360 gradi ottobre 2013

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Periodico a distribuzione interna finanziato dalla L.U.I.S.S. Guido Carli e realizzato dagli studenti | Ottobre 2013

SCRIVI IL TUO FUTURO


Ottobre 2013

Sommario Fondato nel 2002 da Fabrizio Sammarco, Luigi Mazza, Leo Cisotta Direttore Giulia Perrone Vice Direttore Editoriale Marino Mazzocca Vice Direttore Web Laura Lisanti Responsabile Marketing Virginia Cinelli

CosmoLuiss SP

Walk

• Intervista a Monica Cecchi...................... “ 4 • Intervista a Michelangelo Aveta............. “ 4

• Wind of change............................................“ 19

CosmoLuiss EC

Cogitanda

• A tu per tu con i rappresentanti triennali........................................................ “ 6 • A tu per tu con i rappresentanti magistrali..................................................... “ 6

• Se Madame Bovary avesse comprato un biglietto per Parigi invece di una libreria.“ 20 • E ho iniziato a vivere ................................ “ 20 • Cambiando si impara................................ “ 21 • Condanna al progresso forzato............... “ 21

CosmoLuiss GP

• Mentoring Program - edizione 2013/2014.................................................. “ 6 • La voce dei nostri rappresentanti............... “ 6

Caffè Con

• Caffè con: Giovanni Lo Storto............... “ 22 • Caffè con: Federico Ronca...................... “ 22 • Caffè con: i direttori di dipartimento... “ 23

Responsabile Eventi Eugenia Brandimarte

L’Inchiesta

Delegato Fondi Jacopo Pizzi

L’Inchiesta GP

PalinTesto

• Il mio cervello vorrebbe restare............... “ 8 • Because Italians are original..................... “ 8 • Una laurea a dodici stelle.......................... “ 9 • Ripartiamo da: Fabrizio Sammarco, presidente Fondazione ItaliaCamp........ “ 9

• Cose di Cosa Nostra................................. “ 24 • Ho ucciso Giovanni Falcone................... “ 24

Cosmoluiss GP Amedeo Barbato Cosmoluiss SP Samuele Crosetti Cosmoluiss EC Antonio Grifoni L’Inchiesta - Fumettista Adriano Di Medio L’Inchiesta GP Alessandra Fanelli L’Inchiesta SP Giovanni Pipola L’Inchiesta EC Alessandro Leuci Speaker’s Corner Sabrina Cicala International Carmine Russo Walk Maria Vittoria Vernaleone Cogitanda Eleonora Pintore Caffè Con Lydia Carrelli PalinTesto Adriana Lagioia

• Introduzione............................................... “ 7

Ottava Nota

• Breviario lisergico per i Tame Impala.... “ 25

L’Inchiesta SP

• Boom simulazioni universitarie.............. “ 10 • Viaggio nell’avanguardia degli European Studies....................................... “ 10 • Scienze Politiche e università: uno sguardo sull’Europa.................................. “ 11 L’Inchiesta EC

• Affitti irregolari, da oggi si dice no......... “ 12 • Le docce dei lunedi mattina.................... “ 13 • Conviene ancora studiare?...................... “ 13 Speaker’s Corner

• Rocco Chinnici: un magistrato votato alla legalità................................................... “ 14 • Il decreto del fare: si accontenta della sufficienza.......................................... “ 14 • Salvare la cultura? La cultura salverà noi.“ 15 • L’Italia che (r)esiste.................................... “ 15

Cinema & Teatro

• La Grande Bellezza..................................... “ 26 • Alì ha gli occhi azzurri.............................. “ 26 • Gli “Italians” all’estero: così cialtroni, così commuoventi...................................... “ 27 • Una Domenica italiana.............................. “ 27 Calcio d’Angolo

• Open............................................................. “ 28 • Quarant’anni da “Bomber”..................... “ 28 • Diversamente campione........................... “ 29 • Sportivamente luissini: se la laurea è individuale, lo sport è squadra................ “ 29 Lifestyle

• La “Swinging” dei Fab Four .................... “ 30 • C’era una volta un nobile… O c’è ancora?......................................................... “ 30

International

• Egitto intrappolato nella rivoluzione.... “ 16 • Le tradizioni russe sono dure a morire.. “ 17 • Fuori dal tunnel o ancora in galleria?.... “ 18

L’Eretico • Bangkok: breve manuale di sopravvivenza.............................................. “ 31

Ottava Nota Francesco Corbisiero Cinema & Teatro Maria Chiara Pomarico Calcio D’Angolo Lorenzo Nicolao Lifestyle Sofia Cecinini L’Eretico Edoardo Romagnoli

Progettazione grafica e copertina Diego Lavecchia

360° - Il giornale con l’università intorno è stampato interamente su carta riciclata

Stampa a cura di: Rubbettino S.R.L. Lungotevere Raffaello Sanzio, 9 00153, Roma

Vuoi collaborare con 360°? Scrivi a 360gradiluiss@gmail.com


Editoriale

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“Thanks of being curious” (L. Rossetti a R. Luna)

Correva l’anno 2002 quando Fabrizio Sammarco, Leo Cisotta e Luigi Mazza fondarono “360° - Il giornale con l’Università intorno”. Una vera e propria sfida quella di far camminare con le proprie gambe una semplice idea, perché “tra il dire e il fare...”, insomma, lo sapete. Da giovani studenti, però, si sono messi in gioco per dare un contributo valido a una realtà già rigogliosa e non era un insieme di fogli stampati il trofeo a cui miravano ma il progetto di un gruppo di amici, l’impronta di tanti, un giornale che avesse un valore aggiunto, a cui si volesse bene. E ce l’hanno fatta. Siamo sempre qui, Noi, di undici anni fa, quando ancora non esisteva Youtube; Noi, per cui “360°” prima di essere una rivista universitaria è il grande orgoglio di una squadra; Noi che abbiamo creduto nella potenza del nero su bianco e ci crediamo ancora, a colori e in linguaggio binario; Noi, che vantiamo un percorso oltre le aspettative, grazie all’energia di una redazione in crescita e alla guida impeccabile degli ex direttori. Siamo più numerosi, carichi di entusiasmo - ener-

gia messa in circolo – e abbiamo novità da perdere il conto. E la testa. Ripartiamo con voi, armati di curiosità, per rendere giustizia a una generazione che non si accontenta ma provoca se stessa a colpi di ingegno e vuole rivelare un futuro in cui ancora troppi non credono. Torniamo nel profumo narcotizzante della carta stampata introducendo uno spazio di inchiesta accanto alle rubriche storiche e una sezione dedicata interamente agli amanti della lettura. Ma il tempo corre inesorabile e cresce l’esigenza di aggiungere un motore ai piedi dell’informazione: nell’era della comunicazione in tempo reale e del dinamismo, abbiamo ampliato il ricamo iniziale e creato una rete nuova di zecca in cui ogni nodo sia garanzia di conoscenza, competenza e capacità. Nasce il sito www.360giornaleluiss.it (online da fine settembre), nuovo polo per un un confronto diretto tra le parole di chi scrive e il pensiero di chi legge. L’inaugurazione avverrà nel primo dei tanti eventi che abbiamo programmato, affinché il nostro sguardo al futuro abbia anche i vostri occhi. Ne avrete notizia tramite invito personale, telefonico o telematico (no, per ora il porta-a-porta

ce lo risparmiamo) e attraverso la nostra pagina Facebook in continuo aggiornamento. Ecco che torna lo spirito di collaborazione, quel “valore aggiunto” che da anni rende il 360° un’autentica passione. Da giovani e da studenti, abbiamo il grande dovere di osare, essere sempre ambiziosi. Dobbiamo avere il coraggio di cimentarci in ogni situazione per dare prova della nostra forza, delle nostre capacità. L’informazione è il primo punto di partenza per imparare a ragionare, criticare, scegliere liberamente senza cedere con debolezza alle moine della corruzione. E allora informiamoci, informiamo. Solo così diventeremo, un giorno, un faro per molti, il necessario punto di riferimento. Nel 1971 Fabrizio De André cantava: “Vedo che salgo a rubare il sole per non aver più notti, perché non cada in reti di tramonti, l’ho chiuso nei miei occhi, e chi avrà freddo lungo il mio sguardo si dovrà scaldare.” (Un ottico) Il mio augurio è che portiate con voi il sole. Vi aspettiamo in redazione (viale Gorizia, 17). Buon inizio a tutti! Giulia Perrone

“Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che poi venga scoperto” Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, 1979

La scoperta: quella strana sensazione di nuovo, inaspettato, diverso, che sarà fedele compagna nel varcare per la prima volta la soglia della nostra università. Mi sembrava opportuno iniziare l’anno scomodando niente poco di meno che uno dei più grandi scrittori del novecento, Italo Calvino che nel suo romanzo solleva interessanti spunti di riflessione in merito alle numerose opportunità offerte dalla letteratura e si sofferma su un aspetto fondamentale: la possibilità, tramite la lettura, di conoscere la realtà che ci circonda. Il qualcosa che troverete “nascosto” tra le pagine del nostro giornale, ci accompagnerà in un viaggio alla scoperta delle principali novità che hanno coinvolto il “nostro mondo” e tanto altro ancora. Sfogliando le pagine di questo primo numero troverete, redatte con lo sguardo critico caratteristico della nostra giovane età, le diverse rubriche che compongono l’anima di 360°. Per andare sul concreto: CosmoLuiss ci presenterà coloro i quali hanno l’onere e l’onore di far arrivare le nostre istanze ai piani alti dell’università; Speaker’s Cor-

ner ci mostrerà come, nonostante le mille difficoltà, ci sia ancora un’Italia che ha voglia di esistere e resistere. Spaziare dalla bollente piazza Tahrir alla tanto chiacchierata legge anti-gay russa è materia dei ragazzi di International, mentre se qualcuno quest’estate avesse fatto un viaggio indimenticabile o semplicemente abbia visitato un luogo che non riesce più a togliersi dalla mente, Walk è il contenitore adatto per condividere la vostra avventura. Con piacere diamo il benvenuto alla nuova arrivata “Caffè con …”, rubrica nella quale potrete leggere le “chiacchierate” che abitualmente scambieremo con personaggi che possano ispirare, con la propria esperienza prima che con le parole, l’attività di un giovane studente alle prese con gli anni decisivi della propria esistenza. A inaugurare la rubrica troviamo l’intervista al nuovo direttore generale, il dott. Giovanni Lo Storto al quale, a nome di tutta la redazione, vanno i più sinceri auguri di buon lavoro a capo del rinnovato Consiglio d’Amministrazione del nostro ateneo.

Rispettando quella che ormai è la nostra decennale tradizione, non ci faremo sfuggire l’occasione di fornirvi spunti interessanti per quanto riguarda i diversi aspetti della “cultura”: spaziando dal cinema, al teatro, alla musica e perché no … anche lo sport (nonostante tutto, una delle “culture” più amate dagli italiani). La “sfida” che abbiamo deciso di lanciare per questo nuovo anno però, è rappresentata dall’inchiesta. Oltre ad un simpatico fumetto, l’inchiesta è introdotta da un articolo del giornalista de l’Espresso Riccardo Bocca, stimato professionista e amico di vecchia data del giornale. Con la sua brillante introduzione, Riccardo ci ha illustrato le caratteristiche che non dovrebbero mancare a una buona inchiesta, inaugurando con la sua competenza la nostra innovazione. Concludendo auguro un caloroso “benvenuto” a tutte le nostre matricole, fiducioso che in molti accetteranno la sfida e saranno accolti nella grande famiglia di 360°. Marino Mazzocca


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CosmoLuiss SP

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siste un nutrito filone di pensiero che spazia dagli inquieti versi di Lamartine all’ironica prosa di Pirandello che identifica in Roma la tomba di un popolo intero, troppo legato a un passato glorioso ed incapace di volgere lo sguardo verso orizzonti futuri. Noi di Cosmoluiss ci permettiamo di dissentire. Il fermento dei nostri Dipartimenti non lascia spa-

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zio alla nostalgia dei tempi che furono. Attraverso gli studi, le attività, le relazioni, gli impegni creiamo ogni giorno una realtà diversa, in cui si realizza tanto la crescita personale quanto quella professionale. Per questo motivo, la nostra rubrica darà spazio ai migliori eventi ed ai progetti che l’università LUISS organizzerà per gli studenti; segnalerà le occasioni da non perdere e racconterà le esperienze più inte-

ressanti, al fine di mantenere viva con entusiasmo e divertimento la scintilla dell’ingegno e della volontà. La nostra redazione porge il più caloroso benvenuto alle matricole ed un fraterno bentornato agli studenti degli altri anni. Con questo numero si incomincia un altro anno accademico ed un nuovo percorso insieme. In bocca al lupo a tutti! Samuele Crosetti

Intevista a Monica Cecchi Prima di tutto parlaci un po’ di te.

Sono iscritta al corso di laurea magistrale in Scienze di governo e della comunicazione pubblica e lo scorso novembre ho conseguito la laurea triennale in Scienze politiche e delle Relazioni Internazionali. Appena entrata nel mondo Luiss, mi sono avvicinata all’associazione studentesca ASP (Associazione Scienze Politiche) partecipando a molte ed importanti iniziative. Sono riuscita in questo modo a vivere a pieno il mondo universitario e a capire come confrontarsi con colleghi con diverse esperienze di vita. Grazie a questa esperienza costruttiva ho scelto di candidarmi come rappresentante degli studenti, cercando da subito di mettere a frutto l’esperienza che avevo acquisito nei miei primi tre anni di università. Con grande entusiasmo mi appresto a frequentare il mio ultimo anno universitario, con la possibilità di poter rappresentare gli studenti delle lauree magistrali. La mia volontà è di riuscire a svolgere nel migliore dei modi questo incarico. Sei stata eletta a Maggio come rappresentante degli studenti del Dipartimento di Scienze Politiche. Raccontaci quali sono le tue prime impressioni su questa nuova avventura e gli obiettivi di questo primo anno da rappresentante.

In questi primi mesi di lavoro ho potuto constatare quanto sia difficile il lavoro di raccordo fra le esigenze dei miei colleghi e del corpo docente. Per poter raggiungere questo obiettivo, è fondamentale la presenza constante all’interno dell’ateneo, in modo da sperimentare in prima persona le problematiche di ogni universitario. Il futuro degli studenti, per un ateneo come il nostro, rappresenta una priorità nello svolgimento delle iniziative universitarie, siano esse formative o ludiche. Per questo motivo credo sia importante estendere e promuovere all’interno di tutti i Dipartimenti il progetto “SP contest”, nato grazie ad un gruppo di ragazzi di Scienze Politiche, che offre la possibilità di effettuare un’esperienza lavorativa all’interno di grandi aziende già durante il percorso di studi. Altrettanto importante è la valorizzazione delle numerose attività che promuove il nostro Placement Office.

Questo è il primo numero dell’anno, per altri sarà il primo numero in assoluto e uno dei primissimi contatti con il mondo della nostra università. Quali sono i consigli che ti senti di dare a tutti coloro che affronteranno il primo anno in Luiss e in particolare nel nostro dipartimento?

Il consiglio che posso dare è quello di vivere l’università a 360° gradi, riuscendo a conciliare gli impegni accademici con le numerose attività che l’ateneo mette a disposizione per valorizzare il nostro cur-

riculum, ma soprattutto per arricchire il nostro bagaglio personale. Oggi più che mai credo sia importante imparare, già dai primi anni dell’università, a collaborare con i colleghi anche in altri contesti oltre quelli prettamente accademici, per arrivare pronti al fatidico e sperato mondo del lavoro. Vivere l’università in questo modo rende il percorso accademico più piacevole e sicuramente più fruttifero per il nostro futuro. Samule Crosetti

Intervista a Michelangelo Aveta Anno (accademico) nuovo, vita nuova, e studenti nuovi. Urge quindi una presentazione per le matricole e per chi magari non ti conosce. Futuro dottor Aveta Michelangelo, si presenti.

Sono nato a Napoli e ho vissuto nella mia città di origine fino a quando mi sono trasferito a Roma per frequentare la LUISS. Ho sempre amato molto la mia città, della quale conosco e apprezzo la storia, l’architettura, le bellezze naturali, il calore e l’inventiva della gente, benché riconosca i punti critici e le difficoltà di chi ci abita. Ho frequentato un Liceo classico stimolante e prestigioso, il Liceo Genovesi. Sono residente a Roma ormai da due anni e vivo con passione questa magnifica città, che ogni giorno mi sorprende. Sei stato eletto lo scorso maggio rappresentante nel dipartimento di scienze politiche, come sono andati i primi mesi di incarico? E soprattutto quali sono gli obiettivi futuri?

La mia funzione di rappresentanza non è ancora entrata nel vivo; tuttavia sin dall’esordio ho avuto la felice impressione di poter portare avanti un proficuo dialogo con l’istituzione universitaria e con gli studenti tutti. L’obiettivo è il miglioramento dell’ambiente universitario nella consapevolezza che questa esperienza, con tutte le sue sfaccettature, costituisce la nostra rampa di lancio verso il futuro. Per questo motivo è mia intenzione potenziare il settore delle lingue straniere e del Placement Office. Come da tradizione il primo numero di 360°

ha un occhio di riguardo per le matricole. Per tante di loro questo è il primo contatto con il nostro giornale e con voi rappresentanti, cosa ti senti di dire ai rookies, in particolare a quelli di scienze politiche ?

Il consiglio che rivolgo a tutti i nuovi compagni di Scienze Politiche è di non perdere nemmeno un’occasione di tutte quelle che la nostra Università offre. Il Dipartimento di Scienze Politiche è particolarmente attivo nell’organizzazione di progetti connessi alla formazione culturale dello studente e all’acquisizione di competenze specifiche. Suggerisco in primis di frequentare assiduamente sin dall’inizio e di protrarre lo studio di pari passo con le lezioni. Per quanto attiene ad una formazione in seno lato suggerisco di non perdere gli eventi culturali organizzati dal Dipartimento e partecipare ai convegni ed alle attività studentesche in ambito associativo, culturale e ricreativo. Posso affermare di aver avuto un bagaglio di formazione dalle attività studentesche non inferiore a quello ricevuto dal rapporto coi docenti. Samule Crosetti


CosmoLuiss EC

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A tu per tu con i rappresentanti triennali Ciao, prima di tutto parlaci brevemente di te.

Gianluigi: sono Gianluigi Vanni, rappresentante degli studenti del Dipartimento di Economia e Finanza. Sono al terzo anno del mio corso di studi, quindi purtroppo prevedo a breve la fine del mio “mandato” in quanto prossimo alla laurea. Mario: sono Mario Sorrentini e studio alla Luiss da due anni. Ho anche io, come voi, superato i test d’ammissione ritrovandomi travolto nel mare di emozioni e opportunità che è quest’università. Attualmente, frequento il secondo anno di Economia e Management e, qualche mesetto fa, ho deciso di candidarmi come rappresentante degli studenti. Grazie alla forza di un gruppo compatto di amici che ci hanno creduto e a una determinazione che mi porto dentro, non senza difficoltà ce l’abbiamo fatta. Sei stato eletto a maggio come rappresentan-

Mario Sorrentini

Gianluigi Vanni

te degli studenti. Raccontaci quali sono le tue prime impressioni su questa nuova avventura e gli obiettivi di questo primo anno.

G: Le mie impressioni finora sono senz’altro positive: tra la preparazione per la campagna elettorale, durante la quale ho conosciuto splendide persone che spero di avere al mio fianco a lungo, e i primi impegni di rappresentanza, ho avuto enormi soddisfazioni. Ora però si prospetta un lungo anno davanti a noi, pieno di attività e impegni da portare a termine, da quelli accademici a quelli extracurriculari. M: Per quanto riguarda gli obiettivi, il mio desiderio è di essere una svolta rispetto a chi ci ha rappresentati negli anni passati ed un punto di riferimento per tutti. Come prima cosa, punto all’attuazione completa del mio programma. Perché le proposte non diventino solite promesse da campagna elettorale. Dico già da subito che sarò molto presente per tutti gli studenti e cercherò di risolvere ogni controversia possibile. Per le impressioni? Posso dire che non sarà facile ottenere tutto, ma d’altronde quest’università, i docenti e i referenti tutti ci hanno accolti con un clima d’apertura e confronto su tutti i temi. Per cui faremo un buon lavoro e ci impegneremo al massimo.

sarà il primo in assoluto e uno dei primissimi contatti con il mondo della nostra università. Quali sono i consigli che ti sentì di dare a tutti coloro che affronteranno il primo anno in Luiss e in particolare nel nostro dipartimento?

G: Il primo anno di università è di grande impatto a causa dei cambiamenti dell’ambiente, dell’impegno richiesto dallo studio e anche per le nuove persone con le quali si avrà a che fare. Il mio consiglio è di non demordere e non gettare la spugna, dare il meglio di sé per avere grosse soddisfazioni dal punto di vista accademico e personale. Inoltre, per ogni malcontento o perplessità, noi rappresentanti siamo pronti a dare il massimo e venire incontro per agevolare l’ingresso in questo nuovo mondo a tutti coloro che ne avranno bisogno. M: Non uno, ma mille. Mi piacerebbe poter parlare con uno per uno degli studenti ammessi, confrontarmi con tutti e mostrare ad ognuno il mondo che è la Luiss (e spero proprio di farcela!). Come consiglio generale, mi sento di dire “vivetela!”. Cercate di sfruttare ogni opportunità che quest’università ci offre, scopritela giorno per giorno. Studiate, ma non limitatevi solo a quello. Vivete la Luiss. E per ogni problema, ci siamo noi. Antonio Grifoni

Questo è il primo numero dell’anno, per altri

A tu per tu con i rappresentanti magistrali Ciao, prima di tutto parlaci brevemente di te.

Aharon: sono Aharon Sperduti e frequento il corso Financial Economics del dipartimento di Economia e Finanza. Mi accingo a frequentare l’ultimo anno di questa splendida avventura con lo stesso spirito che ho avuto dal primo giorno: tanta curiosità e tanta voglia di fare. Michele: sono Michele Patriarca e sono all’ultimo anno della magistrale, ho sempre fatto parte di realtà associative studentesche e con queste ho organizzato vari eventi, dai Kart alle Conferenze. Sei stato eletto a maggio come rappresentante degli studenti. Raccontaci quali sono le tue prime impressioni su questa nuova avventura e gli obiettivi di questo primo anno da rappresentante.

A: Premetto di aver già vissuto indirettamente l’attività di rappresentante, ma viverla in prima persona è alquanto differente. Data la recente nascita del Dipartimento, un obiettivo è quello di dargli più notorietà. Inoltre, vorremmo rendere i contatti con il mondo del lavoro più assidui e di maggior rilevanza, così da attrarre il maggior numero di studenti in questi incontri e concedere loro una più ampia scelta riguardo il futuro. L’obiettivo principale è quello di compiere un buon lavoro durante questo anno acca-

demico, così da piantare solide radici per chi in futuro dovrà continuare a soddisfare le esigenze dello studente e del Dipartimento. M: con la vittoria alle elezioni è partita la vera sfida; nei limiti del possibile, dovrò rappresentare tutti e per questo ho intenzione di cambiare alcuni “modus operandi”, che prevedevano la totale esclusione dei gruppi che han perso le elezioni. Per l’anno a venire abbiamo in cantieri vari progetti, ma in particolare un “Business Game” della Luiss. Servirà ad avvicinare alla vita lavorativa i ragazzi, con discussione e simulazione di casi pratici, affiancando anche della teoria per meglio affrontare queste situazioni. Questo è il primo numero dell’anno, per altri sarà il primo in assoluto e uno dei primissimi contatti con il mondo della nostra università. Quali sono i consigli che ti sentì di dare a tutti coloro che affronteranno il primo anno in Luiss e in particolare nel nostro dipartimento?

A: Penso che lo studente che si affaccia per la prima volta al mondo Luiss non può esserne che affascinato. Il consiglio che posso dare è di guardare lo studio con fame di conoscenza, le relazioni con gli altri studenti come punti di riferimento di una nuova esperienza di vita e soprattutto di perseguire la cooperazione e non una “non-profittevole” competizione.

Si può imparare molto dagli altri e allo stesso tempo possiamo essere ottimi “insegnanti”. Per le nuove matricole di Economia e Finanza, se realmente amano questo settore, spero riusciranno ad ambientarsi nel migliore dei modi, con una buona dose di impegno e dedizione, affrontando ogni materia senza pregiudizio e con la stessa passione. M: Alle matricole consiglio d’avvicinarsi alle realtà studentesche e di sfruttare ogni occasione. Così facendo, avranno una maggiore inclusione nella vita universitaria. Sarà un modo di dire, ma cinque anni passano rapidamente e spesso sono occasioni che non torneranno più. Per tutti coloro che abbiano dei problemi, o vogliano dei consigli, sono a disposizione e troveranno tutti i miei recapiti nella bacheca all’ingresso. Antonio Grifoni

Aharon Sperduti

Michele Patriarca


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Mentoring Program - edizione 2013/2014 Continua l’innovativo percorso d’orientamento verso il mondo del lavoro L’inizio dell’anno accademico 2013/2014 sarà caratterizzato dall’avvio del secondo anno del Mentoring Program, l’efficace servizio che l’Associazione Laureati LUISS (ALL) mette a disposizione sia per i laureandi (destinatari diretti) sia per gli studenti più giovani della nostra Università. Il programma, ormai noto sia all’interno sia all’esterno del nostro ateneo, mette in contatto i giovani vicini al conseguimento della laurea magistrale con alumni LUISS che possiedono expertise e competenze negli ambiti lavorativi di interesse degli studenti che, in questa maniera, beneficiano di consigli pratici forniti da esperti inseriti nelle più importanti realtà professionali private e pubbliche, italiane ed internazionali. Nel suo primo anno di attività, il Mentoring Program ha riscosso particolare successo grazie alle numerose iniziative realizzate: incontri one-toone tra Mentori e Mentee, tavoli di orientamento professionale, eventi di formazione ed incontri di approfondimento, tutti volti ad assistere gli stu-

denti LUISS nel cammino tra il mondo dell’Università e quello del lavoro. Ad oggi, i benefici ottenuti sono stati tanti, sia dal punto di vista umano sia professionale. Grazie al programma, alcuni Mentee sono riusciti a trovare un impiego (sebbene questo non sia tra gli obiettivi dichiarati del Mentoring Program), altri hanno compreso la strada migliore da intraprendere una volta usciti dall’Università, altri ancora hanno finalmente ottenuto risposte pratiche e concrete da chi è da anni nel mondo del lavoro. Il programma rappresenta un unicum nel panorama universitario italiano, tanto da meritarsi un’importante menzione da parte del Corriere della Sera, che lo ha descritto come “la ricetta anti crisi” messa in campo dal più importante ateneo privato romano. Anche il nostro rettore Massimo Egidi, nel discorso di apertura della cerimonia di conferimento della laurea honoris causa al presidente della BCE Mario Draghi, ha definito “unica” l’attività del Mentoring Program, che costituisce ora parte integrante dell’offerta formativa

dell’Università LUISS Guido Carli. Per questo motivo, siamo lieti di invitare tutti gli studenti dell’ultimo anno di corso di tutti i Dipartimenti a partecipare all’incontro di presentazione del secondo anno del Mentoring Program, che verrà organizzato nella seconda metà di ottobre 2013. In tale occasione, sarà possibile ascoltare le testimonianze di chi ha già beneficiato del programma, ricevere informazioni utili e compilare la scheda di adesione. Vi aspettiamo! Silvia Corti Responsabile Comunicazione e Relazioni Esterne Mentoring Program

Per maggiori informazioni: ALL - Associazione Laureati LUISS Via T. Salvini 2, 00198 Roma Tel. 0685225.408 e-mail: associazione.laureati@luiss.it

La voce dei nostri rappresentanti Come da tradizione, ecco una breve intervista ai rappresentanti del Dipartimento di Giurisprudenza: Giovanni Cioffi e Filippo Attanasio. Eccoci qui, partiamo con le presentazioni.

Giovanni: Ciao! Sono Giovanni Cioffi, frequento il 4° anno del Dipartimento di Giurisprudenza; alla scelta di questa facoltà ha contribuito molto l’esempio di due eroi: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sono una persona semplice. Amo essere circondato da amici; sono appassionato di sport: adoro il Calcio e il free climbing. Sono uno scout e credo che viaggiare apra nuovi orizzonti. Sono un sognatore che non esita a mettersi in gioco; sono disponibile a portare il mio contributo in qualsiasi iniziativa che richieda impegno civile: non sopporto l’indifferenza. Filippo: Ciao a tutti! Mi chiamo Filippo Attanasio e sono iscritto al terzo anno di giurisprudenza. Vengo da Sorrento, paesino sul mare in provincia di Napoli. Cerco sempre di relazionarmi con tutti. Amo conoscere nuove persone e condividere esperienze della mia vita con gli amici. Adoro viaggiare e mettermi sempre in gioco e a disposizione.” Siete stati eletti pochi mesi fa, quali sono le prime impressioni e quali i primi progetti?

G: È stata un’emozione inaspettata, e forse proprio per questo, ancora più sentita e appagante. Sono entrato subito in sintonia sia con Filippo sia con

Federico (Ronca ndr). Con Filippo abbiamo subito iniziato a lavorare per il Dipartimento presentando le nostre istanze agli uffici competenti. Tra le proposte più interessanti: la riorganizzazione degli appelli e la loro durata,e una modernizzazione dei sistemi per la trascrizione del voto. F: Ci sono tutte le premesse per fare un ottimo lavoro. Da subito sono entrato in sintonia con Giovanni e il cda Federico Ronca. Il rapporto di sinergia creatosi ha fatto sì che una delle nostre prime proposte fosse la creazione di uno spazio mensile dove potersi confrontare abitualmente con tutti gli studenti. Le cose da fare, infatti, sono tante. In primo luogo c’è da potenziare la copertura del WiFi e il Placement. Inoltre credo sia necessario coordinare tra loro le attività delle varie associazioni presenti in Luiss. Cosa volete dire ai vostri nuovi colleghi?

G: Vi dico quanto mi sarebbe piaciuto sentirmi dire 4 anni fa: studiate per voi stessi, non per il voto, , non scoraggiatevi se da subito non andrà come avevate previsto, mirate ad acquisire un metodo di studio. Vivete l’università senza risparmiarvi, assorbite tutto quello che questa vi offre (conferenze, giornali, radio, televisione, attività ludiche). Partecipate. Solo così l’università vi aprirà la mente e vi maturerà. Siate un po’ folli e intraprendenti: il futuro ha bisogno di giovani che abbiano il coraggio di osare. E non perdetevi le bellezze di Roma!

Giovanni Cioffi

Filippo Attanasio

F: L’università è un luogo speciale. Per circa cinque anni avrete a che fare con una nuova famiglia. Anche se non sarà facile, cercate di acquisire subito una mentalità più aperta. Studiare è importante ma non basta. La Luiss non è una normale Università. E’ un luogo di ricerca, di sperimentazione, di speranza. La parola d’ordine deve essere osare. Non abbiate paura di mettervi in gioco. Il meglio di voi stessi e mettetelo a disposizione del gruppo. Sarà grazie alla rete di relazioni che stringerete che aiuterete a cambiare in meglio la nostra Università e, per estensione, il nostro Paese. In bocca al lupo!” Amedeo Barbato


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L’Inchiesta In redazione abbiamo tre parole d’ordine: Novità, Novità e (indovinate un po’…) Novità. Figlia di questa voglia di cambiare è sicuramente questa rubrica, L’Inchiesta, in cui cercheremo di approfondire i temi più disparati, in modo interessante, puntuale e perché no, divertente (per esempio attraverso le vignette, altra novità di quest’anno). Non contenti, quando ancora niente era stato definito, abbiamo voluto di più. Volevamo rendere ancora più speciale l’idea dell’inchiesta, che per noi è come una figlia e che proprio come una bambina potrà e dovrà crescere e migliorarsi. Così abbiamo deciso di dare a questa bambina un accompagnatore nel suo viaggio verso i lettori. È nato così l’angolo dell’esperto. Un articolo introduttivo all’inchiesta a firma di qualcuno che per lavoro o passione conosce bene il tema di cui vogliamo parlare. Siamo particolarmente contenti che il primo ad aver accettato questo ruolo di guida sia Riccardo Bocca. Bocca oltre ad essere una firma importante de L’Espresso, è anche un amico di 360°. Già l’anno scorso, infatti, è venuto in università per parlarci della sua esperienza e a darci la sua visione sul mondo del giornalismo, mondo di cui molti di noi (intesi come universitari) vorremmo un giorno far parte. Nel suo articolo (grazie al quale si è meritato, per l’ennesima volta, la nostra gratitudine) , Bocca ci parla dell’Inchiesta, un modo di approcciarsi al giornalismo (e alla verità) che sta scomparendo, e che invece da noi sta facendo la sua comparsa. Matteo Liberti

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egli anni Ottanta e Novanta, il ritornello che rimbombava nel mondo della comunicazione era sempre lo stesso: «Non esistono più le inchieste giornalistiche». Tutti continuavano a chiedersi perché non si scavasse, come nei decenni precedenti, dentro gli scandali della realtà italiana; perché, insomma, ci si appiattisse su storie e personaggi di scarso interesse, invece di violare tanta superficialità. Poi, all’improvviso, è cambiato il vento. Superata la soglia del nuovo millennio, e svaporato il sogno di un Paese maturo socialmente ed economicamente, si è sentita l’esigenza di tornare alle buone abitudini, realizzando prodotti -dagli articoli ai saggi, dai programmi televisivi alle opere cinematografiche- che ricordassero al Paese il suo lato oscuro. Da qui, da questa svolta felice, è partita dunque la corsa delle case editrici per assicurarsi le migliori firme della nostra stampa, con il risultato di realizzare opere di qualità indiscutibile. Non contava quale fosse il tema: dagli approfondimenti reiterati sul versante berlusconiano, passando attraverso le storture della sinistra made in

Italy, fino all’analisi feroce dei privilegi di casta, tutto era premiato dall’attenzione e i consumi del pubblico, entusiasta di indignarsi per le disinvolture nazionali. Senonché anno dopo anno, in sintonia con l’evolversi della crisi economica, il momento felice ha perso il suo sorriso. Non soltanto per il calo della qualità offerta (dovuto alla contrazione dei soldi e dei tempi a disposizione degli autori di inchieste), ma anche per il crollo dei denari nelle tasche dei lettori, costretti a ridimensionare gli acquisti. Fatto sta che, al momento, usanza in auge è spacciare comuni articoli, e altrettanto comuni libri compilativi, per inchieste esclusive, delle quali invece si stanno perdendo le tracce. Sempre più raro, ormai, è leggere pezzi o volumi che svelino trame inedite. Certo: c’è chi riporta stralci di verbali, chi racconta retroscena perché li ha vissuti di persona o li ha raccolti sul campo. Ma non è questa, l’inchiesta giornalistica. L’inchiesta è entrare nelle cose, tra le cose, spalancare le porte chiuse, far parlare chi non ha mai voluto parlare, scoprire risvolti passo dopo passo, inciampare rovinosamente per poi risollevarsi, e infine giungere

a conclusioni che trasformino la percezione del reale con onestà e rispetto. Quanto di più complesso possa esistere nel circuito giornalistico, ma anche quanto di più appagante possiate sperimentare quando, in seguito al vostro lavoro, la cronaca assume un nuovo profilo, e l’opinione pubblica riconosce l’importanza di ciò che avete fatto emergere. Per questo è importante che, al più presto, torni in salute il settore delle inchieste. E sempre per questo, è utile svolgere negli anni universitari sperimentazioni concrete, in modo da attrezzarsi per le sfide future. Da qui, dunque, il mio apprezzamento per gli articoli con i quali avete scandagliato difficoltà e urgenze della condizione studentesca. Così infatti può crescere il cosiddetto atteggiamento del “cane da guardia”: valutando cioè, già in fase di studio, la propria disponibilità a denunciare le storture, e accettare eventualmente il carico delle conseguenze. Il resto, con tanta dedizione e fortuna, dovrebbe venire di conseguenza. Riccardo Bocca


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L’Inchiesta GP

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Il mio cervello vorrebbe restare I tedeschi sono ricchi e bevono molta birra. I greci non hanno voglia di lavorare. A casa degli svedesi nessuno ruba. Gli italiani evadono il fisco, ma cucinano bene. I francesi sono nazionalisti. Siamo il Paese delle generalizzazioni. Tuttavia se si vuol dire qualcosa con certezza è sicuramente che il bisogno urlante di cultura spalmato su e giù per il Belpaese richiede attenzioni, ascolto e carezze. Privandoci dell’arte di fare di tutta l’erba un fascio, ci si arma di dati e si nota con estrema facilità che il tanto declamato tasso di disoccupazione giovanile si colloca al 35,3% nel 2012 (ISTAT). Come se non bastasse una recente ricerca OCSE ha sottolineato come l’Italia sia fanalino di coda in Europa per numero di laureati, a pari merito con l’Austria e superiore solo alla Turchia, con un 21% della fascia 25-34 anni. Siamo sicuramente abbastanza lontani dalla media europea, attestatesi sul 28%. Eppure per i freschi ed entusiasti diplomati che intraprendono il cammino universitario il panorama degli atenei italiani si articola in una miriade di giovani e meno giovani in balia di segreterie oberate, sistemi informatici non sempre presenti, sovraffollamento, aule piene e sedi piccole. Quasi che di laureati ce ne fossero troppi, troppi davvero. Ed invece no. Non si capisce bene se il problema sia in ingresso o in uscita, e prevalentemente quale sia. La qualità? Le possibilità? La stasi economica? Sicuramente viene a mancare un intervento legislativo corposo e ben ponderato che possa riordinare il sistema e restituire, o forse regalare ex novo, all’università pubblica dinamicità e risposte alle scelte di formazione dei singoli studenti. A fosche tinte, poi, diviene il tutto quando si con-

sidera un altro dato allarmante: il 23% dei giovani non fa nulla. Non lavora e non studia. È probabilmente in attesa di un fantomatico decongestionamento, chi nell’apatia più completa ed a carico dei propri familiari, chi arrabbiato e combattivo, chi arrendevole e con una scusa in più. Isolato intervento di modifica del sistema universitario italiano è avvenuto in luogo della Riforma Gelmini, che, oltre ai diversi tagli da non sottovalutare, ha delegato la didattica delle università dalle facoltà ai Dipartimenti, considerati, prima della riforma, semplici nuclei di ricerca. A livello amministrativo si è tentato di migliorare qualitativamente la dicotomia che si verificava tra ricerca e didattica, spesso rivolte in direzioni opposte. Invece, a livello studentesco, poco cambia; agli studenti non resta che cambiare il proprio lessico ancora una volta. Di possibilità lavorative nel post lauream nemmeno a parlarne. Spinose le risposte ed identiche le facce di giovani laureati in Giurisprudenza in università pubbliche e private alla domanda se avessero ricevuto proposte od opportunità. “Ne ho ricevute tre o quattro, di cui una metà assolutamente degradanti rispetto al titolo conseguito, in termini di mansioni richieste, retribuzione e prospettive di medio-lungo termine, e un paio più appaganti, sempre rispetto a queste condizioni” afferma una ragazza, sulla strada della sua seconda laurea. Una sonora risata è la tragica ri-

sposta di un’altra. Un ragazzo coraggioso:”L’anno prossimo dovrei passarlo all’estero per imparare l’inglese che in una facoltà di Giurisprudenza viene messo in secondo piano, l’unica soluzione sarebbe andare via”. Ma pur volendo ammettere che crocevia per la risoluzione di queste problematiche è necessariamente l’uscita dalla crisi economica e volendo legittimare la “fuga di cervelli”, quanto il sistema universitario italiano regge il confronto con quello europeo? Quanto siamo pronti per abbandonare la madre patria? Poco probabilmente. Così potranno dire che gli studenti italiani sono “choosy”, si lamentano, non hanno alcuna voglia di lavorare e, “chissà, di questo passo, dove si andrà a finire”. Generalizzando, ancora una volta. Alessandra Fanelli

Because Italians are original È roba di crisi occupazionale e di esasperata domanda di giustizia. Si tratta, nello specifico, della scelta tutta italiana di subordinare l’accesso al concorso per magistratura ad ulteriori anni di specializzazione, in aggiunta ai cinque lunghi anni per il conseguimento della laurea in Giurisprudenza. Fino al 1997 per poter tentare di accaparrarsi un’agognata poltrona nella casta, era sufficiente la laurea in Giurisprudenza ed un’età compresa tra i 21 ed i 30 anni. Ma cos’è successo nel 1997? “Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo” è il nome di una legge, la 127 del 15 maggio 1997,

che contiene 17 articoli ma un’infinità di commi. Tra quelli allegati all’art. 17, infatti, si enunciava una delega al Governo “ad emanare uno o più decreti legislativi per modificare la disciplina del concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria, con l’obbligo di conseguimento di un diploma biennale presso scuole di specializzazione istituite nelle sedi delle facoltà di Giurisprudenza”. Non sazio, il legislatore del 2006 ha ulteriormente modificato la normativa, in parte allargando i criteri d’accesso ed aprendo più strade, non certamente meno tortuose, per l’ammissione al concorso per uditore giudiziario. Ad un’attenta disamina la scuola di specializzazione appare comunque la strada più breve per il

traguardo. Ma la si può considerare un ottimale utilizzo del post lauream del giovane giurista o sarebbe meglio parlare di un forzoso ed improduttivo trascorrere del tempo? Tali scuole integrano la preparazione teorica con attività didattiche pratiche, simulazioni, risoluzione di casi, approfondimenti giurisprudenziali, tirocini e discussione pubblica di temi. Dubbio e variegato resta il risultato. Pretesa troppo ambiziosa potrebbe essere l’integrazione di questo genere di didattica, arricchita da studi pratici, all’interno del corso quinquennale di laurea in Giurisprudenza, ma, si sa, agli italiani piace tremendamente complicarsi la vita. Pietro Canale


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Ripartiamo da: Fabrizio Sammarco, presidente Fondazione ItaliaCamp Partiamo dall’università: ci sono università di seria A e di serie B? L’università privata corrisponde a “eccellenza”?

I sistemi internazionali classificano e finanziano, le università secondo precisi indicatori. Personalmente, considero strategici: il livello qualitativo degli studenti selezionati e quindi il valore delle attività da essi proposte, il grado di trasferibilità della ricerca prodotta dal corpo docente dell’ateneo, la riconoscibilità professionale attribuita ai suoi Alumni e il livello di attrazione internazionale. Criteri validi tanto per il pubblico quanto per il privato. Credo che un luogo di formazione possa definirsi d’eccellenza nel momento in cui decide di posizionare la propria strategia sull’innovazione,quando riesce ad anticipare se non ad influenzare i tempi. In Italia abbiamo il “privilegio” di poter fare affidamento su un sistema educativo molto forte che tutto il mondo ci invidia, in grado di “fare la differenza”. Il problema però è che abbiamo cominciato a parlare l’inglese nel momento in cui il mondo ha cominciato a parlare arabo e cinese. Mondo del lavoro: Quali sono le caratteristiche del mercato del lavoro oggi e quali sono le qualità richieste?

Oggi esiste un mercato del non lavoro più che del lavoro. La disoccupazione giovanile certificata ISTAT si attesta al +39,5% in aumento del 4,3%

rispetto al 2012. Nel secondo trimestre del 2012 tra i 15-24enni il tasso si attesta al 37,3% (+3,4 punti), con un picco del 51% per le giovani donne del Mezzogiorno. Tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 635 mila e rappresentano il 10,6% della popolazione in questa fascia d’età. La crisi brucia, 209 mila posti di lavoro “precari” nel secondo trimestre (-7,2%), tra lavoratori a termine e collaboratori. I lavoratori atipici sono 2,7 milioni di persone Le Università possono giocare senz’altro un ruolo di primo piano, devono avere la capacità di offrire gli strumenti e le chiavi di lettura con cui decifrare la realtà e facilitare l’adattamento ad un contesto professionale in continuo cambiamento. La richiesta è una, farsi carico dei pesi del passato e provare a risolvere la situazione di chi precedendoci ha soltanto contribuito a peggiorare. Ciò significa acquisire una capacità nuova: la gestione del rischio. Premessa: fare l’esperienza all’estero è una necessità, il problema è il dopo. Si può rimanere in Italia o emigrare è l’unica via per trovare lavoro?

i partecipanti hanno cinque minuti di tempo per esprimere la propria idea per risolvere un problema o proporre un’innovazione. Questo modello ha fatto incontrare più di 10mila persone e sono state proposte più di 4000 idee. Una proposta vincente è stata “Srl per Tutti”. Grazie al network ItaliaCamp quest’idea lo scorso anno ha cambiato il codice civile consentendo a 8000 nuovi giovani di essere imprenditori. Oggi ItaliaCamp è presente nelle 20 regioni del nostro Paese e abbiamo realizzato investimenti che superano i 20 milioni di euro. Ogni martedì alle ore 20.00 ci incontriamo in LUISS a via pola, l’incontro è open innovation, aperto a chi è interessato.Il Paese è il nostro e soltanto Noi possiamo nel concreto “invertire la tendenza”. In base alla tua esperienza, quali consigli daresti a neolaureato?

Il consiglio è uno. ESSERCI, chi c’è potrà essere scelto, gli assenti non saranno giustificati. Ezio Antonacci

Dopo la laurea e le esperienze a Washington e Boston, con altri compagni di vita, stanchi delle solite e tante parole profuse nel nostro Paese abbiamo deciso di provare a fare qualcosa di nuovo: il barcamp. Si tratta di una “ unconference” in cui tutti

Una laurea a dodici stelle Cervelli in fuga: in Italia è irta anche la strada dell’espatrio. Ormai immerso nella dimensione europea, un giovane italiano, al primo passo fuori dall’università, può decidere di raccogliere carte e competenze per trovare lavoro in un altro Stato del vecchio continente. Il Testo unico delle leggi sull’istruzione superiore riconosce ai titoli di studio valore legale, stigma del sistema universitario italiano. Croce li definisce “atti che, emanati dall’autorità scolastica, nell’esercizio di una funzione statale, a seguito di appositi procedimenti valutativi prescritti dalla legge, determinano una certezza legale circa il possesso, da parte dei soggetti che ne siano muniti, di una data preparazione culturale o culturale e professionale insieme”. Al termine di un ciclo di laurea è possibile accedere a Master di I livello, che suppliscono al monco percorso delle 3+2, o, se possessori di una laurea magistrale, a Master di II livello, che offrono una formazione specialistica. Prodotto italiano sono, invece, le scuole di specializzazione, che consentono di conseguire il titolo di “specialista”. La sola laurea, oggi, è un foglio di carta pregiata e poco più. Per accedere al concorso

per uditore giudiziario, condizione imprescindibile è un diploma conseguito presso una Scuola di specializzazione, agli aspiranti avvocati si richiede un titolo valutabile ai fini del compimento del relativo periodo di pratica”. Si è disposto che il diploma conseguito presso le Scuole di specializzazione per le professioni legali è valutato, ai fini del compimento della pratica per l’accesso alle professioni di avvocato e di notaio, per un anno. Per iniziare ad usare lo stetoscopio, si richiede un’idonea specializzazione ottenuta con la frequentazione di un corso cui si accede tramite concorso. Il nostro italiano, che ha imparato con l’esperienza questo sistema, dopo non meno di cinque anni di esami, supera la frontiera e si presenta alle porte europee con i crediti formativi accumulati, che certificano le sue conoscenze, ma poco garantiscono nel confronto con un altro studente in corsa per lo stesso lavoro. Non può frequentare due corsi di laurea contemporaneamente o un corso di laurea e un master, anche se uno in Italia e uno all’estero. Deve attendere tempi lunghi per l’ammissione a concorsi i cui parametri sono spesso discrezionali. Concorre con

studenti di università professionali, cui vengono affidati mandati da professionisti per affiancare allo studio teorico il lavoro. Se si fosse chiamato Francois, al secondo anno di studi avrebbe dovuto scegliere tra un master recherche, che prevede insegnamenti teorici finalizzati ad una preparazione idonea per la ricerca o l’insegnamento, e un master professionel, che lo prepara al mondo del lavoro. Se provenisse da Barcellona, potrebbe intraprendere un Máster, che corrisponde alla laurea Magistrale italiana, che prevede una formazione teorica e pratica, dall’Inghilterra spopolano corsi di specializzazione, che, privilegiando la pratica alla teoria, sono preferiti agli studi italiani. La Germania non si fa attendere: nell’ambito medico, l’esperienza si deve svolgere sotto la guida di un medico abilitato che definisce quanti mesi possono essere riconosciuti ai fini del conseguimento di un titolo di specialità in quel determinato reparto ospedaliero o ambulatorio. Se non si armonizza il sistema universitario, al nostro cervello italiano si consiglia la fuga prima di presentare il curriculum. Sabrina Cicala


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L’Inchiesta SP

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Boom simulazioni universitarie Non giochi di ruolo, ma un nuovo metodo di studio “Giocare a fare i grandi” non è mai stato così divertente. Quegli stessi bambini e bambine che alle elementari già si esercitavano da mamme e papà, ora, studenti di scienze politiche, vestono invece i panni di diplomatici, ambasciatori o parlamentari. È ormai infatti ben più di una moda quella delle simulazioni studentesche, che riuniscono universitari pronti a mettersi letteralmente in gioco, sperimentando il lavoro dei propri sogni e imparando, magari, qualche trucco del mestiere direttamente sul campo. Esperienze di approccio pratico allo studio delle scienze politiche, di grande valore formativo e sempre più sponsorizzate dagli atenei di tutta Europa, che organizzano proprie edizioni e le introducono come elementi di lustro nella propria offerta accademica. Non si tratta infatti di semplici giochi di ruolo, ma di un nuovo metodo di studio che fa proseliti. Sul tema, Marco Brunazzo e Pierpaolo Settembri hanno scritto Experiencing the European Union. Learning how EU negotiations work through simulation games (Rubbettino 2012), in cui raccontano l’esperienza maturata in anni di simulazioni del Consiglio dell’Unione con i ragazzi dell’Università di Trento e della LUISS. Secondo gli autori, lo studio “dall’interno” di un organo deliberativo non solo garantisce una piena comprensione dei processi decisionali, ma ne illumina gli aspetti a latere, più nascosti o legati a caratteri più contingenti, che sfuggono il più delle volte a un approccio manualistico. Per questa via, inoltre, si pone al centro lo studente, che sperimenta senza alcuna interposizione, e solo in un secondo momento si avvale dell’aiuto del professore nell’analizzare l’esperienza fatta. Metodologia di studio che, peraltro, trova ampia conferma se confrontata con le tecniche di apprendimento già utilizzate in alcune università nordeuropee, in testa il Problem-Based e Research-Based Learning di Maastricht. In principio furono i Model United Nations – per gli amici MUN – che già dai lontani anni Venti impegnano “delegati in erba” nella discussione delle più importanti tematiche affrontate al Palazzo di Vetro. In seguito, il fiorire di simili iniziative – tra cui primeggiano il NMUN di New York e il WorldMUN – ha portato a estendere il modello anche ad altre assemblee legislative e organi deliberativi, quali Consiglio di Sicurezza, Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione, ma anche G8, G20 e Parlamento Canada – Québec – Europa. Al giorno d’oggi simulazioni di questo genere non si contano, e hanno formato veri e propri “delegati

professionisti”, che con strategie a dir poco spietate mirano a ottenere i prestigiosi riconoscimenti in palio. L’Italia, il cui sistema universitario è invece celebre per un approccio tradizionalmente più teorico, partecipa comunque in maniera entusiasta alla “moda” simulazioni, che hanno luogo periodicamente a Roma, Milano e Napoli. Da qualche anno la stessa LUISS caldeggia la partecipazione dei propri studenti a eventi quali NMUN, WorldMUN, RomeMUN e la EUSIM

organizzata dal professor Settembri per la triennale. Esperienze formative importanti per ogni studente di scienze politiche che voglia godere di un sguardo privilegiato sulle principali istituzioni internazionali. E se negli ultimi anni la cronaca ci ha abituati a vedere un forte legame tra sesso e politica, una grande differenza salta all’occhio: simulare, in politica, è più che bene. Michele Casadei

Viaggio nell’avanguardia degli European Studies Sfogliando le pagine di un qualsiasi libro di storia si nota subito come il processo di formazione dell’Europa comunitaria abbia caratterizzato tutta la seconda parte del ventesimo secolo, inaugurando una nuova fase di collaborazione tra i fin troppo bellicosi stati nazionali. Certo, nel periodo precedente alla caduta del Muro la costruzione europea si trovò ad essere fortemente vincolata agli Stati Uniti in senso politico, finanziario e soprattutto difensivo. La paura della minaccia sovietica aveva spinto i governanti dell’Europa occidentale a cercare riparo sotto il cosiddetto “ombrello nucleare” americano, rimettendo di fatto parte della propria sovranità – specie in riferimento alla politica estera – nelle mani del potente alleato d’oltreoceano. Tali esigenze non hanno però impedito che nella nuova Europa immaginata dai vari Monnet, De Gasperi e Schuman si creassero istituzioni comunitarie, norme giuridiche sovranazionali e politiche comuni a tutti gli stati membri, slegate dall’autorità americana. L’Unione Europea costituisce adesso un soggetto politico unico al mondo, la cui singolarità continua a stimolare l’interesse accademico di molti studiosi, desiderosi di comprendere le molte sfaccettature di questa forma innovativa di regionalismo. Tutto ciò rappresenta il fondamento della nascita di un fortunato filone di studi europei, che si arricchisce di pari passo con lo sviluppo progressivo dell’Unione. Molti sono i Paesi all’avanguardia in questo campo. Olanda, Belgio e Lussemburgo – che insieme ad Italia, Francia e Germania occidentale formano il nucleo di partenza della moderna Unione – sono certamente tra questi. I sistemi universitari vigenti nei Paesi del Benelux – specie in riferimento agli studi politici – sono caratterizzati da un grande attenzione allo studio dell’Europa. Il Collège d’Europe, sito a Bruges (Belgio) e a Na-

tolin (Polonia), è forse l’esempio più importante. Fondato nel 1949, è il più antico centro di studi europei al mondo. Si tratta di un ateneo finanziato dall’Unione, dal governo belga e dal governo polacco, che propone una serie di Master indirizzati allo studio delle varie branche dell’integrazione. L’UE può essere studiata dal punto di vista economico, giuridico, politico e anche interdisciplinare, analizzando la totalità della costruzione senza concentrarsi particolarmente su un singolo aspetto. L’Università del Lussemburgo, già a partire dal proprio sito web, mostra una spiccata vocazione europeista. I corsi attinenti all’UE, a differenza di tutti gli altri, sono infatti elencati in una sezione apposita. Nell’ateneo del Gran Ducato è possibile esaminare l’Europa dal punto di vista prettamente storico e filosofico interrogandosi sulle possibili conseguenze future dell’assetto europeo. L’Olanda, nazione di per sé dotata di un efficiente sistema universitario, presenta anch’essa alcuni poli d’eccellenza. L’Università di Amsterdam offre circa dieci Master che guardano all’Europa da differenti prospettive. Alcuni di essi si rivolgono a materie molto specialistiche, quali ad esempio la legislazione relativa alla politica di concorrenza e quella che regola il mercato del lavoro. È innegabile che il nostro Paese, pur avendo avuto un ruolo certamente significativo nei circa sessant’anni di storia dell’Europa unita, non ha saputo dotarsi di centri paragonabili a quelli sopra citati. L’arretratezza del sistema universitario, unita alla mancanza di fondi e al troppo spesso ingeneroso euroscetticismo dell’opinione pubblica, hanno impedito all’Italia di poter essere meta di studenti desiderosi di capire da vicino cos’è e a che punto è l’Europa. L’avvenire del nostro continente è ormai segnato, il processo irreversibile. Non sarà ora di adeguarsi? Angelo Amante


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Scienze Politiche e università: uno sguardo sull’Europa pur non essendo molto diverso da quello belga, La laurea in Scienze Politiche, soprattutto nel dovrebbe incrementare lavori pratici ed esercizi nostro paese, sembra godere di ben poca stima. scritti, puntare più all’essenziale in fatto di proQuesto, forse, anche a causa del metodo con cui grammi e avere un’ottica più internazionale sui le discipline vengono trasmesse agli studenti: un grandi temi delle SP. flusso ininterrotto di nozioni che travolgono il discente senza che questo abbia la possibilità di “metterci del suo”. Tanta teoria, poca pratica. Ma Francia non è così dappertutto. A questo fine può essere Francesca ha trovato all’IEP (Institut d’Études utile una comparazione con altri metodi di inPolitiques) di Strasburgo un metodo più pratico segnamento delle medesime discipline. Non c’è di quello italiano. Anche qui le (poche) lezioni bisogno di spostarsi molsono per lo più frontali to: l’Europa, culla della ma gli studenti sono tenuscienza politica, offre ti a seguire le “ConférenUn flusso ininterrotto già un panorama molto ces de méthode”: classi variegato. Per averne un ristrette (25/30 studendi nozioni che assaggio abbiamo chiesto ti) in cui si affrontano in travolgono il discente di riportarci differenze e modo dettagliato e speaffinità, vantaggi o svancifico alcune tematiche senza che questo taggi di altri sistemi unidel corso, come nei TP abbia la possibilità di versitari europei a quattro belgi. Anche qui infatti studenti Luiss che gradialogo, partecipazione “metterci del suo”. zie al progetto Erasmus e lavori di gruppo sono Tanta teoria, poca hanno vissuto esperienze la regola. Ogni studente di studio all’estero. Anainoltre deve tenere una pratica. Ma non è lizziamo quattro realtà: presentazione individuacosì dappertutto Belgio, Francia, Regno le su aspetti talvolta non Unito e Norvegia. trattati in classe, che serve “da un lato ad imparare a fare ricerca ed esposizioni, dall’altro ad affrontare Belgio la paura di parlare in pubblico”. Anche qui troviaMichele ha frequentato l’Université Libre de mo pochi o nessun libro di testo e una maggiore Bruxelles (ULB). In Belgio l’approccio è simile autonomia dello studente: sarà lui a scegliere se e a quello italiano: prevalentemente deduttivo in quanto approfondire le tematiche affrontate. La quanto prima si analizza l’astratto e poi alcuni maggior parte degli esami sono scritti e gli esacasi concreti in funzione di esempi. Questi però minandi sono tenuti a seguire rigide regole nella rivestono una grande importanza. Vengono infatstesura delle risposte. ti approfonditi durante i cosiddetti “TP (travaux Secondo Francesca, quindi, l’università italiana pratiques), in cui, passata in rassegna la metododovrebbe importare un sistema di lavoro pratico, logia, si fa ricerca accademica, di solito redigendo come quello delle Conférences (o dei TP). Altro un lavoro scritto finale”. aspetto negativo sarebbe “la mole dei nostri proPer quanto riguarda i programmi, sono più cirgrammi”, spesso accompagnati da un altrettanto coscritti: meno ore di lezione, meno materiale da corposo numero di libri di testo. studiare (“i manuali, se assegnati, non superano le 150 pagine”), ma anche meno crediti attribuiti a chi supera l’esame. “Si punta all’essenziale”. Regno Unito Apparentemente più semplice rispetto al nostro Giulia ha studiato invece alla Duhram Universisistema, in realtà il sistema belga è molto severo: ty, in Inghilterra. Lì il metodo d’insegnamento “non esistono “fuori corso” ma è possibile perdere diventa molto distante da quello italiano. È inl’intero anno a causa di una media bassa o di un fatti incentrato sull’autonomia dello studente determinato numero di esami non superati”. e sullo sviluppo delle sue capacità di analisi e, In definitiva, secondo Michele il nostro sistema, soprattutto, di argomentazione. Le lezioni sono infatti ridotte all’osso: un’ora a settimana, in cui il docente fornisce lo scheletro teorico su cui basare le ricerche che gli studenti sono tenuti a fare usando il web e i libri consigliati. Si chiede quindi un grosso lavoro di ricerca e di valutazioni comparate. Gli studenti sono aiutati in questo dalle fornitissime biblioteche “aperte 24 ore su 24 in periodo d’esame”. Ad ogni ora di lezione corrisponde poi un’ora di tutorial tenuta da un assistente. Queste ore sono sfruttate proprio per

la pratica: lavori di gruppo come presentazioni o simulazioni di conferenza. Il voto finale è costituito da una presentazione, uno o più saggi e da un esame finale scritto. Il tutto a preferenza dello studente: anche all’esame finale sarà infatti questo a scegliere le due domande a cui rispondere. Secondo Giulia il più grande vantaggio di questo sistema sta proprio nel fatto che aiuta e privilegia ragionamento e argomentazione, più che memoria. A questo proposito quindi si dovrebbe “ridurre l’orario complessivo delle ore di lezione e aprire delle biblioteche ben fornite” in modo da lasciare più autonomia agli studenti. Norvegia

Laura ha frequentato la Oslo University. Anche qui notiamo notevoli differenze. L’approccio generale è di tipo induttivo: l’apprendimento di teorie e modelli è lasciato allo studente; in classe invece si analizzano casi concreti “approfondendo determinai aspetti, evidenziando i collegamenti e con riferimenti all’attualità”. Durante i corsi, inoltre, sono spesso richieste presentazioni obbligatorie. I programmi, come i nostri, sono vasti, con la differenza che “agli esami (tutti scritti) non si valuta la conoscenza teorica, ma l’uso che si riesce a fare della teoria appresa, analizzando un aspetto della materia trattata”. Stando all’esperienza e alle opinioni di Laura il sistema norvegese ha il vantaggio di essere più flessibile di quello italiano: lo studente è più autonomo e ha una maggiore possibilità di interagire con l’oggetto dei suoi studi. “In Italia ti consegnano un prodotto finito a cui devi attenerti, in Norvegia ti vengono forniti degli strumenti e sarai tu stesso, con quelli, a creare il tuo prodotto”. Quello che si riscontra in queste testimonianze è l’apprezzamento per dei metodi di insegnamento che, rispetto a quello italiano, tendono a dare più importanza all’applicazione, al ragionamento e all’autonomia dello studente. In un’ottica di confronto sempre maggiore con i nostri colleghi europei (e non solo) l’apprendimento di metodi di lavoro e di applicazione pratici sembra improrogabile. Il rischio che si corre è quello di restare indietro, anche sotto questo aspetto. Giovanni Pipola


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L’Inchiesta EC

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Affitti irregolari, da oggi si dice no Pagare decine o centinaia di euro in meno per l’affitto di un posto letto o di una casa è il sogno di molti studenti universitari fuori sede. Il vero ostacolo, però, risiede nel fatto che il prezzo che il mercato degli affitti propone agli studenti è molto elevato. Uno studente fuori sede è generalmente mantenuto dalla famiglia d’origine e una spesa elevata, molto frequentemente, vede costretto lo stesso a cercare un lavoro part-time per evitare di gravare eccessivamente sulle casse del proprio nucleo familiare. Dunque, per risparmiare qualche euro, molti studenti fuori sede preferiscono prendere in affitto posti letto o case senza un contratto registrato. Quello degli affitti in nero, purtroppo, è un problema che affligge molte grandi città italiane da diversi anni. Spesso, la situazione è ben accetta da entrambe le parti: il proprietario, senza un contratto registrato, evita di pagare le tasse dovute allo Stato e l’affittuario ha la possibilità di spendere di meno rispetto a quanto spenderebbe regolarizzando il tutto. Nel giugno 2012, il Comando generale della Guardia di Finanza ha aperto un’inchiesta sugli affitti irregolari nella città di Roma, da sempre nota per l’elevato numero di studenti fuori sede. Le “fiamme gialle” si sono presentate nelle segreterie di tre università romane — Tor Vergata, Sapienza e Roma Tre — richiedendo nomi e indirizzi degli studenti fuori sede. Agli studenti in questione sono stati spediti circa 10mila moduli da compilare e spedire; moduli nei quali gli studenti erano tenuti a dichiarare dove vivevano a Roma, quanto pagavano, come pagavano e a chi pagavano l’affitto, se avevano un contratto regolare, quanto durava e in quanti erano a dividere l’appartamento. Il modulo doveva essere rispedito entro 15 giorni dal ricevimento della busta. Lo studente che non avesse risposto alle domande, o che non avesse risposto in modo chiaro, o che non avesse spedito il modulo nei tempi stabiliti, sarebbe andato incontro ad un multa di 500 euro. E come non detto, dopo appena due giorni, furono compilati circa 1500 moduli. Dunque, dopo le iniziative degli anni precedenti per contrastare l’abusivismo, il corpo della Guardia di Finanza ha deciso di utilizzare un “pugno duro” contro gli affitti irregolari nella Capitale. Per il 2015, inoltre, un piano-casa nella città di Roma prevede un totale di circa 20mila alloggi per le fasce meno abbienti presenti sul territorio, e quindi anche per gli studenti fuori sede. Oltre alle operazioni della Guardia di Finanza, una grossa mano alla lotta all’abusivismo

sul territorio romano può arrivare proprio dagli stessi studenti affittuari. Con il decreto legislativo 23/2011, articolo 3, commi 8 e 9, infatti, i proprietari che non hanno regolarizzato la situazione degli inquilini che vivono nella loro casa, trasformando l’affitto in nero in un regolare contratto di locazione, potrebbero essere costretti a stipulare contratti 4+4 ad un canone mensile anche 10 volte più basso di quello attuale. Gli inquilini in nero potrebbero rivolgersi ad un avvocato dell’Unione Inquilini e denunciare il loro proprietario di casa, senza alcun problema. In questo modo, il proprietario si troverebbe costretto a stipulare un contratto di locazione della durata di 4 anni, rinnovabile per altri 4 — il cosiddetto “4+4” — ad un prezzo inferiore del 90% rispetto al prezzo di mercato. Per il canone, infatti, verrà considerato il valore catastale dell’immobile, decisamente inferiore al valore di mercato. Gli inquilini dovranno solo dimostrare di pagare un affitto, presentando una ricevuta di pagamento o un’utenza di gas o luce intestata. Un caso tangibile è quello di un affittuario che vive a Roma, in zona San Lorenzo. Pagava 800 euro di affitto senza alcun contratto registrato. Rivoltosi a Guido Lanciano, avvocato dell’Unione Inquilini Roma, è riuscito a mettere alle strette il proprietario di casa e a costringerlo a stipulare un contratto 4+4 a soli 80 euro al mese. E molti altri ancora hanno deciso di rivolgersi agli avvocati dell’Unione Inquilini. Non è, però, necessario intraprendere una causa per usufruire della legge: infatti, al momento della registrazione, parte in automatico un contratto 4+4 e un ca-

none pari a tre volte la rendita catastale. Massimo Pasquini, della Segreteria Nazionale dell’Unione Inquilini, ha spiegato a RomaToday cosa dice la legge e cosa deve fare l’affittuario in questa situazione: “La normativa prevede che a questi contratti si applichi da un lato una durata della locazione stabilita in quattro anni (più quattro) che decorrerà dal momento in cui verrà effettuata la registrazione, volontaria o d’ufficio; dall’altro un canone annuo di locazione fissato in misura pari al triplo della rendita catastale. Si procede verificando l’effettiva mancata registrazione del contratto di locazione da parte del locatore. In secondo luogo poi si deve procedere con la registrazione del contratto di locazione. In terzo luogo va presentata all’Agenzia delle Entrate una denuncia nella quale dichiara i propri dati personali e quelli del locatore, la data d’inizio della locazione e il canone corrisposto, unitamente ai documenti a prova delle dichiarazioni rilasciate. Infine va verificata la rendita catastale dell’immobile occupato per calcolare poi l’affitto. A questo punto parte una raccomandata al proprietario che non può far altro che prenderne atto”. Pierpaolo Pingitore


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Le docce dei lunedi mattina Pensando a uno studente medio della nostra Università, che vive a Roma in una camera presa in affitto nei pressi di Piazza Istria, che si muove nelle caotiche strade romane in bicicletta o con i tanto amati autobus dell’Atac, mi viene in mente che in una settimana gli possono capitare più o meno queste cose: Lunedi esce tardi di casa la mattina, il coinquilino è stato 15 minuti sotto la doccia. Ha una lezione da seguire alle 8 e trenta, la prima della settimana, senza un caffè non può farcela. Entra nel bar, prende un caffè, vede un cornetto al cioccolato. L’acquolina arriva puntuale, il buco nello stomaco anche, e la compra. 1,70€, bene cosi. Martedi pranza al bar: focaccia, acqua minerale piccola, e un caffè. 3,70€. Più tardi aperitivo con i

colleghi di corso, come si fa a dire di no? Dice di si e mette in conto altri 10€. Tornato a casa trova le bollette da pagare: 12 euro per internet e 15,70 per la luce. Mercoledi c’è da pagare l’affitto. 500 €, spese escluse. Tornando a casa ricorda che è finito il latte. E il pane. In realtà anche il sale era sulla cattiva strada ma non può comprare tutto lui. Due litri di latte e mezzo pezzo di pane basteranno. E un barattolo di nutella per concludere il tutto: 6,10€. Giovedi trova la ruota della bici bucata. Impreca, se ne fa una ragione e si avvia al tram. Nel pomeriggio la porta a riparare. Paga e il gommista non gli fa lo scontrino. Lo chiede e gli dice che si è inceppata la carta nel registratore di cassa. Quanta fantasia. 4,50€. In nero. Per cena c’è solo un limo-

Conviene ancora studiare? Nell’ arco di dieci anni (dal 2001 al 2010) l’istruzione universitaria italiana ha subito una evidente decrescita: 58.000 studenti in meno iscritti , oltre mille corsi di laurea cancellati, 6.000 dottorandi in meno rispetto alla media UE .Le motivazioni alla base di questo drastico calo sono molteplici ma, in questo breve articolo, ci soffermeremo su una motivazione in particolare: il rendimento dell’istruzione. Insomma cerchiamo di capire se l’investimento delle miglia glia di famiglie italiane nella carriera scolastica dei figli è ancora più che remunerato dalla carriera lavorativa futura di quest’ultimi. L’economia guarda all’istruzione come un investimento in un bene molto speciale: il capitale umano. Quindi come tutti i tipi di investimento quello che più ci interessa è valutarne il rendimento. Chiaramente guardando la stato attuale del mondo del lavoro, con un tasso di disoccupazione generale che ha superato il 12% e quello giovanile che ha raggiunto il 41.9%, la fiducia in questa forma di investimento è drasticamente crollata come conseguenza anche delle difficili condizioni economiche di molte famiglie italiane . Ma a ben studiare il fenomeno questa riduzione ha riguardato maggiormente persone con titoli di studio più bassi; infatti - secondo l’ultimo rapporto su “Le competenze per l’occupazione e la crescita” del Isfol- nel 2011 il tasso di disoccupazione degli individui poco scolarizzati (cioè coloro in possesso della sola licenza media o di un diploma

triennale) si è attestato si livelli doppi rispetto a quello registrato da chi possiede un titolo universitario. Quindi la laurea sembrerebbe ancora funzionare come assicurazione contro la disoccupazione, anche se i suoi effetti occupazionali potrebbero essere evidenti solo nel lungo periodo. Bisogna però ora considerare se i vantaggi siano solo in termini di occupazione o si estendano anche a un maggiore rendimento economico. Buone notizie in questo senso arrivano dai dati Ocse che rilevano che nella maggioranza dei paesi sviluppati le persone con un titolo di istruzione equivalente alla laurea specialistica italiana guadagnano almeno il 50% in più di quelle che hanno ottenuto un diploma di scuola secondaria. Il dato italiano purtroppo si attesta sotto della media Ocse ma mantiene comunque un differenziale del 36% tra le due categorie. Insomma i dati sembrano confermare il fatto che l’istruzione riesca ancora a remunerare l’alto investimento necessario per completare il ciclo di studi. Certo è che i motivi che spingono le famiglie a investire meno sulla carriera universitaria dei loro figli derivano principalmente dalle maggiori difficoltà economiche che esse sono costrette a sopportare e non dalla semplice volontà di fare o non fare studiare quest’ultimi. Questo breve articolo ha cercato solo di portare alla luce qualche dato interessante che può dare una iniezione di fiducia a noi studenti sul mercato del lavoro che sarà, tenendo sempre a mente il valore dell’istruzione per l’intera collettività e i rispettivi costi dell’ignoranza! Dario Antognozzi

ne: da buoni studenti parte la chiamata alla pizzeria. Trenta minuti più dieci euro per una Diavola, supplì e Peroni grande. Venerdi la notizia più brutta: è in arrivo un compleanno di un amico. Anzi due. Passa l’esattrice (tendenzialmente donna) e le sgancia 20€. Segue un pranzo in rosticceria, un caffè con un amico che non aveva monete (dai, non farmi cambiare la cinque!), uno spuntino nel pomeriggio e una veloce ed economica spesa per la casa. 28,34€. Sabato primo appuntamento con una ragazza da poco conosciuta. Portarla fuori a cena è un po’ eccessivo, dunque vada per un aperitivo in centro, magari a Trastevere. Poi un giro a Campo de’ fiori, birretta, o due, una rosa comprata da quei simpatici e mai insistenti venditori, un’altra birra(caspita, la ragazza beve!). A questo punto, la serata potrebbe finire qui, ma noi della Luiss abbiamo un inspiegabile attaccamento a quella dannata piazza Istria. Un cocktail da Ginky dunque e poi si può tornare a casa. Al rientro apre il portafogli e controlla quanto ha speso. Lasciamo stare, va! Domenica classico lavoro di gruppo della domenica pomeriggio. Presentarsi a mani vuote è da maleducati e dunque, dato che il caffè lo porta sempre qualcuno, il nostro ricade sulle birre da bere a fine pomeriggio. Ricordando però che è domenica, e che i supermercati sono chiusi, passando vicino all’enoteca di fiducia, entra e va diretto verso la zona dei vini bianchi scadenti, dopo aver superato con successo la zona dei vini bianchi economici. Dopo un forfettario e del tutto privo di logica calcolo del vino da prendere in base ai presenti, si avvia alla cassa con cinque bottiglie. 13,50€. Dopo il lavoro, e il vino bianco scadente, e tutto il cibo che c’era in casa messo a disposizione a mo’ di aperitivo, compresa dell’uva sultanina, l’idea di una pizza strappa a tutti un sorriso. Quasi trenta minuti di attesa, quasi 10€ per una pizza, patatine e birra. E così tra un commento e un sogno, un ricordo e una battuta, si dimenticano esami, soldi, ragazze e problemi almeno per un paio d’ore, con la consapevolezza che domani tutto ricomincerà. E che essendo lunedì, con ogni probabilità, il coinquilino starà almeno 15 minuti sotto la doccia. Alessandro Leuci


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Speaker’s Corner

Ottobre 2013

Rocco Chinnici: un magistrato votato alla legalità ‘’La sola funzione della memoria è di aiutarci a rimpiangere’’, così scriveva Emil Cioran nella sua celebre opera ‘Il funesto demiurgo’. Ora, a trent’anni dalla scomparsa di Rocco Chinnici, magistrato che dedicò la vita alla lotta contro la malavita della sua terra, queste parole risuonano forti come un’eco. È compito di noi tutti ricordare, e quindi rimpiangere, un tale esempio di coraggio nel combattere una piaga che affligge il nostro Paese e non accenna a sparire. Eppure, tra le priorità mediatiche della nostra penisola, non un riferimento al giudice padre del pool antimafia, soppiantato dai tanti e stantii servizi. E’ d’uopo quindi spendere qualche battuta, anche se ben altro meriterebbe, per un soggetto di tale levatura. Rocco Chinnici, originario di Misilmeri, piccolo comune nella provincia di Palermo, dopo aver intrapreso la carriera forense, si dedicò anima et corpore alla lotta alla mafia, divenendo punto di riferimento per la realtà palermitana. Era il funesto periodo delle stragi plateali e degli omicidi ‘eccellenti’, tra le cui vittime annoveriamo il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile e il procuratore Gaetano Costa, amico di Chinnici, con cui condivideva indagini sulla mafia, scambiandosi documenti e confrontandosi in tutta segretezza all’interno di un ascensore di servizio del palazzo di Giustizia. Dopo questo tragico omicidio, il giudice palermitano ebbe l’idea di istituire una struttura collaborativa fra i magistrati dell’Ufficio (divenuta nota come ‘’pool antimafia’’), conscio che l’isolamento rendeva i giudici particolarmente vulnerabili e maggiormente esposti ai colpi violenti di Cosa Nostra. Così Chinnici continuò per tutta la vita la sua strenua lotta, ottenendo pochi riconoscimenti sul suolo natio e diversi all’estero (basti pensare che sotto il suo operato l’Ufficio Istruzione di Palermo venne definito dagli americani come centro pilota della lotta antimafia e esempio per le altre Magistrature d’Italia), essendo insita in lui la ‘’religione del lavoro’’ per citare le parole di Borsellino. ‘’La cosa peggiore che possa accadere è essere ucciso. Io non ho paura della morte e, anche se cammino con la scorta, so benissimo che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. Per un Magistrato come me è normale

considerarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non impedisce né a me né agli altri giudici di continuare a lavorare’’. Queste le sue parole, pochi giorni prima di essere ucciso, il 29 luglio 1983 con una fiat 127 imbottita di esplosivo davanti la sua abitazione in via Pipitone Federico a Palermo, all’età di cinquattotto anni. Troppo scomodo e fastidioso era stato, infatti, il suo operato poichè aveva messo le mani nei conti in tasca della mafia e sui mandanti degli omicidi di Piersanti Matta-

rella, Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa. Con un’azione plateale, finalizzata a mettere Palermo sotto scacco e ad ostentare la grande forza militare della compagine malavitosa, Chinnici , in un caldo giorno di fine luglio, fu ucciso. Con lui, però, non morì la cultura della legalità, l’amore per la propria terra e la tenacia con cui larga parte del popolo siciliano ha continuato a battersi contro la piaga del crimine organizzato. Emilio Mazzeo

Il decreto del fare: si accontenta della sufficienza Habemus legem! Dopo una lunga e trepidante attesa, il decreto-legge n. 69, tristemente chiamato “decreto del fare”, ha finalmente superato tutti gli esami ed è ormai da un po’ di tempo al centro di dibattiti e di polemiche. Sebbene sia stata necessaria l’ennesima tirata d’orecchi della Commissione Europea per iniziare a lavorare sulla competitività e lo sviluppo delle nostre imprese, alla fine il governo si è rimboccato le maniche e ha fatto il punto della situazione. Il problema più allarmante è quello della difficoltà di accedere a degni finanziamenti che possano dare agli imprenditori non solo certezze, ma anche fiducia per il rilancio della loro attività produttiva. I dati parlano da sé: il 72% delle medie imprese italiane, infatti, denuncia problemi di accesso al credito, e delle imprese che sono riuscite ad ottenere dei finanziamenti, il 45% segnala di aver incontrato difficoltà per l’ammontare richiesto e denuncia tassi più alti rispetto all’anno scorso. Il decreto interviene innanzitutto riformando parzialmente il sistema di accesso al Fondo di Garanzia, così da ampliare le possibilità di ottenere crediti per le piccole e medie imprese, secondo, prevedendo un plafond di circa 2,5 miliardi di euro destinato alle banche: in questo modo si costituisce una riserva a cui le banche possono facilmente attingere, per concedere finanziamenti a quegli imprenditori che vorrebbero rinnovare i loro impianti e attrezzature. Altri incentivi vengono poi previsti per quei contratti di sviluppo che hanno ad oggetto progetti nel settore industriale o agroindustriale e per attività di ricerca anche in campo artistico, musicale ed umanistico, ottenuti soprattutto grazie ad un’ingente contribuzione al Fondo per le agevolazioni alla ricerca. Tutto sembra filare liscio come l’olio, nessuna sbavatura, anche oggi i compiti per casa sono

stati fatti. Peccato, però, che come al solito, da queste parti, trascuriamo sempre dei dettagli fondamentali e finiamo per non guardare mai oltre la punta del nostro naso. È inutile entrare in classe ed iniziare a spiegare gli integrali, se poi gli alunni conoscono a malapena le quattro operazioni fondamentali dell’aritmetica. È necessario leggere la realtà che ci circonda, capirla, e vedere quanta consapevolezza ma soprattutto quanta conoscenza si ha di quello di cui si sta parlando. Per dirla fuor di metafora, prima di improvvisarsi i miti benefattori del ventunesimo secolo, bisognerebbe interrogarsi se la classe imprenditoriale italiana sia davvero preparata, cosciente e informata di quello che sta succedendo a loro e a questo Paese. A quello che succede là fuori, oltre agli istogrammi e le percentuali degli economisti. Stiamo parlando di uomini e donne professionali, che all’interno di un’impresa sono in grado di fare la differenza perché se metti loro dei soldi in mano, sanno perfettamente dove e quando piazzarli per avere dei concreti risultati. Tutto questo si ottiene solamente investendo, ancor prima che sulle imprese, sulla cultura della gente, così che ad usufruire di questi finanziamenti, siano persone capaci di scegliere con senso critico, a seguito di un’attenta e precisa analisi della situazione non solo economica, ma anche organizzativa della propria azienda. Ma in fondo, nessuno ha mai detto che vogliamo arrivare alla lode. Ilaria Stronati


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Salvare la cultura? La cultura salverà noi Restaurare e valorizzare un patrimonio sempre più a rischio. Garantire un’allocazione delle risorse più efficiente. E poi digitalizzare pubblicazioni, salvare enti culturali da tagli, riassegnare completamente gli introiti dei biglietti al MiBac… sono questi alcuni dei punti chiave di quello che il ministro Bray ha descritto come “il primo decreto interamente dedicato alla cultura varato negli ultimi trent’anni”. Il DL 8 agosto 2013 n. 91, “Valore Cultura”, reca disposizioni per la tutela e il rilancio dei nostri beni culturali. Un progetto che si impegna a ridare valore alla cultura, ma che

potrebbe andare incontro a difficoltà immani. Si va dalle tax credit per la musica ed il cinema, rispettivamente di 90 e 5 milioni di euro, all’assegnazione di svariati milioni per l’edificazione di nuovi musei, più due riservati ad una serie di siti che necessitano di interventi urgenti. Poi importanti cambiamenti nella gestione delle risorse, distribuite ore sulla base di attività rendicontate. Tutto il MiBac sarà radicalmente digitalizzato: ad occuparsene saranno 500 giovani under 35. Il piatto forte della riforma sarà Pompei: verrà introdotta la figura di un Direttore per il Progetto

L’Italia che (r)esiste L’economia sociale si fa con una legge, la n. 283 del 1991. In linea con il dettato costituzionale che favorisce e tutela “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”, le cooperative sociali sono l’alternativa alla soluzione hobbesiana di uno Stato, padrone più che padre, che troppo spesso è intervenuto in forme di clientelismo e corruttela. “Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi o lo svolgimento di attività diverse - agricole, industriali, commerciali o di servizi - finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate”, lex dixit. Si legge solidarietà ed impegno civile, nella lingua mal parlata della pratica. Proliferando nei vuoti istituzionali, all’aggiornamento dei dati Istat del 2008, dalle 327 del 1992 le cooperative sociali sono diventate oltre 14mila. Il fenomeno aumenta nei luoghi più popolosi: a Roma ne sono attive 1117, a Milano 627, a Napoli 484 e a Palermo 377. In termini monetari, nel 2008 le cooperative sociali hanno generato un valore della produzione pari a 8,97 miliardi di euro. Nel lessico laburistico, hanno occupato complessivamente 317.339 lavoratori dipendenti. I numeri quantificano, ma nascondono la poesia che si crea con l’attività quotidiana della “social catena”

made in Italy, soprattutto in quei territori dove il dolcissimo odore della ginestra consola il deserto . “Erasmo ogni sera fuggiva per cinque minuti e poi tornava. Un giorno l’ho seguito. Andava a controllare il campo, perché così fa un contadino con la propria terra”. Sono le parole ancora commosse di Simmaco Perillo, responsabile della cooperativa “Al di là dei sogni”, che racconta la parabola di Erasmo, malato psichiatrico che grazie al lavoro sul bene confiscato “Alberto Varone” di Maiano di Sessa Aurunca ha ridisegnato il proprio cammino fuori dagli ospedali. La cooperativa si propone di coltivare i prodotti dei terreni confiscati alla camorra offrendo percorsi di formazione-lavoro per utenti dei servizi sanitari psichici e della riabilitazione in gruppi di convivenza inseriti in percorsi lavorativi. Perché “nel momento in cui si sposta le terapeuticità nelle motivazioni relazionali di un territorio, questo diventa sano al punto da curare le persone”. Lo stesso entusiasmo di Simmaco fa vibrare la voce di Ciro Corona, che gestisce con la cooperativa (R) esistenza il fondo rustico “Amato Lamberti” di Chiaiano. Su quattordici ettari di vigneto e pescheto, confiscati alla famiglia camorristica Simeoli, i ragazzi di Scampia, manovalanza sottratta alla camorra, ex tossicodipendenti, minori che scontano misure alternative alla detenzione, lavorano per restituire al napoletano le sue terre. È sudore di un impegno onesto, è l’alternativa concreta ai facili guadagni di un quartiere ghettizzato che vuole rinascere sul marcio. Le cooperative sociali producono speranza e coltivano alternative. “Laissez coopérer”, si direbbe. È la mano invisibile di una comunità che cura le priorità sociali senza compromessi o giustificazioni. Sono la bellezza di un’Italia che ancora (r)esiste. Sabrina Cicala

Pompei, coadiuvato da tecnici e da un consiglio di cinque esperti competenti in diverse materie. Per la città nascerà una nuova Sopraintendenza per i beni archeologici, separata da quella di Caserta e Napoli. Il tutto avverrà apparentemente senza le ennesime sforbiciate che dal 2008 hanno colpito i fondi del settore, riducendoli del 42%. Se alle parole seguiranno i fatti, il gran coro degli intellettuali che da anni si leva per il salvataggio della nostra cultura sarà, almeno un po’, placato. Parlando di cori, il nuovo testo avrà una sezione dedicata al risanamento e alla riforma della lirica: si parla di un fondo di 75 milioni di dollari, cui potranno accedere le fondazioni in stato di crisi. Ultima nota meno felice sarà il taglio di personale tecnico e amministrativo (circa la metà), per cui è comunque prevista una ricollocazione nelle varie sedi della Ales spa. Al di là dei commenti sui singoli provvedimenti, forse gli amanti della cultura potranno tirare un piccolo sospiro di sollievo. Troppo piccolo, tuttavia, se pensiamo alla crisi che il nostro paese sta attraversando. I musei che chiudono sono solo parte del problema: l’ignoranza parte da noi e dalla nostra abulia. Secondo i dati Istat del 2012, solo 26 milioni di persone hanno letto nell’ultimo anno un libro per svago, mentre una famiglia su dieci non ha un solo libro nella propria biblioteca. Un panorama del genere è molto avvilente. E preoccupante. Preoccupante perché ci impedisce di valorizzare i 49 siti Patrimonio dell’Umanità. Preoccupante perché inibisce tanti talenti in erba e fa scappare via quelli che vorrebbero fiorire. Preoccupante perché la cultura è ossigeno, e il popolo che uccide la propria cultura uccide se stesso. Preoccupante, infine, perché meno persone amano la cultura, meno conteranno scelta che la valorizzino o meno. Non ci resta che sperare che la politica diventi più attenta alla cultura, in modo da rendere più attenti anche noi. Per quello ci vorrà solo cultura: sarà essa a salvare noi, non il contrario. I più attenti aspetteranno la salvezza. E non dimenticheranno che l’ultimo crollo di Pompei è avvenuto appena un mese fa. Alessandro Adamo


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International

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Egitto intrappolato nella rivoluzione Dopo anni di apparente stabilità politica l’Egitto dell’epoca post-Mubarak si ritrova sull’orlo di una guerra civile in bilico tra il nazionalismo fondamentalista e istanze di rinnovamento democratico intravisto nei fermenti della primavera araba ma mai tradottosi in processi di evoluzione democratica dei preesistenti regimi. A due anni dall’inizio delle rivoluzioni dei gelsomini, in Medio Oriente siamo tornati al punto di partenza, lontani dagli ideali che avevano alimentato i fermenti democratici. La maggior parte dei paesi, a partire dall’Egitto, sta instaurando nuovamente forme di dittatura o di regimi autoritari, mentre altri che erano (o sono ancora) formalmente esempi di Stati canaglia sono completamente collassati o in preda alla guerra civile a bassa o alta intensità, come la Libia o la Siria. Altri che si presumeva essere esempi e fonte di stabilità nella regione, la Turchia, sono stati contagiati dai fermenti di un golpe militare che aveva rovesciato la monarcambiamento. Del resto i disordini attuali distachia, scampa a un tentativo di omicidio. Nasser no anni luce dal clima che avvolgeva le proteste accusa i Fratelli musulmani e molti attivisti, per dei 50 000 a piazza Tahrir nel 2011 per le dimissfuggire alla tortura, scappano in altri paesi arabi, sioni del vecchio Rais. Proteste che hanno avuto dove fondano delle “succursali” della Fratellanza. luogo in una duplice piazza, quella del centro delDal 1981, Hosni Mubarak ha stretto o allentato la capitale e quella virtuale conquistata a colpi di la sua morsa sui Fratelli musulmani in base alle tweet e testimonianze postate sui social, tra colpi necessità politiche del momento. Di fatto, nonodi arma da fuoco, sangue sassi e smartphone. Le stante la repressione, la Fratellanza è per decengiornate di guerriglia degli ultimi giorni in Egitto ni la principale forza d’opposizione a Mubarak. hanno toccato oltre al Cairo anche Alessandria, Quando cade il regime di Mubarak, i Fratelli muIsmailia, Damietta e hanno lambito i centri tusulmani sono la forza meglio organizzata. Sfrutristici internazionali, dando alla grande crisi del tando l’onda della Primavera araba, creano il parPaese arabo risonanza nelle distratte cronache tito Giustizia e libertà e ottengono più di un terzo agostane. È necessario, tuttavia, comprendere dei voti alle elezioni parlamentari. La macchina quali siano le origini del malessere vissuto negli elettorale dei Fratelli ultimi mesi dal popolo porta al loro candidato egiziano che affonda le presidente, Mohamed radici in un cambiamento Morsi, quasi 6 milioni tanto auspicato e promesA due anni dall’inizio di voti al primo turno e so dai Fratelli Musulmani delle rivoluzioni dei oltre 13 al secondo. Nel ma non attuato e di fatto gelsomini, in Medio giugno 2012, Morsi è il accompagnato da una deprimo presidente eletriva fondamentalista. ParOriente siamo tornati to della storia egiziana. tito, movimento eversivo, al punto di partenza, Una figura politica, vincitori delle elezioni, quella di Morsi, molto ora bersaglio della Polilontani dagli ideali controversa essendo il zia. Ma chi sono davvero che avevano suo obiettivo quello di i Fratelli Musulmani? Il traghettare l’Egitto del partito al centro degli alimentato i fermenti post-Mubarak verso scontri di questi giorni democratici la costruzione di uno al Cairo ed in tutto l’EStato “non teocratico” gitto? Fondati nel 1927 ma attento garante dei come movimento in chiaprincipi della Sharī’a, la ve anti-inglese da HassanLegge coranica, pur restando attento ad istanze al.-Banna con lo scopo di ripristinare i costumi di rinnovamento quale l’impegno, nel suo prodel popolo contro la deriva occidentale tra islamigramma, di maggior spazio per le donne nella smo, nazionalismo e populismo dopo il suo assassocietà egiziana attraverso la rimozione degli sinio nel 1949, la Fratellanza è l’organizzazione ostacoli per la loro partecipazione nella sfera islamista più influente, soprattutto fuori dalle pubblica, proteggendole contemporaneamente città. La persecuzione inizia nel 1954, quando il da forme di discriminazione. Del resto la politica colonnello Gamal Abd el-Nasser, al potere dopo

omonimica del deposto Morsi non ha fatto che aggravare la crisi con un crollo degli investimenti e le perdite nel settore turistico, asse portante dell’economia del paese. Nonostante le rassicurazioni internazionali accompagnate da numerose missioni diplomatiche anche in Europa rivolte a distogliere lo sguardo sonnolente dell’Occidente dall’Egitto, ad originare il malcontento interno è stata la deriva autoritaria di Morsi spalleggiata dalla Fratellanza, attraverso l’attribuzione con decreto di amplissimi poteri in campo giudiziario rendendo non impugnabili i decreti presidenziali per mettere al riparo da ogni pretestuoso intoppo il lavoro dell’Assemblea Costituente incaricata di redigere la nuova Costituzione, giustificando ciò nell’interesse supremo della rivoluzione. Nuove proteste supportate anche dalla magistratura hanno portato alla presa del potere da parte dell’esercito, proclamatosi guardiano della rivoluzione, e procedendo alla destituzione e all’arresto di Morsi, trascinando nuovamente l’Egitto nel baratro della guerra civile tra sostenitori del nuovo rais deposto e oppositori divisi. Nel mentre l’Europa stenta a prendere posizione, l’amministrazione Obama inizia a mobilitarsi per la sospensione degli storici aiuti economici con cui Washington ha sempre finanziato il docile alleato, ad esclusione tuttavia di quelli militari che verrebbero garantiti fin quando non compaia un interlocutore capace di garantire stabilità interna al paese, sia esso una giunta di militari o un nuovo rais. Carmine Russo


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Le tradizioni russe sono dure a morire I giorni passano, i costumi mutano e ciò che era presente diventa ben presto passato. Non tutto però cambia, ci sono cose che rimangono fisse , immutabili, così radicate nella tradizione da risultare insensibili all’inesorabile scorrere del tempo. La situazione degli omosessuali in Russia da quasi cento anni a questa parte ne è un chiaro esempio . Dopo la fondazione dell’Unione Sovietica gli omosessuali godettero per circa un decennio di una relativa tolleranza, l’omosessualità fu vista in quel periodo come una sorta di malattia da “curare” solo con il consenso del paziente e non attraverso il ricorso alla violenza o ai tribunali; potrà sembrare poca cosa ma negli anni venti questa situazione era di gran lunga più liberale di quella presente in tutta Europa e, proprio per questa ragione, la legislazione Sovietica in materia fu presa come modello nella Conferenza di Copenaghen da medici e studiosi. La Grande Enciclopedia Sovietica, unico materiale didattico ammesso nel regime, dichiarava a quei tempi in proposito : “La legislazione sovietica non riconosce reati cosiddetti contro la morale. Le nostre leggi partono dal principio della difesa della società, e quindi prevedono una punizione solo in quei casi in cui l’oggetto dell’interesse omosessuale sia un bambino o un minorenne...” Con l’ascesa di Stalin, in una ottica di recupero delle tradizioni attraverso l’attuazione del cosiddetto “Termidoro Sessuale”, il Codice Penale Sovietico fu riformato e fu introdotto l’articolo 121 il quale puniva l’omosessualità con la privazione della libertà per un periodo fino a 5 anni e, ex II Comma del suddetto articolo, nel caso di uso o minaccia d’uso di violenza fisica o di sfruttamento della posizione dipendente della vittima o di rapporti con minorenni, fino a 8 anni. L’omosessualità da semplice malattia divenne un

propaganda “di relazioni sessuali non tradizionali prodotto della “Decadenza morale della Borghedavanti ai minori”, e da studenti di giurisprudenza sia”, un feticcio delle società liberali e per questo ci verrebbe subito in mente cosa si intenda con da combattere e reprimere aspramente e duraquesta clausola oltremodo vaga, è punita con una mente attraverso processi sommari e condanne multa che va dai 4mila : secondo le stime della ai 5mila rubli (100-125 comunità gay russa più euro). Inoltre, gli stranieri di cinquantamila maschi L’unica nota positiva che fossero colti in Russia omosessuali furono spediin comportamenti definiti nei Gulag in Siberia nesull’argomento bili come propaganda di gli anni del comunismo, di questi giorni è relazioni omosessuali damoltissimi cittadini furovanti ai minori (anche un no accusati di omosessuavedere come per semplice bacio o un altro lità dal KGB per soli scopi ogni Isinbayeva, per gesto affettuoso in pubpolitici e la sola minaccia blico) rischiano una sandi accusa legittimò a lunogni russo/a omofobo zione fino a 100.000 rubli go soprusi e abusi. esiste almeno un e possono essere rinchiusi Nel corso degli anni otin carcere per 15 giorni o tanta l’orientamento altro/a persona nel espulsi. inaugurato da Stalin sul resto del mondo Non sorprende proprio tema si consolidò sopronta a sostenere per questo la dichiarazioprattutto socialmente, in ne di Yelena Isinbayeva , concomitanza con la difcome tutti si sia nati campionessa del salto con fusione negli Stati Uniti uguali l’asta russa e beniamina della AIDS ritenuta prolocale, la quale ha tuonapria solo di omosessuali e to in difesa di Putin “In tossicomani. Russia non abbiamo mai avuto questi problemi e Proprio per questo la caduta della Unione Sovietinon ne vogliamo avere nemmeno in futuro. Se si ca non determinò alcun cambiamento sostanziapermette che vengano promosse e fatte certe cose le, l’articolo 121 del Codice Penale fu abrogato per strada, è giusto avere molta paura per il futudopo frequenti pressioni Occidentali ma l’immaro del nostro Paese. Noi ci consideriamo persone ginario collettivo in Russia continuò e continua normali. Viviamo soltanto uomini con donne e tutt’oggi a vedere i gay come deviati, soggetti in donne con uomini. Certi atteggiamenti e certe grado di rompere i valori tradizionali e per questo parole sono irrispettosi verso il nostro Paese e per da relegare in un angolo del paese, meglio ancora i nostri cittadini. Siamo russi e forse siamo diffecon “l’aiuto” di giovani nazionalisti coperti nelle renti rispetto agli europei. Ma abbiamo la nostra loro azioni violente da una vera e propria omertà casa e tutti devono rispettarla. Quando noi angenerale. diamo negli altri Paesi, cerchiamo di rispettare le Su spinta popolare, a Luglio la Duma e Putin hanloro regole senza interferire”. no addirittura promulgato e approvato una legge L’unica nota positiva sull’argomento di questi contro la “Propaganda Omosessuale” in cui la giorni è vedere come per ogni Isinbayeva, per ogni russo/a omofobo esiste almeno un altro/a persona nel resto del mondo pronta a sostenere come tutti si sia nati uguali, come a tutti gli uomini e alle donne sia riconosciuto, e non solo attribuito, il diritto al perseguimento della libertà e della felicità. Riscalda i cuori sentire infatti Nick Symmonds, atleta statunitense medaglia d’argento di questo Mondiale agli 800 metri di atletica, affermare “Per quanto ne posso parlare, credo che tutti gli esseri umani siano uguali essendo creati tutti da Dio. Che tu sia gay, etero, nero o bianco, tutti meritiamo gli stessi diritti. Rispetto la capacità dei russi di governare la propria gente, ma non sono d’accordo con le loro leggi. Rispetto la loro nazione, ma non concordo con le loro norme”. La Russia forse non vuole cambiare, il resto del Mondo fortunatamente sì. Giulio Profeta


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International

Ottobre 2013

Fuori dal tunnel o ancora in galleria? Più di un “tecnico” dell’Olimpo della finanza si era speso nei mesi e nelle settimane scorse per tranquillizzare i cittadini-contribuenti europei affermando il definitivo superamento della fase acuta della crisi ed una tendenziale propensione alla ripresa, attraverso l’imposizione al centro della discussione tra gli Stati del tema della crescita economica. I dati però sbugiardano questa rappresentazione dei fatti: non solo, infatti gli indici principali dell’economia continuano a subire frequenti tonfi ma sono anche d’interesse le dichiarazioni di queste settimane del presidente della Federal Reserve americana, Ben Bernanke, il quale aveva sostenuto che l’azione della banca centrale Usa potesse farsi meno diretta nel mercato dei titoli di Stato (garantiti, oggi, da un tasso d’interesse bassissimo che oscilla tra lo 0% e lo 0,3%). La reazione dei mercati a questa dichiarazione dimostra quanto in realtà sia complicato discostarsi da un profilo emergenziale che le istituzioni economiche dei principali Paesi occidentali hanno dovuto assumere con lo scoppio della crisi. D’altro canto, si pone il serio problema per nali hanno registrato segni negativi ovunque. l’economia statunitense di impedire che l’ecoAnche quelle economie, che sembravano in una noma nazionale risulti inondata da un eccesso certa misura essere immuni dal contagio della cridi liquidità che potrebbe ben presto rivelarsi un si, attraversano oggi una fase critica tutta ancora boomerang molto pericoloso, non solo in termiin evoluzione. E’ il caso dell’Olanda che, stretta ni inflazionistici ma soprattutto per il timore che nella morsa dell’insolvenza del debito sovrano e una simile mole di denaro possa alimentare nuove da una crisi politica non indifferente, appare oggi bolle speculative pronte a scoppiare e riportare le il prossimo “campione” da monitorare in Euroeconomie nazionali nell’occhio del ciclone di una pa. Non lasciano infatti dubbi sul serio rischio di crisi finanziaria. evoluzione in negativo della situazione le parole Gli indicatori, di fatto, dicono che questa ipotesi dell’economista britannico Simon Wren- Lewis, non è assolutamente escludibile: più di un comsecondo il quale non sarebbe assolutamente scumentatore ha salutato positivamente l’azione sabile una nuova applicazione, anche nei confini espansiva, in termini monetari, del nuovo goOlandesi, delle misure verno giapponese. Si è di austerità già spepersino sostenuto che, rimentate negli anni essendosi applicati sui scorsi e che hanno protitoli di stato del Sol Anche quelle economie, dotto effetti talmente Levante tassi di inteche sembravano in una disastrosi da essere conresse molto bassi, in siderata improponibili seguito all’azione gocerta misura essere anche da intellettuali vernativa, diversi inveimmuni dal contagio poco keynesiani. stitori hanno preferito, Un altro economista di nel corso delle settimadella crisi, attraversano fama che in questi anni ne scorse, rivolgersi nei oggi una fase critica ha criticato, e duramenmercati dei titoli degli tutta ancora in te, l’intero sistema e la stati europei, allentanteoria stessa delle mido ulteriormente la evoluzione sure di austerity, Paul morse degli spread che Krugman, è tornato ad nel corso di questi anni attaccare la “Troika” sono stati al centro di (FMI, BCE e Commissione) sul feticcio delle un costante monitoraggio a causa di un appa“misure di sistema”. Proprio in questi giorni, tra rentemente inarrestabile ascesa dei valori. Ma la l’altro, una delle banche d’investimento più imreazione, ancora una volta, dei mercati borsistici portanti del mondo e nota per vicende legate ad e finanziari, hanno palesato l’inefficacia di simili una non proprio trasparente gestione di risorse, operazioni. JP Morgan, ha diffuso un rapporto nel quale vi è Alcune settimane fa, infatti, le borse internazio-

un chiaro invito rivolto alle parte delle autorità di governo Ue a “sbarazzarsi” delle Costituzioni nazionali antifasciste, alludendo alle norme di rango costituzionale che, nel secondo dopoguerra, hanno assunto ai massimi livelli giuridici i valori di una legislazione sociale avanzata, la necessità di un presidio imprescindibile dello stato in economia, rifiutando il dogma dell’autoregolamentazione del mercato. Si tratta di un leitmotiv che da anni propugna l’insostenibilità di modelli di welfare universalistici conosciuti nella seconda metà del secolo scorso. Da più parti si è criticato fortemente questa impostazione, da un lato attraverso i fallimenti di questi mesi in cui il rigorismo di bilancio ha fatto terra bruciata dei “lacci e lacciuoli” degli ordinamenti nazionali, attraverso revisioni costituzionali, imposte dai trattati europei, sottoscritti dagli stati, dall’altro attraverso la costatazione che economie emergenti, oramai completamente emerse, come quella cinese, concentrano la loro attività di programmazione verso sistemi di welfare simili a quelli del Vecchio Continente, nel paradosso per cui in Ue questo modello sociale di sostegno diretto al potere d’acquisto e di garanzia dei servizi fondamentali non funzionerebbe perché retaggio di un passato di vacche grasse, mentre nell’ambito dei Paesi emergenti i sistemi di tutela universalistici sarebbero considerati come lo sbocco naturale di economie in crescita. Siamo allora davvero fuori dal tunnel o invece chi guida la macchina dell’economia a fari spenti non si rende conto di avere difronte ancora una lunga galleria buia? Francesco Valerio Della Croce


Walk

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Wind of change Carissime matricole e cari studenti, quest’anno mi rivolgerò a voi in confidenza, come se fossimo amici di vecchia data che si immergono in intime riflessioni ispirate dal chiarore delle stelle del cielo di fine estate. La mia rubrica, sulla quale peraltro invito a scrivere chiunque abbia voglia di raccontarci di un luogo che è divenuto esperienza, ricordo emozionante, fonte dal gettito intriso di emozioni, è la rubrica del vero viaggiatore. E’ colui che lascia il noto per l’ignoto o, ancor meglio, scopre la novità di ciò che è sotto i suoi occhi, apparentemente invisibile agli altrui sguardi offuscati da una disattenzione pigra, figlia dell’abitudine. Il viaggiatore è colui che viaggia con l’anima prima che col corpo, poiché in primis deve essere mentalmente predisposto al viaggio e quindi al cambiamento, come un Ulisse che freme di gioia nel varcare le colonne d’Ercole, impavido e curioso. Conosco persone che hanno compiuto viaggi lontanissimi di cui si gloriano negli appuntamenti mondani che, in fin dei conti, è come se non avessero viaggiato affatto. “Sai sono stato in Africa! Ma niente contatti con la popolazione locale, per carità, mi sono rilassato in piscina. Com’era il cibo, dici? Per fortuna lo chef del mio resort era italiano, cucinava delle ottime linguine ed una pizza favolosa.” Quando si abbandona una realtà per un’altra bisogna tenere a mente dei semplicissimi presupposti: ogni luogo esistente ha una storia, e la sua storia è data da chi (o cosa, nel caso dei meravigliosi spazi incontaminati dall’importa umana, in cui la natura regna ancora sovrana e selvaggia) vi abita. Non si può visitare una metropoli o un paesino di campagna, un borgo rurale o marittimo , un villaggio nomade nel deserto o una sovraffollata

città indiana prescindendo da usi e costumi. L’altro ha un ruolo fondamentale nella comprensione dell’altrove. Ecco perché il viaggiatore, entrando in contatto con una realtà completamente differente dalla sua, non si pone con fare ostile nei confronti delle diversità con cui necessariamente avrà a che fare. In lui deve compiersi una metamorfosi, una trasformazione che lo renda intimamente vicino alle abitudini culturali delle popolazioni con cui enIl viaggiatore, tra in contatto, per giungere in maniera sincera a entrando in contatto comprendere il perché con una realtà di determinate usanze. Ciò non vuol dire completamente che chi viaggia debba differente dalla sua, dimenticare il proprio retroterra culturale. Ma non si pone con fare le proprie radici non deostile nei confronti vono trasformarsi nelle delle diversità con cui sbarre che imprigionano molti nell’intolleranza. necessariamente avrà La scorsa settimana ero a che fare. con mio padre in un ristorante a Castro Marina, la graziosa località pensato a quei bambini italiani che prendono in turistica dove villeggio ogni estate da quando ero giro il bambino rumeno, ho pensato alle loro fabambina. miglie. Che ruolo avranno in questa società semLa cameriera che vi lavora è una donna sulla quapre più multiculturale? Che senso avranno i loro rantina, molto sorridente e cordiale che ormai mi “spostamenti”? Queste persone potranno anche riconosce perché qualche volta mi sono fermata a permettersi economicamente di arrivare dall’alchiacchierare con lei. tra parte del mondo ma nessuno di loro potrà mai Parla un italiano fluente ma con un forte accento definirsi un viaggiatore. dell’est. Ricordando le mie origini ungheresi, mi Come può pensare di comprendere un luogo chi chiede se sono più stata a Budapest. Le rispondo non accetta il cambiamento in casa propria, chi di no e le chiedo se fosse ungherese, poiché avevo non lo vede con curiosità ma con paura e quindi dimenticato la sua provenienza. Lei mi risponde lo allontana e lo denigra? di no scuotendo la testa ed avvicinandosi mi dice Come spesso ripeto, il viaggio e la scoperta inia bassa voce “sono della Romania”. Non mi interziano sempre da una predisposizione intima. E se rogo sul perché di questo strano comportamenqueste persone non si fossero poste con un verto e proseguo nel discorso, ma subito mi rendo gognoso e medievale atteggiamento di chiusura conto che la signora è in difficoltà. Ad un tratto, nei confronti di questa madre e del suo bambino, quando è giunto il momento di nominare la sua avrebbero potuto trovare in loro degli interlocuterra d’origine impugna la penna con cui prende tori cordiali con cui stringere amicizia. Attraverso le ordinazioni e scrive una piccola r puntata sulla i loro racconti, avrebbero viaggiato con lo spirito tovaglia di plastica. Una “R.” che indicherà ogni scoprendo una nuova realtà di cui fare tesoro… e volta in cui avrebbe dovuto pronunciare a voce chissà, magari un giorno in Romania ci sarebbero la parola “Romania”. Mi fa delle confidenze e mi andati davvero, scoprendo che è una terra meradice che, per lei, in Italia la vita è terribile. Ha un vigliosa, perché ogni luogo è meraviglioso, se si è bambino piccolo che i compagni di classe emardisposti a comprenderlo. ginano perché è rumeno. Lei e suo figlio sono Chi non si mette in gioco e percepisce il cambiavittime costanti di un’intollerabile discriminamento come diversità più che come trasformazione. Per tutta la durata della nostra breve conzione ha un passaporto che è carta straccia. Non versazione, la signora si guarda intorno, con fare rimanete piccoli bruchi, rompete la crisalide, tracircospetto, temendo che gli altri clienti possano sformatevi , e volerete lontano come magnifiche sentire e giudicarla. Giudicarla per le sue origini, farfalle. la sua cultura, per il suo essere “diversa”. Mi sono vergognata profondamente per la xenofobia latente che ancora infetta il mio popolo. Ho Maria Vittoria Vernaleone


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Cogitanda

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Se Madame Bovary avesse comprato un biglietto per Parigi invece di una libreria Se qualche letterato vi diagnosticasse il bovarismo (tendere a disprezzare realtà piccole e periferiche ed anelare alla vita in città e metropoli),potreste chiedere a Emma Bovary qual è il libro più adatto ad asciugare la vostra sete di cambiamento. Madame Bovary, stufa della monotona campagna francese, aspirava alla caotica e brillante Parigi, convinta che l’odore di cultura e vino che aleggiava per gli Champs Elysee avrebbero spazzato via dalla sua anima le distorsioni del bigottismo campagnolo. Non potendo raggiungere la capitale, decise di cimentarsi nella magnifica e pericolosa illusione della lettura. Si ammalò di parole: anelando al cambiamento e cercando una fuga tra pagine ingiallite di romanzi e novelle, rimase intrappolata per sempre tra quelle. Divenne l’eroina, l’amante e la guerriera coraggiosa di una storia e poi di mille altre ancora che, però, non erano mai la sua. Se da sognatrice Madame Bovary si ammalò nel vano tentativo di trovare il cambiamento, Giordano Bruno da filosofo morì per difenderlo, Van Gogh da artista si tagliò un orecchio per comprenderlo, Marco Polo da esploratore viaggiò per raccontarlo, Robespierre da rivoluzionario lo portò agli estremi... Tutti, da umani, vi aspiriamo ossessivamente, dall’inizio dei tempi. Se non ci fosse la possibilità di un cambiamento, non avrebbero senso i sogni e le speranze di ciascuno di noi. Sarebbero vane le aspirazioni di un ragazzo che finisce il liceo e tutte le ricerche nei laboratori per trovare una cura all’Alzheimer; risulterebbero stupidi quei ragazzi che si tengono per mano a piazza Tahrir e quelli le cui urla sovrastano i rumori quotidiani di Ankara e Instanbul: “HER YER TAKSİM, HER YER DİRENİŞ!” (Ovunque Taksim, ovunque resistenza). Inoltre, se non ci fosse alcuna probabilità di imbattersi in un cambiamento amaro e indesiderato, non avremmo l’opportunità di sfidare noi stessi, scoprire la nostra forza. Alcuni cambiamenti sembrano inconcludenti, certo. Bruno bruciò vivo per difendere un ribaltamento di ideali filosofici che non prese mai piede; eppure dimostrò che un’idea è, semplicemente è, ancor prima di essere giusta o sbagliata. Robespierre tradì la Parigi per cui cantò ‘Libertè egalitè fraternitè’ e la sottopose a tirannia; però insegnò alla Francia il prezzo della democrazia e ai francesi la voglia di pagarlo tutto. Non solo l’invenzione della ruota o della lampadina, ma ogni cambiamento è tassello della vita (o della Storia), senza il quale saremmo diversi. L’unico cambiamento che non ci arricchisce è quello per cui non lottiamo e che non accettiamo, quello che ci rimane estraneo. Tanti critici sostengono che Madame Bovary fosse una ‘borghesotta’ e sarebbe rimasta tale anche

sorseggiando Chardonnay sotto il tiepido sole parigino; anche se avesse avuto l’occasione di frequentare il Cafè più in della città, Emma non si sarebbe liberata della propria mediocrità. Più che una sognatrice, Bovary era una povera illusa. Davvero possono esistere sogni sbagliati? C’è a chi piace pensare che non sia così, che Emma fallì solo perché si limitò ad essere l’eroina di vite

immaginarie, fatte di nebulosa e inchiostro, e mai della sua. C’è a chi piace pensare che fosse una borghesotta solo perché non ebbe mai il coraggio di smettere di esserlo. Se qualche letterato vi diagnosticasse il bovarismo, non chiedete un bel niente ad Emma Bovary: trasferitevi nella città dei vostri sogni. Laura Montemitro

E ho iniziato a vivere sarebbe diventata casa mia. Un posto al monA ripensarci la vita che conducevo appena un do dove crescere, capire, imparare, studiare, coanno fa, ora, sembra la vita di qualcun altro, di noscere. Il luogo giusto dove dare una sterzata chiunque, tranne che la mia. Tutto quello che brusca al volante della propria vita, per iniziarne facevo prima è come se sia improvvisamente una diversa, cambiata. Ho avuto paura, lo consparito, come se oramai non mi appartenga per fesso. Timore di aver completamente sbagliato davvero. Lo dice anche quel vecchio signore, posto, città, università, facoltà. Terrore di non quello di Nuovo Cinema Paradiso, no? “Fino essere in grado di stringere amicizia con nessua quando ci sei ti senti al centro del mondo, ti no, di non riuscire a piacere a nessuno. sembra che non cambia mai niente. Poi parti. Ma non ho avuto finora più torto in vita mia. Un anno, due, e quando torni è cambiato tutto: Non vi dirò “Non abbiate paura, è tutto ok.” si rompe il filo.” Io quel filo l’ho rotto quasi un Sarei una bugiarda. Dovete arrivare davanti al anno fa, esattamente il 24 settembre del 2012. cancello di Viale Romania con le gambe che vi Ho capito che quella vita di provincia che mi tremano, le farfalle nello stomaco, la voglia di portavo appresso come un macigno pesantissivomitare. Dovete aggirarvi mo, passata a calpestare le tra i vostri futuri colleghi solite strade, a guardare le guardandoli, chiedendovi solite facce, a respirare la “Fino a quando se siete all’altezza. Dovete solita aria, non sarebbe staandare all’incontro con il ta “crescere”. Ho abbandoci sei ti senti vostro tutor pieni zeppi di nato qualunque sicurezza al centro del domande da fare, per poi passata per cambiare città, non riuscire a farne nemcambiare casa, cambiare mondo, ti meno una, per la vergogna. amici. Cambiare vita, in sembra che non Dovete correre all’aperitivo fondo. Nemmeno serve che di benvenuto senza conolo dica io, che dopotutto cambia mai scere nessuno, e stringere valgo poco, se non niente: niente” amicizia con le prima perti tremano le gambe, sei spasone che vi trovate davanti. ventato a morte come non Dovete, per poi, dopo quallo eri nemmeno il primo che settimana, mese, o un anno, capire che non giorno di scuola materna (sempre che qualcuno c’era nulla da temere quel giorno, all’entrata e si ricordi quella giornata, si capisce), hai tanta che sarebbe stato l’unico giorno libero di un voglia di piangere. E’ un sacrificio mostruoso anno infernale, pieno di lezioni, esami, ansie, preparare le valige, chiudere una porta, aprirne ma di gioie capaci di gettar ombra su qualunque una diversa e così nuova. E a soli diciotto anni, altra piccola preoccupazione. Capire che siete o poco più. perfettamente all’altezza e che tutti quei loschi E poi la LUISS mi è capitata, così, un giorno, individui che avete visto sono persone splendisenza nemmeno sapere cosa diamine fosse e perde. Capire che il tutor è un laureato eccellente ché fosse giusto fare una scelta simile. Mia mae la persona più disponibile del mondo. Capire dre mi consigliò di fare il test, io ci provai con che quel giorno, a quell’aperitivo, avete trovato poca, pochissima voglia di entrare a far parte di una vera, preziosa, irripetibile Amica. questa, tanto innovativa, realtà universitaria, e E sarà tutto cambiato, sì, lo so, ma avrete iniziapoi mi hanno presa. Da quel momento, quel to a vivere. momento esatto, quello in cui vidi comparire il mio nome tra gli ammessi, capii che questa Mariapaola Rotellini


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Cambiando si impara

Come prepararsi a un mondo in mutamento La natura tende sempre al disordine. Il mutamento, il cambiamento, ogni parte del mondo che ci circonda tende alla rottura dell’equilibrio, all’inversione dell’ordine. Tutto ciò che prevediamo, anche con logica minuziosa, si sconvolgerà, lentamente o improvvisamente. Perché, allora, affannarsi tanto per prevedere il mutamento? Perché non riusciamo ad accettare che vi sia sempre un tassello incontrollabile nel mosaico?

Abbiamo cercato disperatamente lo studioso che aveva azzeccato la previsione sul fallimento dei sub-prime, che aveva presagito il successo di Grillo, indovinato che il prossimo Papa sarebbe stato Sud Americano. Col senno di poi riusciamo a costruire castelli di spiegazioni che non reggeranno il turning-point successivo. Come poteva sapere Colombo che cercando l’India avrebbe trovato le Americhe? L’importante non è quello che ha scoperto, ma come, e mentre gli

Condanna al progresso forzato Ubriacato dalle mille ed una attività che i gentili studenti della Luiss Guido Carli gli avranno proposto – talvolta sembrano venditori di caramelle, non è vero? - allo studente matricola sarà capitato fra le mani anche questo giornale, che sfoglierà con sincera curiosità. In ogni caso, il benvenuto in Luiss è un giorno di grande cambiamento nella propria vita, una sorta di cesura che dischiude nuove porte e, perché no, nuove avventure. Così, almeno, lo ricorderò sempre io, così, spero, sia anche per i nuovi colleghi. Ciò detto, è proprio del cambiamento che dovrei parlare in questa rubrica. Il tema è intrinsecamente troppo ampio e vasto per poterne discorrere in maniera esaustiva, ma, d’altra parte, è altrettanto stimolante da poter cercare di far passare al lettore cinque minuti piacevoli al suo primo giorno in università. “Mutamento”, “trasformazione”, il cambiamento è addirittura categoria interpretativa dello sviluppo della realtà (qui intendiamolo come “divenire”) della filosofia occidentale, πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός, come si desume dal pensiero di Eraclito. Mi concentrerò, però, su un aspetto particolare del cambiamento, il progresso (od il regresso) ossia la variazione in melius (od in peius) di uno status preesistente. Vorrei ora ricordare al lettore alcuni episodi ed immagini per poi trarne una conclusione. In primis, Giovanni Verga ed il Ciclo dei vinti, in cui la lotta dell’uomo con la vita si concluderà sempre con l’uomo “travolto dalla fiumana del progresso”. Nella prefazione ai Malavoglia l’autore scrive: “nei Malavoglia non è ancora che la lotta pei bisogni materiali. Soddisfatti questi, la ricerca diviene avidità di ricchezze, e si incarnerà in un tipo borghese, Mastro-don Gesualdo, incorniciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di provincia, ma del quale i colori cominceranno ad essere più

vivaci, e il disegno a farsi più ampio e variato. Poi diventerà vanità aristocratica nella Duchessa de Leyra; e ambizione nell’Onorevole Scipioni, per arrivare all’Uomo di lusso, il quale riunisce tutte coteste bramosie, tutte coteste vanità, tutte coteste ambizioni, per comprenderle e soffrirne, se le sente nel sangue, e ne è consunto”. Vorrei, poi, condividere una singolare argomentazione, che lascerò alla prudente valutazione del lettore, presente ne La vita pensata di Robert Nozick. Perché Dio ha creato così il mondo? Non potendogli dare un valore infinito quale è Dio stesso, Dio risponderebbe “qualunque mondo creassi, sarebbe da voi criticato perché non è migliore di come è” (che poi possa essere o meno identificata una linea di demarcazione a proposito, quale ad esempio l’assenza del “male”, non è oggetto, qui, di speculazione). Si potrebbe concludere, quindi, che il cuore dell’uomo non possa essere istantaneamente e permanentemente riempito e che il principio di piacere e di dolore soggiaccia al cambiamento, in una sorta di meccanismo di dipendenza: con le parole di Giovanni Guareschi, “l’uomo è un essere condannato al progresso” (Don Camillo, Introduzione). A mio parere, però, è possibile rompere il circolo vizioso individuando una fonte di autoreferenzialità dinamica nella propria vita, non individuabile nel progresso materiale. Robert Nozick afferma: “Non desideriamo altro che vivere e stimolare gli altri a vivere, in una spirale di attività (…) diventare veicoli di verità, bellezza, bontà e santità, aggiungere il nostro personale contributo agli eterni processi della realtà. E questo non desiderare altro, insieme al sentimento che vi si accompagna, è – per inciso – la sostanza della felicità e della gioia” (La vita pensata). Sono perfettamente d’accordo. Arnaldo Mitola

altri navigavano nel solco del passato, sicuramente rassicurante, fermo, e già scritto, Colombo cercava la terra tonda, assecondava il cambiamento, era arrivato mentre gli altri non erano riusciti a partire. La rotta non è mai data dal vento, la rotta è segnata dal bravo skipper, che sfrutta il vento per arrivare dove lui ha deciso di approdare. Non è possibile restare sulle spalle dei giganti a lungo, non è possibile ripetere il passato, l’innovazione di ieri è la superazione di oggi: il cambiamento è un eterno orizzonte a cui guardare. Winston Churchill raccontava e riferiva la storia già scritta dagli altri, poi ha iniziato a cambiarla. Non è, allora, più saggio accettare che le spiegazioni preventive abbiano sempre un margine di errore? Eliminarlo non significa adattarsi al futuro, al contrario l’incertezza è una componente da accogliere. E’ inutile costruire oggi la persona che saremo domani? Rimarremo forse bloccati, congelati al di fuori degli eventi in trasformazione, in attesa della fine degli studi, aspettando quel famoso incentivo all’occupazione giovanile, formandoci per un sistema già superato? Massimo Gramellini, parlando agli studenti di oggi ha incoraggiato alla scoperta del proprio unico talento, alla capacità di coltivarlo. Un talento è inestirpabile; è immutabile perché cresce con la persona che ha la fortuna di scoprirlo. Un talento non ha paura del cambiamento. L’Università, o semplicemente lo studio, non ci insegna ad usare lo strumento, ma a crearlo, a non aver paura dell’orizzonte. Franco Montanari, grecista del “GI”, sostiene fortemente, pur essendo un ammiratore dichiarato del passato, una formazione non professionalizzata e cristallizzata sull’oggi, ma che costruisca le fondamenta del professionista del domani. La schematizzazione estrema, la gabbia dell’ordine non possono caratterizzare la formazione di uno studente. La vera missione, è creare uno spazio al disordine, affrontarlo con competenza e malleabilità, flettersi senza rompersi. È allora davvero importante capire quale sarà il lavoro del futuro, il mezzo del domani? Per imparare i trucchi del mestiere c’è sempre tempo, mentre imparare ad essere versatili e reattivi, pronti anche all’imprevedibile, è necessario adesso: questo è il cambiamento di mentalità, è imparare il disordine. Eleonora Pintore


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Caffè Con...

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Caffè con: Giovanni Lo Storto Direttore Generale LUISS Per ogni studente universitario la laurea rappresenta, al tempo stesso, un atteso traguardo e l’origine di un nuovo percorso. Dal suo punto di vista, un giovane laureato LUISS può davvero vantare una posizione di partenza privilegiata? In che modo dovrebbe rapportarsi al mercato del lavoro?

Sono cambiate molte cose dal tempo in cui la laurea si poteva rappresentare come un atteso traguardo, un punto di arrivo e un punto di partenza. Fino a non molti anni fa, laurearsi significava fare un passaggio significativo nel contesto sociale e proiettarsi nel mondo delle professioni e delle aziende, legittimati dal fatidico pezzo di carta. Negli ultimi anni molti dogmi sono stati messi in discussione da un contesto socio economico più complesso, che travalica certamente i confini delle nostre regioni o del nostro Paese, e che suggerisce una lettura più attenta di tutte le diverse fasi della formazione.

In Luiss lavoriamo alla predisposizione di strumenti che consentano a ciascuno studente/persona di frequentare una università che mette a disposizione i migliori docenti, che pensa con attenzione a formare laureati/persone in grado di approcciare al mon-

do del lavoro in una modalità “flessibile”, avendo a disposizione un importante bagaglio formativo, un set di esperienze di arricchimento personale e una serie di luoghi in cui imparare a costruire con gli altri, per sé e per gli altri. Si può dire che la sua laurea in Economia conseguita proprio in Luiss abbia rappresentato il suo punto di partenza e di arrivo. Qual è il segreto del suo successo ? Come è cambiata l’Università da allora e come la immagina al termine del suo mandato?

Anche io mi sono laureato in questa università. Mai avrei immaginato di tornare a lavorarci e men che mai di avere la straordinaria opportunità di diventarne il Direttore Generale. È facilmente comprensibile quanto tutto ciò possa rendermi enormemente orgoglioso e al contempo caricarmi di un consapevole senso di responsabilità. La mia laurea in Economia mi ha consentito di fare esperienze diverse sia nel settore in cui mi sono laureato (il campo delle assicurazioni), sia in altri settori che, per circostanze imprevedibili e per curiosità personale e professionale, mi sono trovato ad affrontare. Ciò che caratterizza la nostra università è lo sforzo che stiamo facendo nella direzione di “costruire” laureati impie-

gabili e non solo pronti per un impiego. Ed è una differenza molto importante. Perché un laureato impiegabile è una persona capace a rendersi disponibile al sacrificio, per imparare, per crescere, per cambiare. È questo il segreto di ogni successo: la fatica e la passione. È questo che ci renderà sempre più orgogliosi di essere Luiss: far parte di un luogo in cui si impara a lavorare con gli altri e per gli altri. A costruire insieme, perché insieme si diventa. Cosa sente di consigliare a noi studenti e quale contributo si aspetta di ricevere da noi?

Per voi studenti un suggerimento e una richiesta. Il suggerimento è quello di non risparmiarvi nel lavoro, nella costruzione di voi stessi, nella curiosità di imparare. La richiesta è di non smettere mai di contaminarci con il vostro entusiasmo. La vostra passione, le vostre aspettative, i vostri sogni. La concretezza del vostro essere, che alimenta il nostro lavoro di ogni giorno. Lydia Carrelli

Caffè con: Federico Ronca

Giovanni Lo Storto

Rappresentante degli Studenti al CdA Luiss “Uno per tutti”, questo era il tuo motto durante le elezioni. Quali sono le idee e i principali obiettivi del nuovo rappresentante degli studenti nel Cda Luiss?

Credo molto nel concetto di rappresentanza, ma troppo spesso l’ho visto interpretare come privilegio anziché servizio agli studenti. L’idea alla base è quindi quella di una rappresentanza di tutti e per tutti. Il mio principale impegno sarà quello di fungere da catalizzatore di idee e di progetti di cui gli studenti sono ricchissimi. Gli obiettivi da raggiungere sono tanti: ad esempio, da un punto di vista strutturale e di spazi, la LUISS è già impegnata per venire incontro alle esigenze degli studenti, attraverso l’ampliamento della sede di viale Romania. Nel breve periodo, però, si potrebbe pensare all’apertura di aule studio anche fino a sera e il sabato pomeriggio. Ancora, dal punto di vista della formazione professionale, un punto del mio programma è la promozione di un “LuissContest” per l’assegnazione di tirocini curriculari, aperto a tutti i dipartimenti. La Luiss è in grado di fornire davvero quel qualcosa in più ai propri studenti rispetto ad altri atenei?

Ne sono convinto. Oltre alla tangibile attenzione che noi studenti riceviamo sotto il punto di vista didattico e dei servizi, la LUISS offre una serie di opportunità che vanno oltre la normale vita universitaria. Penso ad esempio alla promozione delle attività di soft skills, al sostegno dell’Università nei confronti delle iniziative studentesche come i giornali, la Radio e la WebTV, ai numerosi convegni e seminari con personaggi di spicco cui siamo quotidianamente invitati a partecipare e ad altre innumerevoli occasioni di crescita. Da studente magistrale, il mondo del lavoro si avvicina sempre più. Questa università ti dà serenità verso il futuro?

La nostra Università punta su una preparazione completa degli studenti, al fine di lanciare sul mercato del lavoro dei laureati sempre più competitivi. Inoltre, la vasta rete di imprese ed enti di altro tipo cui la LUISS è legata è per noi studenti una stimolante ed incoraggiante prospettiva. Dunque è proprio il settore del Placement quello su cui continuare a investire. Inoltre, sono convinto che anche attraverso le iniziative degli studenti e dell’Associazione Laureati (pensiamo al Mentoring Program)

Federico Ronca

potranno crearsi nuove e interessanti opportunità formative e occupazionali. Per finire ti chiediamo di lanciare un messaggio per le nuove matricole Luiss e per questo nuovo anno accademico!

A tutte le matricole va il benvenuto mio e di tutti gli studenti LUISS. Per voi inizia un percorso di crescita entusiasmante e, ne sono convinto, indimenticabile. Farete nuove esperienze e soprattutto conoscerete nuove persone, nuovi amici. Con questi condividerete i momenti più belli e le sfide non sempre facili che vi attendono. Questi anni e questa Università saranno per voi una privilegiata palestra di vita. Il mio consiglio è di tenere sempre gli occhi aperti, di cogliere al volo, con coraggio e spirito di avventura, le occasioni che vi si presenteranno davanti. Il nostro Paese ha un enorme bisogno di una nuova e capace classe dirigente, di cittadini preparati e competenti. A voi, a noi, spetta l’onere e l’onore di farci carico di questa responsabilità. Edoardo Franco


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Caffè con: i direttori di Dipartimento Cari Direttori, quali sono, le principali iniziative, le linee guida e i punti di forza di ciascun dipartimento? Secondo le recenti statistiche Luiss, la percentuale di studenti del nostro ateneo che riesce a trovare lavoro entro un anno dal conseguimento laurea è dell’80%. Qual è l’ingrediente che rende la Luiss il “non plus ultra” delle università italiane?

Sebastiano Maffettone, Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche: il Dipartimento di Scienze Politiche - oltre alla Luiss nel suo complesso - vanta due principali punti di forza: primo fra tutti la qualità degli studenti. Nella mia vita ho conosciuto molte realtà universitarie a livello internazionale, tra cui l’università di Oxford, ho insegnato in diverse città, come Dehli o Berlino e in istituti di eccellenza quali Harvard e Princeton: posso affermare con sicurezza e orgoglio che gli studenti Luiss sono fra i migliori d’Europa, se non del mondo e ne è dimostrazione il riscontro sempre positivo che ricevo dagli autorevoli visiting professors provenienti ogni anno da vari Paesi. Il secondo tratto vincente è rappresentato da una Faculty straordinaria: vantiamo una rosa di docenti eccezionali, ambiti anche al di fuori dei confini italiani. Il Dipartimento offre, inoltre, una vastissima ricchezza di programmi. La School of Government, per esempio, divisa nei suoi due rami, politologico ed economico, è una risorsa enorme. Al giorno d’oggi, poi, l’inglese è richiesto al pari di una prima lingua per poter accedere al mondo del lavoro e noi offriamo un corso di laurea interamente in lingua inglese, oltre alla possibilità di seguire corsi di francese, tedesco, spagnolo o di lingue orientali quali arabo, russo, cinese e da quest’anno giapponese. Credo che la Luiss rappresenti un non plus ultra grazie alla sua perfetta amministrazione e al suo rapporto con il panorama internazionale e con il mondo del lavoro. Abbiamo stretto accordi con più di cento università del mondo e il nostro obiettivo è educarvi culturalmente e intellettualmente, affinché sappiate destreggiarvi egregiamente in realtà future. La mia speranza è che voi studenti riusciate a sfruttare al massimo la vostra intelligenza e le vostre capacità per migliorare la situazione del nostro Paese. Dobbiamo lottare per far uscire fuori tutto ciò che c’è di buono. E l’Italia ha tante cose belle da valorizzare, a cominciare da questa splendida giornata. Giorgio Di Giorgio, Direttore del Dipartimento di Economia e Finanza: il dipartimento di Economia e Finanza forma i giovani con una preparazione tecnica avanzata in grado di iniziare carriere prestigiose in organizzazioni internazionali, in banche di affari e intermediari finanziari specializzati, in società di consulenza e autorità

di regolamentazione vigilanza sia domestiche che internazionali. Con un tale corso di studi lo studente acquisisce tutte le competenze necessarie di analisi economica, finanziaria e delle più usate metodologie quantitative. Inoltre la Luiss Guido Carli è stata tra le primissime università a offrire un corso di studi interamente in inglese nella facoltà di economia. Un corso in inglese è in grado di aprire le porte del lavoro nel mondo. Il nostro ateneo vanta una forte vocazione al contatto con l’impresa e le istituzioni, una popolazione studentesca di alto livello e docenti e ricercatori molto qualificati. Ad esempio nel dipartimento di economia e finanza molti docenti hanno un dottorato di ricerca conseguito nelle più prestigiose università del mondo. Inoltre l’ università offre servizi efficienti e consente di studiare con serenità. Gennaro Olivieri, Direttore del Dipartimento di Impresa e Management: la caratteristica distintiva del Dipartimento è l’insegnamento ai nostri studenti del valore della cooperazione e del lavoro di gruppo piuttosto che quello per il quale si vede in ogni collega un potenziale futuro competitore nel lavoro e nella vita. Le metodologie didattiche utilizzate sono in costante aggiornamento. Noi crediamo che la lezione frontale non debba essere semplicemente la spiegazione del libro di testo ma il luogo dove lo studente confronta quello che ha già letto sul libro prima della lezione con la visione che gli fornisce il docente, in base alla sua esperienza, sull’argomento trattato, in modo che criticamente lo studente possa analizzare ogni problema da tutti i punti di vista possibili. In questo, il Blog, il supporto e-learning, la lezione video registrata, il materiale di attualità sono un unicum efficace e produttivamente valido. Il corso di laurea in Economia e Management è stato disegnato appositamente per formare laureati triennali che possano dirigersi direttamente nel mondo del lavoro nelle imprese e nelle professioni contabili oppure proseguire negli studi nelle lauree specialistiche in ambito aziendale e consulenziale di tipo economico-aziendale. Ciò significa che ci siamo posti preliminarmente il problema di come relazionarci con il mondo dell’industria, parlando direttamente con autorevoli e informati operatori aziendali, di che figura professionale

Sebastiano Maffettone

Giorgio Di Giorgio

l’attuale panorama nazionale e internazionale avesse bisogno. Abbiamo quindi immaginato e disegnato cosa queste figure professionali dovessero sapere e in funzione di tutto ciò abbiamo progettato i corsi di laurea triennali e specialistici. Inoltre il nostro ateneo ha l’opportunità, pressoché unica, di accoppiare docenti di altissimo valore accademico, nazionale e internazionale in modo da rendere ragione dell’impostazione teorica sottostante e delle conseguenti applicazioni operative, per sapere cosa fare e anche come effettivamente farlo. Antonio Nuzzo, Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza: il Dipartimento di Giurisprudenza in Luiss ha il grande privilegio di poter contare su docenti straordinari e insegnamenti di carattere sia teorico che pratico. Agli studenti, infatti, è offerto un programma di studi eccellente che si caratterizza per la concentrazione delle materia istituzionali nei primi sette semestri e la proposta di ben otto alternativi profili nei successivi tre semestri, al fine di approfondire un particolare ambito del diritto sulla base delle proprie attitudini e progetti futuri. Segnalo, in particolare, il profilo “EU law and regulation”, che prevede insegnamenti interamente in lingua inglese, contribuendo a una maggiore apertura oltre i confini italiani e arricchendo in maniera significativa il cursus curricolare. Dal punto di vista pratico, ogni studente giunto al IV anno ha la possibilità di effettuare un tirocinio presso studi legali di prestigio, approfondire la conoscenza delle lingue straniere o dedicarsi alle cura di soft skills. Al Dipartimento di Giurisprudenza, inoltre, fanno capo le attività incardinate nella Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali, che offre ai laureati una serie articolata di corsi di formazione per il miglioramento delle conoscenza specialistiche utili all’ingresso nel mercato professionale. Ad ogni modo, la grande risorsa della Luiss Guido Carli siete voi studenti che con impegno ed entusiasmo rendete l’ambiente universitario sempre più stimolante e competitivo, incentivando l’amministrazione e il corpo docente a offrire il massimo, affinché voi possiate rendere il massimo. Lydia Carrelli Edoardo Franco

Gennaro Olivieri

Antonio Nuzzo


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PalinTesto

Ottobre 2013

Cose di Cosa Nostra La mafia vista con gli occhi di Falcone Marcelle Padovani, giornalista francese esperta ed appassionata della storia politica italiana, aveva trentasette anni quando incontrò per la prima volta Giovanni Falcone. Quell’anno, il 1984, la vita del giudice cambiò radicalmente. Un boss mafioso di nome Tommaso Buscetta disse: “Io parlo solo col giudice Falcone”, e così cominciò una collaborazione fatta di interrogatori estenuanti, riferimenti puntuali e dichiarazioni scottanti. Lo stesso Falcone afferma che Buscetta fu per lui come una deflagrazione. “Ho imparato più in quei quattro anni che in venti”, disse. In quell’anno così turbolento, la giornalista fece ingresso nel suo “studio”: una stanza blindata e senza finestre del tribunale di Palermo. L’uomo che andò a prenderla dall’aeroporto cambiò strada ben undici volte prima di arrivare a destinazione. Del resto, ciò non mi stupisce: quando entri in contatto con un giudice costretto a vivere come un latitante, ti rendi disponibile ad una sorta di educazione al sospetto, al terrore. I due si videro più volte, e nel 1991 la giornalista ricostruì un quadro completo del lavoro instancabile di Falcone in venti interviste. Una volta il magistrato le raccontò della sua delusione. Alcuni suoi colleghi avevano il coraggio di chiedergli: “Falcone, ma la mafia esiste?”. Il sentirsi solo in uno Stato che lottava per la mafia, gli fece più male della mafia stessa. Al termine del ciclo di interviste, Marcelle Padovani propose a Falcone di raccoglierle in un libro, e il giudice le disse di no. Non voleva essere considerato l’autore di un’inutile spettacolarizzazione. Se la francese non avesse insistito, dicendogli addirittura: “guarda che un altro libro non lo scriverai mai”, oggi non potrei consigliarvi di leggere Cose di Cosa nostra, e molti giovani penserebbero al 23 maggio del 1992 solo come ad una pagina nera ma lontana della storia italiana. Grazie a questa lettura invece, il lavoro di questo grande magistrato e il suo complesso lato emotivo sono ancora qui, accanto a noi. Cose di Cosa nostra ripercorre la strada fatta da Giovanni Falcone insieme a Paolo Borsellino, Ninni Cassarà, Rocco Chinnici e tutti coloro che lavorarono insieme, condividendo obiettivi e strategie. Falcone racconta del fallito attentato del 1989 nel quale la famiglia dei Corleonesi dispose cinquanta candelotti di tritolo tra gli scogli di Addaura, dove il giudice con sua moglie Francesca trascorreva l’estate. “Io non me lo dimentico”, scrisse. Il magistrato racconta

poi di un episodio molto singolare. Durante l’interrogatorio ad un boss mafioso, quest’ultimo si rivolse al magistrato chiamandolo “Signor Falcone”. Decisamente contrariato, Falcone gli rispose : “No, un momento, lei è il signor tal dei tali, io sono il giudice Falcone”. Nel linguaggio mafioso, chiamare qualcuno “signore” significa offenderlo, sminuirlo nel suo ruolo. Questo Falcone lo sapeva molto bene, lo sapeva perché era palermitano. Lo sapeva perché, prima ancora di essere un magistrato di straordinaria finezza giuridica, era anche uno studioso delle

consuetudini mafiose, di tutto ciò che ruotava attorno al loro mondo di codici. Falcone sapeva come i mafiosi si relazionavano alle loro donne, cosa significasse tradire. Conosceva i loro detti, le loro preghiere, la loro gestualità. Forse fu proprio questo a fare di lui il nemico numero uno della mafia, un’etichetta che secondo la Padovani gli resterà attaccata per sempre, un’etichetta terribilmente pesante da portare. Adriana Lagioia

Ho ucciso Giovanni Falcone “Ho ucciso Giovanni Falcone. Ma non era la mia prima volta: avevo già adoperato l’auto bomba per uccidere il giudice Rocco Chinnici e gli uomini della sua scorta. Sono un criminale che è stato fermato in tempo: al punto in cui erano giunte le cose, non avrei più esitato di fronte a niente e nessuno pur di tenere ancora in piedi la nostra organizzazione. Ma sono anche un criminale che è stato fermato con molto ritardo”. Queste sono le prime righe del libro Ho ucciso Giovanni Falcone, una raccolta di interviste a cura del giornalista dell’Unità Saverio Lodato, che aveva incontrato il pentito di mafia Giovanni Brusca nel carcere di Rebibbia per farsi raccontare la sua storia. Lodato voleva conoscere l’uomo che aveva ucciso il suo amico Falcone. Così, dopo un iter burocratico estenuante, riuscì a sedersi di fronte a quell’ometto basso, smagrito e con gli occhiali. Forse, a vederlo, nessuno avrebbe mai detto che fosse stato proprio lui a spingere quel tasto dalla collina di Capaci. Invece è stato solo un click, e la storia italiana è cambiata per sempre. Giovanni Brusca si racconta senza risparmiarsi, in questo libro che tesse le fila della sua vita a partire dalla sua infanzia. Aveva ragione il giudice Falcone quando diceva che i mafiosi sono come noi. “Ci sono quelli più simpatici e quelli più antipatici, ma i loro sentimenti sono come quelli di tutti gli altri esseri umani” sosteneva. Anche Brusca conferma la regola, descrivendo con tenerezza i suoi genitori, raccontando che suo padre lo aveva costretto a studiare a suon di botte. Nessuno lo ha obbligato a diventare un “uomo d’onore”. Se avesse studiato, sarebbe andato via dalla Sicilia e quel 23 maggio al suo posto ci sarebbe stato qualcun altro. Invece lui e lo studio si sono incontrati tardi, tardissimo, quando era già diventato un pentito e nel carcere di Rebibbia aveva letto talmente tanto da aver avuto bisogno

degli occhiali. Oltre alle sue vicende personali però, questo libro è anche l’agghiacciante storia di tutti coloro che sono morti per mano di Brusca: il giudice Chinnici, il piccolo Di Matteo, il giudice Falcone. In tutto centocinquanta delitti ordinati o eseguiti. Il boss ammette di non ricordare nemmeno tutti i nomi di coloro che hanno perso la vita per colpa sua. Molti non li aveva nemmeno mai visti. Quando si fa parte di Cosa nostra, non si uccide per se stessi, si uccide per eseguire un ordine. Mi sono domandata come fosse possibile che quest’uomo collaborasse con la giustizia. La spiegazione di Brusca fa luce sul fenomeno del pentitismo con una chiarezza senza precedenti. Egli racconta di quanto sia stato difficile smettere di pensare come un latitante, e cominciare a pensare come un uomo. Non fu una folgorazione, non avvenne in un attimo. All’inizio cercò di mentire, minimizzò su alcuni fatti storici e con le sue contraddizioni perse credibilità. Poi, un giorno, ebbe quello che egli stesso chiama “uno scatto di orgoglio”, e così ricominciò. È dunque questo il cuore del problema: lo smettere di pensare come un mafioso. Prima di Giovanni Brusca altri uomini di mafia si sono pentiti. Alcuni sono stati guidati dall’odio nei confronti di un’organizzazione che li aveva traditi, altri si sono solo resi conto della vita che scorreva fuori da Cosa Nostra e hanno ristrutturato con fatica il proprio background culturale. Questo è, secondo Giovanni Brusca, l’unico modo per ottenere un futuro senza mafia. Adriana La Gioia


Ottava Nota

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Breviario lisergico per i Tame Impala Mi chiedo che sono venuto a fare qui, su una spiaggia di ciottoli infame che m’ha bucato il piede, consegnandomi zoppicante al lungo viaggio di ritorno, dove per qui s’intende Sestri Levante e per viaggio di ritorno s’intende Intercity notturno fino a Pisa, da lì vagabondaggio aspettando il volo verso Brindisi. Lecce come ultima tappa. Siate maledetti, Tame Impala. Vi scegliete le location, e mica il pubblico, quello sì che è importante. Lo scrivo perché non c’è nulla di peggio che dover attendere per mesi e con aspettative altissime un live che si scopre alla fine di dover spartire con orde barbariche di hipster milanesi e toscani. Sì, dico a voi cretinetti che pogavate ad un concerto dei Tame Imapala, non si fa macello ascoltando musica psichedelica, né si fa stage diving, tantomeno tra voi. Siete una mandria di discotecari con la scatola cranica imbottita di segatura. Quanto a te, Kevin Parker. L’aura di anti-divo che ti sei cucito addosso mi sta bene, benissimo. Così come non ho nulla da ridire se mentre noi che saremmo il pubblico aspettiamo fumando l’apertura dei cancelli tu esci dallo stesso portone in ferro e di fronte a noi manifesti l’intenzione di non calcolarci affatto, optando per un bagno nelle acque della Baia del Silenzio che – dirai a fine concerto – sono bellissime e hanno contribuito a fare di questa la migliore data in Italia del tuo gruppo, ok, ti rispondo ‘daje’, mi fomento. Ma sul palco fatti una spremuta di palle e gettala a secchiate sugli astanti perché se proponi questo genere musicale è troppo poco sembrare il leader di una band cinque fratellini universitari australiani usciti dall’hangover della sera prima con addosso ancora il pigiama e pronti ad altri bagordi però-prima-facciamo-una-jam-session. Non va bene. Hai due pedaliere enormi, solo a vederle parte un embolo al pensiero di quanti e quali effetti sonori sono capaci di far sprigionare alla tua Rickenbacker 330 nera e i termini di paragone dell’ampio campionario di chitarre sono Hendrix, Lennon, Santana e AC/DC, fatti prendere dalla fotta, fijo mio. Si sta parlando di gente che suonava coi denti o dava fuoco alla propria Stra-

tocaster. Sudati questo concerto, invece di fare il trasognato figlio dei fiori che si presenta senza scarpe perché viva la natura e abbasso la guerra. Fai come Cam Avery, il tuo bassista, in seconda fila dietro di te che da l’anima e ha capito il groove della festa e ha intenzione alla fine dello show di portarsi a letto più groupie possibili, anche se è solo un turnista. Se lo merita lui quel reggiseno lanciato sul palco, non tu. Niente. Non mi convinci nemmeno quando inserisci in scaletta questi intermezzi strumentali tra un brano e l’altro che riescono a farmi bofonchiare un magro e scettico ‘mah!’ ( le suite strumentali si fanno ATTACCATE alla canzone o nel mezzo di un assolo, sono un divertissement, sono virtuosismo fine a se stesso, atti poco superiori ad un enorme masturbazione ). La chitarra, poi. La sapessi suonare bene, la chitarra. Due note tenute, tre quattro accordi a brano. Un tempo avevo un gruppo e ho visto ragazzini diciassettenni fan talebani del prog che volevano mangiarsi il loro numi tutelari John Petrucci e Steve Vai a colazione, tanta la fame. Perdio se ci riuscivano! Non posso accontentarmi di questo da parte di un professionista. Lungi da me buttare il bambino insieme all’acqua sporca, ma la musica in studio non è come la musica dal vivo. Fare il nerd in sala di registrazione non ti aiuterà a far saltare in aria il palco. Le canzoni sono riuscite, i suoni sono ottimi, il maniacale perfezionismo dei fonici che vi siete portati a presso perché di quelli italiani non ci si può fidare – mai mossa più giusta – ha dato i suoi frutti. I sintetizzatori e il Korg fanno un figurone, gli effetti scenici color arcobaleno proiettati sullo schermo alle vostre spalle ci hanno intrippato come mai in vita, ‘Innerspeaker’ e ‘Lonerism’ nonostante gli evidenti limiti ( più il secondo che il primo ) hanno un suono pienissimo benché impalpabile. Eppure non è abbastanza, è tutto più di maniera che sostanziale, ma non è colpa tua, è il segno di tempi vigliacchi. Lasciami spiegare qualcosa che già sai. L’8 dicembre del 1980 un pazzo spedì sotto terra il simbolo degli ultimi vent’anni di musica, un certo John Lennon, già nei Beatles, e poi attivista per la pace e i diritti umani nonché capo fricchettone. Ha ancora un senso questa data? Certo che sì. Lennon, prima coi Beatles nel periodo acido in India e poi durante sua carriera solista, aveva abbracciato la psichedelia, ma mai fine a se stessa. Il caso vuole che mentre i quattro di Liverpool studiavano i testi della saggezza orientale, in America ed Europa

scoppiasse il ’68 e la protesta dei giovani contro società conservatrici e patriarcali, che si portò a braccetto istanze di liberazione sessuale e di minoranze etniche e culturali. In questo senso la musica lisergica ebbe un ruolo fondamentale: fino a quando la società non si sarebbe depurata collettivamente attraverso la lotta dall’inquinamento delle vecchie mentalità, l’unica liberazione possibile per i giovani era quella, personale, della mente attraverso le droghe e molti creativi ne fecero abbondante uso nel mondo della musica e dell’arte più in generale. Diedero alla Storia opere indimenticabili, diedero messaggi. Erano fustigatori del presente, venerati come profeti del mondo che sarebbe venuto. Non fu solo una moda, fu un movimento che stravolse l’Occidente, diede significati nuovi, fornì metodi ‘altri’ d’interpretazione della realtà. Sepolto Lennon, icona del movimento, le cose non poterono rimanere uguali e la musica non riuscì a possedere più quella spinta volta a cambiare il mondo, diventò intrattenimento ed è così tutt’ora. Il decennio che allora s’apriva applicò e perfezionò piuttosto bene questo concetto.Non che negli anni ’80 o andando anche più in là con la cronologia non sia stata prodotta musica di ottima qualità, anzi. Piuttosto, cambiò lo scopo, cambiò la fruizione, cambiò l’approccio. Il pop lisergico frutto del tuo lavoro è una contraddizione in termini, il sostantivo fa a cazzotti con l’aggettivo che lo segue. Un’altra parte del problema, collegata a quanto prima ricordato, verte sullo sfiancante periodo revival a fasi alterne, una deriva a volte odiosa della musica contemporanea. Occorre precisare: ci sono stati artisti che hanno messo in scena opere di ricalendarizzazione in forma nuova di generi antichi risultando addirittura più credibili e convincenti di quanto fossero certi loro ispiratori, tipo i Wild Nothing con il revival ’80 o gli Interpol col post-punk. Ma insomma, se si sono inventati il revival post-punk, il revival new wave e sta per arrivare il revival britpop ( che era a sua volta un revival di musica degli inizi degli anni ’60 ) e NON hanno toccato invece quella branca del rock nel periodo di tempo che va dal 1967 al 1975, un benedetto motivo ci sarà. Invece no, tu giochi coi fili dell’alta tensione, Parker, affondi le mani nel magma, non puoi pretendere di non scottarti. Giù il cappello per il coraggio, ma agli esiti ci hai mai pensato? Quando fai riferimento alla psichedelia, Kevin Parker bello, ricordati questo. Altrimenti, avanti su questa strada, ma manca l’attitudine. Come per gli Strokes, quelli che giocavano a fare i nichilisti punk a New York all’inizio degli anni zero con l’aria annoiata e vestitini firmati. Musicalmente però non è finita benissimo. Francesco Corbisiero


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Cinema & Teatro

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La Grande Bellezza «Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza, va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose: è tutto inventato.» Celine Sin dalla citazione iniziale La Grande Bellezza si presenta come un viaggio visionario e caleidoscopico, la cui realtà barocca, seppur cinematografica, delinea uno spaccato affascinante ed efficace di un mondo precluso ai più. La strepitosa vista panoramica di Roma dal Gianicolo che stronca all’improvviso un turista giapponese funge da dichiarazione di intenti, riassumendo la dissonanza tra sublime bellezza, inviolabile sacralità (esplicite nel canto del coro femminile) e morte: stonata e brutale interruzione. Filtro del narrato è la coscienza del protagonista Jep Gambardella, navigato giornalista di costume che viviseziona con amara compassione, oltre ad una tagliente ironia, le contraddizioni della variegata fauna che lo circonda. Autore in giovinezza di un romanzo apprezzato ma rimasto la sua unica opera letteraria, Jep è preda del languore e della monotona vacuità mondana. Tuttavia l’alba pallida, il silenzio, gli “sprazzi di bellezza” dopo lo “squallore disgraziato” delle frenesie notturne, invitano insistentemente la sensibilità cui l’artista è condannato a condensare il sublime in un nuovo romanzo. Roma, protagonista monumentale e magnificente, interpreta perfettamente la decadenza e il senso di vuoto che affliggono ogni grande capitale, la cui potenza micidiale inghiotte l’umanità che la abita. Un’ umanità fatta di apparenza, di eleganti palazzi e siringhe al botox, di pseudo artiste concettuali che ingannano spettatori inconsapevoli, di lanciatori di coltelli, di velleità genitoriali su bambini prodigio, di attrici mediocri, di giunoniche soubrette cocainomani, di imprenditori infedeli, di scrittrici radical chic di sinistra, di poeti muti, di spogliarelliste attempate, di irrealizzati drammaturghi di provincia, di nobili decaduti a noleggio, di cardinali grotteschi concentrati più sulle ricette culinarie che sulle turbe mistiche dei fedeli e di suore pauperiste prossime alla santità. Ad interrompere la sequenza di sfavillanti siparietti si alternano lutti inattesi di fronte ai quali Jep, fonte del più freddo disincanto e della sensibilità più autentica, non riesce a trattenere l’estemporanea umanità. Mentre trasporta la bara di Andrea, giovane suicida vittima di una follia sottovalutata, scoppia in un pianto accorato che tradisce il copione di gesti calcolati e funzionali alla solennità del rito dapprima magistralmente recitato.

Come Andrea anche Ramona, spogliarellista la cui rozza spontaneità e genuina semplicità affascinano il protagonista, e Romano, arreso alle delusione delle aspettative giovanili, abbandonano quel mondo, volutamente o meno, senza averne mai fatto parte. Il concetto di bellezza è nell’ouverture di immagini riprese con lo sguardo del turista sopraffatto, negli occhi della contessa incontrata a Via Veneto, nelle risate dei bambini, nel primo giovane amore di Jep, nei luoghi in cui egli sente infine di dover tornare. Proprio nel ritorno alla purezza delle ori-

gini si completa l’evoluzione del personaggio che accetta di recuperare la vita sedimentata “sotto il chiacchiericcio e il rumore” senza cercare un “altrove” alla propria esistenza. Eugenia Brandimarte

Alì ha gli occhi azzurri Sono passati tre anni dall’ultimo lavoro cinematografico di Claudio Giovannesi, “Fratelli d’Italia”, presentato al Festival Internazionale del Film di Roma nel 2009. Il regista torna al Festival con il documentario “Alì ha gli occhi azzurri”, primo film Italiano in concorso nella VII edizione 2012 curata da Marco Muller. Il film racconta una settimana della vita di Nader, di origine egiziana ma dal cuore e dagli atteggiamenti Romani, e Stefano Italiano doc, figlio di un criminale. Vivono a Ostia, sono amici per la pelle e passano le loro giornate tra rapine, discoteche, adolescenziali amori e, di tanto in tanto, nell’istituto alberghiero che dovrebbe prepararli al mondo del lavoro. Il sedicenne ci tiene a ribadire di non sentirsi egiziano, lui è Italiano, Romano e non vuole avere niente a che fare con la religione araba che vede come distante e imposta dalla famiglia. Per questo mangia carne di maiale, non frequenta la moschea e si rifiuta di parlare Arabo accentuando lo “slang” romano fatto di colorite espressioni come “amò”, “ahò” e “mortacci tua”. L’eccellente fotografia di Daniele Ciprì, fredda e opaca, descrive dettagliatamente uno spaccato della quotidianità di due adolescenti che vivono in periferia, distanti da un certo tipo di cultura metropolitana e smarriti tra le loro contraddittorie convinzioni, coriacei nel perseguire i loro spesso sconcertanti obiettivi personali. Nemmeno la scuola, che, insieme alla famiglia, dovrebbe ricoprire un ruolo fon-

damentale nella formazione della personalità dell’adolescente, sembra in grado di aiutare i ragazzi ad uscire dal loro desolato mondo: gli insegnanti vengono ignorati, presi a parolacce e trattati come coetanei, rovesciando il classico rapporto “professore – alunno”. E non dobbiamo sorprenderci perchè è proprio questo quello che accade in molte scuole romane non solo di periferia. La vicinanza rispetto al reale è sorprendente ed è sottolineata dalla preponderanza dei primi piani su cui il regista si focalizza cogliendo espressioni sintomo di conflitti interiori e stando addosso ai suoi personaggi, riuscendo a trascinare lo spettatore nella vita dei protagonisti. Si accorcia qualsiasi distanza, non solo spaziale, ma anche psicologica, eccedendo forse nel partecipare emotivamente alle vicende di questi ragazzi, non riuscendo quindi talvolta a mantenere un’oggettività necessaria per poter parlare di temi importanti quali l’immigrazione, l’integrazione difficile nella società italiana, la differenza di etnia e i conflitti religiosi. Non c’è un finale possibile per questa storia, Claudio Giovannesi non vuole proporre alcuna soluzione al pubblico. L’ obiettivo non è trovare una “cura” per la società Italiana in declino quanto quello di far riflettere su delle situazioni quotidiane che esistono realmente e a cui, la maggior parte delle persone, non sembra poi dare tanto peso. Jessica Di Paolo


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Gli “Italians” all’estero: così cialtroni, così commuoventi È vero: siamo un popolo che stenta a riconoscersi in valori istituzionali e storici comuni. E magari per questo sono i nostri caratteri individuali a risaltare di più riverberando all’estero un’immagine di noi, diciamo così, pregiudiziale. È il tema di “Italians”, bi-movie del 2009 firmato da Giovanni Veronesi per la Filmauro. Dopo una vita passata a rivendere Ferrari rubate negli Emirati Arabi per conto di una ditta romana, il candido Fortunato, interpretato da Sergio Castellitto, ha scelto il giovane Marcello, alias

Riccardo Scamarcio, come suo successore. Per istruirlo al “lavoro” lo porta con sé a Dubai. Un inaspettato posto di blocco nel mezzo del deserto sarà solo la prima complicazione di un avventuroso on the road con finale a sorpresa. Intanto Carlo Verdone, nei panni di Giulio, un impacciato dentista romano di successo, è costretto a recarsi a San Pietroburgo per un convegno che lui stesso ha organizzato ma al quale non vorrebbe partecipare. Inconsolabile da quando è stato lasciato dalla moglie e in astinenza da oltre un anno, è

Una Domenica italiana La domenica mattina di una qualsiasi città italiana ha un profumo ben preciso: Ragù. Il suono del vociare, la nonna che racconta, c’è chi assaggia e chi apparecchia. Tutto è frutto di azioni lente e calibrate. Don Pasta porta questo quadro così tipicamente e unicamente italiano non solo in giro per la penisola, ma in giro per il mondo. Ogni replica del suo “Food Sound System” è una Domenica mattina. Il palco diventa la cucina, i microfoni sono utilizzati per amplificare la magica musica del soffritto, la scena è invasa da basilico, pomodori, salsicce, olive… Quando ci si accomoda, quell’omone dal viso buono afferma orgoglioso col suo accento salentino che esiste una sola regola in cucina: la lentezza. Per ottanta minuti questo sacerdote del buon mangiare celebra la sua devozione alla cucina italiana, stendendo sull’asta del microfono delle tagliatelle all’uovo preparate al momento. Ma non è come assistere alla registrazione del programma di Benedetta Parodi: Don Pasta ipnotizza il suo pubblico con le meraviglie della cucina, per poi affascinarlo con i suoi racconti e le sue storie in cui la cucina ha fatto una piccola rivoluzione e l’Italia è quel meraviglioso Paese in cui i profumi mediterranei e il cibo rendono meno dolorose le notizie del tg. Lo si vede in piedi su una sedia mentre racconta di quella volta in cui, alla dogana francese, gli sequestrarono le trenta o quaranta bottiglie di salsa che la nonna pugliese gli aveva preparato e allora lui mette su una protesta, trascinando il pubblico a invocare la salvaguardia della salsa. Con le mani sporche di farina si ribella contro gli OGM, contro i bimbi grassi con le bocche piene di merendine industriali, il caporalato nelle campagne, la globalizzazione alimentare.

E non a caso, ogni volta che Food Sound System va in scena, Don Pasta usa gli ingredienti tipici del luogo in cui si trova. La sua protesta atipica tocca l’apice se racconta di Otello e Desdemona, Africa e Nord Italia, senza i quali la storia d’amore tra riso e zafferano non sarebbe mai esistita, stuzzicando con eleganza una certa parte dell’Italia che pensa a difendere una purezza culturale molto discutibile. E intanto impasta e le tagliatelle fanno l’occhiolino al pubblico. Di tanto in tanto questo cuoco un po’ pazzo, un po’ cantastorie, ecologista e rivoluzionario q.b. scende dal palco e imbocca qualche fortunato con un cucchiaio di sugo o un involtino. La sua ricetta è ben chiara: prendi i prodotti della tua terra, ma solo se sono biologici e raccontano una tradizione (“sennò desisti”), aggiungi lentamente dell’ottima musica, qualche chiacchiera tritata fine, tanto amore per se stessi e, perché no, anche un buon vino; il tutto si amalgama con l’aggiunta di qualche grammo di teatro contemporaneo, una spolverata di poesia e tanto, tantissimo amore per la propria cultura mediterranea. Lo spettatore passerà la gran parte del tempo a contenere l’acquolina, tormentato dal profumo insistente e dagli ingredienti che sfilano uno ad uno sul palco come attori vanitosi. Quasi per un dispetto, alla fine, Don Pasta si accomoda con la padella sulle gambe a mangiare forchettate di tagliatelle. Ma infondo un vero pranzo della domenica sarebbe poca cosa se mancassero gli invitati. E allora, dopo aver bollito a sufficienza questo Paese così bello e buono, il Don scende tra gli spettatori e li imbocca amorevolmente con la sua speciale ricetta aromatizzata all’Italia. Maria - Chiara Pomarico

istigato da un collega a mettersi in contatto con Vito Calzone, il promoter di una società russa che organizza viaggi di lusso a sfondo sessuale. Il film risulta così diviso in due distinti episodi, due parti uguali, due storie che vogliono raccontare e motteggiare gli atteggiamenti tipici dell’italiano all’estero. A dettarne i titoli e il tenore sono le due citazioni “Gli italiani sono il popolo che suona più di tutti al metal detector”, tratta da un sondaggio del New York Times, e “La vita è troppo breve per non essere italiani”, presa da una stampa per t-shirt. Convenzioni e luoghi comuni sono volutamente ripresi e ironizzati e anche se si tratta di un film di consumo, con un uso insistente del product- placement, il risultato è di buona qualità ed è stato campione d’incassi al botteghino, segno inequivocabile che l’autoironia non ci manca. Brillante interpretazione di Verdone che, nei panni dell’ “italian” cialtronato e cialtrone, spiega a un gruppo di bambini, bellissimi e biondissimi, su un grande prato in un paese della provincia russa, come è fatto il nostro paese, utilizzando calzini, magliette tricolori e uno stivale in pelle. Esilarante l’interpretazione di Dario Bandiera il quale, tra equivoci, festini e sparatorie, traghetta il plot verso l’ happy ending. Giovanni Veronesi, che aveva già fatto emigrare il barbiere di Abatantuono in quel di Rio, traghettato un gruppo di giovani diplomati verso l’isola greca di Santorini in “Che ne sarà di noi” e lasciato convolare a nozze i due gay di Rubini e Albanese nella Spagna di Zapatero per “Manuale d’amore 2” , mette a nudo i vizi e le virtù di casa nostra. Attraverso siparietti macchiettistici il regista pratese sembra conformarsi agli stereotipi sul popolo tricolore e si avvale della stessa misura per dipingere i popoli ospitanti. Anche se esce dallo stile “due stanze e cucina” tipico della commedia all’ italiana, da essa trae il modello dei film ad episodi, concepiti come riflettori per gli assoli degli attori, come nei capolavori di Monicelli e di Scola. Peccato solo che l’icona del “patacca” dal cuore d’oro venga aggiunta all’estero al quadretto di pizza e mandolino come unica immagine del Belpaese. Giulia Ceccarelli


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Calcio d’Angolo

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Open “Odio il tennis, lo odio di una passione oscura e segreta, l’ho sempre odiato” Andre Agassi “Open” è l’autobiografia dell’ex campione di tennis Andre Agassi. Pubblicata nel 2009, divenne un impetuoso caso editoriale grazie a una scientifica operazione di marketing che rivelò anticipatamente alcune verità in grado di provocare un violento terremoto nel mondo tennistico. Agassi odia il tennis, Agassi ha fatto uso di droghe pesanti durante il tour mondiale, Agassi ha mentito alla Federazione con lo scopo di salvare la carriera, Agassi usava un parrucchino per nascondere la calvizie. Agassi non è Agassi. In linea con le premesse, la lettura offre quantità e qualità di narrazione: il titolo di best-seller trova fondamento nello stile concreto e incalzante, nella lucida descrizione dell’ascesa, della caduta e della redenzione di un atleta che ha vinto trionfalmente e perso clamorosamente. 8 vittorie negli Slam, 1 oro Olimpico, 3 Coppe Davis, 101 settimane da numero 1, 31 milioni di dollari vinti in carriera: “Open”, nonostante la gloriosa bacheca, non contempla toni celebrativi. Segnato precocemente dall’opprimente controllo del padre Mike, Andre soffre la costante tensione interiore tra le proprie aspirazioni adolescenziali e il Destino imposto dall’ingombrante genitoreallenatore, desideroso di rendere il figlio un futuro fuoriclasse. Il disprezzo per l’estremo individualismo tennistico trova identificazione nella mostruosa macchina lancia-palle, che esaspera i movimenti e velocizza i tempi di reazione. Insicuro e ribelle, Agassi imposta la propria crescita tennistica come una continua ricerca della perfezione: nonostante una tecnica straordinaria, la prima parte della sua carriera è caratterizzata dall’alternanza di vittorie e cadute colossali. “Open” è voglia di chiarezza e ricerca di se stessi: non stupisce la scelta quantitativa di dedicarsi maggiormente alle fasi di decadenza emotiva e sportiva, esplicitando emozioni e desideri di un campione incapace di trovare un equilibrio. Le tante vittorie vengono salutate con iniziale indifferenza, diventano corollario di un percorso che trova significato nella sconfitta e nell’umiliazione della mancata perfezione. “Vincere non cambia niente. Adesso che ho vinto uno Slam [Wimbledon ’92] so qualcosa che a pochissimi al mondo è concesso sapere. Una vittoria non è così piacevole quanto è dolorosa una sconfitta”. Il confronto con gli avversari storici ricorda le vecchie battaglie con il demoniaco lancia-palle,

desideroso di svelare le falle tennistiche di un avversario che non gioca ad armi pari. Ecco la glaciale sicurezza di Pete Sampras, nemesi sportiva di tante finali dello Slam, contrapposta alla vulcanica fisicità di un atleta in cerca di conferme e stabilità. Una consapevolezza raggiunta in tarda età agonistica, dopo il baratro del 141mo posto nel ranking ATP 1997 e in seguito alla stoica ripartenza dai tornei “Challenger”, gradino periferico del circuito tennistico. La seconda giovinezza di

Agassi porterà in dote cinque tornei dello Slam, il numero 1 del ranking ATP e la definitiva consacrazione nel cuore dei tifosi. Le descrizioni dei match fondamentali sono veloci e appassionanti, ma impallidiscono di fronte all’introspezione che precede/segue lo sforzo agonistico, vero cuore pulsante di un testo amato da critica e pubblico. “Open” non è solo un libro sportivo, proprio perchè lo sport non è solo attività fisica. Federico Porrà

Quarant’anni da “Bomber” Fenomeni si nasce, si sa, spesso non può essere altrimenti. O si è nelle grazie di Madre Natura, dispensatrice di capacità e talenti, oppure si finisce per essere “uno dei tanti” nella spietata giungla dello sport. Bomber, invece, quello lo si diventa. E non stiamo parlando, come i più esperti avranno già capito solo leggendo il titolo di questo pezzo, delle doti da finalizzatori dei grandi attaccanti del mondo del pallone, tutt’altro! I meriti sportivi in questo caso c’entrano poco: i goal vanno segnati sotto le lenzuola piuttosto che nelle porte di un campo da calcio, e le triplette non sono più quelle a cui ci hanno abituati Cavani e Messi, ma sono invece il tris di ragazze immortalate nella foto ricordo in compagnia del personaggio di turno. Insomma, il bomber è ormai diventato un modo di essere, un vero e proprio stile di vita: feste, discoteche, amici, cene, aperitivi, vestiti eccentrici e, come spesso si ricorda nella pagina di Facebook che ha reso famoso questo nuovo slang giovanile (“Chiamarsi Bomber senza apparenti meriti sportivi”, profilo che conta al momento più di 210mila fan), la “tanta gnocca”. Tutti indizi questi che ci riconducono ad un uomo solo, uno che se non ci fosse stato sarebbe stato necessario inventarlo, per il bene di tifosi, squadre, allenatori e soprattutto veline: Christian Vieri. Vera incarnazione del concetto di bomber, il Bobone nazionale è ormai considerato tra i giovani un fenomeno mediatico, icona di uno stile unico e inimitabile: personaggio fuori dal comune, re incontrastato di schiettezza, umorismo e soprattutto corteggiamento, è seguitissimo dal popolo di internet, soprattutto dagli assidui frequentatori di Twitter, il social network utilizzato da Bobo per comunicare direttamen-

te con i suoi oltre 206mila followers. Celebre è ormai quel suo modo di dire, “Zio Porcone”, con cui accompagna molti dei suoi cinguettii, utilizzati anche per rispondere ai fan con quel pizzico di maleducazione, irriverenza e sobrietà atipica che lo rendono simpatico ai più e campione di stile. Quasi 300 gol da professionista all’attivo, ha vestito la maglia di 5 di quelle che furono le “7 sorelle” del campionato italiano di calcio, ha cambiato casacche grazie a trasferimenti ultramiliardari, ha avuto il piacere di fare reparto con giocatori come Ronaldo (quello vero, il brasiliano) e allo stesso tempo è stato il re della movida milanese, lo “sciupa-veline” per antonomasia, invidiato da tutti e voluto da tutte: non proprio l’ultimo arrivato, insomma, capace di togliersi innumerevoli soddisfazioni sia dentro che fuori dal campo, vivendo una vita sempre al massimo. E poco importa se adesso abbia messo su una pancetta poco invidiabile, o si diverta a condividere stupidaggini sui social tra una cena “da Pino” e una scappata sulla spiaggia di Formentera. Anzi, è anche e soprattutto tutto questo che rendono Vieri il personaggio che è, sempre chiacchierato e mai domo in zona-goal. Soprattutto se a tu per tu, anziché con un portiere, con una sensualissima ragazza. Emiliano Testini


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Diversamente campione “Sei un campione?” “Yes, in my way, of course”. Michael Schumacher Michael Schumacher è considerato dalla maggioranza degli appassionati di Formula 1 un campione, a darli questa nomea 7 mondiali e 91 Gran premi finiti guardando gli altri dall’alto al basso. Facile. Troppo Facile. È facile essere amati e osannati quando i fatti dimostrano che sei il migliore.

Ma per fortuna nello sport c’è spazio anche per altri miti. Giocatori e atleti non impeccabili che diventano miti per il loro modo di essere, per le loro sfighe, le loro stranezza, talvolta la loro pazzia. Parliamo di gente che si trovava chiuso in uno stanzino quando nostro Signore distribuiva il talento, e hanno deciso di diventare qualcuno (nello sport) lo stesso. L’elenco degli improbabili famosi, o dei “diversamente campioni” è infinito. Ne ho scelti due per voi, uno credo che lo conosciate, è un giocatore (scarso s’intende) che nel giro di un’estate è diventato mito. Quest’anno vestirà una maglia leggendaria, quella nume-

Sportivamente luissini: se la laurea è individuale, lo sport è squadra E’ la gioia di un ragazzo che riesce ancora a mantenere i livelli agonistici del liceo dopo aver iniziato l’università a causa delle vicissitudini della vita, eppure la LUISS, con la sua ossessione per l’innovazione sta provando a tagliare perfino questo traguardo. Alessia Simeone e Giorgio Cappiello sono i neoeletti rappresentanti dello Sport, un elemento che negli ultimi anni ha vivacizzato l’ateneo. Nel 1999 la LUISS fu la prima università con un’associazione sportiva e perseguendo il modello anglosassone strutturò tre fasi. Dallo sport giocato alla formazione manageriale fino all’etica per consolidare menti preparate a vincere attraverso la competizione e il gioco di squadra, in un campo o in una piscina come nel mondo lavorativo. Con una concentrazione degna di Valentina Vezzali prima di una stoccata, l’attenzione particolare per gli attuali quattrocento iscritti coadiuvati da una dirigenza organizzata. Dai presidenti Luigi Abete e Francesco Spanò al Direttore Paolo Del Bene o alla Responsabile d’Amministrazione Anna Montani fino agli impianti del Palaluiss che torneranno da quest’anno sotto la completa gestione dell’università. “Troveremo presto un modo per agevolare i collegamenti fra le strutture e incentiveremo l’associazione nel nostro lavoro basato sulla disponibilità e la collaborazione, proveremo a far riconoscere per le attività sportive il CFU, il Credito Universitario Formativo.” Le parole piene di entusiasmo di Alessia che insieme al collega Giorgio proveranno ad assottigliare il margine di miglioramento. “Il problema è sempre quello della scarsa costanza” fa notare Giorgio “si potrebbe fare molto di più se il nostro portafoglio non dovesse registrare perdite

a causa dei ragazzi che si fermano alle proposte. Quel che è importante è mantenere i risultati del rugby, delle squadre di calcio maschili, del volley e del basket sia femminili che maschili e della vela mista per il Luiss Sailing Team. Se ci sarà modo proveremo anche con il nuoto e la pallanuoto.” I rappresentanti puntano già il prossimo anno accademico come Bolt il traguardo dei cento metri e sono già pronti per accogliere le matricole. “Dalla sezione sportiva del sito dell’università con i contatti fino al banchetto dell’AS LUISS nel corso del giorno di benvenuto agli studenti, senza problemi noi fungeremo da ponte con le diverse squadre.” Questa l’apertura dei rappresentanti alle nuove leve per incrementare il settore. Una realtà giovane che ha già accolto le visite di personaggi come Sir Alex Ferguson o Cesare Prandelli. Un sistema che mira all’integrazione dello studio con attività agonistiche o ludiche che rendono l’ateneo romano uno dei pionieri del mondo universitario italiano. In fondo Margherita Hack era una campionessa di salto in lungo e in alto, Barack Obama gioca a Basket, Vladimir Putin è ennesimo dan di Judo. Lo sport non precluderà certo il diventare qualcuno, perfino nella periferica Italia Giuliano Amato gioca a tennis, Gianni Alemanno è un kendoka e Romano Prodi corre le maratone. A tal fine lo sport non è antitesi di studio e iniziare l’università non dissolve le ambizioni agonistiche o il modo per continuare a giocare. L’avanguardismo LUISS salta in alta quota con la sua asta come Yelena Isinbaieva e non ammette più la gioia di rimanere sportivi NONOSTANTE l’università. Lorenzo Nicolao

ro 10 del Bologna Calcio, una maglia che vanta tra i grandi proprietari il “Divin Codino”, quel Roberto Baggio che per una generazione intera ha rappresentato il Genio più autentico, forse l’ultimo eroe romantico del nostro calcio. Bene questa maglia tanto importante per noi appassionati, è finita, per pure esigenze di marketing, sulle spalle di Moscardelli, attaccante a dir poco ruspante, e non certo un grande esempio di classe. Ma internet e Youtube portano anche a questo. Tranquilli non siamo solo noi italiani e coltivare questi antieroi. Anche dall’altra parte dell’oceano non si fan mancare nulla. I grandi appassionati di basket Nba, infatti conoscono un “grandissimo” del gioco :Brian Scalabrine. Descrizione del Brian: 207 centimetri, bene, miglior giocatore della sua squadra di college, molto bene, colore della pelle : bianca, possiamo dire albionica, già meno bene. Colore dei capelli : rossi, ma non un rosso qualunque, quel rosso che dai film americani scopriamo essere tipico dei vigili del fuoco, i quali, apprendiamo sempre dai soliti film, sono obbligatoriamente irlandesi (e spesso all’ultimo giorno di servizio prima della pensione, elemento che nella cinematografia porta una discreta sfiga). Aggiungete la sinistra abitudine di stringere oltremodo i pantaloncini da gioco in modo da esaltare degli addominali che risultano essere un po’ diversi da quelli dei bronzi di Riace ed ottenete Scalabrine nostro: all’apparenza un bevitore di birra professionista che con la maglietta dei Celtics gioca al Boston Garden. Gioca, piano ,giocare è un termine un po’ forte, il nostro (che ormai si è ritirato, ahinoi) era famoso per fare il tifo (con uno stile impeccabile) dalla panchina. Gli allenatori lo usavano come esca per far entrare in partita il pubblico quando urgeva il bisogno di tifo e urla per sostenere i “raga”. Bastava dare palla per un’ azione (non di più) al Rosso, e il pubblico (fatto fondamentalmente da irlandesi ) si accendeva, e l’atmosfera diventava più infuocata di uno stadio Turco. Ebbe la possibilità di fare carriera in Europa, dove avrebbe fatto una discreta figura, giocando anche tanti minuti a partita, ma dopo aver provato disse che no, che era più bello fare la figura del bevitore di birra seriale negli USA: d’altronde se non avesse ragionato così non sarebbe stato un “diverso”, cosa che ogni mito, a modo suo è. Matteo Liberti


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Lifestyle

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La “Swinging” dei Fab Four Londra, 1960, il ritmo della città era cambiato radicalmente; la musica si diffondeva ovunque, le gonne si facevano più corte, la moda più varia, il cinema più “free” e l’aria carica di elettricità. L’Inghilterra si preparava a riconquistare la propria indipendenza culturale. Cullata dal mordente della musica dei Beatles, Londra oscillava tra rinnovamento, frenesia di vivere e ipocrisia, mostrando una realtà sempre più patinata; ogni immagine di degrado e povertà veniva coperta dalla stampa e dalle televisioni, creando così un’immagine illusoria ancor più intensa di quella reale. In questa Londra di contraddizioni e illusioni, il prodotto più significativo fu il fenomeno dei Beatles, definiti da Renzo Arbore “una rivoluzione a 360 gradi di un’epoca in musica”. Affermatisi nel 1963, i quattro di Liverpool, catturarono l’attenzione del grande pubblico soddisfacendo la voglia di lasciarsi alle spalle le macerie e le disgrazie della guerra e farsi travolgere dal consumismo e dal bisogno di trasgredire, per ripartire con la certezza che il futuro non potesse essere che migliore. Quasi tutto era nuovo, e anche quando non lo era, lo sembrava. Attraverso la musica nera e bianca, quella popolare e quella colta, i Beatles trovarono la miscela per il successo. Ovviamente gli ingredienti della loro alchimia erano nati precedentemente; dietro alle loro canzoni si celavano gli stili musicali più disparati, dal rock, blues, folk, alla musica classica e barocca. I Fab Four non avevano inventato né un ritmo nuovo né un genere di melodia nuova, ma avevano fuso tutto il meglio di ciò che già esisteva alla temperatura giusta e con l’abilità compositiva di Lennon e McCartney. George Martin, produttore e discografico, affermò che “la loro curiosità era la loro forza”. I quattro di Liverpool rappresentarono non solo una rivoluzione in campo musicale, ma anche un fenomeno di costume. Lanciarono un nuovo modo di essere giovani a tutti i livelli. Durante i dieci anni della loro unione il look degli Scarafaggi, oltre che alla loro musica, mutò notevolmente: dai classici completi con la cravatta, agli abiti bizzarri e colorati in broccato e seta degli ultimi giorni; dal caschetto con la frangia, alle lunghe chiome incolte accompagnate da barba e baffi.

Ovviamente questa loro evoluzione di immagine fu seguita e imitata dai giovani di tutto il mondo. L’atmosfera grigia della Londra degli anni sessanta improvvisamente si accese di mille colori e la musica di quattro ragazzi venuti dalla working class di una provincia industriale, si fece inno di questa rivoluzione di cui ancora oggi si parla. Per entrare dentro al delirio di quegli anni, consiglio la visione del film “Blow up”, del regista Michelangelo Antonioni. La pellicola racconta la storia di un fotografo affermato che, cercan-

do scatti in un parco londinese, fissa per errore la scena di un omicidio. Mosso dalla curiosità, il protagonista si ostina a voler scoprire la verità, ma il vortice oscillante della Swinging finisce per travolgerlo. Nella visione onirica della scena finale, si ritrova così ad assistere ad una surreale partita di tennis dove non ci sono né racchette né palline, dove l’immaginario si mescola alla realtà, rendendolo incapace di distinguere il vero dal sogno. Sofia Cecinini

C’era una volta un nobile… O c’è ancora? “E a sinistra il ristorante francese più famoso al mondo, McDonald’s!” esclamó la guida turistica mentre percorrevo le vie della City londinese. Con lo stesso humor tutto anglosassone Antonio Caprarica, giornalista ed attuale dirigente della sede Rai a Londra, scrive “La classe non è acqua”. La classe non è acqua ma Chanel n•5, avrebbe detto Blair Woldorf, maestra di tendenza dell’acclamata serie tv americana Gossip Girl. Se si parla, però, dell’isola d’Oltremanica le prerogative dell’aristocrazia sono altre: corse di cavalli ad Ascot, caccia alla volpe a Badminton, carriera accademica ad Eton e cocktail di vizi ed eccentricità. Tra gli aneddoti e curiosità su una nobiltà che ha saputo resistere non solo alla Rivoluzione Francese o alla Cool Britannia dei governi laburisti, ma anche alla modernità e alla “decenza borghese” non poteva mancare il reportage sul matrimonio tra William e Kate, definito “un insuperabile esame di snobismo”. Immaginiamo la delusione delle nobili famiglie che hanno investito tempo e denaro per l’educazione delle proprie fanciulle da sacrificare al trono. Mary Waker, Amanda Tigger, Isabella Calthorpe sono solo alcuni dei nomi di coloro che in quel 29 aprile 2011 hanno sì attraversato la navata di Westminster Abbey, ma solo come invitate. Già, perché William ha scelto Kate, una parvenue con al seguito una pittoresca famiglia: tra i parenti il più degno di nota è lo zio Gary che accolse William con un “fu***r” e prese in giro Carlo per aver preferito Camilla a Diana. Ma tra i cultori dell’araldica c’è chi cerca di stabilire un’antica connessione tra le due famiglie ed ecco che nel 1576 risulta il matrimonio tra Sir Thomas Leighton ed Elizabeth Knollys le cui due figlie sposarono uno Spencer ed un Middleton. Tentativo che però non convince i nobili inglesi per cui Kate e la

sua famiglia rimarranno sempre dei commoners, colpevoli di dire pardon, toilet e pleased to meet you anziché I beg your pardon, lavatory e how do you do. Ma per Sua Maestà non c’è problema: il mancante sangue blu di Kate è compensato dall’ingente patrimonio accumulato dalla ditta dei Middleton, Party Pieces: questo milionario sangue plebeo fa bene anche alla sua di Ditta, quell’istituto monarchico bisognoso di sostegno per assicurarsi un futuro “nell’età della deferenza”. Anche se con le entrate di William la neofamigliola dovrebbe riuscire a sbarcare il lunario: 6 milioni di sterline ereditate dalla defunta madre, il lascito della bisnonna e 137.170 sterline di stipendio come tenente della RAF. E un alloggio a Kensington Palace, composto da due camere, un salone e due bagni. Assolutamente modesto per due futuri sovrani se pensiamo alle parole di una semplice contessa “se uno sa quante stanze ha la propria casa, allora non è una casa veramente grande”. Nonostante Tony Blair abbia tolto a tali nobili il diritto ereditario di sedere alla Camera dei Lord, questi sono sopravvissuti, e, con loro, i servitori, le tenute ed i castelli. Si, perché questo paese, pur dichiarandosi egalitario, in realtà va pazzo per loro, forse perché di fronte ad un’emorragia di denaro sogna di rispondere con la stessa noncuranza del duca di Devonshire “Come? Non ce n’è forse in abbondanza?” Già, i nobili britannici, pur avendo dominato il mondo, hanno sempre faticato a tenere in riga la propria famiglia. E, come racconta Caprarica in questo avvincente libro, anche se stessi. Maria Vittoria Cabras


L’Eretico

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Bangkok: breve manuale di sopravvivenza «Città degli angeli, la grande città, la città della gioia eterna, la città impenetrabile del dio Indra, la magnifica capitale del mondo dotata di gemme preziose, la città felice, che abbonda nel colossale Palazzo Reale, il quale è simile alla casa divina dove regnano gli dei reincarnati, una città benedetta da Indra e costruita per Vishnukam» O, se preferite, più semplicemente Bangkok. Bangkok è come il suo nome da cerimonia, melliflua, ingorgata e ipnotica a tratti, brevissimi tratti sospesi. Bangkok è una metropoli, al pari di New York, Londra o Pechino, ma assomiglia più a un immenso villaggio, allargatosi in maniera irregolare, a dismisura per servire le necessità di un’economia drogata, inseguendo un progresso che qui non sembra essere mai arrivato veramente. Più di 1500 km quadrati nati per lo più a caso, senza un minimo piano urbanistico, i grandi grattacieli delle multinazionali, rannicchiati al centro, pionieri di uno skyline che si farà, e intorno deserti di baracche, simbolo di una moderna povertà figlia di un’antica arretratezza e di una mancata redistribuzione. Il centro nevralgico della Thailandia vive degli scarti della cultura occidentale, anche di quella commerciale, digeriti a forza, mandati giù accompagnandoli con noodles e salsa di soia. Da qui, dalla capitale di questo paese da 70 milioni di abitanti, partono i soldi per le strade in costruzione, in mezzo alla foresta di Koh Samui, da qui si comincia a mangiarli, il resto lo prendono per strada e quello che arriva, basta giusto per comprare il francobollo per una nuova richiesta di soldi, in un calcolato circolo vizioso comune a molti paesi. E allora i soldi degli stranieri servono, sia quelli delle multinazionali che quelli dei turisti, ma se le isole hanno una contropartita, il territorio, la città deve vendere se stessa. Bangkok è disseminata di mega store, esercizi commerciali e le cosiddette thai factory, niente altro che sartorie con riproduzioni di capi di moda per lo più italiani. Vuoi un vestito da 1500 euro di Armani, ma non te lo puoi permettere? Tranquillo in una thai factory in 48 ore te lo confezionano per soli 150 euro, prezzo variabile, ma soprattutto trattabile, come tutto in Thailandia. Per scoprire puntualmente che l’unico ad aver fatto un affare è solo il tipo del negozio. Bangkok ti aggredisce ed io lo sapevo, mi ero preparato per questo. Amo la Lonely Planet e scrivere il perché prenderebbe troppo spazio.

Stavolta però non l’ho trovata, o meglio l’ho trovata in ritardo, quando oramai la foga di una guida, mi aveva fatto optare per la “routard”. Che oltre a scontare il fatto di essere francese, fa pure schifo. La guida transalpina non sembrava conoscere un qualcosa di degno di essere visto in particolare in città, ma non si limitava a questo. Dipingeva Bangkok come un bollente postribolo umidiccio pullulante di prostitute, Aids, epatiti di tutte le lettere dell’alfabeto, animali sacri, zanzare infette, bonzi sacri, monaci sacri, ragni velenosi, crimini di strada, truffe, rapimenti lampo, corruzione e pene severissime per reati stupidissimi. Mi ero già prefigurato cosparso di Autan, impotente di fronte ad uno scippo operato da una scimmia sacra con la complicità di un elefante sacro, mentre correvo per Khaosan road, fra la folla, attento a non urtare contro monaci o gangster, a non pestare le banconote con l’effige reale, schivando frotte di prostitute che mi rincorrono al grido “AMOLE” mentre mi lanciano ragni velenosi. Niente di tutto questo, fatta eccezione per uno smog pazzesco e il caldo umidiccio, ma ciò non vuol dire che Bangkok non ti aggredisca. Bangkok è un suk immenso, trafficato da mezzi e persone, dove migliaia di vite si incrociano come la domanda e l’offerta, parlano la lingua del mercato, perché l’inglese è basico, l’italiano, per altro non richiesto, si limita ad un elegante vocabolario, chiaramente importato dai nostrani puttanieri over 60. Un vanto per lo stivale. Bangkok e tu, portafogli con le gambe. Ogni passo è scandito da una richiesta, la natura è sempre commerciale, si passa dal massaggio thai a quello “speciale”, dal cocco al frullato di cocomero, passando per il mango a pezzi, documenti falsi, stampati per strada, con annesso catalogo da cui scegliere,(una patente italiana si acquista per soli 300 bath, prezzo trattabile), le maschere di Bin Laden o di Spiderman, il gas esilarante, si può scegliere fra gustosi spiedini al manzo, al pollo o al maiale, oppure optare per una pannocchia, una zuppa o dei noodles, che anche se somigliano in tutto e per tutto a quelli cinesi, qui li chiamano pad thai. A Bangkok non si mangia solamente, ma ci si sposta e non mancano le offerte. Potete decidere fra la metro, il taxi, l’autobus senza finestrini, i taxi scooter, i risciò o il più tradizionale dei mezzi thailandesi il tuk tuk. Inutile dire che si propongono loro e con una certa insistenza. Alcuni tassisti arriveranno a suonarvi perfino se siete in possesso di un mezzo, ricordo ancora l’assoluta tranquillità con la quale, uno di loro a Koh Samui, dopo avermi affiancato, mi gridò: “Taxi?”. Lo guardai sbigottito mentre viaggiavo sul motorino preso in affitto pochi minuti prima. Solo in seguito mi interrogai sul cosa avrebbe fatto

se avessi accettato: avrei dovuto parcheggiare il motorino o avrebbe caricato anche quello e se sì, come? Eppure dai tassisti e dai conducenti di tuk tuk non si scappa. Il costo medio di un tuk tuk per un tailandese oscilla dai 20 ai 40 bath, a seconda della tratta, per un turista parte dai 100 e per esperienza personale non scende mai sotto ai 35. Diciamo che per gli amanti della camminata post pranzo Bangkok non è proprio l’ideale, i marciapiedi sono stretti, affollati e invasi dai banchetti di mangiare e di vestiti, in alternativa ai più classici, quelli turistici. Gli stessi che alla sera si spostano più in su verso Majon road, per fare spazio a quello degli insetti, perchè secondo una strana legge, che solo i thailandesi sembrano aver capito, il turista è più portato a mangiare le schifezze col favore delle tenebre, quindi il giorno è inutile accamparsi. Bangkok è come un deserto di cui devi conoscere le oasi per sopravvivere. A Bangkok, come in gran parte della Thailandia, l’aria condizionata è vissuta come un vero e proprio status symbol. Se hai l’aria condizionata sei un figo, se l’hai accesa sei un benestante, se la tiene a palla sei un riccone strafigo, inutile a questo punto esprimersi su chi si fa beccare con un misero ventilatore. Ecco spiegato il perché troverete un’aria condizionata ovunque, dal tassista alla hall dell’albergo, passando per la farmacia e il ristorante, e ovunque un clima che va dai 16 ai 22 gradi centigradi. Fatta eccezione per il reparto surgelati nei supermercati che tocca picchi irraggiungibili per ogni altro supermercato europeo. I baracchini e tutti gli esercizi commerciali optano per enormi ventilatori, posizionati con sapienza millenaria. Se da una parte è pur vero che il caldo tailandese in genere è umido, afoso e a tratti insostenibile, d’altro canto il repentino e costante excursus climatico, Sahara-Groenlandia, non so quanti benefici possa portare alla cervicale. Va bene il wai, il saluto tradizionale, il pad thai, qualche tempio e le strafamose birre locali: Chang, Leo e Singha, ma sia a Bangkok sia nelle isole di Koh Phan Gan e di Koh Samui di tradizionale ho visto ben poco, ma forse in questo caso la colpa è solo mia. Altri dicono che sia al nord. So solo che prima di partire ero pronto ad accogliere la Thailandia a scoprirne, per quello che mi concedeva il tempo a disposizione, le sue tradizione, i suoi usi e i suoi costumi. Ho trovato un paese agghindato a festa, pronto ad accogliermi con un italiano sboccato e così siamo rimasti lì a guardarci uno di fronte all’altro a braccia aperte. NonSonoChiPensi


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