Il canto di ester

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« Quello che so » rispose il padre, « è che a volte andando a caccia ho visto delle volpi che smettevano di fuggire e, nonostante fossero inseguite da quattro, cinque cani, decidevano di combattere. Quasi sempre venivano uccise dai cani o da me, ma a volte, lottando, riuscivano ad essere libere. Noi siamo come le volpi, non so se riusciremo a vincere, ma adesso non dobbiamo più fuggire, quel che sarà, sarà ».



Ba i g u o 9

romaNzo

storico



Renato Giaretta

IL CANTO DI

ESTER UNA STORIA D’AMORE E RIVOLTA NEL VENETO NAPOLEONICO

GINGKO

EDIZIONI


il caNto di EstEr © copyright 2013 renato giaretta © copyright 2013 giNgko EdizioNi san Pietro capofiume (Bo) www.gingkoedizioni.it i EdizioNE giugno 2013 collana Baiguo isBN 978-88-95288-42-0 Progetto grafico di copertina: © 2013 atalaNtE


renato giaretta è nato a Vicenza nel 1956. Lavora come medico e specialista nel campo della nutrizione. Ha partecipato a numerose missioni medico-sanitarie in varie regioni del mondo. Dai diari di queste esperienze ha pubblicato le vie della soerenza e del cuore.



iNdicE

PrEfazioNE iNtroduzioNE Nota dEll’autorE PErsoNaggi 29 35 39 49 57 65 77 85 89 95 109 115 125 133 141 151 155 159

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Tre francesi Il conte Il prete Viva San Marco! Ester Il brigante La battaglia Antonio Il dottore Vicenza Gioacchino La fuga Il cacciatore La resa dei conti Il gendarme I fuochi sulla montagna Autunno Il canto di Ester

accadimENti dEll’EPoca riNgraziamENti



PREFAZIONE

di Walter Stefani

I

n questa sua opera prima Renato Giaretta ha il merito di applicare alla classica formula del romanzo storico una chiave di immediata e lineare leggibilità, unendo la necessità didascalica a un colore d’ambiente e a un ritmo narrativo che procede quasi per sequenze cinematografiche, o da fiction televisiva, riuscendo in tal modo ad intrecciare abilmente la documentazione di fatti realmente accaduti e le vicende personali dei protagonisti del ‘suo’ racconto. Eccoci, dunque, trasferiti nel vicentino, durante la temperie napoleonica, attraverso cioè quella sofferta e contrastata occupazione militare francese che va dal 1796 al 1809, un capitolo che la storiografia non ha ancora indagato a fondo, forse ritenendolo marginale o secondario rispetto agli avvenimenti di più ampia portata. E qui incontriamo signorotti agiati, figure di doppiogiochisti, di profittatori, ma soprattutto i meschini “obbligati”, ovvero i poveri contadini sfruttati dal temibile fattore del possidente — beatamente isolato nella sua villa di campagna — ai quali non restava pressoché nulla con cui sostenersi, tirare avanti, e nemmeno la speranza che la situazione potesse migliorare. I


Walter Stefani

Anche per tanti piccoli conduttori di modesti appezzamenti agricoli non bastavano le già miserevoli condizioni della vita quotidiana: c’erano le tasse e i dazi imposti dal governo occupante, e si doveva inoltre subire la feroce tracotanza dei militari francesi, cui era concesso non solo di saccheggiare generi commestibili o vino, ma anche, altrove, oggetti preziosi e opere d’arte; soldati che avevano licenza di stuprare ragazze e donne sposate, di gozzovigliare senza pagare in taverne e osterie. A tutto ciò si aggiungeva l’indifferenza del ceto nobiliare, come pure il vile ruolo di astuti faccendieri e spie, i quali intravedevano nel nuovo corso politico la possibilità di arricchirsi e di arrivare ad assumere incarichi municipali di privilegio e prestigio. Così, la delicata vicenda di Ester e Angelo (due “promessi sposi” di casa nostra), quelle di Bortolo e dei suoi familiari, del Massarotto, dei conti Viero e Parin, dei preti Francesco e Domenico, del ‘‘Brigante della Val Posina’’, del medico “collaborazionista” e di tutte le altre figure che popolano il romanzo, rappresentano un affresco corale della condizione umana calato, però, nelle autentiche cronache di quegli anni travagliati. Anni di tassa sul macinato, di insurrezione nei paesi dell’alto vicentino, di tentato assalto a Vicenza, di esecuzioni capitali in Campo Marzo, di false promesse di condono ai giovani rurali renitenti alla leva militare, attesi dalla certezza di ben quattro anni di ferma e di un pressoché impossibile ritorno a casa, stanti le continue guerre del generale Bonaparte. Tra l’altro, quel periodo che, tramontata la Serenissima Repubblica, vide alternarsi il potere di francesi e austriaci, fu anche avversato da eccezionali condizioni climatiche: freddo intenso nella stagione invernale e caldo torrido — con lunghi tratti di siccità — durante II


Prefazione

l’estate, eventi che fecero aumentare ancor più i disagi e la carestia della povera gente. Infine, non dimentichiamo la pandemia della pellagra, dovuta alla mancanza di vitamine nell’alimentazione di una popolazione indigente che si nutriva quasi solo di polenta, il più delle volte consumata fredda e vecchia di cottura. Una piaga sanitaria e sociale che determinava l’isolamento dei malati in “pellagrossari”, dove quei derelitti andavano a concludere la loro breve e disperata esistenza. L’autore, a ragione, non ci dice in quale paese si svolge esattamente la vicenda principale da lui narrata. Io tento di identificarlo, ricordando come gli abitanti del Tretto, frazione di Schio, avessero per la gran parte una parlata in cui spiccava l’erre blesa. Tradizione vuole che quella fosse l’eredità lasciata dai francesi durante la loro permanenza dalle nostre parti. Sarà vero?

WALTER STEFANI, classe 1923, ragioniere e segretario comunale, ha pubblicato su Il Giornale di Vicenza oltre mille articoli rievocativi di eventi, personaggi e tradizioni cittadine, tanto da essere definito “la memoria storica” della città. Ha iniziato la sua attività storico-memorialistica nel 1958, curando il numero unico per il Centenario della Società Generale di Mutuo Soccorso. Ha pubblicato, tra gli altri, ‘‘Vicenza e la Rua’’, Neri Pozza, 1985, ‘‘I travestimenti del Prete Bello’’, Gilberto Padovan, 1989, ‘‘Spettabile Ditta…’’, Beltrame, 1991, ‘‘Quattro passi in Campo Marzo’’, Vajenti, 1994, ‘‘Cara, vecchia Vicenza’’, Arti Grafiche Torrebelvicino, 1992, ‘‘Vicenza in cartolina’’, Selecta, 1995. III



INTRODUZIONE

D

al 1792 la Francia era impegnata nella guerra contro la prima coalizione antifrancese e l’11 maggio 1796 l’armata del generale Bonaparte varcò i confini della Serenissima Repubblica per assediare Mantova, dove si era asserragliata gran parte dell’esercito austriaco; il governo veneziano scelse la neutralità disarmata e i territori veneti divennero quindi uno dei campi di battaglia tra i due schieramenti. L’occupazione francese, caratterizzata spesso da requisizioni, furti e violenze contro cose e persone, trovò una forte opposizione da parte della popolazione veneta che in più di un’occasione ricorse alle armi. A Bergamo e Brescia, città della Serenissima Repubblica, approfittando dell’invasione napoleonica, i movimenti giacobini filo-francesi si ribellarono a Venezia e instaurarono le prime municipalità alle quali si opposero i popolani delle campagne fedeli alla Serenissima. L’attrito tra l’armata napoleonica e il popolo veneto crebbe di continuo e raggiunse il suo apice il 17 aprile 1797, quando a Verona scoppiò una violenta rivolta (Pasque veronesi), cui seguì un’altrettanto sanguinosa repressione da parte dell’esercito occupante. Il primo maggio di quell’anno Napoleone dichiarò V


Renato Giaretta

guerra a Venezia e, dopo pochi giorni, il 12 maggio, il governo della Serenissima Repubblica cadde. Il primo dominio francese durerà fino al 10 ottobre 1797, quando con il trattato di Campoformido, che porrà fine alla prima campagna napoleonica in Italia, i territori della Serenissima verranno ceduti all’Austria che vi governerà fino al 1805 . Il 2 dicembre 1805 Napoleone, divenuto Imperatore di Francia, sbaragliò le armate di Russia e Austria nella battaglia di Austerlitz (Battaglia dei Tre Imperatori), a cui fece seguito il trattato di Presburgo in cui, tra l’altro, si sancì il passaggio del Veneto nel Regno d’Italia fondato in quello stesso anno da Napoleone, autoproclamatosi Re d’Italia. Il secondo dominio francese si contraddistinse per una condizione di estrema miseria del popolo veneto, dovuta a vari fattori: oltre a una particolare contingenza climatica negativa che caratterizzò quegli anni, vi fu un progressivo degrado dell’agricoltura indotto dal ripetuto passaggio delle armate francesi e austriache, con inevitabili angherie e vessazioni nei confronti del contado. L’aumento continuo dei dazi interni provocò un malcontento crescente che si rese manifesto nell’estate del 1809, allorquando, dopo l’istituzione della tassa sulla macinazione del grano, in tutto il Veneto divampò la rivolta.

VI


NOTA DELL’AUTORE

L

’idea di questo romanzo nacque alcuni anni fa, dopo una cena di Natale che non dimenticherò perché fu l’ultima festeggiata in compagnia di mio padre. Proprio lui, al momento della tradizionale consegna dei doni, chiamò in disparte noi figli e disse: « Questo toxi xe el mè regało. È il risultato di una ricerca che ho condotto in questo anno che sta per finire ». Ci mostrò due fascicoli, uno per ciascuno di noi, e aggiunse: « Qui c’è la nostra storia, l’albero genealogico della nostra famiglia. Come vedete, nei rami più alti vi sono i nomi dei vostri figli, le foglie più verdi. Scendendo, troverete i nomi dei nonni, dei bisnonni e, più in basso, arriverete alle radici e farete conoscenza con un tal Girolamo Giaretta, nato intorno alla fine del 1700, il nostro avo più vecchio ». Gli domandammo come mai non fosse risalito ancora più in là nel tempo, e ci rispose che non era dipeso dalla sua volontà, ma dal fatto che molti documenti appartenenti a quell’epoca erano andati perduti. « La nostra famiglia » continuò mio padre, « è di origine contadina e, come per molte altre famiglie della campagna veneta, le notizie si fermano alla fine del Settecento, anni terribili su queste terre, durante i quali acVII


Renato Giaretta

cadde veramente di tutto. Sono in molti a non conoscere le sofferenze patite nel Veneto durante l’occupazione napoleonica, si trattò di un vero massacro ». Quelle ultime parole mi risuonarono più volte nella mente, tanto da spingermi a cercare notizie, documenti, testimonianze storiche che mi confermassero la reale esistenza di quella sofferenza. All’inizio con fatica, poi sempre più agevolmente, cominciai ad addentrarmi in quel mondo dimenticato: lettere, decreti, cippi, monumenti, ogni cosa mi parlava apertamente di quegli accadimenti, svelava verità nascoste e confuse con altre più rassicuranti. In tutto ciò che riuscii a leggere ed analizzare risaltarono evidenti tre fattori costanti e fondamentali della vita della gran parte dei veneti vissuti in quel tempo: fame, disperazione, miseria. Tutta la terraferma della Serenissima Repubblica è in armi, in ogni parte i villici sollevati e armati gridano morte ai francesi…

Così scriveva Napoleone Bonaparte il 2 aprile 1797, in una lettera indirizzata al governo veneto dopo l’invasione delle sue truppe sul suolo della Serenissima Repubblica, e traspare evidente lo stato d’animo delle popolazioni fedeli a Venezia. Quei contadini tentarono disperatamente di opporsi alla loro sorte, nonostante l’assoluta disparità di forze e di mezzi a loro disposizione. Ne scaturì non solo una ribellione contro lo straniero invasore, ma anche una guerra civile condotta da fazioni avverse, le une ancora fedeli al Leone di San Marco, le altre sostenitrici delle nuove idee giacobine e di chi le rappresentava. Su questa VIII


Nota dell’autore

difficile situazione se ne innestava un’altra ancor più insostenibile: una fame endemica, una miseria senza fine. L’alimentazione dei contadini braccianti si impoverì a tal punto che la sola polenta divenne l’unica fonte di sostentamento; un adulto ne mangiava fino a tre chili al giorno! La famosa pellagra — malattia causata dalla carenza di vitamine del gruppo B, in particolare della niacina — aveva fatto la sua comparsa nel nord Italia già all’inizio del Settecento, ma fu nel 1800 che la sua propagazione acquisì i caratteri di una vera e propria epidemia. In Veneto, circa il trenta per cento dei contadini ne era ammalato, e la situazione divenne così drammatica che furono istituiti in tutta la regione dei sanatori, chiamati ‘‘pellagrossari’’, dedicati esclusivamente alla cura di questo morbo che venne paragonato alla peste. Una delle complicanze più gravi della pellagra è la demenza, che allora veniva chiamata ‘‘mania pellagrosa’’. Molti ammalati erano considerati pazzi e finivano per essere rinchiusi nei manicomi. Con il ritorno di Napoleone, dopo la dominazione austriaca, le cose andarono di male in peggio. Il nuovo Regno d’Italia, di cui Napoleone si era autoproclamato Re, inasprì la tassazione a vari livelli: la tassa sulle rendite fondiarie fu sestuplicata, dazi interni vennero imposti per un gran numero di alimenti (vino, animali da macello, liquori, etc.), e ancora comparvero contributi per le libere professioni. Nel 1806 ci fu l’emanazione del primo decreto sulla leva obbligatoria, il quale prevedeva per tutti i giovani veneti celibi, dai venti ai venticinque anni, un servizio militare della durata di quattro anni nelle truppe del Regno d’Italia. Non appena il decreto fu pubblicato, IX


Renato Giaretta

scoppiarono tumulti: in alcuni paesi del vicentino — Valdagno e Trissino, Orgiano — numerosi giovani imbracciarono le armi e fuggirono sui monti mentre la folla, in più di un’occasione, diede alle fiamme i registri di leva; nonostante la strenue opposizione, l’arruolamento forzato costrinse molti veneti a combattere con la Grande Armèe in Germania, Polonia, Spagna, e infine in Russia, campagne militari da cui pochissimi fecero ritorno. L’apice della tassazione fu raggiunto con la ‘‘tassa sul macinato”. Le rivolte non si fecero attendere. Le cosiddette ‘‘insorgenze” investirono l’intero Veneto, nelle campagne si costituirono dei piccoli eserciti di rivoltosi bollati con il nome di ‘‘briganti’’ — si trattava per lo più di contadini alla miseria, aiutati però da un considerevole numero di commercianti, professionisti e perfino da alcuni nobili. A sostenere i ribelli, per un breve periodo, vi fu anche una falange dell’esercito tirolese, comandata da Andreas Hofer, anch’egli in odio ai francesi e capo delle sommosse in Tirolo. Con il tempo la superiorità militare francese ebbe la meglio. Le rivolte furono sedate e centinaia di uomini vennero passati per le armi senza processo. Molti caddero ghigliottinati e altri vennero condannati ai lavori forzati a vita. Le sentenze si susseguirono per due anni, dal 1809 al 1811. Fu un vero massacro.

X


IL CANTO DI

ESTER



A mio fratello Mario, che ha amato questa terra fino all’ultimo tramonto



È ancora più triste vedere l’aquila prigioniera quando avvoltoi e falchi predano in libertà. [William shakEsPEarE, “riccardo iii”]

Quattro vecchie ossa si trascinano nei giardini del tempo. I fiori del bene e i fiori del male si intrecciano lussuriosi, una lacrima ancora mi bagna il viso. [f.]



PErsoNaggi aNgElo rEghEliN

Fidanzato di Ester

alfrEdo rEghEliN

Padre di Angelo

iNEs rEghEliN

Madre di Angelo

sEBastiaNo (BASTIàN ) rEghEliN

Fratello di Angelo

Bortolo saNdri

Padre di Ester e Gioacchino. L’uomo dai capelli bianchi, veterano delle cernide

clotildE (TILDE ) saNdri

Moglie di Bortolo, madre di Ester e Gioacchino

EstEr saNdri

Fidanzata di Angelo

gioacchiNo (JoACHIN ) saNdri

Figlio di Bortolo, fratello di Ester

giusEPPE (BEPI ) saNdri doN fraNcEsco muNari

Fratello di Bortolo, zio di Ester e Gioacchino Prete del paese

doN domENico rodighiEro

Prete dell’altopiano

coNtE daNiElE PariN

Nobile proprietario terriero

lucio caVEdoN

Affittazziere

ElENa

Cugina del conte Parin

coNtEssa ViEro

Nobile proprietaria terriera

Emilio (MILIo ) massarotto

Capo della gendarmeria municipale

giacomo (JàCoMo ) grotto

Impiegato

lucia (CIA )

Amica di Ester


ErNEsto (NESTo ) lorENzoN

Il Brigante della Val Posina

il rosso

Il braccio destro del Brigante

agNEsE (GNéSE )

L’amante del Brigante

catEriNa (CATìNA )

La “strega”

gaEtaNo (TANo )

Il gendarme “mona”

luciaNo saNsoN

Medico del paese

tErEsa saNsoN

Moglie di Sanson

aNtoNio (ToNI ) dal soglio

Padre di Fausto e Luigino. l’uomo dalla cicatrice sulla fronte, veterano delle cernide

fausto dal soglio

figlio di Antonio

luigiNo (JIJéTo ) dal soglio

figlio di Antonio

luigi (JìJo ) caNEVa

oste di Recoaro

maria

Cugina di Angelo

fraNcEsco (CESCo )

Marito di Maria

JacQuEs

Il soldato francese più anziano




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