiaTodi, proponeva che, restando invariato il primo tronco, il secondo e il terzo potessero essere realizzati, per sfruttare in alcuni punti pezzi di ferrovie già esistenti e favorire l’allacciamento con esse, a scartamento ordinario, ma, soprattutto, che, al fine di determinare un cospicuo abbreviamento dell’intera linea, essa, nel suo tratto finale, potesse dirigersi a Baschi anzichè a Terni. Si è davanti ad un mutamento di opinione indotto dalla voglia di forzare i tempi, pure al prezzo di subordinare, in parte, gli interessi locali alla volontà governativa. Egli ribadiva, infatti, che lo sbocco a Terni sarebbe stato “preferibile”, che anzi entrambi avrebbero dovuto concorrere alla costruzione di una rete ferroviaria regionale, ma che l’urgenza delle cose, il rischio, fondato, di restare ancora una volta con un pugno di mosche, imponevano di affidarsi alla discrezione del governo. Tuttavia, affinché esso potesse scegliere, era necessario che la domanda per la concessione del tratto Todi-Baschi venisse rapidamente inoltrata, sfruttando, opportunamente modificati, gli studi già esistenti di Coriolano Monti. La sollecitazione con cui Faina terminava il suo secondo intervento era perentoria: Non facciamo, per carità, che a cose finite ci si dica che la Centrale Umbra non si è potuta concedere, o non si è potuta concedere intera perché troppo lunga, ma che se fosse stato ridotto il chilometraggio a più modeste proporzioni, sarebbe stata accordata ben volentieri; insomma che siamo giunti tardi tanto per non smentire il nome di tardus Umber. Questo si è visto altre volte che non si ripeta!15
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Ivi, fasc. “Ferrovia Umbertide-Ponte Pattoli-Perugia-Todi e Centrale Firenze-Roma. 1887-89”, s.fasc. “Ferrovia Umbertide-Perugia-Todi. Maynard. 1885-89”, carte varie. E. Faina, La Ferrovia Centrale Umbra. Nuove considerazioni, Tosini, Orvieto 1886, passim.
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Il compito di avanzare tale richiesta spettava, comunque, al Comune di Todi: questa era, perlomeno, l’opinione della Giunta Municipale di Perugia16.
Dovette trascorrere ancora un anno, però, prima che la situazione tornasse a movimentarsi grazie alla legge n. 4785 del 24 luglio 1887, che introduceva importanti elementi di novità in tema di costruzioni ferroviarie. Si tenga presente che lo stallo a cui si è appena fatto riferimento non riguardava soltanto la specifica vicenda umbra, ma l’intero panorama nazionale. Le condizioni fissate nella legge n. 3048, per la concessione dei mille chilometri di ferrovie complementari, infatti, erano apparse così favorevoli ai soggetti richiedenti, che erano state avanzate domande per un totale di circa 6.500 chilometri, con il risultato, però, che la commissione istituita allo scopo di esaminare l’intero pacchetto di richieste aveva finito per non operare alcuna scelta. Inoltre, il capitale stanziato per le costruzioni sancite dalla legge anteriore del 29 luglio 1879 si era dimostrato, a causa di preventivi sbagliati, di gran lunga inferiore alle necessità. Ne era derivata una situazione di profondo malcontento tra le comunità locali che andava in qualche modo sanata. La nuova legge intendeva andare proprio in questa direzione, stanziando un’ulteriore somma di 121 milioni di lire per la costruzione di ferrovie secondarie. Accantonando i mille chilometri della precedente, essa ribadiva l’attribuzione al governo della facoltà di concedere per decreto linee a privati, enti locali singoli o consorziati, accordando loro una sovvenzione chilometrica annua, che veniva aumentata da 1.000 a 3.000 lire, per un periodo di tempo determinato, raddoppiato da 35 a 70 anni17. Si mosse per prima l’Amministrazione perugina, che per ottenere il massimo consenso intorno al progetto della Centrale Umbra, si dispose a studiare una variante del tratto Umbertide-Perugia che fosse in grado, nello stesso tempo, di rispondere alla propria esigenza di avere i binari relativamente vicini al centro abitato e di non contrariare coloro i quali non vedevano di buon occhio l’abbandono della valle del Tevere. In concreto si sarebbe trattato di condurre la ferrovia lungo il Tevere sino a Ponte Pattoli, ed ivi, prendendo a destra sotto Cordigliano, giungere con tre brevi gallerie, a sboccare pel pian di Massiano alla stazione
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ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1887, fasc. “Ferrovia Umbertide-Perugia-TodiTerni. 1883-86”, seduta dell’11 agosto 1886. A. Crispo, Le ferrovie italiane. Storia politica ed economica, Giuffrè, Milano 1940, pp. 165, 200, 221-222, 227228. La facoltà di rilasciare, per decreto, concessioni che prevedessero un sussidio chilometrico era stata accordata al governo per la prima volta con la legge n. 1475 del 29 giugno 1873 e, in seguito, confermata con le leggi 29 luglio 1879, n. 5002, e 5 giugno 1881, n. 240.
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Una nuova frattura tra Umbertide e Perugia
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delle Fontivegge, dopo aver dato opportunità di stabilire, sotto S[an] Marco, una stazione suburbana che non disti più di due chilometri e mezzo dalla porta dell’Elce, stazione che accorci di molto il percorso alle provenienze dell’alto Tevere per Perugia18.
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Da Ponte Pattoli, tuttavia, un altro braccio avrebbe dovuto proseguire lungo il Tevere, toccando Ponte San Giovanni, e giungendo sino a San Nicolò di Celle, punto di confluenza di entrambi. Così facendo si sarebbe determinata la stessa percorrenza sia per l’una che per l’altra diramazione (tav. 14). La soluzione perugina piacque, in primo luogo, al neo costituitosi comitato per la costruzione della ferrovia Umbertide-Perugia-Todi-Baschi, con sede a Città di Castello19, ma soprattutto all’Unione Liberale Monarchica cittadina che, nella persona del presidente Cesare Fani, fece pressione affinché l’Amministrazione Municipale promuovesse, sulla base del nuovo progetto, la costituzione di un comitato aperto a tutti i centri interessati20. L’iniziativa registrò un livello quasi unanime di adesioni (tra le altre Città di Castello, Marsciano, Todi, Orvieto), ma non quella di Umbertide, il cui Consiglio Comunale, per tutta risposta, nella seduta del 24 novembre 1887, deliberò di avviare le pratiche per ottenere in concessione una linea da Umbertide a Ponte San Giovanni a scartamento ordinario. Un proponimento che nasceva dalla convinzione che l’unico e reale obiettivo, condivisibile dai Comuni dell’alta valle Tiberina, dovesse essere quello di allacciarsi allo “scalo naturale” di Ponte San Giovanni, punto di snodo per i traffici con Roma e il Meridione. Il collegamento con Perugia aveva una valenza senz’altro minore e lo si poteva assicurare o con una diramazione da Ponte Felcino o Ponte Pattoli o con una tramvia da Ponte San Giovanni. La scelta dello scartamento ordinario, oltre che consentire l’allaccio diretto alla Terontola-Foligno, veniva, infine, motivata con l’esigenza di tenere viva la speranza per l’Adriatico-Tiberina21. Si rinnovava, pertanto, un dualismo già emerso nell’opposizione Trasimeno/Valdipierle. Alla metà di dicembre, a Perugia, si tenne un’adunanza promossa dalla locale Amministrazione, a cui non parteciparono le rappresentanze di Umbertide e Todi; quest’ultima, è bene ricordarlo, legata alla città di Terni da un comune consorzio.
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Consiglio Comunale di Perugia, Sulla dimanda di concessione cit. (a nota 12), p. 25. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1887, fasc. “Ferrovia Umbertide-Ponte PattoliPerugia-Todi e Centrale Firenze-Roma. 1887-89”, s.fasc. “Ferrovia Umbertide-Perugia-Todi-Baschi. 1887-89”, nota del comitato per la costruzione della ferrovia Umbertide-Perugia-Todi-Baschi al sindaco di Perugia del 5 novembre 1877. Dietro questa nuova sigla vi erano personaggi pubblici che avevano già legato il loro nome alla vicenda della Arezzo-Fossato; il loro scopo dichiarato non era affatto di porsi in concorrenza con i soggetti che da tempo si battevano per la linea in questione ma, esclusivamente, quello di fornire un ulteriore punto di appoggio. Ivi, nota della presidenza dell’Unione Liberale Monarchica cittadina al sindaco di Perugia dell’11 novembre 1887. ASP, PPA1, b. 51, fasc. 8 “Ferrovia Centrale Umbra dell’alto e basso Tevere e tronchi speciali UmbertidePerugia, Umbertide-Ponte San Giovanni, Todi-Terni. 1887-96”, s.fasc. c) “Tronco Umbertide-Ponte San Giovanni. 1887-90”, verbale della seduta del Consiglio Comunale di Umbertide del 24 novembre 1887.
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Fu lo stesso Municipio di Orvieto ad impegnarsi a far realizzare gli studi per la variante da Baschi; in Consiglio Comunale di Perugia, Sulla dimanda di concessione cit. (a nota 12), pp. 28-30. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1887, fasc. “Ferrovia Umbertide-Ponte PattoliPerugia-Todi e Centrale Firenze-Roma. 1887-89”, s.fasc. “Ferrovia Umbertide-Perugia-Todi-Baschi. 1887-89”, verbale dell’adunanza tenutasi a Terni il 16 febbraio 1888. Consiglio Comunale di Perugia, Sulla ferrovia Todi-Terni. Relazione della Giunta nella seduta consigliare del 21 febbraio 1888, Bartelli, Perugia 1888, p. 11. ASP, PPA1, b. 51, fasc. 8, s.fasc. d) “Tronco Todi-Terni. Progetto Arienti 16.3.1884”, verbale della seduta della Giunta Municipale di Todi del 2 marzo 1888. La quistione ferroviaria, in “Il mio paese”, 78, Todi, 11 febbraio 1888.
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L’accordo conclusivo stabilì che la Ferrovia Centrale Umbra avrebbe dovuto essere costituita da tre tronchi a scartamento ridotto: Umbertide-Perugia, Perugia-Todi, Todi-Orvieto. La rottura con Umbertide faceva venir meno la necessità della doppia variante da Ponte Pattoli, mentre la sostituzione di Baschi con Orvieto, che emerse nel corso della discussione, veniva subordinata alla verifica della sua fattibilità22. Tuttavia il fatto che i perugini, con il tacito assenso dei tuderti, accantonassero l’ipotesi di condurre la ferrovia a Terni, non implicava, necessariamente, che essa fosse realmente naufragata. Lo dimostra l’adunanza di sindaci che il vecchio consorzio per la Todi-Terni promosse alla metà di febbraio del nuovo anno e che si concluse con la decisione di inoltrare la domanda di concessione al governo, secondo i criteri fissati dalla legge del luglio 1887, ma anche con l’intenzione di trovare un accordo con il comitato promosso da Perugia23. In una fase in cui si muovevano le sole Amministrazioni comunali, nel silenzio della Provincia, le posizioni assunte erano caratterizzate, inevitabilmente, dal localismo. Anche quando non si ponevano veti – l’unica ad averlo fatto, chiamandosi fuori, era stata Umbertide – si era incapaci di ragionare in una dimensione che trascendesse il proprio immediato interesse. Così, di fronte al rilancio del tronco Todi-Terni, la Giunta Municipale di Perugia dichiarò, tornando con un colpo di spugna alle origini del dibattito, di voler, innanzitutto, allacciarsi all’ArezzoFossato e che pertanto la scelta del tracciato al suo meridione le era assolutamente indifferente24. Dal canto suo Todi sosteneva, guarda caso, che l’ideale sarebbe stato avere entrambe le diramazioni per Orvieto e Terni, ma che comunque tutto poteva andare bene pur di riuscire a spezzare il proprio isolamento25. Al di sotto delle posizioni ufficiali delle Amministrazioni, non mancavano, però, voci dissenzienti. A Perugia, ad esempio, l’alternativa Terni/Orvieto metteva da una parte i democratici, guidati dall’ex sindaco Ulisse Rocchi, e dall’altra i conservatori, con in testa Cesare Fani. Anche a Todi c’era chi giudicava del tutto negativamente, perchè “contraria al sentimento delle popolazioni [e] non corrisponde[nte] agli interessi di una grande zona del territorio umbro”26, la scelta di proseguire per Orvieto. Ma la fluidità della situazione era tale, le contrapposizioni interne così poco chiare, che era anche molto facile assistere a dei ricompattamenti, magari solo temporanei. Uno di questi avvenne il 27 marzo a Todi, sotto l’egida della
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locale Amministrazione. Al termine di un’adunanza alla quale parteciparono le rappresentanze di tutti i Comuni coinvolti a sud di Perugia, si decise di formulare un’unica domanda di concessione che prevedesse entrambi i tronchi per Orvieto e Terni27. In un quadro così poco stabile c’era, però, un dato certo rappresentato dalla volontà dei comuni alto tiberini, guidati da Umbertide, di non piegarsi al disegno perugino. A nulla valsero i ripetuti tentativi di mediazione operati dal prefetto: mentre nell’alta valle ci si affrettava a compiere gli studi, l’Amministrazione perugina, sicura di riuscire ad ottenere la concessione, aprì una trattativa con la Società per le Ferrovie dell’Appennino Centrale per la costruzione e l’esercizio della linea28. Sta di fatto che il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, respinse la domanda di concessione, presentata, in modo conforme a quanto deciso nell’adunanza del marzo a Todi, congiuntamente dal sindaco di Perugia e dal presidente del consorzio per la Todi-Terni. A motivazione della bocciatura venivano indicati elementi di ordine diverso: innanzi tutto, l’impossibilità di accogliere la domanda, per una linea così complessa, in assenza di un regolare consorzio che dimostrasse le reali intenzioni dei Comuni interessati; in secondo luogo, il fermo e assoluto convincimento, alla luce della posizione assunta dai Comuni altotiberini che il tracciato della linea Perugia-Umbertide, debba attenersi esclusivamente alla valle del Tevere, [e] che a collegare con essa l’abitato di Perugia, [possa] provved[ere] con efficacia assai maggiore un breve tronco a forti pendenti o a ingranaggio, od altro sistema speciale, sicché sia la città più completamente servita e il traffico longitudinale non sia turbato29.
In buona sostanza se, da un lato, il governo giudicava eccessive le pretese del capoluogo, dall’altro, lasciava chiaramente intendere che, senza un’ampia intesa tra le Amministrazioni, non solo l’intera linea, ma nessun tronco sarebbe stato concesso. Un rischio che spinse alcuni parlamentari umbri – Leopoldo Franchetti, Eugenio Faina, Cesare Fani, Guido Pompili, Edoardo Pantano – a rivolgere un accorato appello alla conciliazione ai sindaci dei principali centri coinvolti nella vicenda30. Ma, evidentemente, anche in ambiente ministeriale le idee erano abbastanza confuse, se, alla fine di aprile del 1889, ovvero a soli cinque mesi dal parere negativo espresso dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, Ulisse Rocchi, in missione a Roma per conto del proprio Municipio, venne invitato a promuovere la 27
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Adunanza dei signori rappresentanti i Comuni interessati nella costruzione della Ferrovia Centrale Umbra, in “Il mio paese”, 85, Todi, 31 marzo 1888. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1887, fasc. “Ferrovia Umbertide-Ponte PattoliPerugia-Todi e Centrale Firenze-Roma. 1887-89”, s.fasc. “Ferrovia da Monte Corona a Perugia, Todi, Baschi o Orvieto. Pratiche con la Società Belga per l’assunzione di detta linea. 1888-89”, carte varie. ASP, PPA1, b. 51, fasc. 8, s.fasc. d) “Tronco Todi-Terni. Progetto Arienti 16.3.1884”, copia di nota del 13 dicembre 1888 dell’Ispettorato Generale delle Strade Ferrate. In merito all’assenza di un consorzio è bene aggiungere che lo stesso consorzio per la ferrovia Todi-Terni non era mai stato riconosciuto formalmente. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1889, fasc. “Ferrovia Perugia-Todi-Terni. Consorzio”, lettera circolare del 15 febbraio 1889.
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Ivi, verbale della seduta della Giunta Municipale di Perugia del 30 aprile 1889. L’imbroglio, se così può definirsi, stava nel fatto che l’Amministrazione perugina, chiamando a concorrere gli altri Comuni, motivava essenzialmente il parere negativo del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici con l’assenza di un regolare consorzio, tacendo il giudizio sul tracciato che, come si è visto, le dava inequivocabilmente torto, imponendole assai più di una semplice correzione al progetto, come invece essa voleva far credere. Si veda, ASP, PPA1, b. 51, fasc. 8, s.fasc. d), nota circolare del sindaco di Perugia del 3 marzo 1889 il cui testo è riportato nel verbale della seduta del Consiglio Comunale di Terni del 30 marzo 1889. ASP, PPA1, b. 51, fasc. 8, s.fasc. d), verbale della seduta del Consiglio Comunale di Terni del 30 marzo 1889. Ivi, s.fasc. e), verbale della seduta del Consiglio Comunale di Città di Castello del 30 marzo 1889.
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costituzione di due consorzi separati, l’uno per il tratto Umbertide-Perugia, l’altro per quello Perugia-Todi-Terni31. Precedentemente, tanto il timore di non ottenere nulla, quanto il proseguire della mediazione prefettizia avevano avuto l’effetto, perlomeno, di riavvicinare le Municipalità di Umbertide e Perugia, anche se l’accordo rimaneva lontano. L’ostacolo maggiore restava sempre quello della volontà della prima di allacciarsi innanzitutto a Ponte San Giovanni e solo successivamente al capoluogo, in contrapposizione alla pretesa di centralità della seconda, che non intendeva in alcun modo porsi al termine di una semplice diramazione. Il permanere di tale contrasto, inoltre, spingeva tutte le altre Amministrazioni a schierarsi: si chiariva così, ulteriormente, lo spettro degli interessi in campo. Pur precisando, ancora una volta, che il dibattito interno che precedeva le deliberazioni delle singole municipalità non assumeva, quasi mai, toni univoci, rimane il fatto che è possibile distinguere tra la fermezza ternana e, ad esempio, l’atteggiamento conciliatorio di Todi e Città di Castello. In seguito alla decisione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, Perugia, anche imbrogliando leggermente le carte32, riprese le operazioni necessarie alla costituzione di un unico consorzio, ma i riscontri si dimostrarono assai poco favorevoli. A parte le tante risposte sospensive in attesa di conoscere l’esatto tracciato, tra i Comuni che subordinarono l’adesione a determinate condizioni, emerse quello di Terni, la cui replica, in verità, assomigliava molto di più ad un rifiuto. In perfetta sintonia con Umbertide, l’Amministrazione ternana stigmatizzava l’ambizione perugina di far salire la ferrovia alle porte della città; una pretesa assolutamente ingiustificata, secondo i ternani, all’origine del mancato accordo fra le parti interessate e, in conseguenza, della disapprovazione governativa. Si sottolineava come i terminali naturali della linea si collocassero ad Umbertide e Terni e come essa potesse svolgere una fondamentale funzione economica solo se a scartamento ordinario. Perugia, si concludeva, può e deve accontentarsi di una semplice diramazione33. Assolutamente conciliatoria era, al contrario, la posizione espressa dall’Amministrazione di Città di Castello al cui interno, sin dall’inizio, si era manifestata una componente, seppur minoritaria, più indulgente nei confronti del capoluogo. Conciliatoria al punto di assegnare alla Giunta l’incarico di lavorare per favorire l’accordo tra Umbertide e Perugia e di subordinare all’ottenimento di questo risultato la propria adesione al consorzio34.
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Da Todi, il cui legame con il capoluogo in tema ferroviario risaliva all’originario disegno di Monti, si evidenziava, piuttosto, con una valutazione differente da quella ternana, lo iato che separava gli interessi dei Municipi dell’alta e della bassa valle Tiberina, questi ultimi, sì, desiderosi di collegarsi “al loro centro naturale: al capoluogo di Perugia”35. Se ciò non poteva ottenersi mediante un solo consorzio, a causa dello scontro che si era aperto, l’Amministrazione perugina, sempre secondo i tuderti, non avrebbe dovuto insistere su questa strada, ma, al contrario, contribuire al rilancio del consorzio per la linea Todi-Terni, assicurandosi intanto metà del proprio obiettivo. Ed era, appunto, in direzione della costituzione di due consorzi separati che conducevano le, prima ricordate, indicazioni ufficiose provenienti dal Ministero dei Lavori Pubblici. Nel corso dell’agosto 1889, Perugia tentò la doppia operazione, che però, nonostante il parere favorevole dell’Amministrazione Provinciale, non riuscì, anche perchè si perseverò nella forzatura di rifiutare la diramazione e di voler imporre, proprio per consentire l’ascesa della ferrovia alle porte della città, lo scartamento ridotto36. Decisiva fu, guarda caso, l’opposizione di Umbertide e Terni, ormai alleate contro il comune nemico37. Di nuovo l’Adriatico-Tiberina Come già accaduto in passato, la vicenda della Ferrovia Centrale Umbra tornò ad intrecciarsi con quella dell’Adriatico-Tiberina. Nonostante la questione della transappenninica intermedia alla Porretana e all’Ancona-Roma dovesse ritenersi conclusa – si era nel pieno dei lavori di costruzione della Faenza-Firenze, aperta al traffico nel 189338 – ciò non toglie che le Amministrazioni locali deluse continuassero a fare pressioni al governo affinché prendesse in considerazione l’eventualità di concedere un’ulteriore trasversale. In risposta ad un’iniziativa forlivese che, forte dell’avvenuta costruzione dell’Arezzo-Stia, rilanciò il progetto di un collegamento con la città aretina lungo la valle del Bidente, i Comuni umbri furono, in un certo senso, costretti, a mettere da parte le beghe interne e ricercare quell’intesa che, sola, poteva consentire loro di lottare ad armi pari39. 35
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ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1889, fasc. “Ferrovia Perugia-Todi-Terni. Consorzio”, lettera di Giacinto Caprale a Ulisse Rocchi del 24 giugno 1889. Cfr. Municipio di Perugia, Sulla ferrovia Perugia-Todi-Terni, Boncompagni, Perugia 1889 e Id., Sulla ferrovia Perugia (Fontiveggie)-Umbertide (Monte Corona), Tipografia Umbra, Perugia 1889. Cfr. la nota del sindaco di Terni al prefetto del 16 settembre 1889 e il verbale della seduta del Consiglio Comunale di Umbertide del 15 ottobre 1889, in ASP, PPA1, b. 51, fasc. 8, s.fasc. b) e d). A. Giuntini, I progetti ferroviari di comunicazione fra la Romagna e la Toscana: rassegna e note critiche, in “Studi Romagnoli”, XXXV, 1984, p. 425. Se dalle carte del Comune di Perugia si è indotti a pensare che l’iniziativa umbra seguisse temporalmente quella forlivese, tuttavia, diversa è la valutazione in proposito di Mario Proli. Si veda, M. Proli, Le reti immaginarie. I progetti ferroviari a Forlì, in “Memoria e ricerca”, II, 4, dicembre 1994, p. 89. La ferrovia Arezzo-Stia, a scartamento ordinario, era stata concessa nel 1883 e aperta al traffico nel 1888; cfr. Ibidem e P. Galante e A. Minetti, Le ferrovie nell’Appennino Centrale, in “Proposte e ricerche”, 1988, 20, p. 260.
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Faina, in particolare, sottolineò come fossero trascorsi, inutilmente, dieci anni alla ricerca di un accordo, rivelatosi impossibile a causa dell’ambizione perugina. In ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1893, fasc. “Ferrovia Adriatico-Tiberina. Ferrovia dell’alto e basso Tevere. Costituzione di un nuovo consorzio. 1890-93”, verbale della seduta della Giunta Municipale di Perugia del 31 gennaio 1890. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1893, fasc. “Ferrovia Adriatico-Tiberina. Ferrovia dell’alto e basso Tevere. Costituzione di un nuovo consorzio. 1890-93”, verbale della adunanza del 2 febbraio 1890. ASP, PPA1, b. 51, fasc. 8, s.fasc. a), verbale della seduta del Consiglio Comunale di Gubbio del 22 febbraio 1890. Cfr., inoltre, i verbali delle sedute consiliari del 6 dicembre 1887, 16 marzo e 30 dicembre 1889, in Ivi, s.fasc. b) ed e). Ivi, s.fasc. a), verbale della seduta del Consiglio Comunale di Umbertide del 27 febbraio 1890.
Una provincia da “costruire” (1885-1900)
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La metamorfosi più evidente si verificò in seno all’Amministrazione perugina, ancora scottata dal fallimento dell’ennesimo tentativo di imporre la propria egemonia sull’intero territorio provinciale, la quale abbandonò definitivamente l’idea di condurre una linea a scartamento ridotto da Umbertide, facendole lasciare il corso del Tevere, sino alle porte della città. Al termine di una riunione di Giunta allargata ad alcuni consiglieri, in cui significativo fu l’intervento del senatore Zeffirino Faina, si votò in favore della costituzione di un consorzio che promuovesse la costruzione di una linea a sezione ordinaria “da Umbertide [...] a Ponte San Giovanni, fermo il congiungimento il più logico e spedito colla città di Perugia e il meglio rispondente ai suoi interessi”40. Su queste nuove basi si andò, nel giro di un paio di giorni, ad un incontro, sempre a Perugia, tra tutte le rappresentanze comunali interessate, nel quale si gettarono le basi per la costituzione del consorzio per la Umbertide-Ponte San GiovanniTodi-Baschi, a scartamento ordinario ma ad armamento economico, da intendersi tanto come sezione della futura Adriatico-Tiberina, quanto come fulcro di un sistema ferroviario locale, da svilupparsi a partire, in primo luogo, dalla linea Todi-Terni. Vennero, inoltre, previste due varianti per collegare Perugia e Orvieto41. Il “sacrificio” perugino servì, effettivamente, a rimuovere lo stallo, così, stavolta, i diversi Consigli comunali non poterono far altro, in larghissima parte, che aderire. Tra le eccezioni, la più significativa fu, probabilmente, quella di Gubbio, la cui Amministrazione, oltre che lamentare il fatto di non essere stata invitata alla riunione di Perugia, confermò la posizione assunta sin dall’inizio della vicenda, ovvero favorevole e interessata soltanto ad un collegamento il più diretto ed economico possibile con il capoluogo, dal momento che gli scambi con Roma le erano già garantiti dalla via di Fossato42. Non vi è dubbio che un tale esito, per quanto condizionato dall’offensiva forlivese, debba essere interpretato come la rivincita di Umbertide su Perugia, dopo lo scippo del prolungamento della ferrovia Aretina risalente agli anni immediatamente successivi all’Unità. Ne è conferma il senso di vittoria che pervase l’assise consiliare dell’ex Fratta, chiamata a ratificare l’adesione al consorzio43. Ancora una volta, tuttavia, l’illusione della grande direttrice adriatico-tiberina era destinata a dissolversi. Già nella prima adunanza dei delegati, che si tenne a
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Perugia il 9 marzo 189044, si manifestò la consapevolezza che, pur se a sezione normale, la linea difficilmente avrebbe potutto, nell’immediato futuro, prolungarsi oltre il territorio provinciale e, soprattutto, venire concessa coma linea di prima categoria. Si discusse, piuttosto, di come realizzarla in economicità, tenendo conto che il massimo sussidio governativo che si poteva ottenere, ai sensi della legge n. 4785 del 24 luglio 1887, era di lire 3.000/km per 70 anni; buono, ma insufficiente a coprire le spese di costruzione. I delegati si confrontarono sulle seguenti proposte: chiedere alla Provincia di integrare il contributo diretto, che avrebbe dovuto comunque versare45, con l’assunzione a proprio carico della costruzione dei sei ponti previsti lungo il percorso, facendo affidamento sul fatto che questi, se sufficientemente larghi, sarebbero potuti servire contemporanemente alla viabilità ferroviaria e a quella ordinaria; o, piuttosto, fare pressione sul governo affinché elevasse l’ammontare del sussidio chilometrico per i tratti più difficili da realizzare; o, ancora, convincere i proprietari dei terreni da espropriare, i quali avrebbero ricevuto notevoli benefici dal passaggio del treno, a concedere, se non gratuitamente, perlomeno a prezzi di favore i loro possedimenti. Alla fine, oltre ad eleggere alla presidenza del consorzio Eugenio Faina, i convenuti stabilirono di comune accordo di assegnare il compito di coordinare i progetti esistenti agli ingegneri Arienti, Scagnetti e Zampi. Il lavoro, tuttavia, procedette a rilento, creando qualche disagio in seno allo stesso consorzio46, mentre si persero le tracce del ricorso in favore dell’Adriatico-Tiberina inviato al governo47. Ad ogni modo la situazione si mantenne estremamente fluida, anche perché, in attesa di ottenere il massimo contributo economico dal governo e dall’Amministrazione Provinciale, bisognava, comunque, individuare una società disposta ad assumere l’impresa. A tale proposito tornò a farsi avanti la ditta londinese Maynard e Cooke, più volte in trattativa con la Municipalità perugina sino dal 1883, che, attraverso i Comuni di Umbertide e Terni, avanzò la proposta di costruire ed esercitare la linea, spostando tuttavia il termine da Baschi a Terni e riducendo lo scartamento, a condizione che il consorzio fosse in grado di garantire il massimo sussidio governativo, pari a 3.000 lire/km per 70 anni, e coprire le spese di espropriazione dei 44
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ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1893, fasc. “Ferrovia Adriatico-Tiberina. Ferrovia dell’alto e basso Tevere. Costituzione di un nuovo consorzio. 1890-93”, Consorzio provvisorio per la costruzione della linea ferroviaria dell’alta e bassa valle del Tevere. 1a adunanza dei delegati dei Comuni interessati. Vale la pena di ricordare che, nella sessione straordinaria dell’1 giugno 1885, il Consiglio Provinciale dell’Umbria aveva deliberato di concedere una somma fissa a titolo di sussidio, pari ad un decimo e mezzo della quota a loro carico, a tutti quei Comuni che, isolatamente o consorziati, avessero ricevuto in concessione linee d’interesse locale. Si veda, ACPU, 1885, SS, seduta dell’1 giugno, pp. 18-30. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1893, fasc. “Ferrovia Adriatico-Tiberina. Ferrovia dell’alto e basso Tevere. Costituzione di un nuovo consorzio. 1890-93”, lettera di Francesco Andreani, segretario del consorzio provvisorio, a Ulisse Rocchi, sindaco di Perugia del 17 maggio 1890. C. Cherubini e I. Monti, Per la strada ferrata Umbertide-Ponte San Giovanni-Orvieto con diramazione per Perugia e per il suo coordinamento alla futura direttissima Venezia-Roma. Petizione di Perugia e dei Comuni della valle Tiberina a S.E. il ministro dei Lavori Pubblici, Boncompagni, Perugia 1891.
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Il fugace ritorno dell’ipotesi tranviaria Secondo una tendenza al ribasso già sperimentata in passato, di fronte all’arenarsi anche dell’ipotesi dello scartamento ridotto, si riaffacciò l’opportunità di realizzare delle tramvie. D’altronde, lo si approfondirà più avanti, questa possibilità era già riemersa, da qualche anno, nel dibattito relativo all’allacciamento di Perugia con Chiusi, sentito sempre più come rimedio necessario alla decadenza, ormai cronica, della Terontola-Foligno. Una proposta, articolata, di una rete tranviaria a vapore che, assumendo come nodo centrale Perugia, si dipartisse in tre distinte direzioni – Umbertide, Chiusi e Todi – fu avanzata, nella tarda primavera del 1893, dall’ingegnere Leopoldo Fantacchiotti52. Al termine di una riunione tenutasi presso la Prefettura, alla qua-
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ASP, PPA1, b. 51, fasc. 8, s.fasc. f), carte varie; in particolare, verbale della seduta del Consiglio Comunale di Terni del 18 agosto 1891. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1893, fasc. “Ferrovia Adriatico-Tiberina. Ferrovia dell’alto e basso Tevere. Costituzione di un nuovo consorzio. 1890-93”, nota del presidente del consorzio per la Ferrovia Centrale Umbra Umbertide-Ponte San Giovanni-Todi-Orvieto al sindaco di Perugia dell’11 febbraio 1892. ASP, PPA1, b. 51, fasc. 8, s.fasc. h), delibere varie. Cfr. la relazione della Giunta e il verbale della seduta consiliare del 5 marzo 1892, rispettivamente in ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1893, fasc. “Ferrovia Adriatico-Tiberina. Ferrovia dell’alto e basso Tevere. Costituzione di un nuovo consorzio. 1890-93” e ASP, PPA1, b. 51, fasc. 8, s.fasc. h). L’imprenditore locale Leopoldo Fantacchiotti, negli stessi anni, grazie alle aderenze che vantava in ambiente massonico, era in trattativa con il Comune di Perugia per la costruzione dell’acquedotto. Tuttavia, si dimostrò inaffidabile, dileguandosi al momento di depositare la cauzione richiestagli dall’Amministrazione Municipale a garanzia del proprio impegno. Si veda, in proposito, G. Ricci, Politica, amministrazione e servizi pubblici a Perugia, 1893-1903, in “Storia Urbana”, II, 4, gennaio-aprile 1978, pp. 114-115.
Una provincia da “costruire” (1885-1900)
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terreni48. La scelta di Terni veniva motivata dagli inglesi dallo sviluppo industriale e manifatturiero che la città aveva conosciuto negli ultimi anni. Come prevedibile, anche per l’assenza di altre offerte, il consorzio giudicò favorevolmente la proposta, lasciando carta bianca alla società sia in merito all’alternativa Terni/Baschi (Orvieto), sia riguardo alla possibile riduzione dello scartamento; un unico puntello venne fissato: nessuna variazione, rispetto a quanto stabilito in precedenza, avrebbe dovuto farsi al tratto Umbertide-Todi, compreso il raccordo con Perugia49. Unanime fu l’adesione dei Consigli comunali alla decisione dei delegati50. Nel capoluogo, però, questa novità fu accolta in modo contraddittorio. Se infatti l’Amministrazione Municipale, ripercorrendo polemicamente le principali tappe dell’intera vicenda, non poté che esprimere soddisfazione per la riduzione dello scartamento, da essa sempre sostenuto, parimenti, manifestò forti perplessità intorno all’abbandono dello sbocco ad Orvieto. Ad ogni modo, il dato più interessante che emerse dal dibattito consiliare fu l’amara consapevolezza che le difficoltà finanziarie dello Stato non avrebbero permesso, in realtà, alcun tipo di concessione ferroviaria51.
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le parteciparono, oltre a politici ed amministratori locali, esponenti delle forze finanziarie e imprenditoriali53, si giunse alla nomina di un comitato promotore – composto dai sindaci di Perugia, Piegaro, Chiusi, Città della Pieve e Todi – incaricato di valutare a fondo il progetto, compresa la proposta di costituire ad hoc una società, prima di sottoporlo alle Municipalità. Evidentemente il giudizio che il comitato trasse dall’esame fu positivo, se in un successivo incontro si decise di invitare i comuni interessati a deliberare favorevolmente alla
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costituzione in consorzio per l’attivazione di un tramvay a vapore da Monte Corona a Perugia, con diramazione da Ponte San Giovanni a Todi, e da Perugia a Chiusi, con il contributo annuo non superiore a lire sessantacinquemila per anni 25 da incominciare dal giorno, in cui la linea andrà in esercizio, il tutto subordinato alla condizione che la Provincia concorra con un altro contributo di lire sessantamila per anni 2554.
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Tuttavia quest’ultima clausola si sarebbe rivelata, ben presto, un boomerang, poiché l’Amministrazione Provinciale si rifiutò di esaminare la questione prima del pronunciamento dei Comuni; così, in una sorta di scaricabarile, anche tale proposta si esaurì in un nulla di fatto. L’offerta inglese Si ricominciò, allora, per segmenti. L’iniziativa mosse dall’Eugubino e dall’alta valle Tiberina. Lì, nel maggio del 1895, si costituì un nuovo comitato in favore della linea da Umbertide a Ponte San Giovanni, a scartamento ridotto, con diramazione per Perugia centro-Fontivegge. Per il tracciato si pensò di adattare quello progettato dall’ingegnere Giuseppe Santini nel 188855, mentre in merito alla costruzione ed all’esercizio si intavolò una trattativa con la Società per le Ferrovie dell’Appennino Centrale che, gestendo già la Arezzo-Fossato, mostrava interesse ad allargare il suo raggio d’azione sino al cuore dell’Umbria. L’Amministrazione perugina, chiamata a concorrere coprendo le spese necessarie ad aggiustare il progetto per la sola diramazione, approvò di buon grado. Contem-
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ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1893, fasc. “Fantacchiotti ing. Leopoldo. Tramvay da Umbertide (Monte Corona) a Perugia e Chiusi e da Ponte San Giovanni a Todi. 1893”, verbale della seduta tenutasi a Perugia il 23 maggio 1893. Erano presenti, tra gli altri, il professor Agostino Cianelli, l’avvocato Tito Orsini e il ragionier Samuele Rossetti, rispettivamente direttore e amministratori della Banca di Perugia, e la ditta Brufani. Ivi, verbale della seduta tenutasi a Perugia l’8 luglio 1893. Si trattava del progetto per una linea a sezione normale Umbertide-Ponte San Giovanni che il Municipio di Umbertide aveva fatto studiare in conformità alla deliberazione consiliare del 24 novembre 1887. Si veda in proposito la delibera della Giunta Municipale di Umbertide del 29 maggio 1888 che aveva fissato i caratteri del contratto con l’ingegnere Giuseppe Santini, capo dell’Ufficio Tecnico comunale, in ASP, PPA1, b. 51, fasc. 8, s.fasc. c).
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ASP, PPA1, b. 51, fasc. 8, s.fasc. g), verbali delle sedute del Consiglio Comunale di Perugia del 6 e 28 novembre 1895, più carte varie. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1897, fasc. “Ferrovia Ponte San Giovanni-TodiOrvieto a scartamento ridotto. 1897”, note del prefetto del 28 febbraio e 2 aprile 1897, nota del sindaco di Marsciano al sindaco di Perugia del 23 aprile e risposta del 27 aprile 1897, verbale della seduta tenutasi a Perugia il 3 giugno 1897. La scelta dello scartamento, in realtà, non era molto chiara. Nel verbale della seduta dei sindaci, infatti, non si faceva alcun riferimento a quale avrebbe dovuto essere la sezione della linea. Tuttavia, nel corso della seduta del Consiglio Provinciale di un paio di settimane prima, Giacinto Caprale aveva espresso chiaramente, a nome dei proponenti, l’intenzione di richiedere una linea a scartamento normale. Si veda, in proposito, ACPU, 1897, SS, seduta del 20 maggio, p. 33. ACPU, 1897, SS, seduta del 20 maggio, pp. 30-42.
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poraneamente, da Todi, dove l’iniziativa venne accolta favorevolmente, si levò l’augurio che la linea potesse essere prolungata sino al proprio sito. Dopo che la trattativa con gli ingegneri, resisi disponibili a compiere i nuovi rilevamenti, ebbe subito un rallentamento a causa della morte di Alessandro Arienti, il comitato assegnò ufficialmente l’incarico a Giuseppe Santini, Gustavo Scagnetti e Romolo Paolucci. Il 29 maggio 1896 il prefetto li autorizzò ad avviare gli studi56. Nello stesso giorno venne presentato in Parlamento il progetto di legge PeruzziColombo che proponeva, rispetto a quanto fissato dalla 4785, l’aumento del sussidio chilometrico da 3.000 a 4.000 lire. La proposta di modifica non avrebbe avuto seguito, ma tanto bastò a far riaccendere, in Umbria, l’interesse per una ferrovia del basso Tevere. Stavolta, a testimonianza dell’alto grado di fiducia riposta nel disegno di legge in questione, fu l’Amministrazione Provinciale a muoversi per prima, pur se, rapidamente, le redini dell’iniziativa passarono al Comune di Marsciano. Il 3 giugno 1897, anche in virtù del sostegno della Provincia, le rappresentanze dei comuni di Orvieto, Todi, Marsciano, San Venanzo, San Vito in Monte, Montecastello Vibio e Fratta Todina si accordarono per promuovere una ferrovia, a sezione normale, Ponte San Giovanni-Todi-Orvieto. Perugia, preoccupata del fatto che non si fosse fatta alcuna menzione di un suo allacciamento alla linea, si chiamò fuori57. Quindici giorni prima, il Consiglio Provinciale, tornato ad occuparsi di ferrovie dopo una lunga pausa, aveva deliberato in favore dell’impresa la concessione di un contributo di 5.000 lire, a totale copertura delle spese necessarie a compiere gli studi. Una conclusione a cui si era giunti nonostante un dibattito caratterizzato dal riemergere del localismo: alta e bassa valle del Tevere divise sia nella scelta del tipo di ferrovia che nei modi di condurre la propria battaglia, a testimonianza di una divergenza di posizioni lungi dall’essere superata, con Perugia, nel mezzo, incapace di mediare e, perciò, di salvaguardare il proprio interesse, sempre identificato nella ricerca di una centralità non meramente amministrativa58. In questo quadro si inserì una terza iniziativa, guidata dal Municipio di Amelia, tesa a promuovere un tronco Todi-Amelia-Orte. L’idea non era nuova, nel senso che era stata già avanzata nel 1889, come variante aggiuntiva alla Perugia-TodiTerni. In quella occasione, l’ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico comunale di Perugia,
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Alessandro Arienti, l’aveva giudicata positivamente, soprattutto per l’accorciamento di circa 40 chilometri che avrebbe procurato nelle percorrenze tra il capoluogo umbro e Roma. Ciò nonostante, l’Amministrazione perugina, già gravata finanziariamente, non aveva inteso contribuire in alcun modo alle spese progettuali. Questa volta, invece, fu proprio il successore di Arienti, a suggerire al sindaco di disinteressarsi della scelta del tracciato a sud di Todi, così da evitare di fornire al governo ulteriori motivi per temporeggiare59. A prescindere da tali considerazioni, l’azione amerina proseguì sino alla costituzione di un consorzio, a cui aderirono i Comuni di Montecastrilli, Massa Martana, Acquasparta, Orte, San Gemini e Terni; quest’ultimo nella speranza di vedere realizzata una diramazione che puntasse direttamente verso la propria stazione ferroviaria60. L’intero puzzle si ricompose quando la, ormai nota, ditta londinese Cooke rinnovò la sua disponibilità, stavolta al sindaco di Perugia, a costruire e gestire la ferrovia Umbertide-Terni, non più a sezione ridotta, a condizione che il governo, in virtù dei più recenti provvedimenti legislativi, accordasse un sussidio chilometrico di 4.000 lire per 70 anni ovvero di 5.000 per 50 anni61. Il tempo del superamento del localismo sembrava, finalmente, giunto; infatti, una prima volta a Perugia il 10 settembre 1898, ancora nel capoluogo il 18 marzo dell’anno successivo e, infine, il 23 aprile a Terni, tutti i sindaci dei Comuni interessati conversero sulla proposta della società inglese62. Il coordinamento e l’integrazione degli progetti esistenti, al fine di definire, una volta per tutte, il tracciato, furono commissionati ad una squadra di ingegneri guidata dal tenente colonello Claudio Cherubini, uno dei protagonisti della vicenda sin dalle origini. La relazione che egli stese, nel luglio 1899, a conclusione del compito affidatogli, può a ragione essere considerata un punto di svolta. Anche se dovettero ancora trascorrere sedici anni sino all’apertura della Ferrovia Centrale Umbra, a partire da questo momento l’intesa raggiunta tra le Municipalità non sarebbe stata più messa in discussione. In più, lo scritto è estremamente significativo anche per la sua funzione di bilancio; per le argomentazioni con cui l’autore si sforzava di dimostrare 59
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ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1897, fasc. “Municipio di Amelia. Sul tronco ferroviario Todi-Terni ad Orte. 1889-91; 1897-98”, nota del sindaco di Amelia al sindaco di Perugia del 7 marzo 1889; nota dell’Ufficio Tecnico comunale al sindaco di Perugia del 14 settembre 1889; verbale della seduta della Giunta Municipale di Perugia del 16 settembre 1889. Ivi, nota dell’Ufficio Tecnico comunale al sindaco di Perugia del 29 luglio 1897. Per la ferrovia Todi-Amelia-Orte, in “Ameria”, a. III, n. 16, Amelia, 14 agosto 1898. ACPU, 1902, SO, Relazione della Deputazione al Consiglio sulla concessione del sussidio provinciale alla Ferrovia Centrale Umbra con allacciamento a Perugia, p. 674. Le leggi in questione erano la n. 228 del 27 giugno 1897 e la n. 168 del 30 aprile 1899, che a diverso titolo avevano sancito l’aumento del sussidio chilometrico annuo governativo sino ad un massimo di 6.000 lire. In Crispo, Le ferrovie italiane cit. (a nota 17), p. 241. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1918, cartella 6, fasc. “Ferrovia Centrale Umbra”, nota circolare del sindaco di Perugia del 21 luglio 1899; verbale dell’adunanza tenutasi a Terni il 23 aprile 1899.
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C. Cherubini, Relazione sullo stato della quistione ferroviaria nella provincia dell’Umbria e sul progetto della linea Umbertide-Ponte San Giovanni-Todi-Terni con allacciamento a Perugia, Guerra, Perugia 1899, p. 9. Il riferimento è, molto probabilmente, alla legge n. 3011 del 22 marzo 1885 che, dopo un acceso dibattito, aveva decretato la concessione di dieci linee complementari a completamento della rete ferroviaria sarda. Cfr. Crispo, Le ferrovie italiane cit. (a nota 17), pp. 327-28. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1918, cartella 6, fasc. “Ferrovia Centrale Umbra”, ordine del giorno votato dal Consiglio Comunale di Perugia in duplice lettura nelle sedute del 14 agosto e 11 settembre 1899. Ivi, delibere varie.
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che, al termine di un cammino tortuosissimo durato più di venti anni, l’esito a cui si era giunti fosse, obiettivamente, il migliore. Riprendendo le riflessioni di Eugenio Faina, vecchie di quasi quindici anni, Cherubini tornava a puntare il dito sull’inesistenza dell’Umbria come corpo organico, sulla giustapposizione dei territori che la componevano e sull’impulso decisivo che una ferrovia come la Centrale Umbra avrebbe potuto dare al superamento di tale stato di cose. In particolare, egli evidenziava l’assenza di collegamenti reciproci tra l’alta, la basse valle Tiberina e il capoluogo, con la nefasta conseguenza che “nessuna industria può attecchire e la stessa agricoltura vive di una vita stentata e punto remunerativa per gli agricoltori”63. Una situazione, a suo parere, alla quale governo e Parlamento dovevano porre, assolutamente, rimedio, mostrando quella stessa sensibilità che li aveva guidati nel risolvere un simile problema in un altra terra difficile come la Sardegna64. Ciò che le popolazioni umbre chiedono in concreto – aggiungeva – è la concessione della linea con il massimo sussidio, così come stabilito negli ultimi provvedimenti legislativi. La ferrovia Umbertide-Terni, via Ponte San Giovanni, a sezione normale – concludeva – ha in sé, più di qualsiasi altra delle varianti venute alla ribalta nel corso degli anni, le potenzialità per consentire all’Umbria l’innesco di un duplice processo di sviluppo economico e di integrazione territoriale. Nelle considerazioni di Cherubini era sin troppo chiaro il nuovo ruolo assunto dalla città di Terni nella gerarchia urbana regionale, giudicata una piazza ideale per smerciare le eccedenze agricole dell’alta valle del Tevere, contrariamente ad Orvieto, che aveva essa stessa il problema di una sovrapproduzione agricola da sempre indirizzata verso i mercati di Roma e della Toscana. Tra l’altro, a suo avviso, una linea così concepita, era perfettamente in grado di autosostenersi, così che il sussidio governativo, integrato con i contributi dei Comuni consorziati, sarebbe servito a coprire le sole spese di costruzione. Lasciamo per ora da parte tali ottimistiche previsioni, che la dura realtà dei fatti avrebbe provveduto a smentire, per continuare a seguire le tappe di avvicinamento alla posa dei binari. Alla luce del lavoro di Cherubini, l’Amministrazione Municipale di Perugia, deliberò di farsi promotrice del consorzio65. Nel corso dell’autunno tutti i Consigli dei Comuni interessati, da Umbertide a Terni, senza eccezioni, sancirono formalmente la propria adesione66. Davanti a tanta concordia la Giunta Amministrativa Provinciale non poté far altro che dichiarare regolarmente costi-
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tuito il Consorzio per la Ferrovia Centrale Umbra, che, pertanto, l’11 aprile 1900, si insediò a Perugia, approvando il proprio statuto e nominando presidente Ulisse Rocchi67.
Obiettivi diversi
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Il collegamento Perugia-Chiusi
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Parallelamente all’evolversi del caso relativo alla Centrale Umbra, senza dubbio primario quando non pervasivo della più generale vicenda ferroviaria regionale, altre aspettative, destinate a rimanere senza risposta, andavano maturando a livello dei singoli centri e territori. Una di queste era quella di un collegamento Perugia-Chiusi. Il nome Chiusi evoca, inevitabilmente, quanto accaduto, nel primo quindicennio unitario, in merito all’allacciamento tra le ferrovie Aretina e Senese; in particolare, gli sforzi prodotti dalla Provincia dell’Umbria al fine di evitare che la bretella tagliasse completamente fuori il proprio territorio. Si è, poi, visto, quanto illusorie fossero le speranze di quegli amministratori; quanto rapido sia stato, contro ogni fiduciosa previsione, il declino della Terontola-Foligno. Ed è proprio dalla successiva constatazione dell’impossibilità di invertire il processo involutivo di quella che per un decennio era stata, pure tra luci ed ombre, la via di transito, per eccellenza, tra Firenze e Roma, che nel capoluogo umbro maturò il desiderio di un allacciamento diretto alla località toscana. Un’idea sostenuta con particolare attenzione dalla direzione dell’Hotel Brufani che, già da tempo, usava accogliere i clienti internazionali, in carrozza, direttamente alla stazione di Chiusi68. Tecnicamente il progetto venne affidato all’ingegnere Angiolo Maria Laurenzi, già impegnato nella vicenda della Centrale Umbra69, con la copertura finanziaria, al 50% ciascuno, dei Comuni di Perugia e Piegaro70. Inizialmente si pensava ad una linea tranviaria con trazione a vapore e scarta67 68
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Ivi, verbale dell’assemblea generale del consorzio dell’11 aprile 1900. U. Ranieri di Sorbello, Perugia della Bell’epoca, Volumnia, Perugia 1979, p. 344. Sull’importante figura dell’imprenditore alberghiero Giacomo Brufani si veda, Ivi, pp. 228-29 e passim. Nel 1888, su commissione del Municipio perugino, Laurenzi, facendo ricorso a tutta la sua esperienza di statistico – vale la pena di segnalare che a lui si deve la raccolta di dati grazie ai quali Nobili Vitelleschi costruì la propria relazione sull’Umbria nell’ambito dell’Inchiesta Jacini –, dimostrò l’inesistenza di ostacoli di natura economico-finanziaria per i quali il governo avrebbe potuto rifutarsi di concedere la Ferrovia Centrale Umbra; si veda, A.M. Laurenzi, La ferrovia complementare nella provincia dell’Umbria. Umbertide (Monte Corona), Perugia, Todi, Baschi, Orvieto-Todi, Boncompagni, Perugia 1888. Inoltre, nel 1897, egli verrà incaricato dal Comune di Amelia di studiare il percorso della variante Todi-Amelia-Orte; si veda, Id., Progetto per la ferrovia economica a scartamento ordinario, tipo 2°, Todi Amelia-Orte, Unione Tipografica Cooperativa, Perugia 1898. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1891, fasc. “Ferrovia Perugia-Chiusi. BrufaniLaurenzi. 1889-91”, delibera della Giunta Municipale di Perugia del 12 aprile 1889.
Capitolo 4
La ferrovia Chiento-Nerina Un’altra aspettativa perennemente disattesa era quella dei comuni posti lungo la Valnerina, da Terni sino al confine umbro-marchigiano. La domanda di queste popolazioni per una linea transappenninica, da condurre lungo la valli del Chienti e del Nera, aveva origini lontane. Già in epoca pontificia, nel pieno dell’acceso dibattito sul tracciato della ferrovia destinata ad unire Roma e il porto di Ancona, la via Chiento-Nerina, dal porto di Civitanova a Terni per Tolentino e Visso – “più
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A.M. Laurenzi, Tramvia da Perugia a Chiusi. Un po’ di storia, Boncompagni, Perugia 1891. Ivi, p. 8. ACPU, 1891, SO, seduta del 7 settembre, pp. 132-47. La domanda di concessione del suolo stradale provinciale era stata avanzata da Giacomo Brufani; dopo le necessarie verifiche tecniche, la Deputazione aveva sottoposto al Consiglio uno schema di capitolato.
Una provincia da “costruire” (1885-1900)
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mento normale che, sfruttando il fondo della strade provinciali Cortonese e Pievaiola, unisse le stazioni ferroviarie dei due centri. Tuttavia, a seguito del concretizzarsi di una trattativa con l’ingegnere Antonio Conti di Vicenza, rappresentante in Italia della ditta Fell di Londra, Laurenzi fu costretto a rivedere la sua posizione e a scegliere la sezione ridotta. Questo passaggio venne sancito nel corso di un’adunanza dei sindaci interessati tenutasi a Perugia il 6 giugno 1890. Fu nel corso di tale incontro, infatti, che il rappresentante degli inglesi evidenziò come lo scartamento ridotto, consentendo alla tramvia di salire tanto alle porte del centro di Perugia, quanto a quelle di Città della Pieve, ultimo comune umbro prima del confine provinciale, assicurasse, in prospettiva, uno sviluppo maggiore del traffico. Fissato questo punto la società si dichiarò disposta ad assumere la costruzione e l’esercizio della tramvia alla condizione di essere garantita dagli Enti locali riuniti in ragione del 5% annuo sul capitale impiegato. Una pretesa che spaventò gli amministratori e che costrinse Laurenzi ad una puntuale dimostrazione statistica della sicura redditività della linea, tale da escludere qualsiasi impegno finanziario da parte delle Amministrazioni71. D’altro canto, pur prescindendo dal formulare un giudizio in merito alle capacità previsionali di Laurenzi, le Municipalità, a meno che non avessero inteso rompere la trattativa con gli inglesi e ripartire da zero, non avevano molte possibilità di scelta, anche perché, in una successiva adunanza dell’11 gennaio 1891, a Perugia, lo stesso ingegnere Fell in persona ribadì l’imprescindibilità delle condizioni di garanzia già richieste72. Nonostante il parere favorevole, anche se non unanime, dell’Amministrazione Provinciale alla concessione del suolo stradale73, la tramvia Perugia-Chiusi (tav. 19) scomparì, per riemergere, come si è già visto, nell’ambito del più vasto disegno di rete tranviaria avanzato nel 1893 da Leopoldo Fantacchiotti, anche esso destinato a svanire nel nulla.
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agevole di quell[a] attuale”74 – era stata indicata dagli ingegneri Venanzo e Gerolamo Caporioni; una soluzione ottima dal punto di vista tecnico, ma troppo eccentrica rispetto all’Umbria e, ad ogni modo, contraria alla volontà governativa di assumere Foligno come punto di transito imprescindibile. Con la definitiva scomparsa dello Stato Pontificio, nell’ambito del più vasto interesse nazionale per nuovi e più diretti collegamenti con Roma, l’Amministrazione Provinciale di Macerata aveva promosso la costruzione di una linea dal porto di Civitanova a Foligno, via Nocera, chiamando a concorrere gli umbri75; il sostegno dei quali, peraltro solo morale, era durato fintanto che i maceratesi non avevano puntato, piuttosto, verso un più semplice collegamento Civitanova-MacerataTolentino76. La legge Baccarini sulle ferrovie complementari, grazie alla quale la città di Macerata si era, quantomeno, assicurata uno sbocco sull’Ancona-Roma77, aveva quindi favorito, in virtù dei 1.530 chilometri di linee secondarie da concedere decretati, il ritorno a galla della Chiento-Nerina. A promuoverla, in testa, le Amministrazioni provinciali di Ancona e Macerata, che puntavano ad una “[f]errovia a binario ridotto che da Ancona per Tolentino e Visso mett[esse] capo a Terni”78. L’1 luglio 1883, proprio a Terni, la proposta era stata presentata ai Comuni della Valnerina umbra che, anche in reazione alla cocente delusione per il fallimento del disegno tranviario promosso da Portalupi, avevano risposto con entusiasmo, manifestando tuttavia, attraverso le parole di Ottavio Coletti, il desiderio che la linea venisse costruita a scartamento ordinario. Il congresso si era concluso con la nomina di un comitato di cinque persone, presieduto dal sindaco di Terni, con il compito di far studiare il tratto di linea compreso in territorio umbro (Terni-Visso) e di agire, per quanto possibile, di concerto con quello promosso dalle Amministrazioni provinciali di Ancona e Macerata, al fine di formulare al governo un’unica richiesta di concessione per l’intera linea e di individuare una società disposta ad assumere l’impresa. Tra gli obblighi assunti dal comitato, oltre il battersi per lo
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A. Melelli, La ferrovia Ancona-Roma, Calderini, Bologna 1973, p. 8. Che tra le diverse vie suggerite per il collegamento ferroviario tra Roma e Ancona vi fosse, sin dall’inizio, anche la Chiento-Nerina è, inoltre, testimoniato da una pubblicazione del 1847, a cura della Presidenza Generale del Censimento, che metteva insieme tutti i tracciati alternativi proposti sino a quel momento. Si veda in proposito A. Minetti, La ferrovia Falconara-Fossato, in Nelle Marche centrali. Territorio, economia, società tra Medioevo e Novecento: l’area esino-misena, a cura di S. Anselmi, Cassa di Risparmio di Jesi, Jesi 1979, p. 1044. ACPU, 1871, SS, seduta del 6 dicembre, pp. 419-20. ACPU, 1878, SS, seduta del 20 maggio, pp. 83 e sgg. La legge 29 luglio 1879, n. 5002, aveva incluso tra le linee di seconda categoria, ovvero da costruire dallo Stato col concorso obbligatorio delle Amministrazioni provinciali, la Macerata-Albacina (punto di confluenza sulla Ancona-Roma) da condurre via Tolentino-San Severino-Castelraimondo-Matelica-Cerreto d’Esi. Nonostante ciò, Macerata si collegherà prima con il porto di Civitanova (22 maggio 1886) che con Albacina (24 dicembre 1888) (cfr. F. Ogliari e F. Sapi, Storia dei trasporti italiani, vol. XI, Toscana-Marche-Umbria, I, Archetipografia, Milano 1971, pp. 297-303). Resoconto del congresso per la costruzione della ferrovia della Valnerina tenutosi il giorno 1 luglio 1883 in Terni, in “L’Unione liberale”, IV, supplemento al n. 26, Terni, 6 luglio 1883.
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ACPU, 1884, SS, seduta del 12 dicembre, pp. 256-257. Il progetto così concepito era stato redatto dall’ingegnere Tombolini, capo dell’Ufficio Tecnico della Provincia di Macerata; si veda ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, tit. 10.6.2, 1912, nota del sindaco di Spoleto ad Adolfo Ferretti del 18 luglio 1887. Cfr. L. Laurenti Forti, Per la linea ferroviaria Terni-Visso-Tolentino-MacerataAncona, Tipografia dell’Unione Liberale, Terni 1886. Cfr., Amministrazione Provinciale dell’Umbria, Sulle ferrovie secondarie cit. pp. 5-7 e 21-23 e ACPU, 1885, SS, seduta dell’1 giugno, pp. 18-30 passim.
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scartamento normale, anche quello di far progettare le diramazioni per Spoleto, Norcia e Cascia. Tuttavia, questa iniziativa era destinata a scontrarsi con la resistenza della Deputazione Provinciale dell’Umbria che, dopo un esame degli studi di massima inviati da tanto da Macerata, quanto da Terni, si era dichiarata contraria all’impresa79. La stessa disparità di giudizio tra i Comuni umbri della valle del Nera e la propria Provincia si ripresentò nel giugno del 1885, quando, come si è già ricordato in apertura di capitolo, quest’ultima venne chiamata a rispondere alle diverse sollecitazioni in tema ferroviario che le provenivano dall’interno e dall’esterno dell’Umbria. Al momento della discussione in Consiglio, l’iniziativa in favore della ChientoNerina aveva registrato molti passi in avanti: tutti i Comuni potenzialmente interessati erano stati invitati ad aderire, le popolazioni erano state sensibilizzate per mezzo di congressi e comizi popolari, la costruzione dell’intera linea era stata assicurata in virtù di un accordo con la ditta Henry Fochen, Morgan e C. Il tracciato, ormai definito, prevedeva, muovendo da Ancona, la discesa verso l’interno, per Osimo e Recanati, sino a Macerata, sviluppando circa 60 chilometri di lunghezza; da qui la ferrovia avrebbe dovuto seguire il corso del Chienti, toccando Tolentino, sino all’altezza di Camerino, per poi volgere in basso in direzione di Visso, per un totale di altri 70 chilometri; infine, superato l’Appennino con una galleria, la linea avrebbe dovuto scendere a Terni lungo la Valnerina per altri 62 chilometri. Nel complesso una percorrenza totale di 192 chilometri, superiore di 9 unità a quella via Foligno80 (tav. 16). Un elemento di debolezza, quello della maggiore lunghezza rispetto alla linea esistente, che non era sfuggito alla Deputazione Provinciale, chiamata a promuovere l’adesione dell’Amministrazione al consorzio da costituirsi; la quale, come già visto, nella sua relazione aveva espresso parere negativo, suggerendo ai Comuni della Valnerina, che premevano per una risoluzione a loro favorevole, di pensare, piuttosto, ad una semplice ferrovia locale facente capo a Terni. A nulla valsero, in sede di dibattito, le precisazioni del consigliere Lorenzo Franceschini, del mandamento di Cascia, in merito al fatto che la Provincia non avrebbe dovuto assumere alcun impegno finanziario, ma solo associarsi a quelle marchigiane nel presentare al governo la domanda di concessione: il Consiglio approvò, infatti, le indicazioni della Deputazione81. Saltata anche la possibilità di usufruire della legge del 27 aprile 1885, la ChientoNerina entrò nel dimenticatoio per più di dieci anni. A tirarla fuori, nel giugno del
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Tav. 16 – Progetti per la ferrovia Chiento-Nerina
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1896, guarda caso immediatamente a ridosso della presentazione del ricordato progetto di legge Peruzzi-Colombo, provvide un comitato provvisorio costituitosi a Roma attorno a Cesare Sili82. Il 24 dello stesso a mese, a Visso, si costituì quello permanente, la cui sede venne mantenuta nella capitale, che si aprì alle rappresentanze dei Circondari di Terni, Spoleto e Camerino e dei Mandamenti di Norcia, Cascia, Visso e Tolentino83. La prima adunanza dell’associazione si tenne a Terni l’11 ottobre84. Sponsor principale dell’iniziativa era, ormai, a tutti gli effetti il senatore Filippo Mariotti, che, per acclamazione, fu eletto presidente. Nell’occasione si rese noto che gli studi preliminari per l’intero tracciato erano già stati compiuti, a titolo gratuito, dagli ingegneri Pagnani-Fusconi e Lesen e che il Consiglio Provinciale di Macerata aveva 82
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ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, 1898-1900, 21.12.1, lettera di Cesare Sili al sindaco di Spoleto del 10 giugno 1896. Ivi, lettera di Cesare Sili al sindaco di Spoleto del 10 luglio 1896. Per la Chiento-Nerina, in “L’Unione Liberale”, a. XVII, n. 42, Terni, 17/18 ottobre 1896.
Capitolo 4
Spoleto guarda alla montagna Le speranze, deluse, dei Comuni umbri della Valnerina finirono per rimettere in gioco la città di Spoleto, che, una volta assicuratasi il passaggio della AnconaRoma, si era, in parte, chiamata fuori dal dibattito ferroviario. Non del tutto, però. Come si è già accennato, infatti, il nome dell’ex capoluogo di Delegazione pontificia era spuntato fuori, in alternativa a Terni, in occasione dell’iniziativa reatina per la promozione di una linea longitudinale e di una trasversale. L’allacciamento tra Rieti e Spoleto – attraverso una galleria sotto Forca di Cerro, la valle del Nera, un’altra galleria sotto Forca dell’Arrone, la valle di Piediluco e un ultimo breve traforo sotto i colli di Labro – avrebbe, infatti, portato ai reatini diversi vantaggi. In primo luogo avrebbe consentito di evitare il temuto, perché di non facile soluzione tecnica, passaggio delle Marmore; in secondo luogo, tagliando fuori Terni, avrebbe permesso loro di puntare direttamente a Roma via Corese, senza per questo dover ricorrere alla stazione di Orte come punto di snodo con le linee provenienti dalla Toscana87. Già nel settembre 1863, dopo che il Consiglio Provinciale dell’Umbria si era espresso in favore della linea del Salto e, soprattutto, il Ministero dei Lavori Pubblici ne 85 86 87
ACPU, 1897, SO, seduta del 17 settembre, pp. 159-162. Ivi, 1898, SO, seduta del 21 settembre, pp. 113-116. R. Lorenzetti, Strade di ferro e territori isolati. La questione ferroviaria in un’area dell’Italia centrale (18461960), Angeli, Milano 1986, pp. 40-41 e 69-70.
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stanziato la somma di 3.000 lire quale contributo alla spesa per la compilazione del progetto di massima. In ordine alle diramazioni ammesse (Varano-Camerino, Piedipaterno-Spoleto e Triponzo-Norcia), nonostante l’opposizione del rappresentante di Spoleto, si sostenne che, tanto per carenza di mezzi finanziari, quanto per il timore che potessero ritardare l’attuazione dell’opera, esse non avrebbero dovuto essere incluse nel piano generale, ma il loro studio sarebbe dovuto restare di esclusiva competenza dei Municipi interessati. L’adunanza si chiuse con l’affidamento della stesura del progetto di massima, sempre a titolo gratuito, a PagnaniFusconi e Lesen e con l’impegno ad ottenere dalla Provincia dell’Umbria un contributo pari a quello stanziato da Macerata. Forse è azzardato attribuire all’Amministrazione Provinciale umbra la responsabilità di aver impedito, nel corso degli anni, la realizzazione di questo disegno, pur tuttavia è certo che, ancora una volta, essa negò il proprio appoggio all’impresa. La domanda di sussidio avanzata dal comitato per la ferrovia Chiento-Nerina giunse in Consiglio nel settembre 1897; nonostante il nulla osta della Deputazione, si preferì adottare una deliberazione sospensiva85. L’anno seguente, ancora con la Deputazione favorevole, proponente uno stanziamento di 2.000 lire a fondo perduto, l’argomento fu nuovamente dibattuto, ma alla fine la richiesta venne respinta (16 contro 6)86.
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aveva fatto studiare il percorso da Terni ad Avezzano, la commissione municipale reatina aveva proposto la variante per Spoleto, esaltandone, oltre che la facilità di esecuzione, le qualità strategiche e la potenzialità di leva per la crescita economica di un’area di circa “30 mila abitanti ricchi di mezzi industriali ed agricoli ma miseri di sviluppo, e per segregazione inetti”88. Subito dopo le due Amministrazioni si erano accordate per dividersi la stesura del progetto: quella spoletina si sarebbe occupata del tratto sino a Ferentillo89. È opinione di Roberto Lorenzetti90 che uno dei motivi per i quali la variante venne definitivamente cassata91, con la legge del 14 maggio 1865, risiedette nella titubanza con cui il Municipio di Spoleto assolse il proprio compito; sta di fatto che il progetto relativo al tratto Spoleto-Ferentillo, a firma dell’ingegnere provinciale Filippo Bandini, venne consegnato alla commissione municipale reatina soltanto il 15 dicembre 186492 (tav. 15). Dopo una pausa quasi ventennale, durante la quale, pur avendo dovuto abbandonare l’idea di un allacciamento a Rieti, non avevano negato il proprio sostegno morale alle numerose iniziative in favore sia della Pescara-L’Aquila-Rieti-Terni che della linea del Salto93, gli spoletini erano tornati ad occuparsi direttamente di comunicazioni ferroviarie nel marzo 1881. Con successo, si erano inseriti nella trattativa tra la Provincia e Portalupi d’Albavilla, in modo da predisporre, previa correzione dei tratti delle strade provinciali destinate ad accogliere i binari, la costruzione di un duplice raccordo, in direzione di Piedipaterno e Todi, alle tranvie concesse94. Successivamente nell’estate del 1883, tramontato il disegno tranviario, sull’onda del ricordato congresso di Terni dell’1 luglio in favore della Chiento-Nerina, che aveva previsto tra le diramazioni possibili quella per Spoleto, gli stessi avevano deciso di riportare alla luce il piano per il tronco sino a Ferentillo95.
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In ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, tit. 21.12.1, 1878-79, petizione della Giunta Municipale di Rieti del 12 settembre 1863. Ivi, Progetto per una variante nelle ferrovie meridionali da Spoleto a Rieti per Ferentillo, in luogo di TerniRieti sottoscritto dalla commissione municipale reatina il 29 novembre 1864. Lorenzetti, Strade di ferro cit. (a nota 87), pp. 70-74. Un ultimo tentativo per la variante Rieti-Spoleto verrà fatto da una coalizione di Comuni, con in testa Rieti e Avezzano, nel febbraio 1866, sfruttando l’occasione del mancato avvio degli studi per la linea del Salto da parte della Società delle Strade Ferrate Romane. In, ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, tit. 21.12.1, 1878-79, istanza al ministro dei Lavori Pubblici dell’1 febbraio 1866. Ivi, nota di Filippo Bandini al sindaco di Spoleto del 9 marzo 1865. Nel 1869 Spoleto aderì all’istanza promossa dalla Camera di Commercio ed Arti di Foligno a sostegno della linea del Salto; nel biennio 1870-71 non negò il suo appoggio ai diversi appelli in favore della Terni-RietiL’Aquila; l’11 aprile 1876 prese parte alla delegazione – composta, inoltre, da rappresentanti della Provincia dell’Umbria, dei Comuni di L’Aquila, Rieti, Terni, Cittaducale e della Camera di Commercio ed Arti di Foligno – che, per perorare la causa di entrambe le linee, incontrò a Roma il ministro dei Lavori Pubblici Zanardelli; nel 1877, infine, aderì alla nuova istanza promossa dalla Camera di Commercio ed Arti di Foligno (cfr. ivi, “Ferrovia Aquila-Terni-Rieti 1864-78”, carte varie). ACPU, 1881, SS, seduta del 6 giugno, pp. 97-98 e seduta del 7 giugno, pp. 126-127. ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, 1912, 10.6.2, “Ferrovia Ascoli-Spoleto-Norcia”, nota del sindaco di Rieti al sindaco di Spoleto del 27 settembre 1883.
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In virtù di quanto il Comune di Spoleto era riuscito a ricostruire, il progetto, consegnato nel dicembre 1864 dall’autore al sindaco di Rieti Carlo Piccadori, era stato da questi rimesso nelle mani del deputato perugino Nicola Danzetta, che aveva il compito di promuoverlo presso la commissione parlamentare relatrice del progetto di legge sull’ampliamento e riordinamento delle strade ferrate, futura legge n. 2279 del 14 maggio 1865. Sta di fatto che tutti i tentativi di ricerca effettuati andarono a vuoto. In, Ivi, note del sindaco di Spoleto a Nicola Danzetta del 18 e 21 giugno 1886 e al prefetto dell’Umbria del 17 luglio 1886; nota del direttore dei servizi amministrativi della Camera dei Deputati al sindaco di Spoleto del 30 agosto 1886. In realtà la risposta degli ascolani fu interlocutoria, nel senso che si dissero disposti ad aderire solo in caso di fallimento dell’iniziativa pro Salaria. In, Ivi, nota del sindaco di Spoleto al sindaco di Ascoli Piceno del 7 gennaio 1885 e risposta del 19 maggio 1885. L’idea di una ferrovia trasversale da condurre, lungo le tracce dell’antica Salaria, da San Benedetto del Tronto a Roma per le valli dei fiumi Tronto, Velino e Tevere era stata avanzata sino dal 1871. Cfr. A. Calandrelli, La Salaria. Ossia una ferrovia dal Tirreno all’Adriatico, per le valli del Velino e del Tronto, Roma 1871 e C. Ravioli, Sulla utilità, facilità e importanza del tracciamento di una ferrovia dal Tirreno all’Adriatico per le valli del Tevere, Velino e Tronto, Mugnoz, Roma 1871. ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, 1912, 10.6.2, “Ferrovia Ascoli-Spoleto-Norcia”, nota del sindaco di Spoleto ad Adolfo Ferretti del 18 luglio 1887. Insieme a Ferretti vennero chiamati a far parte della commissione Tito Sinibaldi e Agostino Francolini. Ivi, verbale della seduta del Consiglio Comunale di Spoleto del 18 novembre 1891. Destinato ad occupare un ruolo di assoluto rilievo tra i cosiddetti modernizzatori che, a partire dall’ultimo decennio del XIX secolo, si batterono per lo sviluppo industriale della regione, Domenico Arcangeli, notaio spoletino, fu protagonista di un’intensa, quanto varia, vita politico-amministrativa. Eletto consigliere comunale per la prima volta nel 1885 si schierò con la maggioranza liberale. Più volte assessore tra il 1891 e 1898, gradualmente si avvicinò alle idee socialiste. Nel 1903 fu il primo sindaco socialista di Spoleto. Sconfitto alle elezioni politiche del 1908, nel collegio della sua città, dal candidato ministeriale Carlo Schanzer, nel 1910, come si vedrà più avanti, costituì l’associazione Pro Umbria. Dal dicembre 1916 fu vicepresidente della Camera di Commercio dell’Umbria. Intanto, la sua collocazione politica era andata mutando: nel 1912 aveva aderito alla scissione riformista e, alla vigilia della prima guerra mondiale, era, ormai, tra le fila degli interventisti. Nel 1921 aderì al fascismo. Cfr., in proposito, G. Gallo, Tipologia dell’industria ed esperienze
Una provincia da “costruire” (1885-1900)
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All’inizio del 1885, non ultimo per il mancato ritrovamento del progetto Bandini96, la Giunta Municipale decise di mirare più in alto, deliberando di far studiare il tracciato per una trasversale Ascoli-Norcia-Spoleto-Todi-Viterbo. Si cercò innanzitutto, puntando sulle potenzialità strategiche della linea, il consenso degli ascolani, i quali, tuttavia, erano già impegnati a promuovere la ferrovia Salaria97. Esaurito rapidamente anche questo tentativo, si tornò a guardare, con preoccupazione, alla Chiento-Nerina e alle insidie che essa nascondeva. Si temeva, in sostanza, la sua potenziale concorrenzialità all’Ancona-Roma e il conseguente declassamento della propria stazione. Per questo si insisteva sulla necessità che la futura Ancona-Macerata-Tolentino-Visso-Terni, “ven[isse] deviata nei pressi di Piedipaterno, e portata nella valle di Spoleto, per essere unita alla linea per Roma [o] almeno [...] che ven[isse] contemporaneamente costruita una traversa di ferrovia fra Piedipaterno e la stazione di Spoleto per porre le due linee in comunicazione”98 e si istituì, all’uopo, una speciale commissione municipale. Tuttavia si procedette con estrema lentezza, tanto che, soltanto quattro anni dopo, il 18 novembre 1891, il Comune spoletino incaricò l’ingegnere Giovanni Bezzi dell’esecuzione degli studi per due tipi di ferrovia, l’uno a scartamento ridotto e l’altro a sezione normale, sino a Piedipaterno99. Dietro questa decisione emerge la figura dell’assessore ai lavori pubblici Domenico Arcangeli100, il quale, all’inizio dell’estate, in compagnia di una delegazione invia-
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ta dalla Provincia, aveva ispezionato il tratto della strada provinciale Nursina sino a Piedipaterno, al fine di verificare il tipo di intervento necessario a renderla, quantomeno, concorrenziale alla provinciale Valnerina, prossima alla completa apertura101. Si era partiti dall’idea di realizzare una semplice tramvia per poi concludere che, in realtà, sarebbe stato assai meno complicato costruire una ferrovia a sezione ridotta. Infatti, le caratteristiche tecniche della strada (larghezza, pendenza, curvatura) non avrebbero consentito l’impianto, in sede promiscua, di una tramvia, se non alla condizione “di costruire una strada completamente nuova”102, con una spesa, oscillante tra 700.000 e 800.000 lire, che l’Amministrazione provinciale, pur competente, non avrebbe, certamente coperto. Diverso il discorso per la ferrovia a scartamento ridotto che, costruendosi in sede propria, sarebbe costata, compreso l’armamento, intorno alle 500.000 lire, finanziabili per metà dal governo, chiedendo il riconoscimento di ferrovia complementare di 3a categoria, per un quarto dal solo Comune di Spoleto, con la speranza di un concorso degli altri Comuni interessati, e per la parte restante dalla Provincia. Quest’ultima, tuttavia, in virtù dell’essersi liberata dall’obbligo di dovere intervenire sulla strada di sua competenza, avrebbe potuto, benissimo, innalzare il suo contributo, almeno sino a 300.000 lire, rendendo l’impresa meno dipendente dal sussidio governativo e, pertanto, meno vulnerabile. Inoltre la stessa avrebbe potuto concorrere, senza alcun sacrificio, alle spese di esercizio e manutenzione della linea, visto che la presumibile diminuzione di traffico sulla strada rotabile avrebbe conseguentemente comportato un minor costo di manutenzione. Tali considerazioni, che Arcangeli presentò, ufficialmente al Consiglio Comunale il 19 novembre, muovevano tutte, a suo parere, da un bisogno primario della città di Spoleto ovvero quello di conservare le comunicazioni e gli scambi commerciali con la montagna nursina pena una “condann[a] a mor[te]”103; una necessità che imponeva di muoversi rapidamente e senza attendere, almeno in fase di avvio, il consenso di altre Municipalità. L’incarico a Bezzi venne ufficializzato, soltanto il 3 gennaio 1893 – complessivamente per il compenso al tecnico e le spese vive si stanziò in bilancio la somma di
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d’impresa in una regione agricola, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria, a cura di R. Covino e G. Gallo, Einaudi, Torino 1989, pp. 345-348 e R. Covino, Dall’Umbria verde all’Umbria rossa, in Ivi, p. 569. Per avere un’idea diacronica dello stato e dell’importanza delle due vie di comunicazione cfr.: G. Fritz, Le strade dello Stato Pontificio nel XIX secolo, in “Archivio economico dell’unificazione italiana”, serie I, vol. XVI, fasc. I, ILTE, Torino 1967, pp. 46 e 110; F. Francesconi, Alcuni elementi di statistica della Provincia dell’Umbria, vol. II, Boncompagni, Perugia 1872, tav. 57; F. Mancini, L’Umbria economica e industriale. Studio statistico, Campitelli, Foligno 1910, pp. 169-170; L’Umbria. Manuali per il territorio. La Valnerina. Il Nursino. Il Casciano, Edindustria, Roma 1977, p. 19; G.B. Furiozzi, La Provincia dell’Umbria dal 1861 al 1870, Provincia di Perugia, Perugia 1987, pp. 58-64 e Id., La Provincia dell’Umbria dal 1871 al 1880, Provincia di Perugia, Perugia 1990, pp. 43-49. ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, 1912, 10.6.2, “Ferrovia Ascoli-Spoleto-Norcia”, verbale della seduta del Consiglio Comunale di Spoleto del 18 novembre 1891. Ibidem.
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Ivi, delibera della Giunta Municipale di Spoleto del 3 gennaio 1893. Il compenso elevato, non meno di 400 lire al chilometro, richiesto da Bezzi era la spiacevole conseguenza della ritardata pubblicazione, per ciò che concerneva il territorio provinciale, della “nuova carta militare colle linee orizzontali indicanti le altezze”, che avrebbe consentito di dimezzare i costi progettuali. Arcangeli non celava il suo disappunto per il fatto che “in questo, come in tutto il resto l’Umbria taciturna e sempre tranquilla [fosse stata] lasciata per ultima dal governo”. In, Ivi, verbale della seduta del Consiglio Comunale di Spoleto del 18 novembre 1891. D’altronde è noto che la realizzazione della Carta d’Italia in scale dall’1:100.000 all’1:25.000, con la novità rappresentata dalle curve di livello, impegnò l’Istituto Geografico Militare per alcuni decenni, al punto che la stessa poté dirsi completata solo nel 1921. In A. Mori, Le carte geografiche e loro lettura e interpretazione, Libreria Goliardica, Pisa 1983, p. 152; cfr., inoltre, Id., La Cartografia ufficiale in Italia e l’Istituto Geografico Militare, IGM, Firenze 1922. ASSP, ASCSP, Miscellanea comunale, b. 41, “Progetto di ferrovia economica Spoleto-Piedipaterno. 1897”, relazione di Giovanni Bezzi del 30 giugno 1897. Ivi, modificazioni al progetto 30 giugno 1897 in conformità ai suggerimenti del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Il progetto, insieme alla domanda di concessione, venne presentato dal Comune di Spoleto al governo il 21 gennaio 1898. Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici espresse il proprio voto il 15 settembre successivo. La relazione aggiuntiva di Bezzi è datata il 5 gennaio 1899. C. Carosso, Relazione sul progetto di ferrovia Spoleto-Norcia, Panetto & Petrelli, Spoleto 1909, p. 11. ACPU, 1898, SO, seduta del 21 settembre, pp. 113-116. Si tratta della stessa votazione con cui venne negato il sussidio al comitato per la Chiento-Nerina; presentando un unico ordine del giorno la Deputazione si era espressa favorevolmente ad entrambe le richieste, proponendo un duplice stanziamento, a fondo perduto, di 2.000 lire.
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seimila lire104 – e per la consegna del progetto si dovette attendere il 30 giugno 1897105 (tav. 16). Lo scartamento scelto era quello ridotto (0,95 m), che, rispetto al normale, univa ad una maggiore adattabilità ai percorsi impervi un minor costo di impianto. La trazione, nonostante la disponibilità dell’energia idrica del bacino Nera-Velino, utilizzabile mediante la costruzione di un breve canale industriale di derivazione presso Piedipaterno, era a vapore, sempre in virtù di una più bassa spesa d’impianto. Si trattava di scelte che traevano motivazione dalla convinzione che la linea, almeno nei primi anni, fosse destinata, per la sua funzione meramente locale, ad accogliere un traffico limitato. In sostanza una ferrovia pensata per dare nuova linfa alle comunicazioni tra Spoleto e la montagna ed avvicinare gli abitanti di quest’ultima alla rete nazionale. Tutto ciò, però, finiva per contrastare con il costo di impianto complessivo previsto che, fissandosi a 2.700.000 lire, si traduceva, tenendo conto che la lunghezza della linea era all’incirca di 17,5 km, in un costo chilometrico assai elevato, superiore alle 150.000 lire. Non solo, ma ad un ulteriore verifica, imposta dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, il preventivo arrivò a sfiorare i tre milioni di lire, portando il costo chilometrico a oltre 168.000 lire106. Una spesa sei volte superiore a quella ipotizzata da Arcangeli sei anni prima che, anche tenendo conto del massimo contributo governativo, “avrebbe portato ad una passività insostenibile per le spese di esercizio, interessi ed ammortamento di capitali impiegati”107. Si aggiunga a ciò il rifiuto dell’Amministrazione Provinciale di concedere alcun sussidio108, così che la marcia indietro del Comune di Spoleto appare obbligata.
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La tenacia sabina
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Le ultime iniziative in campo ferroviario, di fine secolo, che vale la pena di ricordare, se non altro per il loro porsi in continuità con quanto già verificatosi in passato, furono i nuovi tentativi sabini per la realizzazione del collegamento RietiCorese. Dopo il fallimento del 1885, l’interesse si riaccese allorché ci si convinse che i tempi erano maturi per una nuovo provvedimento legislativo in favore dello sviluppo delle rete complementare109. In un clima di concordia, sconosciuta in passato, si costituì finalmente il consorzio, che nell’ottobre 1896 sottoscrisse una convenzione con l’impresa di costruzioni dell’ingegnere romano Adolfo Marsigli, fattasi avanti sino dal 1893, per la costruzione e l’esercizio delle linea, secondo il ben noto progetto Trivellini110. Tuttavia, si trattava di un’intesa fittizia, non in grado di reggere all’urto provocato dalla presentazione di un disegno alternativo a firma dell’ingegnere Stefano Venturini. Così, nonostante una commissione tecnica appositamente incaricata di confrontare i due tracciati si fosse espressa, inequivocabilmente, a favore del primo, l’impossibilità di trovare una mediazione, a cui si aggiunse il mancato rispetto da parte della ditta Marsigli del termine di un anno fissato nella convenzione per provare la propria consistenza finanziaria, indusse il consorzio a rescindere l’accordo110. Il tentativo successivo si colloca all’interno di un insieme di proposte, per la maggior parte poco attendibili, che prese corpo a seguito della promulgazione delle leggi n. 228 del 1897 e n. 168 del 1899 che, a diverso titolo, sancivano l’aumento del sussidio chilometrico annuo governativo sino ad un massimo di 6.000 lire111. Si trattava di un progetto di ferrovia economica a trazione elettrica, la cui paternità era attribuibile all’ingegnere Edoardo Ugolini, che ebbe l’effetto di riaccendere le divergenze tra Rieti e i Comuni della bassa Sabina. In particolare il capoluogo non intendeva accettare una soluzione così smaccatamente di ripiego rispetto a quella da esso prospettata in passato. Se, inizialmente, la posizione dell’Amministrazione Provinciale favorevole ad Ugolini – gli venne infatti concessa, così come richiesta, la facoltà di deviare il corso del fiume Farfa per produrre l’energia necessaria a muovere la tramvia – costrinse il Comune di Rieti ad un atteggiamento più conciliatorio, successivamente il suo definitivo rifiuto di partecipare all’impresa risultò decisivo nel decretarne il fallimento112.
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In effetti, la ripresa d’iniziativa si colloca nel biennio che precede la presentazione del, già citato, progetto di legge Peruzzi-Colombo del 29 maggio 1896. Lorenzetti, Strade di ferro cit. (a nota 87), pp. 117-122. Si veda, in proposito, Crispo, Le ferrovie italiane cit. (a nota 17), p. 241. Lorenzetti, Strade di ferro cit. (a nota 87), pp. 122-126.
Capitolo 4
Capitolo 5 Una regione da aprire all’esterno (1901-1927)
La costituzione del consorzio per la Ferrovia Centrale Umbra rappresentò una tappa significativa in direzione della realizzazione della linea, ma ci vollero altri quindici anni per superare numerosi ostacoli di natura burocratica, tecnica ed economica e vedere, finalmente, il treno lungo la valle del Tevere. Dopo alcune lievi correzioni, il progetto Cherubini per la Umbertide-Terni, con esclusione della diramazione per Perugia, in merito alla quale vennero richieste da Roma ulteriori modifiche, fu approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici nell’estate del 1901. Inoltrata la domanda di concessione per il tratto autorizzato, questa tuttavia venne respinta dal Ministero del Tesoro che giudicò la procedura di formazione del consorzio non conforme ai termini di legge vigenti, soprattutto per quanto concerneva gli aspetti relativi all’impegno finanziario. Tutto ciò si tradusse nella mancata approvazione dello statuto, con la conseguenza di dover ripartire da zero nell’iter burocratico necessario al riconoscimento formale del consorzio1. Intanto la trattativa con gli inglesi era entrata nel vivo. La controparte, almeno formalmente, era cambiata: non più il solo ingegnere Cooke ma The Italian Railway Construction Syndacat Limited, sempre di Londra2. Le intenzioni della compagnia, costituitasi apposta per operare in Italia, erano favorevoli all’assunzione dell’impresa, senonché l’inadeguatezza del piano finanziario, che rallentava i tempi per il rilascio della concessione, rischiava di mandare tutto all’aria, indirizzando l’interesse britannico verso altre linee ferroviarie. Per velocizzare le operazioni, la stessa società, a seguito di alcuni incontri con rappresentanti del governo italiano, avanzò la proposta di sostituirsi in tutto e per tutto al consorzio, richiedendo direttamente la concessione, a patto, però, che le Amministrazioni locali, Provincia compresa, le assicurassero un adeguato contributo finanziario, sotto forma di sussidio chilometrico annuo, a integrazione di quello governativo. Ottenuto l’assenso dei vertici del consorzio, gli inglesi cominciarono a premere, in particolare, sull’Amministrazione Provinciale e sulle Municipalità maggiori. 1
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ACPU, 1902, SO, Relazione della Deputazione al Consiglio sulla concessione del sussidio provinciale alla Ferrovia Centrale Umbra con allacciamento a Perugia, pp. 676-677. In realtà si tratta di una sigla che racchiude diverse ditte già operanti nel settore, tra cui anche quella che fa capo a Cooke.
Una regione da aprire all’esterno (1901-1927)
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La Ferrovia Centrale Umbra: una soluzione, parziale, all’assetto territoriale interno
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Il 30 luglio 1902 il Comune di Todi, vincolando a tale scopo i fondi derivanti dalla sovrimposta ai terreni e fabbricati, deliberò l’erogazione di un contributo annuale forfetario di 15.000 lire per l’intera durata della concessione3. Ad analoga conclusione giunse, nel corso della sessione ordinaria di settembre, il Consiglio Provinciale, che si impegnò a versare un sussidio chilometrico annuo di 300 lire, prelevabile da un aumento dell’aliquota sulla sovrimposta fondiaria. Data per acquisita e condivisa la necessità di non frapporre ulteriori ostacoli di alcun genere alla realizzazione della ferrovia, i consiglieri si scontrarono, piuttosto, sui modi con cui far fronte a tale impegno di spesa. Non mancarono, pure se in minoranza, coloro i quali, in difesa degli interessi della proprietà terriera, si dichiararono contrari alla soluzione, poi, adottata. Nel corso del dibattito, inoltre, ci fu anche spazio per alcune considerazioni sulla manodopera da impiegare nella costruzione della linea. Su sollecitazione di un gruppo di consiglieri, la Deputazione si impegnò a fare in modo che l’impresa costruttrice, a tutela dei lavoratori, fissasse preventiva-mente la soglia massima di ore lavorative giornaliere e quella minima salariale e che “a parità di condizioni, e salve le competenze tecniche”, essi fossero “reclutati fra gli umbri”4. Naturalmente, le pressioni maggiori della società inglese erano rivolte all’Amministrazione del capoluogo, che più di ogni altra, nel corso degli anni, aveva mostrato interesse nei confronti della Centrale Umbra e che era, in un certo senso, quella più “ricattabile”, per il fatto che il Ministero dei Lavori Pubblici non aveva ancora approvato il progetto della diramazione. Sta a testimoniarlo il carteggio tra l’ingegnere Carl Cooper, rappresentante della compagnia, e il sindaco Rocchi5. Alla fine, dopo che il 22 ottobre si era giunti alla firma di un compromesso tra le parti, il Consiglio Comunale deliberò in via definitiva di assegnare complessivamente, ovvero tanto per la linea principale quanto per la diramazione, un contributo annuo forfetario di 25.000 lire per tutta la durata della concessione; a condizione, però, che la stessa fosse richiesta al governo entro il termine di tre mesi e che, una volta ottenuta, i lavori per la linea principale e per la diramazione fossero portati avanti contemporaneamente6. Tuttavia, il nulla osta governativo relativo al tratto da Ponte San Giovanni alle
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ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1918, cartella 6, fasc. “Ferrovia Centrale Umbra”, delibera del Comune di Todi del 30 luglio 1902. ACPU, 1902, SO, seduta del 26 settembre, pp. 123-142. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1918, cartella 7, fasc. “Ferrovia Centrale Umbra 1902-14”. Si tratta di un fascicolo assolutamente disordinato. Oltre alla domanda formale della società inglese al sindaco del 22 ottobre 1902, vale la pena di segnalare una lettera di Cooper del 5 novembre. Ivi, delibera del Consiglio Comunale di Perugia del 24 novembre 1902. Nell’ambito dei preaccordi che la ditta inglese tese a stipulare con i singoli Enti locali si inserì anche quello con il consorzio costituito dai Comuni di Todi, Marsciano, Fratta Todina e Montecastello Vibio, in base al quale la società si impegnava a costruire il ponte sul Tevere tra i comuni di Fratta e Todi, destinato ad accogliere i binari, in dimensioni tali da consentire anche il passaggio della strada consorziale. In, Ivi, copia del compromesso tra Carl Cooper in qualità di rappresentante del sindacato e il sindaco di Todi, in qualità di presidente del consorzio.
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Ivi, nota circolare del sindaco di Perugia ad Augusto Ciuffelli ed ai parlamentari umbri del 28 maggio 1903, in chiusura della quale si ribadiva l’imprescindibilità delle condizioni poste dal Sindacato per l’assunzione della concessione e, cioè, “che il sussidio [governativo] sia accordato nella misura massima di lire cinquemila per la durata massima, di anni settanta”. Inoltre, ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1918, cartella 6, fasc. “Ferrovia Centrale Umbra”, nota circolare del 17 luglio 1903 ai sindaci interessati. Le risposte a questa circolare, almeno quelle documentate, furono tutte positive, a ulteriore testimonianza che, a differenza che in passato, l’intesa tra le Amministrazioni municipali era, ormai, un dato acquisito; in Ivi, cartella 7, fasc. “Ferrovia Centrale Umbra 1902-14”. Ivi, nota del Ministero del Tesoro del 23 ottobre 1903. Ivi, carteggio tra il sindaco di Perugia Luciano Valentini e John Drost, 6-23 ottobre 1903. Ivi, cartella 6, fasc. “Ferrovia Centrale Umbra”, nota del ministro dei Lavori Pubblici ad Augusto Ciuffelli e lettera di John Drost a Claudio Cherubini, entrambe del 16 dicembre 1904. Ivi, cartella 7, fasc. “Ferrovia Centrale Umbra 1902-14”, verbale di una riunione tenutasi il 3 gennaio 1904 nella residenza municipale di Perugia, presenti, tra gli altri, il sindaco Luciano Valentini, il deputato parlamentare Leopoldo Franchetti e il deputato provinciale Claudio Cherubini. Ivi, cartella 6, fasc. “Ferrovia Centrale Umbra”, nota circolare di Ulisse Rocchi, presidente del consorzio per la Ferrovia Centrale Umbra, del 2 marzo 1905.
Una regione da aprire all’esterno (1901-1927)
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porte di Perugia tardava ad arrivare, creando non poche preoccupazioni in seno alla neo eletta Amministrazione del capoluogo guidata dal conte Luciano Valentini; il quale decise, allora, di agire in due direzioni: a Roma, attivando i parlamentari umbri e potendo contare su Augusto Ciuffelli, anch’esso umbro, liberale, già deputato e, ora, sottosegretario della Presidenza del Consiglio; localmente, invitando le altre Amministrazioni coinvolte nel progetto Centrale Umbra a sostenere la propria azione7. Quando, però, alla fine di ottobre del 1903, il Ministero del Tesoro diede finalmente il suo assenso, autorizzando l’erogazione di un contributo chilometrico pari a 5.000 lire per tutta la durata della concessione (70 anni), per l’intera linea, diramazione compresa8, furono gli inglesi a tirarsi indietro. Già prima della decisione ministeriale la società, per mezzo del suo nuovo rappresentante, l’ingegnere John Drost di Rotterdam, aveva espresso al sindaco Valentini il proprio disappunto per la progressiva riduzione, rispetto agli accordi iniziali, del contributo complessivo a carico degli Enti locali, sceso da 2.000 a 1.000 lire al chilometro; sentendosi, peraltro, rispondere che nell’offerta originaria, quella, per intenderci, avanzata da Cooke nel 1898, si era posta come unica condizione per l’assunzione dell’impresa l’ottenimento del massimo sussidio governativo, senza alcun riferimento a contributi aggiuntivi a carico delle altre Amministrazioni; tra l’altro disattendendo, in questo modo, le disposizioni legislative vigenti e prestando il fianco, come si è poc’anzi ricordato, alle contestazioni del Ministero del Tesoro che avevano condotto alla mancata approvazione dello statuto del consorzio9. La compagnia, incapace di decidere se mollare tutto o presentare in proprio la domanda di concessione della linea, chiese ed ottenne tempo per giungere ad una conclusione10, ma intanto a Perugia, dopo l’ennesima delusione, si stava valutando la possibilità di rimettere in piedi il consorzio11. Quando, poi, anche il termine prorogato saltò, liberando il governo da qualsiasi impegno nei confronti degli inglesi, la riattivazione del consorzio apparve ineludibile12. Con Ulisse Rocchi presidente ancora in carica, benché dimissionario insieme all’in-
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tero vertice, si andò all’adunanza del 9 marzo 1905, che si chiuse con un ordine del giorno che invitava le Amministrazioni già consorziate a rinnovare la propria adesione, confermando il sussidio già deliberato, e quelle che in passato si erano limitate ad assicurare un contributo finanziario, compresa la Provincia, a mutare il tenore delle precedenti deliberazioni aderendo a tutti gli effetti13. Quest’ultima fece di più, nel senso che il 26 maggio, con l’intenzione di cautelarsi dall’eventualità che, in attesa del riconoscimento formale del consorzio, una qualsiasi impresa privata interessata a realizzare la linea, giocando d’anticipo, potesse decidere di scavalcare le istanze locali, rivolgendosi direttamente al governo, inoltrò essa stessa la domanda di concessione14. Una mossa certamente non sgradita al ricostituendo consorzio, pronto a subentrarle in seconda battuta15. Ma non fu così. A partire da quel momento il consorzio cessò, praticamente, di esistere, mentre la Provincia assunse in pieno le redini dell’iniziativa. L’obiettivo primario divenne quello dell’individuazione di una società disposta ad assumere la costruzione e l’esercizio della ferrovia, ma la ricerca si rivelò tutt’altro che facile. Una proposta sufficientemente concreta apparve quella del banchiere parigino Ettore Legru, già concessionario della linea Benevento-Cancello, il quale, in aggiunta al sussidio governativo, il cui limite massimo nel frattempo era stato elevato ad 8.000 lire al chilometro16, chiese che gli enti locali si impegnassero a versare, complessivamente, per 70 anni, un contributo chilometrico di 500 lire. Il bisogno di stringere i tempi, ovvero il timore che la concorrenza di altre linee potesse determinare l’esaurimento dei fondi appositamente stanziati dal governo, indusse il Consiglio Provinciale a dare carta bianca alla Deputazione nel concludere la trattativa con Legru, alla sola condizione che il contributo della Provincia, così come già deliberato nel settembre del 1902 non superasse le 300 lire al chilometro17. Come già verificatosi in passato, anche se stavolta la proposta avanzata sembrava avere le caratteristiche più della complementarietà che dell’alternativa vera e propria, la situazione di stallo favorì il sorgere di idee più a buon mercato. Tornò, così, il progetto di realizzare, lungo lo stesso percorso, alcune tramvie: esattamente una rete a scartamento ordinario e trazione elettrica, costituita dalla linea principale Umbertide-Perugia-Todi-Narni-Terni e dalle diramazioni Narni-Amelia e Todi-Orvieto18.
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La verità sull’opera della Deputazione del Consorzio per la Ferrovia Centrale Umbra, in “La Provincia dell’Umbria”, XXXII, 11, Perugia, 16 marzo 1905. ACPU, 1905, Relazione della Deputazione al Consiglio nella sessione ordinaria dell’agosto 1905, p. 346. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1918, cartella 7, fasc. “Ferrovia Centrale Umbra 1902-14”, nota di Ulisse Rocchi al sindaco di Perugia dell’8 luglio 1905. A. Crispo, Le ferrovie italiane. Storia politica ed economica, Giuffrè, Milano 1940, p. 271. ACPU, 1906, SS, seduta del 5 novembre, pp. 321-333. G. Palmieri Cornacchia, Relazione al progetto tecnico della Tramvia Centrale Umbra Umbertide-Perugia-TodiNarni-Terni, Narni-Amelia e Todi-Orvieto, Tipografia Agostiniana, Roma 1907.
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Valgano, come esempio, le reazioni delle Giunte municipali di Perugia e Todi. Per la prima si veda ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1907, fasc. “Tramvia Centrale Umbra Umbertide-PerugiaTodi-Terni-Narni-Amelia-Orvieto. 1907”, verbali delle sedute di giunta del 26 aprile e 10 maggio 1907. Per la seconda, si veda la lettera del sindaco di Todi a Palmieri Cornacchia pubblicata in “L’Unione liberale”, XXVI, 113, 17 maggio 1907. ACPU, 1907, SO, seduta del 9 settembre, pp. 232-234. Ivi, 1908, Relazione della Deputazione al Consiglio Provinciale nella sessione straordinaria del marzo 1908 sulla subconcessione della costruzione e dell’esercizio della Ferrovia Centrale Umbra, pp. 1-8. Ivi, seduta del 23 marzo, pp. 14-37.
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L’accoglienza che le Amministrazioni municipali riservarono ad un simile disegno, diversamente da quello che si potrebbe pensare tenendo conto del clima di attesa per un accordo in grado di chiudere una vertenza quasi trentennale, non fu affatto negativa19; il che può significare due cose: o la proposta non venne percepita come alternativa e concorrenziale alla ferrovia o, al contrario, venne giudicata interessante proprio perchè realizzabile in un tempo ridotto rispetto all’altra. Ad ogni modo, la messa sul tappeto di questo progetto, comunque destinato a dissolversi, creò un certo nervosismo in seno al Consiglio Provinciale, fornendo l’occasione per un attacco alla Deputazione, dimostratasi incapace di chiudere una qualsiasi trattativa per la sub-concessione della Centrale Umbra20. La situazione si sbloccò nel momento in cui si fece avanti la Società Italiana per le Strade Ferrate del Mediterraneo, la stessa che dal 1885 al 1905 aveva esercitato la metà, circa, della rete ferroviaria nazionale. Era, evidentemente, un’offerta a cui difficilmente si sarebbe potuto dire di no e, tuttavia, si aprì immediatamente una trattativa che consentì alla Provincia di ridurre le pretese iniziali della società. Allorché, alla metà di marzo del 1908, il Consiglio Provinciale si trovò a decidere se dare, o meno, mandato alla Deputazione di concludere l’accordo, le condizioni poste dalla compagnia per l’assunzione della costruzione ed esercizio della linea erano le seguenti: cessione a suo favore del contributo chilometrico governativo pari a 7.500 lire per 70 anni; pagamento, da parte della Provincia e dei Comuni, di una somma una tantum di tre milioni di lire21. Il via libera venne dato all’unanimità22 – come quota parte l’Amministrazione Provinciale si impegnò a versare alla società una somma lievemente superiore a 900.000 lire, ottenibile mediante la contrazione di un mutuo cinquantennale al 4% con la Cassa Depositi e Prestiti, garantito con il gettito della sovrimposta fondiaria – al termine di un dibattito, comunque, vivace, anche perché, come vedremo più avanti, erano in discussione due altri importanti progetti ferroviari come la Spoleto-Norcia e la trasversale umbro-maremmana. In risposta ad Ulisse Rocchi, il quale, a nome dell’intera Amministrazione perugina, aveva, ancora una volta, espresso il timore che la costruzione della diramazione Ponte San Giovanni-Perugia potesse slittare in un secondo tempo, intervenne, tranquillizzandolo, Augusto Ciuffelli, che in un sovrapporsi di cariche era anche consigliere provinciale ed era colui al quale, più di ogni altro, si doveva la trattativa con la Mediterranea. Senonché, i fatti avreb-
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bero provveduto a smentire le rassicurazioni del futuro ministro dei Lavori Pubblici. La convenzione tra il governo, l’Amministrazione Provinciale e la Mediterranea, per la costruzione ed esercizio della linea Umbertide-Ponte San Giovanni (con ramo secondario per Perugia centro)-Todi-Terni, a scartamento normale e trazione a vapore, venne siglata il successivo 9 luglio e formalmente sancita con regio decreto n. 617 del 27 settembre 1908. Tuttavia, contro ogni apparenza, si era ancora lontani dalla conclusione della vicenda. Immediatamente, infatti, si cominciò a pensare alla possibilità di sostituire la trazione a vapore con quella elettrica. Il 7 marzo 1910 la società concessionaria sottopose all’esame del Ministero competente il progetto definitivo della linea, con trazione a vapore, ma entro la fine dell’anno presentò anche uno studio per la sua elettrificazione. L’avvio dei lavori, in virtù della presenza di Augusto Ciuffelli alla guida del dicastero dei Lavori Pubblici, venne autorizzato il 2 febbraio 1911, ma sul tipo di trazione non si era ancora fatta chiarezza; o meglio, se la società, per divergenze con il Ministero in merito alle eventuali modifiche da apportare alla convenzione, pareva avere rinunciato all’ipotesi di elettrificare la linea, non così era per l’Amministrazione Provinciale, che nella seduta consiliare del 7 luglio 1912 si espresse in favore della trazione elettrica. Fu un giudizio condiviso unanimemente dai consiglieri, certamente alimentato dal fatto che a livello governativo, su suggerimento della Direzione Generale delle Ferrovie, si stava lavorando ad un progetto di legge per la elettrificazione di 2.000 chilometri di rete nazionale, ma anche dalla consapevolezza della peculiarità umbra nella disponibilità di energia idrica, tale da ridurre notevolmente i costi di esercizio della linea23. La tenacia della Provincia ebbe buon gioco e nel giro di un paio di anni, il 22 ottobre 1914, si stipulò l’atto suppletivo che trasformava la trazione da vapore in elettrica. Ma si trattava niente altro che di un miraggio: a distanza di sei mesi, quando ne mancavano altri tre all’apertura della linea, un’ulteriore convenzione ripristinò, anche se provvisoriamente, la trazione a vapore, poiché la società non avrebbe potuto “ottenere in breve tempo a causa della guerra, la fornitura del materiale elettrico occorrente ai nuovi impianti”24. Il caso della Centrale Umbra si chiuse perciò, anche se non completamente, nel clima di austerità imposto dal conflitto; la ferrovia venne aperta al traffico il 12 luglio 1915, senza alcuna cerimonia ufficiale e tuttavia la stampa documenta di popolazioni che si recarono festose presso le stazioni, in particolare a Todi, dove la manifestazione, con tanto di banda musicale, si trasformò in un omaggio al ministro Ciuffelli, al quale si attribuiva l’indiscusso merito di aver consentito la
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ACPU, 1912, SS, seduta del 7 luglio, pp. 88-94. Ivi, 1915, Relazione della Deputazione al Consiglio nella sessione straordinaria del luglio 1915 p. 15.
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“L’Unione liberale”, XXXIV, 159, 12 luglio 1915. Ibidem. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1918, cartella 7, fasc. “Ferrovia Centrale Umbra. 1902-14”, istanza di un gruppo di consiglieri comunali del 23 maggio 1911; nota della Mediterranea del 23 giugno; lettere di Claudio Cherubini al sindaco di Perugia del 31 maggio e 28 giugno 1911. Sulla tramvia urbana di Perugia cfr. C. Minciotti Tsoukas, Amministrazione comunale e servizi pubblici a Perugia (18931960), in Il cammino della modernizzazione. Storia, organizzazione e gestione dei servizi pubblici locali, TPA, Perugia 1995, pp. 21 e sgg.; G. Ricci, Politica, amministrazione e servizi pubblici a Perugia, 1893-1903, in “Storia Urbana”, II, 4, gennaio-aprile 1978, pp. 115 e sgg.; e, inoltre, M. Penchini, Il servizio di illuminazione a Perugia e la Società Anonima Elettricità Umbra (1899-1929), Università degli Studi di Perugia, Facoltà di lettere e filosofia, tesi di laurea, a.a. 1990-1991. L’atto di cessione dell’esercizio fu approvato dal Ministero dei Lavori Pubblici l’8 giugno 1915, in M. Garzi, La ferrovia Sansepolcro-Umbertide-Perugia-Terni, Calosci, Cortona 1979, p. 66. La direzione dell’esercizio, di cui era a capo l’ingegnere Ezio Locatelli, venne stabilita nella stessa sede di quella dell’Arezzo-Fossato, a Perugia, in L. Micucci, Ferrovia Centrale Umbra, Copylitart, Perugia 1977, p. 64. Questo scritto di Micucci, già dipendente della Ferrovia Centrale Umbra, ricostruisce la composizione del personale addetto alla linea dall’inaugurazione al 1977. ACPU, 1914, SS, seduta del 12 dicembre, pp. 106-107; la domanda fu avanzata dalla stessa Mediterranea.
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risoluzione di una vicenda, trascinatasi per oltre trenta anni25. Chiusura, come si diceva, parziale, perché, a testimonianza di quanto fossero fondate le preoccupazioni dei perugini, la diramazione era ancora in alto mare. Il principale quotidiano del capoluogo, espressione dell’area politica moderata, annunciando l’apertura al traffico della Umbertide-Terni, pronosticava che nell’anno a venire si sarebbe assistito all’apertura del braccio per Perugia centro e all’elettrificazione dell’intera linea così completata26; ma la previsione era in errore di ben quattro anni. A parte le oggettive difficoltà di carattere generale legate alla guerra, vi era un ostacolo di natura tecnica che rallentava la costruzione della diramazione, rappresentato dal forte dislivello esistente, intorno al 60 per mille, tra le due località da congiungere, tale da rendere assai difficile la scelta del sistema di trazione, sino ad arrivare ad ipotizzare un percorso a cremagliera. Inoltre, in precedenza, un rallentamento si era verificato a causa della divergenza sorta tra l’Amministrazione Comunale e la Mediterranea in merito al punto di ubicazione della stazione di Perugia. Una questione che aveva coinvolto, anche se non apertamente, persino la società esercente la tramvia elettrica che collegava Fontivegge con il cuore della città, la quale vedeva con preoccupazione una nuovo scalo nelle prossimità del centro, temendo una consistente riduzione dei propri profitti27. Nel corso dei primi anni di funzionamento della linea, durante i quali la Mediterranea preferì non gestirla direttamente, cedendo, temporaneamente, l’esercizio alla Società per le Ferrovie dell’Appennino Centrale, da tempo ormai operante in Umbria28, l’Amministrazione Provinciale oltre a concedere un contributo e l’occupazione gratuita del suolo stradale per la realizzazione di una tramvia elettrica dalla stazione di Todi Ponte Naja al centro della cittadina29, fu impegnata ad assolvere gli obblighi finanziari che la legavano alla Società Italiana per le Strade Ferrate del Mediterraneo. Lo slittamento dei lavori per la costruzione della diramazione e per l’elettrificazione, indussero le parti a stabilire che il pagamento una tantum dei 3.000.000 di lire, a
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carico degli Enti locali, fosse effettuato in due rate, la prima, pari a 1.750.000 lire, subito, la seconda, per l’importo restante, soltanto dopo il completamento della linea. Avendo la Provincia stabilito, dietro espresso parere delle Amministrazioni municipali, di provvedere da sola, naturalmente per conto dei Comuni, al pagamento delle suddette somme, fu essa stessa a contrarre due mutui cinquantennali, rispettivamente al tasso del 4% e 5%, con la Cassa Depositi e Prestiti, garantendoli con un aumento dell’aliquota della sovrimposta fondiaria30. L’assunzione di una tale funzione di copertura, non era immune da rischi: lo dimostra la vertenza sorta, successivamente, con i Comuni di Terni, Marsciano, Cesi e Torgiano in merito all’ammontare delle annualità da essi dovute all’Amministrazione Provinciale come quota parte della somma da versare alla Mediterranea31. L’adozione della trazione elettrica e l’apertura del tratto Ponte San Giovanni Perugia Sant’Anna – la stazione venne ubicata nel punto indicato dalla società – risalgono al 1920. L’intero impianto elettrico, dalla fase di progettazione alla realizzazione, inclusa la costruzione di tutte le componenti utilizzate, fu opera della Compagnia Generale di Elettricità, gia AEG Thomson Houston, di Milano. L’energia necessaria alla trazione era fornita dalla centrale idroelettrica di Papigno della Società Italiana per il Carburo di Calcio – con cui la Mediterranea era in accordi preliminari sino dal 191432 – sotto forma di corrente trifase, 6.000 volt, 45 hertz, ma prima di essere immessa nella linea di contatto veniva trasformata, in una sottostazione posta a Marsciano, ovvero all’incirca alla metà del tracciato, in corrente monofase, 11.000 volt, 25 hertz33. L’1 gennaio 1922, scaduto l’atto di cessione temporanea dell’esercizio alla Società per le Ferrovie dell’Appennino Centrale, la gestione della linea fu assunta direttamente dalla Mediterranea. La Direzione dell’esercizio, con a capo l’ingegnere Mosè Berrini, rimase a Perugia, mentre quella della Arezzo-Fossato si spostò a Città di Castello34.
Proiezioni verso l’esterno Se sul piano delle realizzazioni concrete, che è poi ciò che resta, i primi due decenni del nuovo secolo sono caratterizzati dal venire a capo di una vicenda 30
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Cfr. Ivi, 1915, SS, sedute del 4 luglio e 2 ottobre, pp. 27-32 e 55-57; ACPU, 1916, SS, sedute del 9 luglio e 8 ottobre, pp. 84-87 e 130-133. Ivi, 1917, SS, seduta dell’8 ottobre, pp. 169-173. AST, ASST I, b. 93, fasc. 14, lettera della Società Italiana per le Strade Ferrate del Mediterraneo alla Società Italiana per il Carburo di Calcio del 10 ottobre 1914. La ferrovia elettrica centrale umbra, estratto dalla “Rivista delle Strade Ferrate, Autovie e Linee di navigazione”, n. 10, novembre-dicembre 1924, Roma. In questo articolo si afferma che la trazione elettrica sia stata attivata, sempre nel corso del 1920, prima sulla linea principale e successivamente sulla diramazione. Ad ogni modo è certo che l’apertura del tratto Ponte San Giovanni-Perugia sia datata il 19 febbraio 1920. Si veda in proposito F. Ogliari, F. Sapi, Storia dei trasporti italiani, vol. XI, Toscana-Marche-Umbria, III, Archetipografia, Milano 1971, p. 737. Micucci, Ferrovia centrale cit. (a nota 28), p. 72.
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Il progetto umbro-tosco-romagnolo Innanzitutto si tornò a discutere di una transappenninica alternativa alla FaenzaFirenze. Accantonato dopo il sussulto verificatosi a cavallo degli anni ottanta e novanta del secolo precedente, questo tema si ripresentò all’ordine del giorno non appena il governo si pose il problema di ridurre i tempi di percorrenza tra il nord e il sud del paese, in particolare, per l’area centrale, tra Roma e Bologna. E con esso si ripresentarono le aspirazioni, mai sopite, delle popolazioni dell’area umbrotosco-romagnola. Aspettative, come già osservato in precedenza, contrastanti, rispetto alle quali ci si divideva, talvolta, anche all’interno dello stesso municipio. È ciò che accadde a Forlì, alla fine del 1903, in merito alla scelta tra due linee: l’una proveniente da Arezzo, via Stia, l’altra da Umbertide35. Quest’ultima, promossa dall’Amministrazione di Bagno di Romagna, raccolse, rapidamente, l’adesione dei Comuni umbri altotiberini e di Perugia; anzi, proprio il sindaco del capoluogo provinciale, prima ancora di aderire all’iniziativa per la Umbertide-Forli, aveva scritto al collega forlivese per cercare di stabilire un’intesa36. 35
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Favorevole all’Arezzo-Forlì – la cosidetta Forlivese – l’Amministrazione Municipale retta da repubblicani e socialisti; in sostegno della linea proveniente da Umbertide, invece, la Deputazione Provinciale con a capo le forze conservatrici. La Arezzo-Stia-Forlì, alla quale si è già fatto riferimento nei due precedenti capitoli, era stata progettata, sino dal 1873, dall’ingegnere di Sansepolcro, Luigi Mercanti. Ora, quel progetto veniva ripreso, con piccoli ritocchi, dall’ingegnere toscano Giuseppe Vigiani. In, M. Proli, Le reti immaginarie. I progetti ferroviari a Forlì, in “Memoria e ricerca”, II, 4, dicembre 1994, pp. 84 e sgg. Cfr. G. Vigiani, La Direttissima da Milano, Verona, Mestre a Roma per Forlì, Santa Sofia, Pratovecchio, Stia, Arezzo, Cinferoni, Stia 1902. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1918, cartella 7, nota al sindaco di Forlì del 6 ottobre 1903. L’invito del sindaco di Bagno di Romagna a contribuire alla costituzione del comitato per la
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protrattasi per più di quaranta anni, l’epoca giolittiana è, in generale, per l’Umbria, un periodo di intenso dibattito ferroviario, in cui le classi dirigenti mostrarono di avere, ormai, preso coscienza dell’esistenza di una questione ferroviaria regionale. All’interno di questa discussione emergono diversi progetti che, pur nella loro peculiarità, non fanno altro che riportare in evidenza il desiderio di quest’area, già ben delineato sino dall’epoca pontificia, di assolvere una funzione nodale nei collegamenti trasversali e longitudinali del paese. Semmai, la differenza più significativa rispetto al passato è data proprio dall’avvenuta maturazione, comunque sempre soggetta a tensioni municipalistiche, di una coscienza regionale che, al fine di realizzare questa tradizionale aspirazione, ordina o, meglio, tenta di ordinare i diversi progetti in unico disegno. Inoltre, trattandosi – perlomeno nella fase ideativa, perchè poi ciò che in concreto verrà costruito sarà ben misera cosa – di linee che trascendono i confini umbri, anche le regioni contermini risultano coinvolte a pieno titolo nel dibattito, così che in alcuni momenti si va delineando, pure in presenza di tensioni non indifferenti, una questione ferroviaria di area più vasta.
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L’accelerazione del processo dipendeva tanto dalla nazionalizzazione della rete ferroviaria, con la conseguente riaffermazione della necessità di costruire linee direttissime, quanto dal crescere della certezza di vedere realizzata, al più presto, la Centrale Umbra. In tale chiave va, quindi, interpretato anche l’ennesimo tentativo di rilancio dell’ipotesi adriatico-tiberina messo in atto, a partire da i primi mesi del 1906, dal sindaco di Città di Castello, avvocato Francesco Bruni. Un’iniziativa che, originata dalla preoccupazione per il prevalere, come poi effettivamente sarebbe stato, di una direttissima Firenze-Bologna e alimentata da una trattativa in corso con la Società Italiana per le Strade Ferrate del Mediterraneo37, puntava ad ottenere il concorso del capoluogo provinciale. Ma anche un piano con una precisa connotazione politica liberal-conservatrice, poiché tale era la collocazione di Bruni e degli amministratori e politici ai quali, più che agli altri, egli si rivolse in cerca di consenso38. E lo dimostrano, per converso, le critiche che si levarono, in seno allo stesso Tifernate, dal fronte dell’opposizione39. Ad ogni modo, il legame di appartenenza politica non fu sufficiente a conquistare l’appoggio del sindaco di Perugia, Luciano Valentini, ragionevolmente impegnato ad evitare che un qualsiasi elemento di turbativa potesse rallentare il cammino della Centrale Umbra40. Se la riproposizione di un progetto ambizioso come quello di Coriolano Monti suscitò una reazione negativa, lo stesso non avvenne per il proseguimento della linea sino a Forlì. Così, al convegno che si tenne a Sansepolcro il 21 ottobre 1906, al termine del quale si costituì il comitato pro ferrovia Umbertide-Forlì, partecipò anche l’Amministrazione perugina, rappresentata dal consigliere Claudio Cherubini. Il prestigio, la competenza e l’esperienza dell’ingegnere militare erano tali che a lui, naturalmente, fu affidato l’incarico di stendere il progetto tecnico-finanziario della linea41. Malgrado il manifestarsi della malattia che nel giro di qualche
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Umbertide-Forlì è del 17 dicembre 1903; la delibera di adesione della Giunta Municipale è del 12 febbraio 1904. Inizialmente Bruni non svelò il nome della società con cui era in contatto, ma, successivamente, dichiarò trattarsi della Mediterranea, ovvero di quella stessa con cui l’Amministrazione Provinciale stava negoziando in merito alla Centrale Umbra. In ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1920, fasc. “Ferrovia Umbro-Tosco-Romagnola; Ferrovia Adriatico-Tiberina”, s.fasc. “Ferrovia Adriatico-Tiberina. 1906”, note del sindaco di Città di Castello del 4 febbraio e 21 maggio 1906. Tra i deputati umbri egli scelse come suoi interlocutori Augusto Ciuffelli, Cesare Fani, Leopoldo Franchetti e Guido Pompilj. Si veda in proposito un articolo pubblicato, il 17 febbraio 1906, nel settimanale socialista “La Rivendicazione”, in cui si insinuava che l’azione di Bruni fosse tutta propaganda personale. Cfr., inoltre, il giudizio lapidario espresso dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso di Umbertide e l’invito, da essa rivolto alle società consorelle ed ai Municipi interessati, a rigettare la proposta del sindaco di Città di Castello il cui unico “scopo [era] di intralciar[e] o quanto meno di ritardar[e] la riuscita” della Ferrovia Centrale Umbra. In ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1918, cartella 7, fasc. “Ferrovia Centrale Umbra. 1902-14”, nota della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Umbertide al sindaco di Perugia dell’8 marzo 1906. Per avere un’idea più precisa della reazione dubbiosa che l’iniziativa di Bruni suscitò in Valentini si veda il carteggio tra i due contenuto in ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1920, fasc. “Ferrovia Umbro-Tosco-Romagnola; Ferrovia Adriatico-Tiberina”, s.fasc. “Ferrovia Adriatico-Tiberina. 1906”.
Capitolo 5
anno lo avrebbe condotto alla morte, Cherubini, coadiuvato da Romolo Paolucci, portò a termine il compito assegnatogli prima dell’inizio dell’estate del 1907. Il tracciato indicato (tav. 17), approvato dal comitato nella seduta tenutasi a Forlì il 30 giugno, partendosi da Forlì risale la valle del Montone per Terra del Sole, Castrocaro, Dovadola, Rocca San Casciano: quindi imboccando la valle del Rabbi verso S[an] Zeno si dirige su Civitella e Galeata poi a Santa Sofia - Mortano e di lì sottopassando il Carnaio entra nell’alta valle del Savio a San Piero in Bagno, a Bagno di Romagna, e traversando il comune di Verghereto sbocca a Pieve Santo Stefano seguendo indi innanzi l’alta valle del Tevere per Sansepolcro, San Giustino, Città di Castello, e Umbertide. [...] Il costo presunto si aggira sui 37 milioni; il percorso totale è di 137 chilometri42.
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“Pro Ferrovia Umbertide-Forlì”, organo ufficiale del comitato promotore, I, 1, aprile 1907. Ivi, 2-4, maggio-luglio 1907, pp. 9-10.
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Tav. 17 – Progetti per la Ferrovia Umbro-Tosco-Romagnola
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Dal confronto tra progetti già esistenti43 scaturiva, perciò, una sorta di mediazione che metteva insieme le valli parallele, e quindi potenzialmente alternative, del Ronco (Bidente) e del Montone. La scelta veniva motivata, tecnicamente, evidenziando la natura franosa “d’un largo tratto della parte superiore della valle del Ronco” che obbligava a deviare nella valle del Rabbi. A quel punto, anziché rientrare nella valle del Ronco, peraltro già servita da Meldola a Forlì da una linea tranviaria44, allungando di poco il percorso, risultava più opportuno proseguire verso un centro importante come Rocca San Casciano, capoluogo di circondario della provincia di Firenze, così da poter “usufruire della legge che favori[va] le comunicazioni fra capoluoghi di circondario” e, nello stesso tempo, dirigersi a Forlì lungo una valle assai significativa “[p]er centri abitati e per importanza agricola”45. Tale ipotesi, fatta eccezione per il brevissimo tratto da Bagno di Romagna a San Piero in Bagno, escludeva completamente la valle del Savio, parte integrante del progetto montiano dell’Adriatico-Tiberina, per la cui riproposizione si batteva, invece, al fianco della già ricordata Amministrazione di Città di Castello, quella di Ravenna. Tuttavia, questo fronte era destinato a spezzarsi rapidamente, anche in conseguenza delle novità che si manifestarono nel corso del luglio 1908 – la convenzione per la costruzione ed esercizio della Centrale Umbra e la legge che decretò la direttissima Firenze-Bologna46 – che sgomberarono il campo da ogni possibile, ulteriore, equivoco in merito ad un presunta volontà del governo di realizzare la Roma-Venezia. Nel maggio 1909 Ravenna sposò la causa della Umbertide-Forlì47; di qui la necessità di stendere un nuovo progetto, che la includesse, affidato agli ingegneri Gino Casini ed Ercole Abbiati. Pochi mesi dopo, anche l’Amministrazione Provinciale umbra aderì a tutti gli effetti, deliberando un contributo di 1.000 lire, da erogarsi, tuttavia, soltanto dopo che il comitato avesse garantito la copertura del resto della spesa e la Centrale Umbra fosse stata definitivamente concessa48. Intanto i 43
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A quelli già ricordati si aggiunga G. Panzavolta, Sul problema ferroviario della Romagna: il tracciato centrale tosco-umbro-romagnolo, Rocca San Casciano, Cappelli 1907. Su questa vicenda si veda R. Balzani, “Il vantaggio del tram”. Progetti tranviari fra l’Appennino Tosco-Romagnolo e la pianura Padana nel secondo Ottocento, in “Padania”, VI (1992), 11, pp. 219-235. “Pro Ferrovia Umbertide-Forlì”, I, 2/4, maggio/luglio 1907, p. 12. Si tratta della legge del 12 luglio 1908. Iniziati prima della guerra, i lavori avranno un’accelerazione decisiva soltanto con il regime fascista; la linea verrà aperta nel 1934; in A. Crispo, Le ferrovie italiane cit. (a nota 26), p. 281. Per un approfondimento sulla vicenda di questa linea cfr. A. Giuntini, I giganti della montagna. Storia della ferrovia Direttissima Bologna-Firenze (1845-1934), Olschki, Firenze 1984. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1920, fasc. “Ferrovia Umbro-Tosco-Romagnola; Ferrovia Adriatico-Tiberina”, s.fasc. “Ferrovia Umbro-Tosco-Romagnola. 1913; 1919-20”, verbale della riunione del comitato tenutasi ad Umbertide il 23 maggio 1909. ACPU, 1909, SO, seduta del 12 settembre, pp. 87-89. Seppur indirettamente, la Provincia dell’Umbria era già parte integrante del comitato, sin dalla sua costituzione, attraverso la persona del marchese Ugo Patrizi, deputato provinciale e, nello stesso tempo, segretario tesoriere del comitato. È proprio il suo intervento a risultare decisivo nel convincere i dubbiosi consiglieri provinciali. Patrizi, tifernate, radicale, nelle elezioni politiche dello stesso anno riesce a conquistare il seggio di Città di Castello strappandolo a Leopoldo Franchetti. Si veda, in proposito, R. Covino, Dall’Umbria verde all’Umbria rossa, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria, a cura di R. Covino e G. Gallo, Einaudi, Torino 1989, p. 546.
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Ferrovia Umbro-Tosco-Romagnola. Relazione del comitato promotore all’assemblea dei rappresentanti amministrativi e politici dei Comuni ed Enti locali interessati, tenuta in Firenze il 6 aprile 1913, Boncompagni, Sansepolcro 1913. Si veda, in proposito, T. Masi, Memoria per una Ferrovia Umbro-Tosco-Romagnola, Boncompagni, Sansepolcro 1913. E. Abbiati e G. Casini, Progetto della Ferrovia Umbro-Tosco-Romagnola. Relazione, Salvati, Foligno 1913, p. 5. Cfr. la nota 35.
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promotori si impegnavano ad allargare il fronte dei consensi, sottolineando, soprattutto, le caratteristiche strategiche della linea, alla ricerca di un appoggio in ambienti militari che potesse risultare decisivo. Quando, in occasione del congresso di Firenze del 6 settembre 191349, il nuovo progetto venne presentato, la situazione era ulteriormente cambiata. In primo luogo l’Amministrazione Municipale di Ravenna non era tra quelle presenti: un’assenza giustificata dal fatto che, nonostante alcune modifiche rispetto al precedente lavoro di Cherubini e Paolucci, il percorso pensato da Abbiati-Casini si interrompeva, comunque, a Forlì. In compenso, però, il Comune di Città di Castello non solo aveva finito per aderire, ma svolgeva una funzione trainante, nella persona del nuovo sindaco Maioli. Dal canto suo, Perugia, che pur confermando il proprio sostegno non aveva inviato alcun rappresentante, era troppo assorbita, come si è visto, da tutto ciò che concerneva la Centrale Umbra e, in particolare, dal superamento degli ostacoli che si frapponevano alla contemporanea costruzione della diramazione dalla stazione di Ponte San Giovanni alle porte della città. Infine, la ricerca di appoggi in ambienti militari poteva dirsi riuscita50. Le novità che emergevano dagli studi di Abbiati e Casini non riguardavano tanto il tracciato, che presentava una sola, significativa, variazione rappresentata dall’esclusione di Civitella di Romagna, venendo ad abbandonarsi la valle del Ronco subito dopo Galeata, bensì le caratteristiche tecniche della linea. Convinti dell’opportunità di progettarla, non come semplice ferrovia complementare da concedere ad una società privata con il contributo statale, ma, al contrario, come “linea di primo ordine o per meglio dire [...] parte principale di una futura grande arteria nazionale”51, da costruirsi ed esercitarsi direttamente dallo Stato, gli ingegneri avevano ridotto la pendenza massima dal 20 al 12 per mille e, naturalmente, introdotto il doppio binario. In termini di preventivo di spesa tutto ciò si traduceva in un aumento notevolissimo, passando dai circa 49 milioni di lire previsti da Cherubini, frutto, comunque, di una sottostima, a 115.896.260 lire, pari ad un costo chilometrico di circa 864.000 lire. Nello stesso lavoro, inoltre, si ipotizzava la realizzazione di due varianti. La prima, per Meldola, prevedeva di non abbandonare, giunti da sud a Galeata, la valle del Bidente, ma di percorrerla interamente, così come già tracciato da Mercanti52, sino a Forlì. Ciò avrebbe comportato un accorciamento dell’intero percorso da Umbertide a Forlì (128,065 contro 134,145 km) e una diminuzione dei costi (96.313.034 lire pari a circa 752.000 lire/km). La seconda, per Faenza, immaginava che dalla stazione di
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Castrocaro-Terra del Sole la ferrovia, anziché proseguire lungo la valle del Montone, piegasse a nord-ovest in direzione del terminale faentino. Il percorso UmbertideFaenza, sarebbe risultato il più lungo (136,615 km) ma, nello stesso tempo, il più razionale, se inteso come tronco della Roma-Venezia (tav. 17). Approvando, così come realmente fece53, il progetto Abbiati-Casini, varianti escluse, e, di conseguenza, chiedendo al governo di costruire ed esercitare direttamente la linea o, in alternativa, di concedere un adeguato contributo straordinario, tale da suscitare l’interesse delle compagnie private, il comitato rischiava di fare un gioco che le proprie carte non gli consentivano. Evidenziando, ancora una volta, le qualità strategiche della linea propugnata, esso fece appello, forse con eccessiva spudoratezza, al sentimento patrio, in un momento in cui l’eventualità di conflitto europeo si stagliava all’orizzonte. Sarà stato per la volonta governativa di esorcizzare la paura della guerra o, più realisticamente, perchè nessun timore poteva essere tale da giustificare un’impresa tanto gravosa dal punto di vista finanziario, sta di fatto che il 15 settembre 1913 il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, pur non esprimendo una decisione definitiva, giudicò la linea non così utile da impegnare seriamente il bilancio dello Stato54. La bocciatura ebbe l’effetto, se non proprio di scompaginare il fronte tosco-umbroromagnolo, di ridimensionarne le pretese. Nel settembre dell’anno successivo un consorzio appositamente costituitosi richiese il contributo governativo per prolungare la Centrale Umbra sino a Sansepolcro, utilizzando, con opportuni adattamenti, la sede stradale della ferrovia a scartamento ridotto Arezzo-Fossato. Nuovamente la risposta del Ministero competente fu di segno negativo, ma in questo caso l’utilità del progetto venne disconosciuta per un’eccessiva limitatezza di obiettivi, alla quale si contrapponeva, naturalmente in via del tutto eventuale, la trasformazione a sezione normale dell’intera ferrovia dell’Appennino Centrale. Richieste parziali provennero, nel novembre 1915, dallo stesso comitato per la ferrovia Umbertide-Forlì, che riproponendo il progetto Abbiati-Casini, chiese, in attesa che si fossero presentate le condizioni favorevoli al suo completo accoglimento, che si autorizzasse, intanto, la costruzione dei tronchi da Forlì a Rocca San Casciano e da Umbertide a Sansepolcro o, ancora meglio a Pieve Santo Stefano55. Per ottenere una risposta si dovette, però, attendere il dopoguerra. Fu nell’ottobre del 1919 che la Commissione – ministeriale – per lo Studio del Piano Regolatore delle Ferrovie dell’Italia Centrale56, presieduta dall’ingegnere Raffaele De Cornè, 53 54
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Per la Ferrovia Umbro-Tosco-Romagnola, in “Corriere Tiberino”, II, 15, Città di Castello, 20 aprile 1913. Parere della Commissione ministeriale per lo Studio del Piano Regolatore delle Ferrovie dell’Italia Centrale sulla Ferrovia Umbro-Tosco-Romagnola, Chiari, Firenze 1919, p. 2. Ibidem. La commissione venne istituita da Augusto Ciuffelli, in qualità di ministro dei Lavori Pubblici, nel febbraio 1914 per studiare un piano di sistemazione delle comunicazioni ferroviarie complementari in Abruzzo; con successivi provvedimenti lo stesso Ciuffelli ampliò l’area oggetto di studio includendovi la Toscana, le Marche, l’Umbria e il Lazio. In Ministero dei Lavori Pubblici, Commissione per lo Studio del Piano Regolatore delle Ferrovie dell’Italia Centrale, Relazione, Tip. Operaia Romana Cooperativa, Roma 1919, p. 7.
Capitolo 5
[t]enuto conto della finalità e della importanza di questa linea sussidiaria di valico [...] essa debba essere costruita ed esercitata a cura diretta dello Stato; salvo pur sempre concedere alla industria privata il tratto da Umbertide a Sansepolcro, da costruirsi quale ferrovia secondaria in prolungamento della Centrale Umbra. La Commissione però non può escludere che tale linea possa anche eventualmente essere oggetto di concessione all’industria privata, inquantoché applicandosi lo stesso sistema di trazione elettrica già adottato per la Centrale Umbra e che si è proposto per la Foligno-Orbetello, si verrebbe a costituire una organica rete che dalla Romagna per la Toscana e per l’Umbria farebbe capo all’importante e promettente porto di Porto Santo Stefano. Ciò permetterebbe ad una organizzazione industriale privata di esercitare con profitto il complesso di linee così costruite57.
In conclusione, appare evidente come la scelta della Direttissima Firenze-Bologna, nonostante fosse destinata a rimanere ancora a lungo sulla carta, avesse chiuso definitivamente la partita, rendendo superflua l’indicazione di un’ulteriore transappenninica – la quinta nell’Italia centrale – se non per esigenze interregionali. Da questo punto di vista nessuna novità sarebbe emersa sotto il fascismo, se non, proprio, la costruzione della Direttissima. Ciò, tuttavia, non si tradusse nella scomparsa dell’iniziativa degli Enti locali in favore della Ferrovia Tosco-Umbro-Romagnola, i quali sarebbero riusciti ad ottenere, peraltro in un tempo assai lontano e in un’Italia profondamente mutata, il solo e misero prolungamento della Centrale Umbra sino a Sansepolcro58. Il progetto umbro-maremanno Parallelamente al tentativo di aprire una seconda via di accesso all’Adriatico, altri territori umbri cercavano di affacciarsi sul Tirreno. In verità, nella vicenda della Ferrovia Umbro-Maremmana, gli interessi in gioco erano diversi, anche all’interno della stessa Umbria.
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Ivi, p. 49. L’apertura al traffico viaggiatori di questo breve tratto, di appena 39,5 chilometri, avverrà soltanto il 25 maggio 1956, in, Micucci, Ferrovia centrale cit. (a nota 28), p. 126.
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ridimesionò, definitivamente, le aspettative dei territori tosco-umbro-romagnoli. Essa, infatti, non riconobbe affatto alla Umbertide-Forlì, una funzione di primo piano nei collegamenti tra il nord e il sud del Regno, ma solo il carattere di linea sussidiaria, il che escludeva che si potesse realizzarla con caratteristiche proprie di una ferrovia di grande traffico. Perciò, i commissari suggerivano di costruire il tratto Sansepolcro-Faenza, inclusa la variante Castrocaro-Forlì, con il 30 per mille di pendenza massima e con 200 metri di raggio minimo e, invece, quello da Umbertide a Sansepolcro con il 40 per mille di pendenza e con 150 metri di raggio minimo; per entrambi avrebbe dovuto essere adottata la trazione elettrica. Soltanto le considerazioni finali relative ai modi di gestione andavano, in parte, a corrispondere alla attese dei promotori. Si riteneva, infatti, che
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Al pari di altri casi già esaminati non è facile stabilire con esattezza il momento di avvio del dibattito. È certo, tuttavia, che nel 1873 la Camera di Commercio ed Arti di Siena si era adoperata per far studiare una ferrovia da Talamone ad Orvieto, via Acquapendente59. Successivamente l’iniziativa era passata nelle mani di un comitato, costituito per opera dei Municipi di Scansano e Acquapendente, che aveva valutato migliore, come punto di approdo sulla Chiusi-Orte, la stazione di Allerona, situata pochi chilometri a nord di quella di Orvieto. Redatti due distinti studi di dettaglio per i tronchi Allerona-Acquapendente e Acquapendente-Talamone, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici li aveva approvati entrambi, rispettivamente, nel marzo del 1884 e nel febbraio 1886 (per questi come per i progetti successivi cfr. tav. 18). Vane, tuttavia, si erano dimostrate le aspettative di rientrare, trasformando il comitato in consorzio, nei mille chilometri di nuove costruzioni ferroviarie decretati con la legge del 27 aprile 188560. I promotori di questa operazione avevano tentato di coinvolgere anche la Provincia dell’Umbria. Come si ricorderà, infatti, la richiesta di adesione al consorzio per la Talamone-Allerona era stato uno degli elementi in discussione nella seduta dell’1 giugno 1885, interamente dedicata al tema ferroviario. Il Consiglio Provinciale, pur rigettandola, aveva giudicato la linea dotata di requisiti tali da essere compresa nel novero di quelle meritevoli di contributo61. Quando, all’inizio del nuovo secolo, si tornò a prospettare l’idea di una Ferrovia Umbro-Maremmana, l’iniziativa, perlomeno in Umbria, era saldamente nelle mani dei folignati che intravedevano in essa la possibilità di riconquistare una funzione nodale di tutto rispetto. Non più, quindi, un semplice collegamento tra la longitudinale tirrenica e la Firenze-Roma, ma una linea che, prolungandosi, via Todi, sino a Foligno ed ivi innenstandosi sulla Ancona-Roma, presentasse tutte le caratteristiche di una vera e propria trasversale peninsulare. Il 12 aprile 1905, nella città di Foligno, i rappresentanti delle Amministrazioni municipali di Todi, Orvieto, Gualdo Cattaneo, Bevagna, Montefalco e, naturalmente, di quella ospitante diedero vita al comitato promotore per la ferrovia trasversale Foligno-TodiOrvieto-Talamone. Positivo fu il giudizio della Deputazione Provinciale, che coglieva nella linea promossa il carattere di completamento della Centrale Umbra. In chiave locale, infatti, essa avrebbe consentito tanto di recuperare il tratto TodiOrvieto, quanto di servire una zona mai considerata nel dibattito ferroviario quale quella compresa tra le valli Umbra e Tiberina. Nè venne a mancare il sostegno dei Comuni toscani e laziali precursori dell’iniziativa, primi fra tutti Acquapendente e Scansano che misero a disposizione del neo comitato i progetti, già approvati, per il tratto Talamone-Allerona; lo stesso fece, naturalmente, Orvieto con quello rela59
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“Bollettino Ufficiale del Comitato per la ferrovia trasversale Foligno-Todi-Orvieto-Talamone”, 1, Foligno 28 giugno 1905, p. 2. Ivi, 2, Foligno 26 agosto 1905, p. 8. Amministrazione Provinciale dell’Umbria, Sulle ferrovie secondarie di 4a categoria nella provincia, Boncompagni, Perugia 1885.
Capitolo 5
Tav. 18 – Progetti per la Ferrovia Umbro-Maremmana Firenze
Ancona
Perugia Bevagna
Livorno
Chiusi
Talamone Porto Santo Stefano
Magliano
Foligno Montefalco Todi Gualdo Cattaneo
Pitigliano Terni
Orbetello
tratti realizzati
Civitavecchia
Roma
progetti Silingardi-Ciaramelli (1884-86) Ricci Busatti (1907)
Bertuzzi-Fazi (1907)
Zampi (1907)
Abbiati-Ferroni (1907)
tivo al tratto sino a Todi. In virtù di tanta concordia si procedette alla costituzione del consorzio – alla cui presidenza fu nominato l’avvocato Arturo BuffettiBerardi, futuro sindaco di Foligno – che avrebbe dovuto, innanzitutto, assicurarsi il contributo della Provincia necessario a coprire le spese progettuali. Costi che lievitarono nel momento in cui i promotori giudicarono il progetto esistente Talamone-Allerona insufficiente alla realizzazione di una linea di respiro nazionale, quale l’Umbro-Maremmana, intendeva essere62. 62
Cfr. “Bollettino ufficiale del comitato per la ferrovia trasversale Foligno-Todi-Orvieto-Talamone”, 1 e 2, passim.
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Marsciano Acquaviva Allerona staz. di Allerona Sorano Scansano Saturnia Orvieto
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La richiesta del consorzio pervenne in un Consiglio Provinciale completamente assorbito dal compito di individuare una società a cui sub-concedere la Centrale Umbra, ma ciò non si dimostrò un impedimento; al contrario, la disattenzione dei consiglieri condusse all’immediata accettazione della proposta della Deputazione di concedere il contributo richiesto. Tuttavia non si trattava di solo disinteresse. Successivamente, infatti, allorché dette il via libera alla chiusura della trattativa con Legru, il Consiglio non dimenticò la linea Umbro-Maremmana, auspicando che la scelta del sito dove collocare la stazione di Todi fosse fatta tenendo conto anche della linea per Orvieto63. Tra coloro che ritenevano la Foligno-Todi-Orvieto-Talamone complementare e non concorrenziale alla Centrale Umbra, non figurava, però, l’Amministrazione perugina; preoccupata per l’influenza negativa che sarebbe potuta derivarne per i propri interessi, essa si rifiutò di aderire, anche soltanto moralmente, all’iniziativa64. Un’opposizione che, tuttavia, non riuscì ad esercitare alcuna egemonia e, così, la Provincia continuò a sostenere anche l’Umbro-Maremmana, al punto da sostituirsi al consorzio nel richiederne, insieme a quella di Grosseto, nel giugno 1908, la concessione al governo65. La domanda atteneva al tracciato Porto Santo StefanoOrbetello-Orvieto-Todi-Foligno, con proseguimento per Ancona lungo la linea già esistente. Ad ogni modo, ciò che non era nelle possibilità dei perugini competeva, invece, al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, che, disconoscendo i caratteri d’interesse nazionale, economico e strategico, della linea, ovvero proprio quelli sui quali il consorzio aveva impostato la propria iniziativa, giudicò senz’altro preferibile, per la comunicazione tra i due mari, la costruzione del tratto Orte-Civitavecchia. Inoltre esso arrivò ed esprimere forti dubbi sull’utilità, anche solo regionale, del tronco Orvieto-Todi-Foligno, considerandolo superfluo in un’area che con la prossima apertura della Centrale Umbra avrebbe potuto ritenersi sufficientemente servita66. Si trattava di un responso, per certi versi inaspettato – in modo particolare per i giudizi relativi all’assetto delle comunicazioni locali umbre – che smontava il progetto complessivo e induceva quelle Amministrazioni che non intendevano darsi per vinte a procedere in modo segmentario. In verità, la bocciatura dell’organismo tecnico ministeriale non riguardava l’intera linea; infatti, riprendendo le decisioni, all’inizio ricordate, assunte una ventina di anni prima, esso aveva approvato i progetti relativi ai due tronchi Orvieto-Orbetello ed Orbetello-Porto San63 64
65
66
Si veda ACPU, 1906, SO, seduta del 17 settembre, pp. 230-36 e Ivi, SS, seduta del 5 novembre, pp. 321-323. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1905, fasc. “Ferrovia Umbra-Maremmana”, delibera della Giunta Municipale di Perugia del 15 settembre 1905: il diniego fu in risposta ad un invito del sindaco di Foligno per un’adunanza promossa dal comitato promotore per il 17 settembre a Foligno. La decisione di chiedere la linea in concessione venne presa nella seduta consiliare del 22 marzo 1908, in, ACPU, 1908, SS, pp. 35-37. Il voto del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici è del 20 aprile 1909, in Ministero dei Lavori Pubblici, Commissione per lo Studio del Piano Regolatore delle Ferrovie dell’Italia Centrale, Relazione cit. (a nota 56), p. 44.
Capitolo 5
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Cfr. Ibidem e Crispo, Le ferrovie italiane cit. (a nota 16), pp. 305 e 359. ACPU, 1910, SS, seduta del 10 aprile, pp. 91-95. Se per il tratto Todi-Orvieto, una volta scartata l’ipotesi di confluire sulla Roma-Firenze a Baschi, la via obbligata era quella del Tevere e del Paglia (progetto Zampi), per quello da Foligno a Todi erano in ballo due tracciati alternativi: il primo, detto del basso Puglia (progetto Bertuzzi-Fazi), più lungo, dopo aver toccato Bevagna, essersi avvicinato a Montefalco, toccato Gualdo Cattaneo, confluiva sulla Centrale Umbra a Marsciano; il secondo, dell’alto Puglia, dopo Bevagna puntava direttamente su Todi seguendo un percorso a forti pendenze. Inutile dire che la Deputazione propendeva per il primo, in grado di soddisfare un numero maggiore di interessi locali. In All’ecc.ma commissione incaricata dello studio delle ferrovie da costituirsi nell’Italia centrale. Note relative alla ferrovia trasversale Umbra Foligno-Todi-Orvieto, in ACPU, 1915, pp. 3-8. Ministero dei Lavori Pubblici, Commissione per lo Studio del Piano Regolatore delle Ferrovie dell’Italia Centrale, Relazione cit. (a nota 56), p. 44.
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to Stefano. Ne conseguì che il 16 settembre 1909, il breve allacciamento di appena 14 chilometri tra la longitudinale tirrenica e il porto, che si intendeva così potenziare, venne concesso alla Società Nazionale di Ferrovie e Tramvie che nell’arco di quattro anni lo avrebbe aperto all’esercizio67. Per ciò che concerne l’altro tratto, all’inizio di marzo del 1910 il Comitato esecutivo per il tronco Orvieto-Orbetello, chiese al Consiglio Provinciale dell’Umbria, soltanto per quella parte di tracciato compresa nei confini della provincia, un contributo chilometrico di 700 lire per 50 anni. Non tutti erano d’accordo, sicuramente non lo era il rappresentante del mandamento di Bevagna, situato tra Foligno e Todi, che si lamentò per il modo di procedere opportunistico delle Amministrazioni maremmane; ma alla fine, anche per il decisivo intervento del consigliere Buffetti-Berardi, presidente della sezione umbra del comitato, il quale sottolineò come il procedere per segmenti non avrebbe nuociuto in alcun modo alla sviluppo della intera linea, si finì per concedere il sussidio, seppure ridotto a sole 370 lire annue al chilometro68. Vane, però, si dimostrarono tali rassicurazioni, dal momento che le pratiche per il tratto Orvieto-Orbetello fecero progressi, mentre quelle per il tronco umbro restarono al palo. Così la nomina ministeriale della Commissione per lo Studio del Piano Regolatore delle ferrovie dell’Italia Centrale, apparve come l’occasione giusta per rilanciarlo. Ad essa la Deputazione Provinciale, presieduta da BuffettiBerardi, chiese, ufficialmente, di esprimersi in senso favorevole alla costruzione del tronco Foligno-Todi-Orvieto69. La risposta, come tutte le altre della commissione, giunse dopo la guerra. Fermi restando i motivi che inducevano a non riconoscere all’intera trasversale una valenza nazionale, rispetto a quanto espresso dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici nel 1909, mutava il giudizio sulla sua utilità in chiave di comunicazioni interregionali. In particolare si sottolineava l’importanza di Porto Santo Stefano “suscettibile di un grandioso sviluppo e destinato a un notevole avvenire anche negli interessi militari”, da cui discendeva l’opportunità “pur senza menomare la zona d’influenza di Civitavecchia, la quale si estende fino a toccare quella pertinente del porto di Ancona, [...] di costruire oltre Orvieto una linea di penetrazione che riunisca la ricca regione umbra al futuro scalo marittimo e alla grande longitudinale ferroviaria del Tirreno”70. Ma ancora più netto era il cambiamento di
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valutazione sull’assetto ferroviario umbro: nessuna concorrenza sarebbe potuta sorgere tra la trasversale Orvieto-Foligno e la longitudinale Centrale Umbra, ma solo una necessaria integrazione, da doversi realizzare adottando “un unico sistema di trazione elettrica per ambedue le linee incrociantisi”71. In conclusione, la commissione De Cornè includeva la linea, al pari della Faenza-Forlì-Sansepolcro, tra quelle principali di comune traffico, da costruirsi ed esercitarsi, preferibilmente ma non necessariamente, direttamente dallo Stato. Anche per l’Umbro-Maremmana, tuttavia, il fascismo non avrebbe portato alcuna novità, se non l’ingresso di Perugia nel comitato interregionale dei promotori72. Nonostante le premesse nessun binario sarebbe stato mai posto tra Orbetello ed Orvieto, nè, tantomeno, tra Orvieto, Todi e Foligno.
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Realizzazioni minime
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Dalla Perugia-Chiusi alla Ellera-Tavernelle In Umbria, lo si è gia in parte anticipato, nel biennio che precedette la prima guerra mondiale il dibattito ferroviario si fece molto intenso. Non vi è dubbio che la presenza di Augusto Ciuffelli al vertice del Ministero dei Lavori Pubblici e la nomina della commissione De Cornè abbiano rappresentato per politici e amministratori un’occasione da sfruttare al massimo. Tuttavia, come nel caso dei due progetti appena ricordati, le istanze avanzate, seppur rinnovate e modificate, affondavano le proprie radici in un passato più o meno remoto. Ciò vale, ad esempio, per il collegamento ferroviario tra Perugia e Chiusi che, appunto alla fine del 1913, tornò alla ribalta. In questo caso la macchina vennne rimessa in moto da due autorevoli ingegneri, Giuseppe Luigi Calisse e Giuseppe Fucci73, i quali in risposta alla ventilata apertura di una bretella Bucine-Sinalunga, che avrebbe reso ancora più marginale la Terontola-Chiusi, proposero una linea a scartamento normale, di circa 24 chilometri, che “[d]istaccandosi da Perugia verso sud-ovest pass[asse] per Castel del Piano, Capanne, Pilonico [Materno], Castiglione della Valle, Monte Petriolo, Fontignano, Tavernelle, Piegaro, Tre Mulini e Chiusi”74 (tav. 19). 71 72
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Ivi, p. 45. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1924, fasc. “Ferrovia intermarina fra l’Adriatico e il Tirreno”. Entrambi furono tra i partecipanti al XIII congresso nazionale degli ingegneri ferroviari che si tenne a Perugia a partire dal 31 maggio 1914. Si veda Il XIII congresso nazionale degli ingegneri ferroviari a Perugia, in “L’Unione liberale”, XXXIII, Perugia, 1-2 giugno 1914. G.L. Calisse e G. Fucci, Brevi cenni circa una nuova ferrovia da Perugia a Chiusi, Unione Tipografica Cooperativa, Perugia 1913, p. 6. L’idea, in passato tanto cara alla Provincia di Firenze, di un tronco dipartentesi da Bucine era stata ripresa dalle Ferrovie dello Stato che, in questo modo, intendevano rettificare la linea Firenze-Roma (cfr. Ivi, p. 3).
Capitolo 5
La proposta, era fin troppo evidente, si rivolgeva, in primo luogo, alla città di Perugia, che con la nuova linea avrebbe potuto finalmente affrancarsi dalla dipendenza dallo scalo di Terontola; un legame già di per sé negativo, che costringeva i viaggiatori perugini ad estenuanti attese per le coincidenze, ma che avrebbe rischiato di divenire mortale in caso di apertura della nuova bretella. Comunque, ancora prima di essersi sincerati dell’appoggio dell’Amministrazione del capoluogo, i due tecnici chiesero ed ottennnero l’autorizzazione ministeriale a compiere gli studi necessari75. Perugia, dietro l’ennesimo invito di Calisse e Fucci, entrò ufficialmente in azione soltanto alla fine del 1914, obbligata, in un certo senso, dal proliferare di proposte concorrenti che fece seguito alla nomina della commissione De Cornè. Anche se ritardata, la sua presa di posizione era inequivocabile: il tronco ferroviario 75
ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1921, fasc. “Nuova ferrovia Perugia-Chiusi. 1913-15”, nota del Ministero dei Lavori Pubblici, Ufficio Speciale delle Ferrovie, del 5 febbraio 1914.
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Tav. 19 – Ferrovia Ellera-Tavernelle e progetti per il collegamento Perugia-Chiusi
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Perugia-Chiusi doveva essere tenuto in considerazione come “il più importante per l’Umbria”76. Tra i tanti progetti sul tappeto ve n’era uno che, in modo particolare, si poneva in alternativa alla Perugia-Chiusi. Attribuibile all’ingegnere Guido Rimini, capo dell’Ufficio Tecnico provinciale, esso indicava una via diversa per potenziare le comunicazioni ferroviarie regionali, muovendo dal presupposto che l’eventuale apertura della Bucine-Sinalunga non avrebbe, soltanto, tagliato fuori Terontola, ma declassato la stessa Chiusi da nodo di prim’ordine a semplice stazione di transito. Pertanto, non sarebbe servito a Perugia un simile allacciamento, quanto invece avrebbe potuto esserle utile, e più in generale all’intera regione, una linea
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che dipartendosi da Fossato pass[asse] per Gualdo [Tadino], Valfabbrica e giung[esse] a Ponte San Giovanni costeggiando il fiume Chiascio, ivi si colleg[asse] alla Centrale Umbra sino a [Todi] Ponte Rio, lungo il Tevere e sempre lungo il detto fiume prosegu[isse] a Baschi e ad Orte indi a Roma77.
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Per il suo promotore, i pregi di questa linea erano innumerevoli. In primo luogo essa avrebbe consentito di porre rimedio allo strozzamento del traffico sull’Ancona-Roma, dovuto all’eccessiva pendenza del tratto Terni-Spoleto: in pratica, all’altezza di Fossato, il traffico proveniente da Ancona si sarebbe sdoppiato per riunirsi, nuovamente, ad Orte. Certo, egli si dimostrava perfettamente consapevole che il problema avrebbe potuto essere risolto, più semplicemente, con l’elettrificazione e il raddoppio del binario, ma era ugualmente convinto che “lo Stato, senza pregiudizio degli interessi di Foligno e Terni [avesse] grande interesse a giovare a Perugia”78, la quale, per la via del Tevere, avrebbe goduto di un abbreviamento delle percorrenze per Orvieto e Roma assai più sensibile di quello ottenibile per la via di Chiusi. In secondo luogo l’allaccio ad Orvieto con l’Umbro-Maremmana avrebbe consentito al capoluogo provinciale di posizionarsi al centro di una grande trasversale. Restava, per ammissione di Rimini, la necessità di agevolare le comunicazioni tra Perugia e le città della Toscana, ma per questo, anche in considerazione del progetto, probabilissimo a realizzarsi, di un braccio da Arezzo a Sinalunga, via Castiglion Fiorentino e Foiano, sarebbe stata sufficiente la costruzione di un breve raccordo da Terontola a Foiano, così da garantire l’accesso a Sinalunga, futuro nodo di primaria importanza. In conclusione, la sua bocciatura del progetto Calisse-Fucci era inappellabile: anche volendo riconoscere una qualche utilità ad un collegamento tra Perugia e Chiusi, sarebbe bastata allo scopo la realizzazione di una corta bretella tra le stazioni di Magione, sulla Terontola-Foligno, e Panicale, sulla Terontola-Chiusi (tav. 20). 76
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Ivi, voto del Consiglio Comunale del 22 dicembre 1914. L’invito di Calisse e Fucci, nel quale i due ingegneri evidenziavano, a seguito di contatti avuti con alcuni membri della commissione ministeriale, i rischi connessi ad un clima di forte concorrenzialità è dell’1 settembre. G. Rimini, La sistemazione ferroviaria di Perugia, in “L’Unione liberale”, XXXIII, 29, Perugia, 5-6 febbraio 1914. Ibidem.
Capitolo 5
Tuttavia i promotori della Perugia-Chiusi non dovevano rispondere soltanto alle obiezioni di Rimini, poiché c’era anche chi sosteneva che essa potesse in qualche modo pregiudicare il prolungamento della Centrale Umbra sino alla creazione della Direttissima Roma-Venezia ed inoltre chi, come la Società Italiana per le Strade Ferrate del Mediterraneo, proponeva, piuttosto, la costruzione di un raccordo tra Umbertide e Cortona79. 79
Si veda in proposito, G.L. Calisse e G. Fucci, Circa una nuova ferrovia da Perugia a Chiusi, Unione Tipografica Cooperativa, Perugia 1914. Sulla ferrovia Umbertide-Cortona cfr., inoltre, ASP, PPA1, b. 131, fasc. 18.
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Tav. 20 – Progetti di ampliamento della rete regionale (1913-14)
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Ad ogni modo, tra adesioni date e negate80, tra lo spuntare di nuovi progetti81 e il riemergere di vecchi disegni82, all’interno del più ampio dibattito sulla questione ferroviaria regionale che coinvolgeva tecnici, amministratori e politici83, l’azione in favore della linea, ormai coordinata dall’Amministrazione perugina, proseguì, per fermarsi, insieme a tutto il resto, soltanto con l’insorgere del conflitto. Così come, in un primo tempo, ne determinò l’accantonamento, la stessa guerra, protraendosi, finì, poi, per fornire nuove opportunità alla realizzazione della ferrovia. Tutto nacque e si sviluppò nell’ambito degli sforzi tesi a trarre i massimi frutti dalle risorse energetiche disponibili nel territorio nazionale. Il primo aprile 1918, il prefetto umbro venne informato dal Servizio Costruzioni delle Ferrovie dello Stato che, al fine di favorire il trasporto della lignite estratta nelle miniere di Pietrafitta e Panicale sino alla Terontola-Foligno, si sarebbe proceduto, per conto del Commissariato Generale dei Combustibili Nazionali, alla costruzione di un tronco ferroviario da Pietrafitta alla stazione di Ellera84. Immediatamente, il Consiglio Comunale del capoluogo provinciale tentò di sfruttare l’iniziativa governativa a proprio vantaggio, chiedendo che la linea fosse costruita “a scartamento ordinario [ed] allacciata a Perugia in modo da costituire
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Dando per scontata, per ovvi motivi, l’adesione di quelle Amministrazioni che sarebbero state direttamente beneficiate dalla linea, vale la pena di segnalare l’opposta reazione di due importanti centri con i quali Perugia intendeva stabilire più agevoli comunicazioni. Se l’idea soddisfaceva i senesi, al contrario, non suscitava l’interesse degli orvietani, che intendevano spendersi esclusivamente in favore dell’UmbroMaremmana. In, ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1921, fasc. “Nuova ferrovia Perugia-Chiusi. 1913-15”, nota del sindaco di Orvieto del 30 dicembre 1914, nota della Camera di Commercio e Industria di Siena del 2 gennaio 1915 e nota della Deputazione Provinciale di Siena del 19 gennaio 1915. Come, ad esempio, una sorta di variazione della linea proposta da Rimini, che da Valfabbrica, anziché proseguire per Gualdo e Fossato, si dirigesse prima a Gubbio e, infine, a Cagli per unirsi alla progettata Fabriano-Fermignano-Fano. Si veda, P. Zampa, Un sesto progetto: la Ponte San Giovanni, Valfabbrica, Gubbio, Cagli, in “L’Unione liberale”, XXXIII, 29, Perugia, 17-18 febbraio 1914. È il caso della tramvia Perugia-Chiusi che venne riportata all’ordine del giorno da un articolo non firmato pubblicato nella “Rassegna dei Lavori Pubblici e Strade Ferrate” e successivamente ristampato in sede locale; si veda Per le ferrovie dell’Italia centrale, in “L’Unione liberale”, XXXIV, 25, Perugia, 1 febbraio 1915. Immediatamente si sviluppò una polemica tra il deputato liberal-conservatore Romeo Gallenga, eletto in uno dei collegi perugini, assolutamente contrario all’idea, e l’ingegnere Angiolo Maria Laurenzi, colui che per primo, circa 25 anni prima, aveva prospettato la soluzione tranviaria. Cfr. R. Gallenga, A proposito dei progetti ferroviari dell’Umbria, in “L’Unione liberale”, XXXIV, 29, 5 febbraio 1915; Id., Ancora per la Perugia-Chiusi, in “L’Unione liberale”, 36, 13 febbraio 1915; A.M. Laurenzi, Per una linea Perugia-Chiusi, in “L’Unione liberale”, 31, 8 febbraio 1915 e Id., Sulla ferrovia Perugia-Chiusi, in “L’Unione liberale”, 34, 11 febbraio 1915. In questo quadro si colloca la riunione, a Montecitorio, dei parlamentari umbri al fine di coordinare le diverse istanze in materia ferroviaria emerse in ambito regionale, in modo da giungere alla stesura di un programma di sviluppo, il più possibile organico, da sottoporre all’attenzione della commissione ministeriale. Alla fine si decise di promuovere le seguenti linee: Umbertide-Forlì, Orvieto-Todi-Foligno, la prosecuzione della SpoletoNorcia sino ad Ascoli Piceno, Rieti-Avezzano, Arezzo-Sansepolcro-San Giustino-Fermignano, Umbertide-Cortona, Chiusi-Perugia, Ponte San Giovanni-Gualdo-Fossato e, infine, per non scontentare proprio nessuno, anche la variante della Roma-Orte-Ancona da Monterotondo a Orte. Inoltre, si sollecitò l’inizio dei lavori per le già concesse Civitavecchia-Orte-Terni, Ascoli-Antrodoco-Rieti-Fara Sabina e Orbetello-Orvieto. In Il problema ferroviario dell’Italia centrale. Il gruppo parlamentare umbro, in “L’Unione liberale”, XXXIV, 4, 7 gennaio 1915. A. Cioci, Due ferrovie, una storia. Terontola-Foligno, Ellera-Tavernelle, Kronion, Bastia Umbra 1988, p. 128.
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ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1921, fasc. “Ferrovia Perugia-Chiusi. Ferrovia Ellera-Pietrafitta. Ferrovia Gualdo Tadino-Ponte San Giovanni-Chiusi. 1918-21”, voto del Consiglio Comunale di Perugia del 12 aprile 1918. Ivi, nota del commissario generale per i combustibili nazionali ad Augusto Ciuffelli del 12 maggio 1918. Ivi. In particolare si veda la lettera di Gallenga a Valentini del 19 luglio 1918, da cui è tratto il passo seguente: “Vogliamo proprio intestarci in una polemica di carattere poco simpatico e meno opportuno, mentre urge trarre profitto dalla lignite per alimentare le industrie di guerra?”. Ivi, verbale della adunanza tenutasi a Tavernelle il 27 maggio 1918. Ivi, deliberazione della Giunta Municipale di Perugia del 12 luglio 1918. Ivi, nota da Augusto Ciuffelli al sindaco di Perugia, Luciano Valentini, dell’11 agosto 1918, nella quale si rendeva noto che dal 30 giugno, con l’approvazione del progetto esecutivo, si era dato inizio all’espropriazione dei terreni e che, conseguentemente, nessuna modifica al tracciato era più possibile.
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il primo tratto della Ferrovia Chiusi-Perugia”85. Si puntava, in particolare, ancora una volta, sull’appoggio di Augusto Ciuffelli, ora ministro dell’Industria Commercio e Lavoro; ma la risposta che quest’ultimo ottenne dal commissario generale per i combustibili lasciava ben poche speranze ai sostenitori del progetto CalisseFucci, poiché esplicitava che si trattava, semplicemente, di mettere in funzione un “binario di servizio”, che la necessità di far fronte urgentemente alla domanda di combustibile imponeva di costruire con “criteri di massima rapidità ed economia, non certamente compatibili con le esigenze di una ferrovia sia pure secondaria ma in servizio del pubblico”86. Altro mediatore tra le istanze locali e le esigenze governative fu il deputato liberalconservatore, eletto in uno dei collegi perugini, Romeo Gallenga, il quale, all’epoca, ricopriva la carica di sottosegretario per la Propaganda all’Estero e per la Stampa. Una mediazione, tuttavia, che risentì fortemente del clima di eccezionalità dovuto alla guerra, nel senso che mai, come in questa fase, i politici umbri si dimostrarono così compresi nel proprio ruolo istituzionale e, conseguentemente, poco sensibili, quando non infastiditi, alle continue pressioni a cui erano sottoposti dalla periferia. Lo dimostra il carteggio, franco e duro al tempo stesso, tra Gallenga e il sindaco di Perugia Valentini87. Sta di fatto che le Amministrazioni comunali interessate, guidate da quella del capoluogo, sorde agli appelli che le invitavano ad attendere momenti più opportuni, proseguirono nella loro azione. Il 27 maggio, sempre del 1918, si tenne un’adunanza tra le rappresentanze di Perugia, Panicale e Piegaro a cui si aggiunse quella di Marsciano che chiedeva una variante che la collegasse alla linea da costruirsi88. Un primo elemento di novità si presentò in luglio, allorché la Giunta Municipale di Perugia venne informata, non si sa bene da chi, che stante l’imprescindibilità di procedere in alcune fasi dei lavori come se si trattasse di costruire una linea ferroviaria permanente, gli stessi non sarebbero potuti terminare prima di un anno. In conseguenza di una simile dilatazione dei tempi, essa chiese che fossero introdotte alcune lievi modifiche al tracciato, in modo che “pur conservando i punti estremi Pietrafitta-Ellera, il percorso si avvicin[asse] maggiormente a quello del primo tronco della progettata linea Perugia-Chiusi”89. Tuttavia anche questa possibilità fu negata dal governo90.
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La conclusione del conflitto, però, fu un elemento di novità dirompente, potenzialmente in grado di rovesciare la situazione a tutto vantaggio delle realtà locali. Il mutamento di clima lo si avvertì, in maniera chiarissima, in un’adunanza che si tenne a Perugia l’1 febbraio 1919, dopo che una nuova istanza al ministro dei Lavori Pubblici era caduta nel vuoto91. La fine dell’emergenza ebbe l’effetto di liberare tutto il risentimento delle classi dirigenti umbre nei confronti del governo, ritenuto assolutamente incapace di interpretare i reali bisogni delle periferie. Di fronte al ripristino delle condizioni di normalità nel prezzo dei combustibili, tali da ridurre considerevolmente il consumo di lignite, la ferrovia mineraria veniva percepita come un vero e proprio sopruso. In particolare si insisteva sul fatto che essa non avrebbe recato alcun beneficio ai territori destinati ad accoglierla e, quindi, sulle ingiustificabili delle espropriazioni in corso, percepite come un brutale attacco alla proprietà privata. Al contrario, si sosteneva, la ferrovia PerugiaChiusi, non solo avrebbe potuto agevolare le comunicazioni tra Umbria e Toscana, ma, nello stesso tempo, valorizzare “un territorio fertile con vantaggio grandissimo dei non lontani centri di Firenze e di Roma”92. Per questi motivi l’adunanza si sciolse con la decisione di inviare a Roma una commissione per insistere presso i Ministeri competenti affinché i lavori, già iniziati, sul tratto Ellera-Pietrafitta fossero estesi ed adattati alla costruzione della intera linea sino a Chiusi. Al cambiamento di condotta degli umbri, non corrispose, però, alcun mutamento da parte del governo. Nessuna rassicurazione degna di credibilità emerse dall’incontro romano, così non sembrava rimanere altra via che quella, dopo aver costituito un consorzio, di chiedere in concessione la costruzione dei tratti mancanti, per poi ottenere il diritto di esercitare la linea nella sua interezza93. Fu questa, tuttavia, una strategia che venne rapidamente abbandonata a vantaggio di un’azione, in cui le aspirazioni di Perugia e dei Comuni del Trasimeno meridionale si saldarono con quelle dell’Eugubino-Gualdese, tesa a promuovere un’unica trasversale da Fossato a Chiusi. Il superamento dell’antinomia tra i progetti Calisse-Fucci e Rimini si verificò, gradualmente, attraverso il prendere corpo di movimenti in difesa dei diversi interessi territoriali che finirono, poi, per convergere su di un obiettivo comune. Nell’Eugubino-Gualdese si costituì un comitato per l’elettrificazione e trasformazione della Arezzo-Fossato a sezione ordinaria che, in poco tempo, sposò anche l’idea del tronco, alternativo all’Ancona-Roma, da Fossato a Ponte San Giovanni94. 91
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ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1920, fasc. “Sistemazioni e nuovi allacciamenti ferroviari nell’Umbria. Comitato umbro-marchigiano. 1918-20”, petizione del 10 gennaio 1919 a firma del sindaco di Perugia, Luciano Valentini, e del presidente della Deputazione Provinciale dell’Umbria, Lorenzo Donati. Per la ferrovia Perugia-Chiusi, in “L’Unione liberale”, XXXVIII, 20, 4 febbraio 1919. In merito al mutato atteggiamento dei ceti dirigenti umbri, non si può non segnalare Romeo Gallenga che tornò ad essere, come nell’anteguerra, il paladino per eccellenza della linea. Ancora per la Perugia-Chiusi, in “L’Unione liberale”, XXXVIII, 33, 19 febbraio 1919. Il Comitato di agitazione per la trasformazione della Ferrovia dell’Appennino Centrale si costituì a Gubbio il 17
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dicembre 1918. Non appena informata, l’Amministrazione Municipale di Perugia si associò all’iniziativa. Cfr. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1920, fasc. “Sistemazioni e nuovi allacciamenti ferroviari nell’Umbria. Comitato umbro-marchigiano. 1918-20”, nota circolare della presidenza del comitato del 23 dicembre 1918 e risposta del sindaco di Perugia del 16 gennaio 1919. Cfr., inoltre, Per la trasformazione della linea ferroviaria Fossato di Vico-Arezzo e Per le comunicazioni ferroviarie, in “L’Unione liberale”, XXXVIII, rispettivamente nei nn. 19 e 20 del 3 e 4 febbraio 1919. Associazione “Pro-Perugia”, Perugia e il suo problema ferroviario, Donnini, Perugia 1919. Cfr., inoltre, Id., Relazione e programma del consiglio, Guerra, Perugia 1919 e Id., Statuto, Donnini, Perugia 1919. In precedenza si è sempre fatto riferimento alla Fossato-Ponte San Giovanni-Chiusi; si tratta della stessa linea se non per il fatto che si creò una discrepanza tra le Amministrazioni di Fossato e Gualdo, entrambe è bene ricordarlo poste sull’Ancona-Roma, in merito alla scelta della stazione in cui avrebbe dovuto verificarsi la confluenza. D’altra parte Gualdo candidava la propria stazione a divenire anche il nuovo capolinea della trasformata ferrovia dell’Appennino Centrale. L’obiettivo di sostituirsi in tutto e per tutto a Fossato era, perciò, evidentissimo. Si veda, in proposito, Interessi ferroviari a Fossato di Vico, in “L’Unione liberale”, XXXVIII, 38, 25 febbraio 1919. Il convegno di Gualdo Tadino per la trasversale Gualdo-Ponte San Giovanni-Chiusi, in “L’Unione liberale”, XXXVIII, 54, 7 marzo 1919. Il convegno ferroviario di Perugia ed Echi del convegno ferroviario, in “L’Unione liberale”, XXXVIII, 118 e 119, 31 maggio e 2 giugno 1919.
Una regione da aprire all’esterno (1901-1927)
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Nel capoluogo, più o meno in contemporanea, nacque l’associazione Pro Perugia, con l’intenzione dichiarata di dedicare un ampio spazio della propria attività a favorire lo sviluppo delle comunicazioni ferroviarie. Essa si collocava, apertamente, all’interno del dibattito, avviato già dall’anteguerra, sulle potenzialità di sviluppo industriale dell’Umbria, che vedeva ora impegnata, in primo luogo, la Camera di Commercio e che, riconoscendo la necessità di trascendere dagli angusti confini regionali, aveva condotto alla costituzione del comitato permanente per l’incremento degli interessi umbro-marchigiani. Ciò che la Pro Perugia ribadiva era l’obiettivo di trasformare la regione, ricca di energia idraulica e manodopera a basso costo, da semplice consumatrice a produttrice di manufatti; ma per raggiungerlo era necessario rompere l’isolamento, creare una rete di comunicazioni in grado di far affluire materie prime e rimettere in circolo i prodotti finiti, in sostanza si trattava rendere più agevoli i collegamenti con i porti adriatici, in primo luogo, e tirrenici. La Fossato-Chiusi avrebbe potuto assolvere pienamente questo compito, ma, accanto ad essa, l’associazione si assumeva l’impegno di promuovere la Terontola-Foiano oltre, naturalmente, alla prosecuzione della Centrale Umbra, non solo a nord, però, ma anche a sud di Todi con una variante che giungesse ad Orte via Amelia95. Il primo passo ufficiale verso la costituzione del consorzio per la Gualdo96-Chiusi venne mosso nel convegno che si tenne il 16 marzo 1919 a Gualdo Tadino, alla presenza di rappresentanze politiche, amministrative, istituzionali e delle forze economiche, e che si chiuse con un voto per la sollecita costruzione della linea in questione e della Terontola-Foiano97. Quello definitivo si concretizzò nel convegno del 31 maggio organizzato dalla Pro Perugia. Nell’occasione si prospettò, addirittura, un ulteriore prolungamento della trasversale da Chiusi “per la valle dell’Astrone e quella dell’Orcia, fino a congiungersi con la Asciano-Monte Pascali alla stazione di Monte Amiata”98.
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Nonostante la piena adesione dell’Amministrazione Provinciale99, l’iniziativa dovette subire un duro, anche se parziale, colpo dalla commissione De Corné che, giudicandole separatamente, ammise la Perugia-Chiusi, o per meglio dire la ElleraChiusi, ma bocciò la Fossato-Ponte San Giovanni. Il salvataggio della prima si basava, esclusivamente, sul fatto che la costruzione in corso della Ellera-Tavernelle, che le Ferrovie dello Stato divergendo dalle intenzioni originarie stavano realizzando come una vera linea ferroviaria, suggeriva di completare l’opera in direzione di Chiusi, con le caratteristiche proprie di una ferrovia a trazione elettrica del tipo della Centrale Umbra100. Al contrario, i commissari non si dimostrarono affatto convinti della necessità di alleggerire il traffico sulla Ancona-Roma “(non molto aggravata e che ad ogni modo verrà ad essere assai beneficata dalla elettrificazione)”101, né giudicarono il costo di costruzione previsto per la Fossato-Ponte San Giovanni proporzionale al movimento di traffico presumibile. Inevitabile fu il rammarico che fece seguito alla relazione della commissione De Corné, in particolare quello espresso dall’Amministrazione Provinciale per il fatto che la linea non fosse stata giudicata integralmente, così da poterne cogliere la sua vera funzione che non sarebbe stata certo quella di servire ristretti interessi locali, bensì, di soddisfarne uno di vasto respiro quale era quello del miglioramento delle comunicazioni ferroviarie tra le Marche, l’Umbria e la provincia di Siena102. Ad ogni modo il consorzio proseguì nella sua azione, da un lato incaricando gli ingegneri Calisse e Fucci di progettare, nuovamente, il tratto Perugia-Chiusi, ma anche quello Fossato (Gualdo)-Perugia, dall’altro cercando di neutralizzare, invitandolo ad aderire, lo stesso Commissariato Generale per i Combustibili Nazionali103. Un piano che, tuttavia, si dimostrò poco efficace. Nei primi anni del regime fascista proseguirono le adunanze, ma, naturalmente, lo scorrere del tempo contribuì a fiaccare la tenacia dei promotori; mentre per tutto il periodo tra le due guerre il solo tronco da Ellera a Pietrafitta rimase in funzione, in assoluta dipendenza dall’attività mineraria, peraltro, in forte ribasso. Il nuovo conflitto, ricreò una situazione già vissuta: nuovo impulso alla produzione lignite e ritorno in auge della questione del prolungamento. Ciò nonostante, come per la
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ACPU, 1919, SS, seduta del 12 agosto, pp. 118-19. Oltre che la Provincia dell’Umbria erano parte integrante del consorzio quella di Siena, la Camera di Commercio dell’Umbria e i Comuni di Perugia, Chiusi, Panicale, Piegaro, Valfabbrica, Gualdo Tadino, Fossato e Gubbio, in Echi del convegno cit. (a nota 98). Ministero del Lavori Pubblici, Commissione per lo Studio del Piano Regolatore delle Ferrovie dell’Italia Centrale, Relazione cit. (a nota 56), pp. 54-55. Ivi, p. 57. ACPU, 1920, SS, seduta del 21 febbraio, pp. 37-40. ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1921, fasc. “Ferrovia Perugia-Chiusi. Ferrovia Ellera-Pietrafitta. Ferrovia Gualdo Tadino-Ponte San Giovanni-Chiusi. 1918-21”, nota del 5 settembre 1920 del presidente del consorzio per la ferrovia Fossato-Gualdo Tadino-Perugia-Chiusi al sindaco di Perugia, con la quale si comunicava l’ordine del giorno votato dal consorzio nella seduta dell’1 settembre. Alla fine, in merito al dilemma Gualdo/Fossato il consorzio aveva stabilito di subordinare la scelta al risultato dei rilievi degli ingegneri.
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Centrale Umbra, si sarebbero dovuti attendere gli anni cinquanta perché un risultato, seppur minimo, quale quello della prosecuzione dei binari sino a Tavernelle e dell’apertura al traffico passeggeri dell’intero tronco fosse raggiunto104.
Tra i tanti progetti rimasti sulla carta ve ne fu uno che, invece, si trasformò in realtà: quello del collegamento ferroviario tra Spoleto e la montagna nursina (tav. 21). La linea a scartamento ridotto Spoleto-Norcia, inaugurata l’1 novembre 1926 e rimasta in vita, se si eccettua la parentesi del 1944-45, sino al 31 luglio 1968, “[d]i concezione pioneristica, [...] ha significato un notevole esempio di unione tra progresso e paesaggio”105. Caratteristiche, queste, che le hanno consentito di continuare a vivere, nell’immaginario collettivo regionale, anche dopo la sua sofferta chiusura, tanto che ancora oggi le parti del tracciato rimaste percorribili sono meta di frequenti escursioni. Su di essa si è scritto molto, prima durante e dopo la sua soppressione, riconducibile all’interno della politica dei “rami secchi” degli anni sessanta; così come si è già operata una ricostruzione della sua intera vicenda106. I fatti essenziali, insomma, sono già conosciuti, si tratta soltanto di fornire qualche ulteriore elemento, utile ad inquadrarli in un contesto un po’ più ampio, quale è quello che si è tentato di ricostruire sino qui. Si è già evidenziato come tra i problemi irrisolti della la città di Spoleto vi fosse quello delle comunicazioni con l’alta Valnerina e con la montagna nursina e come ciò, per certi versi, la ponesse in concorrenza con Terni. Dal canto suo, quest’ultima, ormai centro industriale a tutti gli effetti, dopo avere dovuto abbandonare l’ipotesi di una ferrovia Chiento-Nerina, nel 1898 riprese in mano quella di una più semplice tramvia da condurre lungo la strada provinciale Valnerina. L’iniziativa, promossa dal locale Collegio degli Ingegneri presieduto da Pier Gaetano Possenti, era destinata ad incontrare, in tempi rapidi, il consenso e il sostegno sia di altre Amministrazioni comunali, sia delle grandi industrie impiantate sul territorio, particolarmente interessate ad un mezzo in grado di assicurare loro un più agevole collegamento con la stazione ferroviaria. Il lancio ufficiale avvenne l’8 maggio ad Arrone, presenti le rappresentanze dei Municipi di Terni, Ferentillo, Arrone, Montefranco, Torre Orsina, Collestatte, Preci, Polino, Piediluco, Papigno e della Provincia dell’Umbria. La tramvia, a trazione elettrica, muovendo dallo scalo ferroviario di Terni avrebbe dovuto interrompersi a Ferentillo, mantenendo intatta, tuttavia, la prospettiva di una prosecuzione verso l’Adriatico107. 104
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L’apertura del tratto Ellera-Tavernelle al traffico passeggeri data il 16 maggio 1853, in A. Cioci, Due ferrovie cit. (a nota 84), p. 132. A. Cioci, La ferrovia Spoleto-Norcia, Kronion, Bastia Umbra 1988, p. 60. Ivi, passim. Si veda, in particolare, la bibliografia, utile per farsi un’idea, anche se parziale, dell’interesse suscitato dalla linea. A. Cioci, La tramvia Terni-Ferentillo, Kronion, Bastia Umbra 1989, pp. 13-17.
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La ferrovia Spoleto-Norcia
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Tav. 21 – Ferrovia Spoleto-Norcia, tramvia Terni-Ferentillo e altri progetti non realizzati
Firenze
Ancona Umbertide Cerreto di Spoleto Borgo Cerreto
Visso
Foligno Ascoli Arquata Norcia del Tronto Piedipaterno Serravalle Acquasanta Spoleto Balduini Cascia Piediripa Grisciano Accumoli Sant’Anatolia di Narco Pescia Ferentillo Amatrice Cittareale Leonessa Collestatte Terni Papigno Posta
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Triponzo
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Antrodoco Rieti Cittaducale
progetti
L'Aquila
Sulmona-Pescara
Bezzi (1897-99) Società Italiana di Elettricità Thomson Houston (1910)
Roma
Carosso (1909)
linee realizzate
Carosso (1911)
a scartamento normale
Amici (1903)
a scartamento ridotto
Bernabei (1909)
tramvie
L’elemento, probabilmente decisivo, nel determinare il successo dell’operazione fu l’adesione, per mezzo dell’amministratore delegato Mario Michela, della Società Italiana per il Carburo di Calcio Acetilene ed altri Gas (SICCAG)108, che il 14 novem108
Cfr. G. Bovini, Sviluppo e crisi di una grande impresa: la Società Italiana per il Carburo di Calcio (1896-1922), Università degli Studi di Perugia, Facoltà di lettere e filosofia, tesi di laurea, a.a. 1983-84. Si veda, inoltre, Id., La Società Industriale Elettrica della Valnerina (1866-1911), in “Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Perugia”, 1984-85, 2. Studi storico-antropologici, pp. 97-123.
Capitolo 5
bre 1899, allo scopo di costruire ed esercitare la linea, promosse la costituzione della Società per le Tramvie Elettriche di Terni (STET)109. Questo fatto rese vane le trattative, in precedenza intessute, tra la Provincia, in quanto proprietaria del fondo stradale, e la Società delle Imprese Elettriche di Milano. Il 4 aprile 1900 la Deputazione Provinciale stipulò il contratto di concessione con la STET, alla presenza della stessa SICCAG che si impegnò a continuare a fornire l’energia elettrica necessaria al funzionamento della tramvia anche alla scadenza della concessione. Il contratto prevedeva che la linea
Una clausola, quella che fissava il termine massimo per il completamento dei lavori, che la Provincia dell’Umbria aveva imposto a garanzia dei comuni della Valnerina, dal momento che era sin troppo evidente che gli interessi della società concessionaria coincidevano con quelli della SICCAG e si esaurivano nel condurre i binari a Collestatte. La prima scadenza venne saltata di pochi mesi: il tratto Terni-Collestate fu, infatti, inaugurato il 14 dicembre 1901111. Il risultato conseguito dai ternani, pur se di portata limitata, finì per stimolare gli spoletini, i quali, per motivi di ordine finanziario, avevano da poco dovuto accantonare il progetto Bezzi. Prima di ritentare con la ferrovia, però, l’Amministrazione di Spoleto fu protagonista di un’iniziativa singolare, come quella dell’introduzione, nel percorso stradale sino a Norcia, di un sistema di trasporto a vapore su gomma: il pirobus. Tutto si concretizzò, velocemente, tra il settembre del 1901, quando il Comune inviò due suoi emissari ad osservare una linea già in funzione tra Rivanazzano e Varzi, nelle vicinanze di Voghera, ed a visitare lo stabilimento parigino De DionBouton dove si fabbricavano i veicoli, e il 12 ottobre 1902, allorché il servizio venne attivato112. Nondimeno, con altrettanta rapidità, al termine dei primi due mesi e mezzo di esercizio, il Municipio, che lo gestiva direttamente dovette, suo malgrado, constatare un deficit considerevole che, su base annua, si sarebbe potuto presumere pari a 400 lire al chilometro113.
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Cfr. Ibidem e Ogliari e Sapi, Storia dei trasporti cit. (a nota 33), vol. XI cit. (a nota 33), II, p. 460. ACPU, 1900, Relazione della Deputazione Provinciale sulla gestione 1899-1900, p. 747. Cioci, La tramvia cit. (a nota 107), p. 22. Ogliari e Sapi, Storia dei trasporti cit. (a nota 33), vol. XI cit. (a nota 33), II, p. 466. Municipio di Spoleto, Servizio pubblico (municipalizzato) di trasporti mediante automobili a vapore SpoletoNorcia. Relazione sull’impianto ed esercizio iniziale 20 ottobre-31 dicembre 1902, Premiata Tipografia dell’Umbria, Spoleto 1903.
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dovrà essere costruita entro un anno per il tratto dalla barriera di Terni allo stabilimento del carburo di calcio [a Collestatte] e nel termine non maggiore di sei anni per la prosecuzione fino a Ferentillo, termine che potrà essere prorogato fino ad undici quando sia dimostrato che il traffico, nei primi cinque anni di esercizio, non abbia reso un prodotto netto corrispondente all’interesse del 10 per cento sul capitale impiegato nella costruzione e quello circolante strettamente necessario all’esercizio110.
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L’Amministrazione, a maggioranza liberale, propose un piano di risanamento che, oltre a fare affidamento su di un intervento diretto del governo, prevedeva il potenziamento del servizio attraverso nuovi investimenti. L’opposizione dei democratici, che lanciarono accuse di cattiva gestione, provocò la crisi, da cui si uscì con le elezioni del 3 maggio 1903, vinte dall’Unione dei Partiti Popolari. Malgrado le più buone intenzioni, però, anche la nuova giunta guidata da Domenico Arcangeli, già consigliere ed assessore, si dimostrò incapace di invertire la tendenza negativa. L’esercizio 1904, nonostante un contributo governativo di 14.000 lire, indebitò il Comune per oltre 11.300 lire. Il problema, evidenziavano gli amministratori, non stava nella carenza di passeggeri – anzi, spesso si doveva ricorrere a corse straordinarie – ma nei non previsti, eccessivi, costi di manutenzione delle vetture, le quali, se al momento della loro scelta rappresentavano “un vero miracolo di perfezione tecnica [e il] tipo più accreditato che si conoscesse”, ora risultavano obsolete, al punto che “circolava insistente la voce che la ditta De Dion non [ne] costruis[se] nemmeno più”114. Tenendo fede all’impegno preso in campagna elettorale la Giunta Arcangeli, che escludeva a priori la possibilità di ripianare il deficit alzando il prezzo delle corse, indisse un referendum per avere mandato, o meno, di continuare la gestione diretta. La consultazione si tenne il 4 giugno 1905 e registrò la schiacciante vittoria dei no (415 contro 34), anche per l’astensione promossa dalle forze liberali che temevano per la soppressione del servizio e facevano ricadere sui democratici le accuse ricevute in passato. Ciò nonostante, l’Amministrazione decise di condurre a termine l’esercizio per l’anno in corso, in attesa di individuare una società disposta a subentrarle. Prima della cessione, tuttavia, ci fu tempo per riflettere, con maggiore cognizione di causa che in passato, sui motivi del fallimento e scoprire che, alla base di tutto, vi era stata l’incapacità di vincere la concorrenza del trasporto a cavalli. Si comprese che numerosi erano stati gli elementi che avevano consentito alla Società Nursina dei Trasporti di resistere: il suo tradizionale radicamento nel territorio che si manifestava nell’esistenza di un consistente e ramificato indotto (sellai, fabbri, maniscalchi, etc.) e che aveva innescato un meccanismo di autodifesa; il tipo di utenza – una “quantità di gente disagiata che negli altri paesi non viaggia mai, ma che qui deve viaggiare più e più volte all’anno per la necessità della ricerca del lavoro”115 – attenta non alla qualità ma del prezzo del servizio; i minori costi di manutenzione uniti ad una maggiore attitudine al profitto, tipica di ogni impresa privata. Proprio quest’ultima considerazione dette il via ad una riflessione più vasta sui limiti connaturati nelle aziende municipalizzate che, secondo le conclu114
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Municipio di Spoleto, Relazione della Giunta Municipale letta al Consiglio la sera del 17 maggio 1905 sulla proposta di referendum consultivo per la continuazione o soppressione del servizio automobilistico SpoletoNorcia, Spoleto 1905. Municipio di Spoleto, Relazione e resoconto sull’azienda municipalistica per l’esercizio 1905. Soluzione della questione automobilistica, Spoleto 1906, p. 11.
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Ogliari e Sapi, Storia dei trasporti cit. (a nota 33), vol. XI cit. (a nota 33), II, p. 475. R. Lorenzetti, Strade di ferro e territori isolati. La questione ferroviaria in un’area dell’Italia centrale (18461960), Angeli, Milano 1986, pp. 127-128. Il percorso della Ascoli-Antrodoco, tracciato dall’ingegnere ascolano Venceslao Amici, era il seguente: Ascoli-Acquasanta-Arquata-Accumoli-Cittareale-Posta-Antrodoco, quest’ultimo punto di confluenza sulla L’Aquila-Rieti; si veda V. Amici, Progetto della ferrovia Ascoli Piceno-Antrodoco a scartamento normale della lunghezza di kilometri 84 + 700. Relazione, Centenari, Roma 1903. ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, tit. 10.6.2, 1912, nota circolare a stampa del sindaco Domenico Arcangeli del 28 dicembre 1903. Ivi, istanza al ministro dei Lavori Pubblici del 11 febbraio 1904. Per un profilo di Sinibaldi e, più in generale, sulla vita politica e amministrativa spoletina in questo periodo si veda M. Hanke, L’opera politica e amministrativa di Tito Sinibaldi, Panetto & Petrelli, Spoleto 1977. ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, tit. 10.6.2, 1912, decreto e nota del ministro dei Lavori Pubblici al sindaco di Spoleto, rispettivamente, del 22 luglio e 7 agosto 1904.
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sioni a cui giunsero i democratici spoletini, avevano possibilità di successo soltanto in regime di monopolio; ne conseguiva che l’unica via praticabile era quella della cessione del servizio a privati, dietro corresponsione di un canone d’affitto. Ad ogni modo i pirobus erano destinati a scomparire lo stesso. Trovato l’accordo con il Comune, l’Impresa Trasporti per la Montagna di Spoleto, nata dalla fusione della Società Nursina dei Trasporti con forze imprenditoriali locali, sostituì le macchine a vapore con autobus a benzina, mantenendo la linea Spoleto-Norcia e aggiungendo quella dal bivio di Serravalle a Cascia116. Ancora prima del definitivo fallimento di questa singolare esperienza, il dibattito ferroviario a Spoleto si era riaperto ufficialmente in occasione dalla riproposizione della trasversale Salaria, da Ascoli a Roma. Dopo un vano tentativo, naufragato sostanzialmente per la mancanza di coesione tra i sostenitori del tronco Rieti-Corese e quelli dell’Ascoli-Antrodoco, la promozione dell’intera linea, guidata questa volta dal Comune e dalla Provincia di Ascoli, si concretizzò nella costituzione di un comitato interregionale117. All’interno di questo disegno, che coinvolgeva direttamente la Sabina, c’era spazio anche per le aspettative spoletine. Nel primo incontro, che si svolse nel capoluogo piceno il 26 e 27 novembre 1903, intervenne Domenico Arcangeli, chiedendo, con la motivazione che tanto il Piceno, quanto la montagna spoletina costituivano “un unico deserto ferroviario”118, che la linea includesse una diramazione da Arquata del Tronto per Norcia e Spoleto. Ottenuta l’approvazione dell’assemblea, lo stesso convocò, per il 9 gennaio successivo, nella sua città, un’adunanza dei sindaci dell’alta Valnerina e del Nursino, che si concluse con l’impegno a consorziarsi e a chiedere al ministro dei Lavori Pubblici la nomina di un ingegnere, a cui affidare, tenendo conto del precedente studio di Bezzi, il progetto della deviazione119. Costituitosi il consorzio sotto l’egida dell’esponente conservatore Tito Sinibaldi, già sindaco di Spoleto ed ora parlamentare eletto in quel collegio120, nel corso dell’estate, il ministro Tedesco concesse al Municipio l’autorizzazione a far eseguire gli studi, incaricando allo scopo l’ingegnere del Genio Civile Carlo Carosso121. Dopo un periodo controverso, durante il quale, mentre si compivano le prime rilevazioni, sorsero numerose incomprensioni in ordine all’effettivo costo degli
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studi, alla distribuzione del carico di spesa tra le diverse Amministrazioni locali, al tipo di scartamento con cui realizzare la linea122, finalmente, il 24 gennaio 1905, si arrivò ad una convenzione tra il tecnico incaricato e i sindaci di Spoleto e Norcia, in qualità di rappresentanti del consorzio. In base a quanto stabilito, Carosso “col personale [...] concesso dalla r[egia] amministrazione dei Lavori Pubblici s’impegna[va] di presentare lo studio completo del tronco di ferrovia da Spoleto a Norcia a scartamento ridotto” ed un semplice progetto di massima per la prosecuzione sino ad Arquata, entro il termine di due anni. Dal canto suo il consorzio “si obblig[ava] di sopperire a tutte le spese occorenti per lo studio e compilazione dei progetti anzidetti, solo eccettuato gli stipendi del personale governativo [...] adibito, mediante la somma di l[ire] 15.500”123. Mentre l’ingegnere era al lavoro, tuttavia, si creò, dietro la spinta del Municipio di Leonessa, un movimento di opposizione al progetto caldeggiato dagli ascolani che, avvalendosi dell’opera del perito tecnico Augusto Bernabei, proponeva una variante Accumoli-Leonessa-Rieti che avrebbe tagliato fuori Antrodoco e, parimenti, comportato un tracciato diverso per la deviazione verso Spoleto, rispetto a quello che si stava studiando124. Ad ogni modo sia l’intero progetto Carosso (consegnato al Municipio spoletino con oltre due anni di ritardo, esso disegnava una linea a scartamento ridotto suddivisa in tre tronchi: Spoleto-Borgo Cerreto, Borgo-Cerreto-Norcia, Norcia-Grisciano)125 sia la relativa domanda di concessione per i soli primi due tratti vennero, nel maggio del 1909, sottoposti all’attenzione del Ministero dei Lavori Pubblici, confidando nel sostegno del nuovo deputato Carlo Schanzer e, soprattutto, di Sinibaldi, ora a capo del dicastero delle Poste. Nondimeno l’iniziativa spoletina fu frenata da un altro paio di ostacoli: l’ennesimo ritorno in auge dell’ipotesi Chiento-Nerina126 e il possibile prolungamento della tramvia di Terni, che dall’estate del 1909 risultò completata sino a Ferentillo127. Che il secondo fosse, senza ombra di dubbio, il più ostico, lo dimostra una seduta straordinaria del Consiglio Provinciale dell’Umbria, che si tenne il 10 aprile 1910. L’assemblea era chiamata ad esprimersi sulla concessione di un contributo e sull’autorizzazione all’occupazione parziale della strada Nursina, in merito a due proposte. La prima essendo quella sintetizzata nel progetto Carosso e avanzata
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Si veda in proposito la relazione che il sindaco Arcangeli fece al Consiglio Comunale riunito in seduta il 22 febbraio 1905, in Ivi, verbale di adunanza del Consiglio Comunale di Spoleto del 22 febbraio 1905. C. Carosso, Relazione sul progetto di ferrovia Spoleto-Norcia, Panetto & Petrelli, Spoleto 1909, p. 57. Cioci, La ferrovia Spoleto cit. (a nota 105), pp. 24-30. Nelle intenzioni del Municipio di Leonessa la bretella per Spoleto avrebbe dovuto dipartirsi, anziché da Grisciano, da Pescia, mantenendosi, per altro, assai distante dai centri di Norcia e Cascia. Si veda, A. Bernabei, Ferrovia Ascoli-Antrodoco. Variante al tronco ArquataAntrodoco, Panetto & Petrelli, Spoleto 1909. Carosso, Relazione sul progetto cit. (a nota 123), pp. 14 e sgg. G. Pagnani Fusconi, Progetto della ferrovia a trazione elettrica Chiento-Nerina (Terni-Visso-Tolentino): relazione tecnico-finanziaria, Forzani, Roma 1906. Cioci, La tramvia cit. (a nota 107), p. 38.
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ACPU, 1910, SS, seduta del 10 aprile 1914, pp. 58-91. Al dibattito, in qualità di consigliere del mandamento di Spoleto, partecipò anche Tito Sinibaldi e non vi è dubbio che le sue parole, naturalmente in favore della ferrovia, finirono per pesare più di quelle degli altri. Si veda in proposito il verbale dell’adunanza dei rappresentanti dei Comuni interessati alla Spoleto-NorciaGrisciano, tenutasi a Spoleto l’8 maggio 1910, in ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, tit. 10.6.2, 1912. ACPU, 1911, SS, seduta del 20 dicembre, pp. 225-227. Ogliari e Sapi, Storia dei trasporti cit. (a nota 33), vol. XI cit. (a nota 33), II, pp. 484-486.
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dal Comune di Spoleto, la seconda quella inoltrata dall’avvocato Vittorio Argentieri, in nome del comitato romano per la tramvia elettrica Terni-Visso-Norcia-Cascia, che si appoggiava ad un progetto di massima della Società Italiana di Elettricità Thomson Houston per una tramvia elettrica, a scartamento ridotto, da Ferentillo a Visso, con diramazioni per Norcia e Cascia. Al termine di un dibattito molto acceso, la Deputazione fu costretta a rialzare le somme da essa stessa proposte per sussidiare entrambe le linee: da 250 a 300 lire al chilometro, per 50 anni, alla ferrovia e da 150 a 200 lire, per la sola parte umbra, alla tramvia. Tuttavia, al di là di questa conclusione, si deve evidenziare la netta divergenza di interessi, tra ternani e spoletini, al limite della contrapposizione, che nel corso della discussione si fece via via più esplicita. Era chiaro a tutti che l’una possibilità avrebbe escluso l’altra, in particolare nel tratto Sant’Anatolia-Norcia, perciò, nonostante la scelta tra le due linee non fosse di competenza della Provincia, da entrambe le parti si tentò di introdurre nel testo delle deliberazioni conclusive alcune clausole che, nei fatti, ostacolassero l’iniziativa avversaria. Dal canto suo, in una ridda di reciproche accuse, il rappresentante del mandamento di Norcia espresse l’assoluta equidistanza da entrambe le proposte, purché valessero a spezzare l’isolamento della montagna128. Il confronto/scontro tra le due ipotesi alternative proseguì129 sino alla fine della primavera del 1911, allorché un primo, quanto significativo, chiarimento giunse da Roma. Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, infatti, pur esprimendosi favorevolmente al tracciato tramviario Terni-Visso, giudicò impossibile la coesistenza tra tramvia e ferrovia nei tratti da Triponzo per Norcia e Cascia e decretò preferibile la soluzione ferroviaria130. Le tappe successive furono rappresentate, nell’ordine, dall’approvazione, il 10 ottobre 1911, del progetto Carosso che, accogliendo in parte le indicazioni di Bernabei che consentivano di evitare la costruzione di un complicatissimo traforo sotto la Forca Canapine, non prevedeva più il termine a Grisciano ma a Piediripa; dalla convezione del 31 agosto 1912 per la costruzione e l’esercizio della linea tra il consorzio dei Comuni e la Società Subalpina di Imprese Ferroviarie; infine, dalla concessione vera e propria del 6 ottobre 1912131. La revisione dello studio Carosso, al fine di renderlo esecutivo, fu affidata all’ingegnere svizzero Erwin Thomann. Al termine, le variazioni più significative riguardavano: l’abbandono della trazione a vapore per quella elettrica – così da poter sfruttare al meglio l’energia idrica abbondantemente disponibile in zona e, nello
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stesso tempo, elevare il limite delle pendenze superabili; il tracciato nel tratto da Spoleto a Sant’Anatolia di Narco e, da quest’ultima località in avanti, l’utilizzo di una sede propria anzichè di quella stradale. Il preventivo di spesa superava i 12 milioni di lire, pari a più di 200 mila lire al chilometro; si prevedeva di ultimare i lavori in trenta mesi132. Come è noto, le cose sarebbero andate diversamente. Le difficoltà finanziarie della società e la guerra furono gli elementi che determinarono prima un rallentamento e poi il blocco dei lavori, che pure erano stati avviati a gran ritmo. Né si riuscì a procedere celermente nel dopoguerra, con il risultato che dovettero trascorrere, all’incirca, altri otto anni prima dell’inaugurazione133. Il definitivo tramonto della ipotesi Ascoli-Roma rese inutile la costruzione del tratto finale da Norcia a Piediripa, così che l’intera linea misurava poco meno di 52 chilometri: davvero pochi per un costo complessivo che, a causa della dilatazione dei tempi di realizzazione, lievitò sino a circa 50 milioni di lire. C’è un altro prezzo da considerare, molto più elevato, perché pagato con la propria vita da ben dodici lavoratori: una costante, tragica, nei cantieri ferroviari134.
L’isolamento sabino Per un territorio dell’Umbria che, anche se a fatica, riuscì a dotarsi di binari, ve n’è ancora un altro nel quale il periodico riaccendersi del dibattito ferroviario non condusse ad alcun risultato. Si tratta della Sabina, ferma alla Terni-Rieti-L’Aquila, ormai dal lontano 1886135. Come in passato, anche nei primi venticinque anni del nuovo secolo, progetti di ampio respiro si incrociarono con disegni assai meno ambiziosi. La linea del Salto, ad esempio, aveva continuato a vivere nei sogni dei reatini i quali, nel 1908, tornarono a proporla attraverso il progetto dell’ingegnere Venceslao Amici. Ormai la sua funzione poteva essere soltanto strategica e su questi elementi si costruì l’azione rivendicativa, evidenziando, in particolare, i vantaggi che avrebbe avuto l’intero paese da un collegamento diretto tra le industrie militari del Ternano e quelle del Napoletano. Nè si trascurò di mettere in luce il rapporto sinergico con l’Ascoli-Roma, anch’essa progettata da Amici. Tuttavia, nonostante l’approvazione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, si giunse alla vigilia del conflitto mondiale in un nulla di fatto; e nel dopoguerra, neppure il giudizio positivo della commissione De Cornè – che pure la incluse tra 132 133
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Cioci, La ferrovia Spoleto cit. (a nota 105), pp. 36-42. Si veda in proposito ASSP, ASCSP, Carteggio comunale, tit. 10.6.2, 1926. L’intero fascicolo contiene carte relative all’inaugurazione, compresa la fase preparatoria. Cioci, La ferrovia Spoleto cit. (a nota 105), pp. 44-52. Anche per questo ulteriore accenno alla vicenda ferroviaria sabina si è fatto ricorso al documentatissimo Lorenzetti, Strade di ferro cit. (a nota 117), in particolare pp. 94-95; 127-158.
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Questione ferroviaria e questione regionale L’evoluzione della vicenda ferroviaria umbra nel primo venticinquennio del ventesimo secolo, nell’alternarsi delle innumerevoli iniziative e dei pochi risultati, è, nelle sue caratteristiche fondamentali, quella sin qui ricordata. È vero, vi furono altri progetti di cui non si è dato conto, ma soltanto perché il coinvolgimento in essi delle èlites regionali fu di gran lunga inferiore138. Ciò che, invece, non si può omettere di evidenziare è il legame, via via più stretto, tra questione ferroviaria e questione regionale. 136
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Ministero dei Lavori Pubblici, Commissione per lo Studio del Piano Regolatore delle Ferrovie dell’Italia Centrale, Relazione cit. (a nota 56), p. 40. La linea, in base al progetto Amici, venne indicata tra quelle da costruirsi, a scartamento normale e trazione elettrica, ed esercitarsi a cura dello Stato, in Ivi, pp. 39-40. Tra questi vale sicuramente la pena di segnalare quello di una linea da Senigallia ad Assisi, via Sassoferrato, Scheggia e Gubbio, con diramazione per Cagli, che tenne impegnate le Amministrazioni municipali di Assisi, Gubbio, Costacciaro, Scheggia e Pascelupo e Valfabbrica nel biennio 1911-1912. L’iniziativa si esaurì con la stesura del progetto. Cfr., in proposito, Cioci, Due ferrovie cit. (a nota 84), pp. 73-74 e ASP, PPA1, b. 131, fasc. 17.
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le ferrovie principali di comune traffico, da costruirsi a carico dello Stato, adducendo come motivazione la funzione di “collegamento diretto fra la ricca plaga agricola del Fucino con la valle del Velino”136 – servì a farla divenire altro da una traccia su carta. Della ferrovia Salaria si è già detto in rapporto alla Spoleto-Norcia, ma in essa, ovviamente, la Sabina risultava coinvolta in modo ben più diretto. Se non c’era accordo sul percorso da Ascoli a Rieti, lo stesso può dirsi per quello dal capoluogo sabino a Corese. Anche lo studio di questo secondo tronco venne affidato a Venceslao Amici, ma la soluzione da lui proposta non piacque ai Comuni della bassa Sabina che, come nella metà degli anni ottanta dell’Ottocento, si schierarono contro le intenzioni di Rieti. Alla fine la solidità del comitato interregionale, che godeva di sicure aderenze in ambiente romano e che aveva già individuato una società franco-belga disposta ad assumere l’eventuale concessione, riuscì a vincere ogni resistenza locale e tra il giugno del 1907 e la fine dell’anno successivo entrambi i tronchi vennero avallati dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Tuttavia, allorché si era ad un passo dalla stipula del contratto definitivo e dall’avvio dei lavori, ostacoli di natura finanziaria costrinsero l’impresa a tirarsi indietro. Diverse furono le trattative intavolate in seguito, ma nessuna andò a segno prima della guerra. Anche nei confronti della Ascoli-Roma il giudizio della commissione De Cornè fu positivo137, ma un nuovo ostacolo si profilava all’orizzonte, rappresentato dal progetto, tutto abruzzese, di una trasversale alternativa da Giulianova a Roma, via Teramo, L’Aquila e Carsoli. La polemica sarebbe esplosa, violentemente, nel 1922, quando, ormai – ed è questo il dato più interessante – la Sabina stava per staccarsi dall’Umbria e diventare provincia autonoma.
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Sino dall’inizio di questa trattazione si è, naturalmente, insistito sul rapporto tra lo sviluppo, troppo spesso mancato, delle comunicazioni ferroviarie e l’assetto territoriale dell’area in esame. Così come si è sottolineata la disparità degli interessi locali in campo che, a partire dall’Unità, l’Amministrazione Provinciale tentò, se non proprio di ricondurre ad unità, almeno, di ordinare. Come altrimenti va interpretata l’azione della Provincia che fece seguito alla promulgazione della legge del 27 aprile 1885? In quest’ottica, la costruzione della Centrale Umbra, per quanto sofferta e, soprattutto, non esaustiva del complesso delle istanze territoriali, rappresentò, comunque, un risultato considerevole. Già Eugenio Faina, intervenendo proprio nel dibattito sulla longitudinale, aveva messo in luce, con estrema lucidità, la mancanza di coesione, o meglio, la giustapposizione dei territori dell’Umbria e le potenzialità insite nelle comunicazioni ferroviarie per il superamento di tale stato di cose, ma in una chiave, per così dire, eccessivamente Perugia-centrica. A partire dai primi anni del Novecento, invece, quando la moderata classe dirigente regionale scoprì, in verità più per il disegno di legge Sonnino sui provvedimenti speciali per il Mezzogiorno che a seguito di una riflessione autonoma, la questione dell’arretratezza, il tema dello sviluppo ferroviario, forse anche perchè i protagonisti principali che animavano le rivendicazioni erano politici e amministratori esterni al capoluogo, cominciò ad essere affrontato nella sua complessità. Così fu nella vertenza che si sviluppò, tra la primavera e l’estate del 1906, per l’estensione dei provvedimenti appena ricordati ad Umbria, Marche e Lazio. All’interno di una piattaforma rivendicativa articolata, il tema della viabilità, da intendersi come prerequisito dello sviluppo, aveva un posto di assoluto rilievo. Nel memoriale che una rappresentanza dei gruppi parlamentari delle tre regioni presentò tanto alla commissione parlamentare, incaricata di esaminare il progetto di legge, quanto allo stesso Sonnino si sottolineva il deficit ferroviario, in particolare di Marche ed Umbria – la prima collocata davanti soltanto a Sardegna e Basilicata nel rapporto tra la lunghezza complessiva delle linee in esercizio e l’estensione della superficie territoriale e la consistenza demografica; la seconda agli ultimi posti della graduatoria nazionale in base alla distanza media dei centri abitati dalle stazioni ferroviari –, ma anche del Lazio, dove l’esistenza di numerose linee convergenti verso la capitale non escludeva il bisogno di nuovi collegamenti di dimensione locale. Alla luce di una tale carenza, si giudicava favorevolmente, l’intenzione governativa di favorire lo sviluppo delle comunicazioni tranviarie extraurbane, che sarebbero risultate utilissime “all’incessante movimento agricolo che si manifesta nelle tradizionali fiere e mercati della regione marchigiana, umbra e romana”139.
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Per l’agitazione a favore dell’Umbria, delle Marche e del Lazio. Raccolta degli atti, Artigianelli, Foligno 1906, p. 8.
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Ivi, p. 28. Ivi, p. 118. Si veda R. Covino e G. Gallo, Le contraddizioni di un modello, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria cit. (a nota 48), p. 91. D. Arcangeli, Il programma della “Pro-Umbria”, in “Rivista Umbra”, I, 4/5, luglio-agosto 1910, pp. 112-113.
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Le resistenze del gabinetto Sonnino non frenarono l’azione rivendicativa, che si estese, anche strutturandosi, alle Amministrazioni, agli Enti ed alle associazioni locali. In tale prosecuzione, il tema della viabilità ferroviaria si arricchì di nuovi spunti. Il 13 aprile, un insieme di incontri paralleli, che si tennero a Cascia, Monteleone di Spoleto, Norcia e Poggiodomo, sfociò nella costituzione di un comitato per la montagna, che intendeva battersi per il superamento del “deserto ferroviario”140 in cui versavano i propri territori. La medesima espressione, deserto ferroviario – coniata in verità per primo da Domenico Arcangeli in occasione dell’adunanza di Ascoli del novembre 1903 –, ricomparve nell’intervento che l’onorevole spoletino Tito Sinibaldi formulò in occasione dell’importante convegno tra gli industriali, i commercianti e gli agricoltori della regione, tenutosi a fine mese nella sua città; senonché egli non si limitò ad indicare la sola area appenninica della valle del Corno e del Sordo, ma la “larga zona che si estende a Nord-Est di Roma fino all’Adriatico”141. Il quadro si definì ulteriormente nel successivo comizio popolare di Foligno attraverso gli interventi dei parlamentari presenti: sì allo sviluppo delle comunicazioni tranviarie extraurbane, ma senza dimenticare la costruzione di linee ferroviarie di fondamentale importanza per le regioni centrali quali la trasversale Umbro-Maremmana, la Terni-Civitavecchia, la Chiento-Nerina, la Centrale Umbra ed anche l’Ascoli-Antrodoco-Corese. Come è noto, questo movimento si chiuse con un ben misero risultato, rappresentato dalla concessione, da parte del nuovo governo Giolitti, di qualche sgravio fiscale alle imprese e di uno stanziamento per l’istruzione142; ma il seme era stato gettato ed a distanza di soli quattro anni, il socialista moderato, già sindaco di Spoleto, Domenico Arcangeli, uno tra più attivi nel 1906, attraverso la costituzione dell’associazione Pro Umbria, rilanciò con forza il tema dello sviluppo regionale e, quindi, della viabilità. L’intero programma associativo si fondava sul richiamo alla coesione e sul superamento della logica campanilistica. L’analisi che sorreggeva la proposta Arcangeli era molto chiara: il passaggio da società agricola ad industriale rompe gli equilibri preesistenti; ciò valeva per anche per una realtà periferica come quella umbra. Pertanto, gli umbri, se intendevano guidare il proprio sviluppo, ovvero evitare che fosse eterodiretto, dovevano abbandonare “il concetto ormai superato dell’economia dei piccoli gruppi autonomi, circoscritti, avulsi dalla vita economica generale [ma agire] come [una] grande collettività”143. Esisteva, a suo avviso, una potenzialità regionale, data dalla disponibilità di energia idrica, ma tale fattore rischiava di rimanere inutilizzato, o peggio ancora trasferito altrove, se non si davano i prerequisiti per la crescita industriale, primo fra tutti una migliore
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viabilità. In ambito ferroviario ciò si sarebbe dovuto tradurre nell’integrazione del sistema di comunicazioni esistente, fondamentalmente distribuito in senso longitudinale, con collegamenti trasversali. Questo perchè le linee in funzione
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servono benissimo alle regioni del nord per inviare nell’Umbria i loro prodotti manifatturieri, ed a quelle del sud per mandar[vi] i loro prodotti agrari, ma non servono all’espansione commerciale dei prodotti dell’Umbria. [Che, al contrario] deve aprirsi le comunicazioni col Piceno e colla Maremma toscana, deve comunicare ugualmente bene coi suoi due porti naturali Civitavecchia ed Ancona, anzi (per esprimere meglio l’effetto sugli scambi commerciali) l’Umbria deve essere percorsa ed attraversata dalle correnti di scambio fra il Piceno e la Toscana, fra Civitavecchia e Ancona, fra il Mediterraneo e l’Adriatico144.
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Diversamente da quanto sarebbe avvenuto nel dopoguerra, si insisteva, soprattutto, sullo sbocco al Tirreno – mare che, rispetto all’altro, ospitava una varietà di traffici maggiore e più a buon mercato – e, quindi, sulla linea Orte-Civitavecchia. Tuttavia le integrazioni che Arcangeli riteneva necessarie non si limitavano certo a questa ferrovia. Ne è prova un suo scritto145 che anticipò il convegno costitutivo dell’associazione, svoltosi il 7 e 8 settembre 1910 a Spoleto. Si trattava, essenzialmente, di un intervento a sostegno del progetto Carosso per la Spoleto-NorciaGrisciano e, nello stesso tempo, teso a screditare l’ipotesi alternativa di un collegamento tranviario tra Terni e la montagna nursina. Egli entrava anche nel dibattito relativo al tracciato della Ascoli-Roma, giudicando preferibile la via di Leonessa, che come è stato già ricordato avrebbe spostato l’allacciamento con la SpoletoNorcia a Pescia anziché a Grisciano; ma, soprattutto, per fotografare l’intero circondario di Spoleto, tornava ad utilizzare quell’espressione di deserto ferroviario da lui per primo coniata. Francamente, riesce un pò difficile far quadrare l’insistente appello alla coesione regionale, che era alla origine della Pro Umbria, con le sottili argomentazioni con cui Arcangeli si sforzava di dimostrare la necessità per la montagna nursina di collegarsi per mezzo di una ferrovia con Spoleto, piuttosto che attraverso una tramvia con Terni; ma così è. Ad ogni modo, in questo stesso articolo trovavano spazio anche considerazioni di carattere più generale; ecco allora riemergere il bisogno umbro di affacciarsi al Tirreno, tanto per mezzo della Orte-Civitavecchia, quanto della Foligno-Talamone. Se il movimento del 1906 si era chiuso con un misero risultato, il programma della Pro Umbria, nel clima di crescente tensione nazionalista che precedette il conflitto europeo, ebbe, addirittura, minore fortuna. Identico era, pertanto, lo scenario che si aprì nel dopoguerra, quando la Camera di Commercio dell’Umbria, assunta ad un ruolo guida146, pubblicò uno studio che presentava tutte le caratteristiche di
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Ivi, pp. 115-116. D. Arcangeli, Il deserto ferroviario del centro d’Italia, in “Rivista Umbra”, I, 2, marzo-aprile 1910, pp. 54-57. Già nell’anteguerra, tuttavia, la rinnovata Camera di Commercio e Industria dell’Umbria aveva fatto sentire la
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[I] mercati balcanici sono non solo i più vicini alle industrie nascenti dell’Umbria, non solo rappresentano un gruppo di popolazioni di ben 20 milioni di abitanti, ma specialmente costituiscono un mercato avente le caratteristiche adatte al collocamento di manufatti ordinari o semifini quali può elaborare l’Umbria nel suo attuale periodo di evoluzione. [I] i popoli balcanici, [...] sotto la sapiente penetrazione teutonica, che li ha a sé riservati con un inflessibile sistema di barriere sul fronte italiano adriatico, si stavano iniziando al movimento industriale e commerciale. La loro evoluzione seguirà dappresso la nostra dell’Italia centrale; ma noi possiamo, appunto precedendoli, essere i loro fornitori di prodotti lavorati e i loro esportatori di materie prime o semilavorati, progredendo in rapporto la loro progresso ma sempre avanzandolo148 .
Evidentissimo era, pertanto, il legame tra il miglioramento delle comunicazioni ferroviarie e lo sviluppo economico regionale. Ciò induceva gli estensori del piano a promuovere anche la linea Umbro-Maremmana, al fine di garantirsi, per la crescita delle industrie meccaniche e metallurgiche, l’approvvigionamento “dei me-
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propria voce in merito ad alcuni aspetti del problema ferroviario; cfr. Camera di Commercio e Industria dell’Umbria. Foligno, Elettrificazione della linea Orte-Foligno-Ancona, s.n.t.; Id., Osservazioni sul progetto di nuove tariffe per il trasporto delle cose sulle ferrovie dello Stato. Relazione della commissione camerale per i servizi ferroviari, Foligno, Unione Tipografica, 1913. Id., Per lo sviluppo industriale dell’Umbria nel dopoguerra. Studio generale e relazioni, Campitelli, Foligno 1918, p. 50. Ivi, p. 48.
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un vero e proprio piano di sviluppo. In esso il tema delle comunicazioni ferroviarie poteva riassumersi nell’obiettivo del collegamento con i due mari: come a dire niente di nuovo. Senonché una novità importante c’era ed era rappresentata dalla volontà di superare, definitivamente, tanto il localismo quanto l’orizzonte Perugiacentrico. Succedeva, così, che la ferrovia Orte-Civitavecchia, benché del tutto esterna al territorio regionale, fosse indicata come la più importante da ottenere, perché in grado di offrire uno sbocco sul Tirreno al bacino industriale ternano. Sull’altro versante, il potenziamento del collegamento con il porto di Ancona, avrebbe potuto essere risolto per mezzo dell’elettrificazione della linea esistente, facendo uso delle abbondanti risorse idriche disponibili. “L’Umbria deve essere unita ai suoi porti mediante linee ferroviarie brevi, elettrificate, celeri, armate di materiale mobile adatto ai servizi”147. Soltanto nel verificarsi di questa condizione, si ipotizzava possibile lo sviluppo industriale auspicato; poiché, anche ammesso che la regione fosse in grado, in breve tempo, di liberare appieno la propria capacità produttiva, non si intravedeva al suo interno, e nemmeno nella più vasta area centrale della penisola, un bacino in grado di assorbirne i prodotti; troppo ristretta ma, soprattutto, troppo specializzata rispetto a quella che avrebbe potuto essere la qualità dei manufatti umbri era, infatti, la domanda. Si trattava, allora, di conquistare nuovi mercati, che fossero, nello stesso tempo, sufficientemente ampi e meno evoluti; e quale migliore soluzione se non quella rappresentata dai Balcani, finalmente liberi dall’egida austriaca?
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talli della Sardegna e del gruppo Monte Amiata e Argentario, [...] prima che i prodotti di tale gruppo di miniere vengano avviati e sfruttati altrove”149. Qual era il giudizio che, in base a questo tipo di ragionamento, veniva espresso nei confronti degli altri progetti sul tappeto? Senz’altro positivo quello sull’UmbroTosco-Romagnola, primo passo verso la realizzazione dell’Adriatico-Tiberina; lo stesso dicasi per la Roma-Ascoli, al punto che si esprimeva un sincero rammarico per il fatto che la Spoleto-Norcia fosse stata costruita a scartamento ridotto, rendendone più complicato il potenziale allacciamento. D’altra parte, si riconosceva che la realizzazione di linee elettriche a scartamento ridotto, sino a formare una vera e propria rete tranviaria extraurbana regionale, avrebbe giovato non poco alla circolazione interna, evitando il ricorso alla costruzione di altre ferrovie: una simile soluzione avrebbe potuto, benissimo, essere adottata per il collegamento Gualdo-Perugia-Chiusi. È ovvio, tuttavia, che il tema delle comunicazioni non poteva esaurirsi con le ferrovie. All’interno dello studio della Camera di Commercio c’era, quindi, spazio per il potenziamento delle rete stradale provinciale e per la promozione della navigazione fluviale lungo il corso del Tevere e del Nera, così come si sottolineava la necessità di una diversa politica tariffaria, da parte del governo, che non penalizzasse la regione. Questo pacchetto di rivendicazioni, più o meno invariato, insieme alle considerazioni che lo avevano originato, divenne elemento fondante del comitato permanente per l’incremento degli interessi umbro-marchigiani, che si costituì dopo un incontro interregionale tenutosi in Ancona il 16 dicembre 1918150 e che partecipò, a pieno titolo, al convegno nazionale adriatico di Venezia del 24 giugno 1919151. Il nocciolo della questione, come si è detto, era quello della penetrazione nei mercati balcanici. Un obiettivo che si riteneva potesse essere raggiunto soltanto attraverso il verificarsi delle seguenti condizioni: potenziamento del porto di Ancona; costruzione, a carico dello Stato, della ferrovia Ancona-Livorno; raddoppio del binario sulla Ancona-Lecce; elettrificazione della Ancona-Roma; costruzione di nuove linee ferroviarie, quali la Ascoli-Roma e l’Ancona-Macerata-Visso-Roma, e di tramvie extraurbane; riordinamento tariffario in senso cumulativo ferroviariomarittimo; potenziamento dei servizi pubblici automobilistici. Nel corso della sua attività, inoltre, il comitato ampliò la propria piattaforma rivendicativa, arrivan149 150
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Ivi, p. 50. Cfr. Le comunicazioni ferroviarie e marittime, in “Bollettino della Camera di Commercio e Industria dell’Umbria. Foligno”, XXXI, 1, 15 gennaio 1919, pp. 2-3 e L’ordine del giorno del convegno umbro-marchigiano, in “L’Ordine. Corriere delle Marche e degli Abruzzi”, LIX, 350, 21 dicembre 1918. La prima riunione ufficiale del comitato si tenne ad Ascoli il 27 maggio 1919, cfr. Il convegno del comitato umbro-marchigiano in Ascoli, in “Bollettino della Camera di Commercio e Industria dell’Umbria. Foligno”, XXX, 11, 15 giugno 1919, pp. 1211s23 e Convegno umbro-marchigiano in Ascoli, in “L’Unione liberale”, XXXVIII, 117, 30 maggio 1919. Cfr. Il convegno adriatico nazionale di Venezia, in “Bollettino della Camera di Commercio e Industria dell’Umbria. Foligno”, XXXI, 12, 30 giugno 1919, pp. 134-37 e Interessi umbro-marchigiani al convegno di Venezia. Le rappresentanze dell’Umbria e delle Marche, in “L’Unione liberale”, XXXVIII, 141, 25 giugno 1919.
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Si veda la sua prefazione a C. Faina, L’Umbria ed il suo sviluppo industriale. Studio economico-statistico, Il solco, Città di Castello 1922. Così in Covino e Gallo, Le contraddizioni di un modello cit. (a nota 142), p. 94. Una vicenda assai intricata, che tagliò trasversalmente lo stesso fascismo umbro, opponendo i ternani, guidati da Elia Rossi Passavanti, alla segreteria regionale e che si concluse, anche per l’intervento governativo, con la vittoria della Società Terni. “La convenzione venne infine firmata l’1 dicembre 1927, essa prevedeva la cessione dei diritti sulle acque del Nera e del Velino da parte del Comune di Terni in cambio della costruzione di 1.500 alloggi con 5.000 vani per operai, l’assunzione da parte della Società Terni dell’Azienda Elettrica Municipale e della tramvia Terni-Ferentillo e la cessione gratuita d’un quantitativo d’energia elettrica per uso pubblico. Iniziò [in questo modo] la tutela del grande gruppo industriale della città nel suo complesso”. Così in Covino, Dall’Umbria verde cit. (a nota 48), p. 580. Si veda, in proposito, il prezioso contributo di M. Pettirossi, “Rivista dell’economia umbra”. Politica e forze economiche regionali tra primo dopoguerra e fascismo in una rivista. Studio bibliografico, Università degli Studi di Perugia, Facoltà di lettere e filosofia, tesi di laurea, a.a. 1987-88. Nel 1923 il Circondario di Rieti venne aggregato alla Provincia di Roma; la Provincia di Terni, costituita, salvo alcune modificazioni, dai territori dei Circondari di Terni ed Orvieto, andò a far parte del gruppo di 17 istituite con regio decreto del 2 gennaio 1927. Per una ricostruzione del percorso, non privo di tensioni all’interno della società regionale, attraverso il quale si giunse allo smembramento della Provincia unica, cfr. M.R. Porcaro, Una storia di province: dalla Provincia dell’Umbria a quelle di Perugia e Terni, in “Proposte e ricerche”, XVI, 30, inverno/primavera, 1993, pp. 127-146 e Id., Terni: la nascita di una provincia, in “Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Perugia”, 1990/91, 2. Studi storico-antropologici, pp. 210-236.
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do a promuovere, ad esempio, anche le ferrovie Umbertide-Forlì, Foligno-Porto Santo Stefano e Gualdo-Perugia-Chiusi. D’altronde il filo che lega il movimento per l’estensione della legislazione speciale del 1906 al comitato umbro-marchigiano, passando attraverso la Pro Umbria e il piano di sviluppo della Camera di Commercio, non è soltanto rappresentato dalla continuità dei temi in discussione, ma anche dal fatto che gli animatori di tali iniziative furono, più o meno, sempre gli stessi, primo fra tutti, Domenico Arcangeli. Ad ogni modo l’ipotesi industrialista, alla quale aderì anche un agrario illuminato come il vecchio Eugenio Faina152, non sarebbe riuscita a far breccia, finendo per essere riassorbita all’interno di quel processo di graduale congelamento delle dinamiche economiche e sociali regionali che innescatosi con l’avvento del fascismo. L’ultimo, quanto fallimentare, tentativo dei “modernizzatori”153 di imporre il proprio modello di sviluppo, se sul piano concreto può riassumersi nello scontro tra l’Amministrazione Municipale ternana e la Società Terni per il controllo delle acque del bacino Nera-Velino154, su quello teorico è testimoniato dal dibattito che prese corpo nelle pagine della “Rivista dell’economia umbra”, organo ufficiale della Camera di Commercio155. Un dibattito in cui, nonostante i continui richiami alla coesione regionale, tornavano ad emergere le tensioni territoriali; e non avrebbe potuto essere altrimenti, visto che si era, precisamente, negli anni in cui si ruppe, con la scissione prima della Sabina e poi del Ternano e dell’Orvietano, l’unità provinciale dell’Umbria156. Tuttavia il riaffiorare del particolarismo non necessariamente, o meglio per nulla, rispondeva ai nuovi criteri amministrativi. Accadeva, così, che si sviluppasse uno
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scontro dialettico tra l’avvocato di Città di Castello Giulio Pierangeli e il giovane rampollo della famiglia Faina, Carlo, futuro dirigente alla Montecatini, in merito al prolungamento della Centrale Umbra: il primo sostenendo l’assoluto bisogno per i territori dell’alta valle del Tevere di avere una prosecuzione, anche se minima, per Città di Castello e Sansepolcro sino ad Arezzo, sulla Firenze-Roma157; il secondo, insistendo, al contrario, sulla necessità di non pregiudicare, con alcuna soluzione parziale, la possibilità di poter vedere realizzata in futuro la RomaTrieste158 (che altro non era se non la mai abbandonata Adriatico-Tiberina). Ma anche che si delineasse un’aspra polemica tra il ternano Ottavio Donatelli159 e l’orvietano Geralberto Buccolini160 sulla preferenza da accordarsi al prolungamento della Centrale Umbra in direzione nord/sud, anziché alla costruzione della ferrovia Umbro-Maremanna.
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Il ragionamento di Pierangeli muoveva sì dal riconoscimento della necessità di costruire una trasversale, l’AnconaLivorno, e una longitudinale, l’Umbro-Tosco-Romagnola, ma anche dall’estremo bisogno che l’alta valle del Tevere, in particolare Città di Castello e Sanseplocro, aveva di dotarsi di comunicazioni ferroviarie adeguate alla propria capacità produttiva agricola e manifatturiera, caratteristica che non poteva certo riconoscersi nel “disgraziato trenino” da Arezzo a Fossato. In, G. Pierangeli, Il problema ferroviario dell’alta Umbria, in “Rivista economica dell’Umbria”, XXXIII, 9, settembre 1921, pp. 195-96. Cfr., inoltre, Id., Il problema ferroviario dell’Alta Umbria, in “Rivista economica dell’Umbria”, XXXIII, 11, novembre 1921, pp. 245-46. Pur riconoscendo i giusti bisogni dell’alta valle del Tevere, Faina obiettava che anziché richiedere la costruzione di una nuova linea, che avrebbe finito per essere tracciata parallelamente a quella dell’Appennino Centrale, ci sarebbe stato bisogno di battersi, come peraltro già si stava facendo, per la trasformazione della linea esistente a scartamento ordinario e per la sua elettrificazione. In quanto alla longitudinale, affermava Faina, soltanto la Direttissima Roma-Trieste “costruita con carattere di grande arteria nazionale potrà redimere l’Umbria in genere e l’alta Umbria in specie da quello stato di imbottigliamento e da quella condizione di inferiorità, in cui attualmente si trova”. In C. Faina, Il problema ferroviario dell’Umbria, in “Rivista economica dell’Umbria”, XXXIII, 10, ottobre 1921, pp. 221-222. Per conoscere il pensiero, più generale, di Carlo Faina sull’assetto da dare alla rete ferroviaria regionale cfr. Faina, L’Umbria ed il suo sviluppo cit. (a nota 152), pp. 188-200. Per Donatelli – che con le sue affermazioni di principio si poneva decisamente controcorrente, tanto da indurre la redazione della rivista a dissociarsene – “l’Umbria deve sommamente pensare a risolvere i problemi delle comunicazioni longitudinali”, anziché preoccuparsi di “tante inopportune e inconcludenti trasversali [...] perché la conformazione della regione, il corso dei fiumi impongono una soluzione in tal senso”. Inoltre, solo in questo modo si poteva sperare di tenere unita, anche se ormai non più amministrativamente, la Sabina. In concreto, egli proponeva che la prosecuzione della Centrale Umbra non fosse considerata solo in direzione delle province venete, ma anche verso sud, sostenendo la realizzazione della linea Rieti-Avezzano, che “avvicinerebbe Rieti alla Marsica e tutta l’Umbria e l’alta Italia il valico di Sansepolcro e la Terni-Rieti, al sistema ferroviario per la bassa Italia a sfollamento delle linee su Roma e della stessa Roma-Napoli”. In O. Donatelli, Interessi ferroviari dell’Umbria, in “Rivista economica dell’Umbria”, XXXVI, 1, gennaio 1924, pp. 15-17. Che altro riproponeva Donatelli se non la linea del Salto? L’articolo di Buccolini in difesa della linea Umbro-Maremmana, si limitava a porre una questione di tempi e opportunità, senza suggerire alcuna esclusione. A suo parere, lo stato di maggiore avanzamento della iniziativa in favore della trasversale, rispetto ad un prolungamento della Centrale Umbra che non fosse limitato a Sansepolcro, avrebbe dovuto di per sé spingere tutte le Amministrazioni municipali umbre e, in particolare, quella del capoluogo a sostenerla pienamente. D’altronde, aggiungeva, della mancata realizzazione dell’Adriatico-Tiberina, che “rappresent[a] una vitale necessità per tutta l’Umbria, [...] Perugia può farne carico ai suoi passati dirigenti, che, col preferire lo scalo di Fontivegge col fatale ferro di cavallo – in questo caso jettatore anziché porta fortuna – resero anche più lunga del necessario la Terontola-Perugia-Foligno, ed impedirono che a tempo si formasse a Ponte San Giovanni un’importante stazione ferroviaria, sulla quale l’alta valle del Tevere avrebbe richiesto anzitempo e assai più utilmente il proprio raccordo ferroviario anzichè ricercarlo vanamente nella contorta e insufficiente Arezzo-Fossato”. In G. Buccolini, Interessi ferroviari umbri,
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Parallelamente a ciò la Camera di Commercio proseguiva la battaglia per il miglioramento del servizio sulle linee esistenti, richiedendo agevolazioni tariffarie, aumenti del numero delle corse, elettrificazione, raddoppi di binario161. I risultati, però continuavano a non vedersi, se si eccettua l’autorizzazione del governo di Mussolini162 al solo proseguimento della Centrale Umbra sino a Sansepolcro, che, come si è già ricordato, non sarebbe stata, concretamente, realizzata prima del 1956. Un bottino magro, ma sufficiente, per i più strenui sostenitori del regime, a ritenere chiusa la questione ferroviaria regionale:
Così, in un articolo pubblicato nella “Rivista dell’economia umbra” nel marzo del 1927. L’autore sottolineando “che il governo concepisce anzitutto la ferrovia come servizio per soddisfacimento ai soli interessi nazionali” e che pertanto “linee [...] a finalità ristretta [...] non si possono, non si debbono domandare”, si interrogava su quale dovessero essere le giuste richieste degli umbri, concludendo che l’unico obiettivo ancora da perseguire era quello di unire la regione, “nel modo migliore con un tronco di linea”, ai due mari, il che avrebbe potuto essere facilmente raggiunto con la costruzione dell’Umbro-Maremmana. Per il resto, una volta modificato il tracciato della ferrovia dell’Appennino Centrale – spostando il termine di Fossato a Gualdo Tadino e il punto di incontro con la Centrale Umbra più a sud di Umbertide – e realizzata una variante del tratto meridionale della Centrale Umbra che da Todi puntasse direttamente ad Orte, non v’è più ragione per noi di parlare e di scrivere ancora di problema ferroviario umbro. La nostra rete ferroviaria sarebbe razionalmente, almeno per il momento, completata e più non si dovrebbe domandare164.
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in “Rivista economica dell’Umbria”, XXXVI, 10, ottobre 1924, pp. 179-81. Il fatale ferro di cavallo non è altro che l’amplissimo tornante che ancora oggi la linea proveniente da Terontola è costretta a compiere per giungere al principale scalo perugino. Numerosi furono gli articoli in proposito pubblicati nel periodico dell’ente camerale; vale la pena di segnalarne alcuni tra i più significativi: A. Iraci, Gli interessi dell’Umbria e le nuove tariffe ferroviarie per le merci, in “Rivista economica dell’Umbria”, XXXIII, 12, dicembre 1921, pp. 261-264; A. Netti, Per l’elettrificazione delle ferrovie dell’Italia centrale, in Ivi, XXXIV, 7, luglio 1922, pp. 123-128; Progetto di orario per le comunicazioni ferroviarie, in Ivi, XXXVI, 4/5, aprile-maggio 1924, pp. 92-94; Memoriale sui servizi ferroviari nell’Umbria, in Ivi, XXXVIII, 2, febbraio 1926, pp. 24-28. Cfr., inoltre, Camera di Commercio e Industria dell’Umbria. Foligno, Osservazioni e proposte sul progetto di tariffe per il trasporto delle cose sulle ferrovie dello Stato. Relazione dell’Ufficio di Presidenza, Società Tipografica già Cooperativa, Foligno 1920 e Id., Le nuove tariffe e condizioni per trasporti ferroviari. Osservazioni e proposte, Sbrozzi, Foligno 1925. Si veda il telegramma di Giuseppe Bastianini al podestà di Perugia Oscar Uccelli del 18 dicembre 1926, in ASP, ASCPG, Amministrativo 1871-1953, tit. 7.2.5, “Ferrovie”, 1926, fasc. “Ferrovia Umbertide-San Sepolcro”. G. Majoni, Il problema ferroviario nell’Umbria, in “Rivista economica dell’Umbria”, XXXIX, 3, marzo 1927, p. 68. Ivi, p. 71.
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Un vero problema ferroviario umbro [...] ormai più non esiste: esso ebbe la sua risoluzione nell’autunno scorso dal governo dell’on. Mussolini, quando decise la prosecuzione della Centrale Umbra (sia pure per il momento nel brevissimo e facile tratto Umbertide-Città di Castello - Borgo Sansepolcro) con armamento ed attrezzatura di linea per grande transito163.
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Non la pensava affatto così Arcangeli, che pure aveva aderito al fascismo, il quale nello stesso anno, più volte, partendo dallo smembramento dell’unità provinciale, contro il quale si era battuto sino in fondo, tornò a riproporre l’ipotesi di uno sviluppo industriale regionale fondata sull’utilizzo delle risorse idriche disponibili e sul miglioramento delle vie di comunicazione. A suo parere tutto e nulla era cambiato nello stesso tempo: l’Umbria non esisteva più come unica entità amministrativa, ma il problema della sua crescita economica era rimasto irrisolto. Il nuovo assetto circoscrizionale era lo spunto per un amaro bilancio su oltre sessanta anni di unità provinciale:
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[c]ondizione unica per il raggiungimento di un[o] splendido orizzonte economico era una diffusa coscienza unitaria e la conseguente costruzione di razionali comunicazioni trasversali fra l’Umbria e le Marche, fra l’Umbria e la Maremma, fra l’Umbria e i mari. Per fatalità prevalentemente storica, è mancata, completamente mancanta la coscienza unitaria e quindi quasi mancato il razionale sviluppo del naturale programma economico. In questo senso hanno operato le condizioni di interiore antitesi in cui sorse la Provincia-regione del 1860, non equilibrata da nessun intervento durante i 65 anni vita politica amministrativa regionale. Come ultimo termine pertanto: la disgregazione165.
Al fine di superare gli antagonismi sviluppatisi a seguito dell’istituzione della Provincia unica – che pure aveva come obiettivo il superamento della frammentazione pontificia – lo Stato liberale avrebbe dovuto favorire, ma non lo aveva fatto, “la formazione delle entità-regioni”; così come il capoluogo non ha saputo assurgere [...] alla visione di un superiore programma organico, che nello sviluppo di tutti soddisfacesse il bisogno e il sentimento di ciascuno degli aggregati e del capoluogo stesso; soprattutto nel moto travolgente della evoluzione economica moderna166.
Come si vede un’analisi profonda, per molti aspetti condivisibile alla luce di quanto sin qui ricostruito, che, addirittura, sembrerebbe contraddire gli sforzi fatti in passato dallo stesso Arcangeli, come da tutti gli altri modernizzatori, per affrancarsi dalle ricorrenti accuse di regionalismo167. Una riflessione che, tuttavia, non induceva lo spoletino a gettare le armi ma, anzi, a rilanciare la sfida, affermando che, nonostante la nuova divisione amministrativa, tutti gli umbri devono [...] sentire e comprendere che il problema di Terni [ovvero quello del controllo della risorse idriche] è il problema di tutta la regione, e che il problema massimo dell’Umbria si identifica con quello di Terni. Anzi al destino di Terni e dell’Umbria è strettissimamente legato il destino di Rieti e della conca Reatina [...], giacché esse costituiscono [...] parte integrale [...] del sistema idrografico umbro168.
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D. Arcangeli, Spartizione o sparizione?, in “Rivista economica dell’Umbria”, XXXIX, 1, gennaio 1927, pp. 2-3. Ibidem. Si veda, in proposito, Covino e Gallo, Le contraddizioni di un modello cit. (a nota 142), p. 93. D. Arcangeli, Spartizione o sparizione?, in “Rivista economica dell’Umbria”, XXXIX, 4, aprile 1927, p. 91.
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E, inoltre che [i]l problema dell’esodo delle forze è inscindibilmente connesso col problema delle ferrovie dell’Umbria: ed in tali problemi è solidale tutta la regione, la provincia di Perugia come quella di Terni, come in parte anche quella di Rieti per la conca del Velino. Senza far operare tale solidarietà nessuno si illuda di riuscire a risolvere il suo problema e se lo si risolve parzialmente, si riesce alla inutilità169.
Pensandoci su, la situazione di noi umbri, rispetto alle comunicazioni ferroviarie, è pazzesca o idiota: noi in tre ore si va a Roma, in dieci a Bologna, in sei a Firenze, in otto a Napoli; ma ne dovremmo impiegare dieci per andare ad Ascoli, otto per andare a Camerino, una giornata per andare da Orvieto ad Orbetello. E lo stesso cammino dovrebbero fare le merci uscenti dall’Umbria e destinate a queste regioni limitrofe. Ebbene, finché le cose resteranno così, è inutile pensare all’evoluzione industriale dell’Umbria170.
Tornare a riaffermare che non si dava una soluzione del problema ferroviario, se non all’interno dello sviluppo economico più generale, significava, nonostante tutti gli sforzi di mantenersi all’interno delle compatibilità del regime, porsi in aperta contraddizione con chi sosteneva il superamento di una questione ferroviaria regionale. E il fascismo che, proprio al fine di indebolire la possibilità per i diversi centri di stabilire rapporti orizzontali, che rappresentano il primo passo per la crescita di una coscienza regionalista, aveva smembrato la provincia unica, non avrebbe tardato a rispondere, dichiarando conclusa l’esperienza della “Rivista dell’economia umbra” e con essa la fine dell’ipotesi della trasformazione economica e sociale della regione171.
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Ivi, p. 93. Ivi, p. 92. Così nell’interpretazione di Covino e Gallo, Le contraddizioni di un modello cit. (a nota 142), pp. 106-109.
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Ed ecco allora riproporre, per l’ennesima volta, la costruzione di “una dorsale di grande traffico”, come la Perugia-Umbertide-Sansepolcro-Forlì; la trasversale Foligno-Todi-Orvieto-Orbetello; la Ascoli-Roma e il suo allacciamento con Norcia; la ferrovia Chiento-Nerina; l’altra trasversale da Gualdo a Chiusi, via Perugia.
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L’intera vicenda ferroviaria umbra così ripercorsa si presta a differenti valutazioni. Con l’apertura della ferrovia a scartamento ridotto Spoleto-Norcia, anche l’ultima porzione di territorio umbro rimasta esclusa venne allacciata ad una linea nazionale; tuttavia si trattò di un episodio marginale, che riguardò il consolidamento dell’area di gravitazione di un singolo centro urbano, la sua riqualificazione, ma che non investiva certo questioni più vaste quali la coesione e lo sviluppo economico dell’Umbria. Né il fatto che Spoleto avesse battuto Terni nella battaglia per il “controllo” dell’alta Valnerina e della montagna nursina, implicava un sovvertimento della gerarchia urbana regionale ormai sancita dalla promozione della città industriale a capoluogo di provincia. Ragionando nei termini della capacità dei diversi centri e territori di volgere a proprio vantaggio le opportunità offerte dalle più generali scelte di politica ferroviaria, compreso l’ultimo periodo pontificio, non v’è dubbio che Perugia risultò la grande sconfitta. Lungo è l’elenco dei traguardi mancati: dal progetto di Coriolano Monti di fissare nelle sue immediate vicinanze, a Torgiano, nel punto di confluenza delle valli Umbra e Tiberina, lo snodo delle comunicazioni relative al triangolo Ancona-Firenze-Roma; all’ambizione di un collegamento con Umbertide per via interna, anziché lungo la valle del Tevere, al fine di avere i binari alle porte della città; ai reiterati tentativi di allacciarsi, direttamente a Chiusi. Insuccessi tali da non poter essere compensati né dai dieci anni in cui Perugia fu al centro dell’unica linea diretta tra Firenze e Roma, come si è visto più ricchi di ombre che di luci, né dalla costruzione della Centrale Umbra, non tanto per l’essere a capo di una semplice diramazione, quanto perché la linea era, naturalmente, destinata a registrare un traffico segmentario e che, comunque, confermava il dualismo con Terni1. Sconfitte furono, tuttavia, anche le aspirazioni di Foligno, che, perduta la funzione di nodo di prim’ordine a seguito dell’apertura della bretella Terontola-Chiusi, tentò invano di riconquistarla attraverso il progetto umbro-maremmano in grado di garantirle la centralità rispetto ad una trasversale da costa a costa. Se Orvieto, da sempre impegnata a separarsi dal resto della regione e, perciò, delusa dall’esito della nuova ripartizione amministrativa, poteva, comunque, ritenersi più che soddisfatta dall’essere posizionata lungo una delle principali direttrici nazionali; se, al contrario, Rieti, pur ferma al collegamento con Terni e L’Aquila datato 1886, poteva augu1
Centro Regionale Umbro di Ricerche Economiche e Sociali (CRURES), La Ferrovia Centrale Umbra e i problemi ferroviari della regione, Regione dell’Umbria, Perugia 1973, tav. 1, p. 16.
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rarsi che il nuovo status di capoluogo di provincia laziale le consentisse, finalmente, di veder realizzata una ferrovia diretta per Roma; Terni, dal canto suo, aveva ben poco da lamentarsi. Malgrado il progetto della Chiento-Nerina fosse rimasto sulla carta, la città dell’acciaio era, infatti, quella meglio servita dalla comunicazioni ferrotranviarie. Essa era stazione di transito della Ancona-Roma e capolinea sia della Centrale Umbra sia della linea proveniente da L’Aquila e Rieti; inoltre risultava dotata di una tramvia extraurbana che risaliva la Valnerina sino a Ferentillo. Emerge quindi, a prima vista, il binomio ferrovia/sviluppo industriale: ma in che rapporto stanno in due termini? È noto che tra i diversi fattori che suggerirono allo Stato e a forze imprenditoriali non umbre la scelta di Terni come luogo favorevole all’impianto di grandi stabilimenti vi sia stata la presenza della ferrovia e, comunque, il riconoscimento di un sito potenzialmente nodale. Allo stesso modo, però, la vicenda della Centrale Umbra dimostra come la preferenza di Terni ad Orvieto, oltre che da elementi tecnici – la difficoltà di realizzare il tronco TodiOrvieto – sia sostanzialmente dipesa proprio dal consolidato sviluppo industriale della conca Ternana; così come è provato che la posa dei binari lungo la Valnerina abbia avuto inizio solo per intervento diretto della SICCAG. Considerazioni che, tuttavia, rischiano di apparire superficiali, perché non supportate da un’analisi diacronica del volume di traffico in partenza e in arrivo alla stazione di Terni, peraltro impossibile da fare alla luce del materiale raccolto. Ad ogni modo pur entro i limiti di una documentazione carente ha impedito di verificare, se non in modo episodico, i flussi di merci e passeggeri lungo tutte le linee, è certo che le ferrovie, nel periodo considerato, non riuscirono a trasformare l’Umbria in una “piccola Vestfalia”2: tra il 1870 e il 1927 il tasso d’industrializzazione regionale salì appena dall’1,3% al 5,8%, non dimenticando che il salto si realizzò nel decennio 1881-90 e fu quasi esclusivamente imputabile alla crescita del polo ternano4. Né le stesse contribuirono ad unificare i territori umbri, rendendoli complementari, bensì al consolidamento di aree di gravitazione divergenti. In altri termini l’Umbria non è riuscita a costruirsi un’identità forte, condizione necessaria per aprirsi all’esterno in modo non subalterno. Guardando avanti, la politica ferroviaria del regime, che può riassumersi nel binomio direttissime ed elettrificazione, tutta tesa al potenziamento delle principali comunicazioni nazionali, non fu certo in grado di mutare tale stato di cose. A parte l’ammodernamento – elettrificazione completa e raddoppio del binario in alcuni tratti4 – delle linee che da Firenze ed Ancona muovevano verso Roma, per il resto 2
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4
G. Gallo, Tipologia dell’industria ed esperienze d’impresa in una regione agricola, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria, a cura di R. Covino e G. Gallo, Einaudi, Torino 1989, p. 343. R. Covino, L’invenzione di una regione. L’Umbria dall’Ottocento a oggi, Quattroemme, Perugia 1995, tavv. 1516, pp. 121-122. Il raddoppio della prima venne completato nel 1930, mentre per l’elettrificazione si dovette attendere il 1935. In A. Cioci, Due ferrovie, una storia. Terontola-Foligno, Ellera-Tavernelle, Kronion, Bastia Umbra 1988, p. 39. La seconda, elettrificata tra il 1935 e il 1939, fu ulteriormente potenziata con il raddoppio del binario nel
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tratto Orte-Terni (28 km) che andava ad aggiungersi ai tronchi Roma-Orte (82,5 km) e Falconara-Ancona (8,7 km), già dotati di un secondo binario, rispettivamente, a partire dal febbraio 1890 e dal novembre 1907. In A. Melelli, La ferrovia Ancona-Roma, Calderini, Bologna 1973, p. 14. Cfr. A. Cioci, Ferrovie in Umbria, Kronion, Bastia Umbra 1990, pp. 79-80; Id., La ferrovia Terni-Rieti-L’AquilaSulmona, Kronion, Bastia Umbra 1989, pp. 64-67; Id., La ferrovia Spoleto-Norcia, Kronion, Bastia Umbra 1988, pp. 60-61. M. Garzi e P. Muscolino, La ferrovia dell’Appennino Centrale. Linea Arezzo-Fossato, Calosci, Cortona 1981, p. 163.
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gli anni che precedettero il secondo conflitto mondiale registrarono, finalmente, l’avvio dei lavori per il proseguimento della Centrale Umbra sino a Sansepolcro, mentre nelle linee non elettrificate la novità più significativa fu rappresentata dall’introduzione delle automotrici a combustione interna in appoggio alla trazione a vapore – le littorine – che consentivano, ovunque, un aumento della frequenza delle corse5. Tuttavia, crebbe la concorrenza delle autolinee, di cui sembrava soffrire, in particolare, la ferrovia Arezzo-Fossato, la cui sopravvivenza correva un serio pericolo a causa della messa in liquidazione della società concessionaria6. Saranno la guerra e le scelte politiche immediatamente successive a decretarne la definitiva scomparsa. Comunque se si esclude la ferrovia dell’Appennino Centrale e un breve tratto della Umbertide-Terni, all’inizio degli anni cinquanta le comunicazioni ferroviarie in Umbria furono pienamente ristabilite. Fu soltanto in quegli anni, al termine di una lunga eclissi durata circa cinque lustri, che il tema della viabilità regionale tornò ad essere discusso in una prospettiva più ampia. Nel novembre del 1952, a Perugia, si tenne uno specifico convegno organizzato dalle Camere di commercio. Ne scaturì una piattaforma rivendicativa per il miglioramento delle comunicazioni ferroviarie che prevedeva l’elettrificazione della Terontola-Foligno; il completo ripristino della Centrale Umbra – mancava ancora all’appello il tronco da Fratta Todina a Todi (Ponte Rio) – l’ultimazione dei lavori già avviati per il prolungamento della stessa sino a Sansepolcro ed una sua ulteriore prosecuzione sino a Forlì; la ricostruzione della Arezzo-Fossato, non più a scartamento ridotto, sfruttando il costruendo tratto Umbertide-Sansepolcro così da dover realizzare i soli tronchi Sansepolcro-Arezzo e Umbertide-Fossato; il prolungamento della Ellera-Tavernelle, in via di ultimazione, sino a Chiusi e, infine, la realizzazione della Foligno-TodiOrvieto-Orbetello. Come si vede un piano nella sostanza non molto diverso, se non identico in molti punti, a quello delineatosi nella primavera/estate del 1906 in occasione dell’agitazione per l’estensione all’Umbria dei provvedimenti speciali per il Mezzogiorno, ripresentato dall’associazione Pro Umbria nel 1910, dalla Camera di Commercio dell’Umbria e dal comitato permanente per l’incremento degli interessi umbromarchigiani nel primo dopoguerra e, infine, dibattuto, negli anni venti sulle pagine della “Rivista dell’economia umbra”; ciò a testimonianza del lungo blocco determinato prima dalle scelte del fascismo, poi dalla guerra e, infine, dalle urgenze imposte dalla ricostruzione.
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Tuttavia, se il problema ferroviario dell’Umbria si ripresentava irrisolto, lo scenario nazionale di riferimento era decisamente cambiato nel senso che si era ormai delineata una vera e propria svolta in favore del trasporto privato su strada. A onor del vero la scelta politica di subordinare le comunicazioni ferroviarie a quelle stradali non fu solo italiana, come dimostrano gli accordi internazionali in materia di circolazione stradali siglati a Ginevra il 16 settembre 1950 “sotto gli auspici della Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite [che] fissa[rono] una serie di ‘itinerari’ aventi lo scopo di ‘stringere le relazioni fra i paesi europei’”7. In quella sede, tra le nove strade decretate riguardanti l’Italia v’era la RomaVienna-Varsavia (E7, oggi E45), destinata a tagliare longitudinalmente l’intera Umbria e a proseguire via Cesena, Bologna, Padova e Venezia sino al confine italoaustriaco: dopo tante delusioni, anche se in modo inaspettato, l’idea montiana dell’Adriatico-Tiberina si apprestava ad essere concretizzata.
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7
L. Bortolotti, Viabilità e sistemi infrastrutturali, in Storia d’Italia. Annali 8. Insediamenti e territorio, a cura di C. De Seta, Einaudi, Torino 1985, p. 358.
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Apparati
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Sigle e abbreviazioni archivistiche
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ACPU Atti del Consiglio Provinciale dell’Umbria ACS Archivio Centrale dello Stato ASCCC Archivio Storico del Comune di Città di Castello ASCF Archivio Storico del Comune di Foligno ASCO Archivio Storico del Comune di Orvieto ASCPG Archivio Storico del Comune di Perugia ASCSP Archivio Storico del Comune di Spoleto ASF Archivio di Stato di Foligno ASO Archivio di Stato di Orvieto ASP Archivio di Stato di Perugia ASSP Archivio di Stato di Spoleto ASST I Archivio Storico della Società Terni, primo versamento AST Archivio di Stato di Terni DAP
Archivio del Governo della Delegazione Apostolica di Perugia (1848-60)
MAIC Ministero Agricoltura Industria e Commercio PPA
Archivio Amministrativo della Prefettura di Perugia PPA1 Archivio Amministrativo della Prefettura di Perugia, prima serie, Atti SO SS
sessione ordinaria sessione straordinaria
Apparati
b.
busta
fasc.
fascicolo
s.fasc. sottofascicolo tit.
titolo
Indice dei nomi di luogo
Abruzzo/i, 45, 121, 160n. Acciano (L’Aquila), 110t. Accumoli (Rieti), 110t, 176t, 179n, 180. Acquapendente (Viterbo), 162. Acquasanta, 110t, 176t, 179n. Acquasparta (Terni), 22, 23t, 90t, 91-92, 104, 134. Acquaviva (Montepulciano, Siena), 57t, 59n, 61, 63, 67, 163t. Adriatico, mare, XIII, 4-6, 26, 42, 161, 175, 185-186. Albacina (Ancona), 138n. Alessandria, 1-2. Allerona (Terni), stazione, 117, 120, 162163, 163t. stazione, 120n, 162, 163t, 170, 174, 221, 222. Amatrice (Rieti), 109, 110t, 176t. Amelia (Terni), 134n, 136n, 150, 173. Amsterdam (Paesi Bassi), 50n. Anagni (Frosinone), 15t. Ancona, V, VIII-IX, 2, 2n, 3, 4t, 6-7, 7t, 8, 9t, 10, 10n, 12t, 13-14, 15t, 15n, 16, 16n, 19t, 21, 21n, 22, 23t, 24-28, 33, 36, 38-39, 40t, 42, 44, 51, 51n, 53, 54, 54n, 64, 75-77, 78t, 80, 82, 90t, 102, 106-108, 108n-109n, 112n-113n, 120, 128, 138, 138n, 139, 140t, 143, 157t, 162, 164, 167t, 168, 169t, 172, 173n, 174, 176t, 186, 188, 190n, 195-196, 197n. porto, 1, 5, 11, 42, 45, 137, 165, 186187. stazione, 15n. Anghiari (Arezzo), 78t, 84t, 87. Angioli, vedi Santa Maria degli Angeli. Antognolla (Perugia, Perugia), 90t. Antrodoco (Rieti), 109, 110t, 114, 114n, 176t, 170n, 179, 179n, 180, 185. Anzio (Roma), 12, 15t. porto, 14.
Appennino, V, 3, 8, 14, 18, 20, 22, 25, 32, 79, 82, 114n, 139, 173, 197. Aquila, vedi L’Aquila. Arezzo, IX, XI, 2, 4t,, 6, 7t, 8, 9t, 10, 11n, 23t, 27, 29-31, 32n-33n, 39, 40t, 41, 44, 46, 57t, 59-60, 64, 76-77, 78t, 79, 81n, 83, 84t, 87-89, 90t, 91, 95, 98, 104, 118, 120, 120n, 121, 125, 128, 153n, 154-155, 155n, 157t, 160, 168, 169t, 170n, 172, 190, 190n, 197. Argentario, 188. Arno, valle, 2. Arquata, vedi Arquata del Tronto. Arquata del Tronto (Ascoli Piceno), 110t, 176t, 179, 179n, 180. Arrone (Terni), 110t, 140t, 175. Ascagnano (Perugia, Perugia), 90t. Asciano (Siena), 33n, 57t, 173. Ascoli, vedi Ascoli Piceno. Ascoli Piceno, 6, 10, 107, 110t, 143, 143n, 170n, 176t, 179, 179n, 182-183, 185186, 188, 188n, 193. Asisi, vedi Assisi. Assino, torrente/valle, 8, 76. Assisi (Perugia), 4t, 9t, 16, 19t, 23, 183n. stazione, 48. Astrone, valle, 173. Aterno, valle, 109. Austria, 31. Avezzano (L’Aquila), 51, 82, 107-109, 110t, 111n, 113-114, 142, 142n, 170n, 190n. Badia (Umbertide, Perugia), 84t, 90t. Bagnara, vedi Bagnara di Romagna. monti/valle. Bagnara di Romagna (Ravenna), 7, 18, 20. Bagno, vedi Bagno di Romagna. Bagno di Romagna (Forlì), 78t, 80-81, 155, 157, 157t, 158. Bagnorea, 31. Balcani, 187.
Indice dei nomi di luogo
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(i numeri si riferiscono alle pagine; inoltre: n=nota; t=tavola; tb=tabella)
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Balduini (Spoleto, Perugia), 14n, 17, 23, 53, 110t, 176t. galleria/e - valico, 28, 52, 54, 108n. Bari, 112. Baschi (Terni), 9, 78t, 79-80, 105, 118, 121n, 122, 124n, 125, 125n, 129-131, 165n, 168, 169t. Basilicata, 50, 184. Bastardo (Arezzo), 57t, 59, 59n, 63, 67. Bastia, vedi Bastia Umbra. Bastia Umbra (Perugia), 19t, 40-42, 43t, 4447. stazione, 103. Benevento, 150. Bettolle (Siena), 33n. Bevagna (Perugia), 163t, 165, 165n. Bibbiena (Arezzo), 78t, 80, 157t. Bidente, fiume/valle, 80, 128, 158-159. Bologna, 1-2, 1n, 13-14, 15t, 21, 21n-22n, 24-27, 32-33, 42, 51-52, 77, 155, 158, 161, 193, 198. Bomarzo (Viterbo), 11, 12t. Borgo Cerreto (Perugia), 176t, 180. Bordona, 110t. Borrello, 78t. Bracciano, lago, 11. Branca (Perugia), 4t, 9t, 19t, 84t. Brennero, valico, 2, 75, 79. Brindisi, 2, 4. Brolio (Gaiole in Chianti, Siena), 29. Bruxelles (Belgio), 85n. Bucine (Arezzo), 57t, 59, 59n, 60, 60n, 61, 63-64, 64n, 67, 166, 166n. Buoninsegna, 57t, 63-64, 64n, 67. Buonconvento (Siena), 33n. Cagli (Pesaro e Urbino), 170n, 183n. Calabria, 50. Camerino (Macerata), 139-140, 140t, 141, 193. Camoscia, vedi Camucia. Camucia (Cortona, Arezzo), 41-42, 44-47, 56, 57t, 58, 58n, 60-63. Cancello (Napoli), 150. Cancelli, santuario, 16. Capanne (Perugia, Perugia), 166. Carnaio, colle del, 157. Carnaiola (Parrano, Terni), stazione, 103. Carso, valico, 75.
Apparati
Carsoli (L’Aquila), 183. Cascia (Perugia), 139-140, 176t, 179, 180n, 181, 185. Caserta, 2n, 113. Cassia, via, 31. Castel del Piano (Perugia, Perugia), 166, 167t. Castelraimondo (Macerata), 3, 4t, 7t, 16, 18, 19t, 22, 23t, 138n, 140t. Castellamare di Stabia (Napoli), 2n. Castiglion Fiorentino (Arezzo), 2, 4t,, 41, 57t, 59n, 168, 169t. Castiglione del Lago (Perugia), 9t, 23t, 40, 57t, 60, 65n. stazione, 103. Castiglione della Valle (Marsciano, Perugia), 166, 167t. Castrocaro, vedi Castrocaro Terme. Castrocaro Terme (Forlì), 157, 157t, 160-161. Catria, monte, 8. Cavarzere (Venezia), 81. Celano (L’Aquila), 107. Cenisio, valico, 2. Ceprano (Frosinone), 12, 14, 15t, 16n, 24, 29n, 33, 51-52, 107-109, 110t. Cerfone, valle, 39, 76, 87. Cerreto d’Esi (Ancona), 3, 4t, 7t, 19t, 23t, 138n. Cerreto di Spoleto (Perugia), 140t. Cesena, 15t, 77, 78t, 80-81, 83n, 96, 157t, 198. Cesi (Terni, Terni), 22, 90t, 92, 104, 154. Cetona (Siena), 60. Chiagio, vedi Chiascio. Chiana, fiume, 38. Chiane, 27, 56. Chiascio, fiume/valle/linea, 3, 16, 18, 20, 22, 24-25, 27-28, 82, 112n, 118, 137, 139, 168. Chiusi (Siena), VII, XI, 3, 9, 11, 12t, 33, 35, 38, 48, 56, 57t, 58n, 59, 59n, 60, 60n, 61-64, 67, 75, 82, 94, 98, 100tb-101tb, 102, 102n, 108n, 118, 131-132, 136137, 162, 163t, 166, 167t, 168-169, 170n, 171-174, 174n, 188-189, 193, 195, 197. stazione, 68-70, 73, 136. Citerna (Perugia), 91. Città della Pieve (Perugia), 3, 9, 11, 12t, 29-31, 31n, 56, 60, 132, 137, 167t.
Deruta (Perugia), 90t, 91-92, 94, 105, 105n. stazione, 105n. Dovadola (Forlì), 157, 157t. E7, vedi E45. E45, strada, 198. Ellera (Corciano, Perugia), 48, 166, 167t, 171-172, 174-175n, 197. stazione, 103, 170.
Emilia, via, 13. Empoli (Firenze), 3, 12t, 51, 58, 60. Esino, valle, 3, 8, 10, 25. Esse, valle, 44. Eugubino, XI, 76, 83, 91, 104, 118, 132, 172, 172. Eugubino-Gualdese, 172. Europa, XIII, 4, 5n, 5, 13. Fabriano (Ancona), 3, 4t,, 10, 16-17, 19t, 21-23, 23t, 24, 24n, 25, 77, 140t, 170n. Fabro (Terni), 60. Faenza (Ravenna), 14, 15t, 77, 80, 82, 155, 157t, 159, 161, 166, 170n. Falconara Marittima (Ancona), 100tb, 101, 101tb, 140t, 197n. Fano (Pesaro e Urbino), 76, 78t, 117-118, 170n. Farfa, fiume, 146. Fara Sabina (Roma), 170n. Ferentillo (Terni), 92, 95, 110t, 140t, 142, 142n, 175, 176t, 177, 180-181, 189n, 196. Fermignano (Pesaro e Urbino), 78t, 170n. Fermo (Ascoli Piceno), 6. Ferrara, 14, 15t, 26-27. Ficulle (Terni), 11, 48, 51. stazione, 103. Firenze, III, 2, 2n, 3, 4t, 6, 7t, 8, 9, 9t, 10, 15t, 19t, 23t, 24, 29-32, 34-36, 40t, 42, 43t, 47, 50-51, 51n, 54, 57t, 58, 60, 60n, 63-64, 72, 75, 77, 79-80, 8283, 83n, 84t, 85, 88, 90t, 98, 102-103, 108-109, 136, 155, 157t, 158-159, 161162, 163t, 165n-166n, 167t, 169t, 172, 176t, 190, 193, 195-196. Fiuminata (Macerata), 15n, 23. stazione, 15n. Flaminia-Emilia, via, 13. Foggia, 75, 109. Foiano, vedi Foiano della Chiana. Foiano della Chiana (Arezzo), 23t, 57t, 58, 58n, 62, 168, 169t, 173. Foligno (Perugia), V, VIII-IX, XI, XIII, 3, 4t,, 6-8, 9, 9t, 10, 11n, 12-14, 15t, 15n, 16, 17n, 18, 19t, 20, 21n, 22, 23t, 2427, 28n, 29, 34-35, 39-40, 40t, 41, 43t, 44, 46-48, 51, 54-55, 57t, 75-76, 80,
Indice dei nomi di luogo
strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
Città di Castello (Perugia), 9t, 13, 16, 38-39, 40t, 44, 55, 76-77, 77n, 78t, 79, 79n80n, 84t, 85, 87-88, 88n, 120, 124, 127, 154, 156, 156n, 157, 157t, 158, 158n, 169t, 190, 190n. Cittaducale (Rieti), 109, 110t, 113n-114n, 142n, 176t. Cittareale (Rieti), 110t, 176t, 179n. Civita Castellana (Viterbo), 3, 4t,. Civitanova, vedi Civitanova Marche. Civitanova Marche (Macerata), V, 82, 138, 140t. porto, 82, 137-138, 138n. Civitavecchia (Roma), VIII, 4-6, 8, 11, 11n, 12, 12t, 26-27, 163t, 164-165, 170n, 185-187. porto, 4-5, 9, 14, 29, 186. Civitella, vedi Civitella di Romagna. Civitella di Romagna (Forlì), 78t, 157, 157t, 159. Colle di Cerro (Spoleto, Perugia), 25-26. Colle Umberto (Perugia), 90t. Collestrada (Perugia, Perugia), 48. Collestatte (Terni, Terni), 175, 176t, 177 stabilimento del carburo di calcio, 177. Collevalenza (Todi, Perugia), 92. Corciano (Perugia), 167t. Cordigliano (Perugia, Perugia), 123. Corese (Rieti), 51, 95, 107, 109n, 110t, 111, 115, 117-118, 120, 141, 179, 183, 185. passo, 52-53, 89, 113. stazione, 15n. Corno, valle, 185. Cortona (Arezzo), 2, 4t,, 6, 7t, 9t, 23t, 32n, 38-39, 39n, 40t, 41-42, 43t, 56, 57t, 58n, 59, 59n, 60, 62n, 63, 67, 79n, 117-118, 169, 169n, 170n. Cortonese, strada, 137. Costacciaro (Perugia), 183n. Cucco, monte, 8.
203
strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
204
92, 99, 100tb, 101, 101tb, 102, 102n, 103, 105, 109, 110t, 111, 111n, 112, 112n, 117-118, 131, 136, 138-139, 140t, 162-163, 163t, 164, 164n, 165, 165n, 166, 168, 169t, 170, 170n, 176t, 185-186, 189, 193, 195, 197. stazione, 15n. valle, 18. Fonti Veggie, vedi Perugia, Fontivegge. Fontignano (Perugia, Perugia), 166, 167t. Fontivegge, stazione, vedi Perugia, Fontivegge. Forca Canapine (Norcia, Perugia), 181. Forca dell’Arrone (Arrone, Terni), galleria, 141. Forca di Cerro (Spoleto, Perugia), 25. galleria, 141. Forello (Todi, Perugia), stretto, 9. Forlì, XIII, 15t, 77, 78t, 80, 155, 155n, 156157, 157t, 158-161, 166, 170n, 189, 193, 197. Fossato, vedi Fossato di Vico. Fossato di Vico (Perugia), XI, 4t,, 16, 19t, 22, 23t, 27, 39, 40t, 41-42, 44, 52, 7677, 78t, 79, 83, 84t, 87-89, 90t, 91, 95, 104, 118, 120, 120n, 121, 124n, 125, 129, 132, 140t, 153n, 154, 160, 168, 169t, 170n, 172-173, 173n, 174, 174n, 190n, 191, 197. colle, 25. valico, 3, 18, 22, 25-26, 80. Fossombrone (Pesaro e Urbino), 78t. Francia, 52. Frascati (Roma), 24, 29n. Frassineto (Arezzo), 59n. Fratta, vedi Umbertide. Fratta Todina (Perugia), 66, 133, 148n, 197. Frejus, valico, 75. Frosinone, 15t. Fucino, valle, 183. Fuligno, vedi Foligno. Galeata (Forlì), 78t, 157, 157t, 159. Genova, 2, 31n. Giano, valle, 16. Ginevra (Svizzera), 198. Giulianova (Teramo), 183. Grisciano (Accumoli, Rieti), 176t, 180n, 180-181, 181n, 186. Grosseto, 3, 60n, 164.
Apparati
Gualdese, 172. Gualdo, vedi Gualdo Tadino. Gualdo Cattaneo (Perugia), 162, 163t, 165n. Gualdo Tadino (Perugia), 16, 19t, 22-23, 23t, 140t, 168, 169t, 170n, 173n, 174, 174n, 188, 191, 193. Gubbio (Perugia), 16-17, 19t, 39, 40t, 44, 76-77, 77n, 78t, 79n, 84t, 120, 129, 169t, 170n, 174n, 183n, 189. Inghilterra, 13. Italia, XIII, 2n, 5, 5n, 8, 33-34, 41, 45, 58, 124, 137, 161, 165, 184, 187, 190n, 197-198. Jesi (Ancona), 7t, 8, 9t, 10, 19t, 28, 77, 140t. L’Aquila, XI, 82, 104, 106-107, 107n, 108109, 110t, 111, 111n, 112-113, 113n, 114, 114n, 121, 142, 142n, 169t, 176t, 179n, 182-183, 195-196. Labro (Rieti), 141. Lazio, 50, 160n, 184. Lecce, 188. Leonessa (Rieti), 110t, 180, 186. Livorno, 2, 2n, 3, 44, 64, 163t, 188, 190n. porto, 5, 8-9, 11, 42, 45. Londra (Inghilterra), 50n, 104, 137, 147. Loreto (Ancona), 2, 23t. Lucca, 33n. Lucomagno, valico, 2. Macerata, 3, 4t, 7t, 10, 15n, 19t, 23t, 82, 118, 138, 138n, 139, 140t, 141, 143, 188. stazione, 15n. Madonna degli Angeli, vedi Santa Maria degli Angeli. Magione (Perugia), 7t, 9t, 40t, 43t, 47, 56, 57t, 58n, 169t. piana/valle, 6, 10. stazione, 56, 168. Magliano, vedi Magliano in Toscana. Magliano, vedi Magliano Sabina. Magliano dei Marsi (L’Aquila), 113. Magliano in Toscana (Grosseto), 163t. Magliano Sabina (Rieti), 3, 4t, 15n. stazione, 15n.
Monterotondo (Roma), 170n. stazione, 15n. Montevarchi (Arezzo), 47, 57t, 62. Montone (Perugia), valle, 84t, 157-158, 160. Monza (Milano), 2n. Muccia (Macerata), 140t Naja, torrente, 22. Napoletano, 2n, 6, 182. Napoli, 1, 2, 2n, 3, 5, 15t, 31n, 75, 95, 109, 110t, 112, 190n, 193. Narni (Terni), 3, 4t, 9, 9t, 23t, 110t, 150. stazione, 15n, 103. Nepi (Viterbo), 3, 4t,. Nera, fiume/valle, XII, XIV, 9, 118, 137, 139, 141, 143, 188, 189n. Nera-Velino, bacino idrografico, XIV, 143, 145, 189. Niccone, valle, vedi Valdipierle. Nocera (Salerno), 2n. Nocera, vedi Nocera Umbra. Nocera Umbra (Perugia), 7t, 15t, 15n, 16, 18, 19t, 20, 82, 138, 140t. stazione, 15n. valico, 18. Norcia (Perugia), XIII, 89, 92, 95, 109, 139, 143, 170n, 175, 176t, 177, 179-180, 180n, 181, 181n, 182, 185-186, 188, 193, 195. Novara, 1. Nursina, strada, 144, 180. Nursino, 179. Olmo (Arezzo), 57t, 59, 59n, 63, 64n. Orbetello (Grosseto), 163t, 164-166, 170n, 193, 197. Orcia, valle, 173. Orte (Viterbo), 9, 9t, 15t, 23t, 25, 35, 48, 51, 54, 56, 58, 62, 76, 100tb, 101, 101tb, 102, 105, 110t, 114, 133, 136n, 162, 164, 168, 169t, 170n, 173, 186187, 191, 197n. stazione, 15n, 134, 141. Orvietano, XI, 27, 55, 59, 189. Orvieto (Terni), XIII, 4, 9, 11, 12t, 29, 31, 31n, 32, 34, 35, 35n, 36, 55-56, 58, 6162, 62n, 66n, 67, 75, 78t, 79, 102-103, 124-126, 129, 131, 131n, 135, 150, 162, 163t, 164-165, 165n, 166, 168,
Indice dei nomi di luogo
strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
Manfredonia (Foggia), 4. Mantova, 32. Marche, XII, 14, 18, 45, 118, 120, 120n, 160n, 174, 184, 192. Marecchia, fiume, 79-80. Maremma, 4, 34, 186, 192. Marmore (Terni, Terni), 109, 112, 112n, 114, 141. Maroggia, torrente, 9, 25. Marsciano (Perugia), 7, 23t, 66, 78t, 80n, 90t, 91-92, 95, 104-105, 105n, 124, 133, 148n, 154, 163t, 165n, 171. sottostazione elettrica, 154. Marsica, 190n. Marsiglia (Francia), porto, 5. Martani, monti, 7, 22. Massa Martana (Perugia), 104, 134. Matelica (Macerata), 3, 4t, 7t, 16, 19t, 2223, 23t, 138n, 140t. Mediterraneo, mare, 2, 4, 186. Meldola (Forlì), 78t, 157t, 158-159. Menotre, fiume, 3. Mercato Saraceno (Forlì), 78t, 81. Mercatello (Pesaro e Urbino), 78t. Meridione, vedi Italia. Mestre (Venezia, Venezia), 2n. Metauro, valle, 76. Mezzogiorno, vedi Italia. Milano, 1, 2n, 85n, 154. Modena, 1, 32. Molina Aterno (L’Aquila), 109, 110t. Monte Amiata, 188. stazione, 173. Monte Castello di Vibio (Perugia), 66. Monte Corona (Umbertide, Perugia), 132. Monte Pascali, 173. Monte Petriolo (Perugia, Perugia), 166. Monte Reggiano, 84t. Montecastelli (Umbertide, Perugia), 84t. Montecastello Vibio, vedi Montecastello di Vibio. Montecastrilli (Terni), 134. Montefalco (Perugia), 163t, 165n. Montefiascone (Terni), 11, 31, 66n. Montefranco (Terni), 175. Monteleone di Spoleto (Perugia), 185. Montepulciano (Siena), 60n. Monteraele (L’Aquila), 109, 110t. Monterchi (Arezzo), 39, 40t, 84t.
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strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
169t, 170n, 189n, 193, 195-197. stazione, 162. Osimo (Ancona), 10, 139, 140t. Otricoli (Terni), stazione, 15n.
206
Padana, pianura, 1, 75. Padova, 2n, 198. Padule (Gubbio, Perugia), 84t. Paglia, fiume/valle, 36, 38, 48, 165n. Palazzo del Pero (Arezzo), 84t. Palermo, 31n. Panicale (Perugia), 57t, 60, 65n, 169t, 171, 174n. miniere, 170. stazione, 57t, 103, 168, 169t. Papigno (Terni, Terni), 140t, 175, 176t. centrale idroelettrica, 154. Parigi (Francia), 51, 51n. Parma, 1, 32. Passignano sul Trasimeno (Perugia), 40t, 41n, 43t. Passo Corese, vedi Corese. Pellescritta (Montereale, L’Aquila), 114. Pennino, monte, 14. Perugia, VII, IX, XI-XIII, 2-3, 4t,, 6, 7t, 8-9, 9t, 10, 10n, 11, 12t, 13-14, 15t, 16, 16n, 17, 17n, 18, 19t, 20-21, 22n, 23, 23t, 24, 24n, 25-27, 27n-28n, 29, 3132, 32n-33n, 34, 34n, 35, 35n, 36, 36n, 38, 38n, 39, 39n, 40t, 41, 41n, 42-43, 43t, 44-45, 46n, 47, 47n, 54-55, 57t, 58, 58n, 60n, 64, 67, 69, 75-76, 78t, 79, 79n, 80n, 81, 88, 88n, 89, 90, 90t, 91, 91n, 92, 94-95, 97-98, 102103, 103n, 104, 104n, 105, 105n, 109, 111n-113n, 117-121, 121n, 122-124, 124n, 125-127, 127n, 128-130, 130n, 131, 131n, 132, 132n, 133, 133n, 134, 134n, 136-137, 147, 147n, 149, 149n, 150,150n, 151, 153, 153n, 154, 154n, 155-156, 156n, 159, 166, 166n, 167, 167t, 168-169, 169t, 170, 170n, 171, 171n, 172, 172n-174n, 184, 187-189, 190n, 191n, 193, 195, 197. Fontivegge, 41-42, 45, 47-48, 92, 102, 132, 153, 167t. - stazione, 44, 90, 90t, 103, 118, 124, 190n. pian di Massiano, 123.
Apparati
piazza Grimana, 90. porta dell’Elce, 124. porta Santa Croce, 90. Sant’Anna, stazione, 154. Perugino, 18. Pesaro, 15t. Pescara, 107-109, 110t, 111, 111n, 114, 121, 142, 176t. Pescia (Cascia, Perugia), 176t, 180n, 186. Piacenza, 1, 32. Pian di Massiano, vedi Perugia. Pianello (Perugia, Perugia), 16. Piazza Grimana, vedi Perugia. Piceno, 23, 179, 186. Piediluco (Terni, Terni), 110t. valle, 141. Piedipaterno (Vallo di Nera, Perugia), 140t, 141-145, 176t. Piediripa (Norcia, Perugia), 176t, 181-182. Piegaro (Perugia), 132, 166, 167t, 169t. Piemonte, 13. Pierantonio (Umbertide, Perugia), 80n, 90t. Pietrafitta (Piegaro, Perugia), 167t, 170-172, 174. miniere, 170. Pievaiola, strada, 137. Pieve Santo Stefano (Arezzo), 78t, 80-81, 157, 157t, 160. Pievese, 55. Pilonico, vedi Pilonico Materno. Pilonico Materno (Perugia, Perugia), 166. Pioraco (Macerata), 7, 18, 19t. Pisa, 2n, 8. Pistoia, 2, 32, 33n, 58, 60. Pitigliano (Grosseto), 163t. Po, fiume, 1, 14, 27. Poggio Sorifa (Serravalle di Chienti, Macerata), 20. Poggiodomo (Perugia), 185. Pontassieve (Firenze), 4t, 10, 29, 35, 83. Ponte a Sieve, vedi Pontassieve. Ponte Felcino (Perugia, Perugia), 43t, 44, 90t, 124. Ponte Naja (Todi, Perugia), stazione, 153. Ponte Pattoli (Perugia, Perugia), 90t, 123125. Ponte Rio (Todi, Perugia), 168, 197. Ponte San Giovanni (Perugia, Perugia), IX, 8, 9t, 19t, 39, 40t, 43t, 47-48, 55, 64,
Rabbi, valle, 157-158. Rapolano, vedi Rapolano Terme. Rapolano Terme (Siena), 33n, 35, 57t, 59n, 60n, 62. Ravenna, 14, 15t, 158. Reatina, conca, 192. Reatino, 9, 82, 109-110, 120. Recanati (Macerata), 2, 4t, 7t, 19t, 139, 140t. Reggio, vedi Reggio Emilia. Reggio Emilia, 32. Rieti, V, VII, XI, 6, 9t, 55, 82, 89, 95, 104, 107-110, 110t, 111, 111n, 112, 112n, 113, 114n, 115, 117, 120, 141-142, 142n-143n, 146, 169t, 170n, 176t, 179, 179n, 180, 182-183, 189n-190n, 192193, 195, 196. Rivanazzano (Pavia), 177. Rocca di Corno (Antrodoco, Rieti), 114. Rocca San Casciano (Forlì), 157, 157t, 158, 160. Roccasecca (Frosinone), 108, 110. Roma, V, VIII-X, 1-2, 2n, 3, 4t, 6, 7t, 8-9, 9t, 10, 10n, 11, 12t, 13-14, 15t, 15n, 16, 16n, 17, 19t, 20-21, 21n, 22, 23t, 24, 25n, 26-27, 27n, 28, 28n, 29, 29n,
31-34, 36, 38-39, 40t, 43t, 44, 46, 48, 51, 51n, 53, 54, 54n, 55, 57t, 58, 6265, 67, 72-73, 75-77, 78t, 79, 79n, 80, 82-83, 85n-86n, 87, 87n, 90t, 95-98, 102, 105-108, 108n, 109, 110t, 111, 111n-112n, 113, 113n, 114, 118, 120121, 124, 126, 128, 134-138, 138n, 140, 140t, 141, 142n, 143, 143n, 147, 149, 155, 158, 160, 162, 163t, 165n166n, 167t, 168, 169, 169t, 170n, 172, 173n, 174, 176t, 179, 181-183, 185186, 188, 189n, 190, 190n, 193, 195196, 197n, 198. Romagna, 77n, 161. Ronco, valle, 158-159. Rotterdam (Paesi Bassi), 149. Roversano (Forlì), 81. Sabina, I, 55, 76, 106, 106n, 110t, 115, 146, 179, 182-183, 189, 190n. Sabini, monti, 107. Salarco (Arezzo), 57t, 58, 58n, 59, 59n, 63, 64n, 67. Salaria, via, 9, 143n. Salcheto (Siena), 57t, 58. Salto, valle, 109. San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno), 143n. San Gemini (Terni), 23t, 90t. stazione, 15n. San Giovanni del Pantano (Perugia, Perugia), 90t. San Giovanni Valdarno (Arezzo), 57t. San Giustino (Perugia), 84t, 157, 170n. San Marco, vedi Perugia, 124. San Niccolò di Celle (Perugia, Perugia), 90t, 124. San Piero in Bagno (Forlì), 78t, 157, 157t, 158. San Secondo (Montone, Perugia), 84t. San Severino, San Severino Marche. San Severino Marche (Macerata), 4t, 7t, 19t, 138n, 140t. San Venanzo (Terni), 66, 105. San Zeno (Forlì), 157. Sansepolcro (Arezzo), XIII-XIV, 9t, 10, 38, 76, 78t, 79-81, 81n, 83n, 84t, 156-157, 157t, 160-161, 166, 169t, 170n, 190, 190n, 191, 193, 197. valico, 190n.
Indice dei nomi di luogo
strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
78t, 79, 80, 90t, 92, 95, 124, 127, 129, 131n, 132, 132n, 133, 135, 148, 151152, 154, 154n, 168, 169t, 170n, 172, 173n, 174, 190n. stazione, 103, 118, 159. Ponte Valle Ceppi (Perugia, Perugia), 43t, 44. Ponticino (Arezzo), 59n. Popoli (Pescara), 108-109, 110t, 111n. Porretta (Modena), 2, 42. valico, 3, 80. Porta dell’Elce, vedi Perugia. Porta Santa Croce, vedi Perugia. Porto Civitanova, vedi Civitanova Marche. Porto Recanati (Macerata), 3, 4t, 7t, 15t, 15n, 19t. Porto Santo Stefano (Monte Argentario, Grosseto), XIII, 163t, 164-165, 189. porto, 161. Posta (Rieti), 110t, 176t, 179n. Potenza, fiume/valle, 3, 6-7, 10, 13-14, 15n, 18, 22, 25, 82. Prato (Firenze), 32. Puglia, 1, 165n.
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strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
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Sant’Anatolia, vedi Sant’Anatolia di Narco. Sant’Anatolia di Narco (Perugia), 176t, 181182. Sant’Angelo in Vado (Pesaro e Urbino), 78t. Santa Maria degli Angeli (Assisi, Perugia), 3, 16, 19t, 22. Santa Maria di Cenerente (Perugia, Perugia), 90t. Santa Sofia (Forlì), 78t, 157t. Saonda, torrente, 8. Sardegna, 135, 184, 188. Sarsina (Forlì), 78t, 81. Sassoferrato (Ancona), 3, 4t, 8, 9t, 16, 19t, 183n. Saturnia (Grosseto), 163t. Savio, fiume/valle, 80, 157-158. Scansano (Grosseto), 117, 162, 163t. Scheggia, vedi Scheggia e Pascelupo. Scheggia e Pascelupo (Perugia) 3, 4t, 8, 9t, 19t, 183n. Selci, vedi Selci Lama. Selci Lama (San Giustino, Perugia), 84t, 117-118. Sella di Corno (L’Aquila), 114n. Senigallia (Ancona), 183n. Sentino, fiume/valle, 3, 8. Serra, torrente, 8, 25. Serra San Quirico (Ancona), 3, 4t, 7t, 9t, 19t, 140t. Serravalle (Norcia, Perugia), 176t, 179. Serravalle di Chienti (Macerata), 3, 4t. Siena, 3, 10, 12t, 31n, 33n, 34-35, 56, 56n, 107. Sinalunga (Siena), 35, 57t, 56, 59n, 166, 168, 169t. Somma, controcatena/valico, 3, 8, 9t, 22, 28. Sorano (Grosseto), 163t. Sordo, valle, 185. Spello (Perugia), 16, 19t, 40-41. stazione, 103. Spoletino, 11. Spoleto (Perugia), VII, XI-XIII, 3, 4t,, 7, 10, 11n, 14, 14n, 15t, 15n, 17, 17n, 18, 20, 23-28, 28n, 29, 52, 54n, 55, 103, 109-110, 110t, 139, 139n-140n, 140t, 141-142, 142n, 143, 143n, 145, 168, 169t, 170n, 175, 176t, 179, 179n, 180, 180n-181n, 182-183, 185-186, 188, 195.
Apparati
stazione, 15n, 143. valle, 143. Stia (Arezzo), 78t, 80, 128, 155, 155n, 157t. Suez, canale/ istmo, 2, 4. Sulmona (L’Aquila), 82, 107, 110t, 111n, 114, 176t. Talamone (Orbetello, Grosseto), 117, 120, 120n, 162-163, 163t, 164, 170, 174, 186, 221, 222. Tarvisio, valico, 2. Tavernelle (Piegaro, Perugia), 166, 167t, 171n, 174-175, 175n, 197. Teramo, 183. Termoli (Campobasso), 3. Ternano, 82, 182, 189. Terni, V, VII, IX, XI-XII, 3, 4t,, 6, 8, 9t, 10, 14, 14n, 15t, 15n, 22, 23t, 25-26, 28, 51-52, 54, 54n, 55, 75, 82, 88-89, 90t, 91-93, 93n, 94-95, 103-105-106, 108, 108n, 109, 110t, 111, 111n-112n, 114, 117-119, 121, 121n, 122, 124-125, 125n, 126, 128, 128n, 129-131, 133134, 134n, 135, 137-139, 140t, 141142, 142n, 143, 147, 150, 152-153, 163t, 168, 169t, 170n, 175, 176t, 177, 180-182, 185-186, 189n-190n, 192193, 195-197, 197n. stazione, 15n, 118, 175, 196. Terontola (Cortona, Arezzo), IX, XI, 48, 55, 57t, 59, 65, 65n, 75, 82, 92, 94, 99, 100tb, 101, 101tb, 102, 102n, 103, 105, 108n, 117-118, 112n, 124n, 131, 136, 166, 168, 169t, 170, 173, 191n, 195, 197. stazione, 68-70, 73, 167. Terra del Sole (Forlì), 157, 157t, 160. Tevere, fiume/valle, VII, IX, 3, 6-10, 13, 15n, 22, 24-26, 36, 38-39, 44, 47-48, 55, 76, 76n, 79, 80n, 81, 83, 88-94, 98, 104-105, 105n, 107, 118, 120, 123-124, 126, 129, 130n, 133, 135, 143n, 147, 157, 165n, 168, 188, 190, 190n, 195. ponte sul fiume, 148n. Tezio, monte, 90. Tiberina, valle, XI, 22, 26, 92, 124, 128, 132, 135, 162, 190n, 195. Tifernate, 156. Tirreno, mare, 5, 26, 42, 118, 120, 161, 165, 186-187.
Umbertide (Perugia), IX, XI, XIII, 8, 9t, 16, 19t, 39, 40t, 43t, 44, 76-77, 78t, 79, 81, 84t, 88, 88n, 89-90, 90t, 92, 104105, 117-121, 121n, 122-124, 124n, 125-129, 131, 131n, 132, 132n, 135, 147, 148n, 150, 152-153, 155-158, 157t, 158n, 159-161, 169, 169t, 169n170n, 176t, 189, 191, 195, 197. Umbra, valle, 2, 7-11, 25-26, 54, 92, 162, 195.
Umbria, V, VII-IX, XI-XIV, 1-2, 6, 13, 18, 20, 23, 27, 31, 31n, 36-37, 41-42, 45, 5051, 53-56, 59, 67, 75-77, 79-80, 86n87n, 93n, 97, 106-107, 109, 111n, 114, 117-120, 120n, 132-135, 136n, 138139, 143n, 145n, 153, 155, 160n, 161162, 166, 168, 172-174, 182-184, 186187, 189, 190n, 192-193, 195-198. Urbania (Pesaro e Urbino), 78t. Urbinate, 23. Urbino (Pesaro e Urbino), 78t, 117. Vacone (Rieti), 9, 9t. Val d’Arno, 10, 29. Val di Chiana, 10, 29. Val di Pierle, vedi Valdipierle. Val di Tevere, vedi Tevere. Valdarno, 59. Valdichiana, 58. Valdipierle, 39, 41-42, 44-46, 48, 76, 98, 124. Valfabbrica (Perugia), 19t, 168, 169t, 170n, 183n. Valle di Pierla, vedi Valdipierle. Vallo di Nera (Perugia), 110t. Valnerina, strada, 144, 175. Valnerina, XIII, 25, 28, 118, 120, 137-139, 141, 175, 177, 179, 195-196. Varano (Ancona), 141. Varsavia (Polonia), 198. Varzi (Pavia), 177. Velino, conca/fiume/valle, XIV, 143n, 145, 183, 189n, 193. Velletri (Roma), 15t. Veneto, 13, 79. Venezia, XIII, 1-3, 42, 78t, 79-80, 82-83, 95, 97, 158, 160, 169, 188, 198. Ventimiglia, valico, 75. Vercelli, 1. Verona, 95. Vestfalia (Germania), 196. Vetralla (Viterbo), 11, 12t. Vicenza, 137. Vico, lago, 11. Vienna (Austria), 198. Ville (Arezzo), 84t. Visso (Perugia), 137-140, 140t, 143, 176t, 181, 188. Viterbo, 3, 9, 11, 12t, 31, 31n, 66n, 143. Voghera (Pavia), 177.
Indice dei nomi di luogo
strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
Tivoli (Roma), 82, 111n, 114. Todi (Perugia), XII-XIII, 9, 9t, 22, 23, 23t, 24, 24n, 25-27, 55, 78t, 79, 81, 88-89, 90t, 91-95, 104, 104n, 105, 117-119, 121-122, 124, 124n, 125-129, 131, 131n, 132-134, 136n, 142-143, 148n, 150, 151n, 152, 162-163, 163t, 165, 165n, 166, 170n, 173, 193, 197. stazione, 164. Tolentino (Macerata), 4t, 82, 137, 138n, 138-139, 140t, 143. Topino, fiume/valle, 6-7, 10, 14-15, 15n, 18, 20, 22, 25-27. Torgiano (Perugia), 7-9, 23, 23t, 26-27, 64, 90t, 92, 195. Torino, 1, 41. Torricella (Magione, Perugia), 47-48. Torrita, vedi Torrita di Siena. Torrita di Siena (Siena), 33n, 35, 57t, 58, 58n, 59n, 62, 117-118. Toscana, 2n, 6-7, 11, 17, 27, 29, 32-33, 3839, 45, 47-48, 50-51, 55, 58, 65, 76, 77n, 109, 118, 120n, 135-136, 141, 160n, 161, 168, 172, 186. Trasimeno, lago/valle, III, 2, 6, 8, 10, 27, 30, 38-39, 41, 43-44, 46-48, 63, 76, 98, 124, 172. Trestina (Città di Castello, Perugia), 84t. Tre Mulini, 166. Treia (Macerata), 7t, 19t. Trevi (Perugia), stazione, 15n, 103. Trieste, 1-2, 190n. Triponzo (Preci, Perugia), 141, 176t, 181. Tronto, fiume/ valle, 6, 10, 143n. Tuoro, vedi Tuoro sul Trasimeno. Tuoro sul Trasimeno (Perugia), 9t, 40t, 43t, 57t, 58-59, 59n, 61-65, 67. stazione, 103.
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Abruzzo, 108. Acquapendente, 162. Acquasparta, 104, 134. AEG Thomson Houston, vedi Compagnia Generale di Elettricità. Altieri-Conti-Ferlini, gruppo, 24. Amelia, 133, 136n. Amministrazione dei Lavori Pubblici, 180. Amministrazione Ponti e Strade di Francia, 25. Amministrazione Provinciale dell’Umbria, vedi Provincia dell’Umbria. Ancona, 10n, 45, 118, 138. Archivio di Stato di Rieti, 106n. Arezzo, 30, 32, 80. Arrone, 175. Ascoli Piceno, 107, 109, 114, 179. Assemblea costituente della Repubblica Romana, 22n. Associazione “Pro-Perugia”, 143n, 173n. Avezzano, 113, 142n. Azienda Elettrica Municipale di Terni, 189n. Bagno di Romagna, 80, 155. Bagnorea, 11, 31n. Banca di Perugia, 132n. Banca Generale Romana, 70. Banca Nazionale del Regno d’Italia, 68. Banca Nazionale Toscana, 68. Banca Popolare di Milano, 70. Banca Toscana, 66. Bastia Umbra, 40. Bastogi, vedi Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali. Bevagna, 162, 165. Borgo Sansepolcro, 96. Brufani, ditta, 132n. Cambio, vedi Collegio del Cambio. Camera, vedi Camera dei Deputati. Camera dei Deputati, 22n, 60-61, 70, 81, 143n.
Apparati
Camera di Commercio de L’Aquila, 112. Camera di Commercio dell’Umbria, vedi Camera di Commercio e Industria dell’Umbria. Camera di Commercio di Arezzo, 112. Camera di Commercio di Bari, 112. Camera di Commercio di Civitavecchia, 5n. Camera di Commercio e Industria dell’Umbria, 113n, 143n, 173, 174n, 186, 186n, 187n, 188-191, 191n, 197. Camera di Commercio e Industria di Siena, 170n. Camera di Commercio ed Arti di Foligno, 111, 111n, 112, 112n, 142n. Camera di Commercio ed Arti di Siena, 162. Camerino, 140. Casavaldés, vedi Società Generale delle Strade Ferrate Romane. Caserta, 113. Cassa Depositi e Prestiti, 71, 151, 154. Cassa di Risparmio di Firenze, 33. Cassa di Risparmio di Perugia, 28, 28n, 66, 109. Cassa di Risparmio di Siena, 33. Cassa di Risparmio di Terni, 70. Cassa di Risparmio, vedi Cassa di Risparmio di Perugia. Castiglione del Lago, 40, 60. Centrale, vedi Società della Centrale Toscana. Centrale Toscana, vedi Società della Centrale Toscana. Centro Regionale Umbro di Ricerche Economiche e Sociali (CRURES), 195n. Cesena, 96 Cesi, 104, 154. Cetona, 60. Chiusi, 60, 63, 174n. Citerna, 91. Città della Pieve, 11, 31n, 60. Città di Castello, 80, 85, 85n, 91, 93, 127, 127n, 158-159.
Commissione Consultiva per le Strade Ferrate, 4, 4n, 11-14. Commissione Economica per l’Europa, vedi Nazioni Unite. Commissione Generale del Bilancio, 61, 64. Commissione per lo Studio del Piano Regolatore delle Ferrovie dell’Italia Centrale, 160, 160n, 164n, 165, 165n, 174n, 183n. Comitato di difesa cittadino, 66n. Comitato per la Rieti-Corese, 113-114. Comitato per l’elettrificazione e trasformazione della Arezzo-Fossato, 172. Comitato tuderte, 104. Compagnia Generale di Elettricità, 154. Compagnia Reale Sarda, 50. Complementari, vedi Società Generale per le Ferrovie Complementari. Congregazione di Carità di Perugia, 109. Congresso nazionale degli ingegneri ferroviari, 166n. Consiglio, vedi Consiglio dei Ministri. Consiglio degli Ingegneri, 30. Consiglio dei Ministri, 16, 21, 81. Consiglio Provinciale, vedi Consiglio Provinciale dell’Umbria. Consiglio Provinciale dell’Umbria, 56, 58n, 59, 61, 67, 69, 71, 73, 80n, 82, 89, 9294, 107, 117, 119, 130n, 133, 133n, 141, 148, 150-151, 151n, 162, 164-165, 180. Consiglio Provinciale di Macerata, 140. Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, 46, 63, 64n, 84, 91, 104, 113, 121, 126127, 127n, 145, 145n, 147, 160, 162, 164, 164n, 165, 181-183. Consorzio a favore della Società per le Ferrovie dell’Appennino Centrale, 87n. Consorzio per la ferrovia a scartamento normale Rieti-Passo Corese, 89. Consorzio per la Ferrovia Adriatico-Tiberina, 96, 96n. Consorzio per la Ferrovia Centrale Umbra, XII, 136, 136n, 147, 148n-149n, 150, 160. Consorzio per la Ferrovia Chiento-Nerina, 139. Consorzio per la Ferrovia Fossato-Gualdo Tadino-Perugia-Chiusi, 174n.
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Cittaducale, 142n. Collegio degli Ingegneri, 175. Collegio del Camuio, 109. Collegio della Mercanzia, 109. Collestatte, 175. Comitati Etrusco-Romani, 30, 31n. Comitato di Difesa Cittadino, 66n. Comitato esecutivo per il tronco OrvietoOrbetello, 165. Comitato interregionale, 174, 183. Comitato per la costruzione della ferrovia Umbertide-Perugia-Todi-Baschi, 124, 124n. Comitato per la ferrovia Chiento-Nerina, 141, 145. Comitato per la Ferrovia Umbro-Maremmana, 162. Comitato per la montagna, 185. Comitato per la Rieti-Corese, 114. Comitato per la Umbertide-Forlì, 155-158, 158n, 160. Comitato permanente per gli studi ferroviari della provincia di Venezia, 81. Comitato permanente per l’incremento degli interessi umbro-marchigiani, 173, 188, 197. Comitato pro ferrovia Umbertide-Forlì, 156, 160. Comitato promotore della ferrovia umbroaretina a sezione ridotta, 83-85, 88. Comitato promotore per la ferrovia dell’alto Tevere, 79, 79n, 88. Comitato promotore per la ferrovia dell’Assino, vedi Comitato promotore per la ferrovia dell’alto Tevere. Comitato promotore per la ferrovia trasversale Foligno-Todi-OrvietoTalamone, 162. Comitato romano per la tramvia elettrica Terni-Visso-Norcia-Cascia, 181. Comitato toscano per la costruzione di una linea ferrata da Siena ai confini pontifici sotto Città della Pieve, 30. Comitato umbro-marchigiano, 173n, 188n, 189. Commissariato Generale dei Combustibili Nazionali, 170, 174. Commissariato Generale per le Ferrovie, 29.
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Consorzio per la Ferrovia Umbro-Aretina Arezzo-Fossato, 89, 121. Consorzio per la Ferrovia Umbro-Aretina, 85, 85n, 86, 86n-87n, 121n. Consorzio per la linea da Bucine a Rapolano, 60n. Consorzio per la linea Gualdo-Chiusi, 173174. Consorzio per la linea Rieti-Corese, 115. Consorzio per la linea Talamone-Allerona, 162-164. Consorzio per la linea Todi-Amelia-Orte, 134. Consorzio per la linea Todi-Terni, 105-106, 125-126, 126n, 128. Consorzio per la linea Umbertide-Baschi, 105, 129. Consorzio per la Umbertide-Perugia, 89, 91n, 92. Consorzio per una linea economica da Umbertide a Terni, 92. Consorzio promosso da Peruzzi, 61. Consorzio promosso dal Comune di Chiusi, 61, 63. Consorzio provvisorio per la costruzione della linea ferroviaria dell’alta e bassa valle del Tevere, 130n. Consorzio tra i Comuni altotiberini, 81. Consorzio tra i Comuni di Bagno di Romagna, Pieve Santo Stefano, Sansepolcro, Città di Castello e Umbertide, 80. Consorzio umbro-toscano, 60. Cortona, 31n, 39, 58, 61-62. CRURES, vedi Centro Regionale Umbro di Ricerche Economiche e Sociali. De Dion, ditta, 178. De Dion-Bouton, stabilimento, 177. De Flers, società francese, 33. Deputazione, vedi Deputazione delle Provincie Etrusco-Romane e Provincia dell’Umbria. Deputazione Amministrativa, vedi Provincia dell’Umbria. Deputazione delle Provincie EtruscoRomane, 30, 31n. Deputazione Provinciale, vedi Provincia. Deruta, 91-94, 94n, 105, 105n. Direzione Generale delle Ferrovie, 152.
Apparati
Direzione Generale delle Strade Ferrate, 86n87n. Direzione Generale delle Strade Ferrate Romane, vedi Società delle Strade Ferrate Romane. Ducato di Modena, 31. Ducato di Parma, 31. Ducato di Spoleto, 20. Emilia, governo provvisorio, 77n. Fabriano, 17. Fabro, 60. Fell, ditta, 137. Ferdinanda, vedi Società Ferdinanda. Ferentillo, 175. Ferrovie dello Stato, 166n, 174. Firenze, 59, 60n, 62. Foligno, 7, 10, 21, 21n, 28, 40, 111n, 112. Forlì, 96. Fossato, 173n-174n. Fratta Todina, 133, 148n. Genio Civile, 59, 63, 77, 77n, 82n, 179. Genio Militare, 14n, 93, 112. Giunta Amministrativa, vedi Provincia. Giunta di Revisione del Censo, 6. Granducato, vedi Granducato di Toscana. Granducato di Toscana, 2, 6, 10, 13, 29, 3132, 33n, 37, 85. Gualdo Cattaneo, 162. Gualdo Tadino, 173n-174n. Gubbio, 17, 129, 129n, 174n. Henry Fochen, Morgan e C., ditta, 139. Hotel Brufani, direzione, 136. Impresa Costruttrice B. Spagnoli, Comelli e Comp., 47n. Impresa Trasporti per la Montagna di Spoleto, 179. Isola Liri, 113. Ispettorato generale delle Strade ferrate, 126n. Istituto Geografico Militare, 145n. L’Aquila, 107, 107n, 109, 112-113, 113n, 142n. Leonessa, 180, 180n.
Macerata, 118, 138, 141. Magliano de’ Marsi, 113. Maremmana, Società Maremmana. Marsciano, 104, 133, 148n, 154, 171. Marsigli, ditta, 146. Martini e Lattanzi, impresa, 87. Massa Martana, 104, 134. Maynard e Cooke, ditta, 104, 104n, 130. Mediterranea, vedi Società Italiana per le Strade Ferrate del Mediterraneo. Mercanzia, vedi Collegio della Mercanzia. Ministro, vedi Ministero. Ministero dei Lavori Pubblici, 24, 26, 28n29n, 38n, 40-41, 41n, 44, 44n, 46, 46n-47n, 52, 53n, 54, 56, 61, 62n, 64n, 67, 73, 76n, 79n-80n, 81, 86, 91, 96-97, 98n, 103n, 109, 111n, 113n, 128, 141, 142n, 148, 149n, 152, 153n, 160, 160n, 164n-165n, 166, 167n, 172, 174n, 179, 179n, 180, 183n. Ministero del Tesoro, 60n, 147, 149, 149n. Ministero dell’Industria Commercio e Lavoro, 171. Ministero dell’Interno (del governo toscano), 24, 27n. Ministero della Guerra, 63. Ministero delle Finanze, 49, 67. Monte dei Paschi, 33, 48. Monte di Pietà di Perugia, 48. Montecastello di Vibio, 133, 148n. Montecastrilli, 134. Montecatini, 190. Montecitorio, 170n. Montefalco, 40, 162. Montefiascone, 31n. Montefranco, 175. Monteleone d’Orvieto, 60. Napoli, 109. Nazioni Unite, 198. Commissione Economica per l’Europa, 198.
Norcia, 140, 181. Orvieto, 11, 31, 31n, 35, 37-38, 56, 60, 62, 62n, 63, 63n, 102, 125n, 133, 162. Paciano, 60. Panicale, 60, 171, 174n. Parlamento, 31n, 58n, 73, 81, 97, 102, 133, 135. Perugia, VI-VII, XI-XII, 6, 10-11, 16, 16n, 1718, 20-21, 27-28, 28n, 31n, 32, 32n, 3334, 37-38, 38n, 39, 41, 41n, 46-48, 56, 60-61, 61n, 80, 82n, 88, 88n, 89, 89n90n, 91, 91n, 94, 94n, 96, 98, 98n-99n, 102-103, 103n, 104, 104n, 105, 105n, 106, 106n, 112, 112n, 113, 119, 121, 121n, 123-124, 124n, 125, 125n, 126127, 127n, 128n, 129, 129n, 130-131, 131n, 132-133, 133n, 134, 134n, 135, 135n, 136, 136n, 148n, 149, 151n, 153, 155-156, 163-164, 164n, 167, 170, 171, 171n, 173n, 174n. Pesaro, 96. Pescara, 112. Pia Cassia, 31, 38. Pia, vedi Società Pia Latina. Piediluco, 175. Piegaro, 136, 171, 174n. Pieve Santo Stefano, 80. Pio Centrale, vedi Società Pio Centrale. Pio Latina, vedi Società Pio Latina. Polino, 175. Pontificio, vedi Stato Pontificio. Preci, 175. Prefettura, vedi Prefettura dell’Umbria. Prefettura dell’Umbria, 131. Presidenza del Consiglio, 149. Presidenza Generale del Censimento, 138n. Pro Umbria, XIII, 173, 143n, 185-186, 189, 197. Provincia de L’Aquila, 112-113. Provincia dell’Abruzzo Ultra Secondo, 108, 111n. Provincia dell’Umbria, IX, 11, 31n, 37, 41, 52, 55-56, 58, 58n, 59, 62-63, 65, 65n, 66-67, 67n, 68, 68n, 69, 69n, 70, 70n, 71, 71n, 72, 72n, 73, 73n, 80, 85n, 8889, 89n, 90-91, 91n, 92, 92n, 93-94, 94n, 95-97, 96n, 103, 103n, 105, 105n,
Indice dei nomi di società, enti, istituzioni e associazioni
strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
Leopolda, vedi Società della Strada Ferrata Leopolda. Livornesi, vedi Società delle Ferrovie Livornesi. Livorno, 45. Lombardo-Veneto, 2n, 13.
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108-109, 112-113, 117-121, 128, 130, 132-133, 134n, 135, 136-137, 137n, 139, 139n, 141, 142n, 144-145, 145n, 146-147, 147n, 148, 150, 150n, 151, 151n, 152, 152n, 153-154, 156n, 158, 158n, 162, 162n, 164-165, 165n, 168, 172n, 174, 174n, 175, 177, 177n, 184, 188n-189n, 192. Provincia di Ancona, 118, 138. Provincia di Arezzo, 58, 61-63, 85n. Provincia di Ascoli, 179. Provincia di Caserta, 113. Provincia di Firenze, 60, 60n, 63, 166n. Provincia di Grosseto, 60n. Provincia di Macerata, 82, 118, 138, 139n. Provincia di Pesaro e Urbino, 77. Provincia di Ravenna, 96. Provincia di Rieti, 107. Provincia di Roma, 96, 189n. Provincia di Siena, 60n, 61, 170n, 174. Provincia di Terni, 189n. Provincia di Venezia, 83, 96. Ravenna, 96, 159. Regno, vedi Regno d’Italia. Regno d’Italia, IX, 38, 44, 46-47, 50, 55, 62, 68, 99, 107-108, 161. Regno delle Due Sicilie, 49. Regno di Napoli, 5, 14. Reverenda Camera Apostolica, 6n. Rieti, VIIIn, 6, 20, 37, 106, 106n, 107-108, 111, 111n, 112-113, 113n, 114, 142n, 146, 189n. Roma, 29, 33. Romane, società, 51, 68, 70, 72, 103. Rovigo, Provincia, 96. Sacra Rota, 25n. Salamanca, vedi Società Salamanca. San Casciano, 60. San Gemini, 104, 134. San Venanzo, 133. San Vito in Monte, 133. Sansepolcro, 77, 80. Sant’Angelo in Vado, 77. Santa Sede, 8, 31. Sarteano, 60. Scansano, 117, 162. Segreteria di Stato, 4, 4n, 21.
Apparati
Segreteria generale del Ministero dei Lavori Pubblici, 38n. Senato, 65. Servizio Costruzioni delle Ferrovie dello Stato, 170. SICCAG, vedi Società Italiana per il Carburo di Calcio l’Acetilene ed altri Gas. Siena, 60n, 174n. Società ‘Altieri e De Rossetti’, 16n. Società Anonima della Strada ferrata da Roma a Frascati, 29n. Società Anonima Umbro-Sabina, 79, 79n. Società Banzi-Fabbri, 22. Società Casavaldés, vedi Società Generale delle Strade Ferrate Romane. Società d’intrapresa dei lavori, 85n. Società della Centrale Toscana, 30, 31n, 33, 49, 51, 55, 109. Società della Strada Ferrata Leopolda, 10, 29, 33, 39. Società delle Ferrovie Livornesi, vedi Società delle Strade Ferrate Livornesi. Società delle Ferrovie Romane, 69. Società delle Imprese Elettriche, 177. Società delle Strade Ferrate Calabro-Sicule, 50. Società delle Strade Ferrate dell’Alta Italia, 50. Società delle Strade Ferrate Livornesi, 39, 44, 46, 48, 51. Società delle Strade Ferrate Livornesi, sezione di Perugia, 58. Società delle Strade Ferrate Lombarde e dell’Italia Centrale, 49. Società delle Strade Ferrate Meridionali, 50, 108, 110-111, 114. Società delle Strade Ferrate Romane, 38, 47n, 50, 51n, 54, 54n, 56, 60, 62, 62n, 64, 67-72, 98-99, 99n-101n, 102, 103n, 110, 112, 142n. Società di Bologna, 16n, 21n. Società Ferdinanda, 33-36, 39. Società Ferrovie Complementari, vedi Società Generale per le Ferrovie Complementari. Società Generale, vedi Società Generale d’Imprese Industriali Italiane. Società Generale d’Imprese Industriali Italiane, 24. Società Generale delle Strade Ferrate Romane, 25-26, 34, 38, 38n, 48, 52-53.
Spello, 40. Spoleto, VII, 6, 8, 10-11, 16, 16n, 17, 20, 28, 28n, 37, 40, 56, 106n, 112, 113n, 140, 142-143, 143n, 144, 144n, 145, 145n, 177, 177n, 178, 178n, 179-180, 180n, 181, 181n, 186. Stato della Chiesa, vedi Stato Pontificio. Stato Pontificio, 1-2, 4-5, 5n, 6, 8, 12-13, 24, 34, 138. STET, vedi Società per le Tramvie Elettriche di Terni. Strada Ferrata dell’Italia Centrale, 32. Strada Ferrata Ferdinanda da Firenze agli Stati Romani per Arezzo, vedi Società Ferdinanda. Sulmona, 107n. Teramo, 107, 109, 114. Terni, XII-XIV, 10, 40, 94, 104, 107, 112113, 113n, 127, 127n, 130, 131n, 134135, 140, 142n, 154, 175, 189, 189n. Terra di Lavoro, 109. Tesoro, vedi Ministero. The Italian Railway Construction Syndacat Limited, 147. Todi, 40, 80, 106, 123, 125n, 126, 133, 148, 148n, 151n, 162. Tolentino, 140. Torgiano, 154. Torre Orsina, 175. Toscana, governo provvisorio, 77n. Trevi, 40. Trezza, ditta, 95. Umbertide, 80, 91, 93, 124, 124n, 126-127, 128n, 129, 129n, 130, 132n, 135, 135n. Umbria, 20, 37, 61, 106n. Umbro-Perugina, presidenza della Società Nazionale, 14. Unione dei Partiti Popolari, 178. Unione Liberale Monarchica, 124, 124n. Università, vedi Università degli Studi di Perugia. Università degli Studi di Ancona, V. Università degli Studi di Macerata, V. Università degli Studi di Perugia, V, 109. Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, V.
Indice dei nomi di società, enti, istituzioni e associazioni
strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
Società Generale per le Ferrovie Complementari, 86, 86n, 87, 87n, 95. Società Italiana di Elettricità Thomson Houston, 181. Società Italiana per il Carburo di Calcio, 154, 154n, 176-177, 196. Società Italiana per il Carburo di Calcio Acetilene e altri Gas, vedi Società Italiana per il Carburo di Calcio. Società Italiana per le Strade Ferrate del Mediterraneo, 151-153, 153n, 154, 154n, 156n. Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali, 49, 49n, 107n, 151, 153, 154n, 156, 169. Società Italiana di Elettricità Thomson Houston, 176t. Società Maremmana, 51. Società Nazionale, vedi Società Nazionale per le Strade Ferrate nello Stato Pontificio. Società Nazionale di Ferrovie e Tramvie, 165. Società Nazionale per le Strade Ferrate nello Stato Pontificio, 14, 14n, 15t, 16n, 18, 21, 24. Società Nursina dei Trasporti, 178-179. Società Operaia di Mutuo Soccorso di Umbertide, 156n. Società per le Ferrovie dell’Appennino Centrale, 87, 87n, 126, 132, 153-154. Società per le Ferrovie dell’Appennino, vedi Società per le Ferrovie dell’Appennino Centrale. Società per le Tramvie Elettriche di Terni, 177. Società Pia Latina, 24, 29n, 33. Società Pio Centrale, 27, 29, 34-36, 52. Società Pio Latina, 29, 29n, 38, 52. Società Principe Conti e Compagni per le Strade Ferrate nello Stato Pontificio, vedi Società Nazionale per le Starde Ferrate nello Stato Pontificio. Società Principe Doria e Comp, 16n. Società Salamanca, 54. Società Subalpina di Imprese Ferroviarie, 181. Società Terni, XIII-XIV, 189, 189n. Società York, 54. Societè Belge des Chemins de fer, 87.
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Verghereto, 157. Visso, 140. Viterbo, 11.
Valfabbrica, 174n. Venezia, 83, 96.
York, vedi Società York.
strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
Università degli Studi di Siena, V. Urbania, 77. Urbino, 77.
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Apparati
Indice dei nomi di persona
Abbiati Ercole, 158-159, 159n. Abbiati-Casini, 159. progetto, 157t, 160. Abbiati-Ferroni, progetto, 163t. Abbondanza Roberto, 37n, 106n. Agostini G.C., 16n. Alberti Luigi, 85. Altieri, principe, 24. Amici Venceslao, 179n, 182-183. progetto, 176t, 183n. Anaclerio, ditta, 95. Andreani Francesco, 119n, 130n. Anselmi Sergio, VIIIn, 1n, 138n. Ansidei Fabio, 28n. Ansidei Reginaldo, 79n, 93, 95. Antinori Alessandro, 34, 36. Antinori Spinello, 31n. Antonelli Giacomo, XIII, 10n, 20, 20n, 29n, 106n. Arca Petrucci Marcella, In, 99n. Arcangeli Domenico, XII-XIII, 143, 143n, 144-145, 178-179, 179n180n, 185-186, 186n, 189, 192, 192n. Argentieri Vittorio, 181. Arienti Alessandro, 88, 90, 92, 94, 122, 130, 133-134. progetto, 104. Auban Paolo, 85n. Baccarini, ministro dei Lavori Pubblici, 8182. disegno/progetto di legge/legge, 8283, 138. Baldasserroni Giovanni, 31. Baldelli Ulisse, 76n, 77, 77n, 78t. Baldeschi Eugeni Alessandro, 17, 28n. Balducci Michele, 41, 41n-42n. Balzani Roberto, VIIIn, 158n. Bandini Filippo, 56, 142, 142n. Bandini Guglielmo, 56, 59.
Bandini Policarpo, 35n. progetto, 57t, 143. Banzi Annibale, 16n, 21, 21n. Bardi Giuseppe, 30, 38. Barnabò Francesco, 17n. Bartoccini Fiorella, 22n, 31n. Bastianini Giuseppe, 191n. Bastogi Pietro, 49. Bavosi Giuseppe, 8, 8n, 9, 9t, 10, 14n, 1718, 19t, 20n, 38, 38n. Bella Giuseppe, 57t, 59, 79n. Bella Tancredi, 27n. Benedetti Francesco, 24. Bernabei, progetto, 176t. Bernabei Augusto, 180, 180n, 181. Berrini Mosè, 154. Berselli Aldo, 70n. Bertuzzi-Fazi, progetto, 163t, 165n. Bezzi Giovanni, 140t, 143-144, 145n. progetto, 176t, 177. Blasi Benedetto, 5n-6n. Bocci Pietro, 11, 11n, 12t, 31, 31n. Bonazzi Luigi, 36n. Bortolotti Lando, XIVn, 198n. Bourbon di Sorbello Emanuele, 17n. Bovini Gianni, 176n. Brufani Giacomo, 136n-137n. Bruni Francesco, 156, 156n. Buccolini Geralberto, 190, 190n. Buffetti-Berardi Arturo, 163, 165. Busacca, onorevole, 64n. Buttaro Paola Maria, VIIn. Cafagna Luciano, Xn. Calandrelli Alessandro, 143n. Calderini Nazareno, 27n, 33-34, 34n, 36. Calindri Ugo, 18. Calisse Giuseppe Luigi, 166-167, 166n, 168n, 169n, 174. Calisse-Fucci, progetto, 167t, 168, 169t, 171-172.
Indice dei nomi di persona
strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
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strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
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Campitelli Raffaele, 14n. Canciullo Giovanna, Xn. Caporioni Gerolamo, 138. Caporioni Venanzo, 138. Cappellari Barlomeo Alberto, 11n, 14, 106n. Caprale Giacinto, 104, 128n, 133n. Caracciolo Alberto, 5n. Caravale Mario, 5n. Carosso Carlo, 145n, 179-180, 180n. progetto/studio, 176t, 180-181, 186. Carozzi Carlo, 1n, 13n, 75n. Casali Giulio Cesare, 33-34, 35n, 36. Casini Gino, 158-159, 159n. Catoni Giuliano, 12n, 30n, 48n, 49, 49n. Cavour Camillo Benso, conte di,4, 4n. Cerroti Filippo, 18, 112, 112n, 113, 115. Cesari Cesare, 46, 57t, 58. Cherubini Claudio, 92, 92n, 93, 93n, 105, 130, 134-135, 135n, 149n, 153n, 156157, 157t, 159. progetto, 147. Cianelli Agostino, 132n. Cioci Adriano, VIIn, 47n-48n, 98n, 102n, 111n, 170n, 175n, 177n, 180n, 182n183n, 196n. Ciuffelli Augusto, 149, 149n, 151-152, 156n, 160n, 166, 171, 171n. Colapietra Raffaele, VIIIn. Coletti Ottavio, 78t, 93, 93n, 112, 112n, 113, 138. Conti, principe, 24. Conti Antonio, 137. Cooke, ingegnere, 121, 134, 147n, 149. Cooper Carl, 148. Coradini, progetto, 57t. Corsini Tommaso, 24. Covino Renato, VIIn, XIIIn, 37n, 144n, 158n, 185n, 189n, 192n-193n, 196n. Crispi Francesco, 77. Crispo Antonio, 2n, 49n-50n, 70n, 81n-83n, 96n-97n, 105n, 107n-108n, 123n, 134n-135n, 146n, 150n, 158n, 165n. Danzetta Giuseppe, 66, 66n. Danzetta Nicola, 36, 41n, 58n, 66n, 143n. Dari Cherubino, 85, 89. De Cornè Raffaele, 160. commissione, 166-167, 174, 182-183. De Flers Giacinto, 33.
Apparati
De Seta Carlo, XIVn, 198n. Depretis Agostino, 81-82. convenzione/disegno, 49. legge, 114. Devincenzi, ministro dei Lavori Pubblici, 63, 64n, 65. Devincenzi-Sella, progetto di legge, 60. Diocleziano Gaio Aurelio Valerio, 20. Donatelli Ottavio, 190, 190n. Donati Lorenzo, 172n. Drost John, 149, 149n. Duca di Bracciano, 31n. Dulfus Moser, 85. Eugenio, vedi Faina Eugenio. Fabbri Leopoldo, 16n, 21, 21n. Faina Carlo, 189n, 190, 190n. Faina Eugenio, 79n, 105, 119, 119n, 120, 120n, 121-122, 122n, 126, 130, 135, 184, 189. Faina Zeffirino, 66-67, 69, 79n, 104, 119n, 129, 129n. Fani Cesare, 102n, 105, 124-126, 156n. Fantacchiotti Leopoldo, 131, 131n, 137, 167t. Fell, ingegnere, 137. Fenoaltea Stefano, Xn. Fenzi Emanuele, 85. Fenzi Sebastiano, 85. Ferlini Angelo, 24. Ferretti Adolfo, 139n, 143n. Finali Gaspare, 96. Fontana Pietro, 17, 17n. Fossombroni, onorevole, 64n. Franceschini Lorenzo, 139. Francesconi Francesco, 56, 144n. Franchetti Leopoldo, 105, 126, 149n, 156n, 158n. Francolini Agostino, 143n. Fritz Giuliano, 3n, 8n, 55n, 144n. Froyer, ingegnere, 26, 28. Fucci Giuseppe, 166, 166n, 167, 168n, 169n, 174. Fuiano M.E., 22n. Furiozzi Gian Biagio, 36n-37n, 56n, 107n. Gadda Giuseppe, 31n, 111n. Galante Piero, 128n.
Hanke Maurizio, 179n. Insolera Italo, VIIIn. Ippolito Felice, 70n, 81n. Iraci Agostino, 191n. Jacini Stefano, 53n. Jacini, Inchiesta, XII, 136n. Lapi-Gigli, progetto, 84t, 85-86. Lapi Scipione, 83. Laschi Giuseppe, 44. Lattanzi Bernardino, 87. Laurenti Forti L., 139n, 167t. Laurenzi Angiolo Maria, 136, 136n, 137, 137n, 170n. Legru Ettore, 150, 164. Leopoldo II, 29, 32, 35, 38, 48, 55. Lesen, ingegnere, 140-141. Locatelli Ezio, 153n.
Lorenzetti Roberto, VIIIn, 6n, 106n, 111n, 114n, 142, 142n, 146n, 179n, 182n. Lowinger, banchiere, 112. Luzzatto Gino, Xn. Maioli, sindaco di Città di Castello, 159. Majoni Giulio, 191n. Maramotti Benedetto, 67. Mariotti Filippo, 140. Marsigli Adolfo, 146. Martini Matteo, 17-18. Masi Tullo, 159n. Mastai-Ferretti Giovanni Maria, VIII, 1, 24, 27. Maynard, 121. Melchiorri Giuseppe, 24. Melelli Alberto, In, 54n, 138n, 197n. Mercanti Luigi, 78t, 80n, 159. Mercurio Franco, VIIIn, X, Xn, 50n. Merger Michèle, Xn. Michel, ingegnere, 25-26. Michela Mario, 176. Micucci Luigi, VIIn, 153n-154n, 161n. Minciotti Tsoukas Claudia, 153n. Minetti Antonio, VIIIn, 1n, 10n, 128n, 138n. Minghetti Marco, 67. Mioni Alberto, 1n, 13n, 50n, 75, 75n, 97n. Mirès, banchiere, 52. Monaldi, ingegnere, 88. Monicchia Roberto, 79n. Monti Coriolano, 17-18, 22, 23t, 24, 26, 26n, 32, 32n, 33, 33n, 34, 39, 39n, 40, 40n, 48, 57t, 58-60, 64, 65n, 68, 78t, 79, 79n, 80, 80n, 81n, 83, 83n, 111n112n, 113, 113n, 114, 122, 128, 156, 195. progetto, 58. Monti Ildebrando, 130n. Morelli Angelo, 87. Morelli Pietro, 17. Mori A., 145n. Mori Giorgio, IVn. Muscolino Piero, VIIn, 87n, 197n. Mussolini Benito, XIV, 191. governo, 191. Negri Pietro, 1n, 4n, 16n, 21n-22n, 24n29n, 32n-33n, 38n, 51n-53n.
Indice dei nomi di persona
strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
Galasso Giuseppe, 5n. Gallenga Romeo, 170n, 171, 171n-172n. Galli Angelo, 6n. Gallo Giampaolo, 37n, 79n, 143n-144n, 158n, 185n, 189n, 192n-193n, 196n. Gambi Lucio, VIIIn, XIV, XIVn. Gandell, fratelli, 33. Garzi Mariano, VIIn, 87n, 153n, 197n. Giani Gisa, 93n. Gigli Leopoldo, 83. Gilardini F., 31n. Giolitti, governo, 185. Giorgini Michele, 99n. Giorgini, senatore, 44. commissione, 45-46. Giovio Filippo, 31n. Giuntini Andrea, VIIIn, 3n, 10n, 16n, 29n, 30, 30n, 32n, 34n-36n, 38n, 42n, 48n, 51n, 55n, 77n, 81n-82n, 83n, 85n, 128n, 158n. Giusti, progetto, 57t. Goretti Cesare, 18. Gori Pannilini Augusto, 31n, 35n. Gregorio XVI, vedi Cappellari Barlomeo Alberto. Grohmann Alberto, 54n, 98, 99n, 114n. Gualterio Filippo Antonio, 31n, 41-43. Guardabassi Francesco, 17n.
219
Nenci Giacomina, 66n, 119n-120n. Netti Aldobrando, 191n. Nobili-Vitelleschi Francesco, 136n.
strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
Odescalchi Pietro, 24. Ogliari Francesco, 55n, 138n, 154n, 177n, 179n., 181n. Onofri Alessandro, 17n. Orfei, monsignore commendatore di Santo Spirito, 31n. Orsini Tito, 132n. Ortis Giuseppe, 18.
220
Pagnani Fusconi Giuseppe, 140, 140t, 141, 180n. Palmegiani Francesco, 112n. Palmieri Cornacchia G., 150n-151n. Pantano Edoardo, 117, 121n, 126. Panzavolta Giuseppe, 158n. Paolucci Romolo, 133, 157, 159. Parenzi Giovanni, 17. Pasta, ingegnere, 88. Patrizi Ugo, 158n. Penchini Marco, 153n. Pepoli Gioacchino Napoleone, 36-38, 52-53, 53n, 106. decreto, 48. Peruzzi Ubaldino, 60-61, 66. Peruzzi-Colombo, progetto di legge, 133, 140, 146n. Petitti Carlo Ilarione, X, Xn, 1, 1n, 2, 2n, 3, 3n, 4, 4t, 9, 11-12, 14, 14n, 16, 17n, 22, 42, 42n, 54. Pettirossi M., 189n. Peyron Amedeo, 77, 78t. Pholmayer, ingegnere, 21. Pianciani Francesco, 28n. Pianciani Vincenzo, 17n. Pianigiani, progetto, 33n. Piccadori Carlo, 143n. Piccolomini, monsignore cameriere segretario, 31n. Pierangeli Giulio, 190, 190n. Pio IX, vedi Mastai-Ferretti Giovanni Maria. Poggi Odoardo, 17-18. Pollard Sidney, X, Xn. Pompeo di Campello, 17n. Pompilj Guido, XIII, 126, 156n. Porcaro Maria Rosaria, 189n.
Apparati
Portalupi d’Albavilla Napoleone, 88-89, 9195, 104, 138, 142. Possenti Pier Gaetano, 175. Potenziani, marchese, 31n. Principe di Canino, 31n. Proli Mario, 80n, 128n. Provinciali Paolo, 14n-15n. Prunieau Camillo, 85n. Puccioni Piero, 81n. Ranieri di Sorbello Uguccione, 66n, 136n. Ranieri Ruggero, 36, 36n. Ricasoli Bettino, 10, 29, 48. Ricci Busatti, progetto, 163t. Ricci Gianluca, 131n, 153n. Ridolfi Cosimo, 24. Rimini Guido, 77, 79, 81, 168, 168n, 169, 170n. progetto, 169t, 172. Rocchi Ulisse, XII, 89, 91, 93, 95, 104, 119, 125-126, 128n, 130n, 136, 148-149, 149n-150n, 151. Romeo Rosario, X, Xn. Rossetti Samuele, 132n. Rossi Passavanti Elia, 189n. Rotschild, gruppo, 33, 49-50, 50n. Rutili Gentili Antonio, 6, 6n, 7t, 10, 14, 18, 19t, 20n, 21. Sacuto Cesare, 47n. Salamanca Josè, 52, 52n, 54. Sanfermo Marco Antonio, 2n, 16, 42, 54. Santini Giuseppe, 88, 90, 132, 132n. Sapi F., 55n, 138n, 154n, 177n, 179n, 181n. Scagnetti Gustavo, 90, 130, 133. Schanzer Carlo, 143n, 180. Schanzer Luigi, 85n. Sella Quintino, 63. Sereni Emilio, X, Xn. Sereni Giambattista, 21n. Sheibner Charles P., 85, 85n, 88, 88n, 89, 91, 91n. Siben, progetto, 57t. Siben, ingegnere, 61. Sili Cesare, 140, 140n. Silingardi-Ciaramelli, progetto, 163t. Sinibaldi Tito, 143n, 179, 179n, 180, 181n, 185. Sinigaglia Graziano, 30, 38.
Talabot Paolino, 49, 77n, 107n. Tanari Luigi, 31n, 43-44. Tarducci Girolamo, 35n, 57t. Tatti Luigi, 41-42, 42n, 43, 47. progetto, 46. Tedesco, ministro, 179. Thomann Erwin, 181. Thompson James, 34, 34n, 36. Tombolini, ingegnere, 139n, 140t. Toniolo Gianni, Xn. Trezza, 95-96.
Tribolini Domenico, 87. Trivellini, progetto, 113, 115, 146. Uccelli Oscar, 191n. Ugolini Edoardo, 146. Valentini Luciano, 149, 149n, 156, 156n, 171, 171n-172n. Venturini Stefano, 146. Vigiani Giuseppe, 155n, 157t. Volpi Roberto, 11n, 20n, 106n. Zamagni Vera, X, XIn Zampa P., 170n. Zampi, ingegnere, 130. progetto, 163t, 165n. Zanardelli Giuseppe, 44n, 113n, 142n. Zantini Alessandro, 133. Zeffirino, vedi Faina Zeffirino.
Indice dei nomi di persona
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Solidati Tiburzi Luigi, 112, 112n, 113. Solone di Campello, conte, 17. Sonnino Giorgio Sidney, 184. disegno di legge, 184. gabinetto, 185. Spaventa Silvio, 67. Spinello Antinori, monsignore, 16n, 25n.
221
Riferimenti bibliografici
s.d. M. Arca Petrucci, Le gemmazioni ferroviarie in Umbria, La Goliardica, Roma s.d. “Bollettino ufficiale del comitato per la ferrovia trasversale Foligno-Todi-Orvieto-Talamone”, 1 e 2. Camera di Commercio e Industria dell’Umbria. Foligno, Elettrificazione della linea Orte-FolignoAncona, s.n.t.
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Osservazioni sugli ultimi scritti perugini intorno alla ferrovia, s.l., s.s. s.d.
222
1845 C.I. Petitti, Delle strade ferrate italiane e del migliore ordinamento di esse, Tipografia e Libreria Elvetica, Capolago 1845. M.A. Sanfermo, Cenni sulle linee ferrate più convenienti all’Alta Italia ed all’Italia centrale, Crescini, Padova 1845.
1846 G.C. Agostini, Osservazioni sul primo atto della presidenza umbro-perugina per la Società Nazionale delle Strade Ferrate nello Stato Pontificio, Campitelli, Foligno 1846. M. Balducci, Indicazione di un passaggio fra l’Umbria e le Marche, Passignano, s.e., 1846. G. Bavosi, Pensieri per la costruzione di alcune strade ferrate nello Stato Pontificio sulle linee che sembrano più confacenti alla sua prosperità, Tomassini, Foligno 1846. G. Bavosi, Relazione all’illustre e nobile magistrato di Perugia intorno ai vari tronchi di strade ferrate fra l’Umbria e le Marche, Santucci, Perugia 1846. B. Blasi, Del danno che avverrebbe allo Stato Pontificio da qualunque strada ferrata di comunicazione fra la Toscana e l’Adriatico, Tipografia delle Belle Arti, Roma 1846. R. Campitelli, Discorso intorno le strade ferrate per gli Stati Pontificj, Sartorj Cherubini, Ancona 1846. A. Galli, Sull’opportunità delle strade ferrate nello Stato Pontificio e sui modi di adottarle, Tipografia Menicanti, Roma 1846. Memoria della Commissione Amministrativa della Provincia di Spoleto sulla utilità e convenienza di preferire ad ogni altra la linea di Spoleto, Terni, e Narni per continuare da Fuligno alla volta di Roma la strada ferrata proveniente dal porto di Ancona, Bassoni e Bossi, Spoleto 1846.
Apparati
Progetto nazionale della Società Principe Conti e C. per le strade ferrate nello Stato Pontificio, Tipografia de’ classici sacri, Roma 1846. P. Provinciali, Breve cenno sulle linee delle vie ferrate negli stati pontifici, Tipografia de’ classici sacri, Roma 1846. P. Provinciali, Relazione sul sistema di attivare fra breve tempo i lavori delle strade ferrate nello Stato Pontificio presentata alla presidenza centrale di Roma della Società Nazionale per le Strade Ferrate nello Stato Pontificio, Tipografia de’ classici sacri, Roma 1846. Risposta alle osservazioni sul primo atto della presidenza umbro-perugina per la Società Nazionale delle Strade Ferrate nello Stato Pontificio, s.e., Perugia 1846. A. Rutili Gentili, Idea sul migliore andamento di una strada ferrata dall’Adriatico al Mediterraneo, Tomassini, Foligno 1846.
Società Nazionale per le Strade Ferrate nello Stato Pontificio, Programma, Tipografia de’ classici sacri, Roma 1846. Società Nazionale per le Strade Ferrate nello Stato Pontificio, Quadro che dà la divisione della gran vena delle strade ferrate nello Stato Pontificio in linee, tronchi, e sezioni, Tipografia de’ classici sacri, Roma 1846.
1847 P. Bocci, Progetto per la costruzione di una strada ferrata a doppie guide che partendo da Roma, o da Civitavecchia per Viterbo, ed Orvieto vada a terminare ai confini toscani, sotto Città della Pieve con la denominazione di Pia Cassia, Sperandio Pompei, Orvieto 1847. Deputazione alla Santità di Nostro Signore Papa Pio IX per la strada ferrata Pia Cassia, estratto dal “Contemporaneo” del 13 marzo 1847, Bertinelli, Roma 1847. Dimostrazione comparativa del tronco appenninico di via ferrata secondo l’andamento del Chiagio, Santucci, Perugia 1847. F. Gualterio, Discorso sulla strada ferrata Pia Cassia, Tipografia della RCA, Roma 1847. C.I. Petitti, Difesa della Società Nazionale per le Strade Ferrate Pontificie, Tipografia della Società editrice romana, Roma 1847. A. Rutili Gentili, Livellazione per la strada ferrata da Fuligno a Castel Raimondo percorrendo le valli del Topino e del Potenza, Tipografia della Pallade Romana, Roma 1847. A. Rutili Gentili, Osservazioni sopra alcune critiche riguardanti il varco dell’Appennino per la valle Topino-Potenza, Tomassini, Foligno 1847. A. Rutili Gentili, Risposta ad alcuni articoli e memorie pubblicate in Roma ed in Perugia contro l’andamento della strada ferrata per le valli del Topino e del Potenza, Tipografia della Pallade Romana, Roma 1847.
Riferimenti bibliografici
strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
Alla santità di nostro signore Pio papa IX, felicemente regnante per gli abitanti delle provincie del Patrimonio di San Pietro e porzione dell’altra di Perugia, Angiolo Fumi, Montepulciano 1846.
223
1848 C. Monti, Dell’andamento più conveniente sotto l’aspetto tecnico statistico ed economico della ferrata vertebrale nell’Umbria e nelle Marche, Bartelli, Perugia 1848.
1849 Disposizioni risguardanti l’esecuzione delle strade ferrate nello Stato Pontificio. 7 novembre 1846. Notificazione, in “Raccolta delle leggi e disposizioni di pubblica amministrazione nello Stato Pontificio emanate nel pontificato della santità di nostro signore papa Pio IX felicemente regnante”, vol. I, Stamperia della RCA, Roma 1849.
1851
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G. Antonelli, Sulle strade ferrate da Firenze al lago Trasimeno per Arezzo e da Siena al lago medesimo, Tipografia Calasanziana, Firenze 1851.
224
1856 C. Monti, Dell’andamento della strada ferrata da Roma ad Ancona particolarmente nell’Umbria rispetto anche alla congiunzione colla Toscana ed alla comunicazione tra i due mari nell’Italia centrale. Nuove considerazioni, Natali, Todi 1856.
1857 Concessione della strada ferrata da Roma ad Ancona e Bologna, Ministero del commercio e dei lavori pubblici, Notificazione del 21 maggio 1856, in “Raccolta delle leggi e disposizioni di pubblica amministrazione nello Stato Pontificio emanate nel pontificato della santità di nostro signore papa Pio IX felicemente regnante”, vol. X, Stamperia della RCA, Roma 1857. Ministero del Commercio e Lavori Pubblici, Statuti della Società Generale delle Strade Ferrate Romane da Roma ad Ancona e Bologna e da Roma a Civitavecchia riunenti l’Adriatico al Mediterraneo dette Linea Pio Centrale, estratto dal “Giornale di Roma”, nn. 69, 71, 72, del 14, 16 e 17 marzo 1857, Roma, 1857.
1858 Osservazioni sul proseguimento della Ferrovia centrale Senese per Val di Chiane Toscana e Pontificia nelle adiacenze del Paglia e del Tevere fino a Roma, s.e., Orvieto 1858.
1861 M. Balducci, Cenni descriventi un andamento che ho studiato fino da più anni per il quale da Camucia pei pressi di Perugia discende sul Tevere al Ponte Valdiceppi, Santucci, Perugia 1861. M. Balducci, In difesa del diritto quesito e di altri riguardi di Perugia, Santucci, Perugia 1861.
Apparati
C. Monti, Intorno alle strade ferrate nell’Umbria. Manifestazioni del 10 novembre 1861, Vitali, Bologna 1861. Sulla ferrovia Aretina. Memoria del Municipio eugubino, Gubbio, 1861. Sulla prosecuzione della ferrovia Aretina pei pressi di Perugia fino all’incontro della linea da Roma ad Ancona, Bartelli e Santucci, Perugia 1861.
1862 U. Baldelli, Sul proseguimento della ferrovia Aretina dalla Fratta a Fossato per la valle dell’Assino ed altipiano di Gubbio, Torino, 1862. O. Coletti, Nuovo sistema di conche per locomozione con applicazione speciale al solo trasporto di merci lungo il piano inclinato dei Giovi presso Genova e alla salita delle Marmore, Dalmazzo, Torino 1862.
1863 Alcuni documenti sulla ferrovia Aretina pei pressi di Perugia, Martini e Boncompagni, Perugia 1863.
1865 Allegato alla convenzione 22 giugno 1864 riguardante la fusione della Società delle Strade Ferrate Romane con quelle della Toscana, in “Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia”, vol. XI, Stamperia Reale, Torino 1865. Al Parlamento italiano la presente memoria sulla ferrovia Metaurense da Fano ad Arezzo per la più diretta congiunzione dell’adriatico al Mediterraneo da Ancona a Livorno secondo il progetto dell’ingegnere cavaliere Amedeo Peyron la Deputazione Provinciale di Pesaro e Urbino caldissimamente raccomanda, Nobili, Pesaro 1865. Convenzione per la fusione della Società delle Strade Ferrate Romane con quella delle Ferrovie Toscane, allegato alla legge n. 2279 del 14 maggio 1865, in “Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia”, vol. XI, Stamperia Reale, Torino 1865. Sopra un articolo ed una memoria, pubblicati in Napoli, in ordine al nuovo progetto ministeriale per la modifica della ferrovia Ceprano-Pescara, in “Corriere degli Abruzzi”, II, 17, Aquila, 13 marzo 1865. Strade Ferrate Romane, Processi verbali della prima adunanza generale della società anonima tenutasi in Firenze e Parigi il 20 luglio 1865, Tipografia delle Murate, Firenze 1865. P. Tagliaboschi, Della congiunzione più diretta, più utile e più sicura dell’Adriatico col Mediterraneo, e di Ancona con Livorno, per una ferrovia da Fano ad Arezzo, in “Il banditore del Metauro”, 1865, n. 13.
Riferimenti bibliografici
strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
L. Tatti, Prolungamento della ferrovia Aretina per Perugia. Studio comparativo fra la linea del Trasimeno e quella della Val di Pierle, Politecnico, Milano 1862.
225
1866 C. Sacuto, Delle vere cause che produssero la rovina del ponte sul Tevere presso Perugia, Sardi, Livorno 1866.
1867 U. Baldelli, Ferrovia Assinate per il più facile congiungimento di Livorno ad Ancona. Tronco da Arezzo a Fossato per la valle del Tevere e l’altopiano di Gubbio, Città di Castello 1867.
1868 Progetto di ferrovia economica per la valle dell’alto Tevere da Ponte San Giovanni a Borgo Sansepolcro, Santucci, Perugia 1868.
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1869
226
F. Palmegiani, All’onoratissimo sig. direttore del Marruccino di Chieti, s.e., Rieti 1869.
1871 Appendice alla relazione della commissione speciale al Consiglio della Provincia di Macerata intorno al progetto di strada ferrata dalla stazione di Porto Civitanova a quella di Nocera per Foligno, Befani, Roma 1871. A. Calandrelli, La Salaria. Ossia una ferrovia dal Tirreno all’Adriatico, per le valli del Velino e del Tronto, Roma 1871. Intorno al nuovo progetto di ferrovia dalla stazione del Porto Civitanova-Marche a quella di Foligno nell’Umbria. Relazione della commissione speciale al Consiglio della Provincia di Macerata, Mancini, Macerata 1871. C. Ravioli, Sulla utilità, facilità e importanza del tracciamento di una ferrovia dal Tirreno all’Adriatico per le valli del Tevere, Velino e Tronto, Mugnoz, Roma 1871.
1871-72 Progetto di legge presentato dal ministro dei Lavori Pubblici (Devincenzi) di concerto col ministro delle finanze (Sella) nella tornata del 10 giugno 1872, Facoltà al governo di fare concessione di una ferrovia di congiungimento della ferrovia Aretina colla Centrale Toscana, in “Atti della Camera dei deputati”, Legislatura XI, sessione II (1871-72). Relazione della commissione composta dai deputati Depretis, presidente..., sul progetto di legge... Facoltà al governo di fare concessione di una ferrovia di congiungimento della ferrovia Aretina colla Centrale Toscana, Tornata del 29 maggio 1873 in “Atti della Camera dei deputati”, Legislatura XI, sessione II (1871-72). Relazione della Commissione Generale del Bilancio, presentata nella tornata del 15 giugno 1872, sul progetto di legge del ministro dei Lavori Pubblici di concerto col ministro delle Finanze, per facoltà al governo di fare concessione di una ferrovia di congiungimento della ferrovia Aretina
Apparati
colla Centrale Toscana, in “Atti della Camera dei deputati”, Legislatura XI, sessione II (187172).
1872 F. Francesconi, Alcuni elementi di statistica della Provincia dell’Umbria, vol. II, Boncompagni, Perugia 1872. L. Mercanti, La rete ferroviaria italiana: progetto di una linea ferrata da Forlì a Perugia, Becamorti, Sansepolcro 1872. C. Monti, Sistema delle strade ferrate italiane e delle comunicazioni con Bartoli, Roma Roma 1872.
1873 O. Coletti, Rivendicazione di diritti sul progetto ferroviario da Terni a Roccasecca pubblicato dal generale Filippo Cerroti deputato al Parlamento nazionale, Pallotta, Roma 1873. O. Coletti, Seconda protesta contro il generale Filippo Cerroti per la rivendicazione dei suoi diritti sugli studi della ferrovia Terni-Roccasecca, Pallotta, Roma 1873. L. Mercanti, Ferrovie italiane. La vera linea centrale da sostituire alla Porrettana, Tipografia della Gazzetta d’Italia, Firenze 1873. C. Monti, Sul progetto di legge per la congiunzione delle strade ferrate Aretina e Senese, in Id., In materia di strade ferrate. Tre discorsi pronunciati alla Camera dei deputati nel giugno 1873, Eredi Botta, Roma 1873. L. Solidati Tiburzi, Interpellanza al Ministero dei Lavori Pubblici sulle ferrovie per Rieti del deputato del collegio avv. Luigi Solidati Tiburzi e relativa discussione alla Camera nelle tornate del 23-24 gennaio 1873 Rieti 1873.
1874 C. Monti, Sopra la nuova strada ferrata da Solmona a Roma, Tipografia della Gazzetta d’Italia, Firenze 1874.
1875 F. Gilardini, Commemorazione del marchese Filippo Antonio Gualterio, G. Carnesecchi e figli, Firenze 1875.
1877 Ferrovia per l’alta valle del Tevere a Roma. Verbale di adunanza tenutasi il 3 novembre 1877 in Perugia da varii rappresentanti di Municipi, Boncompagni, Perugia 1877.
Riferimenti bibliografici
strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
Sulla congiunzione delle ferrovie Umbro-Aretina e Centrale Toscana e sulla relazione del comm. Bella. Osservazioni della Commissione Municipale di Cortona, Tipografia della Gazzetta d’Italia, Firenze 1872.
227
C. Monti, Ferrovia Tiberina. Lettera al comm. Puccioni intorno al convegno promosso il 20 gennaio a Borgo Sansepolcro, Bartelli, Perugia 1877.
1878 C. Cherubini, I pregi militari della ferrovia Adriatico-Tiberina, in “La Ferrovia Adriatico-Tiberina”, I, 19, 27 luglio 1878. O. Coletti, Ferrovia da Cesena ad Arezzo per le valli del Savio e del Corsalone. Progetto studiato nel 1874 a cura del Municipio d Cesena pel nuovo valico dell’Appennino fra Porretta e Fossato, Collini, Cesena 1878. “La Ferrovia Adriaco-Tiberina”, a. I, nn. 15-17, Sansepolcro, 6-15 luglio 1878. Ferrovia per l’alta valle del Tevere a Roma. Verbale di adunanza tenutasi il 20 gennaio 1878 in Sansepolcro da vari rappresentanti di Municipi, Sansepolcro, Becamorti, 1878.
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1879
228
Congresso dei rappresentanti i corpi morali tenuto il 9 marzo 1879 in Cesena per propugnare l’attuazione della ferrovia Adriatico-Tiberina, in “Satana”, a. VIII, supplemento al n. 36, Cesena, 19 marzo 1879. Congresso per la ferrovia Adriatico-Tiberina, in “Satana”, a. VIII, n. 34, Cesena, 1 marzo 1879. C. Monti, Origini, fasi e stato della nuova strada ferrata Adriatico-Tiberina, Civelli, Roma 1879. Strade Ferrate Romane, Assemblea generale ordinaria del 30 giugno 1879. Relazione al consiglio di amministrazione, Civelli, Firenze 1879.
1880 Ferrovia Umbro-Aretina a sezione ridotta. Relazione del consiglio amministrativo letta nell’assemblea del comitato promotore in Città di Castello il 4 aprile 1880, Lapi, Città di Castello 1880. Municipio di Perugia, Sulla ferrovia a binario ridotto Perugia-Umbertide, Boncompagni, Perugia 1880. Alla memoria del commendator Coriolano Monti, Boncompagni, Perugia 1880. Strade Ferrate Romane, Esercizio 1879. Bilancio generale e relativi allegati. Relazione dei sindaci, Civelli, Firenze 1880.
1881 Amministrazione Provinciale dell’Umbria, Tramvia Perugia-Todi-Terni. Processo verbale dell’adunanza del 29 marzo 1881 dei sindaci dei comuni interessati, Boncompagni, Perugia 1881. C. Cherubini, Discorso in ordine ai progetti di ferrovie economiche e di tramvia per la valle Tiberina, Sgariglia, Foligno 1881.
Apparati
Consorzio per la Ferrovia Umbro-Aretina, Relazione per l’assemblea generale del 15 settembre 1881, Lapi, Città di Castello 1881. Municipio di Deruta, Processo verbale dell’adunanza dei sindaci dei Comuni interessati nei progetti di ferrovia o di tramvia per la linea Perugia-Todi-Terni, Santucci, Perugia 1881. C.P. Sheibner, All’onorevole assemblea generale del consorzio per la Ferrovia Umbro-Aretina, Lapi, Citta di Castello 1881. Società Generale per le Ferrovie Complementari, Statuto, Roma, Salviucci, 1881. Strade Ferrate Romane, Esercizio 1880. Bilancio generale e relativi allegati. Relazione dei sindaci, Civelli, Firenze 1881.
1882 Società per le Ferrovie dell’Appennino Centrale, Statuto, Armanni, Roma 1882.
1883 Amministrazione Provinciale dell’Umbria, Sul consorzio per la ferrovia Adriatico-Tiberina. Relazione della commissione consiliare adottata dalla Deputazione Provinciale, Boncompagni, Perugia 1883. Resoconto del congresso per la costruzione della ferrovia della Valnerina tenutosi il giorno 1 luglio 1883 in Terni, in “L’Unione liberale”, IV, supplemento al n. 26, Terni, 6 luglio 1883.
1884 Comitato esecutivo del consorzio per la Ferrovia Adriaco-Tiberina, Memoria per la strada ferrata adriaco-tiberina, Lapi, Città di Castello 1884. Ferrovia Adriatico-Tiberina. Congresso tenuto in Perugia il giorno 10 giugno 1884, Boncompagni, Perugia 1884.
1885 Amministrazione Provinciale dell’Umbria, Sulle ferrovie secondarie di 4a categoria nella provincia, Boncompagni, Perugia 1885. E. Faina, La ferrovia Umbertide-Perugia-Todi-Terni. Considerazioni, Tosini, Orvieto 1885. Ferrovia Adriatico-Tiberina. Congresso tenuto in Venezia il giorno 17 novembre 1884, Antonelli, Venezia 1885.
1886 E. Faina, La Ferrovia Centrale Umbra. Nuove considerazioni, Tosini, Orvieto 1886.
Riferimenti bibliografici
strumenti & documenti • La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
Strade Ferrate Romane, Esercizio 1881. Bilancio generale e relativi allegati. Relazione dei sindaci, Civelli, Firenze 1882.
229
L. Laurenti Forti, Per la linea ferroviaria Terni-Visso-Tolentino-Macerata-Ancona, Terni, Tip. dell’Unione Liberale, 1886. 1888 Adunanza dei signori rappresentanti i Comuni interessati nella costruzione della Ferrovia Centrale Umbra, in “Il mio paese”, 85, Todi, 31 marzo 1888. Consiglio Comunale di Perugia, Sulla dimanda di concessione della costruzione ed esercizio della Ferrovia Centrale Umbra. Relazione della Giunta. Sedute del 21 e 28 gennaio 1888, Boncompagni, Perugia 1888. Consiglio Comunale di Perugia, Sulla ferrovia Todi-Terni. Relazione della Giunta nella seduta consigliare del 21 febbraio 1888, Bartelli, Perugia 1888. A.M. Laurenzi, La ferrovia complementare nella provincia dell’Umbria. Umbertide (Monte Corona), Perugia, Todi, Baschi, Orvieto-Todi, Boncompagni, Perugia 1888.
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La quistione ferroviaria, in “Il mio paese”, 78, Todi, 11 febbraio 1888.
230
1889 Municipio di Perugia, Sulla ferrovia Perugia-Todi-Terni, Boncompagni, Perugia 1889. Municipio di Perugia Sulla ferrovia Perugia (Fontiveggie)-Umbertide (Monte Corona), Tipografia Umbra, Perugia 1889. 1890 O. Coletti, Calcoli e confronti fra le linee di Forlì-Arezzo, Cesena-Arezzo, Cesena-Perugia che concorrono a comporre la direttissima Roma-Venezia. Relazione, Vignuzzi, Cesena 1890. 1891 C. Cherubini e I. Monti, Per la strada ferrata Umbertide-Ponte San Giovanni-Orvieto con diramazione per Perugia e per il suo coordinamento alla futura direttissima Venezia-Roma. Petizione di Perugia e dei Comuni della valle Tiberina a S.E. il ministro dei Lavori Pubblici, Boncompagni, Perugia 1891. A.M. Laurenzi, Tramvia da Perugia a Chiusi. Un po’ di storia, Boncompagni, Perugia 1891. 1896 Per la Chiento-Nerina, in “L’Unione Liberale”, a. XVII, n. 42, Terni, 17/18 ottobre 1896. 1898 A.M. Laurenzi, Progetto per la ferrovia economica a scartamento ordinario, tipo 2°, Todi AmeliaOrte, Unione Tipografica Cooperativa, Perugia 1898. Per la ferrovia Todi-Amelia-Orte, in “Ameria”, a. III, n. 16, Amelia, 14 agosto 1898.
Apparati
1899 C. Cherubini, Relazione sullo stato della quistione ferroviaria nella provincia dell’Umbria e sul progetto della linea Umbertide-Ponte San Giovanni-Todi-Terni con allacciamento a Perugia, Guerra, Perugia 1899.
1902 G. Vigiani, La Direttissima da Milano, Verona, Mestre a Roma per Forlì, Santa Sofia, Pratovecchio, Stia, Arezzo, Cinferoni, Stia 1902.
1903
Municipio di Spoleto, Servizio pubblico (municipalizzato) di trasporti mediante automobili a vapore Spoleto-Norcia. Relazione sull’impianto ed esercizio iniziale 20 ottobre-31 dicembre 1902, Premiata Tipografia dell’Umbria, Spoleto 1903.
1905 “Bollettino Ufficiale del Comitato per la ferrovia trasversale Foligno-Todi-Orvieto-Talamone”, 1, Foligno 28 giugno 1905. Municipio di Spoleto, Relazione della Giunta Municipale letta al Consiglio la sera del 17 maggio 1905 sulla proposta di referendum consultivo per la continuazione o soppressione del servizio automobilistico Spoleto-Norcia, Spoleto 1905. La verità sull’opera della Deputazione del Consorzio per la Ferrovia Centrale Umbra, in “La Provincia dell’Umbria”, XXXII, 11, Perugia, 16 marzo 1905.
1906 Municipio di Spoleto, Relazione e resoconto sull’azienda municipalistica per l’esercizio 1905. Soluzione della questione automobilistica, Spoleto 1906. G. Pagnani Fusconi, Progetto della ferrovia a trazione elettrica Chiento-Nerina (Terni-VissoTolentino): relazione tecnico-finanziaria, Forzani, Roma 1906. Per l’agitazione a favore dell’Umbria, delle Marche e del Lazio. Raccolta degli atti, Artigianelli, Foligno 1906.
1907 G. Palmieri Cornacchia, Relazione al progetto tecnico della Tramvia Centrale Umbra UmbertidePerugia-Todi-Narni-Terni, Narni-Amelia e Todi-Orvieto, Tipografia Agostiniana, Roma 1907. G. Panzavolta, Sul problema ferroviario della Romagna: il tracciato centrale tosco-umbroromagnolo, Rocca San Casciano, Cappelli 1907.
Riferimenti bibliografici
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DIRETTA DA
RENATO COVINO
Volumi pubblicati Villaggi operai nell’Italia settentrionale e centrale tra XIX e XX secolo, a cura di Renato Covino, Perugia 2002, ISBN 88-87288-15-1. Le industrie di Terni. Schede su aziende, infrastrutture e servizi, a cura di Renato Covino, ISBN 88-87288-16-X. Francesco Chiapparino e Renato Covino, Consumi e industria alimentare in Italia dall’Unità a oggi, ISBN 88-87288-19-4. Augusto Ciuffetti, La città industriale. Un percorso storiografico, ISBN 88-8728825-9. Paolo Raspadori, L’autorità debole. Il Comitato di Liberazione Nazionale di Spoleto attraverso i verbali delle sue riunioni (1944-1946), ISBN 88-87288-22-4. Stefano De Cenzo, La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria. 18451927, ISBN 88-87288-20-8. Gino Papuli, Archeologia del patrimonio industriale. Il metodo e la disciplina, ISBN 88-87288-37-2. Augusto Ciuffetti, Casa e lavoro. Dal paternalismo aziendale alle “comunità globali”: villaggi e quartieri operai in Italia tra Otto e Novecento, ISBN 88-87288-42-9. Gianfranco Canali, Operai, antifascisti e partigiani a Terni e in Umbria, a cura di Gianni Bovini, Renato Covino e Rosanna Piccinini, ISBN 88-87288-18-6.
Volumi in preparazione Pietro Farini, In marcia con i lavoratori, a cura di Angelo Bitti, ISBN 88-87288-17-8.
finito di stampare da Edizioni Prhomos - Divisione Stampa Digitale, CittĂ di Castello (PG) nel febbraio 2006
€ 15,40 (IVA inclusa)
ISBN 88-87288-39-9
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Premessa; Nota editoriale e guida alla lettura; Introduzione; Capitolo 1 L epoca preunitaria (1845-1859); Capitolo 2 Le direttrici fondamentali (1860-1875); Capitolo 3 Tra istanze territoriali e progetti di respiro internazionale (1876-1885); Capitolo 4 Una provincia da costruire (1885-1900); Capitolo 5 Una regione da aprire all esterno (1901-1927); Conclusioni; Apparati: Sigle e abbreviazioni archivistiche; Indice dei nomi di luogo; Indice dei nomi di società, enti, istituzioni e associazioni; Indice dei nomi di persona; Riferimenti bibliografici.
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Indice del volume
La centralità mancata. La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)
I
l tema delle comunicazioni ferroviarie e ancor più stradali continua ad essere in cima all agenda degli amministratori umbri, nella convinzione che la nostra regione, tanto nella sua totalità, quanto nei diversi territori che la compongono, sia decisamente penalizzata rispetto alle parti più sviluppate del paese. Il dato interessante, e curioso allo stesso tempo, è che rispetto a più di un secolo fa, pur tenendo conto delle profonde differenze esistenti sul piano sociale, politico ed economico, ben poco sembra essere mutato se, per fare solo un paio di esempi, ci si continua a battere per realizzare, anche se su strada e non più su rotaia, collegamenti diretti tra Terni e Rieti o tra Foligno e Civitanova Marche. Senza dimenticare, in campo più strettamente ferroviario, le continue discussioni, e le relative aspettative, in merito al rilancio della Ferrovia Centrale Umbra, ad un suo prolungamento oltre l Appennino o, più semplicemente, all ancora incompleto raddoppio dell AnconaRoma. Questo lavoro, pur con i suoi limiti, potrebbe allora servire a dimostrare che, tutto sommato, le motivazioni che spingevano gli amministratori di allora ad intraprendere certe battaglie non erano poi così diverse da quelle di oggi; e, senza alcuna presunzione, attraverso la conoscenza di quanto è accaduto in passato, e la comprensione di come e perché certe ipotesi non si sono mai realizzate, forse il dibattito attuale potrebbe arricchirsi di nuovi spunti e maggiore consapevolezza.
La centralità mancata La questione ferroviaria in Umbria (1845-1927)