Such an imitation of the future cannot produce artworks. Rather, it produces artistic events. Indeed, contemporary art escapes the present not by resisting the flow of L’arte nell’epoca della sua riproducibilità digitale time but by collaborating with it. If all present things are transitory and in flux, it is possible and even necessary to anticipate their eventual disappearance. Modern and contemporary art practices precisely the prefiguration and imitation of the future in which things now contemporary will disappear. Such an imitation of the future cannot produce artworks. Rather, it produces artistic events, performances, temporary exhibitions that demonstrate the transitory character of the present order of things and the rules that govern contemporary social behaviour.
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Boris Groys
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In the Flow. L'arte nell'epoca della sua riproducibilità digitale di Boris Groys © 2018 Postmedia Srl, Milano Traduzione dall'inglese di Giada Biaggi Copertina di Federica Sveva Caregnato
First published by Verso 2016 © Boris Groys 2016 www.postmediabooks.it ISBN 9788874902002
In the Flow L'arte nell'epoca della sua riproducibilitĂ digitale
Boris Groys
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Introduzione: 7 La reologia dell’arte 1. Immergersi nel flusso 13 2. Sotto lo sguardo della teoria 25 3. Sull’attivismo artistico 43 4. Diventare rivoluzionari: Kazimir Malevič 59 5. Installare il comunismo 71 6. Clement Greenberg: L'ingegnere dell’arte 91 7. Sul realismo 103 8. Concettualismo globale rivisitato 109 9. Modernità e contemporaneità: 123 Riproduzione meccanica vs riproduzione digitale 10. Google: parole oltre la grammatica 131 11. WikiLeaks: la rivolta dei clerc 141 o l’universalità come cospirazione 12. Arte su Internet 153
Introduzione
La reologia dell'arte
All’inizio del Novecento gli artisti e gli scrittori delle avanguardie diedero inizio a una campagna contro i musei e in generale contro la conservazione stessa dell’arte del passato. Veniva posta una semplice domanda: perché c'erano cose considerate privilegiate, delle quali la società si prendeva cura investendo soldi nel loro restauro, mentre altre venivano abbandonate all'erosione del tempo e a nessuno sembrava importare della loro futura scomparsa. Ad un certo punto la risposta tradizionale a questa domanda non venne più ritenuta soddisfacente; così per Marinetti le macchine e gli aeroplani non avevano nulla da invidiare alle statue classiche greche, sebbene si lascino perire le prime e si conservino le seconde. È come se noi considerassimo il passato più prezioso del presente, non comprendendo a fondo l’ingiustizia e persino l’assurdità di tale presa di posizione; difatti viviamo nel presente e non nel passato. Crediamo davvero di valere meno delle persone che hanno vissuto prima di noi? La polemica avanguardista contro l’istituzione museale era stata spinta dalla stessa tensione egalitaria della quale era intrisa la politica moderna; volendo affermare l’equità delle cose, degli spazi e, cosa ancora più importante, delle epoche laddove la politica rivendicava l’uguaglianza degli uomini. Tale uguaglianza tra le epoche e tra gli uomini può realizzarsi in due modi differenti: estendendo il privilegio della conservazione museale a tutte le cose, includendo tutti gli oggetti contemporanei, o abolendolo del tutto. La pratica artistica di Duchamp rappresentò un tentativo nella prima direzione, ma questa strada non lo condusse abbastanza lontano. Il museo democratizzato non poteva fagocitare ogni cosa; anche se un numero limitato di orinatoi ebbe il privilegio di entrare nei musei, i loro numerosi fratelli continuarono a esistere nei soliti luoghi, cioè nei bagni sparsi in giro per il mondo. Quindi, solo la seconda via rimase percorribile, rinunciare al privilegio museale e lasciare ogni cosa, opere d’arte incluse, al fluire del tempo. A questo punto sorge la domanda: si
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può ancora parlare di arte se il destino delle opere non è differente dal destino di tutti gli altri oggetti comuni? Forse è bene chiarire un punto: parlando di un’arte che entra nel flusso del tempo, non intendo dire che l’arte abbia da qui in poi iniziato a rappresentarlo come fece l’arte cinese antica. Vuol dire, piuttosto, che l’arte stessa è diventata fluida. Esiste una scienza chiamata reologia che studia tutti i tipi di fuidi e il concetto stesso di fluidità. Quello che cerco di mettere in atto in questo libro è una sorta di reologia dell’arte, ovvero una trattazione dell’arte in quanto flusso. L’interpretazione moderna e contemporanea dell’arte in quanto flusso sembra contraddire lo scopo originario dell’arte, ovvero il suo opporsi al fluire stesso del tempo. Infatti, nella cornice della prima modernità, l’arte ha svolto le funzioni di una sorta di simulacro secolare e materialista atto a sopperire alla decadenza della fede nelle idee eterne e nello spirito divino. La contemplazione delle opere d’arte prese così il posto degli ideali platonici o di Dio. Attraverso l’arte gli uomini moderni ebbero l’opportunità di abbandonare, anche se solo momentaneamente, il flusso della vita activa, dedicando il proprio tempo alla contemplazione di immagini che erano state osservate dalle generazioni precedenti e che, a loro volta, sarebbero state contemplate da quelle future. Il museo promise un’eternità materialista messa in sicurezza non tanto a livello ontologico, quanto piuttosto a livello politico ed economico. Ma nel Novecento tale promessa divenne problematica, gli sconvolgimenti politici ed economici, le guerre e le rivoluzioni portarono alla luce tutta la vacuità di una simile speranza. L'istituzione museo non avrebbe mai raggiunto una stabilità economica davvero sicura ed era quindi alla ricerca di un sostegno da parte di concrete volontà politiche. Nonostante il desiderio di uguaglianza non abbia condotto l’avanguardia artistica a iniziare una lotta contro il museo, quest’ultimo non riuscì a restare immune alla forza erosiva del tempo e il sistema dei musei contemporanei ne è la prova. Questo non significa che i musei siano scomparsi, al contrario il loro numero è cresciuto e continua a crescere in tutto il mondo; piuttosto ciò significa che cominciarono a immergersi nel flusso del tempo. Il museo smise di essere il luogo che ospitava una collezione permanente e divenne teatro di progetti curatoriali temporanei, visite guidate, proiezioni, conferenze, performance, ecc. Nel nostro tempo
le opere d’arte circolano in continuazione da una mostra (piuttosto che da una collezione) all’altra e questo non significa nient’altro se non che le opere stesse stanno diventando sempre di più coinvolte nel flusso del tempo. Ritornare alla contemplazione asettica della stessa immagine non significa solo ritornare sullo stesso oggetto, ma anche far ritorno allo stesso contesto contemplativo: mai come ora siamo diventati profondamente consapevoli della dipendenza delle opere d’arte dal contesto che le ospita. Si può dire perciò qualsiasi cosa dei musei di arte contemporanea, ma non che siano ancora quei luoghi deputati alla contemplazione e alla meditazione. Questo, però, significa che, non prefiggendosi più come obiettivo la contemplazione iterata della stessa immagine, l’arte abbia anche abbandonato il suo progetto di evadere dalla prigione del presente? No, non si tratta di questo. L’arte contemporanea rifugge, infatti, dal presente non tanto facendo resistenza al flusso del tempo, bensì collaborando con esso; se tutti gli oggetti del presente sono transitori e fluidi, è possibile (e addirittura necessario) anticipare la loro eventuale scomparsa. Le pratiche artistiche moderne e contemporanee non fanno nient’altro se non prefigurare e imitare quel futuro in cui le cose a noi ora contemporanee si eclisseranno. Questa emulazione del futuro non è in grado di produrre opere d’arte, ma piuttosto produce degli eventi artistici, performance o esposizioni temporanee che mostrano il carattere effimero dello stato di cose attuale e di quei dettami che regolano gli odierni comportamenti sociali. Questo perché l’imitazione di un futuro anticipato può manifestarsi univocamente come evento e non sotto forma di cosa. Gli artisti futuristi e dadaisti diedero vita a eventi artistici che rivelavano decadenza e obsolescenza del presente, ma la produzione di tali eventi caratterizza ancora di più un arte contemporanea che si fa portavoce di una cultura profondamente performativa e partecipativa. Gli eventi artistici contemporanei non possono essere preservati e contemplati come le opere d’arte tradizionali, però possono essere documentati, narrati e criticati: se l’arte tradizionale produceva oggetti, l’arte contemporanea produce informazioni sugli eventi artistici. Tutto questo rende l’arte contemporanea compatibile con Internet e i capitoli di questo libro tratteranno proprio della relazione tra arte e Internet. Gli archivi tradizionali funzionavano infatti nel seguente
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modo: alcuni oggetti (documenti, opere d’arte, ecc.) venivano isolati dal flusso della materia, messi in sicurezza e protetti. Walter Benjamin aveva descritto questo fenomeno come ”perdita dell’aura“; estroflesso dal flusso materiale l’oggetto diveniva una mera copia di se stesso, venendo contemplato al di là della sua inscrizione originale nel qui ed ora del flusso stesso. Un pezzo da museo è un oggetto privato della sua (invisibile) aura di originalità (l’originalità è qui intesa come il collocamento originario dell’oggetto nello spazio e nel tempo). L’archivio digitale, al contrario, ignora l’oggetto preservandone l’aura: l’oggetto di per sé è assente. Ciò che resta è il suo meta-dato, ovvero l’informazione sul qui e ora della sua iscrizione originaria nel flusso materiale: foto, video, testimonianze testuali. L’oggetto museale necessita quindi sempre di un’interpretazione in grado di sopperire alla perdita della sua aura; il meta-dato digitale crea così un’aura senza oggetto. Questo è il motivo per cui la reazione a questo meta-dato non può che essere il re-enactment dell’evento, un tentativo di riempire il vuoto che sorge nel cuore stesso dell’aura. Questi due metodi di archiviazione – archiviare un oggetto senza aura e archiviare un’aura senza un oggetto – non sono ovviamente nuovi. Prendiamo in esame due filosofi della Grecia antica: Platone e Diogene. Platone produceva numerosi testi che noi dobbiamo interpretare, Diogene fece alcune performance filosofiche che noi siamo in grado di rievocare. O consideriamo ancora la differenza che passa tra Tommaso d’Aquino e San Francesco: il primo aveva scritto molti testi, il secondo si spogliò dei suoi vestiti e andò nudo alla ricerca di Dio. Ci troviamo qui a confronto con delle performance di rivolta contro le convenzioni del presente; questi atti performativi venivano considerati appartenenti alla filosofia nell’antichità, alla religione nel Medioevo e all’arte contemporanea ai nostri tempi. Da un lato abbiamo testi e immagini, dall’altro leggende e dicerie. Per molto tempo testi e immagini sono stati di gran lunga più affidabili di leggende e dicerie, ma oggi la relazione tra le due sfere è cambiata. Non esistono biblioteche né musei in grado di competere con Internet ed è proprio Internet il luogo in cui leggende e dicerie proliferano. Oggigiorno se si vuole stare al passo non bisogna dipingere un quadro o scrivere un libro, ma piuttosto rievocare Diogene, armarsi di una lampada in pieno giorno e andare alla ricerca di un lettore e di uno spettatore.
Ovviamente, ci sono ancora molti artisti contemporanei che producono opere d’arte, spesso tramite tecnologie digitali di vario tipo e queste opere si possono ancora mostrare nei musei o nelle mostre. Ci sono anche siti-web specializzati dove si vedono copie digitali di opere d’arte analogiche o immagini digitali create apposta per essere mostrate in questi siti. Il sistema tradizionale dell’arte rimane al suo posto e la produzione di opere d’arte continua. L’unico problema è che questo sistema sta diventando sempre più marginalizzato. Le opere, che circolano come merci nel mercato dell’arte contemporanea, sono indirizzate principalmente a possibili acquirenti, uno strato di società benestante e influente, ma relativamente piccolo. Queste opere d’arte funzionano in maniera analoga ai beni di lusso e, non a caso, Louis Vuitton e Prada hanno recentemente costruito dei musei privati. Anche i siti-web specializzati in arte hanno un pubblico ristretto. D’altro canto Internet è diventato un mezzo potente per diffondere informazioni e documentazioni varie; mentre in passato gli eventi artistici, performance e happening erano documentati in maniera rudimentale e accessibili solo agli addetti ai lavori. Oggi la documentazione dell’arte può raggiungere un pubblico molto più grande di quanto non possa fare la stessa opera. (Si ricordino, a questo proposito, i fenomeni tanto differenti quanto paragonabili della performance di Marina Abramovič al M.o.M.A. di New York e quella delle Pussy Riot nella Cattedrale di Cristo il Salvatore a Mosca). In altre parole l’arte-flusso di oggi è documentata meglio che in passato e a sua volta questa documentazione è conservata e distribuita meglio rispetto a quanto lo siano state le opere d’arte tradizionali. A questo punto è importante evitare un fraintendimento diffuso. Si parla spesso del flusso di informazioni su Internet, ma ad ogni modo questo flusso di informazioni è un qualcosa di radicalmente diverso dal flusso materiale di cui abbiamo parlato sopra: il flusso materiale è irreversibile. Non si può rifluire indietro nel tempo, immersi nel divenire delle cose, ci è impossibile tornare a momenti già vissuti o esperire eventi passati. Se c’è una possibilità di ritorno, questa implica l’esistenza di Idee eterne o di Dio o la loro sostituzione con l’eternità materiale e profana contenuta nei musei. Se si nega l’esistenza di essenze eterne e le istituzioni artistiche collassano, non rimane altra via che quella del flusso materiale e nessun’altra via per tornare indietro, nessuna possibilità di
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ritorno. Al contrario Internet si fonda proprio su questa possibilità di ritorno; ogni operazione in Rete è rintracciabile e ogni informazione si può recuperare e riprodurre. Ovviamente Internet possiede anche una dimensione materiale, i suoi hardware e software sono soggetti all’invecchiamento e alla forza dell’entropia: la dissoluzione e la scomparsa di Internet nella sua totalità non sono difficili da prevedere. Ma fin tanto che Internet esiste e funziona ci sarà permesso ritornare sulle stesse informazioni così come una volta gli archivi non digitali e i musei ci permettevano di ricontemplare gli stessi oggetti. In altre parole Internet non è tanto un flusso quanto il rovesciamento di un flusso. Questo significa che Internet ci permette in maniera di gran lunga più semplice di accedere alla documentazione degli eventi artistici passati più di quanto non abbia mai fatto qualsiasi altro archivio. Ogni evento artistico imita la fine e la scomparsa dell’ordine contemporaneo della vita. Quando parlo di imitazione del futuro non intendo, ovviamente, la descrizione “visionaria” di nuove cose immaginate dalla fantascienza. L’arte non predice tanto il futuro, dimostra piuttosto il carattere transitorio del presente, spianando la via per l’avvento del nuovo. L’arte nel flusso genera la sua stessa tradizione, è il re-enactment di un evento artistico che anticipa e realizza un nuovo inizio, di un futuro nel quale gli ordini che definiscono il nostro presente perderanno il loro potere e spariranno. Ed è proprio in forza del fatto che il pensiero di tale flusso resta inalterato attraverso le varie epoche che questo re-enactment è realizzabile in ogni momento.
Capitolo 1
Immeggersi nel flusso
Tradizionalmente, la principale occupazione dell’umanità è stata la ricerca della totalità. Questa ricerca è stata imposta dal desiderio dei singoli di trascendere la loro finitudine, sbarazzandosi della specificità del proprio punto di vista, definito dalle loro forme di vita, al fine di guadagnare l’accesso a una visio mundi più generale e universale, valida in ogni luogo e in ogni tempo. Questo desiderio di trascendenza della propria particolarità non è necessariamente radicato nella costituzione ontologica del soggetto stesso. Sappiamo bene che il particolare è sempre incluso, soggetto alla totalità; quindi il desiderio per la totalità è semplicemente un desiderio di libertà e questo desiderio, a sua volta, non necessita di essere interpretato come qualcosa di inerente alla natura umana. Sono noti gli esempi storici di auto-liberazione compiuti nel nome della totalità e siamo in grado di imitare questi esempi nello stesso modo in cui potremmo imitare qualsiasi altra forma di vita. Pertanto, ascoltiamo e leggiamo miti che descrivono la comparsa del mondo, il suo funzionamento e la sua inevitabile fine, in questi miti ci vengono presentati dèi e semidei, profeti ed eroi. Ma leggiamo anche trattati scientifici e filosofici che presentano il mondo secondo i principi della ragione, in tali testi incontriamo il soggetto trascendentale, l’inconscio, lo spirito assoluto e altre entità analoghe. Tutte queste narrazioni e questi discorsi presuppongono l’abilità della natura umana di oltrepassare il livello della sua esistenza materiale per accedere a un Dio o a una qual si voglia ragione universale, con il solo scopo di trascendere la propria finitudine o mortalità. L’accesso alla totalità equivale quindi all’accesso all’immortalità. Durante la modernità ci siamo abituati, al contrario, a vedere l'essere umano come qualcosa di inesorabilmente mortale, finito e quindi determinato in maniera irreparabile dalle specifiche condizioni materiali della sua esistenza. Agli uomini non è permesso fuggire da queste condizioni neanche nella propria immaginazione, poiché ogni
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degli eventi, la loro relazione con la documentazione e l’archivio e le modalità intellettuali ed emozionali della nostra relazione con la documentazione stessa. Se la tematizzazione dell’ontologia degli eventi è oramai diventata la principale occupazione dell’arte contemporanea più in generale, e dei musei d’arte contemporanea nello specifico, non ha senso condannare i musei per il fatto che inscenano eventi artistici. Al contrario, il museo oggi è da considerarsi il principale strumento analitico utilizzato per investigare il contingente e l’irreversibile nella nostra civiltà controllata digitalmente, che si fonda sul rintracciare e sul mettere in sicurezza le tracce della nostra esistenza individuale nella speranza di rendere qualsiasi cosa controllabile e reversibile. Il museo è il luogo in cui la guerra asimmetrica tra lo sguardo umano ordinario e lo sguardo tecnologicamente armato non solo ha luogo, ma si rivela, in un modo così radicale da poter essere tematizzata e teorizzata criticamente.
1. R. Wagner, L’opera d’arte dal futuro. Alle origini delle multimedialità, (Firenze: Goware 2017), p. 91. 2. Ibidem, p. 176. 3. Ibidem, p. 178. 4. H. Ball, Fuga dal tempo. Fuga saeculi, Riccardo Caldura (a cura di), (Milano: Mimesis Edizioni, 2016), p.57.
5. Ibidem, p. 128. 6. H. Szeemann, Der Hang zum Gesamtkunstwerk (Katalog zur Ausstellung am Kunsthaus Zurich, 1983).
Capitolo 2
Sotto lo sguardo della teoria
A partire dalla sua svolta moderna, l’arte ha iniziato a manifestare una certa dipendenza dalla teoria. In quel periodo, e ancor di più dopo, il bisogno di una spiegazione da parte dell’arte (Kommentarbedürftigkeit), così come Arnold Gehlen aveva descritto questa fame di teoria, fu giustificato dal fatto che l’arte moderna fosse considerata un qualcosa di difficile e pertanto inaccessibile al grande pubblico1. Da tale prospettiva, la teoria si comporta come una sorta di propaganda o, piuttosto, alla stregua della pubblicità: il teorico arriva solo una volta che l’opera d’arte è stata prodotta, spiegandola a un pubblico scettico e sorpreso. Sappiamo che molti artisti nutrono sentimenti contrastanti nei confronti dell’interpretazione teorica della loro opera: sono grati ai teorici per promuovere e legittimare il loro lavoro, però sono anche irritati dal fatto che la loro arte sia presentata al pubblico da una determinata prospettiva teorica, che spesso sembra troppo limitata, dogmatica e persino intimidatoria. Gli artisti sono alla ricerca di un pubblico più vasto, ma il numero di spettatori criticamente informati è piuttosto ridotto, molto più ridotto del pubblico dell’arte contemporanea. Di conseguenza, il discorso teorico si rivela una forma controproducente di pubblicità, andando a restringere il pubblico, piuttosto che ad allargarlo e ciò è vero ora più che mai. Dall’avvento della modernità a oggi, il pubblico ha stipulato una pace forzata con l’arte del suo tempo, accettando l’arte contemporanea anche quando sente di non capirla del tutto. Il bisogno di una spiegazione teorica dell’arte sembra così ormai definitivamente superato. Tuttavia, la teoria non è mai stata così centrale nell’arte come oggi, viene quindi da chiedersi il perché ciò si verifichi. Mi verrebbe da rispondere che gli artisti contemporanei hanno bisogno della teoria per spiegare ciò che fanno non tanto agli altri, quanto a se stessi. Da questo punto di vista non sono i soli, ogni essere umano contemporaneo si pone costantemente queste due domande: che cosa devo fare? E ancora più importante, come
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Capitolo 3
Sull'attivismo artistico
I dibattiti contemporanei sull’arte sono fortemente incentrati sulla questione dell’attivismo artistico, ovvero, l’abilità dell’arte di rappresentare un’arena e uno strumento della protesta politica e dell’attivismo sociale. Il fenomeno dell’attivismo artistico è centrale nel nostro tempo in quanto fenomeno inedito, piuttosto diverso dal fenomeno dell’arte critica, divenutoci familiare negli ultimi decenni. Gli attivisti dell'arte non si limitano solo a criticare il sistema dell’arte o le condizioni politiche e sociali generali in base alle quali tale sistema funziona. Piuttosto, essi vogliono cambiare queste condizioni servendosi degli strumenti dell’arte, stando così non proprio al centro del sistema ma neanche al di fuori, e ambiscono al cambiamento delle condizioni della realtà stessa. Gli attivisti dell'arte cercano di cambiare le condizioni di vita nelle aree economicamente sottosviluppate, di sensibilizzare su questioni ecologiche, di offrire un accesso alla cultura e all’educazione alle popolazioni di paesi e aree povere, di attirare l’attenzione sul flagello dell’immigrazione irregolare e di migliorare le condizioni di chi lavora nelle istituzioni artistiche. In altre parole, gli attivisti dell'arte sembrano reagire al crescente collasso dello Stato sociale moderno, sostituendosi a istituzioni sociali e ONG, le quali per diverse ragioni non riescono o non vogliono adempiere al loro ruolo. Gli attivisti dell'arte vogliono essere utili, cambiare il mondo rendendolo un posto migliore, ma allo stesso tempo non vogliono smettere di essere artisti. Questo è il punto nodale in cui iniziano a sorgere problemi di natura teorica, politica e persino pratica. I tentativi dell’attivismo artistico al fine di coniugare arte e azione sociale sono attaccati sia da coloro che hanno prospettive artistiche tradizionali sia dagli attivisti tradizionali. La critica d'arte tradizionale si basa sulla nozione di qualità artistica. Da questo punto di vista, l’attivismo artistico è considerato artisticamente inadeguato; molti critici sostengono che questi artisti confondono il valore artistico con delle intenzioni moralmente
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1. I. Kant, Critica del giudizio, M. Marassi (a cura di), (Milano: Bompiani, 2004), pp. 77-78. 2. F. T. Marinetti, Fondazione e manifesto del futurismo, Tipografia A. Taveggia-S. Margherita 7, Milano, s.d.
8. K. Malevič, “Dio non è stato detronizzato”, in Op. cit., pp. 287-288. 9. W. Benjamin, Sul concetto di storia, Op. cit.
3. Ibidem.
10. M. Foucault, La nascita della biopolitica: corso al Collège de France (1978-1979), (Milano: Feltrinelli, 2005), p. 182.
4. Ibidem.,
11. Ibidem., p. 193.
5. Ibidem.,
12. Joseph Beuys, Achberger Vorträge. Kunst=Kapital (Achberg: FIU-Verlag, 1992).
6. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (Torino: Einaudi, 2011). 7. K. Malevič, “Sul museo” in Scritti, A. B. Nakov (a cura di), (Milano: Feltrinelli, 1973), p. 205.
13. L. Trotzky, Letteratura e rivoluzione (Torino: Einaudi, 1973), p. 630.
Capitolo 4
Diventare rivoluzionari: Kazimir Malevič
La domanda centrale, che inevitabilmente domina il pensiero e il dibattito contemporaneo sull’avanguardia russa, riguarda la relazione tra rivoluzione artistica e rivoluzione politica. L’avanguardia russa collaborò e aiutò la Rivoluzione d’Ottobre? E se la risposta è si: l’avanguardia russa è un’ispirazione, un modello per le pratiche artistiche contemporanee che tentano di trasgredire i confini del mondo dell’arte, assumendo tratti politici, cambiando le condizioni economiche e politiche dominanti dell’esistenza umana, mettendosi al servizio della rivoluzione politica e sociale o, perlomeno, del cambiamento politico e sociale? Oggi, il ruolo politico dell’arte è visto principalmente come duplice; dovendo criticare da un lato il sistema politico, economico e artistico dominante e allo stesso tempo, con la sua promessa utopica, dovrebbe mobilitare il pubblico al fine di cambiare il sistema stesso. Ora, guardando alla prima ondata rivoluzionaria dell’avanguardia russa, possiamo notare come la sua pratica artistica non corrisponda a tali requisiti. Per criticare qualcosa in qualche modo è necessario riprodurlo, presentando la cosa criticata congiuntamente alla critica stessa; ma l’avanguardia russa ha voluto essere antimimetica. Si può sostenere come l’arte suprematista di Malevič fosse rivoluzionaria, ma che si trattasse di un’arte critica è ben più difficile da sostenere. La poesia sonora di Alexei Kuchenykh fu anch’essa non mimetica e perciò non critica. Queste due pratiche artistiche tra le più radicali dell’avanguardia russa furono anche non partecipative, poiché lo scrivere poesie sonore e il dipingere quadrati e triangoli sono ovviamente attività non particolarmente allettanti per un pubblico allargato. Per lo stesso motivo, queste pratiche si dimostrarono incapaci di mobilitare le masse per l’allora imminente rivoluzione politica. La mobilitazione delle masse si può ottenere solo attraverso l’uso di mezzi di comunicazione di massa come la stampa, la radio, la televisione e il cinema, la musica pop e forme di design rivoluzionario come poster e slogan popolari o ancora attraverso social media come YouTube, Facebook e Twitter. Durante il In the Flow
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costruttive, in particolar modo se le paragoniamo ai dipinti di Mondrian. Malevič ci mostra quindi cosa significhi essere un artista rivoluzionario;
significa prendere parte al flusso materiale universale che distrugge tutte le coordinate temporanee politiche ed estetiche. A questo punto, l’obiettivo non è il cambiamento, inteso come cambiamento a partire da un ordine esistente “negativo” verso un ordine nuovo “positivo”. Piuttosto, l’arte radicale e rivoluzionaria abbandona tutti gli obiettivi, entrando in un processo non teleologico, potenzialmente infinito, che l’artista non può e non vuole terminare.
1. K. Malevič, “Sul museo”, in Op. cit., pp. 205-206. 2. Ibidem, p. 206. 3. A. Gan, “Il costruttivismo” in V. Quilici, L’architettura del costruttivismo (Bari: Laterza, 1969), p. 240. 4. K. Malevič, Essay on Art, vol.1 (New York: George Witterborn 1971), p.147. 5. K. Malevič, Ibidem., p.167.
6. J.F. Lyotard, “The Sublime and the Avant-Garde”, in Artforum, Aprile 1984, pp. 36-43. (Trad. it. in C. Greenberg, L’avventura del modernismo, Antologia critica, a cura di G. Salvatore e Luigi Fassi, Monza: Johan e Levi Editore, pp. 29 sgg.) 7. K. Malevič, “Ot Kubizma i futurisma k suprematizmu”, Sobranie sochineniy,vol. 1 (Mosca: Glileya, 1995), p. 35.
Capitolo 5
Installare il comunismo
Di solito la parola “comunismo“ è associata alla parola “utopia“. L’utopia è un luogo che non è inscritto in alcuna topografia “reale” e si raggiunge solo attraverso l’immaginazione. L’utopia tuttavia non è pura fantasia, configurandosi come un non luogo che potenzialmente può farsi luogo. Non a caso si parla spesso dell’idea di comunismo o del progetto comunista, intendendo con ciò un qualcosa di non reale ma in grado di essere realizzato. Anche qualora restasse una mera “idea” o “progetto”, il comunismo ha una sua realtà, un suo proprio qui e ora. La formulazione di una certa idea o progetto presuppone un certo scenario “reale” nel quale questa formulazione possa prendere forma; certe condizioni politiche, sociali, mediali e tecniche che rendono possibile produrre, manifestare e distribuire questa idea con un libro, con un film, con delle immagini, con un sito-web o attraverso qualsiasi altra forma “materiale”. Ciò significa che l’utopia ha già da sempre un suo luogo nel mondo. L’immaginazione utopica presuppone un certo “spazio reale”, un posto che funga da laboratorio per l’immaginazione utopica e questo spazio non è qualcosa che l’immaginazione stessa può creare ex novo. Lo scenario dell’immaginazione utopica ha come orizzonte la topologia del mondo così come esso già è. Questo è messo ben in evidenza da Karl Marx nella sua polemica contro l’utopismo socialista, specialmente nella sua declinazione francese che tendeva a non vedere le condizioni politiche, economiche e sociali all’interno delle quali si dispiegavano le sue stesse possibilità. Il materialismo marxista non è nient’altro che la tematizzazione del reale, delle condizioni materiali dell’immaginazione “immateriale“ e la dimostrazione della dipendenza inconscia di questa immaginazione dalle condizioni della sua stessa produzione e diffusione. Questa dipendenza diventa ancora più palese quando non ci si limita a immaginare il comunismo, ma si inizia anche a costruirlo, come nel caso dei paesi socialisti dell’Europa dell’Est. Qui lo scenario
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ripete questa strategia della riduzione; i suoi artisti eroi riducono ogni cosa, persino loro stessi. Tuttavia, dopo quest’atto di auto-riduzione non diventano attivi creatori di un nuovo mondo, scomparendo piuttosto dal mondo, nel quale sin dall’inizio non avevano trovato una propria collocazione. È precisamente questa radicalizzata sparizione dell’arte e degli artisti a rendere il loro contesto realmente visibile, permettendoci di scoprire e analizzare la loro dipendenza dalle reali condizioni quotidiane economiche, politiche e sociali sottese al loro operare. Kabakov, infatti, aveva inventato le figure fitizie degli artisti modernisti che si auto-riducevano e sparivano unicamente per una ragione: mostrare il contesto della vita e della morte dell’individuo. Non a caso, Kabakov parla delle sue installazioni come di “installazioni totali”; solo l’auto-riduzione allo zero permette al contesto della vita, altrimenti abbandonato a se stesso, di emergere nella sua totalità. La sparizione radicale dell’artista nel punto zero dell’arte rende possibile la presentazione del contesto dell’arte in quanto contesto totale. L’autonullificazione nell’arte e attraverso l’arte è una mera illusione, ma solo il perseguimento di questa illusione rende visibili le condizioni dell’arte; condizioni che includono la possibilità di questa stessa illusione.
1. “Saint Max”, in Marx/Engels, A critique of German Ideology (Internet Archive – marxist.org), (trad. mia) 2. K. Malevič, “Sobranie sochinenii”, vol. I (Mosca: Gilea, 1995), p. 29. 3. Ibidem, p. 34. 4. Max Stirner, The Ego and its Own (New York: Benjamin R. Tucker, 1907), p. 3. 5. Ibidem, p. 309. 6. Michael Fried, “Art and Objecthood”, Art and Objecthood: Essays and Reviews (Chicago/Londra: University of Chicago Press, 1998). 7. Carl Schmitt, “Il concetto di politico”, in Le categorie del politico (Milano: il Mulino, 2013). 8. El Lissitzky, “Suprematizm mistroitel stava”, (Il suprematismo della parola costruire), pp. 56-57.
9. Ibidem. 10. N. Tarabukin, L’ultimo quadro. Dal cavalletto alla macchina (Roma: Castelvecchi editore, 2015), pp. 11. El Lissitzky, Errinnerungen, Brief, Schriften, (Dresden: Sophie LissitzkyKüppers, 1992), p. 366 (e seguenti). 12. Contrariamente a come venne descritta da Adam Jolles in “Stalin’s Talking Museum”, in Oxfor Art Journal, n. 28, pp. 425-455. 13. V. Frieche, Sotsiologya iskusstva (Leningrado: Gos. Izdatel, 1926), pp. 204 sgg. 14. Marx/Engels, Op. cit., (trad. mia)
Capitolo 6
Clement Greenberg: l'ingegnere dell'arte “Avant-Garde and Kitsch” (1939) il saggio che apre Art and Culture rimane probabilmente il saggio più noto scritto da Clement Greenberg, ma è anche il suo scritto più enigmatico. Fu ovviamente scritto per legittimare l’avanguardia, per difendere quest’arte dalle critiche; tuttavia, è difficile immaginare un testo che sia meno avanguardista tanto nei presupposti principale, quanto nella sua vestizione retorica. I testi risalenti al periodo delle prime avanguardie sono a favore di tutto ciò che è nuovo e vitale a discapito del vecchio e del morto, schierati a favore del futuro e a discapito del passato, di una rottura radicale con le tradizioni dell’arte europea e in alcuni casi anche della decostruzione fisica dell’arte del passato. Da Marinetti a Malevič, gli artisti e i teorici delle avanguardie esprimevano senza riserve la loro ammirazione per la nuova era tecnologica, impazienti di abbandonare del tutto la tradizione artistica per creare un punto zero, una situazione d’inizio nuova e radicale. La loro sola paura era quella di non avere abbastanza volontà al fine di attuare una rottura radicale con la tradizione; di non riuscire a essere abbastanza nuovi, di lasciarsi sfuggire quel qualcosa che avrebbe ancora potuto mettere in relazione il loro lavoro con l’arte del passato, lavoro che a quel punto avrebbe dovuto essere rifiutato e distrutto. Tutte le opere d’arte e i testi dell’avanguardia storica sono caratterizzati da questa competizione verso il radicalismo, da questa volontà di scovare tracce del passato che qualcuno si era lasciato sfuggire, al fine di cancellarle completamente. Nonostante ciò, Greenberg comincia il suo saggio asserendo come l’avanguardia europea sia un modo specifico di continuare la grande tradizione artistica europea, definendola persino come una forma specifica di alessandrismo e lodandola proprio per essere una forma di continuazione. L’avanguardia per Greenberg non rappresenta un tentativo di creare una nuova civiltà e un nuovo genere umano, bensì “un’imitazione dell’imitazione” dei capolavori ereditati dalla
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Capitolo 7
Sul realismo
In ambito artistico la parola "realismo" ha almeno due accezioni che fanno capo a due tradizioni distinte. La prima è quella riguardante la pittura e la scultura mimetica, realistica e naturalista; in questo caso il realismo corrisponde a una rappresentazione realistica delle cose del mondo, così come esse si presentano “naturalmente” al nostro sguardo uniformato e tecnologicamente disarmato. Molte immagini e icone tradizionali, ad esempio, sembrano non realistiche ambendo alla rappresentazione di un mondo “altro” e, normalmente, invisibile, così come le opere d’arte moderne, le quali mirano a farci confrontare con il “nucleo essenziale” del mondo o con una sua “visione soggettiva”, non venendo riconosciute da noi come realistiche. Non parliamo, per altro, neanche di realismo quando ci troviamo a osservare delle immagini prodotte con l’ausilio del microscopio o del telescopio. L’arte realista è definita nello specifico dalla sua sollecitudine nel rifiutare tutte le speculazioni e le visioni religiose e filosofiche, così come quelle immagini prodotte tecnologicamente, le quali restituiscono una visione media, ordinaria e profana del mondo. Questa riproduzione conserva tuttavia un certo carattere “irreale”, estroflettendo un certo stato di cose dal flusso del tempo. In questo senso, il realismo mimetico e rappresentativo rende visibili delle cose che altrimenti sarebbero rimaste invisibili qualora non fossero state riprodotte artisticamente. Tutte le cose ordinarie del mondo sono, infatti, difficili da vedere. Esistendo all’interno del flusso materiale, esse sono finite, mortali, in continuo cambiamento, mostrandosi solo per brevi istanti. Tendiamo quindi a guardare di sfuggita le cose e la loro coseità mentre le usiamo per i nostri fini pratici. Per vedere davvero le cose dovremo smettere di usarle, iniziandole a contemplare; in altre parole, il ruolo dell’arte nell’epoca materialista consiste nel rendere le cose visibili. Secondo Heidegger, perciò, il nostro modo originario di
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Capitolo 8
Concettualismo globale rivisitato
Da una prospettiva contemporanea, il cambiamento maggiore innescato dall’arte concettuale degli anni Sessanta e Settanta consiste nel fatto che dopo il concettualismo non siamo più stati in grado di vedere l’arte solo come produzione ed esposizione di singoli oggetti, anche qualora si tratti di ready-made. Tuttavia, ciò non significa che l’arte concettuale o post-concettuale sia diventata in qualche modo “immateriale”. Gli artisti concettuali hanno spostato la loro attenzione dagli oggetti singoli alla loro relazione con il tempo e lo spazio. Queste relazioni possono essere spaziali e temporali, ma anche logiche e politiche. Possono esistere relazioni non solo tra cose, testi e documenti fotografici, ma anche tra performance, happening, film e video all’interno del medesimo spazio installativo. In altre parole, si può definire l’arte concettuale sostanzialmente come l’arte dell'installazione, come il passaggio da uno spazio espositivo che presenta oggetti singoli e disconnessi fra loro a un altro basato su una concezione olistica dello spazio, nel quale viene soprattutto esibita la relazione tra questi stessi oggetti. Si potrebbe dire che oggetti e eventi vengano organizzati in uno spazio espositivo nello stesso modo in cui nomi e verbi sono organizzati in una frase. Tutti noi conosciamo il ruolo sostanziale che ebbe la “svolta linguistica” per la nascita e lo sviluppo dell’arte concettuale. L’influsso di Ludwig Wittgenstein e dello strutturalismo francese sulla pratica artistica concettuale fu decisivo, giusto per citare due tra i tanti nomi rilevanti. Questa influenza della filosofia e, più tardi, della così detta teoria sull’arte concettuale non può essere ridotta né all’uso di materiali testuali in un contesto artistico né alla legittimazione di particolari opere d’arte da parte del discorso critico. Lo stesso spazio espositivo venne concepito e organizzato dagli artisti concettuali per veicolare un certo messaggio attraverso una certa disposizione di immagini, testi e oggetti, in maniera analoga al modo in cui le parole sono organizzate
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Capitolo 9
Modernità e contemporaneità Riproduzione meccanica vs riproduzione digitale L’epoca contemporanea sembra diversa da tutte le altre epoche storicamente conosciute almeno per un aspetto; non era mai successo prima che l’umanità fosse stata tanto interessata alla sua stessa contemporaneità. I medioevali erano interessati all’eternità, il Rinascimento era interessato al passato, la modernità s'interesssava al futuro. La proliferazione rapida di musei d’arte contemporanea è un sintomo, alquanto ovvio, di questo spiccato interesse nei confronti del qui e dell’ora, contemporaneamente, è anche sintomatico di quello che sembra oggi un sentimento diffuso, ovvero la non conoscenza da parte dei singoli della stessa contemporaneità. I processi di globalizzazione e lo sviluppo delle reti d’informazione che ci informano in tempo reale sugli eventi che hanno luogo ovunque nel mondo conducono alla sincronizzazione di differenti storie globali; la nostra contemporaneità è un effetto di questa sincronizzazione, un effetto che produce ripetutamente in noi un sentimento di sorpresa. Non è più il futuro a sorprenderci, è il nostro stesso tempo a stupirci, apparendoci, in un qualche modo, inspiegabile e strano. È lo stesso sentimento che proviamo quando entriamo in museo d’arte contemporanea e ci confrontiamo con messaggi, forme e atteggiamenti estremamente eterogenei fra loro, i quali condividono unicamente il loro accadere qui e ora, il loro esserci contemporanei. Questo vivere in un presente condiviso, se pur sconosciuto e inspiegabile, è ciò che distingue il nostro tempo dall’epoca moderna, nella quale il presente era vissuto come momento di transizione da un passato familiare a un presente ignoto. Ci sono diversi modi per descrivere e interpretare le differenze tra l’epoca moderna e quella contemporanea, a me piacerebbe analizzare questa differenza nei termini di un contrasto tra due modi di produzione: quello meccanico e quello digitale. Secondo Walter Benjamin, "l’originale" è semplicemente un altro modo di definire la presenza del presente, di un qualcosa che accade qui e ora. Analizzare quindi i nostri diversi modi di produzione dell’originale significa analizzare i nostri diversi modi di
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abbiamo perso lo spettatore della nostra anima, e quindi, l’anima stessa. Dopo Nietzsche e durante tutta l’epoca della riproduzione meccanica, abbiamo sentito molto parlare di questa fine della soggettività. Abbiamo imparato da Heidegger che la lingua parla (die Sprache spricht), e non il singolo individuo che utilizza il linguaggio, mentre da McLuhan abbiamo appreso che il messaggio del media intacca, sovverte e cambia ogni singolo messaggio trasmesso da questo stesso media. Più tardi, la decostruzione di Derrida e le macchine desideranti deleuziane ci hanno liberato dalle ultime illusioni sulla possibilità di consolidare un messaggio individuale. La padronanza della comunicazione si è rivelata un’illusione soggettiva a detta della moderna teoria dei media. Questa incapacità del soggetto di formulare, stabilizzare e comunicare un messaggio attraverso i media viene spesso etichettata come morte del soggetto. Tuttavia, ora, disponiamo di nuovo di uno spettatore universale, poiché le nostre “anime digitali” e “virtuali” sono tracciabili individualmente. Queste “anime virtuali” sono riproduzioni digitali dei nostri comportamenti off-line, riproduzioni che siamo in grado di controllare solo parzialmente. La nostra esperienza della contemporaneità non è definita tanto dal nostro essere spettatori della presenza delle cose, quanto piuttosto dalla presenza di tali anime virtuali sotto lo sguardo di uno spettatore occulto.
1. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, op. cit.
4. T. Adorno- M. Horkeimer, La dialettica dell’illuminismo (Torino: Einaudi, 2010).
2. Ibidem, p. 231.
5. M. Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, op. cit.
3. C. Greenberg, “Avant-Garde and Kitsch”, Art and Culture, New York, 1961 (trad. it C. Greenberg, L’avventura del modernismo, Antologia critica, op. cit., pp. 28 sgg.)
Capitolo 10
Google: parole oltre la grammatica
Possiamo descrivere la vita umana come un prolungato dialogo con il mondo. L’uomo interroga il mondo, venendo a sua volta interrogato dal mondo stesso. Questo dialogo è regolato dal modo in cui scegliamo le domande legittime da indirizzare al mondo o quelle che il mondo sembra indirizzare a noi e il modo in cui siamo in grado di identificare le risposte rilevanti a queste domande. Se crediamo che il mondo sia stato creato da Dio, poniamo domande e attendiamo risposte diverse da quelle che porremo qualora credessimo il mondo una “realtà empirica” non ancora creata. E se pensiamo all’essere umano come a un animale razionale, imposteremmo questo dialogo in un modo diverso rispetto a quello che useremmo se lo credessimo un corpo del desiderio. Pertanto, il nostro dialogo con il mondo si fonda sempre su un certo presupposto filosofico, che ne definisce il metodo e la forma retorica. Oggi dialoghiamo con il mondo principalmente attraverso Internet; se vogliamo porre domande al mondo, agiamo in quanto utenti di Internet e se vogliamo rispondere a delle domande che il mondo ci pone, agiamo come fornitori di contenuti. In entrambi i casi il nostro comportamento dialogico si informa su regole e modalità specifiche in cui le domande possono essere poste e alle quali si può rispondere all’interno della cornice di Internet. Stando al funzionamento attuale di Internet, queste regole e queste modalità sono definite in maniera predominante da Google che riveste quindi oggi quel ruolo che tradizionalmente era ricoperto dalla filosofia e dalla religione. Google è la prima macchina filosofica conosciuta, capace di regolare il nostro dialogo con il mondo sostituendo “vaghi” presupposti metafisici e ontologici con regole di accesso fortemente formalizzate e universalmente applicabili. Questo è il motivo per cui per la filosofia contemporanea è fondamentale fare ricerca per analizzare i modi in cui Google opera e per analizzare in particolare i presupposti filosofici che ne determinano la struttura e il funzionamento. Come tenterò di dimostrare, Google, in quanto
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nell’amministrazione universale vissuti sin dal principio come forme cospirative. Siamo di fronte a una reale innovazione storica, dalla quale dobbiamo aspettarci interessanti conseguenze.
1. “In conversation with Julian Assange, Part I”, WikiLeaks.org, 23, Maggio 2011, (trad. mia).
2. Ibidem. 3. Ibdem.
Capitolo 12
Arte su Internet
Negli ultimi decenni Internet è diventato il luogo primario in cui si producono e distribuiscono testi scritti, letteratura inclusa, pratiche artistiche e, più generalmente, archivi culturali. Certamente, molti operatori nel settore culturale vivono lo spostamento su Internet come liberatorio, poiché Internet non è selettivo o perlomeno lo è in maniera minore rispetto a un museo o a una casa editrice tradizionale. Se le domande che assillavano artisti e scrittori del passato erano: quali sono i criteri di scelta? Perché alcune opere d’arte entrano nei musei e altre no? Perché alcuni testi vengono pubblicati e altri no? Conosciamo le teorie cattoliche di selezione, tanto per dire, secondo le quali alcune opere meritano o meno di venire scelte da un museo o da una casa editrice; un’opera deve essere buona, bella, stimolante, originale, creativa, potente, espressiva, storicamente rilevante e potremmo citare centinaia di criteri simili. Tali teorie, tuttavia, sono crollate poiché nessuno era in grado di spiegare in maniera persuasiva il motivo per cui un’opera d’arte fosse da considerarsi più bella e originale di altre o perché un certo testo fosse migliore di altri. Così hanno avuto successo altre teorie, più protestanti, persino calviniste; secondo queste teorie le opere d’arte sono scelte in quanto vengono scelte. Il concetto di potere divino, pienamente sovrano, che non necessita di nessuna legittimazione, fu applicato al museo e alle altre istituzioni culturali tradizionali. Questa teoria protestante della scelta che pone l’accento sul potere incondizionato di colui che sceglie è una condizione preliminare della critica alle istituzioni; il museo e le altre istituzioni culturali furono infatti criticati per il modo in cui usavano e abusavano del loro presunto potere. Nel caso di Internet la critica istituzionale non ha molto senso; ovviamente alcuni Stati attuano la censura politica di Internet, ma quella è un’altra storia. A questo punto, sorge un’altra domanda: cosa ne è dell’arte e della letteratura in seguito alla loro emigrazione dalle istituzioni culturali tradizionali alla volta di Internet?
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Art Power Boris Groys Postmedia Books 2012 208 pp. isbn 9788874900671
La gamma di argomenti affrontati in Art Power è impressionante. In saggi e conferenze degli ultimi dieci anni Groys affronta il passaggio del potere dal critico al curatore, la sostituzione dell'opera d'arte con la sua documentazione, il modo in cui i media non confermano la visione di Walter Benjamin di un mondo-specchio di copie ideali, ma hanno sepolto il simulacro postmoderno con una profusione di originali. Si tratta di temi già trattati altrove, ma raramente si arriva alle penetranti conclusioni alle quali giunge Groys. Fra i suoi primi obiettivi c'è l'affermazione che la diversità artistica sia di per sé buona, che il museo deve aprirsi a pratiche eterogenee e localizzate. Non è forse questa diversità uniforme, infatti, proprio la logica del mercato? Al contrario, il museo potrebbe essere "l'unico luogo possibile per l'innovazione", l'ultimo posto rimasto in cui incontrare la storia e le differenze. Brian Dillon, Frieze n.117, settembre 2008
La prima cosa che si impara leggendo la maggior parte dei testi sull'arte moderna contemporanea è che l'arte moderna, ma soprattutto quella contemporanea sono radicalmente pluralistiche. Questo sembra precludere del tutto la possibilità di scrivere dell'arte moderna come fenomeno specifico, come risultato del lavoro collettivo di generazioni diverse di artisti, curatori e teorici, così come si farebbe, ad esempio, volendo scrivere di arte barocca o rinascimentale. Questo impedisce anche di descrivere qualsiasi opera d'arte come esempio generale di arte moderna (e qui con il termine moderna intendo anche quella contemporanea). Ogni tentativo di questo genere si confronta subito con il suo contrario. L'asserzione secondo cui l'arte moderna sfugge ogni generalizzazione è l'unica generalizzazione ancora concessa. Boris Groys