360 gradi Marzo 2014

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Periodico a distribuzione interna finanziato dalla L.U.I.S.S. Guido Carli e realizzato dagli studenti | Marzo 2014


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Sommario Fondato nel 2002 da Fabrizio Sammarco, Luigi Mazza, Leo Cisotta Direttore Giulia Perrone Vice Direttore Editoriale Marino Mazzocca

CosmoLuiss SP

Cogitanda

• Verso le Nazioni Unite............................. “ 4 • Poesia: spontaneo straripamento di potenti sensazioni..................................... “ 4

• Non è tempo per noi................................. “ 19 • Giovani di domani.................................... “ 20 • Essere diversi non ha mai reso così ricchi............................................................ “ 20 • I consigli sbagliati...................................... “ 21 • Il colore di domani in un arcobaleno di prospettive.............................................. “ 21

CosmoLuiss EC

• La campagna per il lancio di un nuovo prodotto? Proponila tu!........................... “ 5 • Il mondo ai nostri piedi, con le Five Fingers................................................. “ 5

Vice Direttore Web Laura Lisanti

CosmoLuiss GP

Caffè Con...

Responsabile Marketing Virginia Cinelli

• Il Mentoring Programs............................ “ 6 • Un’idea, un’impresa................................. “ 6

• Associazione Komen italia...................... “ 22 • Caffè con Michele Cucuzza.................... “ 23

Responsabile Eventi Eugenia Brandimarte

L’Inchiesta

PalinTesto

Delegato Fondi Jacopo Pizzi

• Introduzione.............................................. “ 7 L’Inchiesta GP

• Fermo e immobile come un Gattopardo........................................... “ 24 • Storia vera di una Sicilia che cambia..... “ 24

Cosmoluiss GP Amedeo Barbato Cosmoluiss SP Samuele Crosetti Cosmoluiss EC Antonio Grifoni L’Inchiesta - Fumettista Adriano Di Medio L’Inchiesta GP Alessandra Fanelli L’Inchiesta SP Giovanni Pipola L’Inchiesta EC Alessandro Leuci Speaker’s Corner Sabrina Cicala International Carmine Russo Walk Maria Vittoria Vernaleone Cogitanda Eleonora Pintore Caffè Con Lydia Carrelli PalinTesto Adriana Lagioia Ottava Nota Francesco Corbisiero

• Quando Padre Pio impugna la spada laser di Star Wars: il pluralismo religioso....... “ 8 • Marijuana: le vie del Signore sono infinite................................................... “ 9 • È tutto un malinteso................................... “ 9

Ottava Nota

• Elogio dei “The National”........................ “ 25

L’Inchiesta SP

Cinema & Teatro

• Pastafarianesimo: da provocazione a religione.................................................... “ 10 • ‘Mipiacciami’ il Vangelo.......................... “ 10 • “Scelta e pregiudizio”: il disagio della [non] civiltà................................................ “ 11

• FULL MONTY, di Peter Cattaneo..... “ 26 • NOWHERE BOY, di Sam Taylor-Wood............................................... “ 26 • TRAINSPOTTING, di Danny Boyle.“ 27 • WE WANT SEX…equality: una storia vera.................................................... “ 27

L’Inchiesta EC

• Meglio studiare o fare i santoni?............ “ 12 • “Rimetti a noi i nostri debiti...”.............. “ 13 • A dieci anni suonati.................................. “ 13 Speaker’s Corner

• Renzi: un ‘’Principe’’ ambizioso............ “ 14 • Il declino del Paese.................................... “ 14 • Fardelli d’Italia.......................................... “ 15 • La politica che non vuole crescere......... “ 15 International

• Uruguay: marijuana libera, tra slogan e realtà.......................................................... “ 16 • Svizzera contro i lavoratori stranieri..... “ 17 • L’Ucraina e la sua voglia di ovest........... “ 17

Calcio d’Angolo

• La coppa Italia attraversa il tirreno....... “ 28 • Basket: La Finlandia va al mondiale..... “ 28 • La crescita esponenziale del Calcio Yankee............................................ “ 29 • I riflettori delle Olimpiadi a Sochi....... “ 29 Lifestyle

• L’arancia è esplosa..................................... “ 30 • Le lacrime di una bambina che non sarà mai donna................................................... “ 30 L’Eretico • M.P. - Storia di una nuvola..................... “ 31

Walk

• Caccia al djinn in quel di Costantinopoli............................................“ 18

Cinema & Teatro Maria Chiara Pomarico Calcio D’Angolo Lorenzo Nicolao Lifestyle Sofia Cecinini L’Eretico Edoardo Romagnoli

Progettazione grafica e copertina Diego Lavecchia, Fabio Nucatolo

360° - Il giornale con l’università intorno è stampato interamente su carta riciclata

Stampa a cura di: Rubbettino S.R.L. Lungotevere Raffaello Sanzio, 9 00153, Roma

Vuoi collaborare con 360°? Scrivi a 360gradiluiss@gmail.com


Editoriale

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Culturama - Il Festival dell’Informazione a 360° Essere liberi non è mai stato così bello

Tra le caratteristiche che amo di più in una persona c’è l’ambizione, e c’è l’umiltà. L’ambizione è un’arma a doppio taglio. Individua il suo terreno fertile, scorre nelle vene, sa essere premio ma anche castigo. Ho provato a disegnarla una volta, perché la mente comprende meglio la reincarnazione di un’idea rispetto al suo concetto astratto. È venuta fuori una linea continua, unione e confine tra chi sa accontentarsi, e gode, e chi ha bisogno di andare sempre oltre, di superarsi, nella ricerca costante della soddisfazione. L’umiltà, poi, il bene più raro e prezioso. Più che una linea sarebbe un abisso tra chi si impegna con passione per un obiettivo senza il bisogno di urlarlo a gran voce e chi, al contrario, non ce l’ha più la voce, ma non saprei dirvi cosa abbia gridato. È così che nasce il Festival dell’Informazione, Culturama. Dal desiderio di puntare alle stelle con la concreta possibilità di non farcela, da un volere che diventa potere se ci si investe la giusta dedizione, la giusta cura. Avete presente la sensazione che si prova nel completare un album di figurine? Senso di onnipotenza a parte, si intende. Dopo quel lavoro di ricerca, dopo la meraviglia di avere con sé tutte le immagini, comprese le più rare, dopo la precisione usata nel far combaciare gli angoli. Li hai tutti lì i protagonisti di una passione. Una dopo l’altro, in posa. Noi, per Culturama, più che la posa, abbiamo cercato l’incontro. In un contesto universitario che si fonde con il

mondo del lavoro, le voci del giornalismo si confrontano con chi ne ricava cultura, con chi può esserne influenzato. Cos’è, dunque, questa Informazione? Il racconto oggettivo di un caso, forse, a condizione che si considerino obiettive le parole della carne e dell’anima. O la nudità di un fatto umano, spontaneamente dipinta dall’esperienza di chi narra e di chi ascolta. Ricordo che, quand’ero bambina, mi chiedevano spesso cosa avrei voluto fare “da grande”. Gli adulti non sono sempre bravi a entrare nel mondo dei piccoli e allora ti invitano ad accomodarti subito nel proprio. Era una domanda che mi piaceva tantissimo: volevano sapere cosa sognasse chi, come me, aveva ancora tanto tempo prima di dover fare i conti con la realtà. E io avevo risposte per un mondo intero. Oggi, invece, sembra che quel “da grande” non sia più così lontano e che, oltre ad avere un desiderio, lo si debba realizzare. Siamo chiamati a coltivare un terreno poco fertile, ma abbiamo molti semi, dobbiamo solo imparare a scegliere. Il tempo delle lamentele è durato anche più del dovuto e, se da un lato la pars destruens è colma fino all’orlo, dall’altro, la pars costruens non ha ancora fondamenta. Culturama è un modo con cui ci prendiamo cura di noi stessi, della nostra educazione, della preparazione che presenteremo come biglietto da visita entrando nel mondo del lavoro. Creiamo occasioni per crescere, acquistare autonomia, accedere a una nuova realtà con la consapevolezza di poter prendere una direzione

senza condizionamenti esterni. Di poter piantare il seme di cui sogniamo il frutto. Di essere liberi. Per tutto questo, voglio dire GRAZIE a chi ha reso possibile la nostra sfida . Grazie a Roberto Cotroneo, Direttore della Scuola di Giornalismo “Massimo Baldini”, per essere stato guida preziosa e fondamentale. A Giovanni Lo Storto, Direttore Generale LUISS, per aver creduto nel progetto e per essere venuto incontro a tutte le nostre esigenze; ad Annalisa Pacini, responsabile dell’Ufficio Stampa LUISS e al suo staff; grazie a tutti gli uffici LUISS, per la disponibilità e la pazienza; ai nostri ospiti, persone meravigliose e professionisti impeccabili; ai rappresentanti degli studenti per il sostegno e l’entusiasmo; a Radio LUISS, alla Web Tv e alle associazioni che hanno collaborato all’organizzazione del Festival, dando valore al motto per cui “insieme si diventa”. Un ringraziamento particolare ai ragazzi della redazione di 360°, per aver creato un percorso con la forza del gruppo, per l’emozione di esserci riusciti. La conclusione di tutto è che bisogna avere cura, per arrivare a splendere. Cura degli altri, di sé. Per gli altri, per sé. Giulia Perrone

EDIZIONE SPECIALE! Quello che avete tra le mani lo considero un numero “speciale”, speciale perché introduce un evento di primaria importanza per la nostra università e più in generale per gli amanti del giornalismo (e dell’informazione), speciale perché è stato realizzato tra vacanze e sessione d’esame che insieme, si sa, formano una combo micidiale per gli studenti universitari. In ogni caso, il terzo numero del nostro giornale è finalmente libero di scorrazzare tra le aule della nostra università, foriero di tante curiosità in grado di accattivarsi anche l’attenzione del più scettico dei nostri colleghi. Rispetto al numero precedente di acqua sotto ai ponti ne è passata e gli accadimenti che ci sarebbe piaciuto analizzare con voi sono davvero tanti, tuttavia per ragioni editoriali ci siamo concentrati su quegli eventi che in qualche modo sono andati a incidere in maniera concreta sulle nostre vite. Tra le pagine di questa terza edizione daremo spazio, all’interno delle diverse rubriche, al passaggio di consegne che è avvenuto tra l’ex premier Let-

ta e il rampante nuovo Presidente del Consiglio Matteo Renzi, insieme a una brillante analisi sulla tanto vituperata burocrazia italiana. Non potevano mancare delle riflessioni sulla controversa vicenda che si sta consumando in Ucraina e sulla nuova legislazione in materia di droga che il governo dell’Uruguay ha deciso di adottare. Un evento che ha catalizzato le forze di tutta la redazione e sul quale mi piacerebbe spendere due parole, è stata la presentazione del libro “Gramigna”: vita di un ragazzo in fuga dalla camorra”. Con un pizzico di presunzione possiamo affermare che per la prima volta, abbiamo portato all’interno delle aule dell’università non solo quanti si impegnano con dedizione e coraggio a “combattere i cattivi”, ma un “possibile cattivo” in carne e ossa che, scegliendo di non intraprendere la strada del padre (boss della Camorra), ha narrato in un libro la sua vicenda personale grazie all’aiuto del giornalista e noto conduttore televisivo Michele Cucuzza. All’interno della novità di quest’anno, l’inchie-

sta, ci occuperemo di un tema particolarmente dibattuto: la libertà di culto e grazie al coinvolgimento della professoressa Corrao, cercheremo di sviscerarne alcuni degli aspetti più dibattuti. Esaurita questa breve panoramica sul numero che avete tra le mani, non mi resta che augurare a tutti una buona lettura in compagnia di queste nuova edizione del giornale con l’università intorno 360°. Marino Mazzocca


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Verso le Nazioni Unite Prodromi di un viaggio nella Grande Mela In America vengono considerate per il sistema educativo quello che le patatine fritte sono per i fast food : un contorno imprescindibile. Stiamo parlando dei Model UN, ossia simulazioni diplomatiche che ricreano l’ambiente, gli stimoli, le dinamiche e le relazioni delle principali commissioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Da pressoché dieci anni l’Italia partecipa attivamente a questi progetti, inviando ogni anno delegazioni provenienti da tutto lo Stivale con ottimi e costanti risultati. Un buon numero di questi si devono all’energica partecipazione della LUISS; quest’anno, il 29 marzo,cinquantaquattro studenti della nostra università partiranno alla volta delle Nazioni Unite, a New York, per l’NMUN. Si tratta della più grande simulazione ONU del mondo, durante la quale, in cinque giorni di lavori, questi ragazzi si confronteranno con circa cinquemila studenti universitari provenienti da diversi paesi. La LUISS, coordinata dall’associazione Consules, quest’anno rappresenterà al Palazzo di Vetro la più grande delegazione d’Italia. Consules è un ente che si occupa di “programmi educativi per l’internazionalizzazione” a livello scolastico-universitario e professionale. Ai partecipanti, l’associazione garantisce corsi di preparazione con un focus particolare sulle tecniche di negoziazione e public speaking. Il progetto con-

siste nel rappresentare, in coppia o singolarmente, uno stato, interpretandone la politica, i valori, gli usi e costumi nel miglior modo possibile, secondo la biblica legge dello “stay in character “, cioè attenersi fino in fondo, anche in caso di calamità naturali, al ruolo di ambasciatore del paese impersonato. Un’altra parte integrante del vangelo del delegato MUN è il “decorum”, una sorta di saper vivere civile-diplomatico fondamentale durante le sedute in commissione, nel corso delle quali esso viene messo a dura prova, sia a causa della durata estenuante delle stesse, sia da alcuni “distinguished delegates” con i quali la cooperazione può apparire difficile. A completare gli insegnamenti dei corsi formativi vi sono le famigerate regole di procedura, una sorta di mantra che ha le peculiarità della lista della spesa, ossia essere dimenticata sempre parzialmente. Nel gioco diplomatico, a dispetto del paese rappresentato, nel nostro caso gli Stati Uniti o Haiti, l’obiettivo è uno solo: vincere dimostrando capacità di negoziazione e collaborazione. Sebbene possa sembrare il contrario, Stati forti e deboli rappresentano entrambi, a loro modo, una grossa sfida: i primi per quanto riguarda la loro rilevanza sul piano internazionale, i secondi proprio per la loro apparente mancanza di quest’ultima che ci fa dimenticare che all’interno delle Nazioni

Unite, ogni stato ha il peso di un voto. Ognuno di noi ha delle aspettative: alcuni mirano a vincere un premio, altri vorrebbero solo sopravvivere al loro primo volo intercontinentale, altri ancora pensano al modo più conveniente per sfruttare il tasso di cambio favorevole, qualcun altro progetta una “sanissima” dieta americana, poi ci sono quelli che progettano fantasmagorici tour turistici che non avranno mai realizzazione (Daniela guarda sconsolata la foto del MoMA). Infine, ci sono i veterani, instancabili delegati (Valentina alza la mano) che nonostante tutto ripeterebbero questa fantastica esperienza all’infinito. In definitiva, che voi chiediate a un entusiasta o a un detrattore, il racconto non renderà mai l’esperienza, che anzi si annovera tra le poche che per essere comprese a pieno vanno effettivamente vissute. Quest’opportunità, non permette solo di mettersi alla prova in ambito internazionale, ma anche di superare le differenze culturali attraverso il confronto e la cooperazione su tematiche attuali. Nella speranza che tutto vada per il meglio, un saluto dagli Stati Uniti. Daniela Giordano Valentina Maria Panaro

Poesia: spontaneo straripamento di potenti sensazioni Nasce un nuovo piccolo “circolo di artisti” Siamo un gruppo di giovani ragazzi, colleghi universitari, ormai amici, con tanti sogni nei cassetti, tanta sete di conoscenza, numerosi obiettivi nel loro mirino e non per ultimo il desiderio di mantenere viva l’arte, la poesia, la letteratura. Tra discorsi più vari, che spaziano dalla lezione del giorno e dagli incombenti esami, ai luculliani banchetti da organizzare assieme, alla formazione calcistica dell’ultima partita vista, ecco che riecheggiano parole, versi capaci di far trasparire, di far emergere la più celata delle loro giovani emozioni, di far sussultare, di ricordare quanto piacevole e soave sia l’abbandonarsi tra le braccia delle Muse. In una società a modo suo bizzarra, che da una parte vive d’immagine e d’accessorio, e dall’altra sembra rifuggire tutto ciò che è considerato troppo aulico, “scintillante”, forbito, risulta essere vitale rendere prezioso ciò che non viene adeguatamente valutato come tale, in nome della

libertà artistica di ciascuno di noi. Trascinati dalla volontà di rifuggire dalla monotonia quotidiana, dalla mondanità che ci circonda, quasi come una pratica ascetica monistica e guidati dall’entusiasmo di chi, in un’assolata mattina settembrina, ha proposto di dar vita a questo piccolo “circolo di artisti”, abbiamo deciso di dedicare qualche ora dove nostro tempo alla più elegante delle arti : l’ars poetica. Ognuno di noi è così divenuto poeta e scrittore, chi in modo più attestato, chi più improvvisato. Stiamo così cercando di sottoporci a ciò che io amo definire “seduta di igiene mentale”, di comunicare in maniera diretta e intuitiva al nostro inconscio, di mantenere viva la bellezza della Parola, con l’auspicio di riuscire ad allargare questo modesto gruppo. Come ha egregiamente voluto ricordare in un suo scritto uno dei miei colleghi, nonché lo spirito trainante del gruppo:

“Noi siamo il sole che sorge domani Salde stringiamo redente le mani Dalla virtù sono state mondate Dall’universo son state ispirate... ...ora danziamo con passo veloce Nulla spaventa la LIBERA VOCE” Claudia Schettini


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La campagna per il lancio di un nuovo prodotto? Proponila tu! Lo stretto rapporto con il mondo dell’impresa che da sempre caratterizza la Luiss e ne costituisce l’elemento fondante ha prodotto una nuova sfida. Per la prima volta nella storia, una casa automobilistica affida agli studenti di un’università la campagna di comunicazione e marketing per il lancio di una nuova autovettura. Stiamo parlando di Smart e del Business Game Smart 4 Future, ideato e promosso dal Dott. Vittorio Braguglia, AD di Mercedes-Benz Roma, e dal rappresentante de-

gli studenti magistrale di Impresa e Management Michele Patriarca. Il contest, rivolto ai Dipartimenti di Impresa e Management e di Economia e Finanza, invita gli studenti a impostare il lancio della nuova Smart ForFour, in uscita a novembre. Quali sono le tappe essenziali del contest? Innanzitutto gli studenti, in gruppi da tre, dovranno inviare entro il 2 marzo un progetto in cui vengano analizzate le chance e i rischi che comporta l’ampliamento della gamma Smart e in cui si ipotizzi

UNO SGUARDO AL MONDO

Il mondo ai nostri piedi, con le Five Fingers Nominata dal Times Magazine come una delle “100 Migliori Invenzioni del 2007” e vincitrice del “Premio italiano per la creatività”, la scarpa Five Fingers® è la nuova calzatura leggera e dal design unico, simbolo della tenacia della piccola imprenditoria italiana. Era il 1936 quando Vitale Bramani, accademico del Club Alpino Italiano, ebbe l’intuizione di applicare alle scarpe la tecnica sviluppata dalla Pirelli per costruire le gomme. Iniziò cosi l’intensa attività della Vibram, piccola società del Varese, ormai da 75 anni leader nella produzione di suole in gomma ad alte prestazioni. Nel 2001 la svolta che segnò il futuro glorioso della Vibram, quando il designer industriale Robert Fliri incontra Marco Bramani, nipote del fondatore Vitale, per presentargli un progetto alquanto curioso: delle scarpe “minimaliste” che sembravano più che altro essere dei guanti per piedi con una suola. L’intuizione di Fliri di creare una calzatura che migliorasse le prestazioni e rendesse ancora più entusiasmanti le attività outdoor, fu appoggiata da Bramani stesso che decise di puntare su quest’idea, concentrando gli sforzi della Vibram su un’intensa attività di R&D. Dopo aver depositato il brevetto nel 2004, inizia l’anno successivo la commercializzazione del prodotto. Ma la scalata al successo è stata lunga e non priva di ostacoli. Durante questi

anni di crisi e di difficoltà, l’azienda non si è mai arresa, ma ha continuato a lavorare al prodotto, perfezionandolo ed incrementando i test. Ma perché la Vibram Fivefingers® ha avuto così tanto successo? Forma e materiali sono indubbiamente le peculiarità di questa scarpa. Si presenta infatti come un vero e proprio guanto per piedi, con la suola in gomma che si adegua ai movimenti come fosse una seconda pelle capace di mettere in contatto il corpo con il suolo in un modo assolutamente impossibile con le scarpe tradizionali. Inoltre, mantenendo separate le dita e usando una suola molto sottile, le Vibram Fivefingers®, stimolano e rafforzano la muscolatura delle gambe e dei piedi, migliorando contemporaneamente i difficili movimenti negli spazi aperti in natura. C’è di più: l’indiscutibile successo di questa scarpa è stato decretato dagli acquirenti. Infatti, l’esperienza che la scarpa a cinque dita permette di vivere risulta essere assolutamente unica: per la prima volta, gli atleti dell’outdoor e tutti gli appassionati di tali discipline hanno potuto assaporare una libertà che – per quanto possa apparire banale – rafforza in maniera sensibile il proprio legame con la natura. “What’s your story” è la specifica sezione del sito di Vibram dedicata alla raccolta di storie degli sportivi che hanno fatto delle FiveFingers le loro compagne di avventura. Attraverso i video, si testimonia non solo l’elevata fiducia nel prodotto, che garantisce alla Vibram notorietà e immagine, ma anche la chiara volontà dell’azienda italiana di creare una vera e propria comunità familiare e dinamica. Riusciranno i grandi colossi americani come Nike e New Balance a stare al nostro passo? Tea Cinelli

quale macchina guidi oggi il futuro cliente della Smart ForFour e perché questo cliente dovrebbe scegliere la nuova Smart ForFour. Gli studenti dovranno inoltre preparare una moodboard (una serie di immagini unite tra di loro che serve a mostrare in un formato visivo un progetto e i concept ad esso correlato ndr.) riferita al posizionamento del brand Smart sul mercato italiano. Il 10 marzo una Commissione composta dal management di Mercedes-Benz Italia selezionerà 15 gruppi, che passeranno alla fase successiva, inviando loro il briefing per il secondo progetto, da inviare entro il 23 marzo. Il 31 marzo avverrà una seconda scrematura: la Commissione esaminatrice avviserà i tre gruppi finalisti invitandoli a vedere le nuove auto per l’incontro di approfondimento e per il briefing del progetto definitivo. Tra il 9 ed il 17 aprile i tre gruppi finalisti si recheranno a Boeblingen, sede dell’Headquarter Smart, dove potranno finalizzare il progetto definitivo e presentarlo dal vivo in occasione della cerimonia conclusiva del 4 giugno, dove la Commissione esaminatrice proclamerà il gruppo vincitore. I tre riceveranno de iure una macchina a testa in comodato d’uso per un anno e uno stage presso Mercedes; ci sarà inoltre la possibilità che la loro idea, o una parte di essa, venga usata nella campagna di comunicazione per il lancio della nuova auto. “Smart è un prodotto molto ben posizionato, giovane e di grandissimo successo sul mercato romano”, ha sostenuto Eugenio Blasetti, Marketing Product Manager di Mercedes-Benz e Smart Italia, alle telecamere di Luiss Tv nel corso della presentazione del contest in Luiss, avvenuta il 21 febbraio scorso. “ Tra poco – continua Blasetti – Smart avrà un fratello maggiore, una macchina più grande, e quindi abbiamo deciso di venire nel cuore dell’università più importante di Roma, la Luiss, a lanciare un business game con i giovani e chiedere loro quelle che devono essere le linee guida del lancio di questo prodotto. È una sfida che lanciamo per avere delle indicazioni importanti che potranno essere messe in produzione e utilizzate nella fase di lancio della nuova Smart ForFour. Fate vedere quello che valete!” Antonio Grifoni


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Il Mentoring Program Silvia Corti, Associazione Laureati LUISS L’Associazione Laureati LUISS con il Mentoring Program offre agli studenti un’opportunità imperdibile. Si tratta di un’ assoluta novità nel panorama accademico in termini di “orientamento”. Come nasce e quali sono gli obiettivi di questo progetto?

Il Mentoring Program rappresenta un unicum nel panorama universitario italiano. È nato, circa due anni fa, con l’intenzione di sostenere l’ingresso degli studenti LUISS nel mercato del lavoro. L’Associazione Laureati e l’Università LUISS hanno a cuore il percorso dei giovani e, per questo motivo, gli affiancano delle figure esperte in grado di consigliarli e orientarli. Come si profila il rapporto tra mentore e mentee? Chi sono i follower?

Il mentore è un laureato LUISS che, da più di 8 anni, è inserito nel mercato del lavoro italiano ed internazionale. Ma, soprattutto, è una persona che decide di essere solidale con i giovani e mette a disposizione il proprio tempo per ascoltarli

e guidarli. Il programma accorda molta libertà nella gestione del rapporto tra mentore e mentee (lo studente all’ultimo anno di corso). Quello che chiediamo loro è di mettersi a disposizione con spirito disponibile ed aperto, per far sì che si realizzi uno scambio proficuo per entrambi. I follower sono gli studenti LUISS che fanno parte della Mentoring Community ma che non possono ancora essere abbinati ad un mentore (in quanto non ancora all’ultimo anno di studi). Hanno, tuttavia, la possibilità di partecipare alle numerose attività che il programma mette loro a disposizione. Il Mentoring Program è un mix di esperienze, energie e idee innovative. In che modo avete strutturato il progetto al fine di sfruttare al meglio queste risorse?

Il programma non prevede esclusivamente la relazione diretta tra mentore e mentee, ma anche incontri, seminari e corsi di formazione, tutti volti a favorire il networking e lo sviluppo di reti di eccellenza. Il Mentoring Program intende infatti promuovere la reputazione dei Laureati

LUISS, come thinking community di qualità e modello di classe dirigente aperto, innovativo e internazionalizzato che crede nei valori del merito e che cerca di coltivare l’amore per il proprio Paese. Il 5 marzo si è tenuto il primo incontro tra mentori e mentee. Come si può descrivere l’atmosfera di una serata così particolare?

La serata del 5 marzo ha superato le nostre aspettative: vi hanno partecipato circa 150 mentori e circa 400 studenti. È stata un’occasione incredibile di confronto tra generazioni e dibattito sul futuro dei giovani. Si sono incontrati per la prima volta i protagonisti della seconda edizione del programma, in un ambiente informale e rilassato; gli studenti LUISS hanno infatti avuto modo di accorciare le distanze con professionisti di alto livello molto spesso difficili da intercettare. Così come l’anno scorso, questa serata ha rappresentato un momento sinergico di cui nessun’altra Università in Italia può vantarsi. Ed ora siamo veramente pronti per ripartire! Lydia Carrelli

Un’idea, un’impresa Le agevolazioni Smart&Start e il programma BEST Invitalia Tra i tanti eventi che la LUISS organizza può essere utile tenere d’occhio quelle dell’i-lab: si tratta di incontri che presentano programmi volti ad agevolare la partenza di nuove iniziative imprenditoriali. Il 12 marzo si è tenuta presso la sede dell’i-lab in via Salvini 2, un evento dedicato al programma di agevolazioni Smart&Start e al programma BEST promossi da Invitalia; erano presenti Massimo Calzoni, esperto di sostegno alle politiche occupazionali, e una testimonial del progetto Best, la dottoressa Arianna Tibuzzi. Cos’è Invitalia? Si tratta dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa; essa agisce su mandato del Governo per accrescere la competitività del Paese, per sostenere i settori strategici per lo sviluppo, favorire l’attrazione di investimenti esteri e sostenere l’in-

novazione e la crescita del sistema produttivo. Quali sono le agevolazioni proposte? L’incentivo Smart&Start è dedicato alle imprese del Mezzogiorno e del cratere sismico aquilano che puntano su innovazione, tecnologie digitali e sostegno della ricerca. Il programma ha a disposizione una dotazione finanziaria di 203 milioni di euro da suddividere nelle due diverse tipologie di agevolazione: la Smart, volta a contribuire alla copertura delle spese iniziali sostenute dall’attività aziendale, e lo Start, che contribuisce a coprire le spese necessarie per l’investimento iniziale. Il programma BEST, acronimo di Business Exchange and Student Training, mette in palio borse di studio per trascorrere un periodo di formazione negli Stati Uniti. È rivolto ai giovani italiani che hanno idee innovative e vogliono entrare in campo con un’attività gestita in prima persona; fino ad oggi hanno partecipato al programma 60 giovani talenti italiani, 26 dei quali hanno già intrapreso una carriera imprenditoriale lanciando aziende di successo in Italia e all’estero. Per chi fosse interessato al programma Smart&Start, le

domande di ammissione alle agevolazioni potranno essere presentate sino al 4 settembre 2014; per chi volesse maggiori informazioni è anche chiamare il numero 848.886.886. Per partecipare al programma BEST è invece necessario partecipare ad un concorso, il cui bando scade il 18 aprile 2014, aperto a tutti i laureati e ricercatori che non abbiano più di 35 anni; è preferibile la presentazione di progetti promettenti in settori in forte sviluppo come quelli delle biotecnologie e della green economy. Per l’anno accademico 2014-2015 è prevista l’emissione diverse borse di studio del valore di 41.000 dollari l’una, con le quali i vincitori del bando potranno frequentare corsi di “Imprenditorialità e management applicati al settore scientifico e tecnologico” presso la californiana Santa Clara University o svolgere uno stage di quattro mesi in un’impresa della Silicon Valley. A proposito della Silicon Valley si approfitta di questo spazio per fare i complimenti a Luca Maestri, laureato in economia alla Luiss, nominato Chief Financial Officer dell’Apple. Che sia esempio per tutti i ragazzi che hanno idee e proposte affinché non sottovalutino le proprie capacità e le opportunità che la LUISS ci aiuta a conoscere. Amedeo Barbato


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L’Inchiesta Conoscere per capire, capire per crescere

F.M. Corrao

La religione è per il bene di tutti, per il bene degli esseri umani, per elevarne la condizione spirituale e vivere in una continua tensione mirata a sviluppare il senso più profondo della vita, il mistero del divenire eterno. Tutte le religioni rispondono al desiderio di superare le sofferenze che le contingenze della vita inevitabilmente portano, ed è pertanto legittimo chiedersi perché mai a volte risulta difficile il dialogo tra le diverse fedi religiose. L’Ebraismo rivela un Dio compassionevole e attento ai bisogni profondi dell’uomo. Il Cristianesimo ha come modello la figura centrale e misericordiosa del Cristo che si immola per testimoniare l’amore di Dio per tutti gli esseri umani. Nel Corano si confermano queste peculiarità e si afferma che Dio ha creato comunità diverse affinché si conoscano tra di loro. Secondo il Buddismo, ogni singolo essere vivente è una manifestazione unica della verità fondamentale, e dal momento che ogni persona manifesta questa verità nel suo carattere unico e peculiare, ognuno di noi rappresenta un aspetto prezioso e indispensabile dell’universo vivente. Molti filosofi hanno usato il dialogo come strumento della conoscenza, basta ricordare Platone solo per citare il più famoso. Eppure il dialogo non è mai stato abbastanza praticato, e ancora oggi pare sia molto difficile da promuovere. Per quale ragione ha prevalso il conflitto e soprattutto perché si sono verificate le guerre di religione in passato e oggi gli estremismi religiosi piuttosto che promuovere il dialogo giustificano la soppressione di chi non condivide lo stesso spirito nella fede? Forse la risposta sta nella difficoltà ad aprirsi, ad ascoltare, ad accogliere il diverso da sé, e nella fretta di cercare risposte perentorie e immediate. Insito nell’essere umano è il bisogno di dare un senso alla propria esistenza; c’è chi trova risposte nella fede c’è chi nella ragione, in entrambi i casi la cultura di provenienza offre i modelli di riferimento. Dialogare dunque potrebbe essere un modo per approfondire la conoscenza e trovare delle risposte condivise. Nella società globale è difficile vivere senza riconoscere l’interdipendenza tra noi e gli altri. Gli stereotipi e la visione mitica della propria fede, del proprio credo, possono però portare ad una concezione dogmatica e ad una chiusura epistemica che degenera nell’isolazionismo e porta all’intolleranza e al razzismo. Il pregiudizio e l’eccessivo attaccamento alla propria identità e alle differenze creano una visione distorta del sé che provoca un senso di esclusivismo che conduce allo scontro con l’altro. Dipende da noi la possibilità di sospendere il pregiudizio, nutrire il nostro senso di rispetto per l’altro e ampliare la nostra conoscenza mirando a ritrovare la nostra dignità di esseri umani nell’incontro con la diversità dell’altro, senza rinunciare alla nostra visione del mondo. Il rispetto di sé porta al rispetto degli altri, la conoscenza di sé ci permette di diventare cittadini più empatici, aperti al cambiamento che include e armonizza, promotori di valori condivisi utili a stabilire una cultura del dialogo e della pace.

Nella ricerca del tema da affrontare all’interno dell’inchiesta di questo terzo numero, ci siamo lasciati ammaliare dal fascino misterioso che avvolge la libertà di culto. La libertà in oggetto non solo rappresenta una fonte di interesse, dibattito e purtroppo conflitto in tutto il mondo, ma è spesso una questione che le nuove generazioni evitano di approfondire. Un po’ perché inevitabilmente essa porta a riflessioni che scardinano la superficialità e la leggerezza insite nell’animo giovanile, un po’ perché il processo di secolarizzazione si è definiti-

Libertà di culto | una questione per giovani vamente sedimentato nella società in cui viviamo e in quelle a noi vicine. Nella nostra inchiesta potrete trovare alcune suggestive considerazioni che abbiamo ritenuto interessante proporvi. Nella sezione curata dalle penne di giurisprudenza vedremo come l’eccessivo spazio concesso alla fantasia di alcuni soggetti, arrivi a far brandire la fantascientifica spada di Star Wars niente poco di meno che al

santo di Pietralcina “Padre Pio Kenobi”. Con i ragazzi di Scienze Politiche invece, approfondiremo temi che toccano le discriminazioni subite da molte persone all’interno delle nostre comunità, in quanto osservanti di uno specifico credo religioso. Leggendo la sezione dell’inchiesta Economia vi riporteremo agli anni d’oro dell’infanzia e più precisamente al momento storico della prima comunione. A impreziosire la nostra inchiesta, come promesso fin dal primo numero, troviamo il parere di un esperto, un professionista che sia in grado di fornirci un’opinione più competente sul tema in questione. Su questo numero abbiamo l’onore di ospitare la professoressa Corrao, attenta conoscitrice del mondo arabo, delle sue contraddizioni e delle sue innumerevoli tradizioni. Autrice di numerose opere sul mondo islamico, nella sua brillante introduzione la professoressa pone l’accento su alcune questioni pregnanti in materia di libertà di culto che ci faranno comprendere quanto questa libertà debba divenire sempre di più… una questione per giovani. Marino Mazzocca


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L’Inchiesta GP

Marzo 2014

Quando Padre Pio impugna la spada laser di Star Wars: il pluralismo religioso La decisione di buttarsi a capofitto nel tema oggetto di questa inchiesta sarebbe affrettata, persino esagerata. È necessario infatti fare una premessa, che non sia giustificatrice, ma rispettosa delle più varie idee culturali in merito. Quando si parla di religione e ricerca ci si riferisce a un ambito custodito gelosamente dagli addetti ai lavori: teologi, filosofi, studiosi di ogni sorta, capaci di abbinare i termini in modo da evitare la banalità e la mancanza di veridicità delle informazioni. In secondo luogo deve dirsi che, elucubrazioni a parte, la maggior parte dei credenti intende il proprio culto in maniera soggettiva, quasi come un ambito inviolabile e personalissimo. disegno, molto simile ad un piatto di spaghetti e polpette e riconduce i disastri naturali alla diminuzione della presenza di pirati nel mondo. A primo impatto potrebbero queste sembrare credenze assurde, fuori dall’ordinario modo di concepire il mondo esterno, tuttavia deve ravvisarsi, secondo i più, un profondo motivo sociologico alle spalle: la volontà di cercare il nuovo Per questa ragione, la Se le prime due branche tramite l’approfondimento di tematiche care ai scelta di fondo in questi mantengono dei tratti Proliferano credenti o tramite la protesta e la reazione allo casi è quella di lasciare prettamente tradizionastatus delle cose. spazio all’originalità, li, di certo non si può dire movimenti religiosi E quindi, così facendo, si scopre che è a caratteai meandri meno conolo stesso delle ultime. di ogni specie, re anticristiano la religione wicca, che raccoglie sciuti, alle curiosità di un Secondo Introvigne decine di migliaia di fedeli specialmente negli ambito, sia in superficie, queste nascono dal riche, nei primi anni Stati Uniti e che abilmente si distanzia dal sasia in profondità, ampiafiuto e dalla critica alla della loro ascesa, tanismo, professandosi come stregoneria. Gli mente dibattuto. tradizione, ma allo stesesempi potrebbero continuare ad infinitum. raccolgono adepti e so tempo finiscono per Ci si chiede quale sia il limite alla creazione, Proliferano, infatti, mofar parlare di sé come di sostenitori ad una quale sia il criterio distintivo tra fantasia, provimenti religiosi di ogni un “believing without velocità disarmante testa, parodia e libertà di professare il proprio specie, che, nei primi belonging”, un credere credo. Nessun limite giuridico può frapporsi tra anni della loro ascesa, senza appartenere. Dai l’uomo e il proprio pensiero, nulla di oggettivo raccolgono adepti e somormoni, ai testimoni di e stabilito. stenitori ad una velocità disarmante. Punto Geova, a Scientology, alla Soka Gakkai: questi Secondo opinioni largamente supportate dai focale di questa raccolta è sicuramente il web, i maggiormente condivisi. L’attività di ricerca cristiani, molte persone, padrone indiscusso del XXI secolo. potrebbe non finire mai si potrebbe dire tutto Giuridicamente parlando, la strada è spianata: parlando delle religioun popolo, che avevano libertà di culto e tutela delle minoranze rientrani New Age, intente ad Ci si chiede quale manifestato in decenni no tra i principi costituzionalmente garantiti in aspettare l’avvento di un passati un minore inteItalia e ulteriormente ribaditi a livello europeo. mondo nuovo e di una sia il limite alla resse per il sacro e per la Massimo Introvigne è il nome del fondatore del nuova era, indicata come creazione, quale sia religione si sono rimessi CESNUR, Centro Studi sulle Nuove Religio“era dell’Acquario”. in movimento. Ma queni, fondato nel 1988 quale centro di ricerca sul Agli apici della fantail criterio distintivo sto movimento è confupluralismo religioso e sulla crescente nascita di scienza, poi, è il Padre tra fantasia, so, oscillante, ambiguo. nuovi movimenti. Pio Kenobi, millantato Un popolo che professa È proprio lui che, in un noto articolo pubblicato dai cosiddetti Jedi, i quaprotesta, parodia e interesse per il sacro si è su “Seminarium” si adopera per una classificali basano la loro libertà di libertà di professare messo in cammino, ma zione della novità in materia di culto: credo sulla saga di Guersembra non sapere dove il proprio credo re Stellari e raffigurano il andare. Santo con la tipica spada Potrebbe anche effettivalaser di Star Wars. mente non saperlo. Ciò che è certo è che della libertà di creare ne ha Citazione d’obbligo meritano anche i Pastafafatto uno stile di vita. riani, movimento religioso di protesta, che renAlessandra Fanelli de proprio creatore soprannaturale un astratto Queste iniziali considerazioni vanno chiaramente a sottolineare la parzialità e insufficienza di materiali con cui si affronta questo tema: un topic talmente vasto da nutrire e comporre la natura dell’uomo, la cui inchiesta, volendo azzardare, si chiama vita.

- nuovi movimenti religiosi a simbologia cristiana - nuovi movimenti religiosi di origine orientale - nuovi movimenti nati in Occidente per innovazione - nuovi movimenti magici.


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Marijuana: le vie del Signore sono infinite

L’uso di stupefacenti per fini di culto: il rastafarianesimo La religione ha rappresentato una costante eterogenea nello sviluppo progressivo della storia umana. Prescindendo dallo studio di una specifica fede e tralasciando qualsivoglia fideistica teoria, risulta sempre opportuno compiere un’analisi in parallelo fra la funzione del culto e lo sviluppo antropologico dell’essere umano. Il processo storico che ha determinato la formazione dei primi agglomerati sociali ha infatti introdotto atteggiamenti competitivi e prototipi carismatici in una cerchia più o meno ristretta di individui. Questo processo ha fortemente contribuito allo sviluppo delle capacità intellettive dell’uomo che, per la prima volta, ha fatto propri valori ancora oggi basilari nella quotidianità quali l’esperienza e l’esempio. L’esercizio del culto ha indiscutibilmente giocato un ruolo centrale in questa fase evolutiva. Tuttavia se, da una parte, l’esigenza di dare risposte ai quesiti più reconditi dell’uomo, ha certamente favorito l’avvicinamento dei fedeli tramite la condivisione dei “misteri”, dall’altra, la stessa esigenza ha incoraggiato l’ampliamento della dimensione individuale mediante l’aspettativa di un contatto diretto e personale con l’ “Entità superiore”. Fra le pratiche adoperate per il raggiungimento di tale obiettivo, ve ne sono alcune che balzano agli occhi per una sorta di antinomia concettuale. Si tratta, cioè, di quelle forme di culto che prevedono l’esaltazione dei sensi e l’allontanamento dalla realtà mediante una sorta di fusione con la stessa

natura fenomenica realizzata mediante l’impiego di particolari sostanze. Da qui, l’acceso dibattito sul consumo di stupefacenti per fini di culto. Nell’ambito di una materia oggi più che mai oggetto di continue riforme, possiamo tuttavia rintracciare dei punti fermi che ci vengono offerti dalla giurisprudenza. È il 2008 quando la Corte di Cassazione annulla la Sentenza della Corte d’Appello di Perugia che aveva condannato un imputato a un anno e quattro mesi di reclusione e 4.000 euro di multa per illecita detenzione a fine di spaccio di marijuana. La Corte d’Appello formulava il giudizio sulla base del mero dato ponderale della sostanza che, come risultava già dal giudizio di primo grado, era di molto superiore rispetto a quello permesso dalla legge per il consumo personale.L’annullamento operato dalla Corte di Cassazione verte proprio sulla riqualificazione di determinate motivazioni apportate sin da subito da parte dell’imputato, prima fra tutte la sua appartenenza alla religione rastafariana. Gli Ermellini, nella formulazione della sentenza di accoglimento del ricorso, dimostrano, infatti, una grande attenzione circa gli usi e le abitudini di questa fede. Il rastafarianesimo, quella forma di credo che usualmente individuiamo nei dreadlocks, le lunghe e solide trecce mosse al ritmo delle canzoni di Bob Marley, permette, infatti, il consumo giornaliero di una dose pari a dieci grammi di marijuana.

Quest’ultima non rappresenta per gli adepti solo una sostanza medicinale ma il suo valore viene elevato ad “erba meditativa” nella convinzione che sia cresciuta e prosperata sulla tomba di Re Salomone. Anche l’atteggiamento di spontaneità che accompagna l’adepto nel momento della consegna della sostanza e l’assenza di porzioni già preconfezionate concorrono all’annullamento della sentenza della Corte d’Appello, “colpevole” secondo la Corte di Cassazione, di aver presunto una finalità di spaccio senza aver debitamente valutato questi fattori. In siffatto contesto, al di fuori di qualsiasi considerazione circa la validità e le eventuali ripercussioni di questa decisione, non si può certo trascurare quella sorta di “elevazione”, anche qui sacra o meno, a seconda della sensibilità personale, che caratterizza il diritto nella fase di studio capillare dei fenomeni umani e sociali e che si sublima nel momento dell’approfondimento e della sua applicazione. Pietro Canale

È tutto un malinteso Religione & Ambiente: Custodi del creato L’uomo e il rapporto con l’ambiente - inteso come tutto ciò che ci circonda - è sempre stato problematico, assumendo che l’unica soluzione tra essi sia quella di un continuo conflitto, dove l’uno per sopravvivere deve sopraffare l’altro. La storia dell’uomo è fatta di sfruttamento delle risorse naturali, in maniera eccessivamente avida e prepotente. Vogliamo capire meglio dove abbia origine questa avidità: la nostra tesi è che in realtà sia tutto frutto di un malinteso che ha origine nella religione. Meglio partire dall’inizio. Secondo il Vecchio Testamento, nella Genesi, il versetto 1,28 recita: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra”. Queste due semplici righe hanno creato molti guai all’ambiente e in particolare alla natura. La

questione è circoscritta a due parole ben precise - soggiogatela e dominate - che richiamano un assoggettamento della terra e del creato agli ordini e ai desideri dell’uomo. Tutto sbagliato e profondamente iniquo, se ci pensiamo anche contraddittorio, rispetto agli insegnamenti delle sacre scritture e dei precetti che, al contrario, invitano alla moderazione e alla parsimonia, elementi che si traducono nel rispetto della natura, nel riciclo dei prodotti e nel non sperpero. E allora perché ha prevalso il primo significato? È presto detto: la colpa è stata dei “traduttori” di allora, che forse non hanno prestato abbastanza attenzione a quelle che sarebbero state le conseguenze ambientali. Il significato di quelle parole deve essere totalmente invertito, il termine ebraico di dominare dovrebbe significare “prendersi cura”, non “avere

podestà”. Questo perché in ebraico il termine è usato per indicare la cura di Dio verso il suo popolo e il suo creato, non la sua superiorità. Di conseguenza l’uomo deve prendersi cura della natura allo stesso modo con cui Dio si prende cura dell’uomo. Ambiente e uomo sono sullo stesso piano, uguali davanti a Dio. Quindi senza ombra di dubbio, rimanendo nel campo della religione dobbiamo assumere lo stesso atteggiamento di San Francesco, che nel Cantico delle Creature loda tutti gli elementi del creato equiparandoli a sue sorelle e fratelli. Proprio per questa sua attività celebrativa della bellezza e dell’ambiente è stato nominato patrono dell’ecologia. Ora che l’errore è stato spiegato non ci sono più alibi, dobbiamo recuperare il terreno perduto. Altrimenti la pena è l’inferno. Ezio Antonacci


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L’Inchiesta SP

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Pastafarianesimo: da provocazione a religione Un gruppo di Giovani americani ha creato sul web una religione dal nulla. Lo scopo? Schierarsi contro la tradizione “Io preferirei davvero che tu evitassi di comportarti come un asino bigotto più-santo-di-te quando descrivi la mia spaghettosa bontà. Se qualcuno non crede in Me pace, nessun problema! Dico davvero, non sono mica così vanitoso. E poi non stiamo parlando di loro quindi non cambiare argomento!” Recita così il primo solenne comandamento, o condimento, del Pastafarianesimo, culto creazionista nato in America da chi ha voluto rendere la provocazione la propria ragione di vita. Il messia di questo nuovo stravagante culto è Bobby Henderson, che da bravo cittadino del Paese delle opportunità ha voluto sfruttare al massimo la facoltà di dire come la pensava, inventandosi una religione dal nulla. Il pastafarianesimo, ultima frontiera di chi ce l’ha con le tradizioni consolidate e con il pensiero anti-scientifico, nasce in polemica contro quanti avevano cercato, nello stato americano del Kansas, di dare la stessa importanza a teorie evoluzioniste e creazioniste nell’insegnamento scolastico. Nel mondo moderno e globalizzato, internet si è reso ovviamente tramite privilegiato tra i devoti al “Prodigioso Spaghetto Volante”, entità demiurgica e creatrice in tutto somigliante ad un groviglio di pasta scotta e appiccicosa. Il culto della pasta ha toccato probabilmente il proprio punto più alto il mese scorso, quando Christopher Schaeffer ha giurato come consigliere comunale di Pomfret, una piccola città dello stato di New York, con tanto di scolapasta in testa, il corrispondente pastafariano della Kippah ebraica. L’idea principale è che se ci è ragionevolmente possibile credere a una divinità in grado di mettere in moto con un gesto la vita e lo sviluppo progressivo dell’umanità, allora questa divinità potrebbe essere impersonata da chiunque, persino da uno spaghetto, e tutti, nel pieno delle proprie libertà religiose e di espressione, dovrebbero essere liberi di abbracciare e diffondere tale culto. Il “Prodigioso Spaghetto Volante” è un modo spinto ed irriverente di dire al mondo che se è giusto equiparare scienza e religione allora è anche giusto equiparare tra loro le religioni, concedendo a tutte pari rispetto e dignità, specie per quanto riguarda il modo in cui spiegano da dove veniamo. Ciò, com’è ovvio, può accadere solo nel libero occidente, in cui entro certi limiti a ognuno è permesso fare e dire quello che vuole, anche sfidare a forchettate dogmi religiosi millenari. L’altra arma a disposizione di chi venera la dea pasta, come si

diceva poc’anzi, è ovviamente internet, sempre più valvola di sfogo di quanti vogliono manifestare opinioni spesso in contrasto con il pensiero comune. Il fulcro della nuova libertà di espressione sembra essere proprio questo, usare mezzi moderni per propagandare idee altrettanto innovative, sfidando schemi tradizionali che appaiono errati o sorpassati, e Grillo, qui dalle nostre parti, ne sa qualcosa. In una società secolarizzata come quella

americana, i vecchi culti appaiono a molti ridicoli. La possibilità di riconoscere una dignità di insegnamento pari a quella della scienza a chi parla di divinità creatrici è quasi oltraggiosa. Allora tanto vale inventarsela una religione, esprimendo il proprio credo col solo scopo di dimostrare che la scienza è la sola via di uscita ai paradossi religiosi del nostro tempo. Angelo Amante

‘Mipiacciami’ il Vangelo Le religioni ai tempi di social e Crociate 2.0 Gesù usava Twitter before it was cool. Questo, almeno, a detta del Cardinale Gianfranco Ravasi, capo del Pontifico consiglio per la cultura, secondo cui tutti i messaggi chiave del Messia starebbero ben sotto i 140 caratteri prescritti come limite massimo dal sito di micro-blogging statunitense. “Ama il prossimo tuo come te stesso”: 34. “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”: 60. Per adeguarsi al proprio fondatore, la Chiesa Cattolica ha impiegato un paio di millenni, certo, ma ora procede spedita. Se già a fine anni ‘30 Papa Pio XI trasmetteva messaggi evangelici su Radio Vaticana, il merito del primo tweet apostolico è da ascrivere al pontificato di Benedetto XVI, che il 3 dicembre 2012 debuttava sull’uccellino più famoso del web. Pochi mesi prima di dover dare le dimissioni a causa di ben altro pennuto, il Corvo. Subito dopo la sua elezione, i diversi account Pontifex – che scrivono contemporaneamente in lingue diverse – sono stati comunque riattivati da Papa Francesco e portati al successo. Il nuovo Pontefice è sicuramente l’astro nascente della rete. Ad oggi l’account papale conta quasi 10 milioni di follower su Twitter. Su Facebook Bergoglio non è da meno e, con quasi 2 milioni di “Mi piace” stacca nettamente il suo predecessore Benedetto XVI (non arriva ai 500mila) e addirittura Giovanni Paolo II, che veleggia intorno al milione. Solo un altro leader religioso si oppone al vertice della Chiesa Cattolica: il Dalai Lama che, da quando è in esilio dai fedeli tibetani, ha saputo sfruttare appieno tutti i mezzi di comunicazione per perorare la propria causa davanti alla comunità internazionale e per diffondere la filosofia buddista. Se 8,5 milioni di follower non sono sufficienti per sorpassare il primato di Bergoglio su Twitter, lo stesso numero di adepti 2.0 gli consente di regnare incontrastato almeno su Facebook, fin-

tanto che il ritorno in patria rimarrà precluso. Dimentichiamo quindi spargimenti di sangue, assedi di Gerusalemme e conseguenti polpettoni di Tasso: le nuove Crociate si fanno a colpi di retweet. E se, così come in analogico, l’Islam non supera il proprio scisma neanche nella realtà virtuale, la battaglia culturale delle religioni 2.0 è portata avanti contro altri competitor, in particolare ateismo e blasfemie degli internauti. Si va dall’ingenuo old but gold “Gesù + 12” nelle liste delle serate a epiteti più o meno animaleschi per la Madonna, ma le recenti vicende italiane mostrano che su Internet, molto spesso, l’insulto è ben più che libero e gratuito. E chissà che proprio nuove forme di moralità da social network, oltre a maggior regolamentazione e netiquette, non riescano a risolvere l’annoso problema. Slanci di moralità sì, che spesso però sfondano nel trash più puro. Pagine Facebook che pubblicano giornalmente le perle del Vangelo, account fake di Gesù, Santi e Papi su tutti i social e, non da ultimo, le suore canterine su Youtube causano il più delle volte una grassa risata anziché una riflessione. Ma questo, si capisce, è una regola dello spietato gioco della Rete, il grande calderone che ai messaggi evangelici e alle più alte forme di conoscenza e condivisione unisce tanti, tanti gattini e tanto, tanto porno. È Internet, bellezza, ed è meraviglioso. Michele Casadei


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“Scelta e pregiudizio”: il disagio della [non] civiltà voli. Poco tempo fa ho incrociato un uomo per Ebrei, cristiani, induisti, musulmani: non bisogna strada che mi ha urlato di togliere il lenzuolo che andare molto lontano nella storia per conoscere avevo in testa. Sono cresciuta in Svizzera e mi senle discriminazioni che milioni di persone hanno to a casa mia. Non capisco perché ci sono persone subito a causa del proprio credo religioso. che si arrogano il diritto di trattarmi così. Certo, la storia insegna, schiude le porte del pasP., vive in Ticino.» sato e permette di vedere quali crimini si sono Questa è una delle testimonianze raccolte nel compiuti in nome della propria religione o contro rapporto di Amnesty International denominato un’altra; un almanacco di progressi ma anche di “Choice and prejudice: fallimenti, questi ultimi discrimination against riguardanti proprio la preMuslims in Europe” senza di pregiudizi ancora (aprile 2012), un’indagioggi, oggi che ci vantiamo Ebrei, cristiani, ne che documenta le didi possedere conoscenza induisti, musulmani: scriminazioni subite dai in una mano mentre tenon bisogna andare musulmani sul lavoro così niamo stretti stereotipi e come nelle scuole, a caupregiudizi nell’altra. molto lontano nella sa della professione della La libertà di professare la storia per conoscere propria religione e quindi propria religione è sandell’esibizione di abiti di cita da tutte le “carte dei le discriminazioni un certo tipo o simboli diritti” occidentali (legiche milioni di religiosi-culturali associaslazioni internazionali, ti all’Islam. europee e nazionali), eppersone hanno «Delle donne musulmapure esistono ancora persubito a causa ne si vedono rifiutare desone a cui un velo (l’hijab gli impieghi, delle ragazze islamico) appare segno di del proprio credo sono costrette ad abbaninevitabile arretratezza religioso donare la scolarità obbliculturale, un copricapo gatoria solo perché indoscome la kippah un malinsano un abito tradizionale conico attaccamento ad come il velo. E degli uomini corrono il rischio di un passato religioso ormai lontano, un punto sulessere licenziati a causa della barba, associata all’Ila fronte (il bindi induista) un elemento in grado slam» ha affermato Marco Perolini, esperto di didi rievocarci solo elefanti, Gange e Gandhi. In discriminazione di Amnesty International. namiche di sempre maggiore semplificazione dei rapporti (sbrigativi, rapidi, bollati, tipici di società Non è difficile credere a queste testimonianze, che si definiscono sempre più ampie e “progredisoprattutto dopo che l’undici settembre ha gettate”), il segno distintivo diventa sempre più spesso to un’ombra sul mondo islamico, etichettandolo l’unica storia che serve conoscere; una metonimia come covo di fondamentalisti e alimentando la bizzarra, per cui la parte è già il tutto e il tuo segno diffidenza occidentale nei suoi confronti. racconta il tuo mondo. A volte, però, il tuo mondo Continua Perolini, «la legislazione europea che è in contrasto con il mio. vieta la discriminazione fondata sulla religione o «I musulmani sono ritenuti responsabili di quansul credo in materia di occupazione sembra essere to avviene in Medio Oriente e Nord Africa. Per ignorata in tutt’Europa, come dimostra il tasso strada la gente mi insulta o fa commenti spiacedi disoccupazione più elevato rispetto alla media tra le persone di fede musulmana e soprattutto tra le donne musulmane di origine straniera»: il rapporto - che si focalizza su Belgio, Francia, Paesi Bassi, Spagna e Svizzera, ma tocca anche l’Italia mostra come in tali paesi manchi un’adeguata applicazione delle norme che vietano la discriminazione in materia di occupazione, dato che spesso i datori di lavoro si rifiutano di assumere persone musulmane sulla base del fatto che determinati simboli religiosi o culturali possano danneggiare “l’immagine” o la “neutralità” dell’azienda, oltre a creare potenziali problemi con clienti e colleghi. Tutto questo accade in barba alla legislazione antidiscriminazione dell’Unione europea, per la quale sono consentiti trattamenti differenziati in materia di occupazione solo se espressamen-

te richiesti dalla natura dell’impiego [Direttiva sull’Uguaglianza razziale (2000/43/EC) e sul Lavoro (2000/78/EC)]. Il rapporto non fa passare in sordina neanche il problema della strumentalizzazione politica di discorsi “anti-islamici”, il cui successo è dimostrato dai risultati elettorati raccolti nel tempo da partiti xenofobi (Lega Nord in Italia, FN in Francia etc..) e di cui l’aumento delle discriminazioni sul lavoro sarebbe solo una delle tante manifeste conseguenze. Questo resta un nodo fondamentale: diffondere retoriche “islamofobe” - e xenofobe - può sterilizzare ab origine qualsiasi dibattito razionale sulle politiche di integrazione, ma anche alimentare forme fittizie di tolleranza secondo cui dimostriamo tutta la nostra apertura quando auspichiamo vere e proprie “liberazioni”dell’individuo dalle costrizioni religiose, mentre non riteniamo possibile che quelle espressioni culturali (e religiose) vengano invece scelte. “Choice and prejudice” vuole porre l’attenzione su situazioni di difficoltà quotidiane nascoste ai nostri occhi, sui disagi vissuti da forme culturali e religiose spesso ritenute non appartenenti alla “vera civiltà”(quale si è sempre considerata quella europea). Esso guarda dunque al disagio della [non] civiltà, quale sarebbe quella islamica, nell’intento di promuovere un’autocritica che mostri alla stessa “civiltà occidentale” quanto troppo civile non sia, soprattutto se costringe un individuo a reprimere la manifestazione del proprio credo religioso non tanto nel timore di un odio ideologico, ma in un timore molto più piccolo, giornaliero eppure ugualmente problematico, come quello di non fargli ottenere un posto di lavoro. Simona Esposito


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L’Inchiesta EC

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Meglio studiare o fare i santoni? Identikit dell’approfittatore di paure È capitato a tutti noi giovani studenti senza una speranza lavorativa futura di avere, di fronte alla fatidica domanda rivolta a persone adulte su come faremo ad arrivare alla fine del mese, due semplici precetti: il primo, credere nel futuro, e il secondo, sfruttare la nostra fantasia per creare nuove tipologie di lavoro. In questi ultimi tempi sono nate molte idee fantastiche e tutti speriamo che la capacità creativa dei giovani possa ulteriormente svilupparsi, ma ragazzi miei ammettiamolo: in molti casi abbiamo affaticato il nostro cervello inutilmente, abbiamo pensato in maniera troppo intelligente. Per arrivare alla fine del mese, e perché no, magari anche alla fine dell’anno stappando un prosecco del discount, non serviva andare così lontano, poteva bastare lo sfruttamento delle debolezze che uniscono tutto il genere umano. Bastava, cioè, fare quello che hanno fatto tutti i fondatori di queste nuove e tanto chiacchierate comunità religiose e/o sette i quali, facendo breccia nelle paure delle persone, hanno portato a casa bottini simili a quelli di Bonny e Clyde. Non credete a tutto questo e siete ancora fermi a puntare il dito contro le scarpe di Prada del Papa ? In questo caso si tratta non solo di puntare il dito ma tutte e due le mani e di stare ben attenti a non svenire non appena cliccate sul sito, ad esempio, di Scientology. Infatti, pur non essendo Scientology riconosciuta come comunità religiosa, il suo sito internet, di gran lunga più funzionante di quello di Trenitalia, illustra tutte le sue chiese presenti nel mondo e offre l’opportunità di corsi on-line. Ron Hubbard, fondatore della setta ed ex scrittore di racconti pulp, appare una figura dalla scarsa se-

conoscenza di alcuni temi che queste sette prenrietà e con la popolarità di una rapstar americana. dono come fondamentali nei loro manifesti paraLa cosa vergognosa è che i fondatori delle varie setreligiosi. te o comunità hanno avuto un’idea che neanche il L’adepto, che sceglie di entrare a farne parte, deve miglior esperto di marketing della P&G avrebbe iniziare un percorso che avuto: richiedono somlo porterà, come si legge me di denaro per salvain ogni sito di queste re le menti delle persocomunità più o meno ne grazie a corsi, libri Non serve avere a legali, a sostenere sia e qualsiasi altra cosa disposizione grandi idee esborsi economici via vendibile. I loro siti infantastiche o grandi via maggiori sia ad acternet pullulano di gadquisire il controllo del get da acquistare, con forme di intelligenza, proprio corpo e della il potere miracoloso di basta ricordarsi che la propria mente a dei liguarire chi è malato, velli tali da essere anche e le sette stesse hanno speranza vende più di capace di auto-curare sicuramente alle spalle qualsiasi vestito firmato, un cancro. personale espertissimo È proprio così! Il cancro nel merchandising. qualsiasi cibo pronto e per Scientology non esiIl fine salvifico c’è, ma qualsiasi sogno. ste, dipenderebbe solo in questi casi i nuovi dalla debolezza della “santoni” hanno a pormente umana, cosa che tata di mano anche il ci lascia alquanto perplessi, soprattutto quando libretto per le ricevute fiscali: stando al censimenquesta malattia colpisce bambini anche molto picto fatto in Italia dal Ministero degli Interni nel coli! Non solo il cancro non è visto come un pro1994, riguardante le religioni alternative, il loro blema irrisolvibile, ma i loro corsi promettono di numero è di 366 e il giro di soldi sarebbe pari a insegnare ad abbattere anche stress, fatica, depresquasi 1 miliardo di lire. sione. Questi sono alcuni degli obiettivi comuni Inventare una nuova religione o una nuova filodi tutte queste nuove sette, come per esempio la sofia è quindi anche un’attività economicamente “Life Discovery Principles”, che propone un week redditizia, molto più che acquistare Titolo dello end in cui il soggetto sarà portato a sviluppare le Stato, perché le paure umane hanno una vita più proprie capacità psicofisiche tramite corsi accelelunga di qualsiasi prodotto messo in commercio. rati di training mentale, tutto a un prezzo non A questo punto viene spontaneo chiedersi: percertamente modico. ché gli italiani spendono i loro stipendi in questo Qui non siamo di fronte alla banalità del male, ma modo? La risposta è da trovare sia nelle debolezze allo squallore del male. Ad esempio, dal 1936 la di tutti noi sia nella grande ignoranza e nella non setta chiamata “Sapientia” ha come obiettivo quello di creare superuomini e superdonne seguendo l’ideologia di “ERGOS” (Energia Radiante Governante Ogni Scienza): i suoi aderenti dopo essere stati definiti nel 1998 in un documento della commissione degli affari costituzionali membri di una psico setta, che utilizza sistemi scientifici per aggirare le menti di persone indifese, hanno risposto auto-definendosi un’associazione culturale in memoria del loro fondatore con sede a Sutri. Si capisce quindi come non serve avere a disposizione grandi idee fantastiche o grandi forme di intelligenza, basta ricordarsi che la speranza vende più di qualsiasi vestito firmato, qualsiasi cibo pronto e qualsiasi sogno. Converrebbe quindi errare per il mondo con la parola salvifica pronta e il libretto delle ricevute in tasca? Pur con tutte le sue difficoltà e incertezze, preferisco studiare per poter costruire un futuro basato sulle mie speranze, per poter capire che ciò che queste persone offrono solo bugie con l’obiettivo, neanche troppo nascosto, di svuotare il nostro conto in banca nonché la nostra intelligenza . Diletta Benedetti


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“Rimetti a noi i nostri debiti...”

Chiesa e Imu: dalle promesse di pagamento all’autocertificazione di esenzione

È un discorso che si ripropone ogni volta che cambia governo, e in Italia ciò significa molto spesso: la Chiesa deve pagare l’Imu o no? Visti gli enormi sacrifici che l’Italia intera sta facendo, è il caso che la Chiesa paghi tutte le tasse dovute in modo da diminuire, in maniera più o meno rilevante, la pressione fiscale. Il 22% del patrimonio immobiliare italiano è nelle mani della Chiesa. Secondo l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (Anci) si parla di una somma tra gli 800 milioni e il miliardo di euro; l’Associazione Ricerca e Sviluppo Sociale (Ares) parla di 2 miliardi per le sole proprietà della Chiesa, molto più ridotte le previsioni della commissione del Tesoro sull’erosione fiscale, guidata da Vieri Ceriani, che, nel 2011, le stimò per 100 milioni di euro. Nel 2013, 72.367 imprese italiane (Confesercenti) hanno chiuso i battenti, mentre il Vaticano ha chiuso il proprio bilancio in attivo con ben due miliardi di euro di utile. Non è mancata la pronta risposta della Congregazione della Propaganda Fide, che ha affermato di aver pagato al Comune di Roma quasi due milioni di euro di Imu. È tanto? È poco? Fatto sta che l’Ici, prima dell’Imu, la Chiesa non l’ha mai pagata. E insieme a essa, infinite altre esenzioni e agevolazioni: l’aliquota Ires per gli enti che hanno un fine di as-

sistenza, beneficenza e istruzione, e dunque non direttamente appartenenti alla Chiesa; gli italiani che lavorano in società con sede legale in Vaticano non pagano l’Irpef, anche se la loro sede di lavoro è in territorio italiano; tutti i prodotti e tutte le merci importate dall’estero alla Città del Vaticano e a tutti gli uffici vaticani del territorio italiano sono esenti da imposte doganali e daziarie. E mentre in Italia politici, governi, intellettuali, associazioni discutono senza trovar soluzioni pratiche, l’Unione Europea ha bollato queste esenzioni come aiuti di Stato, vietati del Trattato di Maastricht. Nel 2012 Mario Monti, allora Presidente del Consiglio, per sfuggire alla multa che stava per arrivare dall’UE, comunica che la Chiesa avrebbe pagato l’Imu a partire dall’anno in corso, di fatto così sanando la situazione illecita. Il procedimento di pagamento si basa sull’autocertificazione e funziona così: sono esenti dall’Imu le attività non commerciali, svolte a titolo gratuito o dietro compenso simbolico ma comunque non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per quelle determinate attività svolte nello stesso ambito territoriale e alle medesime condizioni. La domanda sorge spontanea: chi calcola questi compensi medi? Chi definisce i limiti territoriali? Tutto per autocertificazione. Ma soprattutto chi

vigila? Chi controlla? I comuni, che hanno poi cinque anni per verificare un’eventuale dichiarazione infedele. Infine, da questa incredibile confusione e incertezza, spuntò fuori una sorta di censimento dei vari edifici, non solo ecclesiastici, esenti dall’Imu, da attuare tramite una autocertificazione ma, ciliegina sulla torta, una circolare ministeriale ha esentato gli edifici di culto a causa della mancanza del modulo adatto a tale certificazione. Insomma, dopo due anni, ancora viviamo in un limbo di incertezza e disinformazione per cui non sappiamo minimamente quando, se e come la Chiesa pagherà le tasse che pesano così tanto su tutti noi, sperando che paghi i debiti “…come noi li rimettiamo ai nostri debitori.” Alessandro Leuci

A dieci anni suonati

La Prima Comunione tra sacralità e vita mondana

Quando ho fatto la Prima Comunione avevo dieci anni. Facevo la quinta elementare ed ero l’unico della mia classe che non l’aveva ancora fatta. Ero in ritardo. Me lo dicevano i miei amici, me lo dicevano, un po’ velatamente, le mie maestre. Ero l’unico della classe che, su 17 bambini, a dieci anni suonati, aveva alle spalle un solo Sacramento. Non che la cosa mi disturbasse particolarmente, ma sentivo parlare, sin dalla terza elementare, di megagalattiche “feste della Prima Comunione”, bracciali e catenine d’oro che le zie e le nonne regalavano ai bambini, play-station e bullboys, ostie che si attaccavano al palato e così via. Nella mia giovane e ingenua mente allora iniziai a chiedermi cosa fosse questa “Prima Comunione” e cosa fosse il catechismo. Le prime risposte che ottenni furono vaghe, insicure: la comunione era “che ti mangiavi l’ostia e ti confessavi per la prima volta” e “al catechismo si colorano le schede che ti danno le maestre, le stesse che abbiamo a scuola”. Non ero molto soddisfatto e andando a fondo scoprii che la Prima Comunione è il momento in cui si riceve il corpo di cristo, dopo la confessione e la penitenza. Nella mia men-

te allora, forse molto libera da preconcetti e condizionamenti, iniziai a chiedermi il perché di quelle feste immense e di quei regali, a mio avviso, un po’ immotivati. Non voglio essere banale dicendo che ormai anche la Prima Comunione è diventata una festa consumistica come Natale, Pasqua e tutte le altre, quindi non lo dirò. Ho fatto però un giro su internet e riguardo la Prima comunione si trova di tutto: dai consigli per organizzare la “Prima Comunione perfetta”, ai 10 passi vincenti per una festa indimenticabile, fino alla guida per le bomboniere ideali, senza dimenticare poi i vari rimandi alle Cresima, per un proseguimento di carriera, e al Battesimo, per un fratello/cugino piccolo. Ad ogni modo feci la prima comunione: siate clementi, avevo dieci anni e non volevo forse sentirmi troppo diverso dai miei amici. Frequentai per qualche mese il catechismo e fu una assoluta perdita di tempo. Era vero tutto quello che mi avevano detto i miei compagni: si coloravano schede con i pastori e il loro gregge e si leggevano passi del vangelo presi un po’ a caso senza capirci molto. Era come un’ora supplementare di religione: continuavamo i discorsi, o le schede da colorare,

fatti la mattina in classe, per un paio d’ore anche il sabato pomeriggio. Ero deluso in realtà. Volevo imparare, volevo sapere cose nuove sulla religione con la quale, in Italia soprattutto, nasci e cresci ma sulla quale tendenzialmente si sa poco. Venne Aprile, e più si riscaldavano le giornate, più si intensificava il lavoro di preti, famiglie e catechiste per rendere giustizia al sacramento dell’Eucarestia. Imparammo a memoria un po’ di preghiere, andammo dal sarto a prendere le misure per il saio da indossare il giorno della comunione, facemmo la simulazione della confessione e così via. Quando venne il giorno eravamo tutti pronti: la busta con “l’offerta” da fare al prete, il regalo alle catechiste, il saio pagato, lavato e stirato, una lettera ai Corinzi da leggere, imparata quasi a memoria, e poi via tutti a far festa. Io decisi, per sorpresa di tutti i miei amici e delle stesse catechiste, di non fare alcuna festa. Pranzai con i miei genitori e i miei nonni, in regalo ricevetti una bicicletta, che mi hanno rubato durante il primo anno di Università, e da quel giorno iniziai a mettere in seria discussione la Chiesa. Alessandro Leuci


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Speaker’s Corner

Marzo 2014

Renzi: un ‘’Principe’’ ambizioso

Da segretario del Partito a presidente del Consiglio: uomo della Provvidenza o uomo troppo ambizioso ‘’A uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e l’uomo’’ scriveva Machiavelli nella sua opera ‘’il Principe’’. La ‘Bestia’ di Renzi che nel giro di neanche due mesi è passato dall’elezione a segretario del Partito Democratico all’imminente carica di Primo ministro, sembra essere l’ambizione. Un’ambizione a dir poco smisurata che lo porterebbe a divenire il più giovane presidente del Consiglio nella storia italiana, a capo di una coalizione che, fin dagli arbori, mostra i suoi penetranti scricchiolii a un popolo di ‘elettori’ che assistono inermi ai rapidi mutamenti politici. Eppure Renzi la ostenta con tono quasi superbo, asserendo, durante la Direzione del Pd, che è necessario avere ‘’un’ambizione smisurata’’ per far uscire l’Italia fuori dalla ‘’palude’’. E la ricetta per trainare il nostro Paese fuori dalla “selva oscura” non è stavolta la ricetta liberale di buon senso, propugnata e mai attuata dal Cavaliere, (che si riassume nel semplicistico ma incisivo slogan: meno tasse, meno spese, più assunzioni), ma una politica di nomenclature, di forma e priva di una soluzione concreta ai problemi che attanagliano il nostro Paese. Forse che per risolvere i tanti problemi causati dalla crisi basta un semplice cambio di nome (anzi di nomi considerando la squadra di ministri ‘’neo-formanda’’)? Per fare un governo è lapalissiana la necessità di una maggioranza con un programma condiviso. E per ora, Renzi, ha soltanto ostentato generiche intenzioni, che poco dicono di quale potrebbe essere un accordo di programma nell’attuale coalizione. Il ‘Sindaco’ ha ripetuto che serve la riforma elettorale ed istituzionale, che bisogna aggredire la ‘’burocrazia opprimente’’ e cambiare la normativa sul lavoro e sul fisco. Ma di concreto nulla, solo l’individuazione di qualche problema di manifesta evidenza anche per chi di politica sa ben poco. A tutto ciò aggiungiamo la scarsa linearità di pensiero, per non parlare di incoerenza, del neoeletto segretario che è giunto ad appoggiare la tanto criticata politica dei ‘tavolini’, rea di aver portato a risolvere una crisi di governo non con un voto di sfiducia parlamentare, ma dentro la Direzione di un partito. Com’è stato sottolineato da esperti politologi, il problema non è solo Renzi, ma “la lacerazione e il conformismo di un Pd che aspira ad essere il pivot della politica”. Il Pd, insomma, rischia palesemente di bruciarsi prima di scendere in campo, magari regalando una splendida stagione elettorale a Grillo o a Berlusconi. Il tutto per una paura smisurata, e tra l’altro priva di ragioni, delle urne. Ora si dovrà passare necessariamente dagli slogan ai fatti, pena un progressivo riavvicinarsi al voto che sarebbe disastroso per la sinistra italiana se il suo baluardo dovesse fallire. Ma il Segretario non è solo. È accompagnato dalla sua ‘smisurata ambizione’ che gli è valsa il paragone con Gatsby, protagonista del romanzo di Francis Scott

Fitzgerald. Entrambi fuori misura, dotati di carisma e ambizione, ma moventi diversi: Gatsby vede nel successo sociale un mezzo per riconquistare l’amata donna, Renzi rivendica l’ambizione in se e per sé. Un altro parallelismo che sovviene è quello con George Jung, protagonista del celebre film Blow per un’ambizione che rasenta la superbia. Speriamo non pronunci anch’egli la celebre frase del film: ‘’ la mia ambizione ha superato di gran lunga il mio talento’’. Emilio Mazzeo

Il declino del Paese

Re Giorgio e la democrazia sospesa La democrazia non è libertà perché la libertà non è democrazia. Se democrazia significa “governo del popolo”, questo vuol dire che tutti dovremmo essere effettivamente coinvolti nella guida della società. In realtà il modello democratico è solo il metodo meno esecrabile di convivenza civile ma certamente ben lontano dal tradurre in atto il concetto che l’etimologia del termine mistifica. Il popolo non ha mai governato alcunché. Né per via diretta, eventualità che non assume nemmeno la dignità di una ipotesi teoreticamente praticabile, né per quella via delegata che dalla notte dei tempi è sempre stato lo strumento per legittimare il potere di chi lo esercita. Il fondamento essenziale per una vera democrazia, che si dovrebbe concretizzare nella partecipazione di tutti alla vita politica della propria nazione, è sempre rimasto precluso ai più. Tralasciando comunque divagazioni che meglio si attagliano alla sfera della filosofia politica, e andando alla deprimente attualità, c’è da annotare che la storia del nostro Paese dimostra che mai la sovranità è appartenuta al popolo come avrebbero desiderato i padri costituenti. Il Patto Atlantico, la Nato, Gladio, il muro di Berlino, la guerra fredda ed adesso l’Unione Europea dimostrano, anzi, che la sovranità non è forse mai appartenuta nemmeno ai nostri governanti. Adesso poi abbiamo messo da parte anche il pudore di salvaguardare le apparenze. Il risultato è che è in essere un Parlamento i cui membri sono stati eletti tramite una legge (la n. 270 del 21 Dicembre 2005, “Porcellum”) dichiarata incostituzionale dal giudice delle leggi, e che a sua volta ha eletto due volte lo stesso presidente della Repubblica, il quale ha poi nominato governi senza tener conto della volontà popolare con una investitura di tipo feudale. Alla veneranda età di ottantotto anni, quando un cittadino comune non può più guidare nem-

meno l’automobile, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, guida la nazione e ha trasformato la Repubblica in monarchia. È la terza volta che cambia governo senza farlo nemmeno passare per la legittimazione formale del voto popolare. E se per una volta si può invocare una emergenza, alla terza volta bisogna convincersi che si tratta della istituzionalizzazione di un metodo. Il nostro presidente è convinto, forse in perfetta buona fede, di essere il custode unico del bene della Patria e di agire nel suo interesse. Restare in Europa a tutti i costi, piegare l’Italia agli interessi dell’alta finanza. Anche sospendendo la democrazia di cui pare avere dimenticato di essere solo il custode non già la guida. Il popolo non può capire e non può essere in grado di capire quali sono i propri interessi, figurarsi se gli si può consentire la libertà o il diritto di suicidarsi politicamente come meglio crede. Se la carta costituzionale è – come diceva Calamandrei – “un testamento di centomila morti”, allora il capo dello Stato ha invece il dovere di ricordare che se per la difesa della Patria è stato riconosciuto al popolo il diritto di sacrificare la vita , la libertà di autodeterminazione di un popolo deve essere riconosciuta in ogni altra circostanza. Analogamente il popolo ha il dovere di ricordare che non può vivere di rendita e l’eredità di un cotanto testamento va difesa ogni giorno. La deriva dell’autoritarismo rischia di concretizzarsi ad ogni distrazione ed è scongiurata solo da una vigilanza popolare attiva. Carlo Iannotti


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Fardelli d’Italia

L’inerte e onnipresente burocrazia che paralizza lo Stato: lo stivale delle carte

Buon andamento e imparzialità. Solo “la più bella” Costituzione poteva descrivere con tanta sintetica puntualità i principi che devono ispirare l’azione della pubblica amministrazione. Più prosaica è la sua declinazione in numeri: 52 adempimenti fiscali e 11mila euro il costo medio annuo degli oneri burocratici per impresa, misurabili in 47 giorni lavorativi per i lavoratori autonomi, 1210 giorni per arrivare al terzo grado di giudizio nelle cause civili, 533 parole per un’autorizzazione sulla Gazzetta

Ufficiale della Sicilia per allevare due cardellini. Ai piani alti, l’inefficienza prende la forma di regolamenti attuativi. O meglio, non ne prende sembianza, visto che su 429 provvedimenti nel 2013 solo 45 sono stati eseguiti. Così si è evitato un arbitrario uso del capitale che era stato destinato per la partecipazione ai tirocini formativi aspettando il termine di scadenza per non stanziarlo affatto. Stessa sorte è capitata al fondo “mille giovani per la cultura”: con la cultura non si mangia, con quel-

La politica che non vuole crescere

Dall’IMU alla legge elettorale: la classe politica sospesa tra ingenuità e diabolicità “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum” scriveva, un tempo, probabilmente Sant’Agostino, e noi italiani sappiamo benissimo a cosa si stesse riferendo. Chissà quante volte, da bambini, ci siamo ritrovati a dover dire “non lo faccio più” ai nostri genitori per recuperare a qualche danno fatto, per farci perdonare di qualche vecchia statuetta fatta cadere mentre si giocava in casa, per cercare di rimediare ad un errore il più delle volte commesso involontariamente. Ma una frase non poteva scagionarci dallo sbaglio e salvarci da una strigliata paterna. La nostra nazionale classe politica ne ha esperienza, ahimè, non a causa di vecchi ricordi fanciulleschi, piuttosto per le continue situazioni che si verificano sul palcoscenico politico dove si è dovuto ricorrere proprio a quella frase - soprattutto durante le campagne elettorali - per cercare di recuperare a un errore di valutazione, a un errore volontario o, magari, a un errore che si è voluto far credere quasi fortuito. Come i ricordi d’infanzia insegnano, una frase non basta per cancellare ciò che si è fatto. E gli errori della nostra classe politica sono emblema di quel perseverare di cui parlava il filosofo. A cosa mi riferisco? Per esempio a tributi giudicati da molti incostituzionali ma riproposti sotto diverse vesti (a volte addirittura peggiorate): la sostituzione dell’IMU con la vecchia ICI ha provocato, in molti, la riproposta di accuse di incostituzionalità del tributo. In entrambe le imposte viene meno il concetto di capacità contributiva del cittadino, esplicitato nell’art.53 della nostra Costituzione. Entrambe si riferiscono al valore dell’immobile e non a quanto il contribuente possa effettivamente pagare per ciò che possiede. In aggiunta, se prima il contribuente era esentato dal pagamento dell’ICI sulla “pri-

ma casa”, ora con l’IMU questo non avviene più. Tutto ciò ha portato a pesanti accuse di incostituzionalità, scatenando perplessità e rabbia tra diverse scuole di pensiero giuridico che, tra le altre cose, già avevano esternato il loro disappunto per la vecchia ICI. Memoria a breve termine? Altro esempio di “reiterazione involontaria” della nostra classe politica è il dibattuto caso della legge elettorale: punto di gloria per ogni esecutivo sarebbe stato permettere di allontanarsi, una volta per tutte, da quel tanto criticato Porcellum: legge elettorale ideata principalmente dall’ex ministro per le riforme Roberto Calderoli e dichiarata incostituzionale il 4 Dicembre 2013 a causa del premio di maggioranza e per la mancanza della possibilità di esprimere la tanto famigerata preferenza. Fatto sta che il nuovo Italicum non sopperisce alle critiche di quella riforma liberando, ancora, l’accusa di incostituzionalità. Ebbene sì, l’ipotesi puerile d’infantilità ha smesso di reggere e Sant’Agostino avrebbe certamente di che discutere della diabolicità della nostra classe politica. Gli eletti al governo non possono più permettersi di nascondersi dietro giustificazioni inutili e puerili, comportamenti irresponsabili e condotte che potrebbero rivelarsi gravemente dannose per la comunità e per le generazioni future. È ora che si abbandoni la mentalità infantile e giocosa e si inizi davvero a maturare una responsabilità e una coscienza nuova, anche, e soprattutto, nei confronti di quegli stessi cittadini che con il voto gli delegano la sovranità popolare. Il “non lo faccio più” non ci basta, è giunto il momento dei fatti e dell’azione. Mirko De Martini

le somme mangerà qualcun altro. Per dirla con Alberto Alesina e Francesco Giavazzi “quale beneficio arreca a un’impresa risparmiare mezz’ora fra Civitavecchia e Grosseto se poi deve attendere dieci anni per la risoluzione di una causa civile, almeno un anno per essere pagata da un’amministrazione pubblica”? Ai piani bassi, memori dei danni che l’inerzia regolamentare causa, decidono di strafare. Così ogni iniziativa diventa procedura. “Burocrazia zero” si annunciava dagli scranni rossi: accordi sperimentali tra amministrazioni e associazioni di categoria per attivare “percorsi di semplificazione amministrativa per gli impianti produttivi e le iniziative e attività delle imprese sul territorio anche mediante deroghe alle procedure e ai termini per l’esercizio delle competenze facenti esclusivamente capo ai soggetti partecipanti”. Può tirare un sospiro di sollievo chi temeva aree franche di illegalità, gli unici accordi ad oggi stipulati sono quelli tra cliente e commercialista delegato. In quasi tutti i comuni sono stati istituiti gli Sportelli Unici delle Attività Produttive per gestire integralmente i procedimenti di interesse delle imprese, ma l’Italia è Paese di tradizioni, quindi gli imprenditori sono ancora tenuti ad un complicato gioco dell’oca tra uffici sbagliati e documenti mancanti. Dalle lungaggini burocratiche si tutela chi, munito di conoscenze e mazzette, si crea una corsia preferenziale fino alla porta del funzionario giusto. Gare di appalti “ad personam” con condizioni di idoneità tanto dettagliate da risultare compatibili con un’unica società, dirigenti che si sdoppiano diventando interlocutore ed interloquito nelle compensazioni di crediti pubblici e nella concessione di autorizzazioni. “Una burocrazia parassitaria, che si autocontrolla e si autogoverna, alimentando i propri parassiti, espressione di una borghesia che colloca negli uffici i propri esponenti per ottenere un reddito”, denuncia La Capria. È la forma della funzione divenuta funzione essa stessa. È una carriera fatta sulle scale dei pubblici palazzi, una proprietà privata di un’estensione pari a 301340 km². Chi con le PA innalza palazzi, chi per la PA li vede abbattuti. “Bolli, sempre bolli, fortissimamente bolli”, parafrasava Marcello Marchesi. Chissà cosa ne pensa la signora che, per ritirare la pensione di 1001 euro, ha dovuto aprire un libretto di risparmio, con relative commissioni, per l’accredito della somma eccedente i 1000 euro, limite di pagamento in contanti. Diciotto moduli. Poi non dite che noi italiani non ci diamo da fare. Sabrina Cicala


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International

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Uruguay: marijuana libera, tra slogan e realtà La chiamano erba. Eppure non ti ci stendi per leggere un libro o per contemplare le stelle in cielo. Non ne respiri l’odore agreste dei fili tagliati. Non ci corri sopra a piedi nudi per provare, come diceva il buon vecchio Snoopy, un senso di libertà. Al contrario la bruci dentro un involucro di carta, ne inali il fumo che ti pizzica le narici e crea dipendenza. La marijuana è un simbolo di trasgressione, di anticonformismo, di sfregio contro le ripetute ma inascoltate raccomandazioni di esperti che mettono in guardia dalle insidie che una piantina in apparenza insignificante può celare. In passato si reagì alla sua diffusione proclamando la tolleranza zero. Pene inasprite e convenzioni internazionali, quest’ultime promosse principalmente dagli Stati Uniti, fautori della guerra globale contro ogni tipo di droga. Risultato? Nulla di fatto. La linfa vitale della micro e della macro criminalità continua incessante a scorrere, e, mentre le carceri si riempiono di condannati per detenzione di stupefacenti, la situazione complessivamente non migliora. Come in un dejà vu, questi esiti non possono non richiamare alla mente il fallimento del Proibizionismo, quando in uno sfogo di puritano integralismo negli anni ’20 del secolo scorso fu bandita, con l’introduzione del 18esimo emendamento nella costituzione americana, la produzione e la vendita di alcoolici nel territorio nazionale. Ragion per cui all’epoca proliferarono gli spacci clandestini e la delinquenza. Questa esperienza dovrebbe farci riflettere, perché dimostra l’assoluta incapacità dell’uomo a rinunciare alle proprie abitudini, per quanto negative e fallaci esse siano. Allora, per tornare al nostro caso, anziché interdire, conviene liberalizzare? In Olanda sono state sfruttate le ambiguità presenti nel testo delle convenzioni stipulate in materia per aggirarne gli obblighi

riforma. Quindi a partire dalla seconda metà del e permettere, complice il retaggio del clima di 2014 sarà autorizzato l’acquisto, nelle farmacie protesta e di rinnovamento scaturito dagli evenlocali, di una dose mensile di marijuana pari a ti del ’68, quello che non viene esplicitamente 40 grammi. La coltiproibito. Per questo vazione sarà affidata a i Paesi Bassi hanno cooperative controllate rappresentato, prima dallo Stato e si potrà delle restrizioni stabiQuesta esperienza tenere un certo numelite di recente nei loro ro di piantine anche in confronti, un’oasi nel dovrebbe farci riflettere, casa. Per competere con deserto per gli straperché dimostra il mercato nero è stato nieri che intendevafissato un prezzo esiguo no recarsi nei coffee l’assoluta incapacità e, per scoraggiare il turishop locali per poter dell’uomo a rinunciare smo di massa della drofumare liberamente ga, queste disposizioni uno spinello. Inoltre, alle proprie abitudini, si applicano soltanto ai a partire dal 2012, gli per quanto negative e residenti. Ovviamente Stati federati di Wafallaci esse siano si è scatenato uno tsushington e Colorado nami. I gruppi religiosi hanno approvato la e conservatori sono liberalizzazione delinsorti gridando allo le droghe leggere, in scandalo. Ma l’effetto domino ormai è stato inaperto contrasto con l’atteggiamento oltranzista nescato. Persino le Farc, le forze armate rivolutenuto dalla Casa Bianca. La vera svolta, tuttavia, zionarie colombiane da anni impegnate in una è stata segnata da un uomo che vive in una mosanguinosa guerra contro il governo centrale, desta fattoria nei pressi di Montevideo. No, non hanno inserito fra le proposte nei negoziati di sto parlando di un umile contadino di campagna pace anche la liberalizzazione della marijuana. ma di Josè Mujica, esponente socialista a capo Intanto in Italia si riaccende il dibattito. A voler della Repubblica Uruguayana. Un personaggio essere progressisti potremmo affermare che una fuori dal comune. Non saprei altrimenti come simile riforma implicherebbe, a seguito dell’abodescriverlo .Mujica devolve il 90% del proprio lizione dei relativi reati, una drastica riduzione stipendio ad associazioni di beneficienza, il che del numero di detenuti nei penitenziari, pertangli è valso il titolo di “presidente più povero del to avremmo già risolto almeno parzialmente un mondo”. Uno stile di vita in cui si rispecchia una primo problema legato al sovraffollamento di linea politica in controtendenza rispetto a quella queste strutture. Inoltre, non dimentichiamo la assunta dagli altri leader sudamericani. Non a facoltà di tassare questi liberi scambi, nel qual caso il suo governo, conscio dell’inefficacia delle caso affluirebbero nelle casse dell’erario consistrategie di repressione, ha deciso di legalizzare stenti risorse finanziarie, con buon auspicio di la cannabis. Proprio così. L’Uruguay è il primo tanti onesti contribuenti esacerbati dall’attuale Stato sovrano al mondo ad aver attuato questa pressione fiscale. Infine, si assesterebbe alla criminalità un duro colpo sottraendo loro un proficuo business. A voler essere intransigenti, invece, potremmo replicare sostenendo che i rischi per la salute sono reali perché queste sostanze intaccano e indeboliscono il sistema nervoso centrale. Non è forse vero, però, che anche i liquori possono alterare lo stato di coscienza della persona? Eppure li troviamo esposti sui banconi di pub e negozi. Che fare allora? Attendiamo il corso degli eventi. Inutile insistere su una discussione sterile in assenza di un valido riscontro oggettivo. In Uruguay è stato scoperchiato il vaso di Pandora? Le aspettative funeste degli scettici saranno deluse? Vedremo. Infine, ammesso che la situazione abbia uno sviluppo positivo, noi saremmo pronti a compiere il gran passo? Gianluca Graziosi


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Svizzera contro i lavoratori stranieri È passato in Svizzera il referendum indetto contro l’accordo di libera circolazione con l’Unione europea. Una vera battaglia all’ultimo voto con un risultato finale del 50,3% a favore ed un 49,7% di contrari. Per la validità del referendum è stato necessario il raggiungimento della doppia maggioranza rispettivamente a livello dei cantoni e a livello federale. La maggioranza dei cantoni era già consolidata dall’inizio prima della fine degli spogli, mentre per la maggioranza dei votanti si è dovuto attendere sino al termine dello spoglio. Dopo l’entrata in vigore dell’accordo di libera circolazione con l’Ue, la Svizzera dal 2002 ha più che raddoppiato il numero dei lavoratori stranieri accolti (80mila l’anno).

Il voto fotografa una Confederazione spaccata, non solo nello scarto minimo tra favorevoli e contrari ma anche tra aree linguistiche e si nota una certa differenza tra le grandi città e le piccole. La Svizzera francese ha votato sostanzialmente a favore, mentre nella Svizzera di lingua tedesca e in quella italiana, in particolare il Ticino con un 68% di sì, vi è stato il tasso più alto di affluenza. Molte tra le grandi città hanno votato contro, come nel caso di Zurigo, Basilea, Ginevra. I piccoli centri e le zone di campagna hanno tendenzialmente votato a favore. L’iniziativa referendaria è stata promossa dalla Unione di centro (Udc), par-

L’Ucraina e la sua voglia di ovest Lo scenario è il cuore del vecchio continente, in un paese conteso per secoli dalle potenze europee, martoriato da guerre senza fine, dal nazismo e dello stalinismo, devastato dalla carestia causata intenzionalmente dai sovietici in fase di dissolvimento dell’URSS, in quello che per secoli è stato granaio d’Europa. L’Ucraina, cuscinetto tra l’Unione europea e la Russia, si ritrova oggi sull’orlo dell’abisso. Gli scontri degli ultimi mesi a Kiev hanno assunto proporzioni considerevoli, con centinaia di morti e feriti, con manifestanti pro-europei nelle piazze, bersagli di cecchini e cannoni ad acqua nel gelido inverno della steppa continentale. Immagini da guerra civile. La tensione nel paese si è scatenata dopo che il 21 novembre il parlamento ucraino ha respinto una serie di disegni di legge che avrebbero permesso il trasferimento in Germania della leader dell’opposizione Julija Timošenko, in carcere dal 2011. Queste leggi sono, in realtà, considerate necessarie per la firma del trattato di libero scambio tra l’Ucraina e l’Unione europea, che avrebbe dovuto essere oggetto di firma il 28 novembre scorso al vertice di Vilnius, in Lituania. Le motivazioni per cui il governo ucraino si sarebbe astenuto dalla firma del patto sono palesi e parzialmente prevedibili.

Da una parte il presidente russo Putin ha espressamente manifestato il dissenso all’avvicinamento della “repubblica sorella” a Occidente, desideroso di riportare in vita un’unione doganale controllata dal Cremlino, creando una zona d’influenza in cui le ex repubbliche sovietiche dovrebbero integrarsi a beneficio degli interessi regionali e di Mosca. Senza l’Ucraina questo progetto imperiale sarebbe inevitabilmente condannato al fallimento, ed è per questo che Mosca ha fatto di tutto (tra ricatti economici e promesse di aiuti) per convincere il presidente ucraino a rinunciare alla firma del partenariato con l’Ue prevista per lo scorso novembre. Il voltafaccia di Kiev ha scatenato la protesta che da due mesi si fa sempre più violenta. Il secondo colpevole del dramma ucraino è l’Unione europea, la quale, pur senza avere alcuna ambizione imperiale, ha dato prova di sconfortante leggerezza politica, accettando il partenariato chiesto dall’Ucraina senza offrire vantaggi economici paragonabili a quelli paventati dalla Russia e soprattutto senza pretendere da Kiev la garanzia di neutralità rispetto a un’eventuale adesione alla Nato.La stessa Bruxelles ha successivamente evidenziato come la pressione e il timore di Mosca fossero stati eccessivi e del tutto infondati. Il presidente del consiglio europeo Van Rompuy e il presidente della commissione europea Barroso hanno firmato un comunicato congiunto per ribadire che la proposta dell’Ue “è ancora sul tavolo” e che il nuovo trattato non rovinerebbe i rapporti con Mosca. “Spetta all’Ucraina decidere quali impegni vuole prendersi con l’Unione europea. Per questo disapproviamo le iniziative della Russia”, si legge nel comunicato. Carmine Russo

tito conservatore nazionalista ed anti europeista, guidato dall’imprenditore e politico Christoph Blocher, intenzionato a rivedere l’accordo di libera circolazione in vigore con l’Unione europea, reintroducendo quote contingenti per l’ingresso di lavoratori stranieri. Contrari alla consultazione popolare il Governo, la maggioranza del Parlamento, le associazioni delle imprese elvetiche, i sindacati, convinti che gli accordi con l’Ue abbiano recato benefici economici rilevanti soprattutto a favore delle zone di confine. Attraverso la rinegoziazione degli accordi bilaterali con l’Unione europea i sostenitori del referendum puntano all’introduzione di un meccanismo che stabilisca un canale preferenziale nel mercato del lavoro per i lavoratori elvetici e i già residenti. Ma il problema più spinoso è individuare quali possano essere gli effetti per i circa 60 000 frontalieri italiani nel momento in cui l’esito referendario sarà oggetto di legislazione. “Pacta sunt servanda. I patti vanno rispettati, non negozieremo con la Svizzera sulla libera circolazione delle persone che è una parte “essenziale” del nostro accordo”: così il presidente della Commissione Ue Jose’ Manuel Barroso. “L’Ue - ha detto - offre condizioni eccezionali alla Svizzera e non è giusto che la Svizzera non dia le stesse condizioni. Il voto che c’è stato pone problemi seri. La Svizzera potrebbe avere dei problemi a rispettare l’accordo. Ma non spetta alla Commissione trovare una soluzione. Questo spetta alla Svizzera”. Nonostante il monito di Bruxelles, il governo svizzero ha fissato per la fine dell’anno la presentazione di un progetto di legge per recepire il referendum come reso noto in un comunicato. Nel frattempo, Berna si impegnerà “senza ritardo” nei negoziati con l’Unione Europea ed il governo ha incaricato il ministero degli Esteri di “prendere immediatamente contatto con le istituzioni europee e gli Stati membri”, per tenere Bruxelles informata sui “lavori in corso” in Svizzera, ma anche per “chiarire i rispettivi interessi in vista dell’apertura di nuovi negoziati”. Carmine Russo


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Walk

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Caccia al djinn in quel di costantinopoli Ad Istanbul ho scoperto una cosa. Che si può vivere nel mostro mondo e, al tempo stesso, non essere presenti. È una lezione che ho imparato in un caffè sotto il ponte di Galata, mentre le parole si mescolavano al fumo del narghilè alla mela. “C’è un tempo buono per parlare di djin e un tempo cattivo”. Mi ha detto Cemal Ahmet Okzüz prima di espirare una nuvoletta che si è attorcigliata come una rotonda lettera araba. Cemal ha sbattuto le palpebre e ammiccato alla notte scura. “E immagino questo non sia un momento buono”. Ho sussurrato io. Ha alzato le spalle. Cemal ha dei sorprendenti baffetti soldateschi e io seguo i loro movimenti mentre mi parla, come ipnotizzata. “Di notte. Solo di notte te ne posso parlare”, mi dice infine. “È notte.” Ribatto stizzita. “Non abbastanza”. Rincorrere djinn per Istanbul stanca e io non faccio che ricevere risposte evasive e sprezzanti. Canzonatorie. Questi turchi mi guardano e vedono solo una straniera che cerca di capire cose che non la riguardano. Io e Cemal abbiamo passato la giornata a girovagare mentre lui cercava di sviarmi con le chiacchiere, le risposte a metà e il ripieno dolce dei baklava al pistacchio di Karaköy Güllüoğlu. Secondo la tradizione islamica, noi viviamo in un mondo silenzioso ma popolato d’invisibile. E i djinn sono quelle creature che Dio creò dal fuoco, spiriti che vivono in una realtà che corre parallela alla nostra, padroni della loro proprio come noi lo siamo della nostra. Ma, diversamente dagli uomini, possono mutare forma a piacimento, diventando uomini o animali. C’è qualcosa di poetico nella fitta rete di relazioni intessute dalla cultura araba tra il nostro mondo e quello dell’invisibile. Nella teologia musulmana i rapporti tra uomini e djinn possono essere così stretti da includere l’amore. In fondo i djinn non sono altro che il parallelo di noi stessi, i nostri sogni materializzati.

“Ognuno di noi ha i suoi angeli e i suoi demoni.” “Credo ci siano molte cose che non si possono Mi spiega Cemal. “ E almeno un djinn.” spiegare e credo anche che noi europei ci siamo “Anche io?”, domando curiosa. dimenticati di ciò che in tempi normali ama na“Certo, anche tu. I djinn sono l’altra gente, tutti scondersi e sottrarsi agli sguardi.” Ho detto a Celi conosciamo e tutti abbiamo rapporti con il loro mal convinta. mondo.” “È questo il vostro problema. Avete conquistato la “Ma nessuno sembra volerne parlare” realtà e perduto il sogno, la consapevolezza del suo “Non te ne sto parlando io?”, ride. Mi prende in potere”, mi risponde lui. giro lo so, ma si addolcisce subito appena si accorLa nostra caccia al djinn si srotola come un gomige che mi sono offesa. “La gente non vuole essere tolo per il quartiere di Sultanhamet. Camminiapresa per superstiziosa. Vedono una straniera che mo paralleli ad un mare che ti bagna con gli spruzpotrebbe parlare di loro zi delle onde, la torre di come dei conservatori e Galata e l’accampanon possono accettare mento pietrificato del che sia questo il ricorpalazzo Topkapi che do e l’impressione che si sciolgono come in“C’è un tempo buono ti porterai con te delchiostro. Istanbul è la Turchia. Siamo un per parlare di djin e una foresta, una selva popolo che ha passato di moschee e minareti un tempo cattivo”. Atatürk, l’occidentadi pietra che volano in lizzazione, non te lo diMi ha detto Cemal cielo e vengono portati menticare. Ma dei djinn via dalle nuvole. I gabAhmet Okzüz prima di in realtà non potremo biani gridano rauchi espirare una nuvoletta mai fare a meno perché tra le raffiche di venfanno parte di noi.” to, disegnano bianchi che si è attorcigliata “Continuerete a credercordoni sfocati su uno come una rotonda ci per sempre?” sfondo grigio-viola. “Ya Allah. Un giorno Guardando con gli lettera araba. forse i Turchi si sveglieocchi di ciò che avevo ranno senza che qualletto intravedo djinn cuno abbia più bisogno dappertutto, rintanati di qualcosa da sentire. nella pietra friabile dei Ma io sono convinto che questo giorno sia ancora lavatoi per la purificazione rituale, seduti sulle molto lontano.” spalle dei passanti, aggrappati alle loro orecchie Abbiamo guardato in alto: la luna era una falce mentre gli sussurrano segreti. Aggirandomi in bianchissima. Dalla cima della collina di Sultauna città trasfigurata vedo spiriti raggomitolati in nahmet il Bosforo scintillava sotto la sua luce. preghiera sul nudo cemento o dondolanti tra i miUna scriminatura nei capelli scuri della città, un nareti e djinn, miliardi di djinn, che si infiltrano sentiero d’argento per una terra lontana. come vermi dalle fessure del selciato. Siamo vicino alla moschea Blu. Non so più nemMartina Zago meno come ci siamo arrivati. I suo minareti perfolaviaggiatricebugiarda.com rano il cielo come spilli scomparendo tra le nubi.


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Non è tempo per noi

Consigli per i giovani italiani alla ricerca di un futuro 1. Non fate i bamboccioni: andate a vivere da soli

Padoa Schioppa, ministro dell’Economia del secondo governo Prodi, nel 2007, davanti alle Commissioni di bilancio di Camera e Senato, ha definito i giovani italiani dei “ bamboccioni da cacciare fuori di casa”: un modo ironico (ma non troppo simpatico) per sintetizzare la manovra che prevedeva agevolazioni per gli affitti ai più giovani. Boccone amaro che, però, gli italiani hanno mandato giù senza troppe storie: in fondo, amiamo la mamma come pochi sanno fare, lo sappiamo bene. Lo sanno bene anche in Norvegia, dove lo spot pubblicitario di una società immobiliare invita il pubblico a ‘non diventare degli italiani mammoni’, deridendo i comportamenti infantili di Flavio e Giovanni, incarnazioni dell’italiano medio, 30 anni ciascuno e una parola sempre in bocca: “mamma!”. Stereotipo?! Decidete voi, ma fatelo valutando i dati emergenti dall’ultimo Rapporto sulla coesione sociale di Inps, Istat e ministero del Lavoro (dati pubblicati alla fine del 2013): sono 6 milioni 964 mila i giovani tra i 18 e i 34 anni che vivono con mamma e papà. Si tratta del 68,3% dei 18-34enni scapoli (quindi ben 7 uomini under35 su 10), mentre la quota si abbassa al 53,9% quando si parla di ragazze (quindi una donna under35 su due). Le testate più importanti hanno attribuito la causa di questo fenomeno dei bamboccioni in crescita alla crisi economica e, ovviamente, alla pigrizia della nuova gioventù. Troppo pigra, questa gioventù, per fare gli scatoloni del trasloco, imparare a rifare il letto e cucinare. Troppo poco indipendente, questa generazione, per riuscire a pagare delle bollette senza l’aiuto della mamma. Strano che siano tutti pronti a staccare il cordone ombelicale se si tratta, invece, di andare a lavorare all’estero; chissà perché è così facile rifare il letto a Londra, cucinare a Berlino, (riuscire a) pagare le bollette lì e non qui. 2. Non siate schizzinosi in ambito lavorativo

Elsa Fornero, ministro del Lavoro del governo tecnico, è stata chiara: la crisi fa la sua parte, ma la disoccupazione si combatte anche e soprattutto evitando di essere troppo ‘choosy’. Don’t be choosy, guys. L’Onorevole lo diceva sempre anche ai suoi studenti: accettate la prima offerta di lavoro che ricevete, così (almeno) vi inserite nell’ambito lavorativo. Entrare nel mercato del lavoro, una volta terminato il percorso formativo, deve essere l’obiettivo principale e unico del giovane. Già: siamo la generazione che si deve accontentare, la generazione del prendi quello che trovi. Così, se un giovane laureato non approfitta di una proposta di lavoro come cameriere,

è schizzinoso. Qualcuno ci insegni come quel giovane potrebbe mai non essere choosy - non si dica solo di non esserlo. Qualcuno dica come mettere da parte anni e anni di studio senza essere amareggiati e arrabbiati con il proprio Paese. Come si rinuncia a quel titolo (dottore!), a cui tutti ci hanno insegnato di ambire? Come far finta che le nottate in biblioteca, le dita perennemente sporche di evidenziatore, gli innumerevoli caffè bevuti e i più disparati sacrifici a cui è sottoposto uno studente non siano mai esistiti? 3. Fate della precarietà la vostra nuova filosofia di vita

Mario Monti, durante un intervento a Matrix, ha sottolineato come sia assolutamente necessario che i giovani si abituino “all’idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita”. E continua: “Del resto, diciamo la verità: che monotonia un posto fisso per tutta la vita”. Come negarlo: che noia essere certi di riuscire a pagare l’affitto ogni mese. Non dimenticatevi del punto n.1: non fate i cocchi di mamma; anche se il canone mensile è troppo alto per la vostra busta paga (se ne avete una) ricordatevi che dovete essere indipendenti. Diventare insolventi nei confronti del vostro locatore è quasi meglio, a quanto pare, di diventare dei bamboccioni. I giovani d’oggi possono scegliere. Scegliere di quali critiche essere oggetto.

te possibilità di lavoro che ci sono o perché stanno bene a casa (ovviamente della mamma; vd. punto numero 1, ndr) o perché non hanno ambizione”. Subito dopo questa dichiarazione, su Wikipedia, per alcuni minuti, il presidente della Fiat è stato definito nella propria biografia ‘un figlio di papà paraculo’. Insomma, anche in questo caso, non tutti l’hanno presa bene. John Elkann forse non sa che la sua stessa generazione non può sempre permettersi l’ambizione (di trovare un buon posto di lavoro, di una scalata professionale e così via ) e che quasi sempre ci si deve accontentare della speranza (di trovare un lavoro, uno qualunque). Eccola che arriva, la frustrazione: derivante dalla consapevolezza che o ci si abbassa a spiacevoli compromessi (goffamente si infila il proprio sogno in un bagaglio a mano e si parte per terre straniere) o si fa i bamboccioni per un po’, in attesa di un principe-imprenditore azzurro che ci offra un lavoro. L’Italietta si sente legittimata dalla crisi per chiedere ai suoi giovani di non sognare troppo in grande, di mettere da parte le ambizioni e via così. Ma Zagrebelsky, giudice costituzionalista, fa notare come in realtà non si tratti di richieste giustificate. “Quel fondata sul lavoro che apre la nostra Costituzione vorrebbe essere il preannuncio di azioni e avventure indipendenti dalle tabelle di logaritmi econometrici. Vorrebbe starne fuori, anzi prima”. Quel fondata sul lavoro sta ad indicare l’Italia che noi giovani rivorremmo. Laura Montemitro

4. Siate più ambiziosi

John Elkann, presidente della Fiat S.p.a, durante un incontro con degli studenti liceali a Sondrio, ha dichiarato che, a suo parere, i giovani “non colgono le tan-


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Giovani di domani

Come prepararsi a un mercato in cambiamento l vero ritratto di noi giovani in Italia oggi? Un forte contrasto di visioni: se da un lato veniamo dipinti come “bamboccioni”, poco motivati o con poche ambizioni perché “stiamo bene a casa” (quest’ultima recente dichiarazione del presidente Fiat John Elkann, che ha scatenato una pioggia di insulti su Twitter), dall’altro lato la maggior parte dei giovani non manca certo di ambizione e voglia di realizzarsi. Certo, dando uno sguardo ai dati Istat, la situazione non è delle più rosee: il tasso di disoccupazione giovanile è cresciuto ancora a novembre, toccando il 41,6. Inoltre, a cambiare oggi sono non solo i dati o il numero di posti, ma anche le esigenze di un mercato di lavoro sempre più in espansione. Come già riportato dal Sole 24 Ore nel 2012, chi “ce la fa” è colui che riesce a stare al passo con i tempi e a preparare, passo dopo passo, il curriculum richiesto: non solo esami e buoni voti, ma più esperienze di studio all’estero e/o stage in azienda, più di due lingue straniere, gestione della rete e dei social network. Occorre essere preparati a lavori che sono ancora da inventare. In quanto a esperienze internazionali, dalle ultime statistiche riguardanti il programma Erasmus per esempio, l’Italia ha visto crescere di 23.400 unità

le partenze degli studenti italiani. Sembra quasi ovvio propendere verso l’estero per la propria crescita e formazione: alcuni professori suggeriscono di rendere addirittura obbligatori i programmi di scambio internazionale. Aumentano anche i “cervelli in fuga”, allontanamento che è molto spesso percepito con amarezza e sconforto da parte del Governo e dagli stessi giovani. Credo che quello che debba cambiare veramente in noi giovani non è tanto l’atteggiamento, quanto la mentalità. Perché percepire una “fuga” all’estero come negativa? D’altronde, un’insistente campagna di critiche verso l’Università italiana la considera “vecchia” rispetto a paesi come Germania e Regno Unito in quanto a età media dei docenti e in tante famiglie cresce la difficoltà a sostenerne i costi. Inoltre per i ragazzi che scelgono di studiare all’estero vi è una possibilità di rapida crescita, di internazionalizzazione e di “assunzione del rischio” che qui difficilmente viene vista sotto una buona luce. Se è davvero così importante stare al passo coi tempi, il giovane di oggi, per riuscire a diventare più duttile, necessita di “attingere” un po’ di quella mentalità che qui manca e che invece è ben salda

in paesi come Stati Uniti e Regno Unito, mentalità in cui il fallimento è visto come opportunità necessaria per il miglioramento. Certo, la mentalità anglosassone è creata e supportata da circostanze professionali ben diverse dalle nostre, per cui per cambiare la nostra fino in fondo è necessario prima di tutto un cambiamento del sistema. Sistema che dovrebbe incoraggiarci a investire nella formazione, promuovere la cultura e l’educazione, migliorare la flessibilità dei collegamenti tra università e aziende, ma invece appare ancora lento e indeciso. L’idea è quella di “sfruttare” la situazione di crisi come opportunità: per noi stessi, ma soprattutto per poter acquisire all’estero una mentalità più duttile da importare nel nostro Paese. Mariaelena Agostini

Essere diversi non ha mai reso così ricchi Cervelli in fuga, il più alto tasso di disoccupazione della storia italiana, il numero di suicidi in aumento; altro che medaglie alle Olimpiadi di Sochi, in Italia i record raggiunti sono altri. Un unico dubbio aleggia nelle menti di ogni cittadino: Italia si, Italia no? Sicuramente, continuando così, inizieremo a rimpiangere i tempi della crisi del ’29. Questo paese ha sempre avuto un grande problema: tanto potenziale, poca praticità. Siamo ostacolati da chi, arrivato, non se ne vuole andare, troppo comodo per voler cambiare. L’Italia pullula di amanti del passato che sino ad adesso si sono mossi cercando di recuperare l’irrecuperabile, amando in modo spassionato le piccole modifiche e evitando come la peste i tagli netti. Peccato che vi sono occasioni in cui si arriva a un punto di non ritorno, dove la parola “recuperare” viene spodestata dal “disfarsi” e dal “nuovo”. Tomasi di Lampedusa ne ‘Il Gattopardo’ scrisse: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Smettiamo di avere paura del cambiamento e smettiamo di chiederci se l’Italia abbia un futuro. Vi è un domani, è necessario, però, che non sia definito dal passato.

Re-inventarsi, ecco tutto. Nessuno dica che sono “aria fritta” queste parole, di esempi ve ne sono a bizzeffe. Ora che il profondo rosso è raggiunto e il buio non è mai stato così nero - ancora una volta - gli adulti ci insegnano. Roberto Carta, informatore medico di un’impresa farmaceutica a Sassari, in seguito al suo licenziamento è diventato un cuoco a domicilio. Barbara Scotti, dipendente di una società di informatica, ha aperto una libreria. Francesco Azzini da videomaker ha creato un cinema itinerante, installando una piccola televisione in una macchina d’epoca e proponendo giri turistici a pagamento. È tempo di riscattarsi, per una volta qualcuno ha fatto sì che la passione e i propri interessi divenissero lavoro e che il profumo dei soldi o la convenienza andassero al secondo posto. Creiamo il futuro che non sono stati in grado di assicurarci, senza aspettare chissà quali manovre del JobsAct o sperare “in quel che il destino ha in serbo per noi”. Lasciatemelo dire: non va più di moda credere nella sorte. D’altronde siamo bravi a inventare: sull’onda dei “Giovanni Muciaccia” italiani, l’ultima novità è un gruppo di siciliani - precisamente di Mirabella

Imbaccari - che, laureatisi in fisica e nonostante le proposte lavorative ricevute da tutto il mondo, hanno creato una software house innovativa e all’avanguardia nello sviluppo di applicazioni per il Web chiamata “EdisonWeb” proprio a casa loro, in provincia di Catania. Il progetto consiste in una tecnica di pubblicità e vendita personalizzata al cliente: idea geniale, ma soprattutto “made” e “stay in Italy”. Ricapitolando, dunque, viviamo in un paese afflitto da crisi economica. Abbiamo avuto un passato travagliato e abbiamo assistito a manovre politiche di difficile comprensione, ma c’è altro oltre a quello che è già accaduto. Che il domani eviti i nostalgici, che sia un tempo in cui crescano i creduloni e gli amanti dell’ozio inizino ad abusare di caffè. “Italia si, Italia no, Italia bum, la strage impunita. Puoi dir di si, puoi dir di no, ma questa è la vita.” (Elio e le Storie tese) Virginia Cinelli


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I consigli sbagliati

Guida pratica all’abisso generazionale “Se vi dicono che siete il domani di questo paese vi hanno già fregato, voi siete il presente di questo paese”. Jean Léonard Touadi, alla serata di inizio del Mentoring Program, Luiss. Procrastinare, rimandare ed evadere: tre verbi con i quali la generazione che ci precede sfugge la responsabilità delle proprie possibilità. Una generazione a cavallo tra il boom economico e la grande crisi, che ora sembra incapace di supportare grandi idee e cambiamenti. Ma agli studenti di oggi non è concesso di poter aspettare: coi mezzi di cui dispongono devono trovare le risposte che la generazione precedente non è in grado di assicurargli, evitando tre grandi consigli sbagliati Scegli una professione sicura

Scegliere un collega, un compagno di lavoro, non significa scegliere una qualifica, ma una persona,

quello che è e quello in cui crede. Nessuno assumerà mai un medico che ha paura delle malattie. Uno studente che odia quello che fa non sarà mai bravo quanto uno che vi ha investito convinzioni, dedizione e passione. Se il tasso disoccupazione giovanile ristagna intorno al 40% ci si deve impegnare per essere parte del 60% che avrà un lavoro: un ottimo punto di partenza è scartare quello in cui non si crede e nel quale non si potrà mai essere competitivi. Scegli una professione che ti piace e nella quale hai buone chance di essere bravo.

Lo studio è tutto Migliorate i vostri punti deboli

Sopperire ad ognuno di essi può portare alla perfezione assoluta. Ma se la perfezione assoluta non è raggiungibile, non si possono rendere tutti i punti deboli punti di forza. Questo vano tentativo può

Il colore di domani in un arcobaleno di prospettive Pensando possiamo renderci protagonisti di ogni tempo, per vivere non solo il presente, ma anche – e nello stesso istante – passato e futuro. Scaviamo nel passato, agiamo nel presente e costruiamo il futuro. Questo è quello che ognuno di noi fa in ogni istante: poi c’è chi scava, agisce e costruisce bene, chi male, chi aspetta che siano altri a farlo per lui e chi deve costruire per sé e per gli altri. Ma quale sarà il risultato? Il domani di chi oggi ha quindici, venti, trent’anni, di che colore sarà? Nessuno può fare previsioni certe, l’immaginazione si deve fare fervida. Per alcuni il futuro sarà nero: ci avevano già provato i Maya, con la famosa profezia, ma qualcosa deve essere andato storto. Per altri il futuro sarà grigio: l’Italia non riuscirà facilmente a uscire dalla grave crisi che stiamo attraversando e cresceranno disoccupazione, povertà, infelicità. Per altri ancora il futuro sarà roseo: siamo un popolo vigoroso, siamo orgogliosi, solidi… siamo Italiani. Tireremo fuori un asso dalla manica e lo useremo abilmente per lasciarci alle spalle la crisi. E per chi invece il futuro sarà dorato: la Nazione in poco tempo riuscirà a cacciar via tutta la spazzatura che ingombra Consigli Comunali, Regionali e Parlamento, lasciando spazio a chi sarà davvero onorato di lavorare per il nostro Paese e sarà capace di trasformare l’Italia nella realtà più entusiasmante del Mondo: più potente dell’America, più ricca della Germania, più ingegnosa della Cina. E poi ci sono io. Io penso che il futuro invece sarà verde. Il verde è il

rubare anni interi di formazione e di sforzi che potrebbero essere più ef-ficacemente investiti in un’azione più semplice e naturale: rafforzare il proprio talento. Scoprire il proprio talento significa trovare una risposta, avere un progetto. In troppi tardano nel dargli importanza: i giovani lavoratori di oggi devono essere intraprendenti e veloci, non possono ignorare i propri punti forti, ma coltivarli fin da subito. Per trovare il proprio talento occorre tempo, non aspettare.

colore della speranza, di chi cresce e si afferma, ma sopratutto è il colore dell’ecologia. La speranza è un ingrediente necessario, che non può mancare sulla tavola di nessun Italiano. Assumendone la giusta dose, il bicchiere sarà sempre mezzo pieno, l’ottimismo è energia e vitalità: immagino un futuro nel quale chiunque possa avere la speranza che il proprio sogno si avveri. La speranza che ognuno abbia l’opportunità, prima ancora che la voglia, di affermarsi, e che sia incoraggiato a seguire le sue ambizioni, non scoraggiato. L’ecologia è l’altro elemento fondamentale. Dobbiamo essere lucidi nel capire quale settore, più degli altri, potrebbe garantire la ripresa e la ricchezza: in un Mondo nel quale le risorse sono limitate, la via è trovare forme di energia rispettose degli equilibri precari della natura. È a questo che si deve puntare: un paese pulito funziona meglio, produce di più, pensa più proficuamente. L’eco sostenibilità è una spiaggia alle prime luci della mattina: una superficie quasi totalmente piana, inesplorata, disturbata solo da poche impronte lasciate dai gabbiani. In questa corsa all’oro si dovrebbe intervenire immediatamente: adattarsi alle circostanze non basta. Sarà troppo tardi, altri paesi occuperanno il territorio. L’Italia è pronta a scattare, ha le potenzialità per cogliere questa opportunità: l’Italia è “furba”, l’energia pulita è alla sua portata. Questa è la mia speranza per un futuro verde. Basta chiudere gli occhi e pensare ad un colore. Ignazio Corte

La tradizione universitaria italiana è preziosa: gli studenti sono preparati, competenti, e spesso hanno una conoscenza più approfondita dei coetanei d’oltralpe. Perché allora il 47% dei datori di lavoro italiani, secondo il rapporto McKinsey, dichiara che la propria attività sia danneggiata dalla loro incapacità di trovare i lavoratori giusti? Perché in un mondo del lavoro così esigente, avido di più skills possibili, studiare è solo parte del percorso. L’incontro tra domanda e offerta non è possibile se l’istruzione non è in grado di comunicare con le esigenze del mercato del lavoro, se gli studenti non iniziano a studiare in prospettiva. La prospettiva di un lavoro, di acquisire competenze, soprattutto di accumulare esperienze: quanti studenti sono in grado di mandare una mail formale appropriata? questa capacità elementare non si impara all’università ma trovandosi più e più volte nella situazione di necessitarne. Si può imparare viaggiando, scoprendo e semplicemente interagendo con quante più persone possibile. Studiare in prospettiva significa studiare per costruire un professionista, non uno studen-te. Studiare è solo una parte del percorso. I ragazzi di oggi devono avere la capacità di adattarsi ad un cambiamento di cui gli è stato detto fin troppo poco: sperando che la strada che riusciranno a trovare da soli sia quella giusta, bisogna poter scommettere fin d’ora sul loro successo. Eleonora Pintore


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Caffè Con...

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Associazione Komen italia Contro i tumori del seno

In occasione della XV edizione della Race for the Cure di Roma abbiamo incontrato i membri dell’associazione Komen Italia, per la lotta ai tumori del seno. Il tumore del seno è la neoplasia maligna più frequente tra le donne. Sono 47.000 le donne che vengono colpite ogni anno dal tumore del seno nel nostro Paese e, sebbene le possibilità di guarigione siano piuttosto alte, oltre 12.000 donne ogni anno perdono ancora la loro battaglia. Tuttavia, se la malattia viene identificata negli stadi iniziali, le possibilità di guarigione possono raggiungere il 90% dei casi. Come nasce l’associazione KOMEN ITALIA e con quali obiettivi?

La Komen Italia è una organizzazione senza scopo di lucro, basata sul volontariato, che opera nella lotta ai tumori del seno su tutto il territorio nazionale. È affiliata ad una prestigiosa istituzione internazionale – la “Susan G. Komen” di Dallas – ed è oggi una delle realtà più stimate in questo campo. Creata a Roma nel 2000, dove ha sede operativa, oggi la Komen Italia opera attraverso l’attività di tre Comitati Regionali nel Lazio, Puglia ed Emilia Romagna e la collaborazione con una vasta rete di associazioni “amiche”. Guidata da un Consiglio Direttivo di 14 membri, la Komen svolge le sue attività grazie alla passione di uno staff dedicato, di centinaia di volontari e al sostegno di aziende, istituzioni e testimonial, tra cui Maria Grazia Cucinotta e Rosanna Banfi, persone di una generosità e di una disponibilità straordinarie. In che modo l’associazione offre il proprio sostegno alle donne operate di tumore del seno o in procinto di sottoporsi all’operazione?

La Komen Italia opera per generare risorse economiche da destinare a progetti propri e di altre associazioni impegnate nella lotta ai tumori del seno. Le attività dell’Associazione sono dirette principalmente a promuovere la prevenzione se-

testimoniano che da questa malattia si può guacondaria ovvero la diagnosi precoce, strumento rire. L’edizione 2014 di Roma, che sarà quella del di grande efficacia per ridurre la mortalità della quindicesimo anniversario, si svolgerà dal 16 al malattia, sostenere le donne che si confrontano 18 maggio al Circo Massimo, con una partecipacon la malattia aiutandole a disporre di informazione prevista di oltre zioni appropriate e di 55.000 persone. maggiori opportunità Nei giorni di venerdì per il pieno recupero e sabato, che precededel benessere psico fisiranno la corsa della co, migliorare la qualiLa Komen Italia è una domenica mattina, al tà delle cure favorendo organizzazione senza “Villaggio della Salul’aggiornamento conte” del Circo Massimo tinuo degli operatori scopo di lucro, basata saranno organizzati sanitari, il sostegno a sul volontariato, che forum sulla prevenziogiovani ricercatori e il ne ed allestiti numeropotenziamento delle opera nella lotta ai si laboratori dedicati strutture cliniche. Neltumori del seno su tutto all’alimentazione, al lo specifico, per quanto benessere psicofisico, concerne il supporto il territorio nazionale. alle attività sportive, alle donne operate e a alle donne operate di quelle in procinto di tumore del seno e alla operarsi, sono moltissiprevenzione delle altre mi i progetti che la Komalattie più comuni. Tutte iniziative gratuite men sostiene ogni anno e che vengono svolti dalalle quali si potrà partecipare prenotandosi nelle le associazioni locali che presentano domanda di modalità descritte al sito raceroma.it nelle prosfinanziamento. Dall’assistenza psicooncologica sime settimane. La domenica mattina sarà invece all’acquisto di parrucche per chi si appresta ad tradizionalmente dedicata alla corsa, che si snoaffrontare cicli chemioterapici, fino alle terapie derà sul suggestivo percorso che ruoterà intorno complementari come i corsi di teatro. al Circo Massimo, Piazza Venezia e il Colosseo. Il 16-17-18 maggio 2014 si terrà la XV edizione della Race for The Cure di Roma, al Circo Massimo. Di cosa si tratta?

La “Race for the Cure” è una tre giorni ricca di iniziative dedicate alla salute, sport e benessere che culmina la domenica mattina con la tradizionale ed emozionante corsa di 5 km e passeggiata di 2 km. La manifestazione, che si svolge sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, si propone di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della prevenzione e di uno stile di vita sano, raccogliere fondi per nuovi progetti per la lotta ai tumori del seno, esprimere solidarietà alle donne che si sono confrontate con il tumore del seno, le Donne in Rosa, che

Come partecipare?

Per partecipare alla Race basta una donazione minima di 13 euro che dà diritto a ricevere, fino ad esaurimento, la t-shirt esclusiva della manifestazione, il pettorale e la borsa gara con gli omaggi degli sponsor. La manifestazione si rivolge a tutta la famiglia e prevede per i bambini anche una apposita area giochi, ricca di attività, aperta in tutti e tre i giorni. Con i fondi raccolti dalla “Race for the Cure”, la Komen Italia erogherà le risorse necessarie per avviare numerosi progetti di educazione, prevenzione e cura del tumore del seno, che si andranno ad aggiungere ai 245 già realizzati con il ricavato delle precedenti edizioni di Roma, Bari e Bologna con otre 2.150.000 euro. La sensibilizzazione alla prevenzione è indispensabile ed è senza dubbio il primo passo da compiere. Per questo motivo consideriamo di vitale importanza progetti come “Race for The Cure” e ci impegniamo a sostenerli. Ciascuno di noi può offrire il proprio contributo alla battaglia contro il tumore del seno in un modo semplicissimo, iniziando a parlarne e soprattutto smettendo di considerare queste malattie un problema di altri, solo perché non ne siamo direttamente interessati. Giulia Perrone, Lydia Carrelli


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Caffè con Michele Cucuzza Giornalista e coautore del libro “Gramigna”

Gramigna è uno di quei libri che una volta iniziati, non puoi più mollare. Avvincente come un romanzo di avventure, emozionante e commovente come un diario di vita vissuta, è la storia di un ragazzo, Luigi, in fuga dalla camorra. Racconta il dramma esistenziale di un’intera famiglia infestata dalla “gramigna”, di un figlio e di un padre che tentano di ricucire un rapporto strappato e di una donna, moglie e madre, capace di sostenere tutta la famiglia. È una storia a lieto fine, ricca di ottimismo e speranza e al tempo stesso una testimonianza giornalistica dal valore inestimabile.

e un padre affettuoso che cerca in tutti i modi di colmare il vuoto lasciato nel cuore del figlio e di tenerlo lontano da quella vita che li ha distrutti tutti. Uno degli elementi più singolari e apparentemente contraddittori.

Le vicende della vita sono difficilmente lineari e spesso estremamente contraddittorie. Il padre era senza dubbio l’ultima persona dalla quale Luigi si sarebbe potuto sentir dire di non fare quella scelta, eppure è stato il suo maestro e il suo principale punto di riferimento. Nei 28 anni di carcere, il padre non ha mai mancato di sostenerIn cosa consiste la particolarità di questo lo e appoggiarlo prima negli studi, poi nel lavolibro? ro e in definitiva nella scelta della legalità. Ha Ritengo che questo libro sia importante per disempre desiderato versi motivi. È forse la una vita diversa per prima volta che realtà il figlio e si è imposto come le mafie vengono dispensando consigli guardate e raccontate Ritengo che questo e lezioni di vita afprima con gli occhi di un libro sia importante per finché ciò avvenisse, bambino, poi di un adocome fa un padre che lescente e alla fine di un diversi motivi. È forse la non ha perso la sua uomo. Luigi è il figlio di prima volta che realtà credibilità e autoreun boss e avrebbe avuto volezza. Nella mafia come le mafie vengono la possibilità di divensiciliana, il figlio di tare a sua volta un capo. guardate e raccontate un boss difficilmente Nonostante le continue può sfuggire a quella prima con gli occhi di difficoltà sceglie giorno vita, il suo destino è per giorno la strada della un bambino, poi di un segnato; in Campalegalità, facendo dell’oadolescente e alla fine di nia, invece, questo è nestà, del rispetto e della possibile: la personadignità i suoi valori prinun uomo. lità di ogni capo, precipali e vincendo infine vale su tutte le regole. una guerra che nella stragrande maggioranza Le proporzioni del dei casi lascia molti più vinti che vincitori. Si fenomeno mafioso sono enormi. Qual è tratta di un libro importante non solo perché l’impatto sull’economia italiana? non esistono testimonianze di questo genere, ma Oggi è difficile valutare a quanto ammonti il anche perché è la storia di tutte le mafie, piaga peso economico delle mafie, anche se statistieconomica, sociale e culturale del nostro paese. che recenti danno all’economia mafiosa presunta 170 miliardi di euro all’anno, il 10% del Si può dire che la peculiarità di questa stonostro PIL (1700 miliardi); alla droga il 7,7%, ria risieda proprio nei protagonisti, il padre alle estorsioni il 4,7%, alla prostituzione e alla di Luigi in primis. Un boss della camorra, contraffazione rispettivamente il 4,6% e il 4,5%. prima ancora di un marito e un padre che La corruzione, invece, secondo i dati dell’UE è costringe la moglie a sposarsi in carcere e valutata intorno a 60 miliardi che rappresenta il un figlio a soffrire della sua assenza per tut4% del nostro PIL. Oggi c’è un ottimo lavoro di ta la vita. Ma anche un marito innamorato contrasto da parte delle forze di polizia e della magistratura, ma l’Italia è un paese abituato a convivere con la mafia e purtroppo si riesce a fare poco nei confronti del rapporto tra economia mafiosa ed economia legale. In un momento in cui i cosiddetti “boni mores”, principi come l’onestà, la correttezza, la responsabilità individuale e il me-

rito sembrano solo antichi ricordi, la scelta di Luigi acquista ancora più valore. D’altra parte, in assenza dello stato e dei suoi valori tradizionali, la mafia trova il modo di affermarsi.

Quella di Luigi è una scelta coraggiosa e ammirevole, e in quanto tale dovrebbe essere un scelta premiata e premiante. Purtroppo il più delle volte è l’illegalità a essere premiata e il nostro continua a essere un paese malato. Per quanto riguarda la mafia, essa è solo sopruso, violenza e illegalità. Non bisogna credere al falso mito secondo il quale le mafie si basano su valori tradizionali. Quella della mafia è una sottocultura che estrapola e cattura concetti che fanno parte della vera cultura. Non c’è nulla di tradizionale nella mafia. Cosa spera di trasmettere con il suo libro?

Ho scritto questo libro perché credo che la storia di Luigi sia una vicenda straordinaria. Spero possa aiutare tanti altri giovani in quanto fa capire chiaramente una cosa importantissima che il più delle volte sembra sfuggire: la sua vicenda personale dimostra che il cambiamento avviene in ognuno di noi, se lo vogliamo. È inutile guardarsi attorno e domandarsi da dove iniziare. Bisognerebbe guardarsi allo specchio e convincersi che il cambiamento inizia proprio da quella persona riflessa lì dentro. Non esiste nulla al di sopra della nostra responsabilità individuale, tutto dipende da noi. Lydia Carrelli


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PalinTesto

Marzo 2014

Fermo e immobile come un Gattopardo Avevo quindici anni e l’ordine del prof. Giannelli fu semplice: <<Rimediate una copia de “Il Gattopardo” entro una settimana>>. Non aspettavo altro, finalmente avrei avuto una scusa valida per tirare fuori dalla libreria quel volume dalla copertina gialla con un disegno di colore rossastro tendente al nero e le pagine ormai color cartone grazie alle infamie del tempo che da sempre vedevo sul primo scaffale a sinistra dell’ufficio di casa. Andai da mio nonno, proprietario della libreria e quindi per la proprietà transitiva proprietario del libro, e chiesi il permesso di prendere il “tomo”. Immediatamente il permesso fu accordato, come del resto succedeva sempre in questi casi, ma a seguire arrivò la frase inaspettata: “Però mi raccomando, non me lo rovinare”. Non me lo aveva mai detto, eppure avevo preso in prestito anche libri più preziosi e fragili di quello senza che nessuno si sentisse in dovere di ricordarmi di trattare con il dovuto rispetto un libro. Dopo pochi minuti mio nonno ripassò vicino a me, e a bassa voce disse “per far sì che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Lì per lì non capii, poi col passare del tempo ci arrivai: il Gattopardo (come almeno altri mille libri) lo sapeva a memoria e mi aveva voluto anticipare le parole chiave del libro. Il romanzo, per chi ancora non si fosse preso qualche giorno per leggerlo, racconta della vita della nobile famiglia dei Salina, un casato siciliano (il cui simbolo è appunto un gattopardo) alle prese con le incertezze che la storia nel bel mezzo del risorgimento forniva ai potenti del meridione. A emergere è la figura del principe Fabrizio Salina e il suo punto di vista privilegiato, da cui analizza, con un inarrivabile pessimismo, il mondo che lo circonda. Ne emerge una visione priva di ideali, fatta di abitudini e convenienze, uno scenario in cui in fondo non si può essere che attori non protagonisti sotto l’attenta regia del fato. Il destino, fra l’altro, sembra pure una discreta carogna, che si comporta come le sabbie mobili, che danno meno speranza a coloro che usano energia per liberarsi. È la consapevolezza di questa situazione che, secondo il protagonista, è propria dei siciliani, o come dice lo stesso Salina, della Sicilia, una terra lussureggiante nella sua asprezza e che non permette rivolte e cambiamenti. Una terra che può uccidere l’uomo grazie alle sue “armi naturali” ma che nonostante questa sua potenza stupisce gli uomini con le sue bellezze, bellezze che sono della Sicilia, si badi bene, e non dei siciliani, i quali vogliono “Il sonno, […] ed odieranno sempre chi li vorrà svegliare sia pur per portare loro i più bei regali”. Ma a ben vedere, a voler dormire non sono solo i siciliani, (che per salvarsi devono fuggire dall’isola prima dei vent’anni per non abituarsi all’idea che quella perfezione sia la normalità), ma proprio la Sicilia stessa, che non vuole compromettersi con la storia e con la novità pur di continuare a bearsi della sua bellezza e perfezione.

L’immobilismo e il fatalismo sono quindi , secondo il protagonista dell’opera di Tomasi di Lampedusa,i regali (gattopardeschi) della Sicilia ai siciliani, la disillusione e la consapevolezza che i cambiamenti non saranno mai tali ma solo sostituzione degli attori, (prima hanno dominato i gattopardi poi domineranno le pecore) , in una terra dove sicuramente vale la regola per cui anche il più grande cambiamento fa rimanere tutto così com’è . M.L.

Storia vera di una Sicilia che cambia Quando una donna rivoluziona un mondo La Rivoluzione della Luna è senza dubbio alcuno un omaggio alla donna, alla sua regalità e alla sua tangibile capacità ad amministrare la cosa pubblica. Andrea Camilleri con questo romanzo - pubblicato con Sellerio editore nel 2013 -, scanzonato, allegro ma anche duro e crudele, racconta una storia realmente accaduta, certamente confortata dal suo grandioso spirito creativo, ma senza dubbio vera. Nel 1677 il trono del Vicerè di Palermo rimane vuoto a causa dell’improvvisa morte del suo reggente, Don Angèl Guzman e tra i membri del Sacro Regio Consiglio si apre una vera e propria lotta per riuscire a conquistare il trono. Il conflitto travolge il Cardinale di Palermo, Marchesi, Conti e altri nobili siciliani. Ciò che questi uomini non si aspettavano proprio è che all’apertura del testamento del Vicerè si scoprisse che Don Angél aveva deciso di nominare quale proprio successore la moglie, Donna Eleonora di Mora. Scandalo. Giovane, di poche parole ma determinata e consapevole dei doveri insiti nel ruolo di governatrice di Sicilia, “bella come la terra più profonda e fertile del creato, dagli occhi e dai capelli neri, in grado di ammansire persino le belve più feroci”, Donna Eleonora si dimostra subito furba più degli infidi e infedeli membri del Consiglio. La storia di Donna Eleonora al trono di Vicerè di Sicilia si sviluppa così per un breve periodo temporale, eguale al ciclo lunare di 28 giorni, durante il quale Palermo e la Sicilia sembrano cambiare per un momento, attraverso un’escalation di avvenimenti rivoluzionari che, non solo apparentemente, descrivono una terra molto diversa da quella del Gattopardo e un popolo civile fermamente consapevole dei proprio diritti.

La storia è travolgente e appassionante ed il lettore sente proprio il bisogno di divorare le pagine per giungere alla fine del racconto che, ovviamente e in modo tagliente, non sembra descrivere una società ed una politica molto diversa da quella contemporanea, in cui corruzione, truffe, omicidi, costi incalcolabili della politica e dei suoi privilegiati si scontrano con la povertà ed il bisogno di lavoro e sviluppo. Donna Eleonora è un personaggio vero, descritto benissimo ed è per questo che i suoi atti politici e di governo sembrano così reali e ancora oggi così necessari. In poco tempo, nonostante l’avversione dei membri del Consiglio, riesce a far venire fuori una serie infinita di nefandezze, calmiera i prezzi dei beni primari, tassa i nobili e confisca le terre rubate, chiude le case chiuse in cui tutti i membri del Consiglio andavano, ammonisce la Chiesa di Palermo a limitarsi a fare la guida degli spiriti del popolo e non la politica furbesca, approfittatrice e nefasta. Insomma, in 28 giorni cambia il mondo, e per davvero, perché tutti i fatti narrati sono documentati da Camilleri che, con il suo sempre egregio stile, riporta date e notizie. Tutto ovviamente è descritto magistralmente: l’autore dipinge perfettamente il Palazzo dei Normanni, la Piazza del Popolo, la Cattedrale, i vicoli degli artigiani e dei bottegai, il manto della strada e le ginestre fiorite vicino al porto, i piatti, le ricette e i costumi. Si respira la migliore Sicilia, quella vera. Quella del cambiamento accaduto e ancora oggi da portare avanti, della pancia del mondo, del luogo dove tutto inizia per primo ed “inspiegabilmente” muore subito, dell’unico posto dove, al tempo, governava una donna. A cura della Redazione di Thefreak.it


Ottava Nota

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Elogio dei “The National”

L’inerte e onnipresente burocrazia che paralizza lo Stato: lo stivale delle carte

Sto vivendo un momento della mia vita in cui potrei arrivare a uccidere pur di avere tra le mani il biglietto per un concerto dei The National, e non nero vestito e il cui front-man sembra un intelscherzo. L’anno si è chiuso incoronando il manlettualino di New York dalla barba sale e pepe cato appuntamento con loro il 30 giugno scorso che arriva sbronzo sul palco perché solo ubriaco all’Auditorium di Roma, a cui amici mi avevano perso riesce a cantare vomitandoti addosso tutte pure invitato, come peggiore rosicata del 2013, le inquietudini, le paure, le speranze che vive e ingigantita da un ascolto meno superficiale di che fotografa nelle sue canzoni, vi aspettereste ‘‘Trouble will find me’’, qualcos’altro? l’ultimo album, che di Alt. S’impone preciprimo acchito era semsazione. Qui non si sta brato abbastanza piatto. parlando di motivetti I The National sono Macché, bellissimo. E allegri e spensierati. Se uno di quei gruppi giù a mordermi i gomiti. ci si appresta a metter In molti casi, quando su un loro disco, che capaci di scrivere una passione non è consia l’omonimo oppure canzoni sulla scia divisa, si fa presto a re‘’Boxer’’ o ‘’Alligator’’ e plicare alla controparte magari ‘’High Violet’’, si del folk-rock di Neil che non condivide quel deve essere pronti a fare Young, e spessissimo gusto con un facilissimo una passeggiata lungo ‘‘tu non puoi capire’’ e gli ampi fondali della lo fanno. tutto si ferma lì. E io tristezza che un animo invece voglio provare a può provare, prepararsi spiegare cos’è la band di ad angosce metropoliMatt Berninger, anche tane, lunghe solitudini e perché pur essendo uno dei tanti gruppi indieamori sofferti, a tenaci malinconie. Come un cierock americani alla fine non è proprio uno dei lo plumbeo che non esplode mai in un temporale tanti gruppi indie-rock americani. e le cui nuvole nello stesso tempo non si diradano Partiamo da lontano: avete presente tutta la per far spazio al sole, né adesso né dopo. Canzoni tradizione della canzone popolare statunitenche ci rendono felici d’essere tristi, per il semplice se? Ecco, i The National sono quello. E ancora, fatto di non lasciarci soli. (Più o meno intorno a spostandoci sull’altra riva dell’Oceano Atlanquesto punto dovrebbero cominciare quei classitico alla fine degli anni ‘70: avete presente i Joy ci, lunghi discorsi secondo cui la bellezza nasce Division e certe lugubri atmosfere dark-wave? I dall’angoscia e così via. Non che non li condivida The National sono pure quello. E qualche anno anch’io, ma a che serve riproporli adesso? Voglio più tardi, a metà degli Ottanta, però tornando in dire, se siete un po’ umani e qualche domanda su America, ce l’avete presente Springsteen (vabbè, dai, Springsteen non potete non avercelo presente…fosse anche solo per la copertura mediatica che si ritrova )? Così pure quei cinque dell’Ohio, ma meno da stadio, meno corali, più intimi. I The National sono queste cose, tutte insieme, senza che l’una faccia a botte con l’altra.I The National sono uno di quei gruppi capaci di scrivere canzoni sulla scia del folk-rock di Neil Young, e spessissimo lo fanno. Le chitarre acustiche le accompagnano con violini e altri strumenti classici e qualche sferzata di chitarra elettrica per rendere tutto più accattivante. Il Boss, poi: la forma è quella del rock degli States negli anni Ottanta, tutto ritmi martellanti e strati su strati di chitarre (si ringrazia sentitamente quel gran genio di Bryce Dessner per quest’ultima voce). Ma mai e poi mai che si dica che non sappiano scrivere brani fortemente ispirati al post-punk inglese, l’anima in fondo è quella: da un gruppo tutto di

come nasce l’arte - o quantomeno qualcosa che anche vagamente le si avvicini - ve la siete posta, dovreste conoscerli anche voi. E comunque sì, è un ragionamento che vale anche in questo caso). Tutto ciò ovviamente nulla toglie e nulla aggiunge al fatto che in questo momento della mia vita sarei disposto persino a uccidere per stare in mezzo ad un pubblico che guarda e sente i The National a qualche metro di distanza. A girare per bene il coltello nella piaga s’aggiunge l’annuncio del cast del Primavera Sound di Barcellona. I nostri sono headliner. Poi a sorpresa arrivano tre date italiane, alcune in località sperdute, altre in posti magnifici e il sottoscritto già s’apprestava a preparare lo zaino e il biglietto per Ferrara, fin quando, a distanza di un mese, ecco altre due date, di nuovo nella Capitale e a Lucca, per arrivare a cinque in tutto, mica male. Saranno depressi, ma passare l’estate in Italia piace a tutti. Insomma, il 23 di luglio sarà un piacere sedersi alla Cavea dell’Auditorium per sentire dal vivo la voce baritonale di Berninger, profonda e calda come certe distese desertiche dell’Arizona, inquieta ed algida come alcuni grattacieli della Grande Mela. C’è tutta l’anima dell’America in quella voce. Sarà bello nonostante la consapevolezza di non poterlo raccontare su queste pagine a settembre perché Ottava nota l’anno prossimo cambia gestione, come è giusto che sia. Mi conforterà sapere che nonostante sia stato disposto a uccidere per un live dei The National, ciò non sia accaduto. Niente gabbio, bene così. Ah, quanto a loro, dateci un ascolto. Francesco Corbisiero


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Cinema & Teatro

Marzo 2014

FULL MONTY, di Peter Cattaneo

Squattrinati organizzati per uno spogliarello a “servizio completo” “Benvenuti a Sheffield, la forza motrice dell’industriale nord della Gran Bretagna! Il gioiello della regione dello Yorkshire è la casa di oltre mezzo milione di persone e altre migliaia giungono qui ogni giorno per fare acquisti e per lavorare!”. Con una pubblicità che parla dello splendore della cittadina di Sheffield, piena di lavoro, soldi, sorrisi e bella vita, inizia il film. Ma nella scena immediatamente successiva, 25 anni dopo quella pubblicità, le industrie, motore della brillante Sheffield, sono vuote e in stato di abbandono. Qualcosa è andato storto: la crisi ha travolto anche la grande Inghilterra che, dopo anni di liberismo e schiaffi ai lavoratori, portati avanti con orgoglio dalla Lady di ferro, si ritrova con una disoccupazione dilagante e un Welfare State distrutto. È in questo contesto che nel 1997 Peter Cattaneo inserisce la storia di Gaz e Dave, due disoccupati che rubano travi di ferro nelle fabbriche dismesse per guadagnare qualche sterlina e passano intere giornate ad oziare nel centro collocamento, insieme a tanti altri, disoccupati e disillusi tanto quanto loro. Finché un giorno Gaz, separato con un figlio, riceve la minaccia di non poter vedere più il piccolo Nathan a meno che non trovi i soldi per pagare l’assegno familiare. Ha bisogno di questi soldi e subito. Dopo esser passati davanti a uno spettacolo di spogliarellisti, stracolmo di donne, disposte a pagare 10 sterline per vedere degli uomini denudarsi, ha l’illuminazione. È quella la strada da seguire. Il resto del film è incentrato sulle avventure/ disavventure di Gaz e Dave, che nel frattempo riescono a trovare altri quattro compagni per riuscire nell’impresa e si chiude con lo spettacolo dinanzi a tutta la città, riunita nel pub per guardare questi squattrinati che si esibiscono in uno spogliarello con “servizio completo” (l’espressione “Full Monty”, il titolo del film, ne è l’esatta traduzione). Film piacevole e leggero, che non perde d’occhio tematiche di un certo calibro, a partire dalla tragedia della disoccupazione degli anni Ottanta in Inghilterra, passando per l’emancipazione femminile (rappresentata al meglio dalla fila di donne divertite all’idea di guardare uno spettacolo di spogliarellisti professionisti), cosa che probabilmente in Italia, tra Vaticano e bigottismo, non potrebbe essere messa sotto i riflettori neanche oggi. Per non

parlare di Lomper e Guy che, tra una prova e l’altra per il grande spettacolo, si ritrovano a innamorarsi tra di loro. Una commedia che è riuscita a cementificarsi nell’immaginario collettivo, grazie alla leggerezza con cui ci mostra come con ingegno, simpatia e amicizia sei amici riescano a racimolare qualche

soldo in un periodo di crisi nera. Con una colonna sonora - la versione di Tom Jones di “You can leave your hat on” - presente in mille compleanni e matrimoni in cui i partecipanti imitano i ragazzi di Sheffield. Talmente travolgente nella sua semplicità da diventare addirittura un musical di Broadway. Giuseppe Paolino

NOWHERE BOY, di Sam Taylor-Wood Prendiamo un bel quadretto inglese: la Union Jack sullo sfondo, la Regina che sorseggia il tè, un red bus e i caschetti ordinati dei Beatles. Mentre “A hard day’s night” suona in sottofondo, li vediamo correre, inseguiti da orde di fan. Poi ci accorgiamo che a correre c’è solo John: non ha i capelli lunghi, non ha gli occhialetti rotondi e non c’è nemmeno Yoko alle calcagna. È solo John Lennon, comune ragazzetto di Liverpool, scapestrato e ribelle come mille altri nel 1955. Anzi, lui vale meno degli altri: lui non andrà da nessuna parte, come dice il preside della sua scuola prima di sospenderlo. Nella Gran Bretagna degli anni ’50 c’è tutto un fluire di vite accidentali, c’è un Paese che rimette in piedi i palazzi bombardati prima della rivoluzione dei costumi negli anni ’60 e nelle città come Liverpool ci sono migliaia di storie che la Seconda Guerra Mondiale infrange sugli scogli. Tra queste c’è la storia di John, cresciuto con la zia Mimi e con lo zio George, non avendo mai conosciuto i genitori. Durante il funerale dello zio, John scopre una giovane donna, bellissima e irrequieta. Sua madre. Una donna tanto volubile e tanto instabile da poter apparire come simbolo di rottura di quella figura femminile disciplinata e devota al marito reduce di guerra. Julia ha fatto fallire il matrimonio con Alf Lennon, padre di John, non è stata in grado di crescere suo figlio e ha sposato un altro uomo. Il volto di Aaron Johnson - che nel film interpreta il musicista - si illumina di un’attrazione che è sempre al limite tra l’amore di un figlio e una vera e propria pulsione nei confronti di questa bellissima donna che gli spalanca il mondo del rock’n’roll. Quasi per devozione nei confronti della madre, questa musica diventa una vera ossessione per John, che fonda quello che è l’embrione dei Beatles: i Quarrymen. Le casette a schiera, il clima uggioso, il porto feroce. Tutto è come ci si aspetta che sia la Gran Bretagna del Dopoguerra. A

rompere questa deprimente armonia è John Lennon, sdraiato sul tettuccio di un autobus in corsa, il futuro sacerdote dell’arte che ruba dei dischi e poi li getta in mare quando scopre di aver rubato dischi Jazz. È senz’altro curiosa la scelta della regista Sam Taylor-Woods di scegliere Aaron Johnson per indossare i panni di John Lennon: i due all’apparenza non si assomigliano affatto. Anzi, Aaron Johnson ha una bellezza che non era appartenuta a Lennon nemmeno in gioventù. Al contrario, il viso del bel Paul è portato in scena da quello meno significante di Thomas Sangster. Sembra quasi che la regista voglia mettere in risalto Lennon, fino ad elevarlo a marmoreo monumento, in cui il dramma personale e la storia inglese scorrono nello stesso sistema sanguigno, ma in due versi opposti: l’uno nelle vene, l’altro nelle arterie. In “Nowhere boy” si trasfigura quella vita piena di affetti incompleti che farà da calco agli strani rapporti umani che Lennon creerà in futuro, esaltando la religiosa adorazione per la sua musica. Nonostante l’ottima riuscita della biopic del 2009, si sente la mancanza di coraggio nel mettere in scena la fragilità del musicista di Liverpool, nella realtà espressa con una certa cattiveria nei confronti di chi lo circondava. “Nowhere boy” resta una bella fotografia, uno spioncino da cui iniziare a vedere il Lennon persona e non personaggio: difficile da capire, monumentale, controverso, eppure fragile, umano, troppo umano. Maria-Chiara Pomarico.


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TRAINSPOTTING, di Danny Boyle “Ho scelto di non scegliere la vita”

Cinico, crudo, drastico e intenso. Questo è Trainspotting di Danny Boyle, cult del 1996. Si tratta dell’ormai celebre storia di tossicodipendenza di quattro amici in una Edimburgo che poco rappresenta l’idilliaca immagine della Scozia con distese verdi e gente cordiale. In Trainspotting è narrata la vita di Mark Renton, Spud, Sick Boy e Tommy che insieme all’aggressivo Begbie tirano avanti attraverso truffe ed escamotage. La trovata rivoluzionaria di Boyle sta nel riprendere il tutto dal punto di vista di Renton (inter-

pretato magistralmente da un giovanissimo Ewan McGregor) un drogato che tenta più volte di “rinunciare alla roba” senza mai riuscire davvero. Le sue vicende si intrecciano con quelle di Spud, il più sprovveduto del gruppo, Sick Boy, astuto manipolatore, Tommy, che inizialmente è il più puro della compagnia ma, dopo una delusione d’amore cade anche lui nel giro della droga che diventerà la sua condanna a morte, ed infine Begbie, pulito da qualsiasi droga ma con la dipendenza dalla violenza fisica.

WE WANT SEX…equality: una storia vera Nel 1968 erano circa 55000 gli uomini impiegati nello stabilimento della Ford a Dagenham e 187 le donne. “We Want Sex”, film di Nigel Cole, racconta con ironia come questo manipolo di donne in Inghilterra cambiarono le relazioni industriali e rivoluzionarono i canoni del vivere civile. Le operaie della Ford rivendicarono per prime e con successo un equo trattamento a tutte le donne inglesi. Anche grazie a questa protesta, nel 1970 il ministro laburista Castle varò l’Equality Pay Act, la legge che sancì il diritto all’uguaglianza salariale. La protesta inizia nel momento in cui le donne che confezionano i rivestimenti dei sedili smettono di far funzionare le macchine da cucire per una causa che forse neppure loro immaginano quanto possa essere lungimirante. Esse non accettano la riqualificazione professionale che conferisce loro lo status di “non qualificate”. I delegati della Ford, i rappresentanti sindacali, i loro colleghi sono certi che la battaglia si dissolverà in un accordo mellifluo ma la protesta esplode fino a bloccare l’intera produzione della Ford. WE WANT SEX, si legge sugli striscioni esposti di fronte a Westminister. «Non aveva-

mo aperto bene il cartellone e la parola equality non si leggeva. Volevamo sex equality. Oddio, magari anche sex», ricorda scherzando Vera, una delle protagoniste dello sciopero. Il film dimostra come la discriminazione fosse un fenomeno latente, legato ad un maschilismo sedimentatosi nel tempo in ogni crepa della società nonostante il diritto sancisse la parità sessuale. Il lavoro femminile, a partire da questa protesta, diveniva la fonte dell’indipendenza. Il regista così si mostra molto abile nell’indagare l’animo femminile nel mettere in luce come le dinamiche familiari influenzino le scelte di queste donne.La protagonista Rita O’Grady (Sally Hawkins) è costretta a barcamenarsi tra la volontà di portare fino in frodo lo sciopero e le difficoltà che la sua scelta impone alla famiglia. La commedia, frizzante e spiritosa, talvolta si perde in un fare troppo didascalico abbandonando i toni strettamente realistici per idealizzare alcuni personaggi, accentuando la meschinità degli avversari. Questa punta di manicheismo, evidenziata dalla scelta di inventare un leader ideale mai pronto a compromessi, non impedisce al film di essere un ritratto attento della cronaca operaia “sessantottina”. Bravi gli attori tra cui spicca l’interpretazione del ministro Castle da parte di Miranda Richardson, dotata della giusta dose di humour britannico. Nel complesso una commedia vibrante e coinvolgente “full British”, un delicato e colorato affresco tutto al femminile che narra un episodio poco frequentato della storia inglese ma che rappresentò un momento nevralgico per le donne di tutto il mondo. Martina Rotolo

L’espediente del narratore-protagonista permette una visione non “ripulita” della storia rispetto ad un eventuale visione esterna e lascia libero lo spettatore di dare un proprio giudizio personale. Tuttavia, è difficile lasciarsi abbindolare dalle giustificazioni di Renton per i comportamenti tenuti, quando la storia raccontata culmina nell’ossessione per l’eroina. La discolpa è la necessità di un appiglio contro il dolore e l’infelicità, mali che attanagliano l’intera società e a cui ognuno risponde diversamente. Non a caso, dal punto di vista del figlio, anche la madre di Renton è drogata, ma nel suo modo “domestico e socialmente accettabile”. Rappresentando la cruda e impietosa morte della bambina a cui i giovani e la stessa madre reagiscono facendosi di eroina per “cacciare via il dolore”, Boyle implicitamente non lascia altra scelta allo spettatore che condannare i protagonisti. Ma sono proprio l’estremismo e l’aggressività imperanti a far sì che la regia renda quasi surreale e onirica una pellicola terribilmente reale. Il film è fondato sulla filosofia del non averne mai abbastanza. Non avere mai abbastanza della droga, della violenza, dei soldi e delle menzogne. Il tutto celato sotto il bisogno di un rifugio dalle preoccupazioni quotidiane “che non contano quando hai una sincera e onesta tossicodipendenza”. Una vera e propria lotta di tutti contro tutti, in cui nessuno si preoccupa realmente degli altri membri del gruppo e addirittura nessuno si fa problemi a tradirli. Basti pensare al finale emblematico in cui Renton fugge con i soldi “guadagnati” insieme agli altri, ma, d’altronde, gli altri avrebbero fatto lo stesso. Nessuno sa dove andrà davvero il protagonista dopo essere scappato con i soldi, ma, stando alle sue parole, decide di scegliere la vita e di diventare come le persone comuni: “il lavoro, la famiglia, il maxitelevisore del cazzo, la lavatrice, la macchina, il CD, l’apriscatole elettrico, buona salute, colesterolo basso, polizza vita, mutuo, prima casa, moda casual, valigie, salotto di tre pezzi, fai da te, telequiz, schifezze nella pancia, figli, a spasso nel parco, orario d’ufficio, bravo a golf, l’auto lavata, tanti maglioni, Natale in famiglia, pensione privata, esenzione fiscale, tirando avanti lontano dai guai in attesa del giorno in cui morirai.” Francesca Natali


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Calcio d’Angolo

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La coppa Italia attraversa il tirreno Un successo che manda in visibilio un’intera regione, ma che fa piacere a tutt’Italia. Vuoi perché finalmente hanno perso le grandi favorite, ed erano due, vuoi perché questa volta si concilia lo spettacolo con i risultati, ma la prima Coppa Italia nella storia del Banco Sardegna è uno di quei momenti che unisce tutti gli appassionati della palla a spicchi. Senza dimenticare la tragedia dell’alluvione che ha colpito l’isola causando la morte di sedici persone, con un popolo che adesso può tornare a sorridere per merito di un gruppo che finalmente ottiene la sua definitiva consacrazione con la conquista di un trofeo. La rassegna milanese, infatti, ha reso la Dinamo, già splendida realtà e non più sorpresa della nostra pallacanestro, un’ulteriore certezza, premiandone sforzi e sacrifici, ma anche la bravura nel rimediare ad alcuni errori tecnico-tattici che avevano fatto terminare la scorsa stagione troppo presto. Probabilmente nessuno, tra giocatori e tifosi, si è dimenticato, sul palco del Forum di Assago, quelle lacrime con cui un PalaSerradimigni sempre pieno in ogni ordine di posto, aveva lasciato anzitempo lo scorso campionato al termine della gara 7 nei quarti di finale contro Cantù ed è sicuramente da lì che è partita una nuova programmazione da parte del duo Sardara-Sacchetti, che ora ne inizia a raccogliere i primi frutti. Da un punto di vista strettamente tecnico, quanto si è visto nella tre giorni meneghina è stato un autentico capolavoro sportivo in ogni sua componente, con la Dinamo capace di vincere tre partite in altrettanti giorni in maniera sempre diversa, senza rinunciare allo spettacolo, ma badando ora anche alla forma e privilegiando quella difesa che, fino alla scorsa annata, era stata il vero tallone d’Achille per i cugini Diener e compagni. Perchè non si potrebbe commentare diversamente l’impresa contro la strafavorita Milano, padrona di casa e tenuta ad appena 80 punti nei quarti di finale, in una partita nella quale Sassari si è trovata sotto anche di sedici lunghezze ma senza mai uscire mentalmente dalla partita. Ed allora, ritrovato Travis Diener dopo un difficile inizio di stagione (il suo infortunio a settembre era già pesato come un macigno sulle sorti continentali della nostra nazionale) il Banco ha saputo trasformare in vantaggio l’apparente incompatibile coesistenza dello stesso playmaker naturalizzato e Marques Green, mentre il pacchetto esterni si è dimostrato

di assoluta qualità e consistenza. Del resto gli sforzi economici non sono mancati e il valore della squadra è sensibilmente cresciuto, anche a livello individuale, attorno ai biancazzurri di vecchia data con la concretezza di Caleb Green e Thomas e l’esplosività dell’ultimo arrivato Drew Gordon. Vinta, non senza soffrire, la semifinale contro una Reggio Emilia altrettanto più che positiva, Sassari ha completato l’opera in finale, demolendo la pluricampione Montepaschi, sotto di 20 lunghezze già all’intervallo. L’apice del successo il Banco l’ha costruito proprio lì, difendendo in maniera egregia contro una squadra che nonostante budget dimez-

zati ha conquistato un’altra finale e crescendo in maniera esponenziale quanto a controllo della partita e gestione dei ritmi, che la Dinamo non ha perso nemmeno durante la generosa rimonta senese. Il resto parla di una meritata festa cui hanno contribuito anche Vanuzzo, Tessitori, Devecchi e Sacchetti junior, abili scudieri e fidati gregari senza i quali nessun successo sarebbe possibile, oltre che sassaresi acquisiti e primi tifosi di una delle isole felici, insieme a Brindisi, del basket nostrano. Dove è possibile vincere anche divertendosi. Donatello Viggiano

Basket: La Finlandia va al mondiale Gli italiani giocheranno ad Angry Birds Dal 30 Agosto al 14 Settembre nella penisola iberica si terranno i Mondiali di Basket 2014, evento atteso da tutto il mondo cestistico. Non risulta però tra le partecipanti la selezione Italiana, a causa del volontario ritiro dalla corsa per le wild card, che hanno ben messo in evidenza i limiti delle procedure adottate dalla Fiba. La Wild Card è un invito che la Federazione Internazionale offre alle nazionali che non si sono qualificate ai Campionati del Mondo attraverso le competizioni continentali. Il primo Febbraio a Barcellona sono state svelate le quattro squadre vincitrici: Brasile, Grecia, Turchia e Finlandia, completando così il quadro delle 24 selezioni che si sfideranno a Settembre. Il numero uno della FIP, Gianni Petrucci aveva annunciato già tempo fa la rinuncia dell’Italia, poiché la quota minima richiesta dalla Fiba per partecipare all’assegnazione della wild card era di 1 milione di franchi svizzeri, circa 830 mila euro: “Ho ritenuto che non sarebbe stato etico partecipare a quella che a tutti gli effetti è diventata un’asta, soprattutto in un momento storico ed economico tanto difficile per il nostro Paese e per il basket italiano” le parole di Petrucci. E proprio da questi ormai famosi 830 mila euro è nato lo scandalo delle wild card, chiaramente non assegnate in base al ranking delle squadre ma in base a criteri che esulano dall’ambito sportivo. La vera sorpresa è non vedere né la Russia né la Cina, due delle principali favorite e colossi mondiali a livello di Paese e Federazione, tra le quattro squadre annunciate. Sono stati dunque privilegiati i motivi economici a discapito dei meriti sportivi; l’obiettivo non è sembrato quello di valutare chi a livello tecnico e mediatico avrebbe aumentato lo spettacolo di una manifestazione mondiale, ma

solamente chi, nella vera e propria asta indetta dalla Federazione Internazionale, avrebbe fatto la proposta economica più remunerativa per loro. La credibilità della Federazione è stata ancor più messa in discussione quando è stata annunciata la presenza della Finlandia, squadra neanche classificata alla fase finale degli ultimi Europei. La Fiba aveva anche pubblicato una lista di requisiti in cui figuravano principalmente gli aspetti della popolarità del Basket nel Paese e i risultati sportivi in ambito internazionale; ma quanti di questi parametri sono soddisfatti dalla Finlandia? Probabilmente solo uno e non riguarda i risultati sportivi della squadra 39° nel ranking mondiale. Sembra che una notevole importanza l’abbia avuta il supporto economico della Rovio Mobile, la società finlandese creatrice di Angry Birds, il gioco più diffuso per smartphone, che ora potrebbe fare pubblicità a Spagna 2014. Altro che 13 criteri! E se si ritirano potenze come Russia e Cina, se la Finlandia batte Canada e Nigeria, allora veramente nel sistema c’è qualcosa che non funziona. Certamente l’Italia deve assumersi le proprie colpe per aver sprecato malamente le occasioni di conquistare il mondiale sul campo, ma anche la Federazione Internazionale non può essere esente da critiche, quantomeno per il metodo utilizzato. Adesso staremo a vedere come si comporteranno i Los Angry Birds, come sono già stati definiti i finlandesi dai quotidiani spagnoli. Per fortuna sul campo contano ancora le qualità tecniche: non esiste giudice migliore del parquet! Matteo Bianucci


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La crescita esponenziale del Calcio Yankee L’affare da 8 milioni, che ha portato Bradley al Toronto FC dalla AS Roma, fissa un nuovo record in termini di cifre pagate dalla MLS per un giocatore. Supera infatti la spesa sostenuta dai Seattle Sounders la scorsa estate per riportare in America Clint Dempsey, 7.3 milioni di euro al Tottenham. La cifra pagata dalla proprietà Maple Leafs Entertainment è inoltre la seconda più alta mai spesa per un giocatore americano dopo i 10 milioni investiti quest’estate dal Sunderland per acquistare Jozy Altidore dall’AZ Alkmaar. Oltre allo sviluppo di una cultura calcistica in USA, ciò è specchio di un incremento di competitività

di strutturazione della lega americana nata dalle ceneri della North American Soccer League nel 1993: la Major League Soccer. Mentre in Italia da anni si attende una legge che favorisca la modernizzazione di infrastrutture come gli stadi, nella MLS dal 2012 si è estinta l’usanza di stadi temporanei da soli 10,000 posti, con i primi 7 stadi di proprietà: Philadelphia, Red Bull NY, Vancouver, Portland, Kansas City, Houston e San Jose. Gli americani sembrano così presi dalla nuova smania di calcio da cominciare a costruire avveniri-

I riflettori delle Olimpiadi a Sochi In scena la Russia di Vladimir Putin Nel Novecento Stalin vi si recava per migliorare il suo stato di salute polmonare, aspetto umano in contrasto con la sua potenza politica. Putin oggi vi si reca in vacanza per meditare sul suo ruolo internazionale, in precario equilibrio tra un recente isolazionismo ormai abbandonato e gli spettri di un regime autoritario tra ostilità occidentali e terrorismi caucasici. Sochi è una delle località più belle di tutta la Russia, una Liguria orientale dove il mare infrange le sue onde a pochi chilometri da cime di oltre quattromila metri. I giochi olimpici hanno segnato lo scorrere del tempo come un contapassi per il correre degli anni e il mutare delle stagioni politiche. Nel 2008 manifestarono lo strapotere economico cinese, nel 2012 Londra ebbe la possibilità di diffondere in tutto il globo le prime Olimpiadi 2.0, piene di tweet, tag e Iphone schizofrenici che immortalavano sul web le gesta dei campioni. Vancouver 2010 è stata simbolo di efficienza. Nell’anno a venire, quello che segue la crisi siriana e i veti russi all’interno delle Nazioni Unite, l’ennesima presidenza di Vladimir Putin sta per dare inizio ad una delle competizioni sportive più costose di sempre. Inoltre le tensioni internazionali caratterizzano i Giochi come è sempre stato nel corso degli ultimi due secoli e stavolta sarà il mondo occidentale a guardare con invidia e ostruzionismo. Spettri del terrorismo caucasico a parte, molti commenti mediatici sono incentrati sulla battaglia per i diritti umani, in difesa degli omosessuali in primis. Ci sono delegazioni che boicotteranno i Giochi altre che parteci-

peranno con ipocrisia, atleti che difendono il presidente Putin come Yelena Isinbaeva, altri che lo criticano aspramente come l’ex tennista Martina Navratilova. Il premier italiano Enrico Letta ha partecipato alle celebrazioni inaugurali, con il sostegno del presidente del Coni Giovanni Malagò e del Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Anche la Uisp rende noto ai media che l’Italia parteciperà pur schierandosi sempre dalla parte dei diritti e delle libertà fondamentali sancite dalla Carta dell’Onu. “I grandi eventi sportivi devono essere una sana occasione di sport, di competizione leale, ma anche di promozione dei diritti, per gli sportivi, i cittadini, gli uomini e le donne dei paesi che partecipano ai Giochi. I grandi eventi possono essere occasione per diffondere una cultura dei diritti” questo l’appello di Ivano Maiorella per l’ufficio stampa della Uisp. Per l’Italia nessun boicottaggio, vuoi per la congiuntura economica con Mosca riconfermata dalla visita dello stesso presidente Putin in Italia, vuoi per il quadro internazionale da cui il nostro paese non può defilarsi. I Giochi sono iniziati il 7 febbraio, i lettori sapranno quanto avranno pesato le logiche politiche all’interno del mondo sportivo, se avrà vinto il sistema di sicurezza senza pari attivato da Mosca, se avrà avuto successo la Russia come nuova potenza internazionale e come ne sarà uscita la sua immagine dopo le Olimpiadi, un evento senza dubbio epocale che ha celebrato lo sviluppo di tanti paesi ma ha anche danneggiato significativamente il quadro economico di molti altri, non ultima la Grecia che in epoca antica ne fu la genitrice. Lorenzo Nicolao

stici impianti e prima che una metropoli compri la propria franchigia sono già iniziate le pratiche per costruire entro il 2016 il nuovo stadio della squadra di Miami rifondata da David Beckham. In dieci anni hanno quasi triplicato il loro afflusso negli stadi. Nonostante la crisi ed una leggera flessione dal 2012 al 2013 la media presenze è stata in continua ascesa ed attualmente siamo sui 18.482 spettatori, quella della Serie A in una nazione che vive per lo più di calcio è superiore di sole 5.000 unità. Un grande apporto al pubblico è stato dato dai Seattle Sounders che in media portano qualcosa come 45.000 spettatori. La MLS è organizzata nello stile tipico degli sport americani: due gironi di Est e Ovest nella regular season, play-off, le franchigie possono spostarsi di città, non ci sono retrocessioni di fatto, salary cap e Superdraft per i calciatori collegiali. Venne poi inserita la regola dei Designated Players con l’arrivo di Beckham ($6,5mln annui) ai L.A. Galaxy nel 2007, dando la possibilità ad ogni franchigia di mettere sotto contratto un giocatore il cui contratto non sarebbe pesato sul Salary Cap della squadra, facendo quindi diventare le varie squadre MLS competitive sul mercato delle stelle internazionali. Per squadre del calibro di Red Bull New York o il recente team di Montreal, ogni franchigia può pagare una “luxury tax” della modica cifra di 250mila dollari per avere la possibilità di firmare un terzo Designated Players. Perciò è iniziato un nuovo afflusso di giocatori dal mondo e in particolare dall’Europa. Oltre alle stelle Henry, Di Vaio e Robbie Keane, degni di nota sono anche “Oba Oba” Martins, Clint Dempsey, Reo-Coker e nell’ultima sessione di gennaio anche Jermaine Defoe. Se nel 2010 il bilancio dei trasferimenti era in positivo di 1mln di euro, nella scorsa stagione la bilancia è diventata rossa e negativa di più di 20mln. Un bilancio di trasferimenti negativo che non è sintomo di un movimento in crisi, anzi. Basti pensare che la Premier League ha un disavanzo di 528 milioni di euro. Le ambizioni della moderna MLS sono altissime e per chi voglia cominciare a seguire questo movimento in forte espansione la stagione comincerà agli inizi di aprile. Valerio Flavio Ghizzoni


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Lifestyle

Marzo 2014

L’arancia è esplosa

La profezia di Kubrick e il vanto della violenza Ha più di 40 anni ma non li dimostra, il film Arancia Meccanica del geniale regista Stanley Kubrick. Uscito nelle sale inglesi nel lontano 1971, e tratto dall’omonimo romanzo “A Clockwork Orange” di Anthony Burgess, questo capolavoro rappresenta un’allegoria sulla violenza di un ipotetico mondo futuro come l’aveva immaginato il maestro del cinema americano. In un domani indefinito, una banda criminale composta da quattro ragazzi semina il panico in una metropoli compiendo atti di violenza fine a se stessa. Il protagonista, insieme ai suoi amici passa le giornate, spesso sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, massacrando barboni, irrompendo nelle abitazioni di notte, uccidendo donne dopo averle stuprate e seviziate, praticando “l’amata ultraviolenza” fine a se stessa, come godimento esclusivamente personale. Ancora oggi questo cult-movie fa discutere di se, e sono sempre maggiori le opinioni di critici e giornalisti che ritengono che con esso, il genio di Kubrick abbia anticipato certe problematiche del ventunesimo secolo. Se nel ‘900 il fenomeno della violenza veniva portato avanti in nome dell’ideologia, oggi Arancia Meccanica sembra essere lo specchio della società odierna : stupri, droga, prepotenze e delitti solo per il gusto di compierli. Per citare le parole del giornalista Gianni Riotta, possiamo definire quella mostrata nel film “una violenza basata sul nichilismo: non ho nessuna idea e quindi ti ammazzo”. La banda della pellicola perpetra quelle brutalità come se fossero il più normale dei passatempi, ed è proprio così che quel genere di violenza ,descritta nel film tanti anni fa, sembra essere figlia dei tempi che stiamo vivendo. Lo stesso titolo “Arancia Meccanica” è ormai diventato un cliché utilizzato dai media per indicare le rapine nelle ville, pestaggi, maltrattamenti e soprusi su persone inermi . Spesso le cronache ci raccontano che tali efferatezze vengono compiute da bande di minorenni, che esercitano queste pratiche con ferocia e cinismo . La violenza senza motivo sembra essere lo sport preferito da una parte di giovanissimi dei nostri giorni. Un altro neologismo, molto usato oggi dai media ,è la parola “bullismo” indicativa di un fenomeno che 40 anni fa non esisteva: viene presa di mira una persona senza motivo con angherie, pressioni psicologiche e violenze fisi-

che che talvolta portano le vittime predestinate alla depressione o, nei casi estremi, al suicidio. Da alcune statistiche che emergono da internet, risulta che il 50% dei ragazzini coinvolti nelle ricerche, si dichiara responsabile di atti di prevaricazione ripetuta verso uno stesso individuo che si prolunga nel tempo, solo per divertimento o noia. Per quanto Kubrick sia stato profetico, non aveva previsto che gli autori delle violenze esibis-

sero le prove dei loro reati come vanto personale, qualcosa da mostrare con orgoglio davanti agli amici. Infatti, spesso e volentieri questi adolescenti deliranti postano foto e frasi delle loro violenze sui vari social network, fregandosene del fatto che la polizia possa rintracciarli ancor più facilmente. Questo ci dà la prova del peso che danno alle azioni che compiono. Sofia Cecinini

Le lacrime di una bambina che non sarà mai donna Il futuro interrotto dall’infibulazione Ogni anno due milioni di bambine sono sottoposte a questo rito disumano che consiste nella mutilazione degli organi genitali. Considerato alla stregua di un rito di iniziazione, non è mai stata menzionata da alcuna religione, ma laddove non arriva la sfera religiosa, giunge l’ignoranza e le sue vittime sono sempre più numerose. In molti, se non in tutti, i paesi coinvolti in questa pratica, infatti, si lascia intendere che sia la religione a imporla, specialmente nei paesi confessionali musulmani in cui ciò viene fatto credere a chi non sa leggere l’arabo coranico. “L’unico pericolo sociale è l’ignoranza” avrebbe detto Victor Hugo. Come dargli torto. Waris Dirie, ambasciatrice ONU per la lotta contro l’infibulazione e in primis vittima di tale pratica, racconta nel suo libro: le vittime vengono mutilate con utensili d’uso comune, quali lame di rasoio, coltelli, forbici, o, peggio, con schegge di vetro, pietre appuntite o persino a morsi. Invece di diminuire, il numero delle ragazze che vengono mutilate (dai 3 ai 14 anni) aumenta. Molti africani emigrati in Europa o negli Stati Uniti non hanno abbandonato questa consuetudine. Con l’infibulazione la donna viene privata del piacere sessuale, quindi anche del desiderio, mentre la cucitura della vagina, serve a garantire la verginità, assimilata alla purezza. Le vergini sono un bene prezioso in Africa ed è questo uno degli inconfessabili moventi dell’infibulazione: mio padre poteva ricavare un ottimo compenso dalla vendita delle figlie belle e vergini. È un fenomeno, dunque, che ha varcato i confini dei paesi d’origine, è migrato insieme alle persone che, nella loro valigia ricca di speranze per un futuro migliore altrove, hanno riposto la loro cultura. Compresa la parte più nera. Neanche l’Italia è stata risparmiata da questa pratica e sono sempre di più le bambine, figlie di

immigrati, che devono subire tale barbaria. Sta divenendo quindi un problema interno, e come tale non può essere sottovalutato, motivo per cui già l’anno scorso il Parlamento Europeo ha dichiarato le mutilazioni genitali femminili come “violenza che per nessuna circostanza può essere giustificata nel rispetto delle tradizioni culturali di vario genere o di cerimonie di iniziazione”. Plan Italia ha lanciato una petizione che, una volta accettata dal governo, possa far valere sanzioni per chi pratica mutilazioni genitali e assistenza sanitaria gratuita alle bambine e alle donne vittime di tale sopruso. Tiziana Fattori, direttore nazionale di Plan Italia, ha dichiarato in una recente intervista che qualche passo in avanti si sta facendo, per esempio in Guinea Bissau, paese in cui il 49 % delle bambine è vittima di questo fenomeno, Sawandim Sawo, che ha praticato le mutilazioni per 18 anni, grazie agli interventi di Plan Italia, ha smesso di farlo perché non si rendeva conto dei gravi problemi di salute che creava. Qualche altro passo potrebbe essere fatto, e io aggiungerei qualcosa in più di qualche piccolo passo. Anche solo firmare la petizione, senza nemmeno il bisogna di muoversi da casa. Il risultato è che, per chi ne gioverà, sarà una corsa, una corsa felice verso la libertà dalle azioni dettate dall’abominio della mente umana. Maria Vittoria Cabras


L’Eretico

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M.P. - Storia di una nuvola Il giorno di San Valentino di 10 anni fa moriva, in un residence di Rimini, Marco Pantani, uno dei più grandi scalatori di tutti i tempi. La storia di Marco Pantani è la storia di un ciclista e ha inizio il 4 giugno del 1994, quando sul passo di Giovo, con la maglia della Carrera Jeans, ottiene la sua prima vittoria da professionista e la prima vittoria di tappa a un Giro d’Italia. Da lì parte una delle carriere più acclamata e discussa che la storia dello sport italiano ricordi. Sulla figura del pirata c’è una netta divisione: chi lo crede vittima di un complotto, di cui sarebbe stato testimone anche Renato Vallanzasca, e chi lo crede colpevole e lo classifica come “dopato”. Personalmente non appartengo a nessuna delle due parrocchie, ma credo che la verità, come da adagio, stia nel mezzo: in un mondo marcio come quello del ciclismo Pantani avrà pur fatto uso di doping, ma non più di altri; la stessa autopsia sul corpo del ciclista rivela che non ha fatto un uso costante e massiccio di Epo nella sua carriera. Probabilmente c’è un po’ di verità anche sull’idavanti alla salita è quella di farla più in fretta potesi complotto, visto che quel Giro d’Italia “(…) per alleviare la sofferenza”. Una storia di un 1999 fu anche il primo in cui era possibile scomuomo normale, che compieva imprese straordimettere e chi avesse scommesso su Ivan Gotti, naria, che sfidava la montagna con la naturalezcon la squalifica del pirata, fece il cosiddetto za dell’ermellino. L’ermellino come lo chiamò “botto”. Nonostante tutto penso che le imprese Gianni Mura in uno dei suoi migliori pezzi, in sul Mortirolo, sul Monte Campione, nonostancui lo paragonava a te Armstrong dica che quel bell’animale tall’avesse fatto vincere, mente affezionato al sul Galibier, dove i suo manto bianco da francesi hanno posto L’ermellino, come lasciarsi morire piuttouna statua a futura melo chiamò Gianni sto che sopportare l’onmoria, sull’Alp d’Huez ta della macchia. o la mitica rimonta Mura in uno dei L’inizio della fine sarà di Oropa del ’99, non suoi migliori pezzi, a Madonna di Camsiano il risultato del piglio, segnata da quel doping, ma di un fisico in cui lo paragonava 52% di ematocrito nel eccezionale per scalare, a quel bell’animale sangue, l’1% in più ri1 metro e settanta per spetto al limite tollera54 kg, montato su una talmente affezionato to, sancita con una framente dotata di un’inal suo manto se profetica: ”Mi sono telligenza finissima. bianco da lasciarsi rialzato, dopo tanti inPantani è stato l’ultifortuni, e sono tornato mo italiano a vincere morire piuttosto che a correre. Questa volta, il Tour, uno dei pochi sopportare l’onta della però, abbiamo toccato che ha vinto Tour e il fondo. Rialzarsi sarà Giro nello stesso anno, macchia per me molto difficile”. con lui anche chi non La fine dello sportivo c’era ha potuto rivivere che, nel suo caso, non il ciclismo di Coppi e poteva che coincidere con quella dell’uomo che Bartali, Gimondi e Moser; con lui sono tornaarriverà poco dopo uno sfortunato tentativo di ti i grandi distacchi nelle tappe di montagna. “rientrare nel circuito”. Eppure non lo trovarono mai positivo prima di Una storia che appartiene all’epica del ciclismo, Madonna di Campiglio. La storia di Pantani ci ma che racconta ancora molto a chi non si adagia racconta di uno sport duro, fatto di fatica e absu tutto il già detto, sui soliti leit motiv, a chi non negazione, dove ci si rialza dalle cadute, ma non si concede il facile lusso di celebrare la memoria dalle ingiustizie. Dove le vittorie più belle sono seccandola di ogni potere. In tutti gli sport gli quelle sofferte, dove l’unica scorciatoia concessa

atleti cercano di superare se stessi prima degli altri, sono le prestazioni quelle che interessano e l’orizzonte ultimo da superare sembra tendere verso l’infinito. E allora si potenziano le moto e le auto, si affinano gli allenamenti, si migliora l’alimentazione e si alleggeriscono i materiali, oppure ci si dopa. Danilo Di Luca, in una recente intervista alla Gazzetta dello sport, ha dichiarato che: l’80% dei ciclisti si dopa, senza il doping non si arriva fra i primi dieci al Giro d’Italia; non è difficile credergli sia perché non è il primo a dirlo e non sarà l’ultimo, sia perché il ciclismo è uno sport duro che non può sottostare, come accade, alla legge del “no limits”, almeno non in questi termini. Al ciclismo non si può chiedere un incremento delle prestazioni con le tempistiche richieste in altri sport, il record del Mortirolo non può essere battuto con la stessa frequenza di quello sul circuito di Assen. Il ciclista non è una macchina, eppure gli sforzi richiesti sono sempre maggiori, e se da una parte si allungano e si complicano i percorsi dall’altra si richiedono un incremento delle prestazioni e un abbattimento dei tempi. Ed ecco che ci ritroviamo in questa situazione, dove la maggioranza si dopa e molti altri sono costretti solo per “mettersi alla pari”. Ecco perché sono convinto che nonostante tutto Pantani fosse “pulito” e che la sua unica colpa sia quella di aver accettato le regole del gioco portandosi a livello con gli altri. La vera colpa del pirata è di aver volato troppo alto, di essersi svolatilizzato troppo in fretta come fece sul Mont Ventoux, di essersi arrampicato troppo velocemente su per quelle cime, come fanno certe nuvole d’Estate. Edoardo Romagnoli



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