Estratto issuu padri e figli

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PADRI E

FIGLI

FICTION

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l’ au to r e

IVAN S. TURGENEV (Orel, 1818 – Bougival, 1883), poeta, romanziere, drammaturgo, grande interprete del realismo russo, fu uno dei primi autori russi ad essere conosciuto e apprezzato in Occidente nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Benché visse per gran parte della sua vita all’estero, le sue radici e la sua poetica affondano saldamente nella Russia del suo tempo, di cui seppe descrivere l’inquietante, tragico conflitto tra il bisogno del nuovo e l’attaccamento disperato al vecchio, attraverso profonde indagini sociologiche e attente letture psicologiche di un’epoca di grande fermento. Sia per l’indubbio genio artistico, ma soprattutto per le idee che facevano trasparire sulla società russa contemporanea — piena di polemiche ideologiche e contraddizioni — i suoi lavori vennero accolti con successo e interesse, ma furono anche fortemente osteggiati e presi a pretesto per accuse virulente. Tra le opere che gli portarono maggior successo, la raccolta di racconti Memorie di un cacciatore (1852), che ritrae con un realismo semplice e non retorico la vita dura, umile e dolorosa del contadino. Un nido di nobili (1859), Padri e figli (1862), Fumo (1867), Terra vergine (1877).



PADRI E

FIGLI

ˬ Ivan Sergeevic

TURGENEV

Traduzione dall’inglese di Federigo Verdinois Con un saggio di approfondimento all’opera e un ritratto inedito di Turgenev e Tolstoj scritto da Ilya Tolstoj

GINGKO

EDIZIONI


Titolo dell’opera originale OTCY I DETI

PaDRI E fIglI Copyright © 2015 gingko edizioni ISBN 978-88-95288-56-7 gINgkO EDIzIONI Molinella (BO) www.gingkoedizioni.it Traduzione di federigo Verdinois Saggio introduttivo tratto da Mio padre, Lev Tolstoj, di Ilya Tolstoj, gingko edizioni, Molinella, 2011, traduzione e cura di alessandro Pugliese Postfazione tratta da Democratic ideas in Turgenev’s works, by Harry Hershkowitz, Columbia University Press, New York, 1932 traduzione e cura di alessandro Pugliese Progetto grafico di copertina: © 2015 aTalaNTE Immagine interno testo: Elaborazione grafica da ‘‘Studente nichilista’’, Ilya Repin, 1883, olio su tela, Museo di Belle arti, Chabarosvk, Russia


i n di c e aUTORE PREfazIONE 23 27 29 35 41 49 53 61 69 73 87 91 97 105 111 117 127 139 145 153 163 181 187 195 213 225 235 251

CaP. 1. CaP. 2. CaP. 3. CaP. 4. CaP. 5. CaP. 6. CaP. 7. CaP. 8. CaP. 9. CaP. 10. CaP. 11. CaP. 12. CaP. 13. CaP. 14. CaP. 15. CaP. 16. CaP. 17. CaP. 18. CaP. 19. CaP. 20. CaP. 21. CaP. 22. CaP. 23. CaP. 24. CaP. 25. CaP. 26. CaP. 27. CaP. 28.

POSTfazIONE



T urg enev di Ilya Tolstoj

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e

on intendo raccontare tutti i malintesi che esistevano tra N mio padre e Turgenev, i quali si conclusero in una rottura definitiva tra loro nel 1861. Le vicende esterne di questa storia

sono di proprietà comune e non c’è bisogno di ripeterle.1 Secondo l’opinione generale, il litigio tra i due più grandi scrittori del tempo scaturì dalla loro rivalità letteraria.2 È mia intenzione dimostrare che questo luogo comune è falso e prima che io racconti le visite di Turgenev a Jasnaja Poljana, voglio rendere il più chiaro possibile il vero motivo delle perpetue discordie tra queste due persone di buon cuore che nutrivano un affetto cordiale l’uno per l’altro — discordie che portarono alla fine a un vero e proprio litigio e allo scambio di sfide reciproche. Per quello che ne so, mio padre non ebbe mai nessuna divergenza seria con altro essere umano durante tutto il corso della sua vita. E Turgenev, in una lettera a mio padre del 1865, scrisse: Tu sei l’unico uomo con cui abbia mai avuto incomprensioni. Tutte le volte mio padre, in relazione alla sua lite con Iván Sergéyevitch, prese l’intera colpa su di sé. Turgenev, subito dopo il litigio, scrisse una lettera in cui chiese scusa a mio padre, e non cercò mai di giustificare la sua reazione. Perché allora avvenne che — come Turgenev stesso disse — la sua ‘‘costellazione’’ e quella di mio padre ‘‘si scontrarono nello spazio con indubbia inimicizia’’? Questo è ciò che mia sorella Tatjána ha scritto sull’argomento nel suo articolo ‘‘Turgenev’’, pubblicato nel supplemento della ‘‘Nóvoye Vrémya’’, il 2 febbraio 1908:

Tutta la questione della rivalità letteraria, mi sembra, non coglie assolutamente nel segno. Turgenev, fin dall’inizio della carriera letteraria di mio padre, ha riconosciuto il suo enorme talento, e non ha mai pensato di entrare in rivalità con lui. Tanto è vero che, già nel 1854, scrisse a Kolbasín: ‘‘Se solo il cielo I


Ilya Tolstoj

concederà vita a Tolstoj, ho fiducia che sorprenderà tutti noi’’. Egli non ha mai smesso di seguire il lavoro di mio padre con interesse, e sempre ha espresso la sua sconfinata ammirazione.

Quando questo vino giovane giungerà a fermentazione, scrisse a Druzhínin,3 nel 1856, il risultato sarà un liquore degno degli dei. Nel 1857 scrisse a Polónsky:4 Quest’uomo andrà lontano, e lascerà tracce profonde dietro di sé.

Tuttavia, in qualche modo, questi due uomini mai ‘‘si piacquero completamente’’. Quando si leggono le lettere di Turgenev a mio padre, si vede che fin dall’inizio della loro conoscenza ci sono sempre state incomprensioni che entrambi hanno continuamente cercato di smussare, o di dimenticare, e che tuttavia emergevano ogni volta dopo un certo tempo, a volte in un’altra forma, ma che richiedevano nuove spiegazioni e riconciliazioni. Nel 1856 Turgenev scrisse a mio padre:

La tua lettera ha richiesto del tempo per raggiungermi, caro Lyóf Nikoláyevitch. Lasciami cominciare col dire che ti sono molto grato per avermela spedita. Io non cesserò mai di amarti e di apprezzare la tua amicizia, anche se, probabilmente per colpa mia, entrambi ancora sentiremo allungo un notevole disagio in presenza dell’altro... Penso che anche tu non comprendi la causa di questo disagio di cui parlo. Tu sei l’unico uomo con cui ho mai avuto incomprensioni. Ciò deriva dal fatto che non ho mai voluto limitarmi solo alle relazioni amichevoli con te. Ho sempre voluto andare oltre e più profondamente, ma purtroppo l’ho fatto goffamente. Ti ho irritato e sconvolto, e quando ho visto il mio errore, mi sono ritratto troppo in fretta, forse, ed è stato questo che ha causato questo ‘‘abisso’’ tra di noi. Ma questo disagio è una mera impressione fisica, niente di più, e se quando ci incontreremo di nuovo, vedrai il vecchio ‘‘sguardo malizioso nei miei occhi’’, credimi, la ragione di esso non è che io sono un uomo cattivo. Ti assicuro che non c’è bisogno di cercare qualsiasi altra spiegazione. Forse posso aggiungere anche che sono molto più vecchio di te, e ho percorso una strada diversa... Al di fuori dei nostri speciali, cosiddetti ‘‘interessi letterari’’, sono convinto che abbiamo pochi punti di II


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FIGLI



Uno

«

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Che c’è, Pietro? Niente ancora si vede? » domandava il 20 maggio 1859, uscendo senza berretto sulla bassa scalinata dell’albergo sulla strada maestra di...., un signore sui quaranta, in soprabito polveroso e calzoni a scacchi, al suo domestico, ometto giovane e paffuto, dalla peluria bianchiccia sul mento e dagli occhi foschi. Il domestico, nel quale e le turchine agli orecchi e i capelli fragranti di pomata e il portamento affettato, tutto insomma, rivelava un domestico progredito, si affrettò a guardare lungo la strada e rispose: « Niente ancora si vede ». « Niente? » ripeté il padrone. « Niente » tornò a dire il domestico. Il padrone trasse un sospiro e si mise a sedere sopra un banco, ritirando a sé le gambe e guardando intorno, tutto pensoso. Presentiamolo intanto al lettore. Aveva nome Nicola Petrovic Kirsanow, e possedeva un discreto fondo, a quindici verste dall’albergo, di duecento ‘‘anime’’ o, come egli esprimevasi dopo essersi accordato coi contadini, una ‘‘fattoria’’ di duemila ettari. Suo padre — un brav’uomo tagliato alla grossa, burbero e valoroso generale del 1812 — aveva prima comandato una brigata, poi una divisione, vivendo sempre in provincia, dove la mercé del grado era passato per una persona notevole. Nicola Petrovic — come il fratello Paolo, di cui parleremo appresso — era nato nella Russia meridionale e fino ai quattordici anni era stato educato in casa, in mezzo a mediocri pedagoghi e ad ufficiali di varie armi, stato maggiore e intendenza, che, su per giù, si rassomigliavano tutti in una loro disinvolta servilità. La madre, da ragazza Agata Ko-


Ivan Sergeevič Turgenev

liezin, apparteneva al numero delle ‘‘mamme comandanti’’, portava vistosi cappellini e fruscianti abiti di seta, precedeva tutti in chiesa al bacio della croce, discorreva molto e forte, ammetteva la mattina i figliuoli al baciamano, li benediceva la sera.... era insomma la sopracciò del capoluogo. Quale figlio di generale, Nicola Petrovic — benché non fosse il coraggio personificato ed anzi si acquistasse il nomignolo di poltroncino — doveva, come il fratello Paolo, entrare in servizio; ma il giorno stesso della nomina si ruppe una gamba e, dopo due mesi di letto, rimase per tutta la vita un po’ zoppo. Il padre, non avendo di meglio a fare, lo mandò a Pietroburgo perché frequentasse i corsi universitari. In quel frattempo il fratello Paolo usciva ufficiale nel reggimento della guardia. I due giovani dimorarono insieme sotto la remota tutela di uno zio cugino dal lato materno, un pezzo grosso nelle sfere governative. Il padre tornò alla sua divisione e alla consorte, e solo tratto tratto spedì ai suoi figliuoli certi fogliacci illeggibili, con in fondo tanto di firma pomposa: ‘‘Pietro Kirsanow, maggior generale’’. Nel 1835 Nicola Petrovic uscì col titolo di candidato dall’Università, e l’anno stesso il generale Kirsanow, messo a riposo dopo una malaugurata ispezione, venne con la moglie a fissarsi a Pietroburgo. Prese a pigione un quartiere verso il giardino della Tauride e s’iscrisse al circolo inglese. Se non che un colpo apoplettico lo fulminò. Agata non istette molto a tenergli dietro: non le andava a versi la vita della capitale; il cruccio di un’esistenza isolata la distrusse. Nicola intanto, viventi ancora i genitori e con sommo loro dispetto, s’era innamorato della figliuola di un tal Prepolovenski, impiegato, già loro, padrone di casa. La ragazza era belloccia e, come si suol dire, piuttosto sciolta: basti dire che nei giornali leggeva soltanto gli articoli seri nella rubrica ‘‘Scienze’’. La menò in moglie, non appena scaduto il lutto e, lasciando il ministero delle pensioni dove era entrato la mercé della protezione paterna, visse felice con la sua Masoia prima in campagna presso l’Istituto agrario, poi in città, in un grazioso 24


Padri e figli

quartierino dalla scala pulita e dal salottino un po’ fresco; finalmente tornò in campagna e vi si fissò, felicitato di lì a poco dalla nascita di un bambino, Arcadio. Gli sposi se la godevano: leggevano insieme, suonavano a quattro mani il pianoforte, cantavano duetti, né c’era caso che si bisticciassero. Mascia piantava fiori e badava alla corte; il marito andava tratto tratto a caccia e si occupava della campagna. In mezzo a questa pace veniva su Arcadio. Dieci anni volarono come un sogno. Nel ’47 Mascia morì. Nicola n’ebbe tal colpo che in poche settimane si fece grigio. Voleva andare all’estero per distrarsi... e ci sarebbe andato se non fosse venuto il ’48. A malincuore tornò in campagna e, dopo un ozio piuttosto lungo, si dedicò a introdurre delle riforme nella proprietà. Nel ’55 condusse il figliuolo all’Università; passò con lui tre inverni a Pietroburgo, non uscendo quasi mai e, studiandosi di far conoscenza coi giovani compagni di Arcadio. L’ultimo inverno non era potuto andare — ed ecco che lo vediamo nel maggio 1859, già tutto grigio, obeso e un po’ curvo. Egli aspetta il figliuolo che ha ottenuto, com’egli stesso un tempo, la sua brava patente di candidato. Il servo, tra per rispetto, tra per non stare sotto gli occhi del padrone, si allontanò dalla porta e si accese la pipa. Nicola Petrovic, abbassato il capo, fissava i vecchi scalini smussati; un pollastro grasso e screziato, gravemente gli passeggiava davanti, stampando forte in terra le zampe gialle; un gatto sudicio, accoccolato sulla balaustrata, lo guardava di mal occhio. Ardeva il sole; un odor di pane fresco di segala veniva dalla buia entrata dell’osteria. Il nostro Nicola Petrovic fantasticava... ‘‘Mio figlio... candidato... Arcadio...’’ gli ronzavano per la testa; sforzavasi di pensare a qualcos’altro, e da capo quei pensieri tornavano. Gli veniva a mente la buon’anima della moglie... « Non volle aspettare! » balbettò con tristezza... Un piccioncello traversò volando la via e andò a dissetarsi frettoloso ad una pozza accanto alla cisterna. Nicola Petrovic si mise a guardarlo, mentre già nell’orecchio gli suonava confusamente un rumore di ruote... 25


Ivan Sergeevič Turgenev

« Chi sa che non sia il signorino » comunicò il servo, mostrandosi di nuovo. Nicola Petrovic balzò da sedere e aguzzò gli occhi lontano, in fondo alla strada. Un tarantass apparve, attaccato a tre cavalli di posta; un berretto orlato da studente... un noto e caro profilo... « Arcadio! Figlio mio! » gridò il padre, correndo ed alzando le mani... Pochi momenti dopo, le labbra di lui si attaccavano alla guancia imberbe ed abbronzata del giovane candidato.

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