La tempesta
dei bambini
NONFICTION
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Mi dwes t Book s el l er s ’ Ch o ice Awar d f or Nonf i ct i on Was h i ng t on St at e Book Awar d PACI F I C NOR T H WES T BOOK S EL L ER S AWARD f in a l is ta Q uill Award fina lis ta Willia m Saroyan In te rnat ion al Priz e f or W riti ng
Rassegna Stampa in USA
Terrificante e intensamente vivido... Laskin tesse abilmente un chiaro resoconto e una spiegazione dell’evento meteorologico con i racconti strazianti di morte lenta, smarrimento e sopravvivenza. Questo libro dovrebbe essere letto da chiunque voglia capire il costo terribile dell’insediamento e della conquista di quella terra desolata, pericolosa e bellissima. — THE ATLANTIC MONTHLY Laskin non risparmia nulla... The Children’s Blizzard è un gradito contributo alla letteratura storica della vita americana e dell’espansione verso Ovest. — CHICAGO SUN-TIMES Straziante... Questo racconto della tempesta del 1888 che uccise più di cento bambini nelle Grandi Pianure si legge come un thriller... Laskin ci ricorda che la vita dei pionieri non era tanto romantica quanto mortale. — ENTERTAINMENT WEEKLY In The Children’s Blizzard Laskin ha scritto un racconto affascinante della giornata in cui il vento alla fine fece quello che promette sempre di fare in quelle desolate praterie del Dakota... Laskin ha scelto il suo soggetto
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Terrificante e intensam en te vivido
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R as segn a s tam p a
brillantemente, perché qualcosa cambiò davvero in quella bufera invernale. — THE WALL STREET JOURNAL David Laskin ci racconta tutta la storia nei suoi affascinanti dettagli, spesso particolarmente strazianti... Un contributo indispensabile alla tradizione del pionierismo degli immigrati nel West... Un libro terrificante, ma scritto meravigliosamente. — THE WASHINGTON POST
‘esplora ‘ Ogni pagina
la verità scomoda della fragilità umana
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Come una corsa in slitta lungo una ripida collina ghiacciata, la storia prende velocità e ritmo... Anche se l’inevitabile conclusione della tragica vicenda ci è nota, è un racconto da assaporare. — THE DES MOINES REGISTER Un racconto che strappa il cuore... Con un gusto per il dettaglio romanzesco, Laskin riporta in vita molti di questi coloni mentre segue i destini delle famiglie immigrate... Ogni pagina dell’avvincente racconto esplora la verità scomoda della fragilità umana, ogni qualvolta essa si trova a confrontarsi con ostacoli insormontabili. — MINNEAPOLIS STAR TRIBUNE Raccontato attraverso gli intimoriti e increduli occhi delle vittime della tempesta... The Children’s Blizzard narra uno struggente, straziante capitolo della storia americana. Laskin si basa sui resoconti di prima mano della tempesta di neve per offrirci un intimo e umano resoconto di un cataclisma climatico. — SEATTLE WEEKLY
In The Children’s Blizzard David Laskin utilizza un fatto storico ben preciso per raccontare la storia di una bufera di neve mostruosa che colse del tutto di sorpresa i coloni delle Grandi Pianure. Impiegando la tempesta come una lente, Laskin cattura la brutale, straziante follia di questo capitolo della storia americana, e lungo la strada approfondisce la fisica bizzarra del freddo estremo. È un libro che è meglio leggere con un fuoco scoppiettante nel camino e una coperta e una scatola di fazzolettini a portata di mano. — ERIK LARSON, autore di Isaac’s Storm and The Devil in the White City Avvincente... La narrazione ricca di suspence di una catastrofe... Laskin abilmente ci offre un grande affresco storico. — KIRKUS REVIEWS Un dramma magistrale e delicato, e un contributo di talento a un genere popolare... Una presentazione perspicace che evoca le vite inosservate dalla storia se non per la tragedia di questa tempesta. — BOOKLIST Una cronaca avvincente di un evento meteorologico, di follia umana ed errore... romanzesco e di continuo commovente... Una lettura gratificante. — PUBLISHERS WEEKLY La prateria americana ha le sue epopee indelebili — il fascinoso viaggio di Lewis e Clark, i racconti e i travagli dell’Oregon Trail — e The Children’s Blizzard aggiunge al tesoro della
‘zione ‘ la narraricca
di suspence di una catastrofe
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R as segn a s tam p a
nostra tradizione Western la storia quasi perduta di un possente colpo di natura. Il racconto di David Laskin dell’immensa tempesta del 1888, che colpì le comunità di coloni del Dakota e di altri stati, è elegante nella sua ricerca ed eloquente nei suoi racconti delle vite degli abitanti della prateria di fronte a un clima indomabile. Si tratta di un libro inquietante sugli eventi disastrosi che si accumularono contro i coloni del cuore dell’America. — IVAN DOIG, autore di This House of Sky Laskin ha scritto un libro al tempo stesso terrificante e coinvolgente su una tempesta epocale che ha lasciato dalle duecentocinquanta alle cinquecento vittime sulle glaciali pianure del Nebraska e del Dakota Territory. — THE LINCOLN JOURNAL STAR
‘quasi ‘ la storia perduta
di un possente colpo di natura
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Laskin eccelle nel far rivivere ancora una volta questi pionieri delle Pianure, che siano sopravvissuti o abbiano ceduto la propria vita alla tempesta... Questo libro sulla Pianura è così tagliente da rendere chiarissimi i pensieri e le debolezze di coloro che scalano le montagne. — USA TODAY Un racconto di orrore e di eroismo: avvincente, terrificante, e di sicuro che vale la pena di leggere... Ciò che rende The Children’s Blizzard sorprendente sono le storie di sopravvivenza della gente che rimase bloccata nel biancore sotto zero. — MANCHESTER UNION LEADER
© 2004 Jacqueline M. Koch
L’ au to r e
DAVID LASKIN è nato a Brooklyn ed è cresciuto a Great Neck, New York. Dopo essersi laureato in Storia e Letteratura ad Harvard nel 1975, ha conseguito un Master of Arts in Inglese al New College di Oxford. È autore di Partisans: Marriage, Politics and Betrayal Among the New York Intellectuals, Simon & Schuster, 2001; Braving the Elements: The Stormy History of American Weather, Doubleday, 1996. Con The Children’s Blizzard (HarperCollins, 2004), un bestseller nazionale, Laskin ha vinto nel 2006 il Midwest Booksellers’ Choice Award for Nonfiction; nel 2005 il Pacific Northwest Booksellers Award e il Washington State Book Award. Il libro è stato nello stesso anno finalista del Quill Award e del William Saroyan International Prize for Writing, delle Stanford University Libraries. Nel 2010 è uscito per HarperCollins il suo pluripremiato The Long Way Home: An American Journey from Ellis Island to the Great War, e nel 2013, per Viking, il suo ultimo libro acclamato dalla critica The Family: Three Journeys into the Heart of the Twentieth Centurey. Laskin scrive di frequente per il New York Times, Washington Post, Wall Street Journal. Vive a Seattle, Washington.
► Per approfondimenti sull’autore, si può visitare il suo sito internet: davidlaskin.com
► HarperCollins pubblica un microsito su Laskin al seguente indirizzo: harpercollins.com/ authors/25085
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La tempesta David
Laskin
dei bambini Traduzione e cura di Alessandro Pugliese
GINGKO
EDIZIONI
THe CHILDReN’S BLIzzARD Copyright © 2004 by DAVID LASKIN Published in agreement with the author, c/o BAROR INTeRNATIONAL, INC. Armonk, New York, U.S.A.
© 2014 Gingko edizioni ISBN 978-88-95288-50-5 GINGKO eDIzIONI Molinella (BO) www.gingkoedizioni.it
Traduzione dall’inglese: ALeSSANDRO PUGLIeSe Progetto grafico di copertina: © 2014 ATALANTe
Tutti i diritti dell’opera sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta o usata in alcuna forma senza previo consenso degli aventi diritto.
I ndi ce
RASSeGNA STAMPA USA AUTORe PROLOGO 29
1. Partenze e arrivi
77
2. Prove
105
3. Perturbazione
115
4. Indicazioni
153
5. Fronte freddo
159
6. Esplosione
217
7. Il dito ardente di Dio
225
8. Assideramento
251
9. Alba della prateria
273
10. Domenica
289
11. Eroine
301
12. Conseguenze RINGRAzIAMeNTI
La tempesta
dei bambini
Alle mie ragazze, Emily, Sarah e Alice, che non cessano mai di stupirmi
era come se fossimo stati puniti di amare la bellezza dell’estate. WILLA CATHeR, My à ntonia
Penso spesso a quei giorni; quando sembrava possibile che se un uomo sedeva sul timpano puntuto della vecchia casa di zolle, nell’allungarsi tranquillamente al passaggio di uno stormo di oche selvatiche, avrebbe potuto raggiungerle facilmente e catturarle. Ma dove sono ora le nostre oche; da qualche parte sopra le nuvole; possiamo sentirle, ma non vederle. JOSePHINe BUCHMILLAR LeBeR, pioniera Dakota
12 gennaio 1888 L’avanzata del Fronte Freddo
Il sistema di bassa pressione che attirò la massa d’aria artica giù dal Canada viene mostrata alle 14:00. Le marcate linee ad arco segnano il bordo d’attacco dell’aria fredda in tre ore critiche. Central Standard Time; valori di pressione espressi in pollici di mercurio.
Pro l o g o
I
l 12 gennaio 1888 una bufera di neve s’abbatté sulla parte centrale del continente nordamericano. Dal nulla, una nube grigia comparve all’orizzonte da nord-ovest. L’atmosfera continuò a gonfiarsi in maniera inquietante, poi il cielo prese a ruggire e un muro di polvere di ghiaccio sferzò la prateria. Ogni fessura, ogni lacuna e orifizio vennero riempiti all’istante da cristalli frastagliati, accecando, opprimendo, soffocando e seppellendo qualsiasi cosa esposta al vento. Il fronte freddo rotolò giù per le praterie indifese come un’inarrestabile falange militare. Il Montana fu investito prima dell’alba, il North Dakota venne raggiunto di primo mattino, mentre gli agricoltori erano affacendati nei campi; a pranzo, fu la volta del South Dakota e al Nebraska toccò nell’ora in cui gli orologi delle scuole si avviavano a suonare la ritirata. In tre minuti, il fronte freddo sottrasse 18 gradi alla temperatura dell’aria.* Dopo, cominciò a venir sera e le temperature seguitarono a scendere con costanza, di ora in ora, nella burrasca di nord-ovest. Prima di mezzanotte le temperature percepite erano calate a 40 sotto zero (-40°C). Fu a questo punto che si compì la strage.
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* Tutte le temperature nell’edizione originale sono espresse in gradi Fahrenheir. Per facilitare il lettore italiano si è scelto di indicare tra parentesi la corrispondente misura in gradi Celsius.
La tempesta dei bambini
Al mattino di venerdì 13, centinaia di persone giacevano morte nelle praterie del Dakota e del Nebraska, molte delle quali bambini che erano fuggiti o erano stati mandati a casa dalle scuole di campagna quando il vento era cambiato e il cielo aveva cominciato ad esplodere. Il caso è sempre un accompagnatore silenzioso in un disastro. Sfortuna, scarso tempismo, una scelta sbagliata in un momento cruciale — e la porta è inesorabilmente chiusa alle spalle e sbarrata. La tragedia della tempesta del 12 gennaio venne originata dal fatto che il cattivo tempismo si estese su un’intera regione e recise le esperienze condivise di una vasta popolazione. La tempesta colpì le aree più densamente insediate del Nebraska e del Dakota, nel peggior momento possibile, nella tarda mattinata o nel primo pomeriggio del primo giorno mite dopo diverse settimane — un giorno in cui i bambini erano corsi a scuola senza cappotti o guanti, e i contadini si trovavano lontano da casa per assolvere a quei lavoretti che avevano rimandato durante il lungo assedio del freddo. Ma le mortali coincidenze del caso si spinsero ancora più oltre in confronto alle evenienze della giornata. Era la corrente profonda della storia che lasciava la prateria particolarmente vulnerabile alla tempesta. Per quasi tutta la breve vita della nazione le praterie del cuore del paese erano state ignorate, trascurate, sfruttate o razziate. Sulle mappe, le parole Grande Deserto Americano aleggiavano vagamente tra il fiume Mississippi e le Montagne Rocciose, e il resto era stato lasciato in bianco o superficialmente etichettato come Territorio Indiano. Poi, però, dopo la Guerra Civile, quando le rigonfie città della East Coast si votarono al serio affare del capitalismo industriale, il Grande Deserto Americano rinacque e fu ribattezzato. Improvvisamente, questa immensa distesa di terra aperta non fu più uno spreco, ma il paradiso, e come il paradiso essa era gratis, o quasi del tutto gratis. Le compagnie ferroviarie, con milioni di acri di concessioni pubbliche di terreno, promisero ai nuovi coloni il cielo e ven20
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dettero loro la terra a prezzi irresistibili. Con l’Homestead Act il governo degli Stati Uniti offrì liberamente ogni angolo di terra della misura di 160 acri, chiedendo in cambio l’investimento di una piccola tassa di deposito e cinque anni di coltivazione agricola. Il sogno della terra libera scatenò una fuga precipitosa. Nei tre decenni successivi al 1870 circa 225 milioni di acri del cuore del continente furono invasi, dissodati e messi a coltura — una quantità di terra maggiore di quanta ne fosse stata ‘migliorata’ nei precedenti 263 anni di insediamento bianco negli Stati Uniti. Sull’ultima frontiera andò in scena la più grande migrazione umana che la terra avesse ancora sopportato. Era tardi per essere un pioniere americano. Mentre Thomas Edison stava realizzando le prime immagini in movimento nel New Jersey, mentre le luci elettriche brillavano dai grattacieli di Chicago, sollevate su scheletri d’acciaio, mentre i Vanderbilt, i Carnegie, i Morgan e i Rockefeller stavano adornando i propri palazzi neo-gotici e rinascimentali con i tesori d’Europa, i coloni in Dakota si scaldavano in capanne di zolle con fuochi di ossa di bufalo. Non è che questi dissodatori non sapessero che eleganti vagoni-letto Pullman sfilassero sui binari ai bordi dei loro campi di grano o che il futuro prezzo di questo grano dipendesse dai magnati di New York e dal numero di bocche da sfamare in Russia. Che fossero venuti dall’Europa in terza classe di puzzolenti navi di immigrati o a bordo di carri bestiame convertiti a Chicago, Saint Paul o New York, essi avevano assistito con i propri occhi alle meraviglie del neonato mondo industriale. Un giorno o l’altro, credevano, quelle meraviglie sarebbero state anche loro. Se avessero lavorato abbastanza duramente, se i loro figli avessero sgobbato altrettamente sodo, la terra col tempo avrebbe provveduto. E così i coloni della prateria puntavano sul futuro e riponevano la loro fiducia nella terra, che amavano ma non capivano a fondo. Si gettavano a lavorarla così in fretta che non avevano il tempo di interpretare i capricci del suolo e del clima, i cicli delle stagioni, i violenti, volubili umori del cielo. Privi sia d’una saggezza popolare derivante da una profonda di21
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mestichezza con un unico luogo, sia di sfacciate astrazioni di una nuova scienza, i pionieri erano vulnerabili ed esposti. Non c’era stato tempo di innalzare recinzioni. I bambini guadavano l’erba alta e scomparivano. I neonati cadevano accidentalmente nei cumuli di neve. Le infezioni fiorivano nelle primitive baracche insalubri messe su in fretta e furia. Messaggi in codice ronzavano attraverso i fili del telegrafo infilati accanto ai binari del treno, ma le fattorie dei coloni erano troppo lontane dagli uffici in cui venivano ricevuti e decodificati per ricavarne un qualche effettivo beneficio. Quando la nuvola discese da nordovest e riempì l’aria di neve, essi non ebbero alcun preavviso. Ignari del rischio, vagarono in qua e in là per inseguire una singola preziosa vacca, e smarrirono la strada tra la capanna di zolle e il fienile. Il loro combustibile si esaurì, i loro tetti vennero soffiati via, gli animali che possedevano finirono soffocati. I loro figli congelarono a morte nei solchi dei loro campi. ‘‘Tutto attorno nessuno era a conoscenza della situazione in cui versava chiunque altro’’ scrisse un pioniere Dakota dopo la tempesta, ‘‘così ciascuno ha agito come pensava fosse giusto, e la gente è sopravvissuta o è morta secondo il proprio temperamento. Non si può biasimare nessuno per ciò che è successo. Se un giovane aveva investito ogni centesimo del suo denaro in un allevamento di bestiame non assicurato... che cosa avrebbe fatto la maggior parte di noi? Nessuno sapeva ALLORA che quello era il giorno che doveva essere ricordato quando tutti i giorni di settant’anni sarebbero stati dimenticati’’.
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Una delle tante tragedie di quel giorno fu il fallimento dei meteorologi, un fallimento composto da scienza difettosa, tecnologia primitiva, errore umano, grettezza e ignoranza pura. L’America del 1888 aveva il vantaggio di un consolidato e ben 22
Prologo
finanziato servizio meteo nazionale, collegato all’Esercito e guidato da un carismatico generale — ma la priorità assoluta in qualsiasi giorno non era il tempo, bensì le lotte politiche. Le previsioni — ‘‘indicazioni ufficiali’’, come vennero infiocchettate in seguito — erano corrette l’83,7 per cento delle volte per quanto riguardava le successive ventiquattr’ore, insistevano i loro autori, ma era loro proibito usare la parola tornado in qualsiasi pronostico; essi credevano che le principali città costiere americane fossero immuni dagli uragani; facevano affidamento più sulla geometria e sulla cartografia che sulla fisica nel monitoraggio delle tempeste; difettavano dei mezzi e, per la maggior parte dei casi, del desiderio di perseguire la ricerca meteorologica. ‘‘[La] promessa di una scienza di profondo interesse per lo studioso e di grande utilità per il popolo si sta rapidamente realizzando’’ scrisse della meteorologia il maggiore John Wesley Powell, nel 1891, esploratore e geologo. ‘‘Mentre la scienza non ha ancora raggiunto quella fase in cui le indicazioni possano dire con successo a che ora è bene portare un ombrello in un giorno piovoso, essa ha raggiunto questo stadio per il quale le grandi tempeste e le intense ondate di calore o di freddo possono essere previste su tutto il paese prima che arrivino, in modo da essere di grande utilità a tutte le attività del paese. Tutti i disagi del tempo non possono essere evitati, ma i grandi disastri possono essere previsti e ovviati’’. Alquanto retorico — e, per la verità, abbastanza credibile. Tuttavia, in realtà, quando si trattava di previsioni climatiche, i meteorologi del governo nell’ultimo decennio del diciannovesimo secolo facevano ancora affidamento più su osservazioni empiriche e persino su proverbi del tipo ‘‘Rosso di sera, bel tempo si spera’’, piuttosto che su una solida comprensione scientifica dell’atmosfera. Molte delle ‘‘grandi tempeste e intense ondate di calore o di freddo’’ sfuggirono loro del tutto — o furono menzionate nelle loro ‘‘indicazioni’’ quotidiane troppo tardi, troppo vagamente, troppo timidamente per essere di qualsiasi aiuto. Quando si trattava di ‘‘grandi disastri’’, essi sape23
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vano molto meno di quanto pensassero di sapere. Era l’età dell’ottimismo e della fiducia. L’arroganza era epidemica. Il funzionario responsabile dell’ufficio indicazioni sperimentale che era stato incaricato a Saint Paul all’esplicito scopo di predire bufere di neve e focolai di freddo estremo sulla prateria, non toppò del tutto sulla tempesta del 12 gennaio. Egli sapeva, prima di mezzanotte dell’11 gennaio, che ci sarebbe stata neve sul Dakota Territory e sul Nebraska il pomeriggio successivo, e che sarebbe arrivato più freddo nel corso di quella notte. Le sue indicazioni si ‘‘verificarono’’, tuttavia esse sarebbero state d’aiuto a pochi nel caso la gente della regione avesse voluto fuggire o mettersi al riparo. Le avvertenze, infatti, non vennero diramate in tempo. Nessuno, leggendo le previsioni per quel giorno, avrebbe immaginato che una tempesta storica si sarebbe abbattuta su di loro. Coloro che occupavano posizioni di responsabilità non riconobbero, né si curarono della previsione fallimentare. Pur ammettendo che a seguito della tempesta furono sottoposti a una sanzione, questa sanzione ebbe più a che fare con le piantagioni di zucchero del profondo Sud che furono ricoperte dal nevischio, piuttosto che con i bambini morti congelati nella prateria. Era la Gilded Age. Disastro, significava rovina finanziaria.
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Anche in una regione nota per i bruschi e radicali cambiamenti climatici, la bufera del 1888 fu senza precedenti nella sua violenza e repentinità. Non ci fu nessun segnale che la lasciava presagire. Nessuna inquietante sfumatura verde nel cielo o soffici cirri precursori. Un attimo prima il tempo era mite, il sole splendeva, un vento umido soffiava irregolarmente da sud; il momento dopo un gelo infernale si era scatenato. L’aria era così densa di sottili cristalli di ghiaccio sferzati dal vento che la gente 24
Prologo
non poteva respirare. La polvere di ghiaccio impregnava le loro ciglia e sigillava i loro occhi. Penetrava nella trama larga dei loro cappotti, camicie, abiti e biancheria intima, fino a ricoprire del tutto di neve la pelle. Gli agricoltori che avevano trascorso un decennio a camminare per gli stessi sentieri consumati persero il senso dell’orientamento in pochi secondi. I pionieri della prateria, anche quelli che avevano vissuto lì solo poche stagioni, erano abituati a vedere tornadi di grandine squarciare le basi di enormi nuvole nere e venti di fuoco estivi fluire da ovest. Si erano accovacciati davanti alle loro stufe nei giorni e nelle buie notti in cui l’inverno aveva soffiato i suoi venti senza sosta. Avevano guardato case finire risucchiate nel vortice di frammenti, su fino alle basi delle nuvole ad imbuto. Ma nessuno di loro aveva idea che l’atmosfera fosse capace di una tempesta come quella. La bufera di neve del 12 gennaio 1888, conosciuta come ‘‘La tempesta dei bambini della scuola’’, in quanto molte delle sue vittime furono bambini colti in fallo tornando a casa dagli edifici scolastici, diventò un marchio nella vita dei coloni, una specie di spartiacque che separa un prima e un dopo. Il numero di decessi — stimato tra 250 e 500 — fu esiguo rispetto a quello della Grande Inondazione di Johnstown, che spazzò via un’intera città industriale nella Pennsylvania occidentale l’anno seguente, o in confronto alle vittime dell’uragano di Galveston del 1900, il quale si lasciò dietro una scia di oltre 8.000 morti. Ciò nonostante, fu abbastanza traumatico da imprimere un livido indelebile sulla coscienza della regione. I pionieri erano, in generale, tedeschi assai taciturni, riservati e sobri, e scandinavi che raramente mettevano i loro pensieri o sentimenti sulla carta, e quando lo facevano evitavano senz’altro le iperboli. Nonostante questo, i loro racconti della tempesta del 1888 registrano stupore, soggezione, incredulità. Esistono migliaia di queste testimonianze della tempesta. Anche chi non aveva mai scritto prima una sola riga su di sé, mise su carta tutto quello che poteva ricordare a proposito della grande tempesta 25
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del 1888. Anzi, è stata la tempesta che ha preservato queste vite dall’oblio. La tempesta, letteralmente, ha congelato un singolo giorno nel tempo. Ci ha inviato una chiara lama sottile della storia della prateria. Ha costretto gli individui a fermarsi e a guardare alle proprie vite — alla terra e al cielo, a cui essi avevano affidato il loro futuro; all’ambiente e al clima, che avevano adottato i loro bambini; alle forze peculiari della natura e a quelle di Dio che determinavano se sarebbero morti o vissuti. Quella che segue è la storia di questa tempesta e di alcuni degli individui le cui vite furono cambiate per sempre da essa. Genitori che perdettero figli. Figli che perdettero genitori. Padri che morirono con i cappotti e le braccia avvolti intorno ai loro figli. Sorelle che giacevano fianco a fianco con i volti congelati a terra. Insegnanti che bloccarono le porte delle scuole per mantenere i loro studenti al sicuro all’interno, o li portarono al riparo — o alla morte — quando i tetti dei loro edifici scolastici di una sola camera vennero soffiati via. È anche la storia dell’ufficiale dell’esercito pagato dal suo governo per prevedere l’evoluzione della tempesta e mettere in guardia la gente dal suo arrivo. In un certo senso, è un libro su molteplici e spesso fatali collisioni — collisioni tra persone comuni che svolgevano le loro vite di ogni giorno e gli immensi tumulti insondabili del tempo. Per capire le cause e le conseguenze di queste collisioni, è necessario tracciare gli elementi coinvolti dalle loro fonti e punti d’origine. Sbrogliare dai detriti del passato il perché proprio a queste famiglie toccò di trovarsi sul percorso del vento di nordovest in quel particolare giorno. Isolare le forze che nell’atmosfera cospirarono e convergettero per creare il vento e il freddo mortale portandolo nella loro scia. Vedere quelle forze atmosferiche attraverso gli occhi di un previsore dell’esercito che era stato addestrato per combattere gli indiani, seguire gli ordini e applicare regole fisse. 26
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Prologo
‘‘Tutto cambia, nulla si crea’’ scrisse il poeta James Merrill in una poesia intitolata ‘‘After the Fire’’. Gli effetti del disastro, per quanto estremo, non durano per sempre. Seppelliamo i nostri morti, curiamo i feriti, ricostruiamo e andiamo avanti con le nostre vite. Oggi, a parte alcune belle lapidi di marmo nei cimiteri di campagna e l’occasionale cartello commemorativo sulla strada, non una traccia della bufera del 1888 rimane nella prateria. Eppure, nella fantasia e nell’identità della regione, la tempesta è ancora nettamente incisa come sempre: questo è un luogo dove bufere di neve uccidono i bambini che ritornano a casa da scuola. Per capire perché e come la più letale tempesta di neve del Midwest fece quel che fece, bisogna capire qualcosa di essenziale sulla storia della prateria americana, anzi sulla storia dell’America stessa.
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