360° - novembre 2008

Page 1

360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.45

Pagina 1

Il giornale è attività degli studenti Luiss, periodico gratuito, finanziato dalla Luiss Guido Carli; a distribuzione interna - Numero XXXIV, Anno VII

Un Natale “speciale”

I NTERVISTA A P IETRO I CHINO P.4 - I NCHIESTA T UTOR P.6 - “O NDA” G ELMINI P.10 E LEZIONI USA P.14 - S PECIALE PAKISTAN P.18 - I NTERVISTA A C ARLO A NCELOTTI P.30


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.46

Pagina 2

Sommario - Novembre 2008

SOMMARIO

2

EDITORIALE

3

COSMOLUISS

4

SPEAKER’S CORNER

10

INTERNATIONAL

14

FUORI DAL MONDO

18

OTTAVA NOTA

20

COGITANDA

22

TEATRO

25

ARTIFICIO

27

LIFESTYLE

28

UNISEX

29

CALCIO D’ANGOLO

30

Fondato nel 2002 Fondatori: Fabrizio Sammarco, Luigi Mazza, Leo Cisotta Direttore: Matteo Tebaldini Direttore Editoriale: Daniele Dalessandro Responsabile Organizzativo: Gianmaria Volpicelli Responsabili di Rubrica: CosmoLUISS Scienze Politiche: Chiara Orsini, Giulia Mammana Economia: Andrea Zapponini, Timoteo Carpita Giurisprudenza: Bruno Tripodi Speaker’s Corner: Valeria Pelosi, Francesca Giuliani Fuori dal Mondo: Flavia Romiti, Clara Della Valle International: Andrea Ambrosino, Mariastella Ruvolo Artificio: Mariafrancesca Tarantino, Tiziana Ventrella Ottava Nota: Federica Ricca, Chiara Iovino Cogitanda: Giulia Gianni, Elisabetta Rapisarda, Giovanni Aversano Teatro: Chiara Cancellario, Chiara Gasperini Lifestyle: Chiara Sfregola, Cassandra Menga Unisex: Michela Petti, Alessandra Rey Calcio d’Angolo: Matteo Viola, Luigi Calisi Responsabili via Parenzo: Giulia Gianni, Renato Ibrido Delegato Fondi: Valeria Pelosi Responsabile 360° E20: Cristiano Sammarco Stampa: SGE Servizi Grafici Editoriali - Roma Grafica: Enrico A. Dicorato numero chiuso in redazione 25 Novembre 2008 Costi Carta: 250 euro Realizzazione grafica: 350 euro Lastre e allestimento: 450 euro Macchinari e battute: 450 euro Spedizione: 100 euro


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.46

Pagina 3

Per il mese di dicembre 360° ha deciso di regalare ai suoi lettori un numero “speciale”, speciali come quelli che proponiamo nelle rubriche di politica. Abbiamo deciso di dedicare “Speaker’s Corner” ai problemi del mondo universitario italiano, con in primo piano le riforme che riguardano le Università Statali e la seguente ondata di proteste, analizzando le reazioni dei diversi schieramenti politici e degli studenti, veri protagonisti degli avvenimenti che hanno riempito le pagine dei giornali degli ultimi due mesi, entrando nel merito della questione e sentendo la loro opinione. Riguardo la politica internazionale invece, lo spazio non poteva che essere riservato all’avvenimento che da più parti è stato definito come una “svolta storica”: la vittoria di Barack Obama, quarantaquattresimo inquilino della Casa Bianca e primo presidente di colore nella storia degli Stati Uniti d’America. Il peso storico di questo cambiamento non si limita al colore della pelle, ma è nelle idee innovative, nei progetti di un nuovo corso, nella speranza di un politica diversa. Abbiamo provato ad entrare nella testa degli americani motivando la loro scelta ed individuando le loro aspettative, con un occhio di riguardo anche alle reazioni del mondo politico italiano. Speciale è anche il focus dedicato dalla rubrica “Fuori dal Mondo” al Pakistan, questa terra antica e piena di contraddizioni, vista con gli occhi di un ragazzo pakistano che studia nel nostro ateneo. Ma non di sola politica vive il nostro giornale, per questo motivo ci siamo rivolti anche al panorama LUISS, in particolare alla sede di Via Parenzo, della quale abbiamo affrontato la difficile questione del servizio tutor, spesso ingiustamente criticato e troppo spesso ignorato dai ragazzi. Con l’aiuto delle Professoresse Borgia e De Donno, responsabili di questo servizio, e della Dottoressa Bianconi, coordinatrice, abbiamo chiesto ai ragazzi, tramite un questionario anonimo, le loro impressioni e il loro grado di soddisfazione. I risultati parlano da soli e sono consultabili nelle pagine seguenti, quello che ci sentiamo di dire, condividendo l’opinione espressa dalle due responsabili, è che il dato più sconfortante è la scarsa informazione che c’è a questo riguardo e lo scarso utilizzo da parte degli studenti della casella di posta elettronica @luiss, principale

mezzo di informazione dei tutor, controllata sporadicamente dal 42,5% degli intervistati e che il 24% considera poco utile. La logica conseguenza di questo fatto è che più della metà degli intervistati non abbia mai usufruito del suddetto servizio. Il problema sostanziale che emerge analizzando i dati è che non siamo neanche in grado di esprimere un giudizio sul servizio tutor, perché sulla base del campione utilizzato (ampiamente rappresentativo, ovvero 400 persone) solo il 2% ne usufruisce regolarmente, mentre il 64% mai e il 20% è andato dai tutor una sola volta. Se gli studenti non controllano la mail si privano di una serie di informazioni, che non riguardano solo il sistema tutor, ma anche di tutta un’altra serie di servizi messi a disposizione dal nostro ateneo, fossero anche le conferenze e i dibattiti. Non è possibile che un difetto di comunicazione vanifichi gli sforzi organizzativi relativi all’erogazione di determinati servizi. Rimandiamo per questi motivi la nostra valutazione sul sistema tutor e informiamo la dirigenza dello scarso utilizzo del servizio mail, fondamentale se sfruttato nella maniera corretta. Con questo editoriale intendiamo anche sensibilizzare gli studenti alla questione delle potenzialità dei servizi messi a disposizione dalla nostra Università, se i servizi ci sono e sono buoni, non utilizzandoli non li renderemo mai ottimi. La nostra speranza è quella di riproporre tra qualche mese il medesimo sondaggio a tutti gli studenti, sia di Via Parenzo che di Viale Romania, e di avere risultati più confortanti per quanto riguarda l’utilizzo dei mezzi informazione che la LUISS ci offre e quindi un campione di studenti che hanno effettivamente utilizzato il servizio tutor e che lo giudichino, positivamente o negativamente, con migliori parametri di valutazione e con maggior cognizione di causa. La redazione del 360° augura a tutti gli studenti Luiss, ai dirigenti, ai docenti, ai dipendenti e al personale di servizio, un buon Natale e un felice anno nuovo. Arrivederci a Marzo. Daniele Dalessandro dandal@hotmail.it Matteo Tebaldini matteo.teb@gmail.com

Editoriale - Novembre 2008

Un regalo “speciale”

3


Cosmoluiss - Novembre 2008

360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

4

03/12/2008

16.47

Pagina 4

Lavoro pubblico e privato: un mondo intero da cambiare Intervista a Pietro Ichino, docente di Diritto del Lavoro all’Università degli Studi di Milano e Senatore del Partito Democratico Partiamo dall’Università: crede che le riforme del governo siano davvero così radicali da giustificare il clima di tensione dell’ultimo mese? Non era affatto una riforma: all’origine era soltanto una serie di tagli, attuati senza alcun discernimento. Secondo il vecchio sistema: quello per cui l’unico modo per rendere accettabili i tagli era di attuarli in ugual misura per tutti. Oggi questo modo di procedere non è più accettabile: è ormai molto diffusa la convinzione che si può e si deve valutare e distinguere fra le strutture che funzionano bene e le altre. Lei pensa che la recente apertura che ha portato a una riduzione dei tagli e allo sblocco del turnover porti a una situazione più condivisibile? Quello che conta di più non è la riduzione dei tagli, ma l’introduzione nel sistema dei principi di valutazione indipendente, misurazione, benchmarking. Se questi principi si fossero già affermati e concretati in una capacità effettiva di valutazione, misurazione e comparazione fra strutture diverse, i tagli necessari avrebbero potuto essere attuati senza che l’efficienza del nostro sistema universitario avesse a soffrirne. Anzi, avrebbe persino potuto trarne vantaggio. Pubblica amministrazione: come giudica la battaglia del ministro Brunetta contro l’assenteismo abusivo? Giudico quell’iniziativa del ministro un po’ improvvisata; alcune misure da lui adottate sono sbagliate, perché penalizzano persone veramente malate; alcune altre misure sono inattuabili. Però Brunetta ha avuto il merito di focalizzare l’attenzione su di un fenomeno reale e gravemente negativo: il totale lassismo con cui le nostre amministrazioni pubbliche trattavano la questione. La riduzione delle assenze, negli ultimi mesi, c’è stata ed è stata di entità impressionante: il che vuol dire che in precedenza l’abuso c’era ed era diffusissimo. Crede davvero che sia la soluzione ai mali della pubblica amministrazione italiana? Certamente no: costringere i dipendenti pubblici a venire in ufficio, e costringerli a starci per tutto l’orario

di lavoro, con i“tornelli”, non basta per garantire che gli uffici siano efficienti. Per ottenere questo occorre costringere i dirigenti pubblici a riappropriarsi delle loro prerogative e a esercitarle, sotto pena della perdita del posto. Quali altri provvedimenti occorre dunque prendere, in questo ordine di idee? Torniamo al discorso iniziale: occorre introdurre nel sistema i principi della valutazione indipendente, della misurazione, del benchmarking, della trasparenza totale; e applicarli in modo rigoroso, in modo che a ogni dirigente possano essere fissati obiettivi precisi, specifici, misurabili. E in modo che l’opinione pubblica possa esserne costantemente informata, possa controllare e interloquire. A questa riforma è dedicato il disegno di legge del Pd, n. 746/2008, di cui sono primo firmatario (lo si può leggere nel mio sito: www.pietroichino.it). Sindacati: gli iscritti del maggior sindacato italiano,la CGIL , sono per più del 50% pensionati. Questo spiega molto del perché il 23 luglio 2007 è stato raggiunto un patto, tra governo Prodi e parti sociali, che tutto è meno che intergenerazionale. Tito Boeri, su lavoce.info, lo stesso giorno scrisse subito che “il sindacato deve fare un passo indietro, accettando di rivedere le regole della concertazione, lasciando un posto a tavola anche agli altri, a partire dai rappresentanti dei giovani”. Concorda? Concordo totalmente. Anche perché queste idee – in

particolare, la convinzione che la nostra generazione stia commettendo una gravissima ingiustizia nei confronti delle generazioni successive– Tito Boeri e io siamo venuti maturandole insieme, nel corso degli ultimi quindici anni. Caso Alitalia: come giudica il comportamento dei sindacati nella recente questione Alitalia? Sindacati e Governo hanno una comune responsabilità gravissima, nella vicenda Alitalia: quella di aver fatto fallire l’accordo con Air France-KLM, nel marzo scorso, in nome della difesa dell’“italianità” della compagnia di bandiera. Che sia stata una colossale sciocchezza, lo vediamo chiaramente oggi: nella italianissima “cordata” di CAI non c’è un solo imprenditore che abbia mai fatto volare un aereo; e la nuova Compagnia sopravvivrà soltanto se si integrerà con un grande vettore internazionale. Torneremo così al punto di partenza; ma ci torneremo avendo perso molto tempo e avendo sperperato, nel frattempo, risorse enormi. Giovani e mondo del lavoro: in un’intervista su l’Unità (25 febbraio 2008) lei ha dichiarato che c’è bisogno di “una nuova politica del lavoro diversa da quella della vecchia sinistra, aperta al contributo delle scienza sociali”.Come si dovrebbe riformare il mercato del lavoro per eliminare le discriminazioni a danno dei giovani? Penso a un grande patto tra imprenditori e lavoratori per ridisegnare il sistema di protezione del lavoro secondo il modello della flexicurity nord-europea. Poi, applicare il nuovo sistema per tutti i nuovi contratti che vengono stipulati, in modo che la riforma si compia gradualmente. È un discorso complesso, per il quale manca qui lo spazio: devo rinviare ancora al mio sito (www.pietroichino.it) e in particolare al mio saggio “Scenari di riforma del diritto (e del mercato) del lavoro”, che da lì può essere scaricato. Matteo Tebaldini matteo.teb@gmail.com

Cattedra di Gestione e valutazione delle risorse umane Prof. ANTONIO COCOZZA

SEMINARIDICONFRONTOCONIPROTAGONISTI Gestione del cambiamento ed innovazione tecnologica: la sfida del Web 2.0 • PAOLA FANELLI - DIRIGENTE BNL - GRUPPO BNP PARIBAS

06 -11-2008 ore 13:00-15:00 Viale Romania, 32 Aula 307A

Le politiche e i percorsi formativi a sostegno della gestione dei processi di mutamento nella pubblica amministrazione locale • CATHERINE TONINI – RESPONSABILE SETTORE FORMAZIONE CONSORZIO DEI COMUNI TRENTINI – PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

11 -12-2008 ore 13:00-15:00 Viale Romania, 32 Aula 307A

Coaching, valori e motivazione nelle politiche di gestione delle risorse umane • GIOVANNA D’ALESSIO – PRESIDENT INTERNATIONAL COACH FEDERATION (ICF)

02 -12-2008 ore 14:00-16:00 Viale Romania, 32 Aula 307A

Il tele lavoro: evoluzioni e prospettive in un’azienda di telecomunicazioni • ANTONELLA SARACENO – TELECOM ITALIA

16 -12-2008 ore 14:00-16:00 Viale Romania, 32 Aula 307A

Politiche di valutazione del personale e sistemi di incentivazione in un azienda innovativa: il caso Poste Italiane • RUGGERO PARROTTO – RESPONSABILE RELAZIONI INDUSTRIALI POSTE ITALIANE

09 -12-2008 ore 14:00-16:00 Viale Romania, 32 Aula 307A

Selezione e recruitment: una comparazione internazionale • ANNA BENINI – HUMAN RESOURCES MANAGER ALLERGAN

18 -12-2008 ore 13:00-15:00 Viale Romania, 32 Aula 307A

*La partecipazione ai seminari è aperta a tutti gli studenti e laureati LUISS


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.47

Pagina 5

Job Day – Professione e sviluppo

A LEZIONE CON I MANAGER Al via il ciclo di seminari della Cattedra di Gestione e Valutazione delle Risorse Umane della Facoltà di Scienze Politiche Recruitment, training, test psicoattitudinali, assessment group, compesation, e-learning: siamo sicuri di conoscere così bene questi termini che di qui a poco ci riguarderanno molto da vicino? Sono parole importanti con cui avrà a che fare, sia chi si accinge ad entrare nel mondo del lavoro, sia chi sceglierà di intraprendere, all’interno di aziende, organizzazioni e pubbliche amministrazioni, la carriera nell’area delle risorse umane. Un’ottima occasione per approfondire queste tematiche e confrontarci con esse, ci viene data dalla lungimiranza del Professor Antonio Cocozza all’interno del corso di Gestione e Valutazione delle Risorse Umane nella Facoltà di Scienze Politiche, portando avanti una serie di seminari in cui, autorevoli top manager provenienti da diverse realtà aziendali ed organizzative, hanno avviato un positivo confronto con gli studenti su tematiche manageriali innovative e di rilievo. Per una volta le lezioni smettono di essere semplici momenti di formazione d’aula e si trasformano in condivisione di esperienze e fruttuosi confronti in cui mettere a dura prova le conoscenze acquisite e la visione che si ha, spesso confusa, degli strumenti e delle politiche delle risorse umane. Web 2.0, recruitment, coaching, telelavoro, sistemi di valutazione: queste le principale issue affrontate all’interno dei seminari. Protagonisti e testimonianze di prestigiose imprese e Amministrazioni pubbliche, quali BNP Paribas, International Coach Federation, Poste Italiane, Provincia Autonoma di Trento, Telecom Italia e Allergan, hanno garantito la possibilità di saggiare come certe politiche e strumenti di direzione e sviluppo delle risorse umane, vengano affrontate con ottimi risultati, in sistemi organizzativi, così diversi tra loro. Il ciclo di seminari si è aperto il 6 Novembre con la testimonianza della Dott.ssa Paola Fanelli, Dirigente del Gruppo BNP Paribas, in cui si sono affrontate le diverse sfaccettature di un’importante sfida per l’impresa moderna: il web 2.0. In aula abbiamo scoperto come i social network negli ultimi anni stanno sconvolgendo i modelli di relazione tra gli utenti della rete, e, di conseguenza, anche le strategie aziendali di utilizzo del web. E non solo. Molti di questi nuovi strumenti di seconda generazione sul web, possono rivoluzionare il nostro modo di lavorare, progettare e fare formazione. Come sottolineato, infatti, dalla Dott.ssa Fanelli spesso“si commette l’errore di confondere il passaggio da una gestione del sapere all’interno dei sistemi organizzativi, secondo criteri precostituiti ed accettati in quanto tali, ad una che proviene dagli utenti/clienti, essi stessi generatori di contenuti, con il concetto di democrazia digitale.” In effetti quest’ultima è un’idea che si coniuga male con il concetto di impresa stessa e con le politiche che inevitabilmente devono essere gestite dall’interno, sebbene sempre più seguendo una logica proiettata verso il modello di impresa a rete. Alla luce di queste considerazioni, l’impresa è chiamata ad essere “always on” sempre connessa nei confronti di un cliente che è sempre più si trasforma in “prosumer”, cioè produttore e allo stesso tempo consumatore, di tutte quelle dinamiche che precedentemente riguardavano la sola realtà d’azienda. Caterina Galloppa 606962@luiss.it

da differenti angolazioni; a seguire, una serie di workshop in cui alcune figure professionali di rilievo illustreranno, in una serie di “tavoli”aperti all’interazione degli studenti, le caratteristiche del loro lavoro. Un’opportunità importante per apprendere quel know-how indispensabile per essere maggiormente competitivi sui mercati internazionali. Infine, sarà allestito uno spazio espositivo in cui numerose aziende operanti nell’ambito del terzo settore saranno presenti per potersi meglio presentare agli operatori e, soprattutto, per ascoltare le domande e raccogliere i curricula degli studenti interessati all’attività in questo campo. Si tratta, quindi, di un di job-day orientato ad una specifica area professionale. L’invito è quello di partecipare numerosi e, soprattutto, di munirsi di un proprio c.v. da poter presentare agli operatori. E’ un’occasione irripetibile: perché rinunciare? Gian Marco Milardi

Cosmoluiss - Novembre 2008

Il “Terzo settore”: se ne sente parlare spesso. Molti di noi avranno ascoltato più volte, nelle aule dell’università, alcuni tormentoni come “oggi gli impiegati nel terzo settore hanno superato di gran lunga quelli operanti nel primario e nel secondario”. Ma cos’è il terzo settore? Cosa fanno, in concreto, le ONG? Cosa intendiamo esattamente con gestione dei fondi strutturali? E con project management? La giornata “Professione e sviluppo”, prevista per il 12 dicembre presso il nostro Ateneo, nasce anche per rispondere a queste domande. Si tratta di un evento mai realizzato prima d’ora, organizzato dagli studenti di Scienze Politiche in collaborazione con l’amministrazione dell’università. È, in sostanza, un’occasione unica per potere conoscere meglio ed entrare in contatto con questa realtà. Il programma della giornata prevede tre momenti distinti. Al mattino, una tavola rotonda in cui docenti ed esperti del settore discuteranno su tematiche strettamente connesse con il ruolo del terzo settore nell’attuale panorama politico-economico, analizzato

5


Cosmoluiss - Novembre 2008

360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

6

03/12/2008

16.47

Pagina 6

COME TU(TOR) MI VUOI 360° chiede agli studenti della Facoltà di Giurisprudenza come valutano il servizio tutor Nel corso degli ultimi anni vi è stato Ad esse, è stata aggiunta QUESTIONARIO LUISS – Campione 400 Studenti un costante sforzo da parte dell’uuna domanda che poteva niversità per la realizzazione di un Come valuti il servizio tutor messo a disposizione dall’università? sembrare ai più fuori luogo: servizio di tutorato che accompa- ( 16 ) Ottimo 4% l’uso della mail box con gnasse gli studenti dal loro ingresso dominio @luiss. Da questo ( 62 ) Buono 15.5% all’università fino al momento della dato, che ci è apparso un po’ ( 57 ) Discreto 14% sconcertante, vorremo inilaurea. Scarso 23% ziare a presentare i risultati Il tutor è uno strumento previsto ( 94) Non lo so, mi è indifferente 41.5% di questo sondaggio. dalla legge (in particolare l’articolo ( 167 ) 13 della legge n. 341 del 1990) per È emerso, infatti, che circa un “rendere gli studenti attivamente Hai mai incontrato personalmente il tutor assegnatoti dall’università? quarto degli intervistati non partecipi del processo formativo, ( 8 ) Molte volte 2% acceda al proprio account rimuovere gli ostacoli ad una profi- ( 40 ) Alcune volte 10% personale, per verificare la cua frequenza dei corsi, anche ( 80 ) Una sola volta 20% presenza di eventuali comuattraverso iniziative rapportate alle ( 258 ) Mai 64% nicazioni dell’università, e necessità, alle attitudini ed alle esisolo il 27% ne faccia, invece, genze dei singoli”. Ovviamente, la un uso assiduo. nostra Luiss non poteva non otti- Hai avuto contatti con il tuo tutor tramite mail? Tra coloro che, al contrario, Molte volte 6% sporadicamente controllano mizzare questa previsione legislati- ( 24 ) ( 90 ) Alcune volte 23% va, rendendo agli studenti uno dei la propria casella di posta, Una sola volta 11% solo il 6% dichiara di aver pochi servizi tutor in Italia che ( 46 ) possa realmente garantire l’osser- ( 234 ) Mai 58% ricevuto numerose mail dal vanza delle direttive ministeriali, proprio tutor: i restanti oscilquali per esempio il rapporto di un In merito al servizio mail della Luiss, con quale frequenza utilizzi questo strumento? lano tra un numero limitato tutor ogni cinquanta studenti. ( 108 ) Controllo periodicamente la mia casella di posta Luiss 27% di contatti telematici a chi, D’altra parte, però, al progressivo ( 169 ) Effettuo qualche accesso sporadico 42.5% addirittura, dichiara di non miglioramento del servizio è corri( 97 ) Non apro la mia casella di posta Luiss o non credo 24% averne mai avuti. sposta, paradossalmente, una creA onor del vero, è importanvi sia qualche informazione importante scente diffidenza da parte degli te rilevare come più del 25% studenti, per un servizio che molti degli intervistati abbia chiadi loro non utilizzano o, peggio, del Le risposte che hai ricevuto dal tuo tutor, come sono state? rito come l’assenza di conPuntuali e precise 20.5% tatti col tutor sia dovuta a quale non conoscono l’importante ( 83 ) potenziale. In questi anni, lo stesso ( 65 ) Inconcludenti 17% una mancanza di necessità 360° ha spesso sottolineato come ( 34 ) Non hanno compreso il problema da me posto 8.5% di fruizione del servizio, ma questo servizio fosse come un aereo ( 107 ) Altro 26.5% permane un altro terzo che boeing (bellissimo e utilissimo), è, in media, rimasto insoddiche però rimaneva ancorato a terra, Se non sei stato soddisfatto dal servizio tutor, quali pensi che siano le cause? sfatto dal servizio. senza mai decollare… Non ho compreso il ruolo del tutor 17.5% Infatti, a fronte di più di Anche quest’anno la redazione è ( 70 ) ottanta intervistati che Il tutor non ha risposto alle mie aspettative 12% abbiano definito puntuali e stata attenta alle voci di una parte ( 48 ) Non ho mai avuto nessun tipo di contatto con il tutor 32% precise le risposte ricevute degli studenti, che esprimevano ( 128 ) ( 28 ) Aspettavo un intervento da parte del tutor che non è mai giunto 7% dal tutor, quasi lo stesso forti riserve sui propri tutor, deciAltro 10% numero di studenti ha defidendo di realizzare un questionario ( 37 ) che, distribuito tra gli studenti, nito il riscontro ottenuto potesse suggerire una realistica Dato media dispersione (fogli bianchi) 3% distante dalla richiesta effetdimensione dello status del servitivamente posta. zio. Il dato che più, però, ha colLa facoltà scelta per questo “esperipito chi ha analizzato il servimento” non poteva che essere quella cui, nell’ultimo numero dell’anno appena zio è stato il 17,5% di intervistati che ha dichiarato di non aver compreso quale sia trascorso, 360° aveva assegnato un bel 30 e Lode: la vecchia e cara Giurisprudenza. il ruolo del tutor: probabilmente l’insoddisfazione deriva in parte dalla presenza di Sono stati contattati, nell’intervallo delle lezioni, 400 studenti tra secondo e terzo un’aspettativa superiore alla realtà dello scopo perseguito dai tutor, ma rimane la anno, chiedendo loro di rispondere a un questionario sul servizio tutor: le doman- sensazione che tale servizio possa ancora compiere numerosi passi avanti, per far de spaziavano da una soggettiva valutazione complessiva al numero di contatti sì che anche quest’anno venga confermata la Lode alla presidenza di avuto col tutor, dal giudizio per le risposte ricevute alla richiesta di libere indicazio- Giurisprudenza! ni sul servizio.

Il sondaggio sul servizio tutor, i risultati e le interviste sono state curate da: Bruno Tripodi Enrico Canzonieri Giulia Giaimis Per qualsiasi commento e/o segnalazione in merito agli argomenti trattati, o altri aspetti della vita nella Facoltà di Giurisprudenza, potete scrivere a: mrbrown88@hotmail.com


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.48

Pagina 7

Intervista alla Prof.ssa Borgia e alla Prof.ssa De Donno responsabili del servizio tutor della Facoltà di Giurisprudenza I risultati del questionario sul servizio tutor hanno evidenziato risultati non univoci nelle valutazioni espresse dagli studenti: qual è il vostro personale commento di ciò che emerso dalla consultazione degli studenti? I dati, provenienti dalle indicazioni degli studenti, sono sempre utili per noi professori, qualunque sia il ruolo che ricopriamo all’interno dell’università, e l’analisi di essi è il miglior strumento per ottimizzare il lavoro della Facoltà. Specificatamente, un dato ci è apparso sconfortante ed è quello relativo a un così alto numero di studenti che non consulta la propria casella mail. Ciò, invero, vanifica una gran parte del lavoro svolto e diffonde un’informazione distorta di un servizio che, chi invece utilizza in tutte le proprie potenzialità, definisce soddisfacente. Dove possono essere, quindi, riscontrate le principali cause di una così netta differenza di risultati, anche all’interno dello stesso anno, o addirittura dello stesso corso? Come detto in precedenza, l’informazione è un’importantissima componente della riuscita del servizio tutor. In particolare, la mail è lo strumento più utilizzato dai tutor per contattare i propri studenti: se essi non controllano periodicamente la casella di posta, si precludono la possibilità di poter usufruire del servizio. D’altra parte vi è, inoltre, un alto numero di studenti che, pur accedendo sporadicamente alla mail box, non contattano il tutor a loro assegnato, non sentendone la necessità: anche qui interviene una informazione erronea tra gli studenti, che vorremmo sensibilizzare alla consapevolezza che il tutor non serve solo in caso di bisogno, ma anzi può essere un valore aggiunto che facilita la vita all’interno dell’ateneo, che va vissuto a 360°, utilizzando tutto ciò che l’università mette a disposizione. A ciò, si deve aggiungere che la mail dovrebbe essere solo propedeutica

ad un successivo e personale incontro con il proprio tutor, incontro che per noi costituisce, davvero, il momento più importante e qualificante del servizio. Qual è, invece, la vostra personale valutazione del servizio tutor? Noi riteniamo che il servizio messo a disposizione dall’università sia valido in molti suoi punti, soprattutto in ciò che è chiesto di fare ai tutor. Accade poi, e i risultati lo dimostrano, come non sempre il risultato ottenuto coincida con quello atteso: indubbiamente, c’è ancora da operare ai fini di potenziare e migliorare il servizio e, soprattutto, la puntualità e l’efficacia degli interventi dei singoli tutor. In questo senso, grande aiuto oltre che dai risultati del sondaggio, potrà essere dato dagli stessi studenti, i quali devono sempre esprimere le proprie sensazioni, esternare i propri suggerimenti e condividere le loro valutazioni con gli stessi professori. Solo in questo modo, attraverso una critica partecipata e costruttiva, sarà possibile arrivare a soluzioni efficienti e condivise. Quali sono, a questo punto, le misure che intendete assumere per far fronte alle indicazioni di quella parte di studenti non soddisfatta, così da rendere il servizio tutor uniforme nell’efficienza? Grazie a questo sondaggio, prendiamo atto di una situazione di cui avevamo una diversa percezione e, sicuramente, approfondiremo l’indagine tra gli studenti, riproponendo un questionario più articolato e specifico, diretto in particolare a coloro che usufruiscono del servizio e che, quindi, possono valutarlo nel suo complesso. Per tutti gli altri, attueremo una politica di sensibilizzazione alla fruizione degli strumenti offerti dall’università. Proprio su questo punto vorremmo concentrare i nostri sforzi, in modo che tutti utilizzino la propria mail, in modo da “sentire” l’università più vicina a loro.

A tu per Tutor La Dott.sa Bianconi, coordinatrice del servizio tutor della Facoltà di Giurisprudenza, traccia il profilo essenziale di questo servizio Il tutorato è un servizio reso da 47 tutors (+1 per gli studenti Erasmus), per la maggior parte laureati della nostra Facoltà, incaricati di prendersi cura degli studenti dall’inizio alla fine del loro percorso formativo universitario, ed eventualmente anche nella prima fase del post lauream. In concreto, ad ogni tutor vengono assegnati circa una cinquantina di studenti; tramite e-mail il tutor li contatta, gli comunica i propri recapiti (e-mail e telefono) e l’orario di ricevimento e li invita ad un primo incontro di reciproca presentazione. Generalmente, al primo incontro, il tutor fornisce alla matricola tutte le informazioni di cui può aver bisogno per orientarsi in questa nuova esperienza, illustrandogli l’ordinamento degli studi e le materie del 1° anno, la semestralizzazione degli insegnamenti, l’alternanza lezioni-esami, la durata della sessione di esami e il numero degli appelli, le modalità di prenotazione agli esami e lo svolgimento degli stessi, ecc. . Negli ultimi tre anni, si è cercato di assicurare questo

primo contatto, coinvolgendo tutti i tutors nell’accoglienza delle matricole durante la prima settimana di lezioni e, quest’anno, organizzando degli incontri ad hoc tra il tutor e i propri studenti già il secondo giorno. Peraltro, a prescindere da questo primo incontro, lo studente può rivolgersi al suo tutor in ogni momento, sia per avere informazioni pratiche, sia per chiedere consigli (ad esempio, sulla scelta dell’ordine con cui affrontare lo studio delle diverse materie o, quando sarà, sul piano di studi, sulla tesi di laurea o sui tirocini), contattando il tutor via e-mail o telefono ed eventualmente concordando un incontro al di fuori dell’orario di ricevimento fissato, qualora ci siano delle coincidenze con le lezioni. Il tutor, inoltre, provvede ad inoltrare via e-mail ai propri studenti tutte le comunicazioni ricevute dalla Facoltà e agevola (se serve) i rapporti con la segreteria studenti o con gli altri uffici dell’Università (Relazioni internazionali, Diritto allo studio, ecc.).

Pur non avendo competenze dirette in relazione alla didattica, il tutor – infine – può collaborare con lo studente nell’instaurazione di un proficuo rapporto con il corpo docente, ad esempio aiutandolo a contattare il singolo professore o i suoi collaboratori, sempre che lo studente non preferisca muoversi autonomamente (come accade il più delle volte). E’chiaro che poi, negli anni, il rapporto tra il tutor e i propri studenti si modellerà secondo le diverse esigenze e sensibilità: ci sarà chi contatterà il tutor solo per informazioni pratiche, chi avrà bisogno di un sostegno in un particolare momento di difficoltà e chi, invece, guarderà al tutor come ad una sorta di “fratello maggiore”, con cui intrattenersi periodicamente attraverso una piacevole chiacchierata ... Quest’ultima credo sia l’attitudine migliore se si vuole sfruttare appieno il servizio di tutorato offerto dalla Luiss e non trascurare una preziosa occasione di confronto con chi, al di là di tutto, “c’è già passato”!

Cosmoluiss - Novembre 2008

Ad maiora semper

7


Cosmoluiss - Novembre 2008

360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

8

03/12/2008

16.48

Pagina 8

Ecco a voi…i tutors! La coordinatrice dei tutors della facoltà di Scienze Politiche , Dott.ssa Rosalba Picerno , ci aiuta a fare un po’ di luce su queste figure… Al fine di ampliare l’inchiesta sul sistema tutor iniziata nella facoltà di Giurisprudenza, abbiamo analizzato anche quello che accade a Viale Romania, in particolare a Scienze Politiche. Gentile Dott.ssa Picerno, vorrebbe presentarsi agli studenti e soprattutto alle matricole , che ancora non conoscono la figura del coordinatore dei tutor? Certamente! Come hai detto tu, io sono – ormai da due anni – il coordinatore del servizio di tutorato triennale e magistrale della Facoltà di Scienze Politiche e il mio compito è quello di organizzare il lavoro di un gruppo di 21 tutors, facendo da raccordo tra gli Uffici dell’ateneo (Segreteria di presidenza e Segreteria studenti in primis) e ciascun tutor, per condividere informazioni utili agli studenti e per cercare di trasmettere il know-how necessario allo svolgimento delle mansioni di un tutor. Tra noi, poi, facciamo spesso riunioni organizzative, alle quali invitiamo il preside Baldini e la segreteria di Presidenza, la dott.ssa Capone e i rappresentati della segreteria studenti, il nucleo di valutazione e chiunque, di volta in volta, vada sentito per darci una mano a capire meglio come muoverci. Ti faccio un esempio: nella fase di implementazione della riforma Mussi, abbiamo avuto molte occasioni di incontro con il preside, i referenti degli uffici amministrativi, i vostri rappresentanti etc… per mettere a fuoco i problemi che derivavano da questa passaggio delicata e decidere come gestire al meglio la transizione. Chi è il tutor e quali sono le sue funzioni principali? Il tutor è una figura che accompagna ciascuno di voi, durante tutto il percorso universitario. Si tratta, chiaramente, di ex studenti della Luiss che, a vario titolo, collaborano con le cattedre della nostra Facoltà; li scegliamo tra coloro che hanno una buona conoscenza dell’ordinamento degli studi e dei servizi della Luiss, chiedendo loro di mettere la loro esperienza universitaria e il loro bagaglio di conoscenze al servizio degli studenti. Ogni studente ha un tutor sin dall’immatricolazione e può trovare tutti i riferimenti per contattarlo sul sito della Luiss e, da quest’anno, sulla

Guida dello studente di Scienze Politiche, che deve diventare la vostra Bibbia! L’ultima indagine sulla valutazione della qualità dei servizi della Luiss Guido Carli, ha evidenziato che solo il 19,5% degli intervistati (20,6% Scienze Politiche) si è rivolto ad un tutor. Secondo lei, perché gli studenti hanno un rapporto “difficile” con questa figura? Devo dirti che può anche accadere che uno studente concluda il suo percorso di studi, senza aver avuto mai bisogno di contattare il tutor, e questo è normale. Da ciò, però, non trarrei la conclusione che il rapporto è difficile. Direi piuttosto che spesso capita che i ragazzi si rivolgano ai propri colleghi più grandi, ai rappresentanti o, come succede nella maggior parte dei casi, che riescano a risolvere i propri dubbi, semplicemente andando al Front Office della segreteria studenti o ricavando le informazioni dal sito, che è sempre molto aggiornato. Che cosa direbbe a questi studenti per convincerli ad usufruire del servizio? A mio avviso, è auspicabile risolvere determinati problemi con il supporto del proprio tutor o del coordinatore: il “sentito dire” molte volte è fuorviante ed non permette che l’informazione venga veicolata nella maniera corretta. Consiglio sempre di rivolgersi al proprio tutor, che rimane il canale di informazione “ufficiale”, mentre i colleghi più grandi o i rappresentanti sono la strada per ottenere un consiglio in maniera amichevole: si tratta, in conclusione, di ruoli diversi ma assolutamente complementari. Quali sono le maggiori soddisfazioni che le da questo tipo di lavoro? Ce ne sono tante e nascono sempre dai successi, piccoli e grandi, che si riescono ad ottenere: mi riferisco alla soddisfazione che deriva dal vedere come molti ragazzi, spesso fuori corso, spesso demotivati e stanchi, con problemi più o meno seri, riescano a concludere il loro percorso di studi.

Chiara Orsini

LUISS CONTINUA AD ASCOLTARTI

A fine settembre il servizio Luiss Ti Ascolta ha riaperto i battenti dopo l’interruzione estiva. Il gran numero di studenti che ha preso contatto con lo sportello psicologico durante la fase sperimentale, da fine marzo a fine luglio, ha persuaso l’Università a prolungare l’esperienza di Luiss Ti Ascolta per l’intero Anno Accademico in corso. Un dato emerso molto presto in questa seconda fase del servizio gratuito di accoglienza e counseling è fonte di grande soddisfazione per noi psicologi di Luiss Ti Ascolta. Ci siamo resi conto che molti degli oltre 50 studenti che si sono rivolti a noi da settembre a oggi sono stati informati e motivati verso Luiss Ti Ascolta da amici e colleghi studenti, che a loro volta hanno preso contatto con il servizio. L’emergere di un canale di trasmissione delle informazioni di tipo passaparola, ancor più degli indici numerici sull’affluenza, ci induce a pensare che quello tra Luiss Ti Ascolta e il corpo studentesco della Luiss sia stato un “buon incontro”. La diffusione di informazioni sul servizio e i suoi obiettivi – coordinata dal Ufficio Studi Statistiche e Affari Generali – è stato un ingrediente essenziale nel far convergere l’offerta e la domanda di ascolto psicologico. In linea con le finalità e lo spirito che hanno accompagnato la nascita di LuissTi Ascolta, è emersa da parte degli studenti Luiss una variegata domanda di supporto psicologico, legata al desiderio e alle difficoltà di riavviare il percorso universitario o a emergenze personali che, pur non incidendo direttamente sul rendimento negli studi, possono rappresentare un momento di problematico. Il servizio è organizzato, nel pieno rispetto della privacy, su un numero minimo di tre colloqui che danno corpo alla fase di accoglimento. Obiettivi specifici di questo breve percorso sono quelli della conoscenza reciproca e l’e-

sposizione di quanto ha motivato il contatto con Luiss Ti Ascolta, che deve essere effettuato in prima persona dallo studente al numero di telefono o all’indirizzo di posta elettronica reperibili sul sito dell’Università e su locandine e volantini del servizio. La fase di accoglimento è un momento cruciale anche per valutare con lo studente un eventuale supporto psicologico successivo ai tre colloqui preliminari. In alternativa, lo studente può contare sullo psicologo nella ricerca di quali siano, all’interno o all’esterno dell’Università, le figure professionali che possano fornire, sul piano psicologico e/o formativo, un ulteriore supporto a un momento di difficoltà. Abbiamo rilevato come gli studenti che si sono rivolti a Luiss Ti Ascolta abbiano compreso i“confini”del servizio offerto. E’ emersa la consapevolezza che, sebbene non sia possibile una vera e propria psicoterapia in un servizio universitario, la condivisione di un disagio e l’attivazione di un pensiero sulla strada per superarlo possa essere un momento di promozione del benessere e un aiuto per prendersi cura di sé. Per maggiori informazioni o per prendere un appuntamento contattare:

Tel. 3405135054 luisstiascolta@luiss.it


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.49

Pagina 9

CRISI ALITALIA:CAUSE E SOLUZIONI Che necessità ha uno stato di avere una propria compagnia di bandiera? Non tutti gli Stati posseggono una compagnia di bandiera. Lo Stato interviene nella proprietà di società delle compagnie quando ritiene che ci sia un interesse pubblico a presidiare le modalità di erogazione del servizio di trasporto aereo. La compagnia offre un servizio alla collettività, pertanto può avere un senso che lo Stato sia socio di una compagnia di bandiera. La questione più importante è che, qualora lo Stato decida di assumere un ruolo imprenditoriale, lo faccia esclusivamente a tutela del servizio pubblico alla collettività: diventa uno Stato imprenditore che deve giocare con le regole dell’imprenditoria. E' recente la notizia dell’accettazione del piano CAI da parte di Scajola (il cosiddetto piano Fenice). Quali sono le prospettive future di questo piano? Il piano Fenice trova la sua minaccia principale nel fatto che il settore è in un momento di grave difficoltà e di alta intensità concorrenziale. Un fattore critico di successo per le compagnie aeree sta diventando la dimensione: c'è stata un’ondata di acquisizioni e di concentrazione di aziende su tutto lo scenario internazionale. Un possibile problema per la CAI è quindi la dimensione piuttosto ridotta, tenendo anche conto che hanno dovuto ridurre il panorama di rotte servito. CAI ha però il vantaggio di nascere dall’integrazione con l’ altro grande operatore aereo italiano, l’Airone: senza questa grande acquisizione sarebbe stato probabilmente impossibile tenere in piedi la società. Ciò non toglie che serva anche un partner con cui poter realizzare delle sinergie in scala più

ampia. Le prospettive,quindi, sono buone, ma ci vuole chiaramente una gestione imprenditoriale molto accorta perché il settore è estremamente competitivo. Nelle varie trattative dell’anno in corso, la politica ha svolto un ruolo fondamentale, forse più di quello che le compete. E’ stato questo un danno per la società? La politica ha svolto un ruolo troppo pervasivo in Alitalia negli ultimi vent’anni, il problema vero è quello. Quest’anno non ha certo giocato favorevolmente lo stop-and-go dovuto al cambio di governo e le diverse idee che le opposte compagini di governo avevano sul salvataggio della compagnia. Ciò ha ulteriormente procrastinato la soluzione e con essa le perdite. La compagnia a proprietà nazionale è una cosa che ha un suo valore e non va del tutto trascurata, ma è mancata una compagine imprenditoriale seria che la potesse rilanciare al momento opportuno: la cosa migliore sarebbe stata che si fosse formata, insieme con una compagnia estera come ad esempio l’Air France, in una fase precedente. Ormai giunti alla fase d’emergenza, le scelte della politica non hanno certo favorito una soluzione rapida della questione ed il tempo non è passato a costo zero. L’importante è che ciò contribuisca in maniera duratura agli investimenti infrastrutturali a beneficio dell’economia italiana. Secondo lei la causa della crisi, è attribuibile maggiormente alla politica clientelare di assunzioni, oppure ad un management poco lungimirante? La crisi è dovuta fondamentalmente al fraintendi-

mento di fondo sull’ intervento dello Stato quando partecipa a società che operano sul mercato libero. Si torna così alla prima domanda: se lo stato fa l’imprenditore, lo deve fare attenendosi alle regole dell’imprenditoria e del mercato. Così non è stato, a tutti i livelli, da quelli più bassi del personale operativo dove logiche clientelari e sindacali hanno condotto ad assunzioni con criteri non strettamente imprenditoriali, a quelli più alti, del top management. Stagioni politiche che si sono avvicendate l’una sull’ altra e che hanno probabilmente peggiorato inesorabilmente il problema, senza che il management riuscisse ad incidere realmente sulla situazione. Basti pensare che, nelle negoziazioni, i sindacati pretendevano la presenza del Governo (sapendo che esso avrebbe di fatto scavalcato il management). Quali potrebbero essere secondo lei le soluzioni al problema: crede che potrebbe essere meglio cedere Alitalia ad una compagnia straniera? Io credo sia utile, in determinate situazioni, che il Governo di un Paese possa avere il controllo su alcune delle più importanti aziende nazionali. Questo è indubbiamente un punto di forza per il paese, ma ciò non deve avvenire a scapito delle regole dell’imprenditorialità. Quindi, ben venga se si può evitare un controllo straniero su Alitalia, alla condizione che si trovi una compagine imprenditoriale che riesca a fare di Alitalia una compagnia sana e competitiva sul mercato, altrimenti meglio una compagnia competitiva e straniera, piuttosto che italiana e morta. Francesco Sbocchi

BUSINESSALTERNATIVI:CACCIAALLEBIOENERGIE “La preoccupazione dell’uomo e del suo destino devono sempre costituire l’interesse principale di tutti gli sforzi tecnici”, devono essere i motivi ispiratori alla base di quella continua evoluzione, ravvisabile in un miglioramento della condizione umana, che conduce a nuovi e sempre più importanti traguardi. Traguardi questi, che devono, una volta raggiunti, necessariamente essere applicati concretamente. Quanto più gli uomini riescono a scorgere nuove strade affinché“tutti i vantaggi di una tecnologia diventino per tutti”, allora il progresso può dirsi realizzato. Ciò può avvenire solo tramite una sinergia continua tra le scienze, anche tra quelle apparentemente più diverse. Lo scenario“ambientale”attuale ne è la dimostrazione più autentica e valida. I giornali ne sono pieni, la televisione ed internet ci tempestano di messaggi atti a supportare la tesi secondo cui il petrolio è destinato a terminare. L’immagine collettiva dell’umanità che “sguazza” in pozze dell’oro nero è destinata a svanire nel prossimo futuro. Le riserve del prezioso combustibile non sono illimitate, potrebbero nel giro di pochi decenni diventare così scarse da far piombare la società nel panico totale. Il futuro dell’energia, perciò, non è più nel colore nero del petrolio: si tinge del verde delle risorse energetiche derivanti dall’attività agricola e del blu dell’atmosfera e dell’acqua. La “corsa” a tali risorse alternative e non inquinanti, sempre più in disputa, vede issare sul podio le bandiere dei Paesi emergenti nel panorama economico mondiale (cosiddetti Brics: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Il settore energetico risulta quanto più strategico, tanto da far gola a molte delle imprese più conosciute nel settore delle nuove tecnologie, che si stanno preparando ad investire cifre che si avvicinano ai 9,6 miliardi di dollari nell’arco dei prossimi tre anni. Business, questi, che, secondo le stime di sviluppo del settore, sembrerebbero altamente profittevoli tanto che sui mercati internazionali sono già presenti titoli a medio-lungo termine per progetti di sviluppo alquanto interessanti. Investire in nuove scoperte scientifiche, denota nei “fiduciosi” ottime capacità di previsione, come quelle di coloro che hanno già puntato l’attenzione sul“fungo-diesel”, un organismo endofita di recente rinvenimento nella foresta pluviale della Patagonia ad opera di Gary

Strobel, scienziato di nazionalità americana. Il Gliocladium roseum si nutre di cellulosa dell’albero su cui vive e produce una miscela di vari idrocarburi, il biofuel sottoforma di vapori, facile da estrarre ed immagazzinare, efficiente, pulito ed utile ad alimentare un motore, senza ulteriori trasformazioni. Si prospetta che il fungo-diesel fornirà una soddisfazione dell’8% della domanda globale di carburanti entro il 2030, ma questa non è l’unica fonte “verde” disponibile. Si pensi all’interesse verso i materiali lignocellulosi, nuova frontiera delle risorse a basso impatto ambientale. Sono già attuali, ma non sempre efficienti, progetti di sfruttamento dell’energia eolica ed idroelettrica. Un investimento intensivo, ad esempio, sulla diffusione delle automobili ad idrogeno, non ancora attuata se non per qualche caso sporadico, comporterebbe sì dei costi iniziali elevati, ma questi sarebbero recuperabili grazie ad una forte ed incisiva campagna di sensibilizzazione alle tematiche ambientali. Così come è accaduto nello stato di Israele, dove è avvenuta una vera e propria rivoluzione attuata dal gruppo Apc che ha installato nel deserto del Negev pannelli solari in grado di soddisfare almeno dal 20% al 40% del fabbisogno nazionale, una percentuale elevata se si pensa che la maggior parte delle energie, petrolio e gas, provengono da governi ostili ad Israele. I Paesi che riusciranno a sfruttare al meglio tali fonti energetiche alternative, riuscendo a realizzarne dei business fruttiferi, sono quelli che acquisiranno una posizione di rilievo sul piano internazionale, riuscendo anche a ribaltare quello che oggi appare come un equilibrio abbastanza precario. Viene da chiedersi come mai tutto ciò non sia già avvenuto. Non sono forse anni che il pianeta Terra grida, invano, aiuto? “Credere al progresso non significa credere che un progresso ci sia già stato”, l’importante è che sia insito nelle coscienze “l’universale desiderio di vivere meglio”, tale da risultare già in atto un inarrestabile meccanismo di cambiamento. Rosa Santelia

Cosmoluiss - Novembre 2008

Discussione sul possibile salvataggio della compagnia col Prof. Tiscini, docente di Introduction to business economic presso la LUISS

9


Speaker’s Corner - Novembre 2008

360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

10

03/12/2008

16.49

Pagina 10

IN ONDA

Intervista a Mauro Grella, studente del secondo anno di scienze politiche alla Luiss. “Siamo l’onda che vi travolge” recitava ieri lo striscione del concerto tenutosi alla Sapienza. “Siamo in onda”. Dopo settimane di intensa mobilitazione, che hanno visto la partecipazione di migliaia di studenti e precari di tutte le università, ti senti travolto dall’Onda? Si. E’ riuscita a rendere partecipi molte persone, anche chi prima era lontano dall’impegno sociale, dall’interesse verso il bene comune. Io non sono mai stato estraneo a questo, ma mi sono sentito particolarmente coinvolto negli argomenti a sostegno della protesta. In quanto studente di un’università privata, in che modo ti senti toccato? Proprio in quanto cittadino della Repubblica Italiana: il movimento porta avanti istanze che riguardano l’interesse di tutti perché l’istruzione riguarda ogni sfera della società. Mi sento toccato in quanto ragazzo che vede i suoi coetanei in difficoltà nel credere nelle proprie prospettive future. Mi travolge un senso di amarezza che mi fa sentire vicino al movimento anche se non appartengo all’Università pubblica. Dunque di fronte alla possibilità di trasformare gli atenei in “fondazioni di diritto privato” qual è il tuo punto di vista? Credo che questo sia un tema poco chiaro e che dovrebbe essere più approfondito. Se il Governo stesso ha affermato che è necessario un graduale processo normativo è perché su questo punto le proteste hanno insistito molto. Ad oggi lo vedo solo come un gesto di abbandono dell’Università da parte dello Stato, nella traccia di una politica che vuole privare sempre più del supporto statale i pubblici servizi. In generale credo che il progetto di taglio, che è alla base di questa “possibilità”, non sia finalizzato a una vera riforma. Quindi pensi che non ci sia una matrice ideologica dietro la logica dei tagli? Se c’è una matrice è comunque schiava della situazione del Paese che forza un risanamento dei conti e degli sprechi. Se poi il risanamento è fatto a spese dell’Università a cui tolgono fondi senza pretendere il mantenimento dei controlli fiscali precedentemente fruttuosi, si può intravedere una matrice di stampo liberale che tende a salvaguardare l’industria e il mercato a discapito delle sfere pubbliche della società. La parola d’ordine che ha viaggiato con la rapidità della propagazione delle onde “Noi la crisi non la paghiamo”, è l’espressione del completo rifiuto di pagare i costi della crisi globale. Come pensi sia possibile coniugare questo momento di crisi con un nuovo modello di università in cui investire? Innanzitutto credo che uno dei principali obiettivi di un Governo che tiene alla crescita del paese sia di rendere l’Università libera dalla dicotomia stato–mercato. Questo primo taglio che ha dato il via alle proteste è invece finalizzato alle manovre economiche

di risanamento del debito pubblico e di risposta alla crisi, quando bisognerebbe preservare e rendere impermeabili ambiti come la sanità e l’istruzione dagli errori fisiologici del mercato libero. Da più parti l’onda studentesca è stata accusata di voler solo distruggere e non costruire. Un reale tentativo di “costruzione” è stato fatto nell’assemblea plenaria del 15 e 16 novembre alla Sapienza. Credi nella possibilità di un autoriforma? Credo che le riforme debbano essere fatte da chi è pagato per questo, da chi ha le competenze per farlo. Ma anche debbano essere frutto di un lungo dialogo con i rappresentanti delle categorie da “riformare”, cercando il massimo consenso da parte di queste. Il confronto è alla base del principio democratico. Quello che sta succedendo contribuisce a promuovere il dialogo, a costruire la possibilità di lavorare insieme a chi è preposto a fare le riforme ed è giusto che gli studenti pretendano che il loro lavoro venga preso seriamente in considerazione. Apolitico, apartitico, antifascista o… nuovo sessantotto? Come ti senti di definire l’onda? Non come il nuovo sessantotto, come qualcuno frettolosamente l’ha voluto etichettare forse per suscitare diffidenza nell’opinione pubblica, per richiamare alla violenza di allora che, a parte provocazioni esterne, non è propria di questo movimento. Quest’onda non è apolitica, ma apartitica. Nessuno chiede il voto politico né l’appoggio di partiti. Ma fare quello che stanno facendo centinaia di migliaia di ragazzi, portare avanti una linea concreta, sacrificare il tempo libero, avere il mal di schiena a forza di dormire sul pavimento, esserci senza nessuna bandiera, questa è politica.

Marta Vigneri


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.49

Pagina 11

Dirigente provinciale di Azione Universitaria Roma Sei favorevole alla legge 133? “Sono favorevole, ma non del tutto. E’necessaria una riforma strutturale dell’ università: c’è un’ inflazione delle lauree. Tanti laureati fanno lavori che potrebbero fare anche con un diploma e infatti ho sempre proposto il numero chiuso in tutte le facoltà. Purtroppo i tagli sono necessari; viviamo in un contesto nel quale è difficile reperire i fondi, siamo nel mezzo di una crisi economica.” Se tagli l’Istruzione e la Ricerca potresti avere un effetto boomerang. Obama annuncia grandi finanziamenti all’ Istruzione, proprio per rilanciare gli States. “E’ da chiarire che non si taglia sulla ricerca, questa è una mistificazione di una determinata parte degli studenti..non voglio classificarli politicamente.. per usare un termine politologico lo chiamerei "un gruppo di interesse" In questa maniera non viene bloccata la ricerca di base, come dice il nobel Carlo Rubbia? “Non sono d’accordo; il criterio da utilizzare è l’efficienza. Ci sono delle punte di ricerca che vanno valorizzate mentre altre sono solo uno stipendio per chi doveva prenderlo.” Come cammina una macchina che già non cammina più togliendole la benzina che le è rimasta? “Il paragone non mi sembra azzeccato. Questa mac-

china consuma un po’ troppo per quello che rende.” I dati Ocse dicono il contrario. Per lo studente italiano vengono spesi 5400 $, mentre in media nell’Ue la spesa è di 8400 $. “A mio parere questi dati non dicono niente da soli. Bisogna bilanciare e rapportare la spesa all’esigenza di ogni specifico Stato.” Si tratta di una politica d’istruzione o di tagli? Perché si associano i tagli alla meritocrazia? “Ai tagli deve seguire una riforma dell’istruzione. Bisogna tagliare questi sprechi spalmando l’operazione in quattro anni. Solo dopo che gli sprechi verranno eliminati si potrà procedere alla riforma della Scuola e dell’Università.” Pensi che il grembiulino, o il 7 in condotta cambino il modo di insegnare? O che i tagli spezzi-

no i baronati? “Credo nel criterio dell’efficienza; Anche a scuola: solo chi vuole studiare dovrebbe studiare; gli altri sono solo un problema per chi vuole realmente imparare. Basta farsi un giro su internet per rendersi conto di cosa succede nelle classi. Bisogna rialzare il livello della nostra Scuola come anche dell’Università e i tagli preparano il terreno ad una riforma strutturale che riporti serietà e meritocrazia”. Il tuo punto di vista da esponente e rappresentante di Azione Universitaria. “Siamo favorevoli come movimento a queste azioni di tagli perché è una misura di razionalizzazione degli investimenti. Ma siamo in parte contrari perché auspichiamo una riforma del sistema universitario. Inoltre critichiamo chi difende lo status quo dell’università, come alcuni movimenti di sinistra che rifiutano ogni forma di dialogo con il Ministro”. Un’ultima domanda. Cosa ne pensi delle classi “ponte” delle elementari? La Littizzetto dice che possiamo stare tranquilli perché tanto in Italia quando si parla di ponte non si combina mai niente.. “Invece penso, al di là delle strumentalizzazioni che sono state fatte dall’opposizione, che rappresentino una opportunità reale, un mezzo utile all’integrazione dei bambini stranieri che non parlano l’italiano”. Bianca Laterza

Cosa va in onda? Ma soprattutto, che cos’è “l’onda”? Credo che un’analisi lucida dei fatti della società sia possibile solo a posteriori: tentativi di comprensione avventati potrebbero rivelarsi infruttuosi. È dunque molto difficile definire e cogliere a fondo il significato de “l’onda”studentesca, ancora in moto. Ho cercato di farmi un’idea quanto meno coerente sul movimento studentesco del 2008, se così si può chiamare, ma non ci sono riuscito. Ci sono stato alla “Sapienza”, ho marciato anche in qualche corteo, ho partecipato ai dibattiti qui in LUISS, ma purtroppo ciò di cui dispongo per questo pezzo sono solo alcune constatazioni, magari tra loro anche discordanti. Sulla scorta di quanto letto e quanto visto, permettetemi comunque un primo riscontro:“l’onda”non ha una connotazione ben precisa dal punto di vista politico e, se da un lato rivendica a gran voce una presunta apoliticità, dall’altro vede schierati in campo, accanto a componenti più moderate, gli estremismi di sinistra e quelli di destra. Ebbene sì, anche i ragazzi di destra sono scesi in piazza, certo non sempre al fianco degli antagonisti. Gli scontri, infatti, non sono mancati, ma sembra proprio che non solo a livello universitario si stiano cercando punti di accordo tra i collettivi e i gruppi di estrema destra, ma, da un po’di tempo, anche tra gli studenti delle superiori. Sono veramente interessanti gli sforzi compiuti da entrambe le parti per trovare dei motivi di alleanza per combattere un “nemico comune”, ma molto più importante è rendersi conto della graduale ribalta dei movimenti di estrema destra nell’ambito delle dinamiche politiche studentesche e dell’infiltrazione degli stessi in avvenimenti – come le manifestazioni degli universitari, appunto – solitamente gestiti se non monopolizzati dai gruppi di sinistra. Col tempo il neo-movimento studentesco ha assunto le forme di “onda antifascista”: giustissimo, siamo tutti antifascisti (si spera); ai miei occhi, però, questa evoluzione è parsa un tentativo da parte della sinistra studentesca di riprendere in mano la situazione. Parlare di apoliticità del movimento, a questo punto, mi sembra azzardato. Forse in origine il movimento apolitico

lo è stato davvero ( tutti ricordiamo già con un po’ di nostalgia lo slogan “né rossi né neri, ma liberi pensieri”). Ciò nonostante resta ferma la sostanziale apartiticità de “l’onda”: nessun partito è riuscito a cavalcarla e strumentalizzarla, preservando così lo spirito del fenomeno da una inevitabile corruzione. Ma che cos’è che sta andando in onda, allora? Le proposte del movimento, fino a qualche giorno fa, campeggiavano sugli striscioni nelle piazze e nelle università. Il 15 e il 16 Novembre alla“Sapienza”queste hanno assunto una forma più articolata all’interno di un progetto di autoriforma dell’Università italiana. Nei workshop in cui tale progetto è stato redatto sono stati toccati punti caldi come la didattica, la ricerca, il diritto allo studio, e tanto si è parlato di abolizione del numero chiuso, bocciatura del 3+2 e del sistema dei crediti. Molte idee sono davvero valide, altre lo sono di meno. O meglio, sono opinabili perché gettano un’ ombra su quella che è la rivendicazione centrale di tutta la protesta studentesca: la meritocrazia. Nel ’68 le lotte degli studenti erano volte all’abbattimento di un sistema scolastico e universitario che basava la propria ferrea selettività sul classismo, che non favoriva la mobilità sociale e che impediva, dunque, una sostanziale uguaglianza. Si contestava un concetto sbagliato di meritocrazia che portava a una difesa oltranzista degli interessi delle élites perché considerava l’appartenenza a queste un merito. La lotta verteva sulla richiesta di una scuola inclusiva, in cui realizzare l’emancipazione delle classi proletarie. Oggi gli studenti protestano per la qualità dell’istruzione e per il timore che possa riemergere il concetto della “vecchia meritocrazia” che renderebbe tragica una visione già abbastanza inquietante della vita futura nel mercato del lavoro. Oggi tutti, governo incluso, vogliono la meritocrazia, quella che premia i capaci di ogni estrazione sociale. Le divergenze, piuttosto, si aprono sugli strumenti con cui realizzarla. Nicola Del Medico

Speaker’s Corner - Novembre 2008

Intervista a Daniele Basili

11


Speaker’s Corner - Novembre 2008

360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

12

03/12/2008

16.49

Pagina 12

TORNARE AI LIBERI PENSIERI Dopo quello a cui abbiamo assistito in piazza Navona mercoledì 29 ottobre, alla vigilia della grande manifestazione nazionale promossa dalla Cgil contro i provvedimenti del governo in materia di riforma scolastica e tagli di risorse da destinare alle università, credo sia opportuno fare un’attenta riflessione. E condurla partendo dai fatti. Non voglio prestarmi a facili polemiche, che in un solo caso avrebbero ragione di sorgere: una discussione impostata su vuote contrapposizioni ideologiche per comprendere le ragioni e gli scopi di una protesta a dir poco eterogenea. Non voglio soffermarmi sull’esercizio (inopportuno in questa sede) del“chi ha cominciato”; a questo si stanno dedicando gli inquirenti per individuare le origini della scintilla da cui è divampato l’incendio. Potrei anche commentare l’inaspettata irruzione presso gli studi Rai della storica sede di via Teulada ad opera di un manipolo di estremisti neofascisti - peraltro, alcuni di essi vigliaccamente incappucciati - contro la messa in onda di un video sui medesimi scontri. Potrei farlo... ma mi astengo. La mia riflessione, ribadisco, si concentra sull’accaduto: uno scontro violento tra manifestanti di opposti orientamenti politici, sicuramente provocata - anche questo è un fatto - da qualche irresponsabile. Penso che sia ancora più grave, al di là delle modalità con cui viene condotta una protesta e all’opportunità delle stesse, l’aver perso un’ottima occasione, un’occasione importante, quasi irripetibile, che avrebbe rappresentato per noi, giovani studenti partecipi e consapevoli, figli di una

saggia società civile, un atto di maturità politica ed un’eloquente dimostrazione di crescita: essere capaci di abbandonare, almeno per una sola mattinata, gli schemi, i pregiudizi, le diffidenze, le vuote contrapposizioni e unirsi pacificamente in un corteo di forte ma rispettoso dissenso; a suggellare questa intesa a dir poco perfetta, uno slogan impeccabile, significativo, bellissimo: né rossi, né neri ma liberi pensieri; quei pensieri che aiutano a crescere nel dibattito costruttivo, nel confronto aperto e leale, nella discussione condotta con fermezza e onestà senza cedere alla tentazione di imporre “il proprio” sempre e

comunque. Ecco, io credo che sia dovere di tutti gli studenti, nella prospettiva delle future proteste contro provvedimenti governativi che possano indebolire l’istruzione e la ricerca pubbliche, di tornare al senso e al messaggio di quello slogan, di unirsi nuovamente in un clima pacifico e proficuo, ma senza ripetere l’imperdonabile errore di piazza Navona. Dopo esserci lasciati alle spalle la fase più turbolenta delle proteste, viene da pensare che quasi tutte le associazioni studentesche, in risposta alle decisioni assunte dal governo circa l’opportunità di operare consistenti tagli di risorse al sistema universitario italiano, abbiano compreso l’opportunità di unirsi, di cooperare, di promuovere un progetto comune. Senza esagerare, non c’è stato governo che sia sfuggito alle rimostranze di una categoria sociale fondamentale qual è quella degli studenti; e, al tempo stesso, non c’è stata legge, riforma o decreto che siano stati accettati placidamente dai destinatari delle decisioni previste, in quanto ogni provvedimento - come ogni atto politico - accontentando alcuni, sfavoriva altri. Pertanto, se in questa occasione si è riusciti a convergere per la prima volta sull’unicità di un punto comune, potremmo considerare il timido risultato ottenuto come un piccolo successo. Continuare sulla stessa strada è il nostro principale dovere. Antonio Bonanata

Chi ha paura del Maestro Unico? 14 Novembre 2008, manifestazione contro la riforma della scuola voluta dal Ministro della Pubblica Istruzione Gelmini: i sindacati si dividono. L’astensione allo sciopero nazionale di Cisl e Uil e la propensione al dialogo con il governo, mostrano che il famoso Decreto Legislativo 137 di riforma della pubblica istruzione non può considerarsi del tutto negativo. La riforma Gelmini è direttamente collegata con il progetto del Ministro per la Pubblica Amministrazione e dell’Innovazione Brunetta, di apportare tagli alla spesa pubblica e prevede, inoltre, numerose modifiche al sistema scolastico. Al centro della riforma Gelmini vi è il ripristino del modello dell’insegnante unico nella scuola primaria, decisione aspramente contestata dai partiti dell’opposizione. Il centrosinistra sostiene che tale manovra riduca sensibilmente il numero di posti di lavoro e danneggi in particolare la scuola elementare, punto di forza dell’istruzione italiana. Bisogna ricordare che il maestro unico è stato presente in Italia sino al 1990, anno in cui, nel sesto governo Andreotti, si passò al modulo formato da tre maestri per classe. Tale decisione fu fortemente voluta dal Pci e da parte della Dc, che ritenevano la riforma necessaria

per il miglioramento della formazione degli alunni, e dai sindacati, dotati di un potere politico molto forte in quel periodo. Già allora l’approvazione della riforma non ebbe vita facile poiché diversi esponenti di centrosinistra sostennero che l’aumento dei docenti avrebbe aumentato i costi senza un corrispondente aumento della qualità dell’insegnamento. In realtà sia la riforma del 1990 che la riforma Gelmini, hanno alla base delle motivazioni prettamente politiche, non pedagogiche. Prova ne è che la qualità della scuola primaria è diminuita e l’Italia, ai primi posti in Europa negli anni ’70-‘80, ora vanta un livello d’insegnamento tutt’altro che eccelso. In una fase di recessione economica come quella che stiamo vivendo, non si può considerare un errore tentare di ridurre i costi di un settore che, in Italia, è al primo posto in termini di sprechi. Se si considera che il 97% della spesa della scuola pubblica è costituito da stipendi, perché ribellarsi se per migliorare il servizio e per ridurre i costi si elimina il personale in esubero? E inoltre, riducendo il numero di docenti si può iniziare a parlare, in termini concreti, di meritocrazia nel comparto pubblico. Il Ministro Gelmini ha assicurato, infatti, che il 30% dei tagli verrà reinvestito per incentivare i professori produttivi attraverso dei premi correlati alla produttività, perseguendo in tal modo l’obiettivo di rimuovere i“fannulloni” dalle istituzioni pubbliche tanto voluto dal Ministro Brunetta. La riforma Gelmini, d’altronde, ha trovato tra i suoi sostenitori Luigi Berlinguer, ex ministro della pubblica istruzione dal 1996 al 2000, che cercò di proporre una riforma che introduceva il merit system tra i docenti, e che ebbe critiche talmente aspre da tutta la sinistra, che fu costretto a dimettersi poco dopo. Purtroppo in Italia parlare di meritocrazia e di valutazione delle capacità personali continuerà ad essere impossibile se l’efficienza nell’istituzione pubblica continuerà a non essere un obiettivo perseguito da politici troppo spaventati di perdere la poltrona. Come può un paese investire sui giovani se gli stessi vengono istruiti e formati da personale docente non all’altezza del compito? Il buonismo e l’esclusiva attenzione al consenso elettorale hanno fatto si che la scuola italiana venisse affossata. Forse questo è il momento giusto per cambiare finalmente le cose, e per far tornare la pubblica istruzione italiana agli ottimi livelli passati. Alberto Sergi


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.50

Pagina 13

L’istruzione costituisce senza dubbio uno dei caratteri fondamentali del welfare state. L’obbligo di assicurare una formazione scolastica a tutti i cittadini, indipendentemente dal reddito prodotto, risponde infatti al principio egualitaristico che deve essere proprio di ogni stato liberaldemocratico che si rispetti. Una scuola gratuita rappresenta un mezzo di riscatto sociale, uno strumento attraverso il quale anche i meno abbienti possano emergere. L’obbligo scolastico riveste però anche un altro scopo, lontano da logiche meritocratiche: è auspicabile che tutti i cittadini abbiano una base culturale ampia e condivisa, che tutti possiedano delle conoscenze tali da consentire loro di esercitare in assoluta autonomia e piena maturità i propri diritti di cittadinanza, in primo luogo il diritto di voto. Fin dalla sua nascita, la Repubblica italiana ha accolto le istanze sopra descritte. L’art. 34 della Costituzione afferma infatti che “l'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”. Ovvero, fino ai quattordici anni. Il progresso socioeconomico ha però fatto sì che l’obbligo costituzionale non fosse più al passo coi tempi, e il ritardo accumulatosi rispetto agli altri paesi europei ha indotto il legislatore ad alzare, in epoca recente, l’età dell’obbligo formativo. Fu il ministro Berlinguer, nel 1999, a prevedere un graduale innalzamento dell’obbligo scolastico da otto a

dieci anni complessivi . Tuttavia, la riforma Moratti investì in maniera decisiva anche l’obbligo scolastico, introducendo l’ambiguo concetto di “diritto-dovere” (che comportava un impegno meno intenso da parte dello Stato), e cancellando la riforma Berlinguer. Si tornava al testo costituzionale del 1948. È difficile dare una spiegazione a una proposta di questo genere: una riduzione dell’età minima per poter abbandonare gli studi non trova riscontri in alcun paese del mondo, non solo d’Europa. Dati alla mano, si può affermare infatti che, tra il 2000 e il 2004, la riforma Berlinguer abbia mantenuto tra i banchi di scuola duecentomila ragazzi. Si arriva così al 2006: nuovo, governo, nuova riforma. L’ultima legge finanziaria

del Governo Prodi II riportò in vigore quanto era stato imposto dalla riforma Berlinguer, cioè i dieci anni di istruzione obbligatoria. Come prevedibile, quest’innovazione ha avuto però vita breve, in quanto il decreto Gelmini è intervenuto, tra le varie modifiche previste, anche sull’obbligo scolastico, ripristinando la cancellazione dei due anni aggiuntivi. La questione è però complessa: già in una polemica estiva con Walter Veltroni, Mariastella Gelmini aveva affermato che in realtà non ci sarebbe stata alcuna riduzione, poiché l’obbligo sarebbe stato assolto attraverso percorsi di formazione professionale, istituiti dalle Regioni. Ebbene, in questo modo non solo si regionalizza la formazione, ma si torna a dividere l’istruzione in due canali, uno dei quali discriminatorio per chi lo sceglie (o è costretto a scegliere): questi vedrà ridursi in maniera drastica le proprie prospettive lavorative, così come, se meritevole, le lecite aspettative di ascesa sociale. E, naturalmente, verrà meno la base culturale condivisa, necessaria per l’efficace funzionamento delle istituzioni democratiche e per la diffusione di un civismo apprezzabile. Appare necessario, perciò, che la proposta di ridurre l’età dell’obbligo scolastico sia rivista. Giulio Agamennone g_agamennone@libero.it

LA MORTE DI UN’ONDA L’onda studentesca si infrange contro lo scoglio del Governo troppo resistente per sgretolarsi. Rivuole il denaro stanziato per il suo futuro, intende incominciare una lunga battaglia, cerca sostegno e lo trova: nell’opposizione, nei ministri ombra, nei sindacati, nelle libere associazioni ed alza la sua cresta forse anche troppo. Vuole gridare che per sanare il deficit economico l’ultima istituzione che possa essere soggetta ad ingenti tagli è proprio la scuola. E’sempre lei, sicura, decisa, che prosegue il suo viaggio da Milano a Torino a Pisa a Roma a Napoli a Cosenza a Palermo. Cerca di fare rumore e spera di essere notata: ma fingono di non notarla. Allora si infuria, diventa più imponente e più PERICOLOSA. L’onda non vuole ottenere gli sterili botta e risposta con i rappresentanti dell’esecutivo né i dibattiti nei salotti televisivi privi di concretezza. E così si fa influenzare dalla politicizzazione tipicamente italiana, dall’estremismo delle nuove teste calde del 2008 consapevoli dell’importanza della propria battaglia, ma sicuramente inesperti riguardo i metodi con cui condurla. Così si innesca la spirale, e l’onda si disperde, si disorienta, e da nord a sud i comitati che raccoglievano le firme diventano promotori di set-in non autorizzati davanti alle sedi degli organi istituzionali, insensibili ad ogni richiamo alla moderazione da parte dei partiti che l’avevano sostenuta con zelo. E reagisce in modo compatto dappertutto, dall’estremo meridione all’estremo settentrione. Ma in Italia c’è anche chi si allontana dalla protesta perché il suo mondo è allo stesso tempo il più debole, ma è anche la roccaforte della maggioranza. E chi fino ad allora ha partecipato si sente emarginato ed avverte ancora più forte la necessità di farsi sentire, di essere considerato fondamentale contribuente alla formulazione di una legge che lo riguarda in prima persona. E non ci riesce. Allora spuntano i manganelli, che

nulla hanno a che vedere con quella che doveva essere una pacifica manifestazione a tutela dell’avvenire di intere generazioni. Intanto il Governo discute e l’opposizione non può fare la sua parte perché, quando afferma che la sua azione è volta alla rivendicazione di diritti, la risposta da parte della maggioranza si riduce ad una fragorosa risata, “non siete altro che i soliti fantocci senza alcuna consapevolezza di quanto sia grave appoggiare una battaglia basata sulla violenza”. Ed ora si che l’onda è veramente priva di ogni credibilità.. E l’esecutivo esalta il decreto anche solo per recitare il ruolo della controparte. Questa è una storia raccontata da chi ha creduto nei propri sogni. E’nata raccogliendo le testimonianze di chi dell’onda faceva parte ed ha concluso la sua azione ammettendo le proprie mancanze. In questo racconto sono racchiusi i meccanismi di organizzazione tecnica, ma anche i risvolti psicologici “di massa”, dovuti anche alla spesso contraddittoria tradizione italiana. Ma almeno - chiedo a qualcuno che ha cavalcato la cresta -cerchiamo di trarre la morale della favola, auspicando che qualcosa, imparata la lezione, cambi - Mi viene risposto che è lecito combattere e rivendicare, ma che, in questi casi, il sogno deve essere perfettamente identico per tutti coloro che dicono di condividerlo; ma la colpa, - ribadiscono non è solo dell’inesperienza giovanile, ma è anche di una società incapace di capire e di dare il suo contributo. Questa esperienza ci ha segnati, e sarà estremamente utile, ironizzano, nella prossima puntata. Un ringraziamento speciale va agli universitari cosentini, romani e pisani, disponibili a rievocare a fondo e nei dettagli anche una sconfitta così scottante. Giovanna Cento

Speaker’s Corner - Novembre 2008

La Moratti, la Gelmini e l’obbligo scolastico

13


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.51

Pagina 14


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.53

Pagina 15


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.54

Pagina 16

International- Novembre 2008

USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 US

16

An International change Dopo una vittoria dalla portata storica, Barack Obama 44esimo presidente degli Stati Uniti d’America sarà chiamato a fronteggiare problemi di proporzioni altrettanto storiche. Le carte del gioco geopolitico vengono ora ridistribuite, i leader mondiali, amici o avversari, devono ricalibrare il modo di relazionarsi con il partner americano. I capi di Stato di ogni Paese non hanno mancato di inviare messaggi di congratulazioni al neo presidente eletto. Il presidente francese Sarkozy sostiene che l'elezione di Obama solleva "un’immensa speranza: quella di un'America aperta, solidale e forte che mostrerà di nuovo la via, con i suoi partner, per preservare la pace e la prosperità nel mondo”. Il Vecchio Continente vede in Obama il cambiamento atteso, il ritorno ad un’impostazione di governance multilaterale rendendosi conto solo in parte che questo significherà trovarsi di fronte a richieste di maggiore impegno e partecipazione al governo della stabilità e della sicurezza internazionale. Il dossier Russia, dopo le parole del Ministro degli Esteri che auspica un rinnovato approccio nelle relazioni con la Federazione Russa, dovrà ripartire dalla correzione delle percezioni reciproche, con Mosca che vede negli Usa una potenza tesa ad impedirne la rinascita e Washington che dovrà reinter-

pretare in chiave meno semplicistica e più realistica il ruolo internazionale della Russia, che non può essere dismessa con una potenza in declino e non rilevante. La sfida mediorientale di Obama inizia con l’impatto che il giovane neo presidente ha avuto sul mondo arabo: l’antiamericanismo può essere smorzato dalla novità, dall’entusiasmo, dal messaggio di dialogo e speranza. Se a ciò seguiranno fatti che consolidano questa direzione può cambiare di molto il contesto in cui gli Stati Uniti e il mondo islamico si verranno a confrontare, tanto che l’Ayatollah iraniano Ali Khamenei, ha dichiarato che “Il presidente eletto ha promesso cambiamentiA in politica. C'è spazio per il miglioramento dei rapporti tra America e Iran”. Per quanto riguarda l’Asia, Obama potrebbe cercare di ristabilire il prestigio americano nel continente. L’approccio con il nemicopartner cinese sarà nelle prerogative del neo presidente, non è infatti azzardato dire che si tratta del più importante accordo bilaterale della nuova era, da cui dipenderanno successi ed insuccessi della presidenza americana, l’integrazione di Pechino nel nuovo ordine globale e il consolidamento del Paese come potenza dello status quo come già auspicato dal Presidente cinese Hu Jintao. In ogni caso, dopo Obama comincia un'altra, inedita pagina della storia americana. Se sarà anche un'altra pagina della storia mondiale dipenderà anche da noi. Valentina Vignoli valentina.vignoli@gmail.com

Obama Presidente: torna il problema del razzismo «La nostra nazione è in rovina, l'elezione di Obama è solo il culmine di un processo in corso da decenni» queste sono le parole di Grant Griffin, donna bianca di 46 anni della Georgia, una delle tante voci del coro di protesta che si è alzato all'alba dell'elezione di Obama. Era prevedibile che minoranze degli stati del Sud sarebbero state contrarie ad un Presidente che avrebbe sostituito la figura di uomo di potere Wasp (White Anglo Saxon Protestant) con il suo esatto contrario, un capo dell'esecutivo nero e di origini africane. Stupisce molti però il fatto che il moto di protesta sia dilagato sull'intero suolo statunitense. Giusto per fare pochi esempi: in Georgia, un liceale afroamericano è stato allontanato dalla scuola perché presentatosi con una maglia che ritraeva Obama, nell'Università statale del North Carolina sono comparsi graffiti che recitano “Spariamo in testa a quel negro”, a Los Angeles automobili e case sono state ricoperte da scritte che invitano gli afroamericani a tornare in Africa, nel Maine un supermercato offre la possibilità di scommettere su come morirà il nuovo presidente chiamando il concorso “Osama-Obama, speriamo che qualcuno vinca” riferendosi ai partecipanti del concorso. La FBI afferma che per nessun altro presidente sono stati raggiunti simili livelli di protezione, già sventato il primo tentativo di assassinio da parte di due ragazzi che si ispiravano alle ideologie naziste hitleriane e al discorso di David Lane degli anni 80': «Dobbiamo assicurare l'esistenza del nostro popolo e un futuro per i bambini bianchi» parole diventate manifesto del movimento ariano americano. In un'intervista rilasciata a Repubblica, Stephen Donald Black, capo per molti anni del Ku Klux Klan, afferma: «Dobbiamo tornare alle origini: questo Paese è stato fondato da coloni europei bianchi e da lì vengono i nostri valori» e ancora «Dobbiamo mobilitarci prima che gli immigrati trasformino quella che era una nazione ricca e stabile in un Paese del Terzo Mondo», evidente poi la paura di una società multietnica «Non esiste la possibilità di una reale integrazione perché non si può cambiare la natura delle persone». Don Black parla poi del futuro: « E' tempo che i bianchi americani si alzino e si battano per i loro interessi e per i loro diritti. La minaccia di Obama ci motiva». Gianfranco Addario

QUELLO CHE I VECCHI PADRONI PENSANO I Repubblicani si leccano le ferite e si adattano Sì sa, in ogni battaglia, in ogni guerra, ci sono i vincitori e i vinti. E il tutto è tanto più arduo quanto più la vittoria in questione è schiacciante. Ovviamente non ci sono state eccezioni per i Repubblicani. Le reazioni all’interno del Grand Old Party sono state però differenti. Sarah “Barracuda” Palin si è preoccupata di chiarire che la sconfitta non era “tutta colpa sua” e di lasciar intendere che, “ se Dio vuole”, potrebbe fare un pensierino sulle prossime elezioni nel 2012. Il presidente più odiato dagli Americani, l’ahimè celeberrimo George W. Bush si è subito congratulato vivamente con Obama (chiamandolo immediatamente dopo Mc Cain) e si è detto assolutamente disponibile a collaborare nel periodo di “inter-regno” che terminerà in Gennaio ( vorrei vedere, dico io, vista la situazione corrente) arrivando ad invitare il neo presidente alla Casa Bianca ed a partecipare al G20,a cui poi Obama ha deciso di non partecipare, probabilmente per non accelerare ulteriormente i tempi già notevolmente congestionati di questo atteso passaggio di consegne. Nonostante le premesse pare che lo schizofrenico Bush si sia però irritato a causa di una fuga di notizie circa il suddetto meeting tenutosi il 10 Novembre scorso; infatti la stampa Usa aveva parlato della proposta di uno scambio sull’economia, nella fattispecie un aiuto ai colossi dell’industria automobili-

stica in crisi in cambio dell’approvazione del rapporto di libero scambio con la Colombia. E infine il vecchio soldato, Mc Cain. Forse ci saremmo aspettati schiamazzi e recriminazioni, ma lo spirito democratico che negli Stati Uniti è decisamente molto più saldo che a casa nostra, ha prevalso. Già nel suo discorso del 4 Novembre Mc Cain ha dimostrato un grande equilibrio invitando i suoi sostenitori a supportare il nuovo presidente. A testimoniare il suo impegno a collaborare è anche l’incontro tra i due ex avversari che ha avuto luogo il 18 Novembre; entrambi hanno riconosciuto la necessità di lanciare “una nuova era di riforme” e le indiscrezioni raccontano che il vecchio soldato abbia offerto di collaborare anche nelle scelte di politica ambientale e nella chiusura di Guantanamo. Sicuramente questo clima bipartisan, di collaborazione, stimola l’ottimismo e costituisce un ottimo punto di partenza per tentare di recuperare un’America devastata da otto anni di amministrazione Bush, ammesso che venga ad essere dovutamente sfruttato da entrambe le parti Caterina Villa 058942@luiss.it

USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 US


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.54

Pagina 17

8 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 Negli USA Si può fare

LA

TINTARELL A DI

Elisa Gerardis 057442@luiss.it

International - Novembre 2008

Forse qualcuno ancora ricorda lo slogan veltroniano “Si può fare”, cavallo di battaglia del P a r t i t o Democratico italiano ripetuto continuamente durante l’ultima campagna elettorale e non solo. Quale migliore modo per il segretario del Pd Walter Veltroni per creare con queste poche parole una sorta di cordone ombelicale con il candidato democratico alle elezioni americane, il neopresidente Barack Obama? Un rapporto fondato su ammirazione e stima tra i due personaggi della politica mondiale che nacque già nel lontano 2004, quando Veltroni vide in Obama la persona“che parla il linguaggio migliore dei democratici, coniugando la condivisione della vita reale e la tensione ideale”. E anche più recentemente, dopo la manifestazione al Circo Massimo, il veltroniano Giorgio Tonini si era espresso dicendo “ Aspettiamo adesso il trionfo di Obama per consolidare il cammino del partito”. Durante la Notte della Speranza, la notte del voto americano, trepidante è stata

l’attesa del centro-sinistra italiano, riunitosi per l’occasione al Tempio di Adriano ad aspettare tutti insieme che il sogno democratico divenisse realtà. Così è stato:“In questi ultimi anni l’America era quella di Guantanamo, adesso tornerà ad essere quella di Martin Luther King”, così ha affermato un soddisfatto Veltroni, che cerca poi di porre a confronto la“nuova America”con il nostro Paese. Secondo il segretario del Pd, la differenza appare enorme. Lo stesso D’Alema la sera prima si era espresso davanti alle telecamere di Youdem sostenendo che“con la vittoria di Obama si chiude l’era di Berlusconi”, aggiungendo però subito dopo: “Per cambiare l’Italia dobbiamo fare da soli. Bisogna rimboccarsi le maniche”. Una ventata di cambiamento, insomma, che ha scosso il mondo e l’Italia e che costituisce, secondo Veltroni, una lezione per tutta l’attuale politica italiana. Non mancano le critiche al centro-destra, paragonato più a Sarah Palin che a McCain, e caratterizzato da un “unilateralismo berlusconiano che verrà sostituito dal multipolarismo”. Il centro-sinistra italiano ha accolto il nuovo Presidente USA con calore ed entusiasmo; l’euforia generale è sfociata in un “party-comizio” che ha coinvolto più di mille persone davanti al Pantheon lo scorso 4 novembre. Dario Franceschini, vicesegretario del Pd, sul palco ha parlato di una “festa in tutto il mondo”. L’America, agli occhi del Partito democratico, è tornata a sposare i più alti valori della democrazia, mantenendo però allo stesso tempo una carica di realismo e concretezza che fa ben sperare in un cambiamento contagioso anche per l’Italia. E’stata una vittoria ricca di speranze ed aspettative per il centro-sinistra del nostro paese: che il vento di novità possa davvero abbattere l’inerzia italiana?

17

BARACK

Il nostro ben noto Presidente del Consiglio non perde occasione per regalarci perle di ironia, simpatia e brillante intrattenimento neanche nel bel mezzo di uno degli eventi più importanti dell'anno. Sarà che tutta questa attenzione per il neo Presidente Barack Obama l'ha fatto sentire un po’messo da parte, sarà che si sarà visto sfumare la prima pagina dei giornali per qualche giorno, ebbene Silvio ha immediatamente escogitato un metodo per guadagnare punti e ritornare al centro delle polemiche: quale metodo migliore che definire il nuovo Presidente "giovane, bello e anche abbronzato"? Anche questa volta il metodo non ha fallito, il premier è riuscito a canalizzare l'attenzione su di lui, i leader di sinistra considerano doverose le sue scuse, i giornalisti tornano a intervistarlo per sapere cosa intendesse dire con quell'attributo, la sua frase fa il giro del mondo. Concedetemi di esprimere il mio modesto parere: Silvio, cosa combini? Per un premier l'autocontrollo è fondamentale e forse ogni tanto dimentica che le sue parole sono un importante biglietto di presentazione del nostro Paese nel mondo; passi per l'aver dato del "kapò" al tedesco Sculz nel bel mezzo del suo semestre di presidenza all'Unione Europea, ma fare gli onori di casa al neo eletto Presidente degli Stati Uniti in questo modo è carenza di buon gusto! Diceva Cicerone: "Chiunque può sbagliare; ma nessuno, se non è uno sciocco, persevera nell'errore". Ad ogni modo apprezziamo il suo spirito altruista quando dice: "A Barack Obama potrò dare dei consigli perché sono più anziano. Aspetto di farlo quando potrò abbracciarlo di persona" definendo la sua vittoria il simbolo della vitalità democratica. E difatti è questo che Obama rappresenta, è l'incarnazione della speranza, del cambiamento, del nuovo, del sogno di tante persone

"abbronzate" e non (volendo adottare la terminologia premieriana); parere non del tutto condiviso dal centro-destra italiano che non ha tardato a seguire il suo leader nell'apprezzabilità dei commenti rivolti ad Obama: Gasparri sostiene al tg3 rai che con Obama alla casa bianca forse "Al Qaeda è più contenta", affermazione che immediatamente smentisce come un bambino beccato con le mani nella marmellata (tecnica sapientemente trasmessagli da qualcuno di nostra conoscenza), ma restando fermamente convinto che la politica dei repubblicani sia stata più determinata nella lotta al terrorismo internazionale. Ad onor del vero occorre ammettere che vi sono stati anche commenti meno denigratori e più riflessivi, quale quello proveniente da Gianfranco Fini che ha considerato importante menzionare l'alta affluenza alle urne, segno di un modello democratico statunitense difficile da eguagliare, per riservarsi poi un margine di tempo per poter giudicare l'operato di Obama in materia economica-finanziaria che rappresenterà il banco di prova ed il suo terreno di valutazione meglio di ogni altro. Da parte nostra non ci rimane che augurare una buona presidenza al neo eletto "giovane e bello" (qualità carenti nei nostri rappresentanti politici italiani), sperando che possa compiere grandi cose e ci dimostri che forse il cambiamento è una prospettiva realizzabile, che forse gli eroi possiamo osservarli e ammirarli anche oggi, non solo leggerli sui libri di storia. Mariasole Bergamasco

8 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008 USA 2008


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.54

Pagina 18

Fuori dal Mondo - Novembre 2008

IL PAKISTAN VISTO DA DENTRO E DA FUORI

18

ANCORABOMBEUSASULPAKISTAN

PAKISTAN

Sempre più lontana la risoluzione del problema aree tribali

“The Land” Arrival of Muslims in Sub Continent: The last Prophet Islam Prophet Muhammad (S.A.W) completely changed the intellectual outlook of Arabia. Within 23 years he transformed the barbarous Arabs into a civilized and religious nation. During his life and after his death, Muslims took the message of Islam to every corner of the world and within a few years Muslims became the super power of the era. Trade relations between Arabs and sub-continent dated back to ancient times. After the Arab traders became Muslims they brought Islam or in fact laid the foundation and sow the seed of our homeland Pakistan. Sufis & Spread of Islam: When Muhammad Bin Qasim conquered Sindh, the local people who had been living a life of misery breathed a sigh of relief. Qasim followed a lenient policy and treated the local population generously. The story of Islam in sub continent and laying of foundation of Pakistan is the story of untiring efforts of numerous saints and Sufis who dedicated their lives to the cause of service of humanity. It is still considered that despite success of Muhammad Bin Qasim in Sindh the successful campaign of Sufis and saints actually was the main factor which cause birth of Pakistan at later stage. Colors of Dynamic Mughals Dynasty: Then the Mughals control of subcontinent impact society in several large ways. It was the days of religious tolerance, introduction of colors and art and the Islamic and Persian perspective to the artwork gave a different touch to sub Continent. The colors of dynamic dashing Mughals dynasty introduced innovative methods of politics, social values and introduction of mixture of Arabic, Turkish and Mughals culture gave birth to spectacular Art and region filled with rich culture and colors of Mughals Art and social values which later cause the colorful and rich culture of Pakistan and India. Separation of SubContinent & Birth of Pakistan: But after the death of Aurangzeb Alamgeer decline of great Mughal Empire started which created distances between two great nations Hindus and Muslims living together from hundreds of years and give birth to the two nation theory. This theory further caused the birth of Pakistan after independence war with British in 1857. Then after the untiring efforts of Sir Syed Ahmed Khan, Allama Iqbal and off course the great leader Muhammad Ali Jinnah, the Pakistan emerged on the map of the free world as the largest Muslim State. It was the interpretation of the dream of millions of Muslims who had seen after the passage of historic Lahore Resolution on 23rd March 1940. The new Muslim state comprised of two wings that is West Pakistan and East Pakistan and had a population of about 80 million. Quaid-e-Azam Muhammad Ali Jinnah was elected as the first Governor General and Liaquat Ali Khan took over as the first Prime Minister of Pakistan. Problems of Pakistan after Birth: This great infant nation has to face the huge problems. The country had to deal with problems like shortage of funds, has to feed millions of refugees crossing the border with hopes and dreams in their eyes, administrative problems, economic problems, Pakhtoonistan Stunt, Kashmir problem constitutional problems and military problems as well. The behavior of politicians after the death of our great leaders Quaid-e-Azam Muhammad Ali Jinnah and Liaquat Ali Khan also proved a major set back for the nation. The greedy politicians sacrifice the countries interest and give birth of negative politics of accession of power which caused the separation of East Pakistan which is Bangladesh now.

Kashif Khan kashi_khan_ji@yahoo.com

Ultima notizia, mercoledì 19 novembre: l’aereo senza pilota, un predator, ha lanciato un missile contro una casa che si trova nel distretto di Bannu. Nell’attacco morto, con molta probabilità, anche lo “straniero”(così le autorità pakistane indicano ormai i miliziani di al-Qaeda) Abdullah Azzam al-Suadi, esponente della rete terroristica di origine saudita legata a Bin Laden. Pochi giorni prima, anche un altro missile, si sospetta, lanciato da un drone americano, ha ucciso almeno otto persone nel nord del Waziristan, regione dove si rifugiano i miliziani talebani. Il presidente Asif Zardari lancia il solito appello al neoeletto Obama, dicendo che queste incursioni non fanno altro che ledere il suo potere e complicare la sua opera di restaurazione nel Paese. Già, perché si tratta“solo” del ventunesimo bombardamento americano negli ultimi quattro mesi. In realtà, già nel mese di luglio, il governo statunitense aveva autorizzato, per la prima volta, le incursioni terrestri delle forze speciali USA in territorio pachistano, anche senza l’autorizzazione di Islamabad. Una svolta, nella politica Americana, dopo sette anni di collaborazione con il governo pakistano dell’ex presidente Musharraf. E un allontanamento della risoluzione del problema aree tribali per il Paese.Ma cosa sono queste aree tribali? Le aree tribali sotto amministrazione federale (FATA) si estendono su 27.220 chilometri quadri, circa il 2% del territorio pachistano. Da sempre considerate come “zona cuscinetto” tra l’ Impero Britannico dell’India e l’Afghanistan, assunsero la denominazione odierna nel 1926, quando gli Inglesi le suddivisero in sette differenti distretti politici: Bajaur, Mohmand, Khyber, Orakzai, Kurram, North Waziristan e South Waziristan. Contestualmente vennero costituite quattro regioni di frontiera:

Peshawar, Kohat, Bannu, Dera Ismail Khan. Mentre la gestione della sicurezza e dello sviluppo era affidata alle Autorità centrali, quella dell’amministrazione era lasciata ai singoli distretti; il che permise alla popolazione autoctona, in gran parte di etnia pashtun, di sviluppare una certa autonomia. Il governo di Instamabad è rappresentato da un Agente Politico che si occupa di gestire i fondi e reprimere i crimini e lo fa affidandosi a degli intermediari, i Malik (capi tribù); a dirimere le controversie fra le tribù è invece preposta la Jirga ( consiglio degli anziani), anch’essa appartenente storicamente alla tradizione sociale pashtun. Nonostante l’estrema importanza della figura dell’ Agente Politico, questa ha preso col tempo a generare forme di corruzione e clientelismo, con la connivenza dei Malik, che hanno corroso il rapporto tra popolazione civile e governo centrale, dal cui derivante malessere sono sorti quei movimenti fondamentalisti che si sono pian piano radicati nel Paese. E questo si è verificato maggiormente dopo l’11 settembre 2001, con l’attacco alle Twin Towers; stessa occasione in cui gli USA spinsero il presidente pakistano Pervez Musharraf a ritirare il proprio appoggio al regime talebano e a cooperare nella lotta al terrorismo. Già nel novembre del 2001 gli jihadisti sapevano che non potevano sopravvivere di fronte ai bombardamenti statunitensi e dovevano, per forza di cose, fuggire verso il confine Pakistano. Si capisce, ora, il ruolo strategico delle aree tribali. Si capisce perché continuino ad essere terre di sangue. Possibilità di dialogo? Lo scorso 16 ottobre i guerrieri pachistani hanno annunciato la volontà di deporre le armi e dialogare col governo di Islamabad. Islamabad non risponde. Sa che gli USA non vogliono saperne: troppo forte la preoccupazione che i talebani pachistani, se non impegnati in casa, si riversino in massa in Afghanistan a dare man forte ai loro compagni afgani. Clara della Valle

IL PAKISTAN VISTO DA DENTRO E DA FUORI


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.55

Pagina 19

IL PAKISTAN VISTO DA DENTRO E DA FUORI

Parentesi mai chiusa della storia del Pakistan È l’autunno del 1988 quando Benazir Bhutto, leader del Partito del Popolo Pakistano, già presieduto dal padre, diventa la prima donna capo di governo, in un Paese musulmano e in un’era moderna. Due volte premier, e per due volte costretta a dimettersi per scandali di corruzione (di cui si è sempre dichiarata innocente) ha dedicato l’intera carriera politica alla causa, tanto delicata quanto importante , della democrazia. Non è bastata l’esecuzione del padre, ucciso per volere dell’allora dittatore Zia, a fermarla. Non ha avuto timore davanti alla minacce dei fondamentalisti islamici, neppure quando questi l’hanno accolta con le bombe a Karachi il 18ottobre 2007 in occasione del suo rientro in patria. Attentato, questo, ricordato come il più truce della storia del Pakistan: ben 138vittime civili, ma Benazir rimase illesa, protetta dal camion blindato dal quale salutava i suoi sostenitori. Quegli stessi sostenitori che, in tre milioni, stavano festeggiando il suo rientro dall’esilio, accomunati dal sogno di cambiare la struttura sociale vigente e promuovere lo sviluppo della regione. Il sacrificio di Benazir Bhutto dovrà essere l’esempio più forte di chi non si arrende al terrorismo, di chi, restando fedele alle sue idee, sfida, con la forza di queste, il regime marziale. Così tanto vicina all’Occidente, la beniamina degli americani, infatti, restò vittima dell’attentato kamikaze del 27 gennaio 2007 a Rawalpindi, durante un raduno elettorale dell’opposizione pakistana. L’allora senatore dell’Illinois, Barack Obama, espresse il suo sgomento e promise di combattere al fianco del popolo musulmano nella sua battaglia per la democrazia contro il terrorismo che minaccia la sicurezza del mondo. E così, se da un lato del pianeta si archivia una conquista, con l’elezione di un presidente di colore che resterà nella storia; dall’altro fallisce l’ennesimo tentativo di aprire il dialogo e il confronto politico, in un Paese il cui processo democratico viene abortito ogni qualvolta faccia un passo avanti. Quel tentativo di laicizzazio-

ne della cultura islamica non è evidentemente piaciuto troppo ai fondamentalisti, l’emancipazione dei costumi della quale si faceva portavoce Benazir era visto di mal occhio dal potere dittatoriale. Eppure il seguito popolare della leader del PPP non ha avuto paragoni nella storia politica del Pakistan. Decine di milioni di persone erano pronte a votarla a gennaio, dopo una campagna elettorale piuttosto insolita per una democrazia occidentale: niente talk show o macchine elettorali computerizzate, nessun creatore d’immagine o guardaroba rinnovato, nessun sondaggio o uso(abuso) del web per la propaganda. Solo un treno che viaggia veloce e che raccoglie maggiori consensi ad ogni arringa del suo leader. Ovviamente però, a causa della diversa situazione sociale, non è neanche minimamente paragonabile il messaggio liberaldemocratico di Obama con quello della Bhutto, paladina della pace e dei diritti dell’uomo in un clima tradizionalistico e arretrato. Ognuno è solo. Solo, di fronte alla corruzione che dilaga nelle più alte sfere decisionali, e che reprime ogni desiderio di indipendenza. Il programma politico della Bhutto e del suo PPP non era da dirsi necessariamente giusto. Le elezioni di gennaio avrebbero però permesso alle masse di intraprendere una nuova direzione, sconfiggendo il regime marziale e sperimentando, non più in teoria, bensì in pratica, i vari programmi. Togliere la vita ad un uomo o ad una donna è semplice. Semplice non è, però, uccidere un’idea quando il suo tempo è arrivato. E, a giudicare dalla triste reazione all’omicidio di una tale leader, direi che, dopo secoli, è giunto anche in Medio Oriente quel desiderio di libertà che ha permesso a Benazir di fare proselitismo. Una donna carismatica, questo è certo…e lei non aveva la pelle nera. Zaira Luisi

L a Te r r a d e i p u r i

In urdu e in pakistano il termine Pakistan significa “ terra dei puri".Tale definizione potrebbe risultare piuttosto contraddittoria se si considera il bilancio negativo del 2007, emerso dal rapporto della Commissione nazionale per i diritti umani(HRCP).Dai dati rilevati si evince che il paese,pur essendo annoverato tra quelli in via di sviluppo, sesto stato per maggior popolazione e destinato a superare per potenza le altre nazioni ,è reso "disumano", da atroci eventi che lo hanno colpito,lo colpiscono e forse continueranno a colpirlo.Il rapporto ha registrato, infatti, un aumento della criminalità pari al 20%,un numero di morti pari a 927,71 esplosioni di kamikaze,1202 omicidi (di cui 636 sono delitti d'onore),755 casi di molestie sessuali (delle quali 166 rivolte a minorenni).Tra l'altro, le frequenti esplosioni di bombe negli istituti hanno ridotto le iscrizioni e la frequenza degli studenti.Altri dati registrano l'uccisione di 7reporter, 250 gli arrestati per aver riportato notizie di proteste contro il governo,1,5milioni è il numero dei deportati,339 i suicidi causati dalla disoccupazione e dalla crisi finanziaria. Sconcertante, in questo panorama, è il fatto che il Pakistan registri il più alto numero di esecuzioni capitali: 309 sono i condannati (di cui 134 sono stati uccisi).Infatti nel paese si fa un largo uso della pena di morte. Ciò si accorda perfettamente alla nuova legge, firmata dal presidente Asif Ali Zardari, mirante alla "prevenzione dei crimini elettronici".Secondo il decreto, rischia la pena capitale chi attenta alla vita di altre persone mediante azioni di cyberterrorismo; rischia invece il carcere o il paga-

mento di multe consistenti(fino a 100mila euro)chi sfrutta impropriamente gli strumenti della rete. La legge ha effetto su qualunque "netizen", a prescindere dal fatto che sia pakistano o di altra nazionalità.La nuova norma è stata fortemente criticata e disapprovata, in quanto si pensa che le punizioni siano eccessive per il reato cui si riferiscono e si teme che le autorità se ne possano approfittare, utilizzandola per mettere a tacere attivisti scomodi. Si riapre, così, il dibattito sulla pena capitale:già lo scorso mese, infatti, il governo pakistano era stato invitato dall' HRCP ad abolirla poichè non ha, in termini reali, favorito una crescita effettiva dell'ordine e della legalità. Persino la Chiesa pakistana muove forti critiche al nuovo decreto contribuendo ,in tal modo ,all'aumento della diffidenza verso il sistema giudiziario. In questo quadro a tinte fosche si inserisce l'intervento italiano. Il nostro paese, infatti, contribuisce a questo stato di forti tensioni e contrasti fornendo al Pakistan le armi. La rete italiana del disarmo chiede la sospensione dei traffici bellici, che(in base alla legge italiana sul commercio delle armi 185\1990) sarebbe possibile in quanto è vietata l'esportazione di armi a Paesi in stato di conflitto. Tra l'altro, il Pakistan figura come

potenza atomica non dichiarata ed è dotato di ben 60 testate nucleari. Ciò nonostante le esportazioni italiane sono in continua crescita e il ministro italiano degli esteri, Franco Frattini, giustifica questo status quo con la volontà dell'Italia di sostenere il processo di democratizzazione avviato da Zardari. "Loro hanno bisogno del nostro aiuto e noi dobbiamo darglielo" dice il ministro. Tuttavia ,anche se è attraversato da sì gravi problemi, il Pakistan ha grandi prospettive per il futuro. Nel periodo 2008-2009 la sua politica economica sarà rivolta alla liberalizzazione e all'attrazione di investimenti stranieri. Lo sviluppo, si pensa, sarà legato soprattutto all'espansione del settore dei servizi,di quello bancario e di quello assicurativo. Il tutto sarà accompagnato da una politica fiscale espansiva. Continuerà però ad incombere il rischio di una restrizione della politica monetaria dovuta all'accelerazione dell'inflazione. E' evidente ,pertanto, la volontà di risollevarsi di questo Paese. Tuttavia, sorge spontanea la domanda: sarà ciò possibile, nonostante aiuti esteri (quale quello italiano) che vanno palesemente contro il miglioramento e nonostante una mentalità arretrata, che vede nella pena di morte la soluzione a ogni sorta di crimine?

IL PAKISTAN VISTO DA DENTRO E DA FUORI

Eleonora Corsale

Fuori dal Mondo - Novembre 2008

UNA DONNA CHE VUOLE GOVERNARE UN PAESE GOVERNATO DALL’UOMO

19


Ottava Nota - Novembre 2008

360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

20

03/12/2008

16.55

Pagina 20

La redazione consiglia:

I 10 brani più trasmessi da Radio Deejay:

SANTOGOLD

1 - Human - The Killers 2 - If I were a boy - Beyoncè 3 - Love Lockdown - Kanye West

Santogold è il nome d’arte di Santi White, cantautrice e produttrice discografica statunitense. L’omonimo album di debutto, pubblicato nella primavera del 2008, è stato accolto positivamente dalla critica ed alcuni brani, tra cui la più conosciuta “Say Aha”, sono stati scelti come colonna sonora per importanti campagne pubblicitarie e famosi videogiochi. Vanta collaborazioni con N.E.R.D, Bjork e M.I.A (di queste ultime ha seguito il tour, aprendo i concerti). Per chi avesse voglia di vederla dal vivo, la cantante parteciperà al “MYSPACE Secret Show”, che si terrà a Roma, in dicembre, al “Circolo degli Artisti”.

4 - Learnalilgivinanlovin' - Gotye 5 - Miss Independent - NeYo 6 - I'm outta time - Oasis 7 - If He should ever leave you - Tom Jones 8 - Alla mia età - Tiziano Ferro 9 - Let it rock - Kevin Rudolf feat Lil' Wayne 10 - Ooh Yeah - Moby

“S ientan el poder del reggaeton latino” Gli stati LATINI uniti grazie al reggaeton

Il reggaeton ha origine in Centro America negli anni 1993-1994 in una discoteca chiamata “The noise” dove si sono fusi il reggae in spagnolo di Panama e i violenti rap di Porto Rico. L’esponente della vecchia scuola di Porto Rico era Vico C il quale si divertiva a remixare merengue con i geniali pezzi di rap in spagnolo. Passarono gli anni e gli allievi di Vico C si avvicinarono alla cultura reggae di Panama e alla dancehall,il risultato fu il travolgente reggaeton. Da Porto Rico si sviluppò in tutto Centro America ,così anche in Sud America e nelle periferie delle grandi città degli States stracolme di immigrati ispanici. Questo genere musicale nato e sviluppatosi nei paesi “mas calientes” del mondo non poteva che essere iper-passionale e travolgente. I suoni sono impreziositi dalle suggestioni dei luoghi e delle culture del coloratissimo e festaiolo Latino America. I testi delle canzoni sono espliciti e diretti,a volte affondano nel sociale,nella dura vita di strada tipica dei paesi del Sud America ,ma spesso si fa riferimento ai rapporti carnali tra uomo-donna senza nessun tipo di fronzolo. Il ritmo quasi martellante porta tutti quanti alla pista da ballo per dimenarsi senza nessuna sosta. Ballare reggaeton è quanto di più sensuale possa esi-

stere. Non vi è nessuna scuola tutto dipende da quant’ è la voglia di divertirsi e di “perrear hasta el suelo”(“ballare in modo ammiccante fino a raggiungere il pavimento”). Bisogna rispettare solo una regola:essere più vicino possibile al partner e scatenarsi insieme simultaneamente senza nessun pudore. Alcuni possono considerarlo volgare e troppo spinto ma è semplicemente un ballo e un modo di esprimersi alternativo. I rappresentanti di questo genere musicale sono principalmente due: Daddy Yankee e Don Omar.

William Omar Ladròn è meglio conosciuto come Don Omar. Il “Don” aggiuntivo è dovuto al fatto che era entrato in seminario per 4 anni e dovette abbandonare i voti per una relazione amorosa e di lì a poco sarebbe diventato uno dei più importanti esponenti della scena reggaetonera. E’ un esempio vivente della massima”non si sa mai cosa la vita ci prefigge per il futuro”. Le prime canzoni che lo portarono al successo furono ”Dale Don Dale” e “Pobre diabla”. Daddy Yankee comincia la sua ascesa da giovanissimo. E’ uno dei primissimi cantanti reggaetoneri. Molte sono le collaborazioni con arististi made USA come Lil Jon e Pitbull. In poche righe vi ho presentato il sound che invade gran parte del continente americano contrariamente qui in Italia è ancora marginale. Lo ascoltano pochi italiani e molti figli d’immigrati perché per i primi è una scoperta sorprendente e per i secondi è per lo più un ritorno alle origini. Spero di avervi incuriositi abbastanza per iniziare ad ascoltarlo e soprattutto per ballarlo! Gabriela Toro Sima


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.55

Pagina 21

DONNE & MUSICA

Se pensate di star per leggere un articolo su donne “dolcemente complicate, sempre più emozionate e delicate, che diranno ancora sì quando nelle sere tempestose porterete loro delle rose”, beh io non saprei proprio cosa scrivere…questo vuole essere piuttosto un tributo a donne forti, sfrontate e indipendenti, che certo non grazie a completini sexy, sguardi ammiccanti e balletti dozzinali, hanno segnato la storia della musica, ribattezzando il ruolo della donna nella cultura rock. Non si può non citare, a riguardo, la più grande artista blues mai esistita, una miscela geniale di blues, soul, folk, rock e nessuna di queste cose. Una voce ruvida, sensuale e struggente che porterà proprio lei, JANIS JOPLIN, quella ragazzina un po’ sgraziata e piena di complessi, scappata da casa per cercare rifugio nella musica, all’apice del successo. La madre per lei desiderava il famoso steccato bianco; casa con giardino e famiglia con figli, ma questo non era il sogno di Janis, di certo non avrebbe mai potuto desiderare per la figlia un mondo di droghe, alcool, pro-

miscuità di sorta o code alle mense dei poveri e vestiti raccattati all’esercito della salvezza. Ma nonostante la sua vita inquieta, da artista maledetta, fatta di eccessi (che la condurranno ad una morte prematura, a soli 27 anni, per overdose di eroina), Janis è soprattutto la geniale interprete di “Me and Bobby McGee”, di“Try”o di“Little girl blue”(per citarne solo alcune), nella quali è dirompente tutta la sua commovente sensualità musicale che l’ha resa inimitabile. E proprio Janis Joplin diventerà una delle muse ispiratrici di un’altra grande artista dalla voce rabbiosa e dolente che darà il suo prezioso contributo al Rock al femminile: PATTI SMITH; una ragazza madre che amava la poesia e che riusciva a vivere anche con soli 5 dollari al giorno, dormendo spesso in metropolitana o nei parchi della grande mela. Anche la sua è una vita inquieta; interpreta i suoi testi con rabbia e ferocia, soprattutto nell’album “Horses”, arrivando poi a fondere la sua anima punk ad una più morbida e dolce in “Radio Ethiopia”, un vero e proprio inno all’anima inquieta dell’arte in tutte le sue espressioni, dedicato a colui che definisce il primo poeta punk della storia, Arthur Rimbaud, essendo la Smith fortemente affascinata dalla poesia decadente parigina, proprio perché anche lei è un’artista che parte dal testo poetico e dalla fuga dalle convenzioni per parlare di sé e del suo mondo. E’ indiscutibile quanto il modo di cantare sia stato rivoluzionato dai suoi acuti dirompenti e dalle sue urla cupe e struggenti. Una voce che ha segnato il mondo del rock e tra alti e bassi continua a farlo. Concludendo, non possiamo non citare un’altra incredibile donna: JOAN BAEZ, grande artista folk e grande attivista politica, capace di fare delle proprie canzoni degli inni alla pace e al disprezzo di ogni sorta di

violenza. Colei che da sempre e tuttora impegnata per il riconoscimento dei diritti civili, si pone in aperto contrasto alle scelte governative del suo paese: gli USA, non condividendo già nel lontano 1964 l’intervento militare in Vietnam, anzi fortemente contraria a tale guerra si rifiuterà di pagare le tasse destinate al ministero della difesa e inizierà un’assidua propaganda per incoraggiare all’obiezione di coscienza i giovani americani. Joan Baez è l’inconfondibile interprete di “We shall overcame”alla marcia di Martin Luther King a Washington, colei che la società e il tempo non sono riusciti a cambiare, colei che dopo aver pubblicato ben 50 album carichi di passione e lotte politiche, apre ancora tutti i suoi concerti all’estero con la frase, ogni volta nella lingua locale: chiedo scusa per quello che il mio governo sta facendo al mondo. Naturalmente non è questa la sede per discutere delle scelte politiche americane, quello di Joan Baez vuole essere un esempio di grande artista folk e di donna determinata e forte, e se anche qualcuno storcerà il naso per le lotte forse a suo avviso anacronistiche, non so quanto male possa fare lottare per i propri ideali!!

Giusy Ferrazzo

Hai paura del buio? Oltre il mercato commerciale, l’Europa nasconde sublimi tesori del Paese dei mulini a vento Olanda: Paese dei mulini attorniati da splendidi tulipani colorati, Paese delle vetrine e dei coffee shop, dell’avanguardia sociale e tecnologica. Paese di navigatori ed esploratori, dove l’interesse per il nuovo è accompagnato dall’amore per il proprio passato. Questo accade sotto la luce del sole. Quando cala la notte, le ombre si allungano e le forme diventano strane, indistinguibili, quasi mostruose. Ora l’Olanda cambia costume, abbraccia la passione per l’ignoto e l’atmosfera diventa magica. La musica olandese è sempre stata (ingiustamente) una nicchia nella grande distribuzione. Eppure dell’hardcore al gothic rock le vibrazioni sono intense, potenti, le note entrano nell’animo e muovono quei sentimenti di norma sopiti per rispettare le moderne convenzioni di buona educazione e positivismo. La voce cristallina del soprano Sharon den Adel, cantante del gruppo metal Within Temptation, riesce a toccare le corde della disperazione e della costante ricerca di libertà che si agitano nel profondo del cuore. I Within Temptation nascono nel 1996 grazie all’iniziativa di Sharon e del suo ragazzo, chitarrista, Robert Westerholt. Nella primavera del 1997 esce il loro primo album,“Enter”, dalle tonalità decadenti, tristi e smorzate, espressione pura dello stile neo-Gothic della fine del secolo. Nonostante l’intensa attività live e in studio, la band non riesce ad ottenere un vero e proprio successo fino al nuovo millennio con la pubblicazione di “Mother Earth”. Abbandonato lo spirito Gothic, i Within

Temptation si avvicinano ad uno stile celtico e new age. Con il singolo “Ice Queen”, seguito da un video stupendamente prodotto, il successo del gruppo si estende a Belgio, Germania, Francia, Spagna, Svizzera e Finlandia. Il disco diventa successivamente disco di platino, accrescendo la notorietà della band. Con una spettacolare attività live, i Within Temptation continuano ad ottenere consensi su larga scala, ma è con l’album“The Silent Force” e i relativi e meravigliosi singoli “Stand My Ground”, “Memories” e “Angels”che il gruppo raggiunge l’apice della gloria. In concomitanza con l’album vengono pubblicati anche un dvd con i documentari dei concerti del Silent Force Tour e un cd con lo straordinario concerto al Java Island. Il genere dei Within Temptation, tra neo-Gothic e celtica, passando dalla classica al metal puro, non è di facile comprensione. Ci vuole un po’ di tempo per appassionarsi allo stile di questi ragazzi olandesi, ma la voce da soprano di Sharon può davvero catturare l’attenzione anche della persona più restia al lato oscuro dell’animo umano. I Within Temptation sono le fronde di un salice che oscillano sopra un lago gelido, sono le pale di un mulino che inesorabilmente girano sotto un cielo di un grigiore incredibilmente metallico, sono il grido di libertà di tutti coloro che opprimono le loro sensazioni sotto il peso di una società animalesca ma paradossalmente civilizzata, sono la fuga di tutti dalla finzione, il rifugio di quelli che voltano le spalle all’ipocrisia. Ascoltare i Within Temptation è un viaggio attraverso i desideri più nascosti ed inconfessabile dell’anima. Semplicemente sublimi. Valentina Grassi

Ottava Notal - Novembre 2008

Quando il sesso “debole” non lo è affatto

21


Cogitanda - Novembre 2008

360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

22

03/12/2008

16.55

Pagina 22

La parola “Segreto” ha due etimologie e moltissimi significati, sconosciuti ai più (non poteva essere altrimenti). Può derivare da secretum, participio passato di secernere, cioè separare; o ancora da secretu, sostantivo di secretus, cioè segreto. Non significa solo intimità, occultamento, non consiste solo nel sottacere ad altri qualcosa; è sinonimo di congegno e serratura. Avere la responsabilità di un segreto significa chiuderlo a chiave, e separarsene per tutto il tempo che occupa la vita mondana e la comunicazione, per poi goderselo in silenzio lontano dalla folla. Esso raggiunge il massimo della sua elevazione se riguarda una Gioia (gioia, gioiello, serratura, scrigno, tutto torna) giacché è proprio di quella che non parliamo mai a nessuno:“il trasporto è la gioia di cui non si può parlare”dice Ruysbroeck. Abbiamo un’ancestrale paura di rovinarla, se la confidassimo a qualcuno, paura che esca dalla protezione del suo scrigno e ritorni a chi ce l’ha donata. Mentre pronunciamo segrete sillabe, il tempo, interlocutore muto, tacito testimone delle gioie e dei tormenti, sorveglia ciò che è incomunicabile per sua stessa essenza. Siamo i più fedeli custodi dei nostri pensieri ma non ci preoccupiamo di sottoporre a giudizio ogni aspetto della vita degli altri, nella presunzione di poter conoscere affidandoci soltanto a una mutevole e mai nitida immagine. Nel mondo di oggi tutto all’apparenza sembra svelato, perché ciò che è privato viene spesso demonizzato e inquisito. Ma é proprio quando la nostra apertura all’esterno viene esaltata perfino da ribalte televisive, che dovremmo accorgerci che la realtà non è mai trasparente come sembra. Il segreto acquista, così, ancora più senso e importanza, perché costituisce la nostra forza e idealmente rappresenta il limite invalicabile tra l’uomo e il mondo esterno. Dunque non si tratta di volontà di occultare, bensì di un valore che siamo legittimati a perpetrare e che dovrebbe accompagnare ogni tappa della vita umana. Sfuma nel mistero così la riservatezza, virtù indispensabile per l’affermazione dell’uomo libero che custodisce proprio nel labirinto del suo linguaggio, del suo pensiero, del suo istinto di elevazione, il massimo strumento per la propria affermazione. E se é inattuabile una qualsiasi forma di comunicazione sarà il silenzio a diventare per noi un trasparante legame con il mondo, confine ideale al di là del quale il singolo matura il suo intimo, per questo incomunicabile, cammino. La segretezza quindi senza la riservatezza non ha modo di essere, la riservatezza senza la segretezza non ha ragione di esistere.

Buffo – essere un Secolo – E vedere la Gente – passare – Io – morirei dalla Stranezza – Ma del resto – io non sono così stabile – come Lui – Egli conserva gelosamente i Suoi Segreti – davvero – Se li dicesse – estremamente pentito Sarebbe questo Nostro Globo Pudibondo – Così schizzinoso in fatto di Pubblicità – Emily Dickinson

Giulia Gianni & Elisabetta Rapisarda cogitanda@alice.it

Lady G. Nuda ti mostri, svelando segreti. Il capo reclino sul petto. Nuda il corpo. Intagibile anima dove detieni l’arcano segreto dell’essere te. (Ancora disarmati al cospetto del segreto più impenetrabile: l’essenza del nostro essere.) Non tutti, immagino, conoscono la storia di Lady Godiva. Fu nel lontano anno mille che la giovane nobildonna anglosassone, per manifestare il proprio dissenso verso le opprimenti tasse imposte dal marito, il conte Leofrico di Coventry, decise di attraversare la cittadina inglese sul suo destriero, coperta solo dai lunghi capelli. La coraggiosa provocazione sortì presto il suo effetto, e così Leofrico finì col rivedere le proprie scelte e abolire i pesanti oneri imposti alla cittadinanza. E tuttavia non è questa la parte della storia che più ci preme indagare. Perchè in parallelo alle vicende dell’eroina , si svolge un’altra storia. La storia di un segreto inviolabile: quello dell’Essere. Nessuno avrebbe potuto vedere quel corpo, che nudo sfilava tra le stradine del borgo inglese. Quasi come se un solo sguardo avesse potuto penetrare le carni bianche, sempre più dentro, fino quel luogo dell’anima dove deteniamo il segreto che tra tutti ci sta più a cuore: la nostra essenza; ciò che siamo davvero. E ognuno di noi lo detiene, lo custodisce gelosamente, indossa maschere nel quotidiano per sfuggire ad ogni sguardo indagatore, ad ogni parola che sembra poter aprire una crepa nella muraglia che costruiamo attorno quel cantuccio dell’ Ego in cui soltanto siamo davvero noi stessi. Come se lo svelarci potesse in qualche modo nuocerci. E non potrebbe non essere così,perché l’essenza di ogni segreto è la sua inviolabilità. Tradita questa sacra legge non scritta, vi sarà un prezzo da pagare, una conseguenza che inevitabilmente provocherà sofferenza. Accade quando riveliamo ogni segreto, accade nella nostra storia. Vi fu infatti, una persona nella città, un sarto poi conosciuto come Peeping Tom, che disobbedì al proclama. Tom fece un foro in una persiana per poter vedere il passaggio di Godiva e rimase cieco. Fu lui a pagare il prezzo per aver profanato il sacro tempio del segreto.

Il segreto Ed ella ricorda quando poteva ancora far l’amore con lui, nella camera 62 sulla spiaggia di Mahon. Di quelle notti estive, di trentanove anni fa, ha ancora nella testa le immortali note del Pachelbel, ha ancora sulle labbra l’antico sapore di quei vini locali, ha ancora nel cuore le sensazioni che provava nel toccarlo. Fissò per giorni la propria mano sinistra così lo allontanò da sé, lasciandolo sotto la prima pioggia di settembre; malgrado tutto, riguardo quelle memorie della sua vita, non permise mai, che il cuore tradisse il silenzio. Fabrizio Bauco


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.56

Pagina 23

NON CI SI PUO’ FIDARE DELLA LINGUA “Poi che l'amore mi ferí, cercai come potessi agevolmente piú reggerne il peso. E cominciai da prima a celare il mio morbo, a restar muta: poiché fiducia nella lingua avere non puoi, che ammaestrar l'altrui pensiero ben sa, ma gravi traversie procura a se stessa, da sé.” Questi versi sono tratti da“Ippolito”, uno degli scritti più famosi di Euripide. La tragedia in questione si apre a Trezene, in Grecia, ed ha come protagonista Fedra, moglie di Teseo, che si innamora del figlio di questo, Ippolito. La donna tenta inizialmente di mantenere segreto il suo sentimento, ma alla fine, in preda al delirio, finisce col confessare tutto alla sua Nutrice; quest’ultima, credendo di fare il bene di Fedra, racconta il segreto a Ippolito causando il suicidio della donna e la morte del ragazzo. La rivelazione dell’amore per il giovane figliastro dà vita alla narrazione e costituisce il fulcro attorno al quale ruota tutta la vicenda: il segreto è dunque l’elemento portante dell’opera. Ma cosa sarebbe successo se il segreto di Fedra fosse rimasto tale?Molto probabilmente Euripide non avrebbe avuto successo come tragediografo, ma in compenso nessuno

sarebbe morto. D’altra parte non sempre tenere un segreto è così facile e quasi sempre non tenerlo porta solo guai..e a questo proposito letteratura docet! La letteratura di ogni epoca infatti sembra dimostrare che se ci sono segreti ci sono problemi e che comunque vadano le cose (cioè che si riveli o no questo benedetto segreto) c’è sempre qualcuno che finisce per rimetterci; vogliamo fare degli esempi? La famosa storia d’amore tra Romeo e Giulietta, che finisce tragicamente con la morte dei due giovani, i quali, appunto, erano costretti a vedersi segretamente per l’avversione reciproca delle loro famiglie:tanto per dimostrare la“regola”letteraria sopra citata anche i segreti non rivelati vengono per nuocere, in quanto a causare la fine dei due ragazzi è il piano segreto che prevede la finta morte di Giulietta e che Romeo non viene a sapere in tempo. Per avere altri esempi basti pensare alla regina Ginevra e al bel Lancillotto, ai dolci Tristano e Isotta, ai dannati Paolo e Francesca, uniti nell’adulterio da un libro galeotto: per questi personaggi il segreto era fondamentale,ma questo viene scoperto e nascono i guai a tutti noti. Dunque nella letteratura il segreto è un affezionato compagno dell’amore e quando si crea questo binomio non c’è pace per nessuno, in quanto anche qualora il segreto non venga rivelato dai diretti interessati si finisce con lo scoprirlo. Esiste dunque un rimedio da consigliare ai nostri eroi contro questo terribile nemico?Beh, forse l’unico modo per salvarsi, almeno in letteratura, è quello di non avere segreti, perché, come insegna la nostra Fedra, non ci si può fidare della lingua, di chiunque questa sia. Ma siamo sicuri che questo valga solo in letteratura? Martina Peruffo

La macchia umana Mantenere un segreto a lungo è molto difficile. Doverlo mantenere per tutta la vita, poi, lo è ancora di più. Il professor Coleman Silk (Anthony Hopkins) è un uomo di origini afroamericane che, per una qualche anomalia genetica, è nato bianco come un giglio. Diviso fra due etnie, gli è bastato muovere i primi passi nel mondo per capire che la sua natura afroamericana sarebbe stata solamente causa di discriminazioni e sofferenze. A soli vent’anni decide perciò di nascondere le sue origini e di rinnegare la famiglia per crearsi una nuova vita. Lontano dal complicato mondo dei neri. La voce narrante è quella di Nathan Zuckerman (Gary Sinise), un suo amico scrittore. Più che di un racconto ne “La macchia umana” si compie una vera e propria operazione di dissotterramento del passato, che, di flashback in flashback, finirà col portare alla luce i resti di quell’inconfessabile segreto che Coleman ha tenuto nascosto per tutta la sua vita. Il film entra subito nel vivo, con il professor Silk che viene cacciato dal college in cui insegna lettere classiche per un’accusa di razzismo. Il licenziamento del professore è un episodio chiave perché, oltre ad essere l’incipit dell’intera vicenda, esplicita sin da subito il messaggio del film. Il regista (Robert Benton) vuole puntare il dito contro l’ipocrisia e il perbenismo ipercritico della società Americana di fine anni novanta. Sono gli anni del Sexgate: un periodo in cui apparire moralmente e politicamente corretti è un imperativo categorico. A questo punto entra in scena Faunia (Nicole Kidman), una ragazza di 35 anni con la quale Coleman, ormai vecchio, instaura una travolgente storia di amore. Pur appartenendo a mondi completamente diversi i due si assomigliano più quanto persino loro stessi credano. Coleman è uno stimato intellettuale mentre Faunia è una ragazza della strada, dai modi grezzi e duri. Tuttavia entrambi si portano dietro il peso di un passato impossibile da cancellare. E proprio in questa relazione dove, in controtendenza con il mondo che li circonda, non è l’apparenza ma la sostanza che conta, Coleman riesce finalmente a liberarsi, svelando a Faunia il suo segreto. Un segreto che più che renderlo libero di vivere una vita normale lo ha

reso prigioniero dell’ombra del proprio passato. Era sempre stato bianco come la neve, ma ragionava da schiavo. Nella seconda parte del film, con la comparsa dell’ex marito squilibrato di Faunia, la storia tenta malamente di assumere le tinte fosche di un thriller. Purtroppo l’atmosfera non decolla mai e la suspense sembra essere solo un lontano ricordo. La pellicola, dunque, seppur piena di spunti molto interessanti, risulta essere generalmente piuttosto noiosa. In particolare è da bocciare l’eccesivo utilizzo dei flashback che rallentano all’inverosimile il ritmo della narrazione. Sostanzialmente“la macchia umana”può essere diviso in due parti: una drammatico-introspettiva, ben curata e abbastanza appassionante, e una pseudo-thriller, piatta e assolutamente priva di originalità. Pur con parecchi difetti il film resta comunque molto godibile, complice un cast di altissimo livello con un Anthony Hopkins da manuale. Niente grida di gioia, niente occhi sgranati o giudizi entusiastici dunque. Ma, se visto nella serata giusta, magari con della pioggia battente e un po’ di malinconia sulle spalle, vedrete che questo film vi offrirà ottimi spunti su cui riflettere. Dario de Liberis dariodl@hotmail.com

Cogitandal - Novembre 2008

Quando la letteratura ci insegna ad essere sinceri

23


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.56

Pagina 24

Cogitanda - Novembre 2008

Il peccato è un segreto troppo oneroso per essere nascosto

24

Nel brano “Sinnerman” di Nina Simone le angosce esistenziali del peccatore e del suo triste destino. Sinner man, un antica canzone gospel americana, che narra le dure sorti del peccatore non pentito, è stata resa nota dalla celebre ed elaboratissima versione di Nina Simone. La sua prima interpretazione fu durante il concerto al Village Gate nel 1962, ma la versione definitiva (lunga), uscì con l'album Pastel Blues del 1965. Questo motivo, rimasto nella storia della musica, e ripreso da moltissimi artisti successivi, sembra apparentemente una semplice filastrocca, ma apre ad una serie di riflessioni esistenziali sulla natura umana. Narra di un peccatore, che sfugge dalla realtà dei fatti che lo perseguita, per nascondere il suo segreto più grave. Questo corre, cercando affannosamente un riparo: va dalla Roccia, e le chiede se può nascondersi dietro di lei. Ma questa inizia ad urlare scacciandolo via. Il peccatore scappa verso il fiume, ma questo inizia a bollire pur di non accoglierlo. Va dal mare, ma anche questo preferisce bollire pur di non ospitare il peccatore col suo opprimente segreto.. Allora si rivolge a Dio, ed affannosamente e forzosamente lo invoca con una preghiera - Don’t you see me down here prayin?! - Ma questa supplica non è sincera, perchè risulterà agli occhi del Signore (The Lord) come un raggiro; un inganno che voglia distoglierlo dalla sua condizione di peccatore. Questo però non può tentare di nascondere il suo terribile segreto, e viene punito per la sua slealtà. Sarà così il Diavolo ad accettarlo presso gli inferi. Oramai il segreto rimarrà tale per sempre, come il peccatore che lo ha celato durante la sua vita. Il peccatore è così un uomo qualsiasi, che cela un peccato troppo grande per essere rivelato a chiunque; ma questo, ignaro, è evidentemente macchiato dalle sue gravi colpe, e non riesce ad occultare il suo segreto. Un segreto troppo grande non può essere nascosto, tanto meno agli occhi del Signore; e una volta che viene percepito da tutti, non è più tale. Non si sa quale sia l'entità del peccato, ma nessuno vuole avere a che fare con quel peccatore, e lo indirizza verso una soluzione sempre peggiore. Se non si pentirà in vita rivelando il suo segreto, per lui non ci sarà più scampo. Di sicuro questo capolavoro della regina del Soul rimarrà negli annali della musica: l'espressività della voce immobilizza l'impotente ascoltatore. È lei l'inconfondibile

diva, che sa rapire gli animi degli spettatori. Anche la musica ha una forza incredibile, in quanto per oltre dieci minuti si realizza così un continuo e crescente spannung emotivo, che non rallenta mai di tono. Si crea così una vibrazione continua che strugge l'ascoltatore accompagnandolo verso uno strano turbamento, con quei ritmi molto veloci, che tengono sempre alta la tensione. Uno scenario perfetto per descrivere il dramma che si sta verificando, rende chiarissima la morale finale della vicenda. Uno scenario analogo è stato ricreato nel film Inland Empire di David Lynch, dove come conclusione, è stato inserito proprio Sinnerman. È un finale assurdo di un film universale, che sposa bene la causa del peccatore della Simone e che definisce un capolavoro della storia del cinema.. alla fine siamo tutti uomini, e per questo tutti abili impostori. Ma non è facile, perchè tenere un segreto così pesante è una vera pena. Per questo bisogna implorare il perdono, mettendo fine al segreto che ci affligge tanto : proprio in ciò si caratterizzano gli“Incontri per il risveglio”(Revival Meeting) delle chiese metodiste, dove questo motivo veniva cantato dai cori gospel per invitare i peccatori a svelare pubblicamente i loro peccati, così da togliere dal segreto le loro colpe. Dopo di ciò, si vive un'incredibile sensazione di conforto (per questo si parla di risveglio dall'incubo del peccato), e la piccola Nina, che seguiva la madre nella chiesa metodista, lo apprese. Tenere un segreto troppo grande, è già di per se una sofferenza, perché l'animo umano più di tanto non riesce a sopportarlo. Il peccato rimane tale finché non viene svelato: il perdono è effettivo solo dal momento in cui il nostro crimine viene scoperto. Quello che alla fine la Simone ci vuole dimostrare non è tanto che “tutti i nodi vengono al pettine”, quanto che tenere celato un segreto troppo grande e oneroso, è una pena per chi deve sopportare ciò, scappando dall'evidenza dei fatti e trascinandosi dietro le sofferenze causate dalla slealtà (“bleedin' I run to the sea”). Così, vivere nell'inganno porta ad una gravissima punizione morale, che oltre al significato religioso dell'inferno, riconduce all'oblio di colui che non ha mai vissuto sinceramente, rimanendo emarginato da tutto e tutti, anche da chi ti ha amato, da chi avrebbe dovuto salvarti, o dalla stessa speranza di salvarti.

RICCARDO MARIO CUCCIOLLA riccardocucciolla@libero.it

Il segreto dell ’anima ovvero intorno al concetto di inesprimibilità <<La poesia è il segreto dell'anima; perché rovinarla con le parole?>> è questa la visione che scaturisce dalla ricerca sulla natura del linguaggio e sulla sua capacità di raffigurare la realtà del poeta libanese Kahlil Gibran. Ciò che è dentro di noi è poesia, perché è la nostra essenza; ma potremo mai scorrere con gli occhi i versi della nostra anima? L’uomo appare torbido come un fiume fangoso che scorre nel tumulto delle passioni; meditando si apprende gradualmente a far calmare l'acqua fangosa e a lasciar depositare le passioni sul fondo, così da rendere l’animo limpido e trasparente, ma se pure bevessimo a piene mani da questo puro alveo, di cosa ci staremmo dissetando? Qual’è l’essenza di ognuno di noi? Ardua è la risposta, perché

nulla vi è di più segreto. Ma un segreto non è mai qualcosa di assoluto, anzi un segreto è tale solo se può essere svelato, altrimenti non esiste. Ma se viene detto a tutti, non è più un segreto. Ma allora, il segreto cos'è? Segreto è ciò che è celato, che è nascosto. Non se ne può parlare ma non può non essere svelato. Qual’è il significato di queste parole? Ciò che è dentro di noi non possiamo dirlo ma possiamo lasciarlo parlare, ciò che noi siamo prende forma attraverso le nostre azioni. Noi siamo la nostra vita, anche se spesso il nostro comportamento non è poeticamente all’altezza della nostra essenza, forse perché sconvolto dal turbinio delle passioni, che infrangono la quiete, insidiano l’armonia, nascondono il segreto. Ma se pure riuscissimo, come un saggio, a liberarci dall’inessenziale, a rifiutare la volontà, scopriremmo finalmente chi siamo in realtà? Sveleremmo il segreto? Lontani dall’azione sarebbe come cercare di scrutare il riflesso dell’acqua in una notte senza luna… Per svelare il segreto, cogliere lo sfavillio della nostra essenza, non bisogna far altro che lasciarla risuonare nella nostra vita senza indugio. Ciò che noi siamo prende forma nelle nostre azioni, ma poiché siffatta corrispondenza non si può esprimere, ma solo mostrare, il poeta libanese conclude al silenzio: sopra ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere.

Federico Castorina federicocastorina@tiscali.it


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

ELIO

È

03/12/2008

16.56

Pagina 25

.. FRANKENSTEIN!

Alessandra Panzera ale_panz@yahoo.it

Di incentivi universitari per la partecipazione ad eventi culturali ne nascono sempre più,ed anche la Luiss culla gli interessi di ciascuno offrendo diverse ed ampie agevolazioni in più campi. Le possibilità per la stagione teatrale corrente sono numerose e sostanziose: cinque i teatri convenzionati,tra i principali del panorama romano, e riduzioni fino al 25% su biglietti di platea e al 50% per palchi di vario ordine. L’interesse dell’offerta Convenzioni Teatro&Musica della nostra università si incrementa poi delle iniziative teatrali capitoline, che non chiudono certo per le festività natalizie! Per il Natale 2008 i sipari di Roma scelgono di non alzarsi soltanto su classici come“Natale in casa Cupiello” e “Canto di Natale”, comunque in palinsesto al Teatro Brancaccio, ma di dare spazio al nuovo, allo sperimentale. E in quest’ottica il Teatro Valle propone una rivisitazione dell’opera di Dickens, già offerta dal teatro di Via Merulana. “Scrooge”, questo il titolo, porta in scena lo spirito del Natale non in un canto ma in una <<ballata per attori e ombre>> in cui la riflessione sugli errori del passato, il vuoto del presente e le possibilità del futuro emerge dalla fusione di diversi linguaggi teatra-

li, in uno spettacolo per grandi e piccini. Il Teatro Prati e il Cometa Off presentano, invece, in cartellone spettacoli incentrati rispettivamente sul valore dell’amore familiare in “Questi fantasmi” e su quello della solidarietà e della speranza in “Sette sogni”, mentre all’Eliseo Anna Marchesini interpreta “I giorni felici”di S. Beckett. Le festività diventano quindi momento di incontro tra senso di continuità, con il permanere della tendenza alla ricerca di nuove espressività e all’originalità della forma, e un momento di pausa, per fermarsi e ritrovare valori e sensazioni che volenti o nolenti il Natale porta dentro ognuno di noi, nell’attesa di un nuovo anno e di tutto quello che implicherà. Chiara Gasparrini 137821@luiss.it

Dietro le quinte Intervista ad Alessandra Arcidiacono, attrice e regista Andare a teatro per godersi uno spettacolo affascinante, coinvolgente, allegro o malinconico, è sicuramente un bel modo di passare la giornata. Ma vi siete mai chiesti cosa c’è dietro? Cosa si nasconde dietro quei personaggi che sembrano così sciolti e a proprio agio sul palcoscenico? Grazie alla disponibilità di Alessandra Arcidiacono, attrice professionista da quindici anni e regista teatrale da sette,siamo andati ad indagare sulla formazione dell’attore: Su cosa concentrate l’insegnamento nella sua scuola? (Tracce di Sale n.d.r.) Noi dividiamo il lavoro in due parti: quella che riguarda il fisico e poi il vero e proprio lavoro pratico. Per quanto riguarda il lavoro fisico insegniamo all’attore a trasformare la propria fisionomia e a modificarla a seconda del ruolo che deve interpretare. Per diventare buoni attori bisogna imparare ad avere una certa consapevolezza di sé, bisogna sapere come è fatto il proprio corpo. Diamo quindi un’attenzione particolare al movimento per la creazione del personaggio e la sua interpretazione. Per quanto riguarda la parte tecnica, lavoriamo molto sulla voce (lavoro che si sta sempre più perdendo tra le scuole di teatro). Facciamo studiare dizione, la quale, tuttavia, se utilizzata in eccesso può andare a discapito di altri fattori come la comicità. Quali sono le finalità della sua scuola?

Sicuramente affrontare il personaggio e la scena (o set cinematografico) con sicurezza e professionalità e fornire gli strumenti adatti per la preparazione di un testo teatrale, di un copione cinematografico, dall'analisi del testo allo studio del personaggio. Cosa pensa del talento? Esiste? Il talento esiste, ma non credo nel “talento a prima vista”, quello immediato; il talento può venire fuori dopo un po’ e in seguito allo studio. Non penso neanche che tutti possano recitare, ma molto dipende dall’impegno oltre che da doti innate. Un’ultima cosa: che consiglio si sente di dare ai nostri aspiranti attori? Bisogna sempre lavorare su se stessi per dare un'anima al personaggio e renderlo unico. Elaborare il proprio pensiero per creare personaggi nuovi che parlino dei nostri tempi, della nostra realtà, affinché il mondo guardandosi , come in uno specchio, possa riflettere e magari migliorare. Noi crediamo che il teatro sia anche questo! Giulia Montuoro cherryjam@hotmail.it

Teatro - Novembre 2008

Un Elio più serioso del solito ed un tantino affannato-fa stretching dopo il lungo viaggio in macchina-appare sul palco del teatro Ambra Jovinelli per presentare insieme al maestro Danilo Grassi dell'orchestra sinfonica abruzzese una performance inedita: un"pandemonium ensemble"tratto dal "Frankenstein"di Gruber del 1979."Elio è... Frankenstein"in scena dall’11 al 23 novembre, in cui il celebre cantante si fa chansonnier"per riscattarsi dalla figura di scemo", raccontando più che interpretando i nuovi mostri, anche se, sinceramente, appare poco convinto dell'attualità dell'opera. Grassi, invece, riprende le sorti della conferenza stampa puntando sul nuovo ruolo dell'arte, da sempre elitaria ed emarginante: è necessaria una nuova concezione, una nuova logica che avvicini il pubblico rendendolo interessato e non tacciandolo di ignoranza, da cui la scelta della collaborazione con Elio che, come dimostrato dalle

riuscite esibizioni in molte città d'Italia, accosta i più giovani all'ostica musica classica, ambiente peraltro in cui lo stesso Elio si è formato come musicista. Il nuovo Frankenstein è un personaggio attuale in quanto, come quello di Gruber, esorcizza i mostri del potere, specie quelli inoffensivi"bassi, ricchi e con i capelli finti"di cui il cantante pare avere un enorme timore, allontana i neonati mostri televisivi, che assopiscono l'opinione pubblica e, perché no, gli eco-mostri come il grattacielo sorto sul"bosco delle gioie", già denunciato nella canzone"Parco Sempione", suscitando un piccolo scandalo mediatico. Certo i mostri da temere non sono quelli che alloggiano dentro di noi, Elio stesso afferma che, a 47 anni, ancora sente un inferno dentro, ma certe paure sono più adatte ai quattordicenni, ciò che spaventa davvero è la realtà esterna, la realtà di una società che preferisce la volgarità alla professionalità, la banalità alla realtà. Lo spettacolo è diviso in due parti, il primo tempo dedicato all'operetta Frankenstein e una seconda parte in cui sono presentati pezzi di Elio e le storie tese e di Brecht reinterpretati ed arrangiati dall'orchestra sinfonica,che ha operato una "trasformazione"da musica leggera ad una più corposa composizione musicale.

I L N ATALE È SUI PALCHI DI R OMA

25


Teatro - Novembre 2008

360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

26

03/12/2008

16.56

Pagina 26

«Il carcere sembra una nicchia, ma in realtà è l’universo» L’Eliseo presente la rassegna “Teatro e Carcere”. Intervista al regista Fabio Cavalli Dal 9 al 21 dicembre 2008 al “Piccolo Eliseo Patron Griffi” sarà in scena “Gadda vs Genet (il giovane criminale e altre storie di galera)”, con la regia di Fabio Cavalli e gli attori del Teatro Libero di Rebibbia, compagnia formata in prevalenza da ex detenuti. Incarcerati quando ancora non si sentiva parlare della “tolleranza zero” e delle “ronde per la sicurezza”, oggi questi uomini scarcerati con l’indulto si trovano smarriti e spaesati in un mondo completamente diverso. E portano noi “uomini liberi” a riflettere su questo mondo su cui ci siamo troppo adagiati, attraverso citazioni di Giordano Bruno e ricordi autobiografici. Fabio Cavalli, regista dello spettacolo, ci parla della sua esperienza di lavoro nel contesto del carcere. Com’è stato l’impatto con il mondo carcerario? Non avevo mai frequentato un carcere. E fortunatamente mi sono adattato abbastanza bene, senza pregiudizi. I pregiudizi in un carcere sono deleteri, diventa difficile costruire rapporti e il rischio è quello di essere “espulso” dal delicato sistema che vige in un carcere. Sono riuscito a creare un buon rapporto con i detenuti e il personale carcerario. Lavoro in diverse sezioni del carcere: con i detenuti dell’Alta Sicurezza, con i detenuti per reati associativi, condannati dalla 416 bis, con i“giovani adulti”, ragazzi di venti anni che hanno sbagliato e che si vuol salvare da errori futuri, con i trans non operati. Che rapporto si crea in un carcere tra attori e regista? Loro sono gli attori, io il regista. Non mi riguarda il loro passato altrimenti mi potrei imbattere nella difficoltà di digerire alcuni reati. Ma il mio compito è quello di mettere a loro disposizione tutta la mia competenza,e per fortuna in questo progetto sono impegnati più di 100 detenuti, l’8-9% della popolazione carceraria. Lei ha scritto: «quando la straordinaria parola dei poeti irrompe dietro le sbarre determina una rivoluzione». Ci può parlare di questa “rivoluzione”? E’ fondamentale portare a queste persone l’arte, loro non

l’hanno mai conosciuta, è raro trovare persone che abbiano un titolo di studio. L’orizzonte di senso è dato dal linguaggio, bisogna andare oltre il linguaggio essenziale che dà una visione del mondo essenziale. Con la letteratura la realtà si configura così come la nomini. La realtà si configura in termini linguistici. Loro non lo sanno ma quando usano strutture linguistiche diverse per nominare la realtà, cambia l’orizzonte di senso. Compito di un educatore è metter in contatto il carcere con l’arte. Più alta è la letteratura, più fecondo è il rapporto. L’attività teatrale in carcere non si esaurisce nel grido di dolore di un carcerato. Esso non convince, non dice nulla sulla complessità dei problemi. La cultura preserva dalla delinquenza. Quindi il suo è una forma di teatro civile? Si, è un teatro civile. E il teatro civile è l’unico teatro che si può fare oggi. Bisogna produrre il nuovo. Il teatro così com’è non ha senso, bisogna portare sul palco la realtà. Riadattare, altrimenti si fa archeologia, non avere riverenze. E un detenuto come spiega la realtà? In questi spettacoli si parla della vita di coloro che recitano, gli attori interpretano la loro vita svelando orizzonti differenti.

Ti faccio un esempio: Paolo e Francesca. Puoi provare a capirlo, ma finché un detenuto non ti dice “Paolo e Francesca siamo io e mia moglie, l’unico gesto affettuoso consentito è una stretta di mano”, non hai davvero capito cos’è. E se presenti Dante così, in napoletano, comunicando il dramma che c’è dietro l’impossibilità di un abbraccio autentico, il pubblico è davvero commosso. Un Dante così si può vedere solo in carcere. E ancora, pensa al Canto di Ulisse: capisci cos’è lo spirito di conoscenza quando è narrato da un ragazzo che da giovane ha lasciato la Sicilia per andare in Belgio, dove ha sbagliato, dove si è ritrovato il corpo forato da proiettili, che recita nel suo dialetto, appassionato dal viaggio che l’eroe dell’Odissea ha compiuto tantissimi anni fa proprio dove lui è nato. Il carcere è un vetrino da esperimento, con l’umanità condensata. Vedi gli uomini con la loro essenza, ridotti all’essenza; questi uomini hanno bisogno di espressione, di libertà materiale e spirituale, che il teatro scatena. Se fornisci loro degli spunti dalla letteratura, sono i migliori interpreti della catarsi. Il carcere sembra una nicchia, ma in realtà è l’universo. Un purgatorio, che ha un’uscita verso il bene. Un’uscita resa però difficile dalla società, che non dà possibilità di riscatto. E il pubblico? Qual è la sua reazione? Il pubblico c’è, è tanto, si commuove. Quando presentiamo gli spettacoli all’interno del carcere di Rebibbia, si arriva anche a 13mila spettatori. Ogni anno sono organizzati progetti che coinvolgono studenti delle scuole e anche la Regione ci aiuta. E’ stato approvato infatti il progetto “Officine di teatro sociale”, centro permanente di produzione teatrale a Rebibbia, promosso e sostenuto fin da 2002 dall’Associazione Enrico Maria Salerno, oggi progetto ufficialmente riconosciuto. Chiara Cancellario chiara_canc@hotmail.it

Tagli al FUS: e ora? Bufera nel mondo dello spettacolo. Protagonisti il ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi, e la manovra sul FUS, Fondo Unico per lo Spettacolo. Già lo scorso maggio la ripartizione del fondo aveva creato disagi, destinando quasi il 50% delle risorse alle fondazioni lirico sinfoniche e solo il 16,27% alle attività teatrali di prosa, percentuali comunque esigue in rapporto agli scorsi anni a causa dell’accantonamento obbligatorio dell’11% previsto dalla Finanziaria 2008, che ha così ridotto il montante da ripartire di 55milioni di euro, e di cui l’Agis richiede a gran voce lo sblocco vista la situazione di crisi in cui vertono oggigiorno gli enti culturali. Pochi giorni dopo la situazione si aggrava: “Per la copertura finanziaria all’operazione del governo messa in atto da Tremonti saranno cancellati o ridotti tutti gli importi incrementali

previsti dalla legge finanziaria” denuncia la Uil, riduzione che si concretizza in un taglio di 52milioni sul totale al lordo del FUS, da aggiungere ai tagli della spesa corrente di 5milioni di euro e della spesa per la parte capitale di 8milioni. E i teatri d’Italia non ci stanno. Così, mentre a Milano e Torino i teatri aprono le porte al proprio pubblico per spiegare cosa la riduzione dei fondi comporterà, a Firenze la Pergola già comincia a cancellare rassegne e messe in scena che la porterebbero fuori budget, mentre i sindacati uniti manifestano e la SLC Cgil, il sindacato lavoratori nelle comunicazioni, strappa al ministro Bondi la promessa di adoperarsi per un reintegro del FUS; nessuna precisazione in merito a quando e di quanto. Di fronte ad una siffatta situazione viene naturale richiamare alla memoria le parole di un ex ministro della Cultura francese, J. Lang, il quale ha a più riprese dichiarato che <<un paese che non investe nella cultura è folle>>. Si attendono sviluppi. Chiara Gasparrini 137821@luiss.it


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.57

Pagina 27

Villa Torlonia: uno scrigno di tesori nel cuore di Roma

e gli splendori delle più diverse epoche storiche. E il risultato è ancor più sconcertante nel momento in cui tra i vetusti simulacri del passato si vanno incastonando scene di una quotidianità quasi profana: un pic-nic sull’erba, un giro di jogging tra i vialetti chiazzati dall’ombra.. Scene che proprio da questo apparente contrasto traggono una nobilitazione inopinata, realizzando un connubio tra presente e passato tanto comune, eppure tanto sconvolgente, in questa città da fiaba.. Villa Torlonia è sicuramente una delle immagini più esplicative di questo connubio, e il 19 ottobre scorso ha aperto le sue meraviglie a chiunque volesse ammirarle, con tanto di guida gratuita in occasione della Giornata Nazionale del Turing Club:

ISOLATI O ISOLAZIONISTI?

Tiziana Ventrella

LA GRANDE CALLA

ARTE E ARTISTI DEL DISSENSO

Sono giorni di protesta. Sono giorni in cui parte della società sta dando voce ad un dissenso politico nato, a sua volta, da un disagio quotidiano. Ognuno di noi è più o meno partecipe o coinvolto, anche solo nella misura dei disagi che subisce. La voce critica si sta esprimendo in forme talvolta aggressive, dimenticando il potere della manifestazione pacifica. In questo ultimo ambito si inserisce l’arte: la funzione che essa occupava si è andata modificando, restringendosi, fino ad emarginarsi dalla sfera sociale e rinchiudendosi in quella personale, togliendo così margine al suo utilizzo reale. Eppure, il passato più recente, è pieno di esempi di arte sociale, dal “Quarto stato” di Pellizza da Volpedo a “La libertà che guida il popolo” di Eugége Delacroix, voci non uniche né rare di un panorama artistico spesso coinvolto nella vita politica della nazione d’appartenenza. Oggi che, grazie all’ampliarsi della fascia media, della rivoluzione tec-

un’opportunità impedibile per tutti gli appassionati di storia e architettura! Il programma prevedeva infatti la possibilità di godere appieno non solo dello splendido parco in stile inglese (tesoro di cui quotidianamente si inebriano decine tra turisti e non, che vi trovano ristoro dal caos metropolitano!), ma anche di una visita guidata nelle stanze dorate della Villa, con la sua imponente struttura classicheggiante e gli spazi maestosi, e tra i suggestivi anfratti della particolarissima Casina delle Civette, dimora personale del principe Giovanni Torlonia: un piccolo gioiello sintesi di numerosi stili, con linee e volumi così eterei e fiabeschi da sembrare quasi un frammento di mondo Disneyano emerso per sbaglio nella prosaica realtà appositamente per sublimare la solitudine meditabonda di un principe eccentrico e solitario.. Insomma, sicuramente una visita che costituisce una validissima alternativa, specie in questa rigida stagione, al semplice godimento della frescura dello splendido parco..

nologica e del livello d’istruzione, si presenta la possibilità reale di dare l’occasione a tutti gli individui di dedicarsi all’espressione creativa, c’è mancanza di arte nella società. È un paradosso. Di fatto siamo a questo punto, gli artisti e la gente non sanno più cosa li unisce, gli uni si sono isolati e gli altri li hanno quasi dimenticati. Li hanno eliminati dai loro interessi, dalle loro conversazioni, e gli artisti si sono rifugiati in una nicchia fatta d’incomprensioni e di sofferenza che ancora si ostinano a chiamare arte. Di conseguenza, anche le persone comuni credono che sia così, e li lasciano fare senza comprendere il legame che li unisce. Il legame si è spezzato. Per ricongiungerlo bisogna che gli artisti e la gente riconoscano all’arte un valore sociale e un ruolo, pari ad esempio a quello della scienza e della religione. Si, è così: gli artisti, al pari degli uomini di scienza e di spiritualità, svolgono una funzione sociale indispensabile e, con la loro ricerca, contribuiscono allo sviluppo e alla crescita dei popoli. L’arte non è solo un mezzo di realizzazione di “caratteristici” manifesti elettorali, è forma acuta di intelligenza partecipativa e oratrice attenta dei cambiamenti in atto. Bridget

Nella hall dal MACRO, in via Reggio Emilia, è esposta l’installazione “While nothing Happends” dell’artista brasiliano Ernesto Neto. L’impressione che si ha arrivando, in realtà, è quella di un’enorme calla, coltivata dal Grande Gigante Gentile, in un giardino di un mondo capovolto. Nell’attraversarla, invece, si rimane come sospesi nel nulla, estraniati totalmente dalla realtà, senza vedere né sentire, coinvolti totalmente all’interno dell’opera. L’installazione è una cosiddetta “struttura molle”, un “campanone” bianco in legno e lycra, da cui pendono numerose gocce, sempre in lycra, che l’artista ha riempito con cinque spezie: pepe, cumino, chiodi di garofano, zenzero e curcuma. Intenzione di Ernesto Neto - a suo dire – è quella di ricreare luoghi spirituali, che evochino nello spettatore, o, per meglio dire, nel fruitore dell’opera, impressioni di totalità, infinito, continuità; per un’arte meno perversa e più sensuale. Lo fa trascinando lo spettatore in un’esperienza percettiva totale. L’individuo viene coinvolto fisicamente all’interno dell’opera, con la vista, l’olfatto, il tatto, e si perde all’interno delle strutture. Da un lato queste composizioni bianche, di stoffa, con forme dolci e morbide, accolgono lo spettatore

in un ambiente intimo, familiare; dall’altro le spezie lo stordiscono, evocando immagini di mondi lontani che lo estraniano da quello circostante. In realtà, al di là dei “paroloni artistici”, che dovrebbero spiegare i più profondi significati di un’opera d’arte contemporanea e al di là della prima impressione su Neto, che riporta alla mente le parole di Tenco sugli artisti,“il nostro artista […] soffre anche lui di un male purtroppo assai diffuso […] il mito della personalità”, l’installazione diverte e venti minuti all’interno di “While nothing happends” sono un tempo ben speso. Chiara Tosti-Croce

Artificio - Novembre 2008

Non è inusuale, passeggiando per questo tributo alla bellezza che è Roma, imbattersi in luoghi capaci di realizzare un’atmosfera di magica compenetrazione tra i fasti

27


Lifestyle - Novembre 2008

360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.57

Pagina 28

SHOP IN THE CIT Y Riassunto della puntata precedente: la Vernice è ritornata a fare capolino tra gli accessori, meglio se in colori shocking, mentre le Gambe spuntano dai microkilt di tar tan. Nel frattempo il Viola incombe minaccioso su ogni capo d’abbigliamento, fronteggiando l’avanzata del Verde…

28

Seconda Puntata A Londra non tira un’aria molto diversa. Grazie alla collaborazione di case di moda low-cost come Zara e H&M i trend si diffondono veloci come il morbillo e si concludono nel giro di qualche settimana fagocitati dalle nuove collezioni. Aver pagato un outfit (completo) meno di trenta sterline (nemmeno 40 euro) è motivo di orgoglio, spendere cifre a due zeri per un paio di jeans, un’idiozia. Non dimentichiamo che Londra è pur sempre la capitale del business. Lo stile è simile al nostro. Solo, più estremo. 1) I cari plateau, gioia delle basse e croce per i cavalieri che devono accompagnarle, devono essere quantomeno vernciati, stringati o black’n gold. Rihanna docet. 2) gli skinny jeans -senza dubbio il meglio che ci sia capitato dal ripescaggio degli anni Ottanta di questi

ultimi anni- a stampe animalier nere su colori fluo (come il fuxia) non sono più un’attentato al buon gusto. 3) Kate Moss, alla veneranda età di 34 anni (cioè 50 per una Top Model) è ancora l’icona di stile della ragazza media londinese. Il faro di speranza a cui guardare nei giorni in cui sembra che l’armadio a sei ante non contenga nulla che si adatti al nostro stato d’animo. È sempre lei a comparire sui giornali gratuiti (lei sì che vive sotto il Grande Fratello) ogni giorno. Kate è fonte d’ispirazione perché tutti possono copiarla. Tutte abbiamo un paio di jeans neri, una camicia bianca del nostro fidanzato e un paio di ballerine, quelle ormai si trovano pure nelle uova Kinder. O una maglietta a righe delle elementari (se la taglia non è cambiata…). Adesso che Top Shop le ha fatto firmare la seconda collezione, è ufficiale: Kate Moss è Londra.

Terza Puntata Era un normalissimo mercoledì sera a Londra, e decidemmo di andare a fumare il narghilè in uno shiushà bar. Stufa di tante nottate passate in minigonna senza calze, decisi di indossare, per la prima volta dopo un mese e mezzo, dei pantaloni. La mia amica Elaine mi chiese stupita se ci fosse qualcosa che non andava. Poi, arrivati al primo bar, fui felice di aver sacrificato parte della mia femminilità: all’interno non si poteva fumare. Dopo una corsa in taxi alla ricerca di un altro locale che accettasse fumatori, rimanemmo delusi di nuovo: si poteva fumare solo in mezzo alla strada. Ma scaldati da una stufetta. Ci alzammo e ce ne andammo. Facemmo due passi, la strada era piena di questi baretti, ma alla fine ci arrendemmo, e io gioivo sempre di più di aver messo i jeans quella sera. Eppure oggi, in pigiama, chiusa in casa da giovedi, non ci posso credere: sono ammalata. Dovrei essere a Oxford Street a vedere le illuminazioni di natale, a prendere appunti da Selfridge’s. Come è potuto accadere? Come tutte le brave londinesi ho sempre indossato minigonne senza nemmeno pensare ad indossare i collant. A volte, per pigrizia, sono scesa a fumarmi una sigaretta sotto casa indossando le havaianas e il piumino. E ora, per una volta che avevo deciso di coprirmi venivo punita? Nella mia

stanza, infilata in una vestaglia di pile, aprendo la finestra per respirare un po’ di aria fredda, non potevo fare a meno di chiedermi: era Londra, era la vendetta dei collant o ero io? Chiara Sfregola


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

CAMBIARE

03/12/2008

16.57

Pagina 29

M EGLIO CAMBIARE …. O NO ?

PER AMORE qualche parte qualcuno perfetto per noi così com’è o questa figura mitologica diviene un paradigma impossibile in base al quale andiamo alla ricerca del nostro lui scartando inevitabilmente ogni opzione?! Può succedere di voler plasmare l’altro, morbido come gomma, pronto a ritornare alla posizione di partenza non appena tutto sarà finito, oppure non vederlo cambiare mai, perché troppo sicuro di sé o troppo insicuro delle conseguenze di un reale cambiamento. L’importante è non arrivare mai ad intaccare la sua natura, non perdere di vista quelli che sono i nostri difetti, e non dimenticare mai che la realtà, lontana dall’idea platonica di anima gemella, è quella fatta di persone fallibili, ed infiniti difetti, ma anche di emozioni e sentimenti così veri e totalizzanti da meritare di essere vissuta così com’è, senza sconvolgimenti e rivoluzioni. E ora, se mi scusate, scappo e faccio un tuffo nella realtà, mia e di quel ragazzo, perfetto nelle sue piccole imperfezioni!

Si cambia o non si cambia per amore? Mentre cercavo di trovare una risposta a questa amletica domanda, squilla il telefono: è un mio amico. Già che ci sono chiedo anche a lui cosa ne pensa e la risposta che mi da è decisa e d ra s t i c a : <<Sì, si può cambiare per amore e spesso questo può provocare effetti deleteri per chi cambia>>. Secondo lui la persona che cambia perde una parte di sé,del suo modo di vivere, fa scelte che non avrebbe mai fatto e per questo finisce con il soffrire e sentirsi fragile. Si possono smussare le parti più spigolose del proprio carattere, i propri difetti, però, se si deve cambiare radicalmente per la persona che si ama, forse è meglio rinunciare a stare con lei. Più ascolto il suo ragionamento più mi convinco che probabilmente ha ragione lui: non si può indossare una maschera per tutta la vita, fingere di essere ciò che

Alessandra Rey 057732@luiss.it

effettivamente non si è e sperare allo stesso tempo di essere felici. Forse non è neanche la persona che abbiamo accanto a chiederci di cambiare, ma siamo noi che ci caliamo a tutti i costi nella parte del “patner ideale” sperando di essere convincenti, senza renderci conto che il vero problema è riuscire a convincere noi stessi… Certo, non è detto che cambiare sia un’esperienza sempre e solo negativa, magari ci scopriamo migliori e ne siamo soddisfatti, in fondo la cosa fondamentale è esserne convinti. L’importante è non cambiare per far piacere agli altri, ma per piacere di più a noi stessi!

Michela Petti

“C’erano una volta le principesse-elastico” Immaginate la scena. Ci sono io, questa bambina magramagra e palliduccia, incollata davanti allo schermo del televisore con aria rapita e vagamente psicotica. Nel videoregistratore (IL VIDEO-REGISTRATORE! Dio, come sono obsoleta) il solito film Disney consumato dalle troppe visioni. Ed eccola lì, nascosta tra le altre, la frase che aspetto con ansia per poi sorridere tutta soddisfatta fra me e me (ok, ero una squilibrata): “La gente fa cose pazze quando è innamorata”. È così che immaginavo l’amore da piccola, imbevuta com’ero di dottrina Disneyana: un continuo sacrificarsi per l’amato. Sono passati altri dieci anni e sono secoli che non guardo

Hercules. Ovviamente mi piacerebbe tanto credere ancora nell’amore che trasforma le Bestie Pelose in Principi Scintillanti, ma essendo tendenzialmente una disillusa misantropa (o forse solo una romantica delusa) mi sono resa conto che quello che chiamiamo “cambiare per amore”ha ben poco a che fare con l’amore vero e proprio. Intendiamoci: non sto dicendo che la gente non possa cambiare, il punto è che non lo fa per amore, anche se ne è intimamente convinta: lo fa per-ché le fa comodo. E non è egoismo, davvero. Anzi, è una cosa quasi nobile. Solo che non è disinteressata. Voglio stare con te, tu mi vuoi così, io (provvisoriamente) divento così. Tutto qui. Infatti, una volta esauritasi la relazione in questione, ecco che ogni cosa torna alla normalità. Effetto elastico. E questo vale sia per le donne che per gli uomini: chi ha detto che noi siamo più adattabili? Al contrario, non facciamo che pretendere e intestar-dirci su qualsiasi cosa, dalla serietà della storia all’igiene perso-nale passando per il bon ton (non per fare le difficili, ma quando il tuo uomo esprime il suo affetto con i rutti, bè, qualcosa da ridire ci sarebbe). Ma non temete, le principesse del XXI secolo possono vivere per sempre felici e contente anche senza rinne-gare la loro natura: in fondo si può sempre cambiare il lieto fine! Martina Monaldi

Unisex - Novembre 2008

Ci sono momenti della vita in cui abbiamo bisogno di illuderci, di sfuggire alla realtà, come se questo tentativo potesse regalarci concretamente tutto ciò che ci manca. Ma a forza di scappare dalla realtà questa, prima o poi, ci viene a cercare. Io ne sono il classico esempio… L’ho fatto, nell’ormai passata giovinezza, più di una volta sognando storie senza che vi fossero le basi reali e per anni mi sono nutrita quotidianamente dei c.d. amori platonici che, ora lo posso dire con certezza, mi hanno aiutato a sopravvivere all’adolescenza. L’ho fatto, dopo tanto tempo, di recente, quando mi sono convinta che l’amore che stavo vivendo non fosse poi così perfetto ed ho perso tempo a concentrarmi su tutti gli stupidi difetti che riuscivo a notare, con l’atteggiamento da maestrina che, purtroppo, mi caratterizza e mi sono sentita investita di una missione: rivoluzionare quella persona. Ed è qui che entra in gioco una domanda ricorrente: si può cambiare per amore? Ma soprattutto, non meno retorica!, l’anima gemella è realtà o solo uno strumento di tortura? Esiste davvero da

29


Calcio d’angolo - Novembre 2008

360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

30

03/12/2008

16.57

Pagina 30

La Formula 1 che verrà Un bilancio della quattro ruote tra presente, passato e futuro É ormai passato un mese dalla fine della stagione 2008 di Formula 1, e gli appassionati non hanno neanche fatto in tempo a riprendersi dal finale più adrenalinico degli ultimi anni che già si moltiplicano le indiscrezioni e le novità riguardo il prossimo futuro. Alla fine, dunque, è riuscita a spuntarla Lewis Hamilton. L'inglese della McLaren è diventato, all'età di 23 anni 9 mesi e 26 giorni, il più giovane pilota campione del mondo della storia di questa disciplina, superando di una sola lunghezza – e solo all'ultima gara – il ferrarista Felipe Massa. Simpatie e preferenze a parte, devo confessare che era tanto tempo che non mi emozionavo così tanto per uno sport: l'ultimo giro l'ho passato arpionando il bracciolo del divano con una mano e il telecomando con l'altra, con il cuore in gola, mentre sentivo la voce del telecronista in tv che passava nel giro di pochi secondi dall'euforia alla doccia fredda. Difficile dimenticare le espressioni stupefatte della famiglia Massa al box Ferrari, così come le lacrime di gioia del neo-campione del mondo; difficile dimenticare una gara dal finale tanto rocambolesco, in cui il titolo mondiale è stato assegnato – letteralmente – all'ultima curva, e in cui ancora una volta è stata l'imprevedibile meteorologia a mischiare le carte in tavola. I deboli di cuore mi perdoneranno se, per la prossima stagione e quelle a venire, mi faccio soltanto un augurio: che ci siano ancora gare e finali di stagione come quello appena trascorso. A cose fatte, bisogna considerare che di carne al fuoco il campionato ne ha messa parecchia, soprattutto se si parla di quello che è uno degli elementi basilari di questo sport: i piloti. Hamilton ha fatto vedere grandi cose, ma si è anche reso protagonista di grandi scorrettezze: un peccato legato forse alla giovane età, alla foga e all'inesperienza, ma che lo ha reso senza dubbio il più impopolare tra i suoi stessi colleghi (oltre che – per ovvi motivi – tra i ferraristi). Massa ha corso un'ottima stagione – inizio a parte – e si è automaticamente guadagnato un posti tra i big in quella che verrà, mettendo in ombra il compagno di squadra Raikkonen (che comunque resta il re incontrastato dei giri veloci in gara). Alonso, su Renault, si è riscattato solo nel finale, arrivando anche a vincere due gare di fila con una monoposto di certo non competitiva. Ma, al di là dei soliti noti, mi piacerebbe concentrare l'attenzione su altri due giovani rampanti. Da un lato c'è Robert Kubica, che, proprio sul circuito dove un anno fa aveva rischiato la vita in un tremendo incidente, ha portato la Bmw alla prima vittoria in Formula 1, e che oltretutto è restato in corsa per il titolo fino alle penultima gara. Dall'altro c'è Sebastian Vettel, classe '87, alla sua prima stagione da titolare, che, alla guida della “piccola” ed italiana Toro Rosso, ha ottenuto pole positon e vittoria proprio nel Gp d'Italia, diventando il più

giovane vincitore di una gara di Formula 1. E la prossima stagione sembra destinata ad aprirsi proprio nel segno di questo giovane pilota tedesco, che già da molti viene additato come il nuovo Michael Schumacher. A metà novembre si sono svolti a Barcellona i primi test sui prototipi delle monoposto che correranno nel 2009, ed il miglior tempo è stato proprio di Vettel, appena passato alla Red Bull (sorella maggiore della Toro Rosso: che dal canto suo ha messo a segno il secondo e il terzo tempo). Ancora assenti i piloti di grido, tutti freschi di rinnovo contrattuale: i primi tre team di classifica (Ferrari, McLaren e Bmw) hanno confermato le rispettive line-up, ed anche Alonso si è legato alla Renault per altri due anni, ponendo fine (ma solo temporaneamente) alle voci di corridoio che lo vorrebbero alla scuderia di Maranello. Abbandonando il livello delle certezze e approdando a quello delle indiscrezioni, ci si imbatte nell'infinita serie di voci circa le novità di carattere tecnico della prossima stagione. Mentre, come già anticipato, la sorte dei circuiti di Canada e Francia appare sempre più segnata, spuntano alcune proposte riguardo i regolamenti. È del 20 novembre la notizia seconda la quale Bernie Ecclestone, il gran capo della F1, starebbe pensando ad un nuovo sistema di assegnazione dei punti; o meglio, starebbe pensando di relegarlo solamente al campionato costruttori. L'idea è quella di inserire una medaglia per ciascuno dei tre gradini del podio: la vittoria finale nel campionato piloti sarà assegnata all'atleta con il maggior numero di vittorie (quindi medaglie d'oro); in caso di parità di procederà con il conteggio di quelle d'argento, e così via. Un meccanismo senz'altro elitario, che vanificherebbe la costanza dei piloti: basti pensare che, nella stagione 2008, è stato Massa a totalizzare il maggior numero di vittorie, e non Hamilton. Un'altra novità in arrivo è la ristrutturazione del sistema delle qualifiche. Si starebbe pensano di eliminare le tre manches attualmente in uso, a favore di un'unica grande sessione, cui parteciperebbero tutti i piloti contemporaneamente; inoltre, il raggiungimento della pole position garantirebbe un punto per la classifica generale. Chiaramente si tratta solo di proposte ed idee: nei prossimi mesi si avrà tempo e modo per sapere se e come verranno attuate. L'unica certezza è che il circus della Formula 1 riaprirà i battenti ufficialmente il 29 marzo 2009 in Australia. E ci auguriamo con tutto il cuore che, al di là delle novità che porterà con sé, sappia regalarci ancora emozioni forti come ha sempre fatto. Luigi Calisi monkeyluis@libero.it

Quattro chiacchiere con... “CARLETTO” ANCELOTTI Questo mese per la nostra rubrica abbiamo chiacchierato proprio con l'allenatore rossonero, che non ha mancato di svelarci persino qualche indiscrezione sul suo possibile futuro professionale. Mister, senza la Champions (obiettivo da sempre primario per il Milan) questa può essere la stagione dello scudetto? Certamente! O almeno ci auguriamo che lo sia. Inutile nascondere che è il nostro obiettivo, e che in verità negli ultimi anni è stato messo da parte in favore della Coppa Campioni. Una delle novità di questo campionato è la presenza di Mourinho. Trova più fastidioso o più stimolante vivere con una tale personalità il derby della panchina? Il derby è per me una partita particolare, al di là degli allenatori che incontro. Certo, è stimolante sapere che il confronto è con un allenatore di esperienza internazionale... Sacchi ha dichiarato che il suo Milan è il più simile a quello di Niels Liedholm. E' d'accordo? Beh, le sue squadre avevano come caratteristica principale quella del possesso

palla. Direi che questo aspetto posso riscontrarlo di certo anche nel mio Milan. Il Milan ha di certo una rosa stellare, colma di personalità di spicco: Ronaldinho, Kakà, Shevchenko, Pirlo, Seedorf... Trova difficile farle convivere? Non è semplice. Per farlo è fondamentale, oltre alla loro apertura al dialogo, anche l'appoggio della società. Per fortuna questa, al Milan, non mi è mai mancata. Se pensa al suo futuro cosa vede più probabile, una selezione africana o la Roma? (ride)... Beh non nascondo che mi piacerebbe disputare un campionato del mondo... Per di più il calcio africano mi ha sempre incuriosito e affascinato: dispone di giocatori straordinariamente dotati dal punto di vista fisico, ma un po' indietro sotto l'aspetto tecnico. Mi piacerebbe portare in tale senso parte della mia esperienza. Emanuela Perinetti epc@hotmail.it


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.58

Pagina 31

Lo sport ha sempre ricoperto un ruolo primaIn seguito a un'inchiesta di un celebre settirio nella vita di noi tutti: già Giovenale, nelle manale italiano, si scoprì che chiunque sue Satire, affermava “Mens sana in corpore poteva avere la prescrizione per tale farmaLavicendadiunfarmacovietatonel2002, sano”, ed ancora oggi la pratica sportiva è co rivolgendosi presso un qualsiasi dietoloconsiderata attività prioritaria. Da qualche go. oggifacilmenteacquistabilegrazieaduntranellolegislativo tempo questo fenomeno deve, però, affronSul caso Bastianelli molti esperti si sono tare una nuova e pressante problematica: il doping. Pensare che espressi, e la tesi partorita è quasi unanime. questo sia un problema da limitare allo sport fatto ad alti livelli Sebbene il farmaco non rientri nel novero dei “non consentiti”, il sarebbe un grave errore. Il doping viene spesso proposto ai ragazfarmacista nel preparato galenico può aver utilizzato la fenfluramizi che si affacciano all'attività agonistica, per migliorare le prestana (sostanza vietata), necessaria per il preparato. A questo punto, zioni e per dare loro la speranza di diventare un giorno dei campiodal controllo, l’atleta chiaramente è risultata dopata. ni. Dopo aver illustrato la vicenda, si può senza dubbio esporre un leciIl ministero, e più in generale gli organi della gerarchia sportiva, to dubbio. tramite campagne di sensibilizzazione hanno più volte cercato di La lotta al doping deve essere combattuta strenuamente da addetdissuadere dall’uso di queste sostanze e dalla loro diffusione. ti ai lavori e non, ma in determinati casi bisognerebbe adottare un minimo di comFatte queste considerazioni, però, ci si stupisce di come sia possibile che atleti che prensibilità: la Bastianelli, forse, prese il farmaco solo per fini dimagranti, e non vengono sottoposti continuamente a controlli antidoping (anche incrociati: urine- dopanti. sangue), possano cadere nel fatale errore di farne uso. Ammettiamo che il CONI abbia solamente rispettato le procedure previste dal La tesi più attendibile, ed innocentista, confermata anche da casi recenti, è che gli WADA, impedendo all’atleta la partecipazione alle Olimpiadi. Ma di quale giustiatleti assumano determinati medicinali che, nonostante non siano a ciò deputati, zia stiamo parlando? contengono sostanze dopanti. Quando si discute circa la creazione nei giovani di una sana cultura sportiva, si Gli esempi più celebri sono due: Marco Borriello, calciatore, e Marta Bastianelli, intende dissuaderli dall’idea di aver bisogno di sostanze che aumentino le proprie ciclista. prestazioni. Il primo, due anni or sono, è incappato in una squalifica di tre mesi per “colpa” di Utilizzando le parole di uno spot ora in voga:“Everything you need, is already insiuna pomata cutanea che conteneva, fra i vari ingredienti, una sostanza che posse- de”. Questa è la lotta che ci sentiamo di appoggiare. deva un principio attivo dopante. Marta Bastianelli oggi oltre alla squalifica di un anno è sottoposta ad un procediLa seconda, il cui caso è veramente interessante, è stata campionessa mondiale di mento a suo carico per violazione dell’art.445 del codice penale. ciclismo nel 2007 (oltre che vincitrice ai campionati U23), ma è stata costretta a Le riflessioni le lasciamo ai lettori, e, chiaramente, agli addetti ai lavori. saltare le ultime Olimpiadi a causa della squalifica per doping. Gli esempi da noi citati sono due, ma potrebbero essere molti altri, specialmente Sin dal primo momento la ragazza cercò invano di giustificarsi affermando che il nel mondo del ciclismo, a causa di ciclici controlli sugli atleti, più frequenti che farmaco incriminato non rientrava nella lista dei farmaci vietati, distribuita dal negli altri sport. WADA (World anti-doping agency). In conclusione, è auspicabile che la materia del doping venga nuovamente riforMa questo non le bastò ad evitare la squalifica. mata in alcuni punti per evitare che, a causa di una dieta, un atleta sia costretto a Il farmaco in questione, adottato a fini anoressizanti, fu ritirato dal mercato nel perdere il sogno di una vita. 2002 a causa di effetti collaterali sul cuore e sul sistema nervoso. Solo nel 2003, in seguito ad una sentenza del Tar, fu rimesso sul mercato in forma Lorenzo Nardi galenica (fatto artigianalmente dal farmacista su ricetta medica); così, grazie a lor1989@hotmail.it questo piccolo tranello legislativo, il farmaco è di nuovo lecito.

Dimagrante o dopante?

Ancora nubi sul complesso di Trigoria e sulla Roma Lo scorso mese ho iniziato a descrivervi in modo (spero) dettagliato la vicenda del complesso“Fulvio Bernardini”, più conosciuto con il nome di Trigoria. Prima di continuare, penso sia giusto riassumere, brevemente, quanto illustrato la scorsa volta. L’As Roma ha venduto per 30 milioni la struttura sportiva di Trigoria alla Banca Italease che, il giorno successivo, ha firmato con Roma 2000 Srl, mediante la sua controllata Roma Real Estate Srl, un contratto di leasing finanziario di 15 anni. Successivamente la società giallorossa ne ha sottoscritto uno di locazione, grazie al quale il team capitolino potrà usufruire di Trigoria per 12 anni, pagando un canone d’affitto annuale di 3,7 milioni. E fino a qui non c’è nessuna novità. Ma ecco cosa si legge nella situazione finanziaria mensile del 30 Settembre 2006, approvata dal Consiglio di Amministrazione dell’As Roma: “Nello scorso mese sono stati ceduti, in pagamento canoni alla consociata (cioè l’As Roma Real Estate), i residui crediti contrattuali maturandi nei confronti di H3G Spa e le relative garanzie, pari a 12,5 milioni di euro, oltre IVA, a fronte del pagamento anticipato di quota parte di futuri canoni di locazione. A fronte di tale cessione, è stata rimessa nella disponibilità di As Roma la somma di 12 milioni di euro, inizialmente prevista a titolo di deposito cauzionale ed a garanzia di pagamenti. Infine sono stati costituiti presso la consociata depositi cauzionali, per 3,8 milioni di euro, in ottemperanza agli impegni contrattuali assunti”. Facile da capire vero? Cerco di spiegare meglio quanto detto in questo comunicato. L’As Roma ha firmato un contratto di locazione per la durata di 6 anni (gli altri 6 da riconfermare), con As Roma Real Estate Srl (cioè Roma 2000 Srl e quindi Italpetroli). La società calcistica si è dovuta far carico, come garanzia del canone d’affitto annuale, di un versamento del deposito cauzionale verso l’agenzia immobiliare di circa 12 milioni di euro. Tale somma, a quanto pare, è stata sottratta al club capitolino e poteva essere impiegata per un eventuale campagna acquisti. Dopotutto, queste cifre non fanno mai male… Ma il fatto ancora più strano ed incredibile, visto che si sta parlando di una persona grandiosa come l’ex presidente Sensi, è il seguente: questi 12 milioni sono stati versati dall’As Roma, ad una sua consociata, cioè ad una società appartenente alla stessa proprietà. In pratica, secondo questi dati, il deposito cauzionale entra

nelle casse di Italpetroli! Naturalmente il mio articolo non ha la presunzione di affermare che quanto scritto è l’assoluta verità. Io stesso sono il primo a non credere a questa manovra. Possibile, infatti, che questa vicenda coinvolga la dirigenza giallorossa, giustamente amata dai tifosi per il suo attaccamento alla squadra? Tuttavia è necessaria una maggiore chiarezza, visto che si tratta di un argomento molto delicato. E una domanda sorge spontaneamente: perché la stampa non ha mai parlato di tutto ciò? Possibile che ne fosse all’oscuro? E questo silenzio mette, ingiustamente, ancora di più in cattiva luce la famiglia Sensi. Ma non è finita qui la vicenda… Cosa ha dovuto fare l’As Roma per avere di nuovo a disposizione questi 12 milioni di euro, versati alla sua consociata a titolo di deposito cauzionale, come garanzia del canone d’affitto annuale? Ha dovuto pagare anticipatamente una parte dei futuri canoni d’affitto all’agenzia controllata. Ma in quale forma? Come si legge nel comunicato del 30 Settembre 2006, la società capitolina ha ceduto alla sua consociata Real Estate (cioè a Roma 2000 e quindi Italpetroli) i residui crediti contrattuali maturandi nei confronti di H3G Spa e le relative garanzie( pari a 12,5 milioni). H3G Spa sarebbe una società di telefonia con cui l’As Roma aveva un accordo per la trasmissione dei gol e delle immagini più significative sui cellulari di nuova generazione. Per concludere questa manovra economica portata avanti, secondo i dati, dalla famiglia Sensi, danneggia la Roma in due direzioni: 1) Da una parte costringe la società giallorossa a dover pagare un affitto, che permetterà alla sua consociata, Roma Real Estate Srl di riacquistare il Centro Sportivo “Fulvio Bernardini” dalla Banca Italease; 2) Dall’altra il team capitolino finanzia la stessa Italpetroli versandole depositi cauzionali e cedendo i propri crediti. Leggendo questi dati, non si può certamente rimanere impassibili: crollano molte certezze e insormontabili dubbi si insidiano nelle nostre menti. Tuttavia la riconoscenza dei tifosi della Roma nei confronti di Franco Sensi è così forte che supera ampiamente le sue colpe, reali o meno. Roberto Cerroni romalamagica@hotmail.it

Calcio d’angolo - Novembre 2008

Ombre sui Sensi

31


360_novembre_7.0:mar 2008.qxd

03/12/2008

16.58

Pagina 32

Giornale na e Il Giornale con l’ll’Università con ’Università U iversità Un i ità inttorrno intorno

GLI STUDENTI E LA FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE IN COLLABORAZIONE CON IL PLACEMENT OFFICE PRESENTANO

professione e sviluppo Il ruolo del Terzo Settore nel mondo del lavoro

12 dicembre 2008 venerdì ⁄ ore 9.00 - 18.00 luiss Guido Carli Viale Romania, 32 - Roma

DIRIITTI ITTII UMANI UMMANNI OGGI OGGI GII DIRITTI

ICHIARAZIONE ARAZIONE O E UNIVERSALE ONE NIVERSALE ERSALE ALELE I 600 ANNI DELLAA DICHIARAZIONE IRITTI ITTII DELL’UOMO UUOMO OMO MOO DEI DIRITTI ININDIRIZZO NDIRIZZO NDIRIZZ ZO DIDI SALUTI SALUTI SA SAL U TI ROBER OOBERTO TO PESSI P I R DELLA D FAACOLTÀ COLTTÀ DI GIURISPRUDENZAA LUISS LUISS – GUIDO CARLI PRESIDE

ore 9.00 registrazione dei partecipanti aula silvano toti ⁄ ore 10.00 - 13.00

tavola rotonda: “scoprire il terzo settore: contesti, profili e prospettive” indirizzi di saluto Pier Luigi Celli, Direttore Generale luiss Guido Carli Massimo Egidi, Rettore luiss Guido Carli Lorenzo Nicolosi, Studente Facoltà di Scienze Politiche luiss Guido Carli

PPARTECIPANO ARTECIP AR TECCIPAN C PANO PANO ANNO CARL AARLOO CCASINI ASININI PARLA AARLAMENTARE MMENTTARE ARRE EUR UROPEO OPEO GIÀ PRESIDENTE NTEE DELLA DEL CCOMMISSIONE OMMISSIONE MISSIONE GIURID GIURIDICA DICCA DEL PARLAMENTO PARLAAMENTO EUR EUROPEO OPEO

interventi le problematiche e le prospettive del terzo settore in italia Riccardo Bonacina, Direttore “Vita” i rapporti tra istituzioni e terzo settore Silvia Costa, Assessore all’Istruzione, al Diritto allo studio e alla Formazione Regione Lazio il terzo settore tra autonomia sociale e ruolo istituzionale nel nuovo welfare Gian Candido De Martin, Ordinario di Diritto Pubblico luiss Guido Carli il terzo settore nel contesto internazionale Giorgio Dominese, Docente di Economic Policy of Transitions luiss Guido Carli metodi e figure professionali del terzo settore Antonio Raimondi, Docente di Tecnica di cooperazione allo sviluppo luiss Guido Carli Modera: Andrea Palazzolo, Docente di Diritto Commerciale luiss Guido Carli, Presidente Associazione Tuko Pamoja

testimonianza Chiara Castellani, Medico Chirurgo, Responsabile del Progetto di Sviluppo AIFO a Kimbau

ANTNNTONIO TONIO O BALDASSARRE BALDDASSARRE PRES RRESIDENTE SIDENTEE EMMERITO ERITO DELLA ELLA COR OORTE TE COSTITU OSTITUZIONALE UZIONALE DOCENTE O DID DIRIRITTO RITTO COSTITU OSTITUZIONALE UZIONALE LLUISS UISS – GUIDO UIS U CARLI NAATALINO TALINO RRONZITTI ONZIT NZITTI DOCENTEE DI DIRIRITTO RITTO INTERNA NTERNAZIONALE AZIONALE LLUISS UUISSS – GUIDO CARLI GIAIIACOMO COMO CCALIENDO* ALIENDO* IENDO* TTOSSEGRETAR ARIO RIO DI STTATO ATO AALLA LLA GIUIUSTIZIA USTIZIA SOOTTOSEGRETARIO SENA EENATORE ATORE O DELLAA REPUBBLIC EPUBBLICAA INIINTRODUCE NTRODUCE NTR ODUCE L’L’AARRGOMENTO RGOME GOMEENT ENNTTO

aula silvano toti ⁄ ore 14.00 - 16.15

workshop gestione dei fondi nel terzo settore a cura di Luciano Monti, Docente di Politica regionale europea luiss Guido Carli formazione universitaria e manageriale a cura di Andrea Palazzolo, Docente di Diritto Commerciale luiss Guido Carli, Presidente Associazione Tuko Pamoja

il rapporto strumentale tra imprese e terzo settore: interazione e criticità a cura di Paola Pierri, Unicredit Group Foundation

RICIICCARDO CARDO ALFIERI IERI STUTTUDENTE UDENTE GIURISPRUDENZA RISPRUDENZA ZA CRISTIANO R SAMMAR SAMMARCO MMARRCO RESPONSABILE E 3 0E20 360

aula 200 ⁄ ore 14.00 - 18.00

incontri con le organizzazioni del terzo settore per informazioni: luiss Guido Carli Placement Office T 06 85 225 420 ⁄ 413 placement@luiss.it

Carli LUISS Guido

LIBER A UNIVERSITÀ INTERNAZIONALE DEGLI STUDI SOCIALI

* PRESENZA DA CCONFERMARE ONFERM ERMARE

LLUISS UISS – GUIDO CARLILI |10 DICEMBRE BREE 2008 | ORE RE 17:30 | AULA U MAAGNA GNA | VIA PARENZ ARENZOO, 11 ROOMA MA


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.