Il Profeta

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FICTION

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Il Profeta


Khalil Gibran nacque in Libano, il 6 gennaio 1883, nella città di Bsharri, nel nord montagnoso del paese (allora parte della Siria, dominata dall’Impero ottomano). Suo nonno materno era un sacerdote cattolico-maronita. Sua madre, Kamila, aveva trent’anni al momento della sua nascita, e il padre, anch’egli chiamato Kahlil, fu il terzo marito. A causa delle precarie condizioni economiche della famiglia, Gibran non ricevette un’educazione formale, anche se venne istruito sulla Bibbia, la lingua siriaca e quella araba ad opera di alcuni sacerdoti. Suo padre, esattore delle tasse, venne imprigionato per presunto peculato e le autorità ottomane, prima di rilasciarlo nel 1894, confiscarono tutti i suoi beni, compresa la casa di famiglia. Questo fatto costrinse la famiglia a separarsi. Mentre il padre rimase in Libano, la madre di Gibran si trasferì con i figli (Kahlil, le sorelle Mariana e Sultana, il fratellastro Boutros) presso suo fratello negli Stati Uniti. I Gibran vi approdarono nel 1895 e si trasferirono a vivere nel South End di Boston, all’epoca la seconda più grande comunità libanese-americana negli Stati Uniti. Sua madre cominciò qui a lavorare come venditrice ambulante di biancheria intima. Kahlil iniziò la scuola e venne inserito in

una classe speciale per gli immigrati, per imparare l’inglese. In seguito, si iscrisse a una scuola d’arte. A quindici anni, Gibran tornò a Beirut per studiare alla scuola preparatoria e all’istituto superiore, gestiti dai maroniti. Rimase a Beirut per diversi anni prima di ritornare a Boston, nel 1902. Due settimane prima di tornare negli Usa, sua sorella Sultana morì di tubercolosi, all’età di quattordici anni. L’anno seguente, suo fratello Boutros morì per la stessa malattia, e sua madre morì di cancro. La sorella Mariana mantenne se stessa e il fratello lavorando in un negozio di sartoria. Le opere di Kahlil Gibran si diffusero ben oltre il suo paese d’origine. Vennero tradotte in oltre venti lingue e Gibran divenne un mito per i giovani che considerarono alcuni dei suoi testi più noti, come Il Profeta e Massime spirituali, dei veri breviari mistici. Morì a New York il 10 aprile 1931, per cirrosi epatica e tubercolosi. Il Museo e la tomba di Gibran si trovano a Bsharri, in Libano. Prima della sua morte, infatti, Gibran espresse il desiderio di essere sepolto nella sua terra nativa. Viene considerato, dopo William Shakespeare e Lao Tzu, il poeta più letto della storia.


KAHLIL

GIBR AN

Il Profeta Traduzione dall’inglese di Alessandro Pugliese

GINGKO

EDIZIONI


Titolo originale dell’opera

THE PROPHET © 2016 Gingko edizioni ISBN 978-88-95288-74-1 Traduzione dall’inglese di Alessandro Pugliese

GINGKO EDIZIONI Molinella (BO) www.gingkoedizioni.it Progetto grafico di copertina: © 2016 ATALANTE


i n di c e AUTORE 7 12 15 17 19 22 24 27 29 31 33 35 38 40 42 44 46 48 49 51 53 55 57 59 62 65 67 69

1. L’arrivo della nave 2. Sull’Amore 3. Sul Matrimonio 4. Sui Figli 5. Sul Donare 6. Sul Mangiare e Bere 7. Sul Lavoro 8. Sulla Gioia e il Dolore 9. Sulle Case 10. Sui Vestiti 11. Sul Commercio 12. Sulla Colpa e il Castigo 13. Sulle Leggi 14. Sulla Libertà 15. Sulla Ragione e la Passione 16. Sul Dolore 17. Sulla Conoscenza di sé 18. Sull’Insegnamento 19. Sull’Amicizia 20. Sul Conversare 21. Sul Tempo 22. Sul Bene e il Male 23. Sulla Preghiera 24. Sul Piacere 25. Sulla Bellezza 26. Sulla Religione 27. Sulla Morte 28. Il Commiato



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L’ a rri v o del l a na v e Almustafa, l’eletto e l’amato, aurora del suo stesso giorno, aveva atteso dodici anni nella città di Orphalese la nave che doveva tornare e riportarlo alla sua isola natìa. E nel dodicesimo anno, il settimo giorno di Ielool, mese di mietitura, salì sulla collina oltre le mura della città e guardò verso il mare; e vide la nave giungere nella nebbia. Le porte del suo cuore si spalancarono, e la sua gioia volò lontano sul mare. E chiuse gli occhi e pregò nei silenzi della sua anima.

Ma mentre scendeva dalla collina, una tristezza calò su di lui, e pensò in cuor suo: Come potrò andare in pace e senza dolore? No, non senza una ferita nello spirito lascerò questa città. Lunghi furono i giorni di dolore che trascorsi tra le sue mura, e lunghe le notti di solitudine; e chi può discostarsi dal proprio dolore e dalla propria solitudine senza rimpianto? Troppi frammenti dello spirito ho disseminato per queste vie, e troppi i figli del mio desiderio che camminano nudi fra queste colline, e non riesco ad allontanarmi da loro senza un peso e un dolore.


Kahlil Gibran

Non è un indumento quello che ho gettato via oggi, ma una pelle che lacero con le mie stesse mani. Non è neppure un pensiero ciò che mi lascio dietro, bensì un cuore addolcito dalla fame e dalla sete.

Eppure, non riesco a trattenermi oltre. Il mare che chiama a sé tutte le cose mi invoca, e devo imbarcarmi. Perché rimanere, benché le ore brucino nella notte, equivale a congelare e a cristallizzarsi, ed essere vincolato a un modello. Vorrei portare con me tutto ciò che è qui. Ma come posso? Una voce non può portare con sé la lingua e le labbra che le diedero le ali. Sola deve cercare l’etere. E da sola e senza il suo nido l’aquila volerà nel sole.

Ora, quando raggiunse i piedi della collina, si volse di nuovo verso il mare, e vide la sua nave avvicinarsi al porto, e sulla prua i marinai, gli uomini della sua terra. E la sua anima gridò loro: Figli della mia antica madre, voi cavalieri dei flutti, quante volte avete navigato nei miei sogni. E adesso giungete nel mio risveglio, che è il mio sogno più profondo. Sono pronto a partire, e la mia brama, con vele spiegate, attende il vento. Solo un altro respiro inalerò ancora in quest’aria calma, solo un altro amorevole sguardo getterò all’indietro, e poi mi leverò in mezzo a voi, un marinaio tra marinai. E tu, vasto mare, madre insonne, Sola pace e libertà per i fiumi e i ruscelli; Soltanto un’altra svolta seguirà questa corrente, solo un altro murmure in questa radura, E poi io verrò da te, una goccia sconfinata in uno sconfinato oceano. E mentre camminava vide da lontano gli uomini e le donne

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che lasciavano i loro campi e le loro vigne e si affrettavano verso le porte della città. E udì le loro voci chiamare il suo nome, e gridando da un campo all’altro raccontarsi reciprocamente della venuta della sua nave.

E disse a se stesso: Il giorno della separazione sarà forse il giorno del raccolto? E si dirà che la mia vigilia fu in realtà la mia alba? E cosa dovrò dare a colui che ha lasciato il suo aratro a metà del solco, o a chi ha arrestato la ruota del suo torchio? Il mio cuore diventerà un albero pregno di frutti che io possa raccogliere e dar loro? E i miei desideri fluiranno come una fontana così che possa riempire le loro coppe? Sono io un’arpa che la mano del potente possa toccare, o un flauto che possa essere attraversato dal suo respiro? Un ricercatore di silenzi io sono, e quale tesoro ho trovato nei silenzi che possa dispensare con fiducia? Se questo è il mio giorno di raccolto, in quali campi ho seminato il seme, e in quali dimenticate stagioni? Se questa è davvero l’ora in cui sollevo la mia lanterna, non è mia la fiamma che arderà in essa. Vuota e buia alzerò la mia lanterna, E il guardiano della notte la riempirà con l’olio e anch’egli l’accenderà.

Queste cose espresse con le parole. Ma molto di ciò che era nel suo cuore rimase non detto. Poiché lui non era in grado di esprimere il suo più profondo segreto.

E quando entrò nella città tutto il popolo gli andò incontro, gridandogli come con una sol voce. E gli anziani della città si fecero avanti e dissero: Non lasciarci di già.

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Kahlil Gibran

Un meriggio sei stato nel nostro crepuscolo, e la tua giovinezza ci ha dato sogni da sognare. Non sei straniero in mezzo a noi, e neppure un ospite, bensì il figlio nostro e il nostro amatissimo. Non far soffrire ora i nostri occhi, affamati del tuo volto.

E i sacerdoti e le sacerdotesse gli dissero: Non lasciare che le onde del mare ci separino ora, e che gli anni spesi in mezzo a noi diventino un ricordo. Hai camminato in mezzo a noi in spirito, e la tua ombra è stata una luce sui nostri volti. Molto t’abbiamo amato. Ma muto è stato il nostro amore, e con veli fu velato. Tuttavia, adesso, esso grida a te, e a te vorrebbe rivelarsi. Mai l’amore conosce la profondità sua, se non nell’ora del distacco. E anche altri giunsero e lo supplicarono. Ma egli non rispose loro. Chinò solo la testa; e quelli che gli si trovavano accanto videro le sue lacrime cadergli sul petto. E con la gente si avviò verso la grande piazza davanti al tempio.

E venne fuori dal tempio una donna, il cui nome era Almitra. Ed ella era una veggente. Egli la guardò con estrema dolcezza, giacché era stata lei che per prima lo aveva cercato credendo in lui quand’egli non era giunto nella loro città che da un solo giorno. Lei lo salutò dicendo: Profeta di Dio, alla ricerca del massimo, a lungo hai scrutato in lontananza per l’arrivo della tua nave. E ora la nave è giunta, e devi per forza andare. Profonda è in te la nostalgia per la terra dei tuoi ricordi e dimora dei tuoi più grandi desideri; e neppure il nostro amore ti legherebbe, né i nostri bisogni ti tratterrebbero. Ma questo ti chiediamo prima che tu ci lasci, che parli a noi e ci dia la tua verità. 10


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E noi la doneremo ai nostri figli, ed essi ai loro figli, ed essa non perirà . Nella tua solitudine hai visto i nostri giorni, e nella tua veglia hai ascoltato il pianto e il riso del nostro sonno. Ora dunque svelaci a noi stessi, e dicci tutto quanto ti è stato rivelato di ciò che si trova tra la nascita e la morte.

Ed egli rispose: Gente di Orphalese, di cosa posso parlare se non di quello che anche ora si agita dentro le vostre anime?

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Sul l ’ A m o re Poi Almitra disse: Parlaci dell’Amore. Ed egli alzò la testa e guardò il popolo, e su di essi cadde il silenzio. E a gran voce egli disse: Quando l’amore vi chiama, seguitelo, Pur se le sue vie sono dure e impervie. E quando le sue ali vi avvolgono, affidatevi ad esso, Pur se la sua lama, nascosta tra le piume, vi può ferire. E quando vi parla, credetegli, Pur se la sua voce possa frantumare i vostri sogni, come il vento del nord devasta il giardino.

Infatti, proprio come l’amore vi incorona, così vi crocifiggerà. Come è per la vostra crescita, così è per la vostra potatura. Anche mentre ascende fino alla vostra altezza e accarezza i vostri rami più teneri che fremono al sole, Così scenderà alle vostre radici e le stringerà laddove esse sono aggrappate alla terra. Quali covoni di grano vi raccoglie a sé. Vi trebbia per mettervi a nudo.


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Vi setaccia per liberarvi dai vostri gusci. Vi macina per rendervi candidi. Vi impasta fino a che non sarete flessibili; E poi vi consegna al suo sacro fuoco, perché diventiate pane sacro per il santo banchetto di Dio.

Tutte queste cose farà a voi l’amore, affinché conosciate i segreti del vostro cuore, e in quella conoscenza diventiate un frammento del cuore della Vita. Ma se per paura cercherete dell’amore solo la pace e il piacere, Allora sarà meglio per voi coprire la vostra nudità, e uscire fuori dall’aia dell’amore, ed entrare nel mondo senza stagioni dove riderete, ma non tutto il vostro riso, e piangerete, ma non tutte le vostre lacrime. sé.

L’amore non dà altro che se stesso e nulla prende se non da

L’amore non possiede, né vorrebbe essere posseduto; Perché l’amore basta all’amore.

Quando si ama non si dovrebbe dire: ‘‘Dio è nel mio cuore’’, ma piuttosto: ‘‘Io sono nel cuore di Dio’’. E non pensiate di poter dirigere il corso dell’amore, perché è l’amore, se vi trova degni, che dirige il vostro corso.

L’amore non ha altro desiderio che compiersi. Ma se nel vostro amore non riuscite a non desiderare, lasciate che questi siano i vostri desideri: Sciogliersi ed essere pari a un ruscello che canta la sua melodia alla notte. Conoscere il dolore di troppa tenerezza. Essere trafitti dalla vostra stessa comprensione dell’amore; E sanguinare volentieri e con gioia. Svegliarsi all’alba con un cuore alato e rendere grazie per un altro giorno d’amore; 13


Kahlil Gibran

Riposare al meriggio e meditare l’estasi dell’amore; Tornare a casa la sera con gratitudine; E poi addormentarsi con una preghiera in cuore per l’amato e un canto di lode sulle labbra.

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