Storia del Post-modernismo

Page 1


Dedicato a chi ha resistito al falso imperativo dello zeitgeist

Storia del Post-modernismo Cinque decenni di ironico, iconico e critico in architettura Charles Jencks Š 2014 Postmedia Srl Š 2011 John Wiley & Sons Ltd Book design: Romain Citerne Illustrazioni: Madelon Vriesendorp www.postmediabooks.it ISBN 978-88-7490-120-3


Storia del Post-modernismo Cinque decenni di ironico, iconico e critico in architettura

Charles Jencks

postmedia books


PREFAZIONE 9 RINASCITA DEL POST-MODERNISMO? 11 La storia di fondo 15 Qualche debito da riconoscere 16 E infine Madelon Vriesendorp

CAPITOLO I

CAPITOLO II

19 LA TEMPESTA PERFETTA DEL POST-

61 CERCARE LA DIFFERENZA PER

MODERNISMO

TROVARE LA CONVERGENZA

20 I fallimenti morali del Modernismo

61 Pluralismo globale

29 Le morti ricorrenti del Modernismo

62 Eclettismo radicale, la prima risposta all’omogeneità

33 Il trionfo del nulla 38 I revisionisti e Le Corbusier guidano la rivolta 44 Complessità e doppia codificazione – la prima sintesi postmoderna 51 La forma della storia – Onde lunghe, medie e corte

72 Contrappunto contestuale 86 Classicismo postmoderno – l’International Style ironico 92 Eventi mediatici e denaro 95 Una digressione su costo e gusto 98 James Stirling sintetizza contestualismo e pluralismo 103 Estensione del paradigma della complessità 115 Modernisti che diventano postmoderni 124 Opposti “cattura-tempo”


CAPITOLO III

CAPITOLO V

139 VERSO UN MODERNISMO CRITICO

243 LA COMPARSA DELLE ICONE

139 Cos’è una città? Un sistema adattativo complesso 142 Eterotopie ed eteropoli 155 Espressivamente verde ed economico 167 Rem Koolhaas, Steven Holl, Toyo Ito e il route building poroso 177 Peter Eisenman, la landform e il Critico-Creativo

COSMICHE

243 L’edificio iconico e le sue turbolenze 246 L’Effetto Bilbao 253 Significato multiplo e significanti enigmatici 257 Icone degne? 270 Paranoia, temi velati e iconologia cosmica 285 Conclusione prematura: l’iconologia del Post-modernismo?

CAPITOLO IV 195 COMPLESSITÀ E ORNAMENTO DELLA NATURA

195 Il paradigma della complessità

296 Una bibliografia postmoderna 305 Indice dei nomi

199 L’architettura frattale e la metafisica della continuità fluida 217 Fuga dal White Cube 219 Quattro gradi di ornamento

5


Storia del Post-modernismo

6

Metafore della natura e del cosmo, l’iconologia fondamentale del Post-modernismo (fila in alto) Le Corbusier, Ronchamp. (fila centrale) Rem Koolhaas, Porto. (fila in basso a sinistra) Frank Gehry, Disney. (fila in basso al centro) Enric Miralles, Parlamento scozzese. (fila in basso a destra) Norman Foster, Swiss Re.


Metafore della natura e del cosmo, l’iconologia fondamentale del Post-modernismo (fila in alto) Frank Gehry, Bilbao. (fila centrale a sinistra) Rem Koolhaas, CCTV. (al centro) Coop Himmelb(l)au, BMW. (a destra) Norman Foster, Zayed National Museum, Abu Dhabi. (fila in basso) Herzog & de Meuron, Stadio Nazionale per i Giochi Olimpici, Pechino.

7


Louis Kahn, Salk Institute for Biological Studies, La Jolla, California, 1962–5 Questa corte, con il canale e i muri di teak rustico e cemento che riprendono l’asse del sole, rappresenta uno dei primi paesaggi cosmici del Post-modernismo. I laboratori sono spazi aperti, collettivi, ma ogni studio destinato a uno scienziato impegnato a decodificare i segreti della natura si apre sull’Oceano Pacifico. Le linee dell’orizzonte dell’architettura completano quelle del cielo e dell’acqua. Come ha detto Frank Gehry: “il Movimento Moderno era totalmente meccanico, è per questo che è arrivato il Postmoderno … e Lou Kahn è stato come un alito di aria fresca di quel [nuovo movimento] in America, i miei primi lavori testimoniano il rispetto che nutro nei suoi confronti”, citazione ripresa dal film My Architect, 2004, di Nathaniel Kahn.


RINASCITA DEL POST-MODERNISMO? Dall’inizio del nuovo millennio, il Post-modernismo è tornato, di fatto, come movimento di primo piano nelle arti. Come è accaduto? Con la rivisitazione dell’ornamento e della decorazione in architettura e nelle arti, l’incremento esplosivo di edifici iconici e sculture monumentali – opere simboliche e altamente comunicative – molti dei temi postmoderni degli anni Settanta e Ottanta hanno assunto un ruolo centrale nella società. Cosa più importante, il pluralismo è stato accettato come ordine globale delle culture, l'adesione postmoderna alla narrativa plurivocale celebrata dal romanzo contemporaneo. In ogni fiera d’arte internazionale, a partire dalla londinese Frieze, si evidenziano cento e più modi di vedere, e oggi nel mondo dell’architettura questo pluralismo del mercato è quasi altrettanto ricco e tollerante della differenza. Forse la varietà del mercato non realizza l’ideale postmoderno della tolleranza politica ma è un avanzamento rispetto al dominio di una modalità culturale unica, classica, nazionale o moderna che sia. Al di là della rivisitazione dell’ornamento, dell’iconografia e del pluralismo, sono anche altri i “ritorni” postmoderni, alcuni dei quali tali da richiamare alla mente la vecchia definizione di “rivoluzione”: “rivolgersi”, cioè tornare, a un passato migliore. L’origine di questa metafora, le rivoluzioni planetarie, evidenzia anche il fatto che la visione cosmica del mondo è un esempio di questo ritorno postmoderno. È un’ispirazione per alcuni architetti che progettano edifici iconici, un tema del quale mi occuperò in conclusione. Ma ogni capitolo si occupa di temi riemergenti come una «nuova teoria della complessità», o il modo in cui le aree urbane possono essere cucite insieme da un «contrappunto contestuale», altre due idee chiave che sottolineo in questa tradizione risorgente. Come si caratterizza un tipico edificio postmoderno? È un edificio ibrido, che drammatizza la mescolanza di periodi contrapposti – passato, presente e futuro – al fine di creare una time-city in miniatura. Dunque è basato su codici multipli, che combinano tecnologia universale moderna e cultura locale, in un «doublecoding», o doppia codificazione, riconoscibile, il suo stile caratteristico. Il tipico edificio postmoderno parla contemporaneamente a livelli diversi, alla cultura alta e bassa, e riconosce la situazione globale nella quale nessuna cultura può parlare da sola per il mondo intero. Un obiettivo è quindi la comunicazione amplificata, veicolare una coscienza amplificata della nostra situazione plurale. Un classico PM è l’ampliamento della Neue Staatsgalerie a Stoccarda di James Stirling. La sua doppia codificazione mescola elementi moderni con altri tradizionali e vernacolari, arrivando a proporre fino a tre stili a confronto su una facciata. Ma l’ironia è che Stirling usa l’high-tech come decorazione, per dire al visitatore come muoversi 9


Storia del Post-modernismo

10

attraverso un sito complesso. L’acciaio dai colori vivaci è utilizzato quindi come ornamento simbolico, mentre la muratura tradizionale ha soprattutto la funzione di controllare la temperatura: nel Post-modernismo queste inversioni fanno sempre sorridere con la loro scaltra ironia. Ma, trattandosi di un movimento architettonico in evoluzione da oltre cinquant'anni, nessun edificio può rappresentarne appieno la ricca varietà, o la tipicità. Gli edifici costruiti negli anni Ottanta, come quelli di Stirling, possono presentare codici opposti, ma la tradizione più ampia che mi interessa rappresentare può usare tattiche diverse per conseguire risultati analoghi. Oggi, ad esempio, ornamento digitale e complessità sono parte di un tutto fluido, anche se l’obiettivo è sempre amplificare la comunicazione e abbracciare la differenza. Per di più, essendo un movimento non concluso attivo da cinque decenni, il Post-modernismo è ancora controverso e vede i critici in disaccordo sul suo significato, condizione che si riflette nelle diverse formulazioni del suo nome, ad esempio la versione "Postmodernismo" come parola unica. Ma, dato che i critici concordano nel riferire la definizione all’epoca di pluralismo venuta dopo il Modernismo, io preferisco la versione con trattino, che ne sottolinea il carattere di doppia codificazione. Naturalmente è noioso rileggere più e più volte la stessa locuzione, quindi userò la sigla "pm", minuscola, quando si parla del fenomeno sociale generale, "PM" quando invece si parla del movimento artistico o culturale, e "PoMo" quando si parla del genere culturale di massa, o anche del kitsch. È il caso di precisare che l’era della post-modernità si riferisce solo a una minoranza della cultura laddove il Modernismo, la modernizzazione e la modernità sono tuttora le condizioni cui aspira gran parte del pianeta?

Post-modernismo o PM = Il movimento artistico o culturale PoMo = il genere culturale di massa pm = il fenomeno sociale generale

Ma la pluralità non si ferma qui. Da un punto di vista antropologico, il 50 per cento del mondo emerge ora da una cultura rurale fondata sui villaggi. Sempre un 50 per cento circa, secondo i dati statistici ampiamente diffusi dalle Nazioni Unite1, vive attualmente nelle città, ma in luoghi come l’India l’80 per cento lavora ancora la terra. Per di più, nel mondo dell’architettura l’ascesa delle neo-tradizioni prende la forma di un classicismo moderno. Conviene quindi lasciarsi alle spalle i sogni (e gli incubi) di una civilizzazione mondiale integrata e riconoscere le culture parallele valide che il Post-modernismo ha ammesso nel proprio pantheon.


L A STORIA DI FONDO L’architettura e le arti sono mosse da quattro grandi forze – sociale, economica, tecnica ed ecologica – che hanno segnato l’ultimo cinquantennio: senza dubbio tra altri cinquant’anni gli storici avranno una visione molto più chiara della nostra di questo scenario. Non intendo portare questo sfondo in primo piano: mi interessano le arti emergenti, i singoli architetti e una schiera di piccoli gruppi impegnati a perseguire obiettivi modesti. Ma non mancheranno, in qualche caso, accenni a elementi come le tendenze economiche prevalenti e la relativa impotenza degli architetti di fronte a queste quattro forze. Come i politici, possono far finta di avere il controllo e la capacità di influenzare la società – è questa in buona sostanza la loro speranza e forma mentale – ma se ciò accade è perlopiù per caso. Viviamo, quanto meno a scala globale, in un’epoca nella quale cinquecento multinazionali e un ristretto gruppo di fondi sovrani e di nazioni controllano gran parte della finanza e del commercio mondiali (se la stretta creditizia può essere intesa come forma di controllo). Ironicamente, una parola che ricorrerà spesso nelle pagine di questo libro, i banchieri sono stati definiti più volte in quest’epoca i padroni dell’universo, e certo le ricchezze che si attribuiscono sono del tutto adeguate a tale status; ma evidentemente non controllavano un bel nulla. Eppure, ciò che i banchieri hanno finanziato – un’architettura gigantesca e un ancor più gigantesco mercato dell’arte – ha avuto un effetto che deve essere registrato nella vicenda che fa da sfondo alla futura Storia del Post-modernismo. Prendiamo il Chrysler o l’Empire State Building, o il grande edificio iconico simbolo del capitalismo anni Venti, con una superficie complessiva di 100.000 metri quadrati e un costo intorno ai cinquecento milioni di dollari di oggi: parliamo di un terzo delle dimensioni dei colossi odierni. Per Le Corbusier i grandi padroni della sua epoca erano “capitani d’industria”, metafora che il Modernismo rese particolarmente efficace creando per loro edifici simili a grandi navi. Come evidenziato dagli storici, la Ford Motor Company, e ancor più la General Motors, erano le istituzioni moderne per eccellenza e, di nuovo, l’architettura concepita da Le Corbusier era costruita sui loro principi di taylorizzazione e produzione in serie. “Puoi avere qualunque Ford, basta che sia stereotipata”. La forma mentale, le direttive istituzionali e la produzione tecnica associabili alla General Motors divennero la modalità di pensare il successo e il futuro, prima che diventasse l’odierno dinosauro che si regge a malapena sulle stampelle del deficit spending e dei capitali cinesi2. Per contro, la postmodernizzazione ha creato il villaggio elettronico globale dagli anni Sessanta, Google dagli anni Duemila e la strategia della personalizzazione di massa da quando il computer ha creato il post-fordismo (a un certo punto degli anni Ottanta). 11


Storia del Post-modernismo

12

Darò per scontata questa storia di fondo, soffermandomi solo qua e là sul modo in cui la creazione e la produzione digitale postmoderne stanno cambiando l’architettura, l’ornamento e la creazione di motivi decorativi. Devo anche citare un altro argomento che ricorrerà incidentalmente: l’esplosione dimensionale degli edifici. In epoca tardo capitalista quelli che erano edifici di dimensioni super come l’Empire State Building sono diventati giganteschi come quelli di Dubai: il Burj Khalifa, il grattacielo più grande del mondo, ha dimensioni più che doppie rispetto ai suoi predecessori degli anni Trenta, e un costo, un miliardo e mezzo di dollari, che è più o meno il triplo. Un altro mega-progetto, il cosiddetto CityCenter di Las Vegas, in parte finanziato da Dubai, è arrivato a costare la catastrofica cifra di otto miliardi e mezzo. Architetti tra i più grandi hanno cercato, probabilmente senza riuscirci, di domare il drago di Las Vegas. Non li biasimo per aver tentato di abbellire quei mostri, di venire a patti con clienti multinazionali e con strumenti finanziari e derivati tipo CDO (collateralized debt obligation) e CDS (credit default swap), veri e propri «strumenti di distruzione di massa» che Warren Buffett e George Soros cercano a fatica (ma invano) di capire. Questo è lo scenario che fa da sfondo alla nostra epoca e all'edificio iconico: da parte mia, più che arrovellarmi su teorie e fallimenti, preferisco concentrarmi sui successi. Occorre, nello stesso tempo, considerare un altro grande cambiamento sociale che può essere valutato come positivo. Le principali iniziative in ambito architettonico non sono più rappresentate, come negli anni Cinquanta, da sedi direzionali ma da centri culturali, musei e monumenti nazionali. Oppure, quando è il commercio che detta i programmi, come nel caso delle aziende automobilistiche in Germania, sono il tempio BMW e il santuario Mercedes le nuove cattedrali di una cultura secolare. Il museo come cattedrale e l’avanguardia come il suo clero, era una visione già proposta nel XIX secolo, ma mentre questo passaggio apre molte possibilità all’invenzione e all’espressione in architettura, è necessario precisarne le implicazioni iconologiche. L’iconologia è lo studio dei simboli nascosti e sotterranei, l’iconografia spiega le intenzioni consapevoli e le convenzioni: questi termini ricorreranno spesso nel corso di questo libro perché sono molto importanti per la comunicazione e la storia del Post-modernismo. Ma anche su questi temi mi soffermerò appena, non li esplorerò a fondo. Questa indagine riguarda un movimento dell’architettura all’interno di una cultura mondiale pluralistica: per forza di cose deve, quindi, accennare ad alcuni temi portanti di una scena ancora più vasta e indicare cosa rappresentano per me quei temi e quegli edifici. I mutamenti intervenuti nella Disegno di Burj Khalifa (Torre del Califfo) costruita dallo studio Skidmore, Owings and Merrill, Dubai, 2004-2009


James Stirling e Michael Wilford, Neue Staatsgalerie, Stoccarda, 1977-1984 Il percorso e gli ingressi sono sottolineati da elementi high-tech, le forme classiche a fasce toccano il terreno, mentre è lo stucco vernacolare a comporre gran parte dell’intervento e a legarlo al contesto circostante. Un classico esempio di contrappunto contestuale.

13


Storia del Post-modernismo

14

UN Studio (Ben van Berkel e Caroline Bos), dal progetto per il Mercedes Benz Museum, Stuttgart, 2001-2006

storia di base del Post-modernismo non hanno interessato solo le dimensioni, gli investimenti finanziari, la tipologia edilizia, la produzione elettronica e l'iconologia: hanno avuto anche ricadute geografiche, spostando l'attenzione dall’Occidente all’Oriente, e alla Cina. Evidentemente mi occuperò solo in parte di questo, ma, forse più di molti storici contemporanei, ho visto molto: ho messo piede nel novanta per cento degli edifici citati nel libro, e li ho fotografati quasi tutti. La critica storica finirebbe di esistere se chi scrive dovesse visitare ogni singolo edificio, e le mie fotografie non hanno la qualità tecnica di quelle dei professionisti, però sono recenti e dimostrano le mie tesi. Quindi non mancano i compromessi. Ma ho imparato una lezione dagli storici che ho avuto la fortuna di conoscere, e con i quali in qualche caso ho studiato – Siegfried Giedion, Eduard Sekler, Joseph Rykwert, Reyner Banham e Vincent Scully. Per dire la verità su un edificio, per amarne le virtù e capirne i fallimenti, per comprendere il posto che occupa nel paesaggio e nella città, bisogna andare sul posto, vedere e sentire.


L’architettura è come una persona. Se scrivi di una persona che non hai mai incontrato, realizzi un progetto di ricerca che ha a che fare con le tracce fisiche e con la tua personale immaginazione storica. La biografia autorizzata di un soggetto vivente può essere, invece, persuasiva e appassionata anche nei modi più sbagliati; e un edificio può anche ingannarti e sedurti momentaneamente. Ma guai al critico che tratta l’architettura esclusivamente come illustrazione delle proprie teorie, senza arrendersi mai al suo fascino e ai suoi misteri, alla sua funzione, al suo stile di vita e al suo luogo: è storia esangue, asessuata, più che perfetta, come l’ha definita Reyner Banham. QUALCHE DEBITO DA RICONOSCERE Il mio legame con i caratteri e gli edifici del Post-modernismo nasce negli anni Sessanta, ed è sempre rimasto tale. Da quando ho polemicamente usato questo termine per la prima volta nel 1975, prendendo a prestito un uso negativo dalla letteratura e trasformandolo in positivo, sono stato un membro, un partigiano e talvolta anche un critico dell’architettura PM. I sette libri sull’argomento che citerò a breve sono usciti dopo i dibattiti ai quali ho dato vita in Olanda, nel 1975, e dopo gli articoli ivi pubblicati. Il primo scritto comparso in Inghilterra, dove insegnavo all’epoca, è stato “The Rise of Post-Modern Architecture”, pubblicato dall’Architectural Association Quarterly, 1975. Da allora ho avuto modo di frequentare molti degli architetti, degli eventi e dei momenti architettonici – come l’Effetto Bilbao – descritti in questo racconto. Ernst Gombrich, che ha menzionato il Post-modernismo nelle edizioni più recenti della sua storia dell’arte, ha influenzato la mia posizione, così come tanti altri che cito nel testo e nelle note. In questo libro ho cercato un equilibrio tra narrativa e analisi concisa, per lo storico si tratta di sorelle gemelle assai bizzarre, gelose ed esigenti, come ha spiegato lo stesso Gombrich. A ciascuna va riconosciuto un ruolo ma va anche tenuta a bada, per evitare che la storia e il tempo abbiano la meglio sul pensiero, o viceversa. Lo stesso discorso vale per altri fratelli competitivi della storia, l’equilibrio tra la celebrazione degli edifici e la loro critica, o tra la comprensione delle intenzioni dell’architetto e il vedere al di là di esse. Tra i miei scritti dai quali ho tratto spunto ve ne sono diversi sul Postmodernismo. Tra i principali, The Language of Post-Modern Architecture (1977), e le sue edizioni successive fino alla settima, riformulata con il titolo The New Paradigm in Architecture (2002). Post-Modern Classicism, an Architectural Design del 1980 è diventato un libro sull’arte e l’architettura nel 1985. What is PostModernism? è nato come conferenza tenuta in Germania e pubblicata nel 1985 e, nella sua quinta e più ampia versione, è stato interamente riscritto con il titolo di Critical Modernism (2007). The Post-Modern Reader (1992), e la seconda 15


Storia del Post-modernismo

16

edizione del 2011, offre una panoramica della condizione postmoderna nel suo complesso. Infine, The Architecture of the Jumping Universe (1995), e The Iconic Building (2005), si occupano dei temi iconografici e cosmici del movimento. Attraverso queste edizioni in evoluzione che ho definito “tomi-evolutivi”, perché effettivamente si evolvono insieme agli eventi, si dipanano i fili comuni e continui che evidenziano il ruolo linguistico dell’architettura e il suo pubblico pluralista insieme ai ritorni ironici all’ornamento, alla metafora e alla storia. A livello scientifico, il riferimento è alle teorie della complessità e alla storia dell’universo, la nostra iconografia cosmica. Quindi i debiti sono molti, alcuni riconosciuti esplicitamente, altri nascosti tra le righe. Le fotografie non di mia produzione sono state spesso fornite dagli architetti. Per quanto riguarda le parole sconnesse di questo libro, come spesso i miei scritti recenti, hanno beneficiato del lavoro di Helen Castle, la mia editor presso Wileys, che si è fatta anche promotrice dell’idea di Storia del Post-modernismo, e come sempre ha risolto molti problemi. Anche mia moglie, Louisa Lane Fox, e Denise Bratton hanno proposto modifiche e fornito un aiuto prezioso nella correzione di valutazioni e fatti erronei, mentre i miei assistenti, Gillian Innes, Caroline Ellerby, Tom Windross e Andrea Bettella, hanno collaborato alla progettazione grafica e iconografica del libro. Parafrasando i ringraziamenti rivolti dal poeta Don Paterson ai suoi abili revisori di bozze, responsabili di aver eliminato le inesattezze più grossolane, vorrei dire che tutti gli errori che restano sono esclusivamente colpa loro, ma la paternità di eventuali svarioni è la mia. E INFINE MADELON VRIESENDORP Un ringraziamento particolare va a Madelon Vriesendorp, con la quale collaboro dal 1995 alla realizzazione di disegni e modelli paesaggistici. L’illustrazione che ha prodotto per la copertina, dedicata alle cinque diverse correnti del Post-modernismo, esprime appieno il colorato e vigoroso pluralismo di questi movimenti e al contempo la loro espansione cosmica. Come profetizzato da Claude Nicolas Ledoux, “L’architetto è lassù, tra i vortici d’aria e le nuvole che duellano per dominare i cieli”, e Madelon ha fatto giustizia sia alla battaglia galattica che all’occhio vigile dell’universo. Il suo spirito inventivo è evidente anche nella capacità di riassumere un gesto dell’edificio nei disegni in bianco e nero che costellano il libro e nei quali la caricatura si fonde al pensiero visivo analitico. Insieme abbiamo espresso in forma di schizzo alcune delle metafore che io e altri critici abbiamo applicato agli edifici iconici. Abbiamo tentato di trovare l’immagine nascosta, o il dettaglio suggestivo, una ricerca con la penna. Ma i disegni, a parte alcuni casi, sono suoi.


Essi evidenziano analogie che sono ovvie, o implicitamente codificate, in alcune parti di una struttura. Secondo la semiotica, la teoria dei segni, il segno iconico comunica attraverso una relazione “per alcuni versi” tra due entità, ad esempio il suono e il senso nella poesia. Nel caso dell’architettura il segno iconico può essere nella forma, nell’immagine complessiva o in alcuni dettagli; ma dobbiamo ricordare l’avvertimento “per alcuni versi”, e aggiungere un’altra intuizione della semiotica. Quei “versi” dipendono anche dai codici, e dallo stato d’animo, di chi guarda, tanto che le stesse forme iconiche possono trasformare i detrattori in iconoclasti. Per quanto concerne poi lo schizzare metafore, è un modo di esprimere fumetti per il pensiero, mai la sentenza definitiva sul valore di un edificio. La mia opinione circa il valore dell'edificio iconico, e il suo significante enigmatico, dipende dalle sottili ambiguità dei significati velati ed è per questo che Madelon ne ha illustrati diversi, non uno soltanto. È il modo in cui si rapportano al compito e al contesto più ampio di un edificio a rappresentare l'elemento cruciale, il suo significato multiplo.

1. Si veda p. 2 – Key Findings of the 2007 Revision: www.un.org/esa/population/ publications/wup2007/2007WUP_ ExecSum_web.pdf 2. A proposito della tesi che indica General Motors come la corporation modernista per eccellenza e di maggiore successo negli anni Cinquanta, e come

una bomba a orologeria economica nell’epoca della produzione informatica in continuo mutamento, si veda l’articolo dell’economista John Kay, “Lessons from the Rise and Fall of a Carmaker”, Financial Times, 3 giugno 2009, pagina degli editoriali.

17


Storia del Post-modernismo

18

Herzog & de Meuron, CaixaForum, Madrid, 2001–2008 Questo edificio riassume numerosi temi postmoderni: il contrappunto contestuale e il riutilizzo dell’edificio preesistente, la ricucitura del tessuto urbano e l’espressione dell’imperativo verde, il richiamo alla storia e al futuro, i tocchi ironici che drammatizzano vecchio e nuovo.


1. LA TEMPESTA PERFETTA DEL POST-MODERNISMO Alle 7 del mattino del 30 ottobre 1991 la costa orientale americana fu colpita da una tempesta che aveva raggiunto proporzioni spaventose: onde alte dodici metri si rovesciarono sui frangiflutti affondando molte imbarcazioni e risucchiando un pescatore giù da un ponte a New York, con venti che flagellarono le eleganti abitazioni costruite sulla fascia nord della costa con una pioggia orizzontale. La “Tempesta di Halloween”, così denominata dato il periodo, seminò distruzione per cinque giorni, ma poi il servizio meteorologico nazionale statunitense la fece diventare la “tempesta perfetta”, un appellativo di sicura presa sull’immaginario pubblico che è anche diventato il titolo del bestseller di Sebastian Junger e del film a questo ispirato. L’aggettivo “perfetta” sottintendeva una rara combinazione di elementi maturati contemporaneamente, una confluenza di eventi disparati. Un freddissimo fronte di alta pressione proveniente dal Canada tagliò le gambe a un fronte caldo e molto basso (l’uragano Grace) che risaliva da sud, procedendo a zig-zag verso la terraferma, e fu poi risucchiato in un ciclone rotatorio situato a est di Cape Cod. Queste due spirali unirono le loro forze, nutrendosi al contempo del calore estivo immagazzinato in Florida. Le onde oceaniche assunsero dimensioni ancora più spaventose per effetto dei venti che soffiarono per cinque giorni. La luna piena non mancò di conferire un accento drammatico al diabolico cocktail che unì le due tempeste in un’unica grande perfezione che annientò i più vasti sbarramenti alluvionali della fascia costiera orientale insieme a tutti i precedenti record di alluvioni. Fortunatamente quel vento contrario ha portato anche qualche beneficio, offrendo ai giornalisti una metafora appropriata per il crack economico che ha travolto il mondo dal 2007: allo stesso modo le sue nubi temporalesche mi vengono in soccorso per illustrare come, a metà degli anni Settanta, le correnti più robuste dell’architettura sono improvvisamente confluite in una piena che ha rotto gli argini trasformandosi in un delta comune e sempre più ampio. Il Delta Perfetto? Non suona bene come “tempesta perfetta” però comunica un’idea migliore; il pluralismo condiviso che si compatta intorno alla confluenza di correnti impetuose. Questo fronte comune ha ben presto assunto il nome di Post-modernismo, diventando un movimento nelle arti, nelle scienze e nella filosofia, e uno dei filoni più robusti dell’architettura recente, più duraturo di tutti gli altri “ismi”. È diventato, anzi, e per un’ottima ragione, uno dei pochi movimenti culturali globali a essere promosso e guidato dall’architettura. L’architettura, come vedremo, subisce più direttamente delle altre arti gli effetti problematici del Modernismo: i dilemmi della bigness, della produzione in serie, dell’abitare anonimo e dell’agnosticismo neutro. 19


Albero evolutivo postmoderno Le sei tradizioni di fondo sono classificate piĂš a sinistra; i 16 architetti principali sono riportati in verde; i 24 movimenti principali sono in rosso, i 74 architetti piĂš significativi sono in blu, mentre altri 500 architetti e parole chiave sono in nero. Inutile dire che questo schema rappresenta la mia personale visione.



Storia del Post-modernismo

60

Minoru Takeyama, Ni-Ban-Kahn, Tokyo 1970; e versione successiva del 1977 La due versioni della doppia codificazione applicata a 14 bar riportate in copertina alla prima e alla seconda edizione di The Language of Post-Modern Architecture. La supergrafica e gli annunci pubblicitari si oppongono violentemente all’architettura degli architetti.


2. Cercare la differenza per trovare la convergenza PLURALISMO GLOBALE Pur essendo numericamente minoritaria, la controcultura degli anni Sessanta esercitò un’influenza notevole che la portò a dominare i media, così come la Pop art, una delle sue innumerevoli espressioni. Tutti e due i movimenti erano percorsi da contraddizioni, la più importante delle quali era il contrasto tra gusto alto e basso, elitismo e populismo. La controcultura era guidata sostanzialmente dai giovani delle università che protestavano contro la guerra in Vietnam o, in Francia, contro lo stato autoritario. Ma, pur avendo un seguito popolare, come il Maggio 1968 a Parigi, rimase pur sempre un movimento di minoranza. Negli anni Settanta molti di questi gruppi di protesta, dalle femministe agli studenti, dagli ecologisti ai neri – i groupuscules, come venivano chiamati in Francia – cominciarono a formare una coalizione arcobaleno e a considerarsi un fronte comune di opposizione al gigante modernista, il colosso che solcava i mari del mondo. Questi gruppi, spesso in lite tra loro, arrivarono ad apprezzare le rispettive differenze, e queste importanti contraddizioni, risultato di realtà sociali profondamente sentite, resero il pluralismo una motivazione forte negli anni Settanta. Anzi, man mano che il Post-modernismo si faceva più definito e la sua coalizione arcobaleno più consapevole – in architettura, le sei tradizioni dello schema riportato nelle pagine precedenti – questo motivo divenne ancora più forte. Effettivamente, i postmodernisti potevano contestare qualunque cosa ma si ritrovavano d’accordo su una in particolare: il mondo è fatto di culture diversamente caratterizzate per storia ed evoluzione, dunque esprime un pluralismo che, lungi dall’essere marginale, è un fatto essenziale della vita. Le differenze vanno protette e alimentate. Come già accennato, il filosofo canadese Charles Taylor sosteneva la necessità di riconoscere e onorare l’identità personale insieme ai valori universali. “Differenziazione” era un appello del pluralismo, gemellato all’altro, “solo connettere” [da Casa Howard, E.M. Forster, 1910 NdT]. Nel 1979 i filosofi francesi, ad esempio Jean-François Lyotard, definirono il movimento PM “una guerra alla totalità”, mentre Jacques Derrida proponeva l’originale concetto di différance che, proprio per la sua articolazione etimologica, si discosta 61


Frank O. Gehry & Associates, Chiat Day Mojo Office, Santa Monica, California, 1989–1991 Lo stile eteropolitano della differenza è espresso esternamente da tre codici contrastanti – il Modernismo bianco, gli alberi di «rame» e il binocolo che simboleggia l'attività nel campo delle ricerche di mercato. Gli spazi interni, di stile altrettanto variabile, prevedono una piccola sala riunioni insonorizzata dal rivestimento in cartone ondulato e lo scafo di una canoa trasformato in lampada.


3. Verso un modernismo critico COS’È UNA CITTÀ? UN SISTEMA ADATTATIVO COMPLESSO L’architettura moderna è spesso accusata di annullare la storia della città in un “presente senza profondità”, ancora una volta i “vuoti paesaggi di psicosi” descritti da Norman Mailer. Diverso l’atteggiamento della letteratura moderna rappresentata dall’Ulisse di Joyce e da The Waste Land di T.S. Eliot, che talvolta integrava il riferimento storico nella propria materia. Come abbiamo appena visto con l’architettura di Zumthor, Chipperfield e Herzog & de Meuron, è questa la tradizione che ispira i postmodernisti. Il time-building nella time-city è concepito come una torta a strati di epoche, e in questo riflette il nostro cervello, che è una rete ad alta connettività di memorie. I postmodernisti quindi stratificano l’ambito urbano come se fosse un palinsesto sul quale le diverse generazioni possono scrivere la loro identità. In un celeberrimo brano di Notre-Dame de Paris, Victor Hugo descriveva questo motivo per gli architetti che costruiscono nella time-city. Le cattedrali in particolare, e “i grandi edifici”, scriveva nel 1832, “come le grandi montagne, sono l’opera dei secoli. Spesso l’arte si trasforma, mentre questi sono ancora incompleti. E poi vengono continuati placidamente, secondo i recenti dettami... Il tempo è l’architetto, il popolo è il muratore”. La simulazione di questo processo è diventato l’obiettivo degli architetti postmoderni alla fine degli anni Ottanta, la costruzione istantanea della differenza nella città. La differenza è creata sia dalla città che dal mercato, e a questa pluralità di scelta si associa il temperamento critico. Così, in una città come Berlino, che ha una storia di lotte moderne e catastrofi auto-inflitte, è emerso un modernismo critico che riflette sulla propria storia. Ma prima di guardare a questa formazione, conviene esaminare le parole chiave come «complessità, eterotopia, eteropoli», che cominciano a circolare tra teorici, scienziati e architetti. Molti di questi ultimi, come Herzog & de Meuron, hanno ricevuto l'influenza delle teorie postmoderne della complessità e, come Frank Gehry, hanno reagito intuitivamente all'eteropoli, la città del pluralismo e dell'alterità. La loro architettura è diventata naturalmente più complessa ed «etero» – nel senso di «altra», «diversa», «irregolare» – particolarmente laddove si confrontava con città in cui le minoranze sono la condizione dominante. Abbiamo visto l'importanza delle prime formulazioni della teoria della complessità negli anni Sessanta con Jane Jacobs e Robert Venturi, ma in realtà è solo con gli anni Ottanta che essa assume caratteri scientifici compiuti diventando la base di concetti come la crescita embrionale, i modelli meteorologici e la città: 139


Storia del Post-modernismo

174

Steven Holl, Linked Hybrid, Pechino, 2003–2009 La “città nella città” che ospita la vita quotidiana di 2.500 residenti è composta da otto torri a destinazione mista: tra le altre funzioni, un cinema multisala e una piscina al 22° piano di un percorso aereo. La pianificazione a piccolo isolato postmoderna ruota intorno a uno specchio d’acqua di raffreddamento centrale, mentre 600 pozzi geotermici regolano la temperatura.

Anche Toyo Ito, l’architetto giapponese che ha sviluppato un modello analogo di edificio spugna, lo considera un elemento dal ruolo cruciale nell’urbanistica contemporanea. A proposito del teatro lirico poroso che sta realizzando a Taichung, Taiwan, scrive: “L’architettura deve seguire, e riflettere, l’eterogeneità della società, un semplice quadrato o un cubo non possono contenere l’eterogeneità”. Di conseguenza, per le tre sale che compongono il complesso lirico ha elaborato una griglia anti-cubica formata da una membrana curvilinea variabile di superficie minima. Ito descrive l’idea come una “continuità fluida che combina il corpo, l’arte e la performance del teatro d’opera orientale e occidentale”. La griglia catenoide si estende addirittura ai giardini esterni e al parco urbano. Pareti piene curve si alternano a vuoti curvi; fori grandi e piccoli danzano al semplice ritmo di ABABA.


175


Anish Kapoor, Cloud Gate, Millenium Park, Chicago 2004-2006 Collocata a fianco dell’anfiteatro ondulato di Frank Gehry, questo blob levigato riflette l’immagine distorta dei passanti e della città. È diventata una delle icone scultoree più amate ma la metafora del fagiolo (gli abitanti di Chicago chiamano l'opera "bean") è meno convincente degli onnipresenti riflessi del cielo.


4. Complessità e ornamento della natura IL

PARADIGMA DELLA COMPLESSITÀ

Nei primi anni Settanta, in una delle sue affermazioni più romantiche, e più seducenti per gli architetti, Marshall McLuhan spiegava che l’informatica applicata alle procedure progettuali e di controllo consentiva ormai a Detroit, cioè all’industria automobilistica, di produrre ottanta tubi di scappamento per auto tutti diversi con la stessa rapidità, facilità ed economicità con cui ne produceva ottanta identici. Nell’epoca elettronica la legge produttiva che in passato aveva fatto dire a Henry Ford che un compratore “può avere un’auto del colore che vuole, basta che sia nera” – era ormai superata, così come superata era l’identicità prefabbricata, quanto meno come risultato dell’imperativo della produzione in serie. O così speravamo, e così prevedevo nelle prime edizioni di The Language of Post-Modern Architecture intorno al 1977. Ad ogni modo, comunque andassero le cose con i tubi di scappamento a Detroit, in architettura non è cambiato granché malgrado la produzione computerizzata fino agli anni Novanta. Il lento avvicinamento all'ossimoro che esprimeva questa speranza – la personalizzazione di massa – è un processo non ancora concluso. L'equivalente dell'artigianato computerizzato e del design personalizzato esiste perlopiù per pochi eletti, alcuni dei quali saranno citati in questo e nel prossimo capitolo. La produzione e il consumo di Google sono realtà così come lo sono di fatto altri supporti elettronici per una produzione economica e significativa: CAD, CATIA, Photoshop, Rhino e un'altra decina di pacchetti progettuali di grande diffusione. Ma non sono solo i problemi di produzione a rallentare il cambiamento in architettura, ci sono anche questioni di ordine intellettuale. Sono ben pochi gli architetti che hanno abbracciato il cambiamento generale verificatosi quando si è imposto nella visione del mondo il nuovo paradigma della complessità, o Complessità II (prima richiamata). Viviamo in un universo auto-organizzante di cosmogenesi, un unico gigantesco evento creativo in corso da 13,7 miliardi di anni. Concepire e fotografare questo processo è diventato un tema dell'arte e dell'architettura iconica, accanto ai temi tradizionali del benessere sociale. Ma il computer è solo uno strumento con il quale misuriamo e simuliamo il processo cosmogenico, altra cosa è capire cosa sia davvero. In altre parole, non è detto che gli architetti postmoderni, da Robert Venturi a Frank Gehry, che pure usano la produzione computerizzata per dare forma ai loro progetti ornamentali e iconici, apprezzino appieno le scienze postmoderne della complessità, e la trasformazione di pensiero che 195


Disegni metaforici di Madelein Vriesendorp di alcuni termini usati dai critici e improntati a metafore della natura, come il corpo, o a una “fioriera” e a un “carciofo costruttivista”.


5. La comparsa delle Icone Cosmiche L’ EDIFICIO ICONICO E LE SUE TURBOLENZE L’edificio iconico è comparso all’inizio del nuovo millennio come un genere identificabile con tanto di sostenitori, nello schieramento di avanguardia, e detrattori, tra coloro più dotati di coscienza sociale. Il pubblico ha perlopiù gradito la nuova espressione, mentre l’ambito professionale l’ha perlopiù condannato come espressione eclatante di consumo. È tornata in auge l’architettura scultorea nata con la Sydney Opera House, mentre gli urbanisti gridavano alla scomparsa di un contesto coerente. Il dibattito si sviluppava a livello sia popolare che professionale, spesso con toni che ricordavano le reazioni stranamente contorte suscitate dalla cappella di Ronchamp di Le Corbusier cinquant’anni prima, quando Nikolaus Pevsner aveva tentato di liquidarla come il “fungo inevitabile di un nuovo irrazionalismo” (si veda al primo capitolo). Nel 2000, i modernisti e qualche giornalista reagivano con costernazione a molti degli edifici descritti nelle pagine precedenti, le icone evidenti di Daniel Libeskind, Zaha Hadid, Peter Cook e Frank Gehry. Ma dietro quella reazione si nascondeva anche un’attrazione paranoica, come se gli accusatori, percorsi dalla voglia pruriginosa di denunciare il peccato, non riuscissero a distogliere lo sguardo. C’è una logica in tutto ciò, del resto l’indignazione morale fa vendere i giornali: gli attacchi firmati settimanalmente da Deyan Sudjic sul domenicale dell’Observer nel 2003 rappresentano un esempio tipico del tentativo, protrattosi per molti anni, di liquidare il genere iconico dichiarandolo “morto”. Ma anche la sua sopravvivenza esercitava un certo fascino giornalistico, quindi la storia poteva continuare all’infinito. Sulla scia di Sudjic, anche Miles Glendinning si esercitava nella redazione di necrologi sotto forma di libri (The Last Icons, 2005, Architecturès Evil Empire? 2010)1. La fioritura di edifici iconici era coincisa particolarmente con la bolla economica del 2000–2007, quindi si auspicava che la stretta creditizia sopraggiunta nel 2008 ne potesse sancire la scomparsa, soprattutto con il rischio default di Dubai nel 2009, e l’umiliazione del cambiamento di nome imposto alla sua icona, il più grande edificio del mondo (due volte l’Empire State Building), dai danarosi vicini di Abu Dhabi. Come se tutto ciò non indicasse già a sufficienza un peccato originale contro l’architettura, anche i fulmini si abbattevano ripetutamente su questa nuova Torre di Babele a significare la forma più chiara di punizione cosmica2. Questi e altri necrologi erano inevitabilmente prematuri, e infatti i committenti hanno continuato a pretendere edifici iconici capaci di dare rilievo a loro stessi e alle loro 243


Storia del Post-modernismo

250

Madelon Vriesendorp


Frank Gehry, Disney Concert Hall, Los Angeles, 1988-2003 Le scintillanti curve d’acciaio si ritraggono a rivelare parti di un interno pubblico, “vele e riflettori acustici” metaforici, mentre la luce californiana fa capolino tra le tonalità lignee di uno “strumento musicale”. Altre metafore positive e negative sono suggerite dagli schizzi di Madelon Vriesendorp.

Altrettanto riuscito nella miscela di linguaggi è l’edificio della Disney Hall. Gehry vince un concorso nel lontano 1988, ma il progetto è stato realizzato solo nel 2003, dopo che le autorità di Los Angeles, convinte dall’Effetto Bilbao, avevano fatto ripartire l’intervento. Torna anche qui il contrasto tra le grandi semi-curve metalliche e uno sfondo tradizionale in muratura ortogonale, di fatto una piazza urbana. In omaggio al pubblico profondamente eterogeneo di Los Angeles, i segni iconici e simbolici si mescolano con linguaggi vernacolari e industriali. Di nuovo 251



Storia del Post-modernismo

296

UNA BIBLIOGRAFIA POSTMODERNA NOTA SUL TERMINE POST-MODERNISMO È nella sfera della pittura che si registra per la prima volta, nel 1875, l’uso del termine “postmoderno”: tra l’altro, proprio il post-impressionismo è diventato il primo “post” famoso (si veda sotto, Margaret Rose). Il termine “post-industriale” ha iniziato a circolare negli anni Dieci del Novecento, e due decenni dopo è emerso “postmoderno”, utilizzato nel 1934 per descrivere alcune deviazioni nell’ambito della poesia modernista spagnola. In A Study of History, 1947, Arnold Toynbee ha usato questo termine come categoria complessiva per descrivere un ciclo storico nuovo iniziato nel 1875. In termini generali, si diceva scettico a proposito della connotazione di declino implicita nel prefisso “post” ed è interessante che il suo scetticismo fosse condiviso dai critici letterari Irving Howe e Harold Levine, che per primi hanno utilizzato il termine polemicamente negli anni Cinquanta. Pur essendo stato utilizzato una volta di sfuggita in architettura (da Joseph Hudnut e Nikolaus Pevsner), il primo esempio di uso e definizioni di segno positivo si manifesta nel mio saggio “‘The Rise of Post-Modern Architecture”, nato dalle conferenze tenute in Olanda all’inizio del 1975 e pubblicato in Architecture – Inner Town Government, Technische Hogeschool, Eindhoven, luglio 1975, e successivamente in AAQ No 4, Londra 1975. Entro la fine degli anni Settanta il termine ricorre ormai in un utilizzo positivo (e negativo) negli ambiti della filosofia, della letteratura, delle arti, della sociologia e della cultura in genere.


ARCHITETTURA POSTMODERNA Barrie, Dennis, Surface and Ornament, catalogo della mostra, Contemporary Arts Center, Cincinnati 1986 Beck, Martin, "Half modern, half something else" in (Charles Jencks, The Language of Post-Modern Architecture, prima, seconda, terza, quarta, quinta, sesta e settima edizione), Montage 6, New York/ Vienna 2003 Blake, Peter, Form Follows Fiasco: Why Modern Architecture Hasn’t Worked, Little, Brown, Boston 1974 Bloomer, K.C., Moore, C. e Yudell, R.J., Body, Memory and Architecture, Yale University Press, New Haven, CT 1977 Branzi, Andrea, Learning from Milan: Design and the Second Modernity, MIT Press, Cambridge, MA 1988 Branzi, Andrea, La casa calda Esperienze del Nuovo Design Italiano, Idea Books, Milano 1984 [The Hot House: Italian New Wave Design, Thames & Hudson, Londra 1984] Brolin, Brent C., The Failure of Modern Architecture, Van Nostrand Reinhold, New York 1976 Brownlee, D.B., De Long, D.G. e Hiesinger, K.B., Out of the Ordinary: Robert Venturi, Denise Scott Brown and Associates, catalogo della mostra, Philadelphia Museum of Art, Philadelphia, PA 2001 Davis, Mike, “Urban Renaissance and the Spirit of Postmodernism”, in New Left Review 151 (1985), 112 Ghirardo, Diane, Architecture After Modernism, Thames & Hudson, World of Art, Londra 1996 Grabow, Stephen e Alexander, Christopher, The Search for A New Paradigm in Architecture, Oriel Press, Boston/Londra 1983

Isozaki, Arata, The Island Nation Aesthetic, Academy Editions, Londra 1996 Jencks, Charles, The Language of Post-Modern Architecture, Academy Editions, Londra e Rizzoli, New York 1977, e successive sei edizioni. Il libro, stato tradotto in undici lingue e diffuso clandestinamente in altre, è attualmente disponibile con il titolo The New Paradigm in Architecture, Yale University Press, Londra/ New Haven 2002 Jencks, Charles, “James Stirling’s Corporate Culture Machine”, 1974, ripubblicato nel mio libro Late-Modern Architecture, Academy, Londra e Rizzoli, New York 1980, pp. 80–3; anche la nostra corrispondenza in AAQ dall’autunno del 1972 alla primavera 1973, vol. 5, no 1, p, 64; anche il commento nella sua Oeuvre Complète, vol 1, “Caro Charlie, questa non è una corazzata!”, in risposta a una precedente analisi semiotica nella quale spiegavo la metafora della corazzata. Stirling è poi arrivato a concordare sul fatto che le metafore guidano una lettura della forma architettonica, elemento che contribuisce a spiegare il suo passaggio al Post-modernismo. Jencks, Charles, Current Architecture, Academy, Londra 1982, capitolo 10, “PostModern Space – Layering, Elision and Surprise”, pubblicato in versione estesa in Architecture Today, 1988, pp. 200–17 Jencks, Charles, “Post-Modern Architecture: The True Inheritor of Modernism”, pubblicato in RIBA Transactions 3. Trascrizioni dei contributi presentati al Corso 1982/3 del Royal Institute of British Architects, vol. 2, no 1, pp. 26–41 Jencks, Charles, Towards a Symbolic Architecture, Academy, Londra e Rizzoli, 297



INDICE DEI NOMI

Aalto, Alvar 20 Abu Dhabi 7, 243, 289 Accademia di San Luca 86 ACT 110, 111 Adams, Henry 111 Adams, Jonathan 260 Adjaye Associates 287 Aecom 287, 290 Aeroporto di Kansai 185, 188 Aeroporto di Pechino 186, 208 Adhocismo 48, 96, 99, 116, 124, 133, 134, 143, 151, 153, 155, 156, 159, 164 Ai Weiwei 281, 282, 283 Alberti, Leon Battista 46, 108, 129, 160 Alexander, Christopher 172 Allies & Morrison 287, 290 Alsop, Will 230 Ambasz, Emilio 160, 161, 164 Ando, Tadao 202, 220, 222, 289 Architectural Association 15, 164, 171, 217 Architettura digitale 10, 12, 205, 219, 226, 234, 286 Architettura gotica, architetti gotici 25, 125, 126, 172, 176, 207, Architettura razionale 82 ARM (Ashton, Raggatt, McDougall) 213, 214 Aronoff Center 178, 179 Art Deco 119, 146 Art Nouveau 23, 219 Arte concettuale 69 Arts and Crafts 164 Arup 216, 218, 225, 281, 282, 287, 290 Atene - Ambasciata Americana 36, 39 Atkins 202 Audi 267 Aulenti, Gae 89, 110, 111, 113 Auschwitz, Polonia 190, 257

Baghdad 289 Baird, George 209 Bakema, Jaap 38 Balmond, Cecil 216, 218, 274, 275 Banham, Reyner 14, 15, 56, 62 Barcellona 20, 22, 134, 218, 226, 228, 276 Barcellona - Casa Batlló 22 Barcellona - Mercato di Santa Caterina 226, 228 Barcellona - Torre Agbar 276 Barcellona - Walden-7 83 Barocco 46, 152, 234, 272 Barth, John 51, 65, 135 Baudelaire, Charles 112 Bauhaus 20, 25, 26, 27, 47, 119, 219 Bauman, Zygmunt 190, 258 Bayer, Herbert 26 BBPR 36 Behnisch, Günter 98 Belluschi, Pietro 95 Benjamin, Walter 97 Benson & Forsyth 113, 114, 115, 133 Bentham, Jeremy 148 Berlino 50, 74, 75, 77, 103-109, 115, 118121, 125, 126, 139, 168, 170, 177, 189191, 268, 272 Berlino - Ambasciata Britannica 104-105 Berlino - Ambasciata Olandese 168, 170, 171 Berlino - Edilizia sociale, progetto IBA 75, 77 Berlino - Isola dei Musei 103, 119, 120 Berlino - Memoriale per gli Ebrei Assassinati d’Europa 189-191 Berlino - Museo Ebraico 108-109 Berlino - Neues Museum 74, 119-122, 125 Berlino - Reichsbank 22, 25 305


Storia del Post-modernismo

314

Vienna 65, 85 Villa Savoye - Poissy Francia 21 ViĂąoly, Rafael 148 Volkswagen 267 Vriesendorp, Madelon 2, 16, 48, 242, 250, 263, 270-271, 275, 276 Wagner, Otto 65 Wall Street (film) 280 Warhol, Andy 129, 234-235 Washington DC 82, 191, 257 Washington - Holocaust Memorial Museum 257 Washington - National Museum of the American Indian 257 Washington - Smithsonian Institute 258 Weaire, Denis 224 Weimar 26-27 West 8 147 White Cube (galleria) 218 Wiedemann, Josef 123 Wigglesworth, Sarah 153, 156 Wikipedia 256, 289 Wilde, Oscar 20 Wilford, Michael 98, 103-105, 259 Wines, James 64 WMAP 203 Wolfe, Tom 62 Woodman, Ellis 120, 122 Woods, Shadrach 38 World Wide Web 140 Wright, Frank Lloyd 155, 168, 246 Xanadu (Calpe, Alicante) 83

Yale Center for British Art 113 Yeang, Ken 164 Yokohama 185 Zaera-Polo, Alejandro 236, 238 Zayed National Museum 7 Zevi, Bruno 89 Zumthor, Peter 124-129, 133, 139


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.