Paola Mattioli

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Paola Mattioli Sguardo critico di una fotografa

Cristina Casero

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Questo volume è stato realizzato con il contributo del Dipartimento di Lettere, Arti, Storia e Società dell’Università degli Studi di Parma – Area Arte e Spettacolo

L’autrice desidera ringraziare Clotilde Risso Casero, Fiorella Cagnoni, Jennifer Malvezzi e Roberto Spaiardi per la disponibilità e la generosità dimostrata, a vario titolo.

Paola Mattioli Sguardo critico di una fotografa

Cristina Casero

Paola Mattioli Sguardo critico di una fotografa di Cristina Casero

© 2016 Postmedia Srl, Milano Copyright per le immagini: tranne diversa indicazione tutte le immagini sono di Paola Mattioli

www.postmediabooks.it isbn 9788874901746

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• La fotografia come possibilità di ricerca La formazione e gli esordi 7 • Le immagini del no Una nuova forma di racconto fotografico 25 • Lo sguardo delle donne Paola Mattioli, femminista 35 • Sul guardare 55 • Nuovi sguardi: incontri, dialoghi, ritratti 77

Note 110 Didascalie 120 Bibliografia 124


La fotografia come possibilità di ricerca La formazione e gli esordi

La personalità di Paola Mattioli si staglia con caratteri di originalità e al contempo di grande coerenza rispetto al contesto della cultura visiva italiana degli ultimi cinquant’anni, che ha attraversato con una produzione fotografica di qualità, cui si è dedicata ininterrottamente dal momento dell’esordio a oggi. Mattioli si è sempre e soltanto espressa attraverso il mezzo fotografico, un medium al quale si è avvicinata ancora studentessa, sullo scorcio degli anni Sessanta, e che ha praticato sempre con sensibilità, in un continuo approfondimento delle risorse espressive e linguistiche del mezzo. La sua ricerca si caratterizza per essersi sempre assestata su un registro che, distante dai toni e dagli intenti del fotoreportage, si è invece allineato alle questioni più interessanti che venivano proposte intorno all’immagine nell’alveo delle arti visive, concependo l’esercizio della fotografia come attività critica. Tale atteggiamento l’ha portata a interessarsi di questioni cogenti sul piano civile, sociale ed esistenziale, ma sempre con una spiccata, anche quando implicita, attenzione allo “sguardo”, elemento di per sé centrale del discorso fotografico. Tale consapevolezza consente di leggere la sua parabola espressiva come anticipatrice di molte esperienze artistiche successive, in cui l’uso della fotografia non è da intendersi come destinato a un raccontare cronachistico, bensì come strumento di riflessione, anche sul vedere. Milanese, Mattioli è giovanissima quando nella primavera del 1968 entra come assistente nello studio Mulas, mentre ancora sta frequentando i corsi di filosofia all’Università Statale1.

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Oggi ricorda: “Appena passata la maturità, incerta se iscrivermi a lettere o ad architettura, sono stata attratta dal panorama della filosofia, per via di un incontro. L’atmosfera della Statale era in quel momento incandescente e l’entourage di Enzo Paci mi ha mostrato lo spessore e la ricchezza delle relazioni di una filosofia segnata dall’interdisciplinarità. Mi sono appassionata. Mi era rimasto però un desiderio inappagato nei confronti dell’immagine, una voglia di fare cose con le mie mani: arrivo così allo studio di Nini e Ugo Mulas, per raccogliere materiale per una tesina sulla fotografia, da portare all’esame di estetica con Gillo Dorfles. Ho visto un mondo nuovo e affascinante, e sono stata accolta. Stavo accanto a Ugo nelle riprese o nella stampa, gli portavo in dote il Merleau-Ponty2 di L’oeil et l’esprit (la traduzione, ancora inedita, mi era stata regalata da Paci e l’avevo subito passata a Mulas che ne faceva tesoro per suoi ragionamenti che l’avrebbero portato alle Verifiche) o il dibattito sull’aura nel Benjamin della “riproducibilità”3. Mattioli cresce in un tessuto culturale ricco di contatti, di stimoli, e il contributo di Mulas alla riflessione sul linguaggio fotografico è fondamentale, perché il suo pensiero si esprime nella concretezza del fare e, nelle sue ultime prove, nella pratica della fotografia condotta con chiari accenti di marca concettuale, in termini riflessivi e metalinguistici. Le Verifiche possono essere viste anche, come nota Mattioli, nei termini di una “analisi fenomenologica attraverso le immagini”4. A livello teorico, la tesi di laurea5 che andava elaborando in quegli anni dà chiara testimonianza della matrice culturale su cui la fotografa si è formata. Lo studio, incentrato proprio su un’analisi del linguaggio fotografico condotta in chiave fenomenologica, sulla scorta del pensiero di Benjamin, di Sartre e soprattutto di MerleauPonty, dimostra come Mattioli abbia maturato nel corso degli studi - con Enzo Paci, ma anche con Gillo Dorfles e Marisa Dalai Emiliani,


particolari apparentemente superflui ma utili a una più approfondita analisi, tutti gli elementi, insomma, capaci di spigarne le ragioni più vere e profonde. “Questo rifiuto della istantaneità come specifico del mezzo fotografico è un altro nodo centrale della poetica di Mulas. […] Mulas riesce a inserire nella fotografia la dimensione temporale, la durata. E per ogni foto, per ogni ritratto, è questa apertura temporale che caratterizza l’immagine”12, scrive Mattioli. Ugualmente possiamo dire di una fotografia come Incidente d’auto, del 1969, nella quale restituisce con la simmetria quasi metafisica della composizione, il momento seguente l’incidente, mostrandoci l’automobile svuotata di tutte le tracce di vita umana che conteneva, aprendo la scena a una

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Giuliano Scabia, volto a sviluppare la creatività dei ricoverati, la loro vitalità espressiva, intese come aperture utili a superare la barriera che li confina, che li rende diversi. E le fotografie che Mattioli scatta ci restituiscono propriamente questa sensazione di libertà interiore, liberata attraverso gesti creativi. L’interesse profondo che quella realtà suscita in lei, convinta anche per motivazioni ideologiche del ruolo civile, sociale e politico del fotografo, non si esaurisce qui. Nel 1977 torna a Trieste e realizza un secondo gruppo di fotografie, prese sempre allo psichiatrico, che però ormai era dismesso. Esse sono quindi differenti, ma corrispondono ugualmente all’indole dell’autrice: rappresentano i resti di un ospedale abbandonato, sono quindi incentrate sul vuoto, sull’assenza, sulla labile presenza della traccia ed evocano la tragicità nella dimensione non meno angosciante del ricordo, che consente una presa di distanza, una ulteriore possibilità

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Le immagini del no. Una nuova forma di racconto fotografico

Un atteggiamento critico e riflessivo, votato a comprendere e non a rappresentare o illustrare la realtà, è dunque alla base dei modi di Mattioli e si pone sin dall’epoca come un tratto caratterizzante il suo fare. La pratica fotografica intesa come strumento di analisi e interrogazione, così come è concepita dai più interessanti e innovativi fotografi del momento, si traduce nel rifiuto a soffermarsi sul singolo episodio, o peggio sull’evento, per dare invece rilievo a tutti i particolari, a tutti gli aspetti utili a una comprensione più profonda dei fatti raccontati, ben oltre la flagranza del contingente.

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Lo sguardo delle donne. Paola Mattioli, femminista

Verso la fine degli anni Sessanta il nuovo femminismo muove i primi passi, soprattutto sulla scia degli scritti di Carla Lonzi, del gruppo DEMAU e del gruppo Rivolta Femminile, che nel luglio del 1970 pubblica il suo manifesto. Anche in ambito artistico alcune donne si avvicinano via via al movimento e nei primi mesi del 1974, mentre prepara i materiali per le Immagini del No, Mattioli guarda alle manifestazioni che costellano la campagna referendaria, con attenzione al ruolo delle donne in questo movimento ma con un interesse in qualche modo esterno, con un approccio che lei stessa oggi definisce documentativo. Già nella primavera del 1975, invece, espone un lavoro che risente di un maggiore coinvolgimento nel femminismo delle “donne che si erano messe insieme non per delle rivendicazioni ma per interrogare la loro esperienza più intima, inconscia, la loro sessualità differente”36. Sono immagini realizzate nell’ambito di una ricerca che, condotta con Anna Candiani, Carla Cerati e Giovanna Nuvoletti, sfocia nella mostra Dietro la facciata37, proposta a Lanfranco Colombo per la sezione culturale del SICOF. È un’indagine di sapore quasi sociologico sulla vita delle donne nel loro ambiente domestico, in particolare nelle case di ringhiera milanesi, strutture abitative che consentono aperture a una dimensione comune. Un lavoro di gruppo, in cui ciascuna fotografa contribuisce con il suo sguardo, che si pone in rapporto con quello delle altre, in un fertile confronto. Mattioli elude l’impianto narrativo, non cerca di fermare l’azione, ma ritrae con ogni scatto donne intente a lavorare, restituendone un ritratto38. La sua analisi si sposta dal contesto alla donna, accentando gli elementi utili a evocarne l’indole, la natura, a dispetto del ruolo, potremmo dire.

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è diretta da Anna Maria Rodari, mentre la redazione è composta da

le 150 ore, organizzato per l’anno accademico1974-75, intitolato

Anna Alderuccio, Graziella Caraffa, Ida Faré, Tiziana Maiolo, Paola

Linguaggio visuale e linguaggio visivo dei mezzi di comunicazione di

Mattioli, Clelia Pallotta, Francesca Pasini e Mici Toniolo; art director

massa, organizzato da docenti degli Istituti di Psicologia e di Storia

è Tille Bortolotti. Collaborano inoltre alla realizzazione dei singoli

dell’Arte. Mattioli decide di lavorare sulla rappresentazione della

numeri molte fotografe, tra cui Diane Bond, Carla Cerati, Silvia Lelli

donna nei giornali pornografici e seleziona una serie di fotografie. Da

Masotti, Giovanna Nuvoletti e Silvia Truppi. Vengono anche ospitati

quel materiale alla fine ricava sette piccole immagini, “piccole (perché,

in ogni numero interventi di uomini, intellettuali e giornalisti.

a furia di sforbiciarle - no, questa non posso proiettarla a una classe di

Innovativa nell’impostazione, nei temi trattati, e ovviamente

operai, no qui è meglio eliminare, no questa è troppo volgare - sono

originale per il punto di vista assunto, la rivista è molto interessante

rimasti soltanto i volti delle donne: sette donne messe in scena da

anche per il modo in cui viene concepito l’apparato iconografico,

chi realizzava fotografie di questo tipo, per lo sguardo degli uomini),

che proprio Mattioli segue sia dall’interno della redazione sia con

ma ancora oggi interessanti da analizzare, poiché sono una curiosa

interventi specifici, spesso realizzati a quattro mani con Mici Toniolo,

raffigurazione, vagamente mortifera, la piccola morte, dietro alla

che all’epoca collaborava con lei: dal ritratto di Luigi Pintor a quello di

quale però si può scorgere, da parte delle protagoniste, un residuo di

Paolo Rossi, che sarebbe stato l’eroe dei Mondiali di Spagna del 1982,

insubordinazione, di finzione, quasi comico”62.

da immagini di moda a un servizio sui punk, giusto per citare alcune delle numerose fotografie che ha realizzato per la rivista.

Nel nuovo lavoro in cui le ha recentemente “ricomposte”, Mattioli costruisce intorno a loro un più esplicito racconto visivo, ponendo

Se gli anni Settanta sono il momento in cui Mattioli realizza più

accanto ai volti la fotografia - da lei scattata in un momento e in un

lavori esplicitamente legati al femminismo, non significa che in

contesto totalmente differenti, nel 1979, ma anch’essa conservata

seguito l’autrice abbia abbandonato tali riflessioni, che anzi ancora

nel suo archivio - di un uomo che esce da un cinema porno. A

oggi sono alla base del suo essere femminista e, di conseguenza, del suo

quelle immagini non sue, quindi, Mattioli ha dato un nuovo

guardare alla realtà. Ne è prova un progetto come Jouissance del 2014,

senso, inserendole come fossero parole in un racconto inedito, che

significativo anche perché indice di un atteggiamento di Mattioli

ne traduce l’originaria funzione di oggetti d’uso voyeuristico in

che si rivela molto interessante: il tornare a lavorare sul materiale

strumento di denuncia.

raccolto nel ricco archivio delle sue fotografie, riutilizzando gli scatti in contesti diversi da quelli che ne avevano giustificato la realizzazione oppure realizzando i propri lavori anche con immagini fatte da altri. Quando le viene chiesto un intervento per una pubblicazione in onore di Dalai Emiliani61, Mattioli pensa di riutilizzare materiali raccolti per una iniziativa in cui era stata coinvolta dalla stessa Dalai. La professoressa le aveva chiesto di preparare una lezione al corso per

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Sul guardare

Mattioli ha realizzato negli anni Settanta importanti lavori legati al femminismo e alla riflessione sulla donna, che oggi ne fanno una tra le più interessanti interpreti di quella congiuntura culturale e anche in seguito non ha mai smesso un habitus che le appartiene, come donna prima che come fotografa. Tali ricerche non costituiscono una digressione, né un filone parallelo rispetto alla coerenza del suo percorso. Esse sono frutto del suo modo di intendere la fotografia, su cui è tornata spesso a ragionare con lavori di matrice più espressamente concettuale, ossia con fotografie sul tema del guardare. Queste due anime che caratterizzano, ancora oggi, la sua produzione - l’interesse metalinguistico per lo sguardo fotografico e la tensione verso tematiche impegnate - non sono contraddittorie ma perfettamente coincidenti, come prova anche il fatto che, in occasione della mostra Venezia 79. La fotografia, Mattioli espone immagini della serie Sara incinta e alcuni pezzi che fanno parte di una altrettanto importante ricerca: i Cellophane63. Si adatta perfettamente alle opere di questo ciclo una più generale considerazione di Italo Zannier, che scrive nel testo introduttivo alla sezione Fotografia italiana contemporanea, in cui sono raccolte le opere di Mattioli: “L’inserimento da qualche anno nel mondo dei fotografi degli operatori estetici ha contribuito ad alimentare la problematica di questo medium, che si colora d’inedite ambiguità e determina nuovi interrogativi sul segno fotografico, che da centocinquant’anni ci offre una carezzevole ma anche angosciante illusione di realtà”64. In quello stesso anno, espone questa serie in una tripla personale alla Galleria il Diaframma di Milano, con Carla Cerati e Silvia Lelli Masotti, e alla mostra Iconicittà, allestita alla fine dell’anno a Palazzo

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L’occhio di Milano, progettata da Cesare Colombo. Mattioli fotografa

monumento mi rimanda? Ho provato a guardare in questo senso alcuni

alcuni monumenti cittadini da prospettive inusitate, in alcuni casi

monumenti di Milano”72.

fissando soltanto dei particolari, costruendo immagini lontane da ogni

L’artista è spesso ritornata su temi affini, approfondendo ogni volta

inquadratura tradizionale e restituendo insoliti scorci; non c’è presenza

le ricerche precedenti e piegandole a nuove aperture di senso: qui

umana e tutta l’attenzione si concentra sul monumento e sul suo

bisogna ricordare la serie intitolata Tra cielo e terra del 1993, fotografie

rapporto con l’ambiente circostante, in un isolamento quasi iperreale,

di statue del Cimitero Monumentale di Milano che hanno per soggetto

che si carica d’interrogativi. D’altro canto, lei stessa spiega il motivo

figure femminili. In esse torna l’interesse per il monumento inteso

del suo sguardo ‘alternativo’: “I monumenti sono una rappresentazione

come presenza simbolica nel tessuto urbano, carica di valenze legate

che la città dà di se stessa. Se è vero che il potere continua a usare il

al tema identitario, in questo caso però indagato dagli occhi di una

monumento per affermare e celebrare i suoi valori, quali valori vuole

donna che va a cercare il topos della rappresentazione femminile in

celebrare oggi? […] Su un altro terreno, quale rapporto c’è tra me che

città, registrandone aspetti che esulano da ogni interesse artistico.

passo per strada, tra la mia immagine, e il tipo di immagine che il

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Nuovi sguardi: incontri, dialoghi, ritratti

Nel riflettere sullo sguardo del fotografo, ossia sull’atto del vedere attraverso il mirino, Mattioli arriva a una concezione dell’immagine sempre più compiuta in se stessa, non piegata all’obbligo di restituire con immediatezza il referente ancorato alla flagranza della realtà. Lo spazio bidimensionale della fotografia è un luogo d’indagine, anche poetica. L’immagine ha assunto la valenza di un segno ricco di senso, onomatopeico e non arbitrario, in qualche misura passibile di sempre nuove risignificazioni. Le fotografie si parlano tra loro, si chiamano, si incontrano in dittici, in sequenze la cui natura non ha a che fare con la necessità di restituire ritmi narrativi, bensì con le tese dinamiche del montaggio, che seppur in forma latente sono sempre state sottese alla sua ricerca. Insomma, elabora nel corso degli anni un processo di etimologica astrazione, realizzando immagini che pur nella loro piena evidenza fenomenica si elevano dalla contingenza e trovano nuova vita all’interno di un preciso progetto espressivo, non soltanto dall’incontro con l’occhio della fotografa, ma soprattutto da quello con il suo pensiero e con altre immagini. Fiorella Cagnoni ravvisa proprio nella dimensione dell’incontro il senso del suo fotografare. “Il mondo e le sue più varie rappresentazioni sembrano spesso ripetitivi; perciò a volte ad alcuni paiono noiosi. Quella apparente ripetitività, quella pretesa immutabilità, sono il più grande inganno. E tanto più un artista ci piace quanto più ci fa ricordare che dietro l’inganno c’è la vita, ci sono persone – uomini e donne – che pensano, producono, lasciano segni. Ci sono progetti e realizzazioni; casualità e lungimiranze. A me pare che in queste fotografie di Mattioli il filo conduttore sia proprio la scoperta sempre rifatta – la prova tangibile

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che Luisa Muraro aveva teorizzato in un suo scritto: “[…] Che ci sia

Mattioli ha sempre cercato di far dialogare il suo sguardo con quello

l’impensato dentro di noi, insieme a ciò che pensiamo (vero, giusto,

altrui, intendendo l’atto fotografico come un incontro: per questo,

ovvio…) e facciamo, che ci sia proprio a causa di ciò che crediamo e

anche quando lavora a ricerche di ampio respiro, realizzando serie

facciamo, come una specie di segreta condizione della nostra coerenza,

articolate e complesse, introduce spesso il ritratto, come momento di

questo è assodato, così come non vi è difficoltà ad ammettere che esso

immancabile dialogo, di relazione. Penso a un ciclo di fotografie che

talvolta salti fuori e parli davanti a noi come tale, scombussolando il

fa nel corso degli anni Duemila, intorno ad un tema impegnato come

quadro in cui ci eravamo messi. L’impensato è la nuca del pensiero e

quello del lavoro. Con le serie Fabbrico e Dalmine, Mattioli mette

sta al lato opposto di quello dello sguardo”88.

in campo gli ormai collaudati modi espressivi per ragionare sulla

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vocabolario, indica sia un’opera eccellente, la migliore di una serie, sia il lavoro che un operaio in prova deve realizzare per essere assunto. Realizza delle immagini in cui di questi capolavori, fotografati alla scuola per saldatori della Breda di Sesto San Giovanni, non resta che l’essenza formale, l’anima visiva, nella cui immagine queste prove artigianali sono sublimate in forme espressive. Tale propensione ad assumere come segni gli elementi del reale, sottoposti ad un processo di decantazione, privati della loro apparenza fenomenica, ci offre la chiave di lettura anche per i lavori in cui Mattioli resta su un livello di maggior aderenza alla veste fenomenica della realtà, costringendoci a leggerli sempre andando oltre la mera evidenza. Nella serie Dalmine, come accadeva a Fabbrico, paese emiliano in cui riesce a cogliere gli scorci più semplici e a farne delle immagini particolari, il racconto è composto da un susseguirsi di sguardi limpidi, chiari ed è costruito su una trama di relazioni visive. Come nota Roberta Valtorta, in Dalmine come in Fabbrico, l’autrice procede secondo quello che ormai è il suo modo di narrare: scegliere “pochi chiari elementi guida e intrecciarli tra loro, facendo in modo che l’uno illumini di significato l’altro”90. In questo caso sono i ritratti degli operai, restituiti in immagini stranianti,

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Note

1. Mattioli collaborerà con lo Studio di Mulas sino al 1972.

di C’est n’est qu’un début, continuon le combat!, uno slogan del ‘68 francese.

2. Per Mulas “l’operazione fotografica è sempre una elaborazione mentale che sta a monte dell’ operazione di scatto», insomma la foto non è documento, ma semmai riflessione sul linguaggio, come scriveva il MerleauPonty, il filosofo che un’amica, Paola Mattioli, gli proponeva al tempo delle Verifiche”, in Quintavalle Arturo Carlo, “Corriere della Sera”, 4 dicembre 2007.

11. “Io rifiuto questa idea o teoria dell'attimo fuggitivo, perché penso che tutti gli attimi siano fuggitivi e in un certo senso uno valga l'altro, anzi, il momento meno significativo forse è proprio quello eccezionale” (Mulas Ugo, La fotografia, a cura di Paolo Fossati, Einaudi, Torino 2007, p. 146). Posizione, questa, condivisa da alcuni tra i più interessanti giovani fotoreporter del momento, tra cui certamente Uliano Lucas, impegnato in quegli anni anche in una battaglia per il riconoscimento della parità dell'attività dei fotoreporter con quella dei giornalisti della carta stampata. Mi piace qui ricordare che in questa lotta, al suo fianco con Carla Cerati c'è anche Paola Mattioli.

3. Archivio Paola Mattioli (d’ora i poi APM), Mattioli Paola, …Mi mandi una bio di dieci righe, 2009 – 2016, testo inedito, p. 2. L'esperienza con Mulas è raccontata con più precisione in Mattioli Paola, Nello studio di Ugo Mulas, in Cerchiari Necchi Elda, Milano Mia. La città come non è mai stata raccontata, a cura di Chiara Rosati, Polaris, Faenza 2015, pp. 318 – 323. 4. Mattioli Paola, Ugo Mulas alla Pilotta, in “NAC. Notiziario Arte Contemporanea”, n. 6-7, giugno luglio 1973, p. 22. 5. Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, Materiali per una analisi del linguaggio fotografico, tesi di laurea di Paola Mattioli, relatore prof. Marisa Dalai Emiliani, Correlatori Enzo Paci e Arturo Carlo Quintavalle, anno accademico 1973/1974. 6. Ivi, p. 149. 7. Ivi, p. 152. 8. Ivi, p. 157. 9. APM, Registro delle opere, n.1, 1969. 10. Il titolo deriva da una storpiatura

12. Mattioli Paola, op.cit., 1973, p. 22. 13. Ungaretti Giuseppe, Lettere a un fenomenologo, con un saggio di Enzo Paci e 16 fotografie di Paola Mattioli, All’Insegna del Pesce d’Oro, Vanni Scheiwiller, Milano 1972, p. 11. 14. Ungaretti Giuseppe, De Pisis Bona, Croazia segreta, con due acqueforti di Bona De Pisis e una fotografia di Paola Mattioli, collana Immagine e testi, n°4, a cura di Luigi Majno e Roberto Sanesi, M'Arte Edizioni, Milano 1970. 15. Ungaretti Giuseppe, op.cit. 16. Quintavalle Arturo Carlo, Il colore dell’immagine, in Immagini del no, All’Insegna del Pesce d’Oro, Vanni Scheiwiller, Milano 1974, s.i.p. 17. Luisa Mattioli Peroni (1918–1993), laureata in giurisprudenza nel 1941,

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nominata dal Consiglio Superiore della Magistratura vice-pretore onorario, ne ha svolto le funzioni presso la Pretura di Milano dal 1963 al 1967 (è sua la prima sentenza in Italia stesa e sottoscritta da una donna). Dopo aver partecipato all’attività clandestina durante gli anni della Resistenza, è stata tra i soci fondatori del “Centro per la Riforma del diritto di Famiglia”; fu presidente dei Probiviri di Milano del Partito Socialista Italiano dal ‘68 al ‘76 e presidente dell’Istituto Marchiondi e Spagliardi di Milano dal 1973 al 1984. Ha partecipato fin dal 1962 alle lotte per l’emancipazione femminile come membro dell’Unione Donne Italiane e come presidente dell’Unione Femminile Nazionale (Luisa Mattioli Peroni, a cura di Paola Mattioli, Edizioni Lybra Immagine, Milano, 1995, p.8). 18. Racconta Mattioli: “Avendo sentito al telegiornale italiano della morte di Krusciov, appena arrivata a Mosca, con aria da ‘vera fotoreporter’, lascio il gruppo di Italia URSS e mi avventuro vero il Cimitero di Novodevičij chiedendo, con l'aiuto di un vocabolarietto, notizie al taxista: non sa nulla della morte di Krusciov. Entro, trovo la tomba, è carica di fiori, la fotografo ma sto ancora scattando quando due tipi in borghese mi sollevano di peso e mi chiedono di dare a loro il rullino. Un giovane sindacalista italiano, incontrato in aereo, che mi ha seguita con discrezione, interviene e risolve il problema. Si chiama Claudio Sabattini, attraverso di lui conoscerò, negli anni e un po' più da vicino, le vittorie e le sconfitte delle lotte operaie” (APM, Mattioli Paola, …Mi mandi una

bio di dieci righe, 2009 – 2016, testo inedito, p.3) . 19. Dalai Emiliani Marisa, Insieme, in “NAC. Notiziario Arte Contemporanea”, n. 11, novembre 1973, p.35. 20. Basaglia F. - Basaglia Ongaro F. (a cura di), Morire di classe : la condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, Einaudi, Torino, 1969. 21. Quintavalle Arturo Carlo, La traccia alienata 1973 – 1977 di Paola Mattioli, in Enciclopedia pratica per fotografare, n. 60, Fratelli Fabbri Editore, Milano 1980, p. 1880. 22. Ibidem 23. Queste fotografie sono state esposte a Trieste nel 1987 in occasione di una mostra a seguito della quale è stato pubblicato il volume Rivisitando i lager, in cui sono raccolte oltre alle immagini di Mattioli alcune fotografie di Raymond Depardon, Jurgen Kahlert e Harald Nadolny con una prefazione di Primo Levi (Rivisitando i Lager, con prefazione di Primo Levi, Idea Books Edizioni, Firenze 1991). Queste immagini sul registro delle opere dell’autrice conservato in archivio sono riferite al 1976 (APM, Registro delle opere, 1976, n. 138). 24. Levi Primo, op.cit., p. 7. 25. “In molte occasioni noi, reduci dai campi di concentramento nazisti, ci siamo accorti di quanto poco servano le parole per descrivere la nostra esperienza. Funzionano male per 'cattiva ricezione', perché viviamo ormai nella società dell'immagine, registrata, moltiplicata, teletrasmessa, ed il pubblico, in specie quello

giovanile, è sempre meno propenso a fruire dell'informazione scritta; ma funzionano male anche per un motivo diverso, per 'cattiva trasmissione' [ ] Con questa mostra abbiamo tentato di adottare il linguaggio dell'immagine, consapevoli della sua forza” (Levi Primo, op.cit., p. 6). 26. Nel dicembre del 1970 la legge Fortuna Baslini introduceva in Italia il divorzio. A seguito delle polemiche che ne seguono l’iter in parlamento, viene indetto un referendum popolare che si tiene il 12 e il 13 maggio del 1974 e che sancisce la vittoria dei no, cioè di coloro che non volevano l'abrogazione della legge. 27. Quintavalle Arturo Carlo, op.cit., 1974, s.i.p. 28. Ibidem 29. Parr Martin (a cura di), The protest box, Steidl, 2011. Il cofanetto contiene cinque libri fotografici: oltre a Immagini del No, América: un viaje a traves de la injusticia di Enrique Bostelmann (1970), Para verte major, América Latina, di Paolo Gasparini (1972), Algeria di Dirk Alvermann (1961) e Sanrizuka di Kitai Kazuo (1971). 30. Pelloso Giovanni, Paola Mattioli. Quando lo sguardo fotografico è riflessione e rivelazione, in “Il fotografo”, n.284, luglio 2016, p. 31. 31. Quintavalle Arturo Carlo, op.cit., 1974, s.i.p. 32. Quintavalle Arturo Carlo, op.cit., 1974, s.i.p. 33. Una prova della “autonomia” di ogni fotografia della serie è anche

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Bibliografia

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Casero Cristina, Io vedo. La via delle fotografe, in R. Di Fazio, M. Marcheselli (a cura di), La signorina Kores e le altre. Donne e lavoro a Milano (1950 -1970), Enciclopedia delle donne, Milano 2016, pp. 275 – 289.

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