n.01
febbraio 2010 euro 2,00 OMAGGIO
BRIANZA
P uB B li
Questo spazio è a disposizione per la comunicazione di aziende e istituzioni
Cit À per la pubblicità su Il Giornale della Memoria Associazione Storia & Territorio tel. 0362.285087 mail assostoria@gmail.com
1970, iniziativa del primo cittadino Pavia
EMERGENZA IMMIGRAZIONE, RIUNITI I SINDACI DELLA BRIANZA Amministratori locali, industriali, sindacalisti intorno a un tavolo a Monza per trovare soluzioni al crescente flusso migratorio dalle regioni del Sud
M
igliaia di persone che arrivano dal Mezzogiorno d’Italia. Le cronache del 1970 segnalano fortissimi flussi migratori a Monza e nel circondario. Il fiume di gente che, dal ’60, anno del grande Boom economico, ha inondato Milano e Torino, ora piega verso i comuni brianzoli. Un’onda di gente mossa dalla tragica scarsità di lavoro del Sud. Migliaia di famiglie che hanno bisogno di molte cose ma soprattutto di alloggi. Un’emergenza vera e propria. Per questo, il sindaco Luigi Pavia, riunisce nell’ottobre del 1970, decine di suoi colleghi, l’Associazione industriali e i rappresentanti del sindacato. Tutti a un tavolo per cercare soluzioni e piuttosto in fretta. Vittorio Casanova, numero uno degli imprenditori, avverte infatti: «Nel ’71-’72 daremo lavoro ad altre 5mila persone». E dall’inizio del 1970, le fabbriche della Brianza, hanno giàsono già offerti 3.150 posti.
In questo numero PAG.2 Limbiate, 1960. Scandalo in consiglio comunale
Nella rissa verbale, un assessore bestemmia e succede il finimondo. Polemiche per giorni PAG.3 Seregno, 1970. Nasce un pulcino mutante
Allevatore scopre, in una covata, un aspirante galletto con due cuori e quattro ali PAG.4/7 Monza, 1960. Dalla nebbia spunta un treno impazzito
Il diretto Sondrio-Milano deraglia in città e fa una strage di pendolari: 16 morti e centinaia di feriti. L’omelia del card. Montini
servizio a pag.10
PAG.8 Seregno-Giussano, 1970. L’influenza Spaziale fa flop
Editoriale
FAUSTO E SILVANO
M
olti giornali, all’inizio di questo 2010, hanno ricordato la scomparsa, 50 anni orsono, di Fausto Coppi. Sono riapparse le foto delle sue imprese, dell’eterno dualismo con Bartali, dello scandalo dell’amante, la Dama Bianca. Nessun ricordo è stato invece tributatato alle 18 vittime del diretto 341, il diretto Sondrio-Milano, deragliato a Monza, una mattina del 5 gennaio del 1960. Una delle più gravi catastrofi ferroviarie italiane, mezzo secolo dopo, non esiste più, obliterata dalla memoria collettiva, se si eccettua un articolo de Il Cittadino (nella sola edizione monzese) e del Giornale di Monza. Nel luogo dove il disastro avvenne, non c’è neppure una piccola lapide. Eppure su quei vagoni c’era un pezzo di vita: c’erano progetti, desideri, attese
di futuro. C’erano uomini e donne come noi, oggi. Il più giovane era Silvano Cantù da Bernareggio, 24 anni e una grande passione per la politica, tanto che animava la sezione della Democrazia cristiana. Chi lo ricorda ancora? Chi ripensa più al suo entusiasmo e il suo sorriso? Che Brianza era quella, che valori aveva e, soprattutto, che fine ha fatto? Questo giornale nasce per recuperare, attraverso le cronache del secolo scorso, la memoria di questa terra. I fatti e i protagonisti, spesso dimenticati, come sentieri attraverso i quali tentare di ricostruire una consapevolezza di chi siamo oggi. Ché , senza saperlo, non si va da nessuna parte. Cari lettori, camminate con noi. GdM
mostra con i documenti, le corrispondenze, i registri di quella istituzione. Ne scaturì, quasi miracolosamente, un bellissimo allestimento che, attraverso le minute e le pezze amministrative di un oltre un secolo, riconsegnava intatta la storia di un’opera educativa, riuscendo a ridire le ragioni di chi, con grande slancio caritativo, la fondò e la seppe costruire nei decenni.
E raccontando la crescita del piccolo asilo giussanese, si finì inevitabilmente per ricostruire la memoria di una cittadina e di un pezzo di Brianza: quei documenti raccontavano di un mondo che cambiava, di una comunità che cresceva, di uomini e di donne che diventano sempre più consapevoli protagonisti del loro tempo, anche attraverso il disastro di alcuni conflitti (Libia, Grande
PAG.11 Desio, 1970. Nel dancing pestati i carabinieri
Intervenuti per fermare un ubriaco, due giovani militi aggrediti selvaggiamente fuori dalla Coccinella PAG.12/13 Desio, 1960 - Muggiò 1970. Tornano le salme dei caduti
DA QUALE STORIA NASCE QUESTO GIORNALE Un asilo e la sua storia ultracentenaria. Il giornale che avete in mano nasce da qui. Ormai tre anni fa, alcuni genitori che avevano i figli all’Asilo Aliprandi di Giussano decisero di impegnarsi per celebrare degnamente i 110 anni di quell’opera, nata appunto nel 1897. Dando un’occhiata agli archivi, perfettamente conservati, pensarono che un modo potesse essere realizzare un
Il virus di Honk-Kong, così temuto alla fine del 1969, colpisce in modo blando. Dubbi per la morte di un 50nne dopo il vaccino
e Seconda Guerra). Un’esperienza esaltante, che inoculò in alcuni di quei genitori il germe della ricerca d’archivio e il desiderio di contribuire a divulgare la storia di questa terra, la Brianza. Da quell’esperienza nasce infatti l’Associazione culturale Storia e Territorio-Ast che, come primo atto, ha deciso di fondare e di editare questo giornale. AST
Luigino Como, soldato desiano morto prigioniero in Polonia torna a casa. Dieci anni dopo, i resti di due altri militari muggesi deceduti su vari fronti PAG.14/15 Monza, 1950. La politica sogna la nuova ferrovia
Dc mobilitata per la nuova tratta fra Milano e Bergamo. E il Pci interroga il ministro dei Trasporti
1960 Limbiate
2 Febbraio 2010
C
Che cosa accadeva
Fatti di tre decenni Dalla Corea ad Algeri, gli anni de La dolce vita Che cosa succedeva in Italia e nel mondo, mentre in Brianza accadevano i fatti che potete leggere qui accanto? Nel 1950, ad esempio, si registra la Guerra delle due Coree: fallite le trattative Onu, il Nord comunista invade il Sud, con l’appoggio cinese. Gli Americani si schiereranno con Seoul, intervenendo direttamente. In Italia, quell’anno, muore lo scrittore Cesare Pavese, viene ucciso il bandito Salvatore Giuliano e il Governo vara la Cassa del Mezzogiorno. Dieci anni dopo, nel 1960, tumulti a Genova, contro il Governo Tambroni, Fellini dà scandalo con La dolce vita, Roma ospita le Olimpiadi. La Francia concede l’indipendenza all’Algeria (e a molte colonie), Leonid Breznev diventa numero uno in Urss. Il 1970 è l’anno della Ostpolitik verso l’Est del Cancelliere tedesco Willy Brandt, degli scontri sanguinosi in Irlanda del Nord fra cattolici e protestati, della morte del chitarista rock Jimmy Hendrix. In Italia, esordiscono le Regioni e lo Statuto dei lavoratori. Reggio Calabria si rivolta per giorni interi alla decisione di fare Catanzaro capoluogo.
SE L’ASSESSORE SACRAMENTA
Accalorato consiglio comunale: nella sala vola una bestemmia ed è scandalo
U
na bestemmia nel bel mezzo di un consiglio comunale. Un’imprecazione pesante contro il Padreterno e per di più in un’aula istituzionale. Accade a Limbiate, nel febbraio del 1960, protagonista un assessore comunista, Angelo Dell’Orto, che perde le staffe nel bel mezzo di una interpellanza presentata dal consigliere democristiano Barzon al sindaco Donzelli. Un quadretto degno del miglior Giovanni Guareschi, l’inventore di Don Camillo, il sanguigno prete emiliano, cui si oppone, con la stessa passione, il sindaco Giuseppe Bottazzi, detto Peppone. L’Informatore limbiatese, pagina locale de Il Cittadino, ne dà notizia nell’edizione del 13 febbraio, con toni scandalizzati. L’Italia esce da un decennio piuttosto turbolento dal punto di vista politico. Il 1960, da poco iniziato, è un anno di forti tensioni politiche, in Parlamento e fuori. Proprio in quei giorni, il cardinale Alfredo Ottaviani, a capo del Sant’Uffizio, critica duramente l’annunciato viaggio in Urss del presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, fautore della distensione e spinto dal presidente dell’Eni, Enrico Mattei. Una polemica che ne alimenta altre, in seno alla stessa maggioranza di centrodestra, tanto che il governo, presieduto da Antonio Segni, cade perché liberali e repubblicani criticano le prove di centrosinistra che si fanno in casa Dc. Il 25 marzo, Fernando Tambroni avrebbe poi formato un nuovo monocolore sostenuto col voto decisivo del Movimento sociale italiano-Msi. L’Informatore limbiatese sfodera la bacchetta: «A chi, in sede ufficiale
Gino Cervi nei panni di Peppone, sindaco di Brescello, in uno dei molti film ispirati ai romanzi di Guareschi
Il Numero
258
sono i cittadiniiscritti nell’elenco poveri del Comune di Giussano, nell’anno 1959. Ne dà notizia, agli inizi del 1960, il bilancio comunale approvato a marzo dell’anno successivo che dettaglia la ripartizione degli assistiti fra capoluogo e frazioni. Si tratta di 113 famiglie di cui 75 nel capoluogo, 19 di Paina, 8 a Robbiano e 11 a Birone. In quell’anno l’amministrazione spende 574.870 lire in farmaci gratuiti ai non abbienti.
Nuove imprese
e pubblica offende così grossolanamente i nostri sentimenti di civiltà e di religione non può andare se non la nostra classifica di maleducato», scrive un anonimo redattore. «Se osserviamo che tra il pubblico c’erano, oltre che alcune donne, anche i due Parroci del paese», prosegue l’articolo, «la maleducazione dell’assessore dobbiamo definirla inqualificabile e provocatoria». E la chiusa è, se possibile, al vetriolo: «Solo poco tempo fa era assessore all’Istruzione: bell’esempio per i nostri bambini».
Quel giorno avvenne
8 GENNAIO 1970 Cameriera vola dal quinto piano ma si salva. Miracolo a Monza
MARZO 1950: IN BRIANZA CINQUE FIOCCHI ROSA Sono cinque le imprese neonate nella settimana fra il 13 e il 19 marzo 1950. Il Tribunale civile di Monza tiene infatti a battesimo la Metalmeccanica Srl di Cusano Milanino; la Tintoria industriale di Bettolino Srl di Cologno Monzese; la Giaiani e Montrasio Sas di Villasanta; la Tessiture Lane Gavazzo e Galbiati Snc di Carugate e la Fratelli Pozzoni Srl, «industria di fabbricazione acque gasate e affini» di Bernareggio, che raggiunse un certa notorietà anche con le spume fra cui la Polo (vedi foto sopra).
Poteva essere una tragedia e invece fu quasi una favola a lieto fine: una ragazzina sedicenne che vola giù dal quinto piano di una stabile a Monza e si salva. Le cronache raccontano che A. P., giovane sarda, era da pochi mesi in servizio presso la famiglia di un noto commercialista monzese, Cesare M., in via Brianza, nelle adiecenze di Villa Reale. Al mattino, dopo le 9,30, quando il professionista e la moglie erano usciti e la bambina della coppia stava ancora dormendo, la giovane domestica era intenta a pulire i vetri di alcune finestre della camera da letto. Era salita su una scala, la cameriera, e probabilmente aveva anche aperto la finestra, per poter poggiare un piede sul davanzale e muoversi meglio. Improvvisamente il dramma: la giovane scivola, perde ogni appiglio e scivola giù. Il suo esile corpo di ragazzina fende, precipitando, 15 metri dell’aria fredda di quell’inverno 1970. Il prologo di una tragedia: una giovane, poco più che ragazzina, lontanta da casa per guadagnarsi il pane, che perde la vita così. E invece, no. L’ora di A. non era ancora scoccata. Come spiega una cronaca da Monza del Corriere della Sera, «fortunamente l’atterraggio è avvenuto in una zona del giardino appena vangata. La giovane è caduta seduta ed ha riportato la frattura del bacino e alcune lievi contusioni. Soccorsa dal portinaio dello stabile, Ambrogio Casiraghi, è stata ricoverata all’ospedale di Monza, con prognosi di un mese».
AD ARCORE, SBARRE DELLA DISCORDIA Nel 1965, una singolare lite fra un casellante di Oggiono e un maccanico di Villasanta. Finita in Tribunale
Cronaca nera CARATE 1960, IN MANETTE IL TRUFFATORE DEI MOBILIERI
A
ssicurato alla giustizia Michele D.N., 31 anni, di Cesa, provincia di Caserta. I car abinieri della Tenenza di Desio lo acciuffano a Carate, alla fine dell’ennesmo tentativo di truffa ai danni dei mobilieri brianzoli. L’attività andava avanti da mesi e il furbo campano era riuscito a raggirare molti imprenditori della zona, anche se le cronache non svelano i meccanismi del grisbi che aveva già fruattato alcuni milioni. In più, al momento del fermo, Mi-
mensile di divulgazione storica Periodico in corso di registrazione presso il Tribunale di Monza Direttore responsabile: Giampaolo Cerri Redazione Via Giusti, 32/c 20034 Giussano (MB) tel. 0362.285087 redazione.gdm@gmail.com
chele D.N. ha in tasca anche un coltello a serramanico: abile nei raggiri ma anche pronto a tutto se qualcuno avesse scoperto la truffa. Sarò chiamato a rispondere anche di quello.
U
Muggiò, 1970: addio al Burghett Quarant’anni fa scompariva il Burghett, un pezzo della vecchia Muggiò (nella foto, un altro scorcio cittadino di quegli anni). Alla fine di febbraio del 1970, iniziavano infatti i lavori di demolizione del fabbricato dei Casati, costituito da stalle e fienili e acquisito dalla parrocchia. La struttura, ormai logora, un tempo abitata dai coloni della nota famiglia e per gli abitanti di Muggiò era appunto il borghetto. Al suo posto, il nuovo centro giovanile ma anche la scuola serale.
A DESIO, IN MARZO, BATTESIMI, NOZZE E QUALCHE FUNERALE
M
olti matrimoni a Desio, ai primi di marzo del 1960. Nei registri battesimali delle parrocchie cittadine risultano: Zampaglioni Annunziata di Antonio, Limonta Tiziana di Valentino, Meda Marina Maria di Giulio, Romano Daniele di Clodio, Arienti Maurizio di Carlo, Ventura Maria Luisa di Gianluigi, Arditi Giuseppe di Demetrio, Baldassarri Anna Maria di Alberto, Gianrusso Lucia di Giovanni, Sala Pietro di Sergio, Capuzzo Matilde di Emilio, Tripodi Attilio di Salvatore, Sala Mario di Casimiro, Burgio Angela di Salvatore, Mascheroni Luisa di Pietro, Gecchile Silvano di Giuseppe, Dalla Rosa Alberto di Ferruccio, Salvatori Marina di Giuseppe, Zecchin Maria Rosanna di Zaccheo, Porro Anna Lisa di Eugenio, Riga-
monti Paolo di Domenico. Fiori d’arancioi per alcune coppie. Si tratta di Borsarelli Andrea che sposa Colombo Marisa, Caldarola Luigi che va a nozze con Brandolin Maria mentre Quaggetto Giuseppe conduce all’altare Sapone Caterina, Maiorano Giuseppe convola con Abbruzzese Rosa, Colombo Valentina va in moglie a Villa Natalino e si dicono «sì» anche Camnasio Franco e Camnasio Olga. (Ai cinquantenni e agli sposi d’oro di oggi, gli auguri della redazione e l’invito a inviarci foto o ricordi: li pubblicheremo, ndr). Ma furono anche giorni di lutto a Desio: morirono Natale Perego di 41 anni e Giuseppe Piccolo di 46, e due bambini praticamente neonati: Gabriele Degan, 2 due settimane e Giuseppe Bestetti, di appena 2 mesi.
hanno collaborato: Leandro Cazzaniga, Martina Cerri, Beppe Citterio, Daniele Corbetta, Doranna Fumagalli, Walter Giussani, Annagrazia Internò, Daniele Villa
Progetto grafico e impaginazione: box313 (www.box313.net) Editore: Associazione Culturale Storia e Territorio Via Giusti, 32/c 20034 Giussano (MB) tel. 0362.285087 email: assostoria@gmail.com Stampa A.G. BELLAVITE Via I maggio, 41 23873 Missaglia (Lc)
La curiosità
Stato civile 1960
C Colo phone il Giornale della Memoria
La Storia na discussione trascesa in alterco vero e proprio, una discussione accesa che diventa grana giudiziaria. Accade nei pressi di Arcore, in località Buttafava. Siamo nel dicembre del 1965 e Giovanni C., 33 anni, di Oggiono, fa il casellante nel tratto ferroviario della Monza-Molteno, una tratta abbastanza trafficata, soprattutto di treni pendolari. Nella vicina drogheria, Giovanni incontra il meccanico Francesco C., classe 1917, di Villasanta, dove fa il meccanico. Non si sa come ma i due iniziano a discutere proprio della gestione del passaggio a livello da parte dell’oggionese. A detta del maccanico, da quando Giovanni C. si era insediato in quel casello, le cose non andavano più bene e i tempi di attesa si erano allungati. Un’inefficienza che sarebbe costata lunghe attese ai cittadini che, in automobile, devono attraversare quel tratto di ferrovia. Una critica cui, il casellante risponde per le rime e, secondo i testimoni, volano parole grosse e gli avventori del negozio temono per un attimo che si possa arrivare alle mani. Per fortuna non si va oltre perché il ferroviere sgombra il campo e esce dal negozio. Per il meccanico di Villasanta quasi il segno di una vittoria. Quasi, appunto, perché quando con l’auto riparte arriva la sorpresa: le sbarre sono abbassate anche se a quell’ora il treno non deve passare. Giovanni C. se la ride: è la sua vendetta. il meccanico deve aspettare almeno un quarto d’ora. Ma a sera, va dai Carabinieri che denunicano il casellante. Nel gennaio ’70 (la giustizia era lenta 40 anni fa, ndr), il Tribunale di Monza lo rinvia a giudizio: abuso in atti d’ufficio e di falso.
3 Febbraio 2010
SEREGNO, 1970 MUTAZIONE NEL POLLAIO Pochi anni dopo, si sarebbe certamente incolpata la diossina dell’Icmesa ma, in quel marzo del 1970, l’incidente di Seveso era ancora lontano. Eppure, la nascita di un pulcino con quattro zampe e due cuori non poteva non arrivare alla cronache locali. Protagonista, l’avicoltore Renato Zamuner, abitante a Seregno, in via Resegone. Andando a controllare dieci dozzine di uova deposte tre settimane prima, l’allevatore scopre fra i pulcini il piccolo mutante a quattro zampe. «Visto come i fratellini», scriveranno le cronache del Cittadino, con corredo di foto. Il «mostriciattolo» sarà preso in consegna dagli studiosi di zoologia dell’Università di Milano, di cui l’articolo cita il professore Gandolfi, per analizzarne lo sviluppo e «per accertarsi se sopravviverà».
4
Febbraio 2010
Monza 5 gennaio 1960. Un treno di dieci carrozze deraglia in città
la Morte su
Il diretto delle otto arriva da Lecco carico di lavoratori e studenti. N e piombano in velocità in un tratto interessato da lavori. Vagoni cro
monza 1960
U
n boato aveva asquarciato la quiete di quella mattina. Un frastuono di lamiere, che si accartocciavano violentemente, uno schianto sordo di muri che crollano, si era sovrapposto, annientandoli, ai soliti rumori di una tranquilla e nebbiosa giornata monzese di martedì 5 gennaio 1960: poche auto, qualche furgone, qualche autobus, calpestio e voci di persone che se ne vanno serene a lavoro. Quel sinistro clangore sibila per tutta via Libertà ma si sente distintamente nelle strade circostanti. è il fragore della morte: il diretto 341 – 10 carrozze con più di 200 persone a bordo - è deragliato schiantandosi contro le impalcature del cantiere che realizza un sottopasso e gli edifici circostanti, fra i quali i Lanificio BBB. Inspiegabilmente, il convoglio, carico di pendolari della Brianza lecchese, è piombato nel tratto ferroviario cittadino a quasi cento chilometri orari, laddove, soprattutto a seguito dei lavori, si dovrebbe procedere dieci volte più lentamente. Perché in quel punto, l’attraversamento avviene su una struttura di travi d’acciaio, sotto la quale appunto si scava per far scorrere la strada. E i vagoni sono schizzati via dalla strada ferrata, schiacciandosi, rovesciandosi e aprendosi, alcuni, come scatolette di latta. Dopo il botto terribile, restano nell’aria solo le grida e il lamento dei feriti. Chi si affaccia alla sede ferroviaria e scorge il serpentone disarticolato delle carrozze, capisce subito che si tratta di un disastro. Accorrono tutti, nervosamente, disperatamente. La notizia in un istante fa il giro della città. Si precipitano i carabinieri, i vigili del fuoco, le ambulanze della Croce rossa e a decine arrivano, dalla vicina stazione, i ferrovieri. Tutti, alla vista delle lamiere contorte, mormorano la medesima parola: strage. E anche i resoconti ufficiali, i rapporti di polizia, le indagini aperte immediatamente, di questo parlano. Perché sulla massicciata, uno dopo l’altra, vengono adagiate quindici salme mentre la sedicesima vittima, un trentenne di Calolzio Corte morirà in ospedale, dopo aver subito vanamente l’amputazione di una gamba drammaticamente maciullata dalle lamiere. I feriti sono 123 (vedi box a sotto). Fra i morti anche il parroco di Dervio, don Giuseppe Gaffulli, che aveva preso precipitosamente quel treno per correre al capezzale dell’anziana madre morente. Nel disastro del 341, il treno pendolari, muore gente semplice, che
Così il settimanale Oggi raccontò il 14 gennaio la strage di Monza. Immagine tratta dal sito Arengario.net (Alfredo Viganò)
ne scrisse ANCHE Dino buzzati Grandi firme raccontarono le giornate di Monza: Di Bella, Cavallari e anche l’autore de Il Deserto dei Tartari
F
irme illustri si distinsero nelle cronache tragiche del 341. Due inviati speciali raccontarono la tragedia, la sua dinamica, lo strazio dei sopravvissuti. Entrambi, negli anni ’70 e ’80, si sarebbero trovati alla direzione del Corriere: Franco Di Bella, che a Monza, raccontò l’incidente con tono appassionato, fu direttore dal 1977 fino al 1981, negli anni sfortunati di Angelo Rizzoli Jr e della bufera P2. Alberto Cavallari che, in quel gennaio di cinquant’anni fa seguì i feriti e i familiari, gli succedette alla guida del giornale, dopo che su via Solferino si era abbattuto lo scandalo legato a Licio Gelli. Ma un’altra grande firma dipinse la strage monzese: fu Dino Buzzati, grande inviato e cronista di nera, ma anche scrittore (Il deserto dei Tartari) e pittore. Buzzati firmò sulla pagina cinque del quotidiano un commento che legava quella tragedia agli altri fatti dolorosi con cui si era innaugurato l’anno: la morte violenta dello scrittore Albert Camus, lo stesso giorno in un incidente stradale, la scomparsa del grande Fausto Coppi, due giorni prima, per una malaria diagnosticata in ritardo, e la morte della figlia di Edoardo De Filippo, la piccola Luisella, uccisa da una sincope fulminante, mentre in vacanza con la famiglia, stava giocando a ping-pong. «Di che cosa stavano discorrendo quei poveri uomini donne mentre il treno imboccava la trappola fatale?», si chiedeva nell’articolo intitolato Cha fai, 1960?, apparso a pagina cinque dell’edizione del 6 gennaio. «Avevano compianto ancora Fausto Coppi, con gli inevitabili commenti che in questi giorni abbiamo udito migliaia di volte. E, intrecciando questi dialoghi di bocca in bocca, di scompartimento in scompartimento, si spargeva, fra esclamazioni di incredulità e orrore, la notizia di Luisella De Filippo. E chissà che qualcuno, fra tante commiserazioni, non abbia aggiunto il nome di Camus. “Camus, chi è?”, “Eh, un grande scrittore”. “Morto anche lui?”, “In un incidente di automobile. A tutta velocità andato a sbat...”. In quel preciso momento il selvaggio sbandamento, l’urto spaventoso, il buio. Una catena un po’ troppo pesante, di disgrazie. Una dopo l’altra, senza pausa. E quest’ultima, veramente, troppo dura da portare. Che stai facendo, o anno appena nato?».
ui BINARI
5
D
I morti
Giuseppe Gaffulli, Dervio, sacerdote; Piero Vacchini, 59 anni, Milano, macchinista; Lorenzo Rossi, Calolzio; Wanda Vertemati, 34 anni, Bernareggio, impiegata; Angelo Vertemati, 32 anni, Bernareggio, impiegato; Silvano Cantù, 23 anni, Bernareggio, impiegato; Silvana Vismara, 24 anni, Montevecchia di Merate; Luca Colombo, 32 anni, Montevecchia di Merate; Giovan Battista Malighetti, 35 anni, impiegato, Caprino; Luigi Soldini, 75 anni, industriale, Palazzago; Lodovica Mariani, Merate; Maria Mandelli, 39 anni, Lomagno; Elio Sangiorgio, 20 anni, Olgiate Molgora; Alessandra Mazzola vedova Colombi, 30 anni, Calusco d’Adda; Anna Soggetti, 39 anni, Lecco; Paolo Milani, Calolzio Corte (deceduto in ospedale).
I feriti
Giovanni Marai, Morbegno; Giuseppina Gavazzi, Talamona; Silvana Benetti, Mantello; Alma Fanti, Colorina; Teresina Massenti, Regoledo di Cosio; Imelda Baio, Usmate; Margarita Radaelli, Usmate; Maria Luisa Villa, Usmate; Federico Gagliardi, Bernareggio; Alessandro Mapelli, Usmate; Giuseppe Carpani, Milano; Agnese Meregalli, Milano; Pierina Mosconi, Milano; Mauro Passoni, Aicurzio; Luigi Cattaneo, Carnate; Luigio Morelli, Carnate; Andrea Giuliano, Milano; Bonaventura Mazzoleni, Almenno; Arturo Savoldelli, Calusco; Giovanni Tironi, Curno; Carlo Tentori, Calolzio; Egle Acquaviva, Ponte S.Pietro; Giovanni Mazzoleni, Almenno; Maria Lucchini, Calusco; Dora Pellegrino, Calolzio; Giovanni Bergamaschi, Ranica; Giovanni Butta, Calolzio; Mario Fontana, Calolzio; Mario Paolo Moschini, Mapello; Giovanni Corti, Calolzio; Rosanna Crespi, Calusco; Anita Gioisis, Bergamo; Linda De Venezia, Calolzio; Renzo Rota, Berbenno; Mario Panza, Villa d’Adda; Luigi Cassi, Amolvere; Paolo Milano, Calolzio Corte; Maria Teresa Ravasio, Cisano Bergamasco; Gian Luigi Cattaneo, Villa d’Adda; Walter Contardo, Calco; Ernesto Carcano, Robbiate; Giovanni Ciapponi, Lecco; Giovanni Casate, Merate; Libero D’Andrea, Lomagna; Augusto Mauri, Lecco; Piero Orsenigo, Calco; Luigi Pirovano, Lomagna; Armando Fortunati, Lecco; Luigia Aldeghi, Verderio; Luigia Gasperazzo, Lecco; Giovanna Stefanoni, Merate; Rita Villa, Cernusco; Linda Vergani, Cernusco; Salvatore Alaimo, Olgiate; Felice Bonfanti, Olgiate; Ernesto Maggiori, Cernusco; Pier Davide Pennati, Olgiate; Marino Maeran, Valmadrera; Luigia Ripamonti, Rovagnate; Dolores Camanera, Lecco; Amalia Gargantini, Cernusco; Giuseppina Mosa, Cernusco; Maria Luisa Soldini, Lecco; Paolo Fumagalli, Casate Novo; Roberto Cornello, Lecco; Giulia Prina, Merate; Egle Ravasi, Cernusco; Cesarini Mantovanelli, Cernusco; Emiliano Sala, Calco; Angelo Ravasi, Olgiate;Raimondo Robbioni, Bellagio; Giuseppina Bossi, Lecco; Wanda Cogliati, Cernusco; Ferdinando Nizzola, Lierna; Giuseppina Ferrario, Olgiate Calco; Giacomina Meroni, Lecco.
Date e fatti di allora
Gennaio 1960
Nella nebbia i macchinisti non vedono i segnali ollati su Via Piave. Sedici i morti e decine di feriti
Tutte le vittime del 341
Febbraio 2010
sco; della camicia gli era avanzata soltanto una manica. C’era stata una lotta selvaggia per raggiungere i finestrini e gettarsi fuori». Augusto Grotteria, ferroviere, che era stato uno dei primi ad accorrere, racconterà al Corriere le terribili scene dell’immediato dopo-incidente. «Tutti urlavano come impazziti. C’era una donna con le gambe fratturate che gridava: “Tiratemi fuori di qui”. Un bambino seduto sulla rotaia, piangeva e chiamava la mamma. Perdeva sangue dal capo». Sul posto, arrivano, con i soccorsi, anche tre sacerdoti della vicina parrocchia di San Gerardo. Con don Florindo Spinelli, parroco, c’è il coadiutore don Massimo Crespi e don Franco Fumagalli. Si precipitano verso il terzo vagone, da dove si odono dei lamenti di feriti. La carrozza è stata trafitta da una rotaia in cima alla quale è appeso un brandello di stoffa nera. Una tragica bandiera di morte perché, come scopriranno i tre religiosi, quel ferro impazzito, sollevandosi dal binario, ha sfondato lo scompartimento dove sedeva don Gaffulli, trafiggendolo a morte, e quel drappo nero è un brandello della sua tonaca. Locomotore e primo vagone sono invece finiti nel cortile del Lanificio BBB, le cui maestranze, guidate dal proprietario, il cavalier Angelo Borghi, prestavano i primi soccorsi. Come scrisse Di Bella, quel pezzo di treno impazzito, aveva distrutto solo auto, motorini e biciclette degli operai e degli impiegati del lanificio che quel giorno, per esigenze produttive, avevano iniziato il lavoro alle sette: un miracolo perché alle otto, quando il 341, sbucando dalla nebbia, è venuto giù dalla ferrovia, solitamente i lavoratori sono appena arrivati e si dirigono, chiacchierando, verso la fabbrica. Tra i primi soccorritori anche gli operai di altri stabilimenti vicini come il nastrificio Ausonio, la fabbrica di caloriferi Streber. E quando l’ultima salma viene composta e l’ultimo ferito accompagnato al San Gerardo, su quell’orribile quadro di morte e devastazione aleggia soltanto un interrogativo: «Perché?». Già a sera, ascoltati i testimoni, le autorità ferroviarie addossano la colpa al macchinista che, peraltro, è stata la prima vittima di questo disastro: il ferroviere milanese Piero Vacchini di 59 anni che, probabilmente, per la nebbia, non si sarebbe accorto che il convoglio era ormai prossimo alla stazione di Monza e a ridosso del punto di rallentamento. «Il responsabile ha già pagato: con la morte», dirà senza la minima esitazione il direttore generale delle Fs, l’ingegner Severo Rissone. continua a pag.6
1 gennaio Italia: assegnata alla lira l’Oscar della moneta ; Indipendenza del Camerun 2 gennaio Tortona: muore all’età di 41 anni Fausto Coppi, il campionissimo, a causa di un’infezione di malaria non diagnosticata. 10 gennaio Italia: viene messa in onda per la prima volta sul primo canale radiofonico della Rai la trasmissione Tutto il calcio minuto per minuto. 24 gennaio L’Algerie Française resiste al presidente De Gaulle e allo svolgimento di trattative di pace.
Il costo della vita Tazzina caffè, 50 lire; pane, 140 lire al chilo; latte, 90 lire al litro; vino, 130 lire al litro; zucchero, 245 lire/chilo; benzina, 120 lire al litro
Gli stipendi Paga mensile operaio Industria, 47mila lire; Agricoltura, 30mila lire.
L’omelia dell’Arcivescovo
6
Febbraio 2010
D
Di chi si parla
Giovan Battista Montini Bresciano della Val Trompia (era nato a Concesio nel 1897), Giovan Battista Montini diventa sacerdote nel maggio del 1920 e si trasferisce a Roma, per studiare Diritto (canonino e civile) all’Università Gregoriana e Filosofia alla Sapienza. Nel 1923, viene avviato alla carriera diplomatica, diventando collaboratore della Segreteria di Stato per volere dello stesso Papa Pio XI. Nel ’44 diventa pro-segretario di Stato di papa Pacelli, Pio XII. Nominato arcivescovo di Milano il 1 novembre del 1954, dopo la morte di Giovanni XIII, sale al soglio di Pietro come Paolo VI. Il suo papato dura fino all’agosto del 1978, quando Montini muore a Castelgandolfo. Scrisse sette encicliche fra cui la Populorum Progressio, sulla necessità di un giusto sviluppo di tutti i popoli della Terra, e la Humanae Vitae, che condannava la contraccezione.
«Signore, tu hai preparato loro un’altra Città»
Un imponente corteo funebre che parte dalla Villa Reale per arrivare al Duomo, dove il futuro Paolo VI celebra le esequie delle vittime. Ecco le parole del Cardinale destinate, molti anni dopo, a risuonare in un altro drammatico funerale
S
ignore siamo davanti a Te prostrati dal dolore; davanti a Te andiamo gemendo oppressi dal mistero di questo dolore. Il ricordo di questo fatto violento, cieco, micidiale non si potrà cancellare dai nostri spiriti; ed i pensieri che salgono dalla fatale tragedia sono anch’essi impetuosi e folli. Fa, o Signore, che non siano disperati. Come fu possibile tale sciagura? È il nostro lamento; come sono possibili tali sciagure? È il nostro grido. Perché queste leggi che reggono l’ordine della natura,sono così inesorabili da produrre tanto disordine? Vi è qualche demone assurdo in questo cosmo che ogni giorno scopriamo così sapientemente costruito? Tu ancora c’insegni, o Signore. Assurdo no... Mistero del mondo, non scandalo assurdo, destino disperato. Tu ci insegni, o Signore; mistero tremendo ma non fatale se tu stesso l’hai subito e dal male che’esso nasconde il dolore, tu hai tratto il nostro bene. Tu sei terribile, o Signore - anche quando sei buono e ci umilii e ci flagelli, perché ci abbiamo a ricordare della nostra piccolezza e perché ci ricordiamo d’altro male, di tutto il peggiore, che è la colpa che da te ci recide, da te recide la vita; e tu sei buono, o Signore, anche quando sei terribile, tu che sai svolgere il disegno di misericordia e di pietà, anche nella rovina d’ogni nostro tenue e superbo disegno di sicurezza e di felicità in questa effimera vita. Sì, o Signore, perché tutto non è finito; noi componiamo nella tomba queste salme infelici e carissime, ma tu componi in altro mondo ineffabile. Com’è Signore, questo altro mistero della morte? Anch’esso riempie di tenebre l’occhio che lo contempla. Erano sante queste vite, erano care, erano nostre. I fili si sono spezzati; stroncati i loro progetti; infranti i loro ed i nostri affetti. Ecco: il ricordo dolcissimo, nel cuore di chi li piange, diventa amarissimo. La nemica, la morte, ha vinto. E qualche cieca e crudele vittoria! Ma tu ci richiami, o Signore, tu o Cristo suppliziato dormiente sulla Croce, tu ci richiami ad una suprema coraggiosa lezione dell’immortalità verso cui spasima il nostro cuore e si acceca la nostra mente. Tu ci richiami e ci avverti che queste vite palpitano ancora; il loro spirito vive; si è dissolta la magnifica fusione dei due eterogenei elementi: anima e corpo, che li faceva un solo essere. Ma l’anima è incorruttibile, l’anima è superstite, vive ancora. Dove? Come? Tu non metti che risposte balbettanti sulle nostre labbra, ma affranchi ogni dubbio la nostra certezza: tu non sei il Dio dei morti ma il Dio dei vivi. Tu non ti vergogni di essere chiamato il Dio dei nostri defunti, perché hai preparato loro un’altra città. Tu li hai accolti o Signore, tu li hai giudicati, ma un mistero di pietà segue quello della morte, perché una solidacontinua da pag. 5
E infatti le testimonianze dei sopravvissuti, parrebbero avvalorare la tesi della tragica disattenzione. «Se questo non si ferma in tempo», aveva detto Federico Gagliardi, 38nne di Bernareggio, passeggero della prima carrozza, «voliamo fuori con tutto il treno». E, più allarmato di lui, seduto anch’egli nel primo scompartimento, Armando Fortunati urlava: «Ma è pazzo... andiamo almeno a cento all’ora, santo cielo». Un istante dopo l’irreparabile: «Da sotto il pavimento sprizzavano scintille, fuori baluginavano fiamme: erano le ruote che mordevano l’asfalto», racconteranno i due. Alla ricostruizione del deragliamento, sulle prime, non contribui-
rietà unisce in Cristo il regno di noi vivi morituri col regno dei morti sempre immortale. E un messaggio di bontà di pace non può essere trasmesso dal centro della vita e della sorte umana che è Cristo. Fratelli, se vogliamo bene a questi defunti che orrenda morte rende a tutti diletti, preghiamo per essi. Ho detto “fratelli”. Perchè questa preziosa parola viene facile in questo luttuoso momento? Erano sconosciuti, per quanti di noi a loro non siamo parenti o colleghi, e forse erano sconosciuti fra loro stessi. Ma ora una unica morte li ha uniti, ora un unico rito li circonda, un unico pianto li segue. Erano lavoratori, erano studenti, la maggior parte gente intenta alla propria quotidiana fatica. Tra esse un umile prete che correva al capezzale della madre morente. Ecco, la sorte pietosissima ci presenta il quadro della loro semplice esistenza. Erano figlio del nostro popolo. La loro fine li strappa a noi e non mai li sentiamo nostri come quando non lo sono più, e quanti siamo qui ci sentiamo orfani della loro presenza, avvertiamo d’essere membri di una stessa società, che nell’ora del dolore si svela famiglia, famiglia umana. Il dolore ci affratella, la morte ci fa buoni. Vorremmo conservare di questo tragico episodio un ricordo, un vincolo di bontà umana e di cristiana pietà. Fratelli, non è piccolo questo bene. Lo dobbiamo raccogliere. La nostra società ne ha bisogno, tanto bisogno; es-
sce il secondo macchinista, Andrea Giuliano, 51 anni, milanese, che è salvo ma sotto choc, anche se nei giorni successivi, nell’inchiesta delle Ferrovie e in quella della magistratura, si farà strada l’ipotesi che fosse proprio lui alla guida del 341. A lungo in esame, anche la posizione di due cantonieri (vedi articolo a pag. 7). Avrebbero dovuto curare alcuni dispositivi di illuminazione e disporre sulle rotaie alcuni petardi che, anche in caso di scarsa visibilità, esplodendo al passaggio del treno, possono dare un segnale. Accorso sul luogo della strage anche il cardinal Giovan Battista Montini, arcivescovo di Milano. Il porporato aveva sostato in preghiera davanti alle lamiere. «Si è fermato più volte davanti alle carrozze
sa non è abbastanza compaginata da sentimenti di sincera e solida fratellanza. Tutto questo progresso tecnico ed economico che ci agita e ci arricchisce, da sé manca di amore. È una macchina che ci solleva e chi ci può, da un momento all’altro, deprimere. È tutto pieno di potenze potenti, ma non ha cuore. Ci può rendere rivali e nemici. Può, proprio per i suoi tremendi stimoli materiali ed economici, prepararci quella rovina meditata e voluta che è la guerra. Ma non deve essere così, assolutamente. La tragedia di queste vittime stritolate da un incidente stupidamente tecnico, ci avverte che dobbiamo vivere da uomini, da fratelli, da cristiani, nel grande apparato civile meccanico che andiamo costruendo. Le possiamo dire vittime della civiltà queste vite senza colpa recise; la loro morte innocente ha qualche cosa del sacrificio che le unisce al sacrificio di Cristo; il dovere che stavano compiendo e l’involontarietà della cause che le ha colpite, ci fa pensare ad una immolazione che vorremmo salisse a Dio per il nostro mondo del lavoro, per la nostra società civile, per la nostra spirituale famiglia di credenti e di cristiani. A loro pace, a conforto delle vittime piangenti e di tutto il personale che ogni giorno vive la sua vita rischiosa, a nostro salutare ammonimento: o Signore abbi pietà di loro; o Signore abbi pietà i noi
trasformate in bare d’acciaio, recitando a fior di labbra il de profundis e impartito benedizioni», scrisse il Corriere. Due giorni dopo il deragliamento, quando le 15 bare, dalla Villa Reale, raggiunsero il Duomo di Monza, seguite da un interminabile corteo di gente, il cardinale officerà i funerali, pronunciando la bellissima omelia che riportiamo qui sopra. Un discorso sofferto, in alcuni passaggi destinato a richiamare un’altra celebre omelia, quella pronunciata, 18 anni dopo, in morte di Aldo Moro, in cui, l’allora Paolo VI, si rivolgerà a Dio dicendo: «Signore, non hai ascoltato la nostra preghiera». A Monza, le vite spezzate sono molte e tutte giovani. Le cronache
riportano con commossa drammaticita, storie di affetti troncati. Come quella di Marisa C., che l’indomani mattina di quel 5 gennaio, vaga nel salone d’onore della Villa Reale, fra la bare contenenti i poveri resti delle vittime. Cerca il fidanzato, Elio Sangiorgio, 20 anni, di Olgiate Molgora. «Sangiorgio», grida la ragazza, «è qui Sangiorgio?». Ma le spoglie sono così dilaniate da non poter esser mostrate. Un poliziotto le sottopone l’agenda rinvenuta addosso alla vittima. Alla pagina del 5 gennaio, l’annotazione che conferma la sua personale tragedia: «Oggi vedrò la mia Marisa», si poteva leggere. E Marisa C., raccontò il cronista del Corriere della Sera, «crollava al suolo priva di sensi»
7
T
Febbraio 2010
Tu c’eri?
Conoscevi questi fatti? Li hai vissuti in prima persona? Sai di persone che ne sono stati protagonisti o semplici testimoni? Raccontalo al Giornale della Memoria. Con i tuoi ricordi e le tue foto potrai costruire il prossimo numero assieme alla redazione. Contattaci al numero di telefono 0362.285087 o, via mail, all’indirizzo redazione.gdm@gmail. com
Nella suggestiva ricostruzione di Achille Paticucci per il Corriere del 6 gennaio 1960, il deragliamento di Monza. Il convoglio esce dai binari perché arriva in velocità sul cantiere dei lavori di Via Piave. Il locomotore supera l’attraversamento, rimanendo miracolosamente sulle rotaie, mentre i primi tre vagoni crollano nel cortile del Lanitificio BBB, dove la strage avrebbe potuto ingigantirsi: le operaie, quel giorno, erano entrate un’ora prima.
PRESUNTI Colpevoli così L’inchiesta
Dopo l’ipotesi dell’errore umano si fa largo quella dei segnali omessi. E un dubbio: chi guidava il 341?
E
rrore umano. Da subito, nelle ore successive alla strage del diretto 341, le inchieste delle Ferrovie dello Stato e della magistratura si indirizzano su questa ipotesi per cercare di spiegare il disastro. Nell’Italia del 1960, il garantismo è scarsamente praticato e, dinnanzi a una strage di enormi proporzioni, si fa largo nelle autorità la tentazione di sbattere subito qualche colpevole in prima pagina. I primi a muoversi in questa direzione sono proprio i vertici delle Ferrovia. Già nella serata del 5 gennaio, comincia il direttore generale delle Ferrovie, Severo Rissone con le dure dichiarazioni che riportiamo nell’articolo qui a fianco e secondo le quali il responsabile avrebbe già pagato con la vita il proprio errore, riferendosi quindi al macchinista deceduto. E nella stessa direzione si muove l’inchiesta giudiziaria, affidata al magistrato Roberto Petrosino, della Procura di Monza, che individua un profilo di colpa per i due macchinisti: Pietro Vacchini, morto nell’incidente, e Angelo Giuliano, uscito quasi illeso. Quest’ultimo, a partire dalla sera dell’incidente, viene addirittura piantonato in ospedale. Ma gli inquirenti monzesi, da subito, seguono un’ipotesi diversa: quella dello scambio di ruoli. A insospettire gli inquirenti, il fatto che il secondo fosse uscito vivo dal terribile impatto. Il locomotore infatti appariva completamente
distrutto nel punto dove solitamente si trova l’aiuto macchinista mentre risultava miracolosamente intatta la zona dei comandi e il posto di guida del treno. Di qui l’ ipotesi: che fosse lui, e non il Vacchini, ai comandi della motrice. Il superstite negò sempre, raccontando come, dopo la stazione di Arcore e a poche centinaia di metri dal disastro, avesse realizzato che il collega sottovalutava il pericolo e di aver tentato disperatamente di strapparlo ai comandi. Regolari sarebbero stati gli allarmi sonori (petardi sulle rotaie che scoppiarono effettivamente al passaggio del treno) e le segnalazioni visive, le vele gialle, che però la nebbia avrebbe potuto nascondere alla vista di chi conduceva il diretto 341. Non mancarono ovviamente i sopralluoghi lungo lungo la sede ferroviaria. Le indagini documentarono come sui binari a monte della tragedia non ci fossero segni di frenata. Pochi giorni dopo il fatto, tuttavia, si cominciò a parlare di un possibile concorso di colpa. Entrarono infatti nell’inchiesta anche le possibili responsabilità di chi lavorava lungo la linea e al cantiere del sottopasso. La polizia interrogò a lungo Giuseppe Caucchiolo, che risiedeva nella casa cantoniera al chilometro 3+315. L’uomo doveva infatti azionare alcuni dispositivi luminosi e aucustici in caso di nebbia. Si trattava di vele luminose costituite da lampade a olio con vetri catarifrangenti, issate nelle ore buie - dalle 17 fino alle 8 del giorno successivo o comunque fino al dira-
darsi della nebbia. In contemporanea, il cantoniere, nei giorni di scarsa visibilita quali quelli della strage, piazzava sulle rotaie i petardi. Gli inquirenti ipotizzarono che proprio questi ultimi non fossero stati collocati e che le vele fossero state ritirare malgrado permanesse una fitta nebbia. La deposizione finale dell’aiuto macchinista scagionò definitivamente il cantoniere. La nebbia era fitta, tanto che i due avevano abbassato i finestrini e si sporgevano spesso all’esterno con la testa per vedere i segnali. Giuliano confermò di avere udito gli scoppi, di aver avvisato il collega e di aver tentato la manovra disperata per mettersi ai comandi alla vista della seconda vela, quella immediatamente adiacente il sottopasso. Gesto che non avrebbe impedito il deragliamento. L’autopsia di Vacchini e le analisi del sangue dell’aiuto accertarono che i due erano sobri. L’inchiesta chiarì anche che Vacchini non indossava gli occhiali, quel giorno, ma che gli stessi correggevano una lieve presbia e non gli erano necessari per il lavoro. Come riferì il Corriere della Sera alcuni giorni dopo la tragedia, il magistrato Petrosino avrebbe atteso una giornata di forte nebbia per ripercorrere, nella cabina del Sondrio-Lecco-Milano, il tratto dela morte. Nelle cronache successive non c’è traccia però di questo test. Forse, quando fu effettuato, altro dominava l’attualità e i 16 morti del 341 non interessavano più
monza 1960
Macchinista superstite sotto accusa
la Storia
8
TRIUGGIO- SEREGNO 1960-70
Febbraio 2010
1918, LA SPAGNOLA NE UCCIDE PIÙ DELLA GUERRA Dopo l’orrore della guerra di trincea, la paura della spagnola. Nel 1918, dopo il virus della guerra si diffuse, mietendo più vittime, quello dell’influenza. La pandemia, che fece 50 milioni di morti, si diffuse inizialmente nella Penisola iberica ma, a introdurla in Europa, furono proprio le truppe americane che combatterono nella Grande Guerra, a partire dal 1917. E proprio le drammatiche condizioni di igiene che regnavano sui fronti e soprattutto nelle trincee, dove migliaia di fanti combattevano ammassati, favorirono il contagio. In Italia i morti furono da 400 a 600mila, secondo varie fonti. E 600mila erano stati i morti italiani dell’intero conflitto ’15-’18. Nel mondo la Spagnola contagiò un miliardo di persone, uccidendone 50 milioni. Il conflitto era stato letale «solo» per 10 milioni di soldati.
1970, il nuovo virus
SPAZIALE, UN FLOP D’INFLUENZA La pandemia di Honk Kong arriva dieci anni dopo l’Asiatica e semina panico in tutta la Brianza ma, alla fine, risulta meno letale di altre di Daniele Corbetta
I
nfluenza, pandemia, vaccinazioni, contagio: anche nell’inverno 1969/70, così come in quello 2009/2010 le parole maggiormente in voga erano queste. E, a distanza di quarant’anni, la situazione non si è modificata poi tanto. Anche allora una grossa fetta del globo terrestre dovette fare i conti con l’influenza di «Hong Kong», in Italia rinominata talvolta come influenza Spaziale, per via del maccanismo che la generava, detto di «spostamento antigenico» che, dal ceppo influenzale H3N2 conduceva allH2N2. Il particolare virus dell’influenza, al pari dell’ormai celeberrima Suina, protagonista delle cronache
(ma anche delle polemiche sulla sua effettiva pericolosità) dei giorni nostri, dette origine a una pandemia, con problemi e allarmismi correlati. Il virus viene isolato 1968 a Hong Kong e si è in seguito diffuso, per tutto il 1969, nel resto del mondo, ma avendo una mortalità piuttosto bassa. Secondo gli esperti, la derivazione di questo virus da quello dell’Asiatica, che aveva colpito circa dieci anni prima (1957/58) nelle stesse zone, aveva diffuso fra la popolazione gli anticorpi per combattere e rendere meno offensiva la Spaziale. Secondo le statistiche sanitarie, quel virus causa complessivam-
Il caso Vaccinato, muore 50nne L’influenza Spaziale fa salire alla ribalta delle cronache del 1970 anche una vittima indiretta. Si tratta di un operaio cinquantenne di Seregno, deceduto il 5 febbraio, a picco influenzale ormai superato. I giornali di quel periodo riconsegnano la tragica storia di Ferdinando Giuliani, classe 1919, spentosi all’ospedale di Monza. Il lavoratore viene colpito dal virus dell’influenza spaziale verso la fine del 1969, nel momento di massima espansione del contagio, senza tuttavia dover sottoporsi a cure mediche particolari. Ma il quadro si complica. Giuliani non guarisce e si rivelano necessari alcuni accertamenti, consigliati dal medico curante. Dalla analisi emerge infatti una complicazione e le lastre evidenziano un addensamento polmonare. Da qui il ricovero presso nel reparto di pneumologia. Ma qui, dopo un’inizione di antibiotico, l’operaio di Seregno perde conoscenza nel giro di pochi minuti. E malgrado gli interventi del personale medico Giuliani si spegne. Una morte che fa scalpore, in città e in tutta la Brianza, per l’età ancor giovane della persona e per le modalità con le quali avviene. Per qualche settimane le cronache fanno varie ipotesi, fra le quali shock anafilattico. Poi del caso si perde traccia. Resta una sola certezza: Ferdinando Giuliani, 50 anni, operaio, non c’è più.
te all’incirca 700mila decessi di cui ben 34mila nei soli Stati Uniti d’America (ma c’è chi parla di 2 milioni). Storicamente si tratta di una delle pandemie meno letali della storia dell’influenza. Tanto per stare al precedente più prossimo, l’Asiatica, che si sviluppò in Cina come aviaria delle anatre per poi combinarsi in un ceppo umano, causò quattro milioni di morti. Per non parlare della terribile influenza Spagnola (vedi box, sopra), che uccise circa 50 milioni di persone nel mondo. In Italia arriva di fatto la coda della «Spaziale» che si sviluppa nell’inverno a cavallo tra il 1969 e gli inizi
1970 e la Brianza non è immune dal diffondersi del contagio. Da Monza a Lecco, da Arcore a Cantù c’è, in quei giorni di fine ’69 una forte preoccupazione. E la e comunità tireranno un respiro di sollievo solo verso la fine del gennaio 1970, a picco influenzale ormai superato. Dalle cronache dell’epoca è possibile ricostruire l’andamento del contagio nell’area di Seregno-Cesano Maderno e Giussano, zona di competenza, anzi «Consorzio di vigilanza igienica» come si diceva allora, di un unico ufficiale sanitario, il dottor Ernesto Benedetti. Una situazione che può essere presa a modello per buona parte degli altri comuni brianzoli.
Statistiche 1980 e 1990 VIRUS BLANDO, IN LOMBARDIA, DIECI E VENTI ANNI DOPO
M
illenovecentottanta e dintorni. Che cosa successe, per quanto riguarda le malattie, trent’anni fa? Le risposte, a livello regionale, le fornisce l’area statistiche dell’Istituto superiore della Sanità, nel sito www.iss.it. L’influenza, per esempio, quell’anno causò 192 morti in Lombardia, di cui 115 uomini e 77 donne, quasi tutti fra gli over70. I dati però mostrano anche una dozzina di decessi sotto i 12 anni e tutti, singolarmente, fra le femmine. Andò certamente peggio, quell’anno, con le malattie infettive, che fecero registrare qualcosa come 531 vittime, di cui 347 maschi e 184 femmine. Qui, a differenza dell’influenza, ad essere colpiti sono più
fasce di popolazione, a cominicare dai 50 anni. Fra i più piccoli, la mortalità più alta si registra sempre fra i neonati: quell’anno se ne andranno 11 per malattie infettive. Dieci anni dopo, nel 1990, i dati relativi all’influenza sono soprendentemente in linea: i decessi furono 192 anche quell’anno, solo che le donne furono stavolta 124 e 68 i maschi. Per fortuna nel 1990, la pandemia influenzale fu clemente con bambini e giovani. Si segnalarono solo tre casi, e tutti maschi, nella fascia 15-19 anni. Migliore, e molto, il dato delle malattie infettive. Furono 267, quell’anno i lombardi a morire per queste patologie: si trattò di 162 uomini e 105 donne.
9 Febbraio 2010
Morti pandemia Influenza inverno ’68/69 ottobre 47 novembre 21 dicembre 54 gennaio 37
L’influenza arriva in città nei primi giorni del dicembre 1969, portando con sé le classiche ricadute sociali: numerose assenze da fabbriche, uffici e scuole.Ovviamente, come accade per ogni pandemia, l’attenzione dei mezzi di comunicazione si focalizza sui decessi, in questo caso legati soprattutto a complicazioni bronco-polmonari sopraggiunte per la maggior parte in persone anziane o con precedenti problemi di salute. Anche in quei giorni, c’è un importante capitolo legato al vaccino. Allora come oggi la profilassi antinfluenzale venne ampiamente raccomandata, resa disponibile presso gli uffici sanitari, specialmente per malati ed anziani o per persone dai 60 anni in poi, ovvero la fascia d’età più coinvolta dai decessi. Non c’era, a differenza di oggi, nessun accenno ai costi sociali della vaccinazione: le polemiche dei nostri giorni sui possibili sprechi nell’acquisto di dosi da parte del ministero della Sanità, non erano proprio nella sensibilità delle persone. Possiamo quindi entrare nel dettaglio con i dati forniti dall’ufficiale sanitario dell’epoca e pubblicati dal Cittadino del 31 gennaio del 1970. Dal confronto fra il numero di decessi complessivi nel periodo precedente ai mesi di dicembre ’68 e ’69 non emerge nessun dato significativo: le cifre sono sostanzialmente invariate, attestandosi sotto i 20 morti. Confrontando invece la prima decade di dicembre ’68 con quella di dicembre ’69, si nota che la mortalità è aumentata. In particolare la forbice cresce nella seconda decade: 41 decessi contro 19 dell’anno precedente. Il picco si tocca negli ultimi dieci giorni del 1969: 45 morti contro i 18 del 1968. Il 1970 riapre sugli stessi valori: 35 decessi contro 19. Quindi la discesa: 27 morti nella seconda decade e un principio di ripopolamento di scuole e fabbriche. Insomma: una violenta ondata d’influenza Spaziale, breve e intensa, che provoca circa il raddoppio della mortalità ordinaria mensile. Una situazione grave ma complessivamente abbastanza nella norma. Speriamo di poter archiviare allo stesso modo la Suina, di cui è atteso un ritorno a breve dopo la fiammata di novembre
Storia nel mondo
1960: l’anno di Dallara e Bono
’69/70 45 18 116 62
Broncopolmonite inverno ’68/69 ottobre 6 novembre 11 dicembre 12 gennaio 9
S
’69/70 2 12 37 27
1960, Epidemia letale
EPATITE KILLER, TRE VITTIME IN UNA SETTIMANA Il virus terrorizza Triuggio e Tregasio. Contagiati anche due bambini ma, per i sanitari, è tutto sotto controllo di Martina Cerri
Il 30 gennaio, l’Automobil Club d’Italia-Aci rende noto lo strabiliante dato delle immatricolazioni di auto: 731.182 contro le 473.833 nuove auto dell’anno precedente. Dal 28 al 30 gennaio, il Teatro Ariston di Sanremo ospita la decima edizione del Festival.Vincono Renato Rascel e Tony Dallara con Romantica, seguiti da Dominico Modugno con Libero. Mina solo ottava (insieme a Teddy Reno) con È vero. Fred Buscaglione, cantante e attore di fama, muore all’alba del 3 febbraio, a Roma, in un tragico incidente stradale. Il 10 maggio, a Malaga, in Spagna, nasce Antonio Banderas, attore. Tre mesi dopo, il 10 agosto, a Dublino, vede la luce Paul Hewson, noto in seguito come Bono Vox, leader degli U2. Dalla base americana di Ca-
pe Canaveral, il 12 agosto viene lanciato Echo, uno dei primi satelliti per telecomunicazioni.
1970: Beatles e Mariano Rumor
Il virus dell’Epatite virale osservato al microscopio
O
ggi le epidemie spaventano ancora. Oltre alle sindromi infl uenzali, la Brianza è spesso funestata da casi gravi di meningite di un ceppo tipico di queste zone. C’è stato un tempo però, e neppure tanto lontano, in cui poteva accadere che i virus colpissero brutalmente fra le case di questa terra, come accadde, 50 anni fa, a Triuggio e Tregasio. L’inverno se ne stava andando e la primavera già illuminava le nevi del Resegone e i campi, di lì a poco, sarebbero tornati a fiorire di vita. Ma su quei colli, d’improvviso, scoppiò la malattia: un morbo, un virus noto, che pareva rimandare agli anni difficili, ai giorni bui della guerra e della fame, degli sfollati senza mezzi scappati via da Milano. D’improvviso arrivò l’epatite virale. Si cominciò a Triuggio, dove, il 21 febbraio, di domenica, spirò Rodolfo Sanvito, 47 anni. E la gente del paese non si era ancora riavuta dallo sbigottimento e dal dolore che, pochi giorni dopo, l’epatite si portava via anche Adele Colombo, nata solo 28 anni prima. Quando il medico aveva capito di cosa si trattasse, ne aveva ordinato subito il ricovero nell’ospedale di Carate ma era proprio qui che la malattia aveva la meglio. E mentre il dolore si mescolava alla paura e per le strade, nei negozi, nelle cascine della zona
non si parlava d’altro, di colpo, la notizia di un’altra morte, stavolta a Tregasio: giovedì 25, il virus si prendeva Lodovico Sala. Era quello il suo sessantunesimo anno di vita e certamente non aveva messo in conto, con quella primavera incipiente, che potesse essere l’ultimo. Ormai in ogni casa, allo sconforto per tante persone ancora giovani fulminate dal male, era subentrata la paura del contagio, anche se, come riporta il Cittadino, nell’inserto La voce di Giussano del 26 marzo 1960, «l’autorità sanitaria ha disposto tutte le le misure profilattiche del caso mentre sono in corso le indagini sulle cause dell’epidemia che, a detta dei sanitari, non deve però destare eccessive preoccupazioni». Al contrario, nei due paesi, le preoccupazioni crescevano alla notizia che la malattia non risparmiava nessuno, neppure i più piccoli come Giampiero Casiraghi, 7 anni, di Triuggio e Rosanna Viganò, classe 1954. Le preghiere delle famiglie, le cure in ospedale a Carate e l’attaccamento alla vita dei piccoli ebbero però la meglio sul morbo. Giampiero e Rosanna ce la fecero: tornarono a scuola e in oratorio, a giocare con gli amici e a raccontare quella brutta storia di quando, in un giorno di quasi primavera, li avevano portati all’ospedale
Il 3 gennaio i Beatles s’incontrano per l’ultima volta in uno studio di registrazione, a Londra. Lo scopo? incidere l’album Let it Be. Il 10 aprile «i fantastici quattro» comunicheranno al mondo lo scioglimento del gruppo. Il 15 gennaio la Libia ha un nuovo premier: Mu’ammar Gheddafi, già salito al potere l’anno precedente, a capo del Consiglio della Rivoluzione. Il 5 febbraio Mike Bongiorno lancia il telequiz Rischiatutto. Due giorni dopo cade il governo dc Rumor II: il 27 marzo si formerà il suo terzo governo, quadripartito composto da Democrazia Cristiana, Partito repubblicano italiano, Partito socialista italiano e Partito socialista democratico italiano, che durerà fino al 6 luglio dello stesso anno.
10 Febbraio 2010
F
Focus
Lombardi emigranti Poco dopo aver raggiunto la piena unità con la presa di Roma, l’Italia conosce un’enorme emigrazione. Le dure condizioni di vita, particolarmente nelle campagne, provocano un esodo molto forte da tutte le regioni, soprattutto verso le Americhe. Non fa eccezione la Lombardia che, secondo i dati del Centro studi emigrazione di Roma, dal 1876 al 1900, vede espatriare oltre mezzo milione di cittadi. Negli anni che vanno dal 1901 al 1915, se ne andarono in più di 820mila, mentre nel periodo fra le due guerre, lasciarono la regione 497mila persone. Nel secondo dopoguerra e fino al 1961, il fenomeno si attenua: saranno «solo» 292mila a emigrare.
1970, dal Sud a migliaia
IMMIGRAZIONE, È EMERGENZA Sindaci riuniti a Monza per affrontare i problemi aperti dal grande afflusso di lavoratori dal Mezzogiorno. Mancano le case. Gli industriali: 5mila nuovi posti di lavoro nel ’71-’72
S
indaci, consiglieri, sindacalisti, industriali: tutti insieme a discutere di immigrazione, problema al centro dell’agenda politica della Brianza. Quando? Nell’ottobre del 1970 e l’immigrazione di cui si parlava non era certo quella africana, dello Sri Lanka o dell’Est europeo ma quella che conduceva migliaia di lavoratori del Mezzogiorno d’Italia a Monza e dintorni. Ne dà notizia il Cittadino del 31 ottobre, che segnala una riunione di amministratori locali nell’attuale capoluogo. Ci sono i primi cittadini di Biassono, Burago, Carate, Cavenago; i sindaci di Giussano, Lesmo, Lissone, Macherio, Monza, Muggiò, Seregno e non mancano neppure quelli di Sovico, Vedano, Villasanta,e Vimercate. Con loro, spiega il giornale, ci sono i vertici dell’Associazione industriali monzese: il presidente, ragionier Vittorio Casanova, e il direttore Mancosu. Non mancano neppure i rappresentanti dei sindacati, con Beretta, Somaschini, Colombo, De Vecchi. Ci sono ovviamente anche i vertici del Comune, con il sindaco Luigi Pavia, promotore del meeting con i colleghi brianzoli, accompagnato dagli assessori Bertazzini, Montanelli, Malvezzi. Presenti, secondo le cronache anche i consigliieri comunali Ferrari e Fossati. Al centro del dibattito è la crescita, esponenziale in quegli anni, del numero di italiani immigrati dal Sud che si insediano nei comuni brianzoli. Un mese via l’altro, lavoratori e famiglie arrivano dalla Puglia come dalla Sicilia, dalla Calabria come dalla Campania. Cercano, per sé e per i propri cari, il futuro che il Mezzogiorno italiano, ancora arretrato, non è in grado di offrire. Ma questo crescende insediamento non è privo di problemi, innanzitutto, come recitano le cronache del ’70, dal punto di vista abitativo. Il richiamo è quello dell’industria brianzola, affamata di manodopera. Proprio in quella riunione dell’autunno, gli industriali mettono sul tavolo i dati: 3.150 posti in quel 1970. E per gli anni a venire si stimano altri posti da coprire. Per il biennio ’71-’72, spiega Casanova, tessiture, mobilifici, industrie meccani del territorio richiederanno almeno 5mila addetti. Il Boom economico data ormai 1960, la crescita del tessuto imprenditoriale brianzolo è stata impetuosa e continua: alle linee produttive e alle macchine mancano braccia e teste e bisogna fare in fretta a trovarle. Ma poi bisogna trovare
Dal 1960, anno del Boom, ai primi anni '70 migliaia di immigrati del Sud raggiunsero la Brianza
Dal Boom in poi LA PORTA ERA LA CENTRALE La Stazione Centrale è stata la porta d’ingresso di migliaia e migliaia di lavoratori meridionali con le loro famiglie che arrivavano al Nord in cerca di una vita migliore. Da qui, una quindicina di anni prima, partirono, dopo essere stati radunati da molte regioni, gli italiani che emigrarono in Belgio per lavorare nelle miniere. Sotto le alte volte, si fermarono, in attesa di un treno per Charleroi, i 136 destinati a perire nei pozzi della miniera di Marcinelle, nell’agosto del 1956. Un esercito di braccia che l’Italia di allora «scambiò» con robuste forniture di carbone, in un accordo di cooperazione con il regno di Baldovino. La scrittrice Anna Maria Ortese la chiamò «porta del lavoro, ponte delle necessità, estuario del sangue semplice». Dal ’50 all’80, dicono le statistiche, si trasferirono a Milano in cerca di lavoro 300mila persone. Nei giorni del Boom economico, intorno al ’60, fu un crescendo: 32.619 persone nel 1955, 36.970 nel 1956, 41.416 nel 1957, 55.856 nel 1958, 58.856 nel 1959, 66.930 nel 1960, 87.000 nel 1961. Nel 1962 arrivarono 105.448 immigrati.
anche dove alloggiare le famiglie, solitamente molto numerose, che arrivano dal Sud. «Sono emersi dati interessanti», scrive sul giornale monzese un collaboratore che si sigla “erreti”, relativi alla richiesta di manodopera, alla disponibilità di alloggi atti a risolvere almeno in parte i problemi marginali posti dall’immigrazione che sembra però sta-
gionale anziché permanente». Quarantanni dopo, sappiamo che quei flussi non erano affatto stagionali ma rappresentavano l’avanguardia di un fenomeno destinato a crescere negli anni a venire, così come era stato conosciuto da Milano nel decennio appena concluso. No, gli italiani del Sud che arrivavano a Cinisello come Desio,
a Seregno come ad Arcore, venivano per restare, come era stato, un decennio prima, con i Veneti che, a migliaia, si erano stabiliti in Brianza.«Per quanto attiene all’edilizia economica e popolare», prosegue la cronaca del Cittadino, «nei comuni adottanti il piano 167 si provvederà alla realizzazione di 630 alloggi nel biennio 71-72». Poche centinaia di appartamenti, a fronte di migliaia di famiglie in arrivo. Il resto verrà offerto dal mercato degli affitti. «L’impostazione», dirà il sindaco monzese Luigi Pavia, «è di carattere squisitamente politico ma i mezzi sono di carattere legislativo e si realizzano nel quadro di un programma che anticipi le esigenze non dilazionabili degli immigrati». Il documento, avverte il giornalista, «sarà stilato in base al piano di lavoro progettato e sarà la sintesi della volontà e della disponibilità degli amministratori della Brianza, per la soluzione concreta», prosegue, «di un fenomeno di così alto interesse sociale, in una più alta coscienza della solidarietà umana nelle libertà democratiche». Vent’anni dopo, la Brianza e le sue città avrebbero conosciuto la terza immigrazione: dopo le migliaia di famiglie venete giunte dal Padovano e dal Trevigiano negli anni ’50, l’immigrazione meridionale del Boom e degli anni a seguire; negli anni ’90 sarebbe stata la volta di quanti venivano da Africa, Asia e Sud America. Nuovi drammi da fuggire, nuovi problemi da fronteggiare ma anche nuove speranze con cui costruire il proprio futuro
1970, al dancing Maggiolina
NOTTI VIOLENTE A DESIO PESTATI DUE CARABINIERI Per liberare un amico ubriaco, un gruppo di giovani aggredisce due militi e si dà alla fuga. Un mese di prognosi 1950, i profughi DALLA TUNISIA IN BRIANZA
L’avviso appare sul Cittadino del gennaio: «I profughi della Tunisia sono pregati di presentarsi agli uffici comunali per avere informazioni relative alla loro posizione di cittadinanza». Tre righe stringante che segnalano un dramma: quello degli Italiani di Tunisia che stanno abbandonato il Paese nord-africano dove, sin dall’800, si erano insediati migliaiai di connazionali, particolarmente dalle regioni del Mezzogiorno. Con la fine del conflitto e il ritorno dei Francesi, molti dei 66mila italiani scelgono di rientrare. Alcuni approdarono in Brianza. (Nella foto un gruppo di Italiani nei pressi di Tunisi, 1950)
1950 Cesano Maderno
S
arà il carnevale imminente. O forse l’alcol. O, semplicemente, la voglia di bravata che, secondo le cronache, imperversa fra i giovani di quel 1970. È domenica notte, 1 febbraio, anzi, essendo superata la mezzanotte, il calendario segna il giorno 2. Nel dancing Maggiolina di Via Tripoli a Desio, molti giovani ballano. Allo shake, il nuovo ballo che va per la maggiore, si alternano i lenti guancia-guancia con la morosa o con la bella che si vuol conquistare. Nel bar, a due passi dalla pista, però qualcuno ha alzato il gomito. Un giovane avventore, visibilimente ubriaco, sta disturbando un po’ tutti, senza che i barman riescano a contenerlo. Due carabinieri in borghese, venuti anche loro a fare quattro salti dopo il servizio, notano il giovane visibilmente alterato e cercano di evitare che la situazione degeneri.
Gli mostrano il tesserino e lo invitano a seguirli fuori. Probabilmente volevano solo fargli prendere una boccata d’aria fresca con l’intento di farlo calmare. O forse, volevano effettivamente accompagnarlo in caserma e denunciarlo per ubriachezza molesta. Quando però i due - brigadiere Pietro Colaiacono, 26 anni, carabiniere Antonio Picarella, 22 anni - fanno per abbandonare il locale, si ritravano in una attimo circondati da un gruppo di giovani che non paiono animati da buone intenzioni. Sono gli amici dell’ubriaco che vogliono opporsi al fermo. Sottufficiale e carabiniere non si fanno intimorire e, come riporta una cronaca del Corriere della Sera, «decidono di tirare diritto». I compagni del fermato, forse anche loro un po’ alticci, passano alle vie di fatto: appena fuori dal locale, si scaraventano addosso ai due militi. Calci e pugni, in breve i due hanno la peggio, finendo a terra sotto i colpi del gruppo. Sono al suolo, storditi e sanguinanti. Un passante li nota, si avvicina, comprende la situazione e avvisa la caserma dei Carabinieri. Il tempo di riprendersi dallo stordimento e anche i due contusi salgono sui mezzi dell’Arma, alla ricerca degli aggressori: una piccola caccia all’uomo per le vie di Desio, a notte inoltrata. Si perlustra tutta la città ma senza esito: i picchiatori hanno avuto il tempo di dileguarsi. I due carabinieri vengono ricoverati in ospedali: per entrambi la prognosi è di un mese
1950, Limbiate
OMICIDIO A GUERRA FINITA, TRE FINISCONO IN MANETTE
CANE IDROFOBO IN CORTILE E LUI IMBRACCIA IL MITRA
F
D
ebbraio 1950. È giovedì mattina presto. A Cesano Maderno si preparano per il lavoro. I carabinieri lo sono già: hanno un mandato di cattura dell’autorità giudiziaria da eseguire. La jeep dell’Arma si ferma davanti alla casa di Carlo O., cesanese, classe ’22, di professione calzolaio. Scendono in due, bussano e si fanno aprire, cercano e trovano Carlo che si fa ammanettare senza opporre resistenza. Quindi tocca a Giuseppe B., di Cesano pure lui, carpentiere 25nne.. Non è finita, i militi bussano anche alla porta di Ernesto C., 35 anni. Per il Cittadino, che ne dà notizia, il terzo arrestato, fa il ciclista. Per tutti e tre, l’accusa è pesantissima: li si ritiene responsabili della morte di Benedetto Rizzotti da Seveso. Non un fatto recente: l’uccisione, a opera di ignoti, è avvenuta il 5 maggio del 1945. Sono i giorni, durissimi, che se-
guirono la liberazione. Solo pochi giorni prima, il 25 aprile, Mussolini e i gerarchi fascisti fucilati erano stati appesi, a testa in giù, a Piazzale Loreto e anche in Brianza era scoccata l’ora della vendetta. Secondo gli archivi, Rizzotti, classe 1915, e nativo di Desenzano (Brescia), era stato fucilato a Cogliate. Anni dopo la giustizia fa il suo corso: quelle uccisioni a guerra finita, non avevano a che fare con la resistenza (nella foto, gli Alleati entrano a Lissone il 29 aprile 1945).
ella vicenda si era occupato il Commissariato di Monza. Non per il fatto in sé, quanto per la conferma che, a cinque anni dalla fine della guerra, ci sono ancora molte, troppe armi in giro. Era accaduto che, nel mattino di sabato 13, la quiete del quartiere San Rocco, a Limbiate, fosse squarciata da una lunga raffica di mitra. Proprio così, tanti, troppi colpi di fucile mitragliatrore - otto secondo i poliziotti - sparati in un cortile, di fronte a un’abitazione di via Casati 48. Regolamento di conti? Malvita organizzata, odii politici mai sopiti? Niente di tutto questo, per fortuna. Solo un cane, un grosso cane randagio, forse idrofobo che ringhiava spaventosamente a chiunque si avvicinasse. Una situazione che aveva spinto Gino C., 42 anni, brianzolo di Limbiate, a imbracciare un mitragliatore Beretta a canna lunga e a far fuoco verso l’animale. La raffica, però, oltre a spaventare la bestia, ha generato allarme anche fra i vicini che, successivamente, hanno avvertito le autorità. Poche ore dopo, i poliziotti giunti da Monza, erano a bussare alla casa dello sparatore, chiedendo conto della sua azione e soprattutto della detenzione di un’arma da guerra. Di fronte all’evidenza, il mitragliere aveva ammesso il fatto, fornito la spiegazione e consegnato il fucile che, a suo dire, sarebbe un souvenir paterno del recente confl itto. Già, devono avere commentato gli inquirenti, ma se quel Beretta era solo un (discutibile) ricordo, perché mantenerlo così oliato e funzionante. E perché segargli il calcio, operazione tipica di chi vuol trasportare l’arma nascondendola sotto il cappotto. Cane o non cane, ricordo o non, gli uomini del Commissariato monzese avevano stretto le manette ai polsi del Gino, denunciandolo per porto e detenzione abusiva d’arma, nonché per il reato di spari in luogo pubblico.
11 Febbraio 2010
C
Chi c’era o chi ricorda
Il giornale lo fai tu Conoscevi questi fatti? Li hai vissuti in prima persona? Sai di persone che ne sono stati protagonisti o semplici testimoni? Raccontalo al Giornale della Memoria. Con i tuoi ricordi e le tue foto potrai costruire il prossimo numero assieme alla redazione. Contattaci al numero di telefono 0362.285087 o, via mail, all’indirizzo redazione.gdm@gmail.com
12 Febbraio 2010
70 anni dallo scoppio della Seconda Guerra
NEL DIARIO DEL PRIGIONIERO Una studiosa riporta alla luce la vicenda di un sergente giussane deportato in Germania. Nelle pagine di Matricola 4100, la tragica normalità della guerra.
GIUSSANO 1940
G
iuseppe Ghidoni, classe 1917, giussanese, sergente maggiore dell’artiglieria italiana si trova in Francia, quando alla sera arriva la notizia dell’armistizio. La voce del maresciallo Badoglio, attraverso i microfoni dell’Eiar, aveva annunciato a tutti gli Italiani che la guerra era finita. Cinque giorni prima, a Cassibile, in provincia di Siracusa, i generali Giuseppe Castellano e Walter Bedel Smith avevano sottoscritto l’accordo. Per il militare giussenase, come per altre migliaia di uomini in grigioverde, sparsi in tutti i teatri di guerra o di occupazione, dopo la notizia, non ci fu molto tempo per pensare: gli ex-alleati tedeschi li disarmarono e li fecero prigionieri. Giuseppe Ghidoni inizia proprio quella sera un diario della sua lunga prigionia che lo condurrà in Germania. Si tratta di oltre sessanta pagine, scritte con calligrafia precisa - da civile era fotoincisore - , molto nitide, conservate oggi dal figlio, un tenente colonnello dell’Esercito, e recentemente pubblicati dalla studiosa Paola Chiesa, per la Guardamagna editori in Varzi, col titolo Matricola n.4100. Un documento importante e commovente che, attraverso le annotazioni precise di questo sottuficiale brianzolo, ci riconsegnano un’ora drammatica per milioni di italiani che, perduta la guerra, si trovavano sotto le occupazioni o prigionieri in balia altrui. Nei racconti del sergente, storia di ordinaria disperazione per quel tempo: lavoro durissimo per molte ore al giorno, fame, malattia, condizioni degradanti, sporcizia. E fra le righe, il dolore lacerante per i cari a Giussano, per la distanza che lo separano da loro, per l’incertezza del destino di tutti. La tragica normalità della prigionia e della guerra, che l’artigliere brianzolo appunta, quasi a volerla fissare nella memoria, consapevole della straordinaria tragicità di quelle ore e di quei fatti. «Con la massa di 300 uomini», scrive il 27 dicembre del 1943, «per andare in una zona periferica della città colpita dai bombardamenti - a sgomberare macerie. Nell’intero rione non una
Il libro riproduce le pagine originali del diario di Ghidoni. Per acquisti: Editore Guardamagna, tel 0383 52184
«Per pranzo, mezzo mestolo di brodo»
Le pagine del sergente C’È ANCORA UN DIO CHE CI PROTEGGE Undici mesi fra fatica, sofferenza, paura e fede. La prigionia del sergente maggiore Giuseppe Ghidoni è tutta qui. Ecco alcuni pasaggi del suo diario. «27 febbraio 1944. Continuano gli allarmi giorno e notte. Giorno 1, mi accorgo che si è gonfiata una ghiandola ed allora vado dal dottore del campo per farmi vedere. Mi consiglia di rimanere a riposo riparato dall’aria che è la causa di tutto il male e fare fasciature di ittiolo. Giorno 2 rimango a riposo, primo giorno di riposo viene inaugurato con un potente bombardamento che mi lascia salvo per miracolo insieme a molta gente nel rifugio. Bombe dirompenti sono cascate tutte all’intorno delle scuole dove noi alloggiamo alla distanza di una decina di metri, non posso descrivere lo spavento, i muri del rifugio ad un certo punto pareva che crollassero, 5 minuti è durato lo scarico di queste bombe e ho provato ciò che non ho provato in tutto il periodo di guerra. Vi è ancora un Dio che ci guarda e ci protegge in questa vita di tormento».
casa era rimasta in piedi. Lavoro tutto il giorno con picco e badile e, dopo aver preso per pranzo mezzo mestolo di brodo, si fanno più di due ore di strada per tornare al campo». Da Gap, in Francia, il prigioniero Ghidoni viene condotto a Forbach, in Germania per lavorare. Riuscirà a rientrare in Italia nel luglio del 1944, rimpatriato assieme a un gruppo di ammalati. Durante la prigionia, il giussanese pensa spesso alla mamma, dalla salute malferma. Ad aprile del 1944, ricoverato in ospedale, annota: «(...) Non avendo bisogno di rimanere a letto, vado ogni giorno ad assistere alla messa ed ogni settimana faccio pure la Santa Comunione. Prego Iddio che mi abbia presto a guarire e che assista anche la mia mamma affinché la tenga in vita e possa tornare a casa e vivere ancora con lei a lungo». Giorni di sofferenze e ma anche di preghiere. «Prima settimana di maggio», scrive più avanti, «mese della Madonna. La sera, nella piccola cappella dell’ospedale, vengono fatte le funzioni del mese, io pure assisto e mi fa piacere pure sentire la parola del cappellano francese che, in certo modo, riesco a capire». L’abbraccio con la madre, la signora Enrichetta Moroni, non ci sarà: quando il sergente riuscirà a raggiungere Giussano, lei è già morta da dieci giorni. Epilogo che dimostra come la guerra non sia solo dolore, paura, privazione ma anche separatezza dai propri affetti. Nel caso di Giuseppe Ghidoni, sottufficiale giussanese, una separatezza divenuta drammaticamente irreparabile
IL SOLDATO LUIGINO COMO TORNA A CASA Quindici anni dopo la fine della Guerra, le spoglie di un caduto rientrano a Desio. In migliaia, commossi, alle esequie
Uno scorcio di Aschwitz, lager nazista in Polonia, il paese in cui morì anche Luigi Como
L
uigi Como alla fine è tornato a Desio. Anche se in una piccola bara, è tornato. Ad aspettarlo c’erano i suoi amici, quelli della classe 1911, con i quali aveva diviso i pomeriggi di domenica a Santa Maria, a giocare o a imparare la dottrina da don Celso. Luigi è tornato in una fresca giornata di fine inverno, il 2 marzo del 1960, dalla lontana Polonia dove le tragiche vicende della guerra l’avevano condotto lontano dall’amata
Brianza. Un0 dei 194mila italiani caduti, al fronte o in prigionia Il soldato era morto in un lager tedesco in terra polacca ma le cronache del tempo non indicano quale. Auschwitz? Chelmno? Sobibor? Oppure Belzec? Sta di fatto che le sue spoglie sono state recuperate da un lontanissimo cimitero e ricondotte a Desio, dove sono state ricevute con tutti gli onori, sindaco Lissoni in testa. La cronaca del Cittadino del 5 mar-
Novembre 1970 MUGGIÒ DÀ L’ULTIMO SALUTO A DUE GIOVANNI CADUTI LONTANO DALLA BRIANZA
Il 4 novembre era ancora festa nazionale nel 1970. Si ricordava (e si ricorda) la vittoria di Vittorio Veneto ed è di fatto il giorno delle forze armate italiane. Festa importante, con sfilate di bande, gagliardetti di associazioni, corone di fiori ai monumenti. Ricorrenza che, quarant’anni fa, fu molto sentita a Muggiò dove furono tumulate le spoglie di due concittadini caduti durante l’ultimo conflitto mondiale, uno in prigionia, in Germania, e l’altro sul campo di combattimento, in Italia, dopo l’8 settembre. Si trattava di Giovanni Cadario, deceduto in un campo di concentramento tedesco, il 12 settembre del ’44 e Giovanni Varbale, morto durante un’azione bellica in Italia il 12 settembre del ’43. Il primo certamente prigioniero, l’altro probabilmente negli scontri con i Tedeschi, immediatamente dopo l’armistizio e lo sbandamento delle truppe italiane seguito alla fuga dei Savoia. La traslazione delle salme avveniva per interessamento del ministero per la Difesa.
zo, racconta di onoranze imponenti, partecipate da tutta la popolazione, prima nella parrocchia di S.Maria, dove centinaia di persone gli hanno reso omaggio, poi nei funerali solenni, per le vie della città fino al cimitero dove Luigi è stato tumulato nella Cappella dei Caduti. «Il feretro, portato a spalla dai commilitoni», scrive il giornale monzese, «era fiancheggiato da un picchetto militare, inviato espressamente per disposizione ministe-
riale dalla Difesa, dopo i parenti, frammezzati dall’imponente folla, si notavano il sindaco con rappresentanti di Giunta e consiglio comunale, le rappresentanze delle autorità il gruppo compatto dei compagni di leva e di lavoro». C’erano tutti dietro le spoglie, anche il cavalier Egidio Cerri, presidente dell’Associazione combattenti che tanto si era prodigato per favorire il rientro della salma e perché al caduto fossero tributati tutti gli onori. Cerri aveva scritto ai comandi militari, al ministero della Difesa, perché il soldato Como avesse le esequie che meritava. E certo quella domenica fu, per chi la visse, una giornata indimenticabile. Nella grande basilica, la Corale intonò i canti più belli, la gente, accalcata, rispose con fervore alla liturgia. Molti, in quel tempio, ricordavano Luigi per averci fatto un tratto di vita assieme: chi un gioco di ragazzi, uno scherzo a scuola, una gita con l’oratorio. Lui, il Luigino, partito in guerra e mai più tornato. E certo la commozione sarà stata al culmine quando, nel tragitto verso il camposanto, il feretro è passato davanti alla sua parrocchia che l’aveva visto muovere i primi passi, crescere, farsi uomo, partire con la divisa grigioverde verso l’ignoto. Molto probabilmente il corteo transitò in via Santa Maria dove, nell’aprile del ’49, era stata apposta una targa a ricordo dei caduti del conflitto e della resistenza, con un’epigrafe che molti avranno certo riletto: «Da questo marmo gli spiriti immortali dicano monito austero alle genti: quanto feconda e benedetta sia la pace, quanto funesta ed esecrata sia la guerra». Al cimitero, dopo il requiem e la tumulazione nel pensiero di molti, dolore e commozione lasciarono il posto alla letizia: Luigi Como, soldato della classe 1911, avrebbe riposato per sempre. E, finalmente, sotto una terra amica
P uB Bli
Questo spazio è a disposizione per la pubblicità delle vostre aziende o delle istituzioni di cui avete la responsabilità. Scegliendo di comunicare attraverso questo giornale avrete scelto un mezzo efficace e sostenuto un’iniziativa culturale
CitÀ Per informazioni: Associazione culturale Storia & Territorio tel. 0362.285087 mail: assostoria@gmail.com www.gdm.it
13 Febbraio 2010
DESIO 1960
La città commossa
14
MONZA VIMERCATE 1950
Febbraio 2010
Tracciato Pedemontana
Tunnel Villa Reale
Progetto Milano Bergamo Il tracciato della Pedemontana e quello della ferrovia MilanoBergamo, sponsorizzata da alcuni politici brianzoli nel ’50
In tunnel sotto Villa Reale
MILANO-BERGAMO LA FERROVIA MAI NATA Deputato dc e sindaci di Monza, Vimercate e Villasanta lanciano una nuova ferrovia per raggiungere Milano
P
edemontana, addirittura una Pedomontanabis (vedi box), Brebemi: oggi, dopo decenni di stallo, la Lombardia in generale registra una corsa alle infrastrutture viarie. Ma c’è stata un’epoca in cui la Brianza progettava altre vie di comunicazione in grado di accompagnarne lo sviluppo che, si intuiva
essere dietro l’angolo. Nel 1950, si riteneva che il futuro fosse il trasporto ferroviario: non si immaginava che il trasporto su gomma fosse destinato a rivoluzionare così a fondo la vita e le abitudini dei cittadini. E neppure c’erano all’orizzonte le clamorose problematiche ambientali che poi il boom dell’automobile avrebbe portato con sé. In-
somma, quanti sessantanni orsono discutevano di nuove ferrovie che servissero una parte della Brianza non scartavano certo l’ipotesi di altre strade perché preoccupati dei livelli di pm10 di cui, all’epoca, probabilmente si ignorava l’esistenza. Sta di fatto che all’inizio del 1950, alcuni parlamentari e amministratori locali immaginarono, per
Domani avvenne ECCO LA PEDEMONTANA Sessantasette chilometri di autostrada da Cassano Magnago a Osio di sotto, 20 chilometri di tangenziali e 70 di viabilità locale: è la Pedemontana, l’arteria che attreverserà la Brianza, congiungendo Varese a Bergamo e costituendo un’alternativa all’A4. Del tratto autostradale, 31 chilometri saranno in trincea, 11 in galleria artificiale, tre in galleria naturale, 17 in rilevato. Cinque i chilometri di ponti e viadotti. Cantieri aperti quest’anno ma i lavori nel tratto brianteo non partiranno prima del 2011 e dureranno, in questo tratto 13 mesi mentre la prima auto circolerà solo nel 2015, in coincidenza dell’Expo. Costo 4,3 miliardi. Ma ci sarebbero enormi risparmi secondo la società che realizzerà l’opera, la Autostrada Pedemontana Lombarda Spa (68% Milano Serravalle Spa, 20% Equiter Spa, 6% Banca infrastrutture Spa, 5% Ubi banca spa). In termini di tempi e carburante risparmiato rispetto ai flussi attuali e quelli che si prevedono nei prossimi anni. L’attraversamento della Brianza (vedi illustrazione sopra) comincia verso Lentate sul Seveso. Quindi si scende verso Meda, Seregno e Desio da dove ci si muoverà verso Est: Lissone, Biassono, Arcore, Usmate, Carnate, Sulbiate, Mezzago per poi attraversare l’Adda. Ma intanto, c’è chi prevede di far la Bis, più a Nord (vedi box a pag. 14/15).
esempio, una linea ferroviaria che, partendo da Milano, arrivasse sino a Bergamo toccando Villasanta e Vimercate ma soprattutto congiungendo Monza al capuologo . Il 12 febbraio, la Dc brianzola si riunì pubblicamente per discutere il progetto. C’erano il deputato Tommaso Zerbi (foto a destra), docente universitario che pochi anni prima aveva partecipato alla stesura della Costituzione; il segretario cittadino Marchese, i sindaci di Monza, Leo Sorteni, Villasanta e Vimercate e, riferiscono le cronache, «alcuni membri del direzionale nazionale del partito». La Brianza aveva dato un contributo importante all’affermazione, due anni prima, dello Scudo crociato e i politici del territorio pensavano di poter scontare il peso elettorale con le prime infrastrutture per la loro terra. A monte del progetto, un’idea: congiungere Milano a Bergamo con una direttissima ferroviaria, ipotesi sulla quale, invece, il gruppo brianzolo studia una variante: utilizzare il medesimo tracciato per servire molti importanti centri del nord milanese e della Brianza meridionale.
MINISTRO, QUI SI VIAGGIA SUI PREDELLINI Pochi giorni dopo la riunione monzese, il deputato comunista Buzzelli interroga il responsabile dei Trasporti D’Aragona
N
on solo Dc. Anche il Partito comunista italiano, che proprio in quegli anni, stava togliendo al Partito socialista la leadership delll’opposizione, si mobilitò per la costruzione della ferrovia fra Milano e Bergamo. Forse per non lasciare al partito di governo l’esclusiva sulla questione, ma sta di fatto che l’onorevole Aldo Buzzelli, avvocato e deputato in quella prima legislatura, rivolse al ministro dei Trasporti dell’epoca, Ludovico D’Aragona, un’interrogazione a risposta scritta il 25 febbraio, poco dopo la riunione dei democristiani. Interrogazione, il cui testo abbiamo recuperato dagli archivi della Camera e che riproduciamo integralmente sotto.
Meda 1970
La nuova ferrovia sarebbe dovuta partire dalla stazione delle Nord a Cadorna, quindi toccare Bruzzano e Cinisello per poi lambire Monza nella sua parte più settentrionale e raggiungere Villasanta e Vimercate attraversando il Parco della Villa Reale in galleria. Tutti sono infatti d’accordo sulla necessità di preservare il grande polmone verde della città. Anzi, l’attraversamento in galleria è unanimemente considerato «pregiudiziale» da tutti i partecipanti alla riunione. Qualcuno vede nell’ipotesi della ferrovia che raggiunge il Parco, la possibilità di renderlo disponibile, nel giro di pochi minuti, ai milanesi in cerca di svago domenicale, «dotando altresì Monza di un rapido e frequentissimo collegamento con la zona ovest di Milano e portando direttamente in centro» come scrisse Il Cittadino. Era sostanzialmente le ragioni che avrebbero spinto, vent’anni dopo, molti monzesi a sostenere l’idea di prolungare la prima metropolitana milanese fino in città. Tempo stimato della nuova ferrovia: 16 minuti. Poco più di un quarto d’ora per andare e venire
Compleanno tondo per la Milano-Meda che ha visto la luce, come superstrada, nel 1970. Il 25 luglio di quell’anno, Il Cittadino mostra una foto sull’avanzamento dei lavori e racconta che, proprio nel tratto vicino alla Capitale del mobile, in prossimità di un attraversamento ferroviario, sono state istallate reti di protezione per isolare la ferrovia.
da Milano. «La realizzazione di questa opera, veramente importante per i lavoratori che dalle zone attraversate si recano a Milano», scrissero i democristiani brianzoli in quel lontano febbraio di sessant’anni fa,«porterebbe, in un secondo tempo, ad affrontare e risolvere i problemi inerenti ai trasporti tra i quali, di notevole importanza, quello per la ferrovia di Molteno e Oggiono». Le cose non andarono così anche se, come si può leggere dal documento che pubblichiamo qui a fianco, anche il Partito comunista, che in quell’epoca stava diventando il più grande schieramento di opposizione, si mobilitò localmente a sostegno dell’idea. Il progetto della nuova strada ferrata rimase nei desideri dei democristiani monzesi e, molto probabilmente, si perse nel cassetto del ministero o della Commissione Trasporti
BUZZELLI - al Ministro dei Trasporti. «Per conoscere se non intraveda la necessità di istituire altri treni oltre quelli esistenti sulle linee ferroviarie Chiasso-Milano, Sondrio-Milano e Bergamo-Milano, che potrebbero consentire alle decine di migliaia di lavoratori occupati, nelle fabbriche milanesi e di Sesto San Giovanni di portarsi al lavoro al mattino e di rientrare in sede alla sera, senza incontrare ogni giorno gravi, immense difficoltà di trasporto, cagionate dall’esiguo numero di treni. Lungo la tratta, numerosi lavoratori sono costretti ai viaggiare aggrappati alle parti esterne delle carrozze ferroviarie e ciò con le tristi conseguenze di infortuni e di gravi incidenti». Risposta - «Linea Chiasso-Ticino. - La linea è esercitata con trazione elettrica a corrente continua ed offre quindi per le caratteristiche dei mezzi di trazione la possibilità di aumentare eventualmente la composizione dei treni in relazione alla necessità. «Non si verificano però sui treni di detta linea, a quanto risulta all’Amministrazione ferroviaria, eccessivi affollamenti appuntc perché la loro composizione viene mantenuta in relazione alla frequentazione. «Linea Sondrio-Milano. - Taluni treni discendenti del mattino ed ascendenti della sera sono in realtà sensibilmente affollati dagli operai. L’inconveniente è stato però gradatamente ridotto aumentando il numero dei treni, di volta in volta, che si avevano i mezzi a disposizione, tanto da raggiungere già oggi, fra Lecco e Milano, il quantitativo dei treni che circolavano prima della guerra. «La linea in parola - quasi tutta a semplice binario - è però esercitata con trazione elettrica trifase con limitata disponibilità di prestazione, per cui non riesce facile l’aumento della composizione dei treni, ed inoltre nelle ore di maggiore necessità, la circolazione è ormai tanto intensa che non è possibile impostare nuovi treni senza causare congestionamento nella circolazione stessa. «Comunque è già in corso la sostituzione del materiale ordinario dei treni più affollati con nuovo materiale più leggero che potrà permettere di aumentare il numero della carrozze e conseguentemente il quantitativo dei posti a disposizione dei viaggiatori, e con il nuovo orario, che andrà vigore il 14 maggio 1950 si esaminerà ad ogni modo la possibilità di aumentare fra Lecco e Milano ancora una coppia di treni. «Linea Milano-Bergamo. - Anche sui treni della linea Milano-TreviglioBergamo non risulta si verifichino eccessivi affollamenti, mentre qualche difficoltà si ha al mattino e alla sera sui treni della linea Milano-Usmate C.-Bergamo, che essendo nel tratto fra Usmate e Milano comune alla linea Lecco-Milano, per i motivi già esposti non , è suscettibile di impostazione di nuovi treni nelle ore in cui essi sarebbero più necessari. «Anche su questa linea però si cercherà di aumentare il numero delle vetture in circolazione, sostituendo l’attuale materiale con altro più leggero, non appena se ne avrà la disponibilità». Il Ministro D’ARAGONA.
15 Febbraio 2010
A
Appello ai cittadini
il SOS di Brianze Una Pedemontana-bis, a nord della prima, che partirebbe da Malnate (Varese) per innestarsi nella Como-Lecco all’altezza di Inverigo, Nibionno e Veduggio. Il progetto, inserito nel Piano territoriale regionale-Pgt adottato nel luglio scorso, preoccupa non poco i cittadini brianzoli delle zone interessate. In particolar modo, c’è preoccupazione per il passaggio nel Parco naturale della Valle del Lambro, nel tratto compreso fra Villa Sormani a Lurago, la tenuta Pomelasca e l’Orrido di Inverigo. La rivista Brianze, noto periodico del territorio animato da Domenico Flavio Ronzoni e da Paolo Pirola, lancia un allarme e un vero e proprio documento, Sos Brianze, per chiedere agli amministratori regionali, provinciali e comunali di bloccare il progetto. Info: www. brianze.it
Il giornale lo fai tu! Il Giornale della Memoria vive del contributo di idee e di racconti dei propri lettori. Cerchiamo storie, diari, lettere, fotografie del secolo scorso con le quali ricostruire un pezzo di memoria della Brianza. Tutti i materiali ti saranno prontamente restituiti Segnalaci anniversari di istituzioni, parrocchie, circoli, associazioni, cooperative, aziende che ti farebbe piacere ricordare: un nostro giornalista li racconterà insieme a te. Tel. 0362.285087, email redazione.gdm@gmail.com
Abbònati! Il Giornale della Memoria, almeno per i primi numeri, verrà distribuito gratuitamente ma le copie non bastano per tutti. Abbonàti e lo riceverai per posta, comodamente a casa tua. Con soli 20 euro riceverai dieci numeri del giornale. Compila il coupon sottostante e spediscilo a Associazione culturale Storia e Territorio, via Giusti 32/c 20034 Giussano (MB) e ti invieremo il modulo di c.c.p. pre-compilato.
SÌ, MI ABBONO Nome__________________________________ Cognome______________________________________ Via_________________________________________________________n. civico___________________ cap.___________comune__________________prov._____________telefono_____________________ Sì sottoscrivo l’abbonamento a 10 numeri a 20 euro. In questo modo riceverò il giornale direttamente a casa. Acconsento al trattamento dei dati a questo fine. Titolare del trattamento è l’Associazione culturale Storia e Territorio - Giussano (Mb) Firma________________________________________
✃