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FICTION
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GIULIO CAVALERA, 1951, vive a Milano. Diplomato in ragioneria, ha svolto diverse attività e attualmente opera in campo assicurativo. Ama gli animali, la natura, il cinema ed è appassionato di letteratura. Troppo tardi è il suo terzo impegno letterario.
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cavalera
GINGKO
EDIZIONI
TROPPO TARDI Copyright © 2011 Giulio Cavalera © 2015 Gingko edizioni ISBN 978-88-95288-51-2 GINGKO EDIZIONI Molinella (BO) www.gingkoedizioni.it
Progetto grafico di copertina: © 2015 ATALANTE
i n di c e 13 19 23 33 47 57 69 79 91 103 115 129 141 153 165 181 191 199 207 223
CAP. 1. CAP. 2. CAP. 3. CAP. 4. CAP. 5. CAP. 6. CAP. 7. CAP. 8. CAP. 9. CAP. 10. CAP. 11. CAP. 12. CAP. 13. CAP. 14. CAP. 15. CAP. 16. CAP. 17. CAP. 18. CAP. 19. CAP. 20.
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All'amore in tutte le sue forme. La cura piĂš eďŹƒcace contro il mal di vivere.
Uno
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Parigi, dicembre 2006
differenza di David, Floralie si fidava solo di lui, lo conosceva dall’infanzia e gli era molto affezionata. Il dottor Levesque si era espresso così, dopo averla visitata: « Niente più che un’escrescenza di tessuto adiposo. Un ammasso di cellule adipociti, nulla di cui preoccuparsi ». All’età di cinque anni, Levesque le aveva diagnosticato con assoluta precisione e provvidenziale tempestività una peritonite fulminante, salvandole di fatto la vita. David, nonostante questo, era sempre stato convinto che l’anziano medico fosse solo un ciarlatano, un incapace poco aggiornato che non capiva assolutamente nulla e che, come non bastasse, in quella lontana occasione aveva esaurito in un sol colpo tutta la sua scorta di fortuna. In ogni caso, se anche il dottore avesse capito tutto e subito, non avrebbe potuto fare nulla; né lui, né nessun altro avrebbe potuto intervenire, poiché era già troppo tardi. Siccome non sempre e non tutto il male viene solo per nuocere, l’ignoranza del medico aveva permesso perlomeno di dilatare i tempi dell’inevitabile tragedia. La sua manifesta incompetenza aveva consentito altri sorrisi e accordato alcuni mesi di inconsapevole serenità. Quella minuscola pallina, apparentemente innocua e insignificante, era presente da parecchio tempo sul costato destro di Flo-
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ralie e, fino ad allora, le aveva procurato nient’altro che un leggero prurito. D’improvviso, e nel giro di pochi giorni, l’escrescenza si era ingrossata e solo allora Floralie, più irritata che impaurita, aveva deciso finalmente di sottoporsi ad esami approfonditi, persuasa di dover affrontare, in seguito, solo un banale intervento di asportazione — essenzialmente per motivi estetici. Meno di quattro mesi dopo Floralie era morta. È sconvolgente come un fulmine riesca a squarciare il cielo sereno, la vita possa presentare il conto e spegnere un sorriso, cancellando ogni possibile futuro alla stregua di un colpo di vento che spegne una candela. Sogni, progetti, speranze e illusioni vengono azzerati in un minuto. E un minuto era bastato al professor Nivard quando, dopo un commovente quanto inutile giro di parole, aveva dovuto spiegare come stavano realmente le cose, e infine emettere tristemente la sua sentenza inappellabile. « Tre, quattro mesi di vita al massimo. Del tutto inutile operare ». Mancavano solo pochi giorni a Natale e la notizia spense tutte le luci della città e accantonò in un batter d’occhio il clima festoso. Tragicamente, un secondo parere medico non fece che confermare quanto già sapevano. David chiuse lo studio e la portò in Italia, a ripercorrere le tappe del loro viaggio di nozze. Fu una seconda luna di miele, altrettanto dolce ma inevitabilmente molto meno piacevole. Floralie ad un certo punto volle interromperla, chiedendo a David di tornare a casa, ma non prima di aver rivisto Praga, città che amava moltissimo e che, tanti anni prima, era stata la meta del loro primo, indimenticabile viaggio insieme. Desiderava adesso stringersi a lui in un’ultima romantica passeggiata lungo le rive della Moldava. Floralie fu incredibilmente forte, dignitosa e serena. Affrontò il suo dramma assumendosi, addirittura, l’onere di consolare amici e parenti e, in particolare, rincuorare David che la vedeva spegnersi giorno dopo giorno. Durante le ultime tre settimane non si mosse dal letto, sempre assistita dal marito, Laetitia, che 14
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faceva ormai parte della famiglia e viveva con loro da quasi dodici anni come governante, cuoca, donna tuttofare e grande amica della padrona di casa, e dalla capace e premurosa infermiera, la signora Celine. Non aveva paura della morte, non l’aveva mai temuta. Temeva però, come tutti, il dolore fisico e, almeno da questo, veniva tenuta lontana da massicce dosi di morfina. Il suo cruccio maggiore era lasciare da solo il compagno di tutta la vita, ma anche dover mollare a metà la stesura del romanzo cui stava lavorando con impegno e passione.
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Con la casa editrice Gallimard Floralie aveva pubblicato poco più di due anni prima la sua opera d’esordio. Il sorriso dell’aurora era un testo difficile da definire; forse un romanzo storico con intrecci amorosi e una vena noir, o una storia d’amore con implicazioni noir, con sullo sfondo intricate vicende storiche. Qualunque cosa fosse, le intense trecentoventi pagine erano capaci di commuovere, divertire e avvincere, e non si può chiedere di più a un libro. L’idea di scrivere le era ronzata a lungo nella testa. Per mesi, aveva riempito di appunti, frasi improvvisate, spunti e promemoria la sua scrivania, l’auto e gli angoli della casa. Ad ogni occasione ne parlava a David, eppure non si decideva mai a vincere le sue paure ed iniziarne la stesura, malgrado suo marito non facesse che spingerla, incoraggiarla ed aiutarla. La sua intima amicizia con Brigitte Beller, direttrice delle Editions Gallimard, le aveva spianato la strada. Poiché chiunque scriva lo fa per essere letto, la consapevolezza di poter contare sul suo aiuto per la pubblicazione, un adeguato battage pubblicitario e un’efficace distribuzione, l’avevano spinta a dedicarsi con tutta se stessa alla stesura dell’opera — un lavoro durato più di due anni, che l’aveva assorbita completamente. Oltre seicentocinquantamila le copie vendute! Il libro aveva 15
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avuto ben quaranta ristampe e per ventinove settimane era rimasto in vetta alla classifica delle vendite. Floralie era stata insignita del Goncourt. Questo grande successo aveva rappresentato il maggiore appagamento di tutta la sua vita, capace di compensarla, almeno parzialmente, di ciò che era stato per lungo tempo il suo più grande dispiacere e tormento, ovvero non aver potuto diventare mamma. Ebbene, in quell’opera Floralie aveva riversato tutta la sua passione e, in un certo senso, Il sorriso dell’aurora era diventato tanto importante che lei aveva finito per considerarlo la sua creatura. Quale incredibile emozione quella sera di inizio novembre, nel salone al primo piano del ristorante Drouant, luogo dove i membri dell’Accademie Goncourt si riuniscono abitualmente ogni primo martedì del mese, nel sentir chiamare proprio il suo nome. Che batticuore! Già il fatto che il suo romanzo fosse stato selezionato tra i finalisti, le pareva straordinario. In cuor suo, non sperava certo nel successo finale, eppure i giurati scelsero il suo libro e, fatto più unico che raro, all’unanimità. In seguito, Floralie aveva ricevuto anche il Prix des libraires e vinto il premio Georges Brassens. A conclusione di questa straordinaria avventura, erano giunti i diritti cinematografici e Floralie aveva approvato la sceneggiatura realizzata da Michel Piccolì. La pellicola, prodotta dalla DD Productions di Gerard Depardieu (futuro principale interprete, insieme a Juliette Binoche e Daniel Auteuil), sarebbe stata diretta da Jean-Jaques Annaud. Un trio eccezionale di interpreti, un grande regista, una storia avvincente, c’erano tutti gli elementi per poter facilmente prevedere che si sarebbe trattato di un successo. Ma Floralie non avrebbe mai avuto il piacere di condividerlo.
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La sera del 20 aprile, avvertendo la fine imminente, con lo sguardo spento ma la mente ancora lucida Floralie s’impegnò per regalare a David il suo miglior sorriso, gli strinse le mani 16
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con la poca forza di cui ancora disponeva e gli rivolse sommesse parole di gratitudine, per la sua vita e per la parte importante che lui aveva avuto. Era tranquilla e consapevolmente serena, il suo viso disteso e privo di apparente dolore. Chiese a David un’ultima promessa: avrebbe dovuto portare lui a termine il suo scritto incompiuto. David, che aveva dato un modesto contributo alla realizzazione del primo fortunato romanzo, dubitando di esserne all’altezza tentò di evitare quest’incombenza. Ma la sua tenace e coraggiosa opposizione non era durata più del tempo che separa il bagliore del lampo dal fragore del tuono, in quanto la sua Flo, sorridendogli ancora, aveva già raggiunto il suo scopo. « Ti prego, tesoro, non dirmi di no. Sarai perfettamente in grado di farlo, basta che tu lo voglia. Pensa, sarà l’ultima cosa che avremo fatto insieme. Scriverai i nostri nomi uno accanto all’altro ». Come avrebbe potuto rifiutare? Più tardi, mentre le accarezzava teneramente il viso e i capelli, Floralie gli annunciò il titolo definitivo. Lo aveva cambiato decine di volte, ma adesso ne era sicura, non aveva più dubbi e non poteva permettersene altri. Il libro si sarebbe intitolato TROPPO TARDI. Così, dopo aver risolto questo che per lei non era solo un piccolo dettaglio, Floralie sembrò visibilmente sollevata, come chi sente di aver assolto a un compito gravoso. Volle restare da sola con Laetitia, alla quale era legata da profondo affetto e vera amicizia, forse per rivolgerle una serie di raccomandazioni e dirle addio con un ultimo abbraccio. David le rimase accanto per il resto della notte, seduto sulla sponda del letto col capo chino, impietrito e quasi incredulo. Le tenne la mano senza riuscire a capacitarsi del perché non riuscisse a piangere, mentre dentro si sentiva dilaniato da un dolore straziante. Laetitia, accanto, non poteva trattenere le lacrime. Entrambi parlavano sottovoce, come per timore di disturbare Floralie. Nell’attimo in cui qualcuno lascia la vita, si concretizza un 17
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evento logico, atteso, ampiamente annunciato e inevitabile, il quale rimane, però, misterioso e inconcepibile. Nella mente sconvolta di David balenavano mille domande. Perché? Perché tu? Perché adesso? Chi mai ha decretato questo scenario? Qual è il senso della vita? Cercava spiegazioni e risposte che non esistono. Poteva maledire gli dei, il destino e le stelle, ma era cosciente che la morte è la sola certezza dell’esistenza. Eppure la morte è una condanna, o semplicemente un passaggio? Migliaia di filosofi, geni e scienziati di tutti i tempi avevano scritto milioni di pagine e teorizzato le più stravaganti teorie, ma nessuno ne avrebbe mai saputo più del gatto dei vicini. David non desiderava e non poteva trovare consolazione attingendo allo straordinario e fantasmagorico elenco di possibili illusioni di ogni colore, forma, dimensione, peso e prezzo. In questo, come in quasi tutti i casi della vita, è possibile tramutare in verità tutto ciò che si è disposti a credere. Ma David, senza il conforto di un indispensabile inganno, rimaneva lì, interdetto e sbigottito, con lo sguardo fisso nel vuoto, con la mente piena di pensieri scollegati, il cervello anestetizzato, senza riuscire ad offrire a se stesso una qualsiasi convincente risposta. Gli occorreva tempo, non già per capire — poiché non c’è proprio niente da capire — quanto per accettare, forse, trovare in qualche modo una ragione pur se della morte, consciamente o meno, non si può avere una ragione. E gli occorreva tempo anche per convincersi davvero che una persona che avrebbe continuato comunque ad amare, come per magia, era scomparsa. Tempo per smettere di sentirla vicina, per non immaginare che potesse entrare da quella porta, per rinunciare ad aspettarla per cena, per non credere che fosse nell’altra stanza e per capire, infine, che non avrebbe mai più visto il suo splendido sorriso.
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