4.2 Il corpo mistico

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Image: il corpo mistico dell’organizzazione di Giovanni Anceschi In una concezione che sul piano di un pensiero largamente allegorico trova d'accordo mistica e cibernetica, vi sono organismi i cui organi non sono necessariamente uniti, ma possono essere disseminati: corpi le cui membra sono sparse. 1 D'altronde, in etologia ci si domanda se l'individuo non sia il formicaio. E si parla correntemente di ‘corpo di spedizione’, si evocano allarmati i ‘corpi separati’, ma si applaude allo ‘spirito di corpo’. Che si tratti di una metafora o di un modello concettuale archetipico, resta comunque piuttosto significativo che in angloamericano l'azienda si dica corporation. E secondo la teoria delle organizzazioni sociali 2 la sostanza di qualsiasi entità organizzata è costituita non solo dall'insieme degli uomini (Mannschaft dicono appunto i tedeschi di qualsiasi squadra o equipaggio) più o meno articolato gerarchicamente secondo criteri di leadership e competenze, ma anche dall'insieme degli artefatti (attrezzature, armamenti, macchine e veicoli). Cioè di tutte quelle protesi che consentono di estendere il raggio dell'azione, fisica come comunicativa. 3 E una tale entità d'assieme possiede, nelle cellule che la compongono, gradi più o meno intensi di consapevolezza di questa unità-identità. Ma anche l'ambiente circostante è in grado di riconoscere con maggiore o minore sicurezza la compattezza dell'organismo. Certo, la sensibilità drammaturgica dell’universo legale - si pensi a quel palcoscenico che è il tribunale - parla in proposito di persona legale, nel senso di cogliere la responsabilità unitaria delle azioni e delle manifestazioni. Non solo corpo, ma persona, maschera teatrale 4 dunque, che, per così dire, agisce, gestisce e parla sulla scena del mercato, della politica, insomma della vita sociale. Si può dire che l'entità in questione rivolga verso gli altri una vera e propria faccia con una fisionomia dotata di diverse possibilità di atteggiamento, di mimica, di espressione. E puntualmente Henrion e Parkin, ai quali si deve la fondazione della riflessione sull'image, parlano di quell'artificial person che è rappresentata dall'impresa industriale e commerciale ecc. 5 Che ne sia consapevole o no, ogni entità organizzata possiede, una propria persona 5+1. In altre parole una realtà comunicativa o correaltà, come la chiamano i teorici dell'informazione, 6 in qualche modo distinta dall'entità in quanto tale. Ed è la problematicità del rapporto fra ente che è (agisce, produce) e l'entità che appare a costituire lo spazio di intervento e di manipolazione progettuale. 7 Proprio a questa apparenza, che è anche la facoltà di essere apparizione, fa riferimento il termine image. E naturalmente un'apparizione implica qualcuno a cui manifestarsi. Implica un pubblico che la veda, e che poi la conservi nella memoria e sia in grado di evocarla davanti agli occhi della mente. Non stiamo citando qui il verso di un visionario medioevale come Dante (“Ne la mente mi si è fitta la cara e buona imagine”), ma la lettera (mind eyes) di Henrion e Parkin. 8 É una concezione che trova dei parallelismi nella nozione di imago introiettata, della psicanalisi. 9 Si tratta in questo caso di paralleli poi non così trascurabili, poiché, oltre a possedere la particolare vividezza e nettezza sincretica delle immagini di sogno,`


l'immagine dell'artificial person funziona da agevole supporto proiettivo di pulsioni, affetti, giudizi di valore. L'intento sarebbe quello della costruzione di uno stereotipo 11 positivo presso il pubblico dei destinatari: ogni evento comunicativo, ogni contact con l'ente, o piuttosto con la sua persona, corrisponde - per così dire - all'aggiunta di un tratto al ritratto, o di un connotato all'identikit. Ma se produrre l'immagine è un lento processo, evocarla è una sintesi istantanea. 12 in modo del tutto analogo a come il volto è qualcosa di più della somma dei suoi elementi costitutivi (occhi, naso, bocca, capelli, sopracciglia, ecc.). 13 Riassumendo, possiamo dire che per il destinatario l'image poggia sopra un substrato costituito da un assemblaggio di oggetti. 14 Questi oggetti, nella percezione, funzionano come i tratti costitutivi di un complesso segnico unitario; questi si attivano nell'uso - o più precisamente nella vita - degli eventi comunicativi, cioè in ogni singolo incontro comunicativo. Non ci troviamo lontani qui dalle concezioni che stanno alla base del object language di Ruesch e Kess, del langage objet di Barthes, dall'idea di segno-oggetto di Baudrillard e di messaggio oggettuale di Maltese. 15 Tutti questi studiosi, sembrerebbe però far prevalere un atteggiamento di semiologia della significazione come direbbe Prieto 15+1. Si tratti del salotto buono borghese, del townscape, dell'altare o della vetrina, il modo in cui questi assemblaggi oggettuali sono conformati si vede attribuito tutt'al più il ruolo di sintomo, di lapsus. L'immagine coordinata potrebbe rappresentare invece proprio il caso di una comunicazione oggettuale intenzionata, qualcosa di simile a una frase o a una narrazione per oggetti. L'idea di una relazione piuttosto complicata fra linguaggio e oggetti attraversa l'intera riflessione umana, filosofica e/o semiotica. Ma possiede anche una tradizione paradossale che ne mette in rilievo il carattere intrigante. Ad esempio, Borges, in un suo racconto di cui è protagonista Funes, un uomo dotato di una memoria prodigiosa, assoluta, prospetta vividamente le conseguenze ontologiche di un tale caso. Funes ricorda ogni singolo oggetto particolare, senza minimamente categorizzare, e Borges si richiama a John Locke, che avrebbe accarezzato la possibilità di una lingua con un nome per ogni singolo oggetto. 16 Se poi si vanno a controllare alla fonte le affermazioni del grande mentitore, si vede bene che per Locke non si tratta che del passaggio di una dimostrazione ad absurdum tutta a favore del verbale. 17 Qualche riga più in basso, nel testo di Borges, appare però il nome di Swift, chiamato in causa per un'inezia. Ed è proprio Swift invece, nei Viaggi di Gulliver, a presentare un modello compiuto di linguaggio per oggetti: i saggi dell'Accademia di Lagado, per parlare in modo inequivocabile, si caricano le spalle di montagne di oggetti da esibire. 18 L'impiego dell’accostamento di oggetti per comunicare non è però poi tanto raro, come avviene nel rebus (dai geroglifici a Leonardo), nell'emblematica (cinquecentesca) e nei sottili messaggi della still-life (barocca). 19 Ma sono però tutti ambiti questi dove la mente va dalla figura a qualcosa di più maneggevole, cioè il verbale, la scrittura. Il percorso è: oggetti>figure>parole>scrittura. Non siamo lontani insomma dall'impiego del “vaso di gerani” esposto sui davanzale per dare via libera all'amante. L'oggetto è usato come puro elemento notazionale, arbitrario, inequivocabile appunto perché convenuto. Il che poi è ciò che permette al significato di essere


segreto per tutti gli altri. La nuvola degli oggetti, da soli, non basta comunque a produrre l'image, se la si vuole discorso per immagini. C'è però un esempio perfettamente pertinente, usato da Barrese, dove l'oggetto è motivatissimo, é anzi predisposto per una decisiva immediatezza interpretativa da parte del pubblico. Ed è l'esempio del tavolino con tovaglia, ostentato alla pubblicità della strada. Esso tiene il posto dell'insegna di trattoria: un sintomo trasformato in comunicato. 20 Siamo pervenuti a farci un'idea dell'image, come di una figura costituita di oggetti, una persona panoplia, come si direbbe in araldica. E per visualizzare questo concetto possiamo usare certe personificazioni barocche vicine alla maniera dell'Arcimboldo.21 Se poi diamo retta ai molteplici esempi analoghi presenti nella prassi grafico-pubblicitaria, ci accorgiamo che il procedimento è del tutto usuale: per esempio l'omino dei pneumatici (il Bibendum della Michelin), o la capigliatura di matite (il volto stralunato della Presbitero) ecc. Del resto dell'espediente allegorico della personalizzazione si è fatto uso da sempre, soprattutto in area politica e politico-militare. É la figura del capo, l'immagine del condottiero a funzionare da parafulmine proiettivo. E il culmine della consapevolezza dall'interno di questi fenomeni coinciderà con la stigmatizzazione, nell'ambito della sinistra, del culto della personalità (ancora la persona). Bonapartismo o maoismo, l'image tende a coincidere con le fattezze più o meno idealizzate dell'uomo-guida. Anche qui siamo vicini a quanto può accadere nella pratica pubblicitaria odierna, quando assistiamo alla scenetta televisiva del nonno che studia un dentifricio per la nipotina e risulta poi portare il cognome della ditta produttrice; o quella del manager con baffetti che consiglia di comprare un rasoio elettrico e confessa di esserne talmente entusiasta da avere comprato l'intera fabbrica: il capo (come sineddoche del corpo) viene spinto sulla ribalta.` L'image usa componenti che agiscono su più livelli: un'apparizione personale o personificata é costruita o circondata da una molteplicità di artefatti e poi ulteriormente specificata nelle peculiarità del suo corpo e dei suoi attributi. E con la personificazione e con gli attributi siamo incappati in una terminologia che è propria di una classica disciplina dell'ermeneutica figurale: l'iconologia.23 E quindi il visual design dell’image potrebbe forse essere definito come una complessa attività di iconurgia.24 In particolare, qualche riga più sopra, ci eravamo arrestati davanti alla problematicità di un linguaggio di puri oggetti. Si era fatta largo l'indicazione dell'opportunità di spingere l'object language in direzione di qualcosa di più certo e codificato in analogia con la scrittura. Ed Henrion e Parkin sono straordinariamente espliciti in proposito. Definiscono infatti il visual design come l'attività “of controlling the appearance of objects ”.25 Il risultato complessivo di questo controllo é, appunto, una figura, una accumulation di oggetti la cui apparenza costruita va incontro all'insieme dei destinatari/utenti. E nella sequenza degli eventi comunicativi produce in essi, tratto dopo tratto, il ritratto, appunto l'image. Questo del controllo morfologico è un punto di passaggio concettuale (e pragmatico) non irrilevante. Si passa dalla fisicità dell’object language a un intervento di chimica dell'immagine, o appunto di grammatica e sintassi degli elementi


(morfologici, cromatici ecc.). Si giunge insomma alla costruzione di un ventaglio di componenti (letteralmente un codice), che si sovrapponga e in modo appropriato interagisca col corpo identitario dell'entità e che pervenga alla fine anche alla fissazione delle regole di applicazione e combinazione degli elementi. Si arrivi insomma, alla costruzione di una grammatica e di una sintassi ad hoc. 26 E questo è appunto il piano dove si muove concettualmente un trattato come A Sign System Manual di Crosby, Fletcher e Forbes,2 e in fondo tutta la manualistica progettuale. Questo tipo di intervento è il modo di produrre quei contrassegni che influenzino opportunamente i connotati di partenza del corpo. Il livello primario dell'intervento può, appunto, essere quello di contrassegnarne le membra sparse e di produrre così un'unificazione che, non è solo fattuale e percettiva, è anche logica. Gli oggetti acquisiscono un tratto comune che ne statuisce l'appartenenza a un unico insieme, cioè all'entità in questione. La marchiatura del bestiame è il paradigma di una concezione un poco ossessiva dell'immagine, che la intende come limitata all'impiego capillare del marchio. Ad esempio, quello di avere un corpo che non appariva spontaneamente, è stato il problema delle grandi corporation del petrolio: la dispersione geografica e la differenziazione estrema delle attività, delle attrezzature, degli edifici, associate con la presenza di un prodotto liquido, impalpabile, invisibile sempre, celato nel pipeline come nel serbatioio, del tutto privo di iconogenia,28 questo insieme di circostanze ha sicuramente generato la percezione di un disagio di identità-identificazione, che ha pungolato i tecnici predisposti (uffici, studi o agenzie) alla produzione di un'immagine tutta basata sul contrassegno (grafico, cromatico), nonché all'invenzione di uno strumento pratico a funzione stabilizzante e di tipo prescrittivo, per tale unificazione: il manual. Cioè, contrabbandato sotto le vesti di un coadiuvante, di uno strumento tecnico per operare con minor fatica, è nato il Libro della Legge Comunicativa della corporation. Da istruzione per l’uso a codice prescrittivo. E così abbiamo identificato un’altra funzione fondamentale dell’image: quella di dare un corpo relazionale a chi non lo ha. Un altro settore sempre molto presente nelle pubblicazioni che raccolgono le immagini coordinate, è quello di quelle aziende che commercializzano la merce per definizione più invisibile di tutte: il denaro28+1. Le banche, che in qualche caso si autodefiniscono oggi negozi monetari, si potrebbero addirittura considerare stazioni di servizio finanziarie. E in generale, se non per esistere certamente per esistere per gli altri, debbono fare conto sull’image, tutte le aziende private e le istituzioni pubbliche che erogano prestazioni, cioè appunto servizi. Per uno stretto cortocircuito coloro che si occupano oggi di design dei servizi (cioè di progettare come si erogano prestazioni)28+2 hanno scoperto che gli strumenti concettuali e tecnici per conferire un corpo queste entità altamente virtuali, concidono praticamente con quelli sviluppati per attribuire una faccia alle realtà informatiche e virtuali (interface e interaction design)28+3. Strumenti i quali hanno pescato moltissimo nella tradizione della progettazione dell’immagine corporata. In ogni caso l'image tende a distinguere l'entità in questione da tutte le altre entità che agiscono nell'ambiente sociale. È in questo senso che si produce un nome


proprio verbale (ragione sociale, marca o sigla), e un nome proprio figurale (emblema, logotipo, stemma o marchio). La persona è diversa da tutte le altre, e tale deve apparire. Questa è la funzione più enfatizzata nella letteratura professionale e certo nella prassi. Quello che il visual designer offre è un profilo netto, una silhouette riconoscibile. E bene comunque specificare che tale funzione distintiva, cioè questo distinguersi, in senso riflessivo, possiede una doppia specializzazione in senso attivo. Distinguendosi, non ci si può esimere dal significare e comunicare. Insomma, facendo ancora una volta uso della radicalità del modello etologico, la distintività comunica in direzione sia di una deterrenza-dissuasione sia nel senso di una seduzione-persuasione. Gli attributi del potere sono anche quelli della dignità. 29 Si pensi alle corna dell'elmo barbarico e alla loro evoluzione o stilizzazione decorativa: la corona; si pensi anche a un contrassegno come il pennacchio sull'elmo, che simula in senso deterrente una maggiore statura (come il gatto rizza il pelo), ma contemporanemente nella bella parata agghinda il cavaliere di qualcosa di molto simile ai cosiddetti caratteri sessuali secondari (come la criniera, i bargigli ecc.). La teoria dell'organizzazione ci insegna che le finalità primarie di un'entità, di un'istituzione e simili, sono quelle di conservarsi in vita. Per questo la componente di deterrenza comunicativa dell'image segue soprattutto il modello della territorialità, del possesso, e tende a mantenere in vita l'entità producendo o piuttosto rafforzando la coesione. La direzione presa dall'attrazione seduttiva è ovviamente invece quella della propagazione (propaganda). Un caso limite, si può dire di pura coesione e dove la riconoscibilità distintiva potrebbe essere un incidente di percorso talvolta rischiosissimo, è rappresentato dai contrassegni segreti di riconoscimento: il famoso caso del pesce dei cristiani,31 il triplice punto delle sigle massoniche, la mazza del compagnonismo ecc. 32 Non è un caso che la radice etimologica della parola simbolo alluda all'atto di riunire, e faccia riferimento alla pratica di riconoscimento realizzata col fare combaciare le due metà di una moneta spezzata 33. Il caso all’estremo inverso da quello delle società segrete può essere rappresentato dall'azione pseudodistintiva (mimetica), praticata da qualche corporation multinazionale la quale, temendo di produrre un messaggio deterrente troppo perentorio, agisce sul corpo per fare effetto sull'image. Si suddivide cioè sul piano legale in sotto-unità che si dotano ciascuna di una propria appariscente persona. Ma questa strategia mimetica della segmentazione è praticata anche in direzione di una seduzione specializzata. Sotto un'unica organizzazione produttiva si ha la proliferazione di una molteplicità di marche. Vedi le diverse brandimage dei detersivi, specializzate ad apostrofare massaie di status diverso. O quanto avviene nel settore automobilistico (Fiat, Lancia, Ferrari, Maserati, Iveco, ecc.). Ma i casi nei quali si corre il rischio che la funzione coesiva, diventata ipertrofica, si trasformi per tutti in un inquadramento praticamente definitivo, sono le applicazioni estreme del brand marketing 34, che tutti ben conosciamo a partire dai pionieri, come Disney e Coca Cola per arrivare fino alle poderosissime - per così dire new entry come McDonald o Nike.


Questa totale adozione dell’altro non vale più però solamente per il personale (persona!), come avveniva in passato con la conduzione paternalistica delle relazioni interne 35, ad es. con l’impiego di strumenti come colonie estive o convention, ma vale ormai soprattutto per il popolo dei clienti/consumatori. Superata la fase degli store e dei mall riservati alla marca, superata anche la fase dei “parchi a tema” sponsorizzati, i clienti, ormai fidelizzati dalla culla alla tomba, arrivano al punto di abitare tutta la vita, come tanti Truman Burbank 36, in quartieri residenziali completamente plasmati dal brand design. Noi consumatori siamo però fin qui ancora prigionieri delle pesantezze e dalle fattualità del corpo, mentre c’è voluta la frenetica convergenza della grande ondata tecnologico/mediatica del computer e del web per farci attingere l’assoluta trascendenza. Bucando la superficie del monitor, come tante novelle Alici il piano dello specchio, noi consumatori/utenti siamo risucchiati nel metaverso 37. E culmina così la nostra assunzione nell’empireo aziendale. Il corpo mistico ci accoglie finalmente fra le sue braccia virtuali, e lo fa in un modo che non mostra più nemmeno i tratti della terribilità trionfante e barocca dei media gerarchici e televisivi. La maschera, la persona aziendale prende le forme danzanti dell’interfaccia e la user experience 38 assume i caratteri intimi e un po’morbosi del rapporto one to one, come in confessionale. Non siamo più nemmeno i membri (le membra) di un corpo comunitario e sociale, se pur sottomesso, siamo tutti solitariamente interconnessi in presa diretta con il cuore e la mente dell’azienda. Ed é proprio l’imbarazzo per la possibile invadenza di questa intimità multipla con questo e quel cliente, l’unico motivo che può tenere le aziende lontane dal web. “Un sito web può generare troppe email; si prospetterebbe una situazione troppo difficile da gestire per la nostra azienda. Saremmo costretti ad assumere del personale apposta per seguire questo nuovo servizio o addirittura aprire una nuova divisione dedicata a questo”39.


* Questo saggio è l’aggiornamento largamente rimaneggiata di un articolo comparso in “Linea Grafica”, n. 1 (1985), alle pp. 34-49 1 E’ la logica della teoria protetica degli artefatti; vedi, Monogrammi e Figure, La casa Usher, Firenze, 1983, il capitolo iniziale, note 57 e 58. Più di recente vedi Giovanni Anceschi, Il pensiero protetico, in “Ottagono”, n. 102, 1992, pp.15-19. Per la mistica rimandiamo fra i tanti esempi al paragone fra figura del cavaliere armato e santa Chiesa; Jacques Boulanger (a cura di), I romanzi della tavola rotonda, 2 voll., Mondadori, Milano 1981, vol. II, p. 58. 2 Cfr. B.E. Bürdeck, Teoria del design, Mursia, Milano 1977, p. 31 e sgg. un classico della metodologia del design. 3 Monogrammi...cit., idem. 4 Qui il termine corrisponde parzialmente alla nozione di Persona in Jung: “l'uomo [...] assume una maschera, conscio che essa corrisponde da un lato alle sue intenzioni e dall'altro alle sue esigenze e alle opinioni del suo ambiente I...]. Questa maschera [...] io l'ho chiamata Persona, dal nome della maschera che mettevano gli attori nell'antichità.” C.G. Jung, Opere, vol. VI, p. 417. 5 F.H.K. Henrion, A. Parkin, Design coordination and corporate image, Studio Vista, London 1967, p. 7. 5+1 In pragmatica si parla di impossibilità di non comunicare. Vedi P.Watslawick, J. Beavin, D.D.Jackson , Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971. 6 M. Bense, Estetica, Bompiani, Milano 1974, P. 54 sgg. 7 Ci riferiamo alla distinzione fra realtà fattuale e realtà attuale. Cfr. J. Albers, Interaction of color, Yale University Press, New Haven 1975, p. 73 e sgg. Per la discussione sulla problematicità della relazione fra i due piani vedi anche G. Bonsiepe, Teoria e pratica del disegno industriale, Feltrinelli, Milano 1975. In proposito, nel suo fondamentale saggio Design process, un design manager come Renzo Zorzi arriva a dire al contrario che l'image “is the same thing [...] and never an Ersatz”. Non è un caso però che la metafora preferita da Zorzi sia quella dello specchio, in una prospettiva della rappresentazione che la intende come registrazione in analogia a quanto afferma Maldonado nel suo Appunti sull'iconicità, in Avanguardia e razionalità, Einaudi, Torino 1974, p. 266 e sgg. Anche se poi al reflecting , Zorzi aggiunge il concentrating elements, e in questo concentrating c'è posto per tutta la retorica dell'enfatizzazione e dell'esclusione. Cfr. M. Massironi, Vedere con il disegno, F. Muzzio ed., Padova 1982. R. Zorzi, Design process, in N. Shapira (a cura di), Design process Olivetti 1908-1978, First Bank Tower, First Canadian Palace, York University, Toronto 1979. 8 F.K.H. Henrion, A. Parkin, op. cit., p. 7. 9 S. Freud, Opere, Boringhieri, Torino 1978, vol. X, pp. 14-15.


10 G. Durand, Le strutture antropologiche dell'immaginario, Dedalo, Bari 1974, p. 403, dove si affida alla testimonianza di Sartre, Marie Bonaparte, Alain. 11 T. Maldonado, Communication and semiotic/Communikation und Semiotik/Communication et sémiotique, “Ulm”, n. 5 (July/Juillet), 1959, p. 72. 12 “Nel dominio della fantastica pura, nel sogno gli osservatori sono sorpresi dal carattere folgorante dei sogni e il lento processo temporale della percezione” e fa riferimento a Th. de Quincey, a Baudelaire, a Proust. G. Durand, op. cit., p. 403. 13 Come insegna la psicologia della Gestalt, per la quale anzi questo tipo di constatazione rappresenta la base epistemologica. Gestalt vuol dire apparizione più che forma, come avviene correntemente tradotto. Un termine che possiede tutte le implicazioni semantiche di immagine evocata e addirittura di fantasma. 14 Ciascun messaggio in uscita dall'emittente/azienda possiede un veicolo materiale, una base artefattuale, cioè un oggetto, se si esclude quella che in Public Relations si intende come Direct Communication. 15 Soprattutto il capitolo The Syntax of Object language, in J. Ruesch, W. Kess, Non verbal communication, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London 1956. R. Barthes, Mithologies, Le Seuil, Paris p. 221 e sgg. J. Baudrillard, Per una critica della economia politica del segno, Mazzotta, Milano 1974; C. Maltese, Semiologia del messaggio oggettuale, Mursia, Milano 1970. 15+1 Cfr. Luis J. Prieto, Lineamenti di semiologia. Messaggi e segnali, Laterza, Bari, 1971, p.19. 16 “Locke nel sec. XVII propose e rifiutò un idioma impossibile in cui ogni singola cosa, ogni pietra, ogni uccello e ogni ramo avesse un nome suo”. J.L. Borges, Finzioni, Einaudi, Torino 1967, pp. 103-104. 17 “Non basta per la perfezione del linguaggio che i suoni possano divenire segni delle idee, a meno che quei segni si possano adoperare in modo da comprendere molte cose particolari; perché la moltiplicazione delle parole renderebbe confuso il loro uso se fosse necessario designare ciascuna cosa particolare con un nome distinto”. G. Locke, Saggio sull'intelletto umano, Signorelli ed., Milano 1955. 18 “ciononostante alcuni saggi si mantengono fedeli a questo progetto di parlare con le cose, il quale presenta solo questo inconveniente, per cui se un uomo ha da discorrere di varie e complesse faccende è costretto a portarsi sulle spalle un sacco di cose, a meno che possa permettersi il lusso di farsi aiutare da servitori stracarichi”. J. Swift, I viaggi di Gulliver, Garzanti, Milano 1975, p. 171. 19 Per questo ambito di emblematica grafica rimando al mio Aderire all'emblema e imprimere il marchio, “Il piccolo Hans”, n. 40 (ottobre-dicembre), 1983. 20 A. Barrese, L'immagine come presenza segnica, in “Design Italia”, n. 51 (settembre), 1972.


21 Penso, fra le tante, alle tavole Muratore,Tornitore, Bottaio, Vasaio. Nicolas de Larmessin, Costumes Grotesques, La pomme d'Or, Parigi 1695. 22 Vedi G. Anceschi, Aderire... cit., p. 150 e passim e p. 168 n.; e anche: idem , La politica dell'immagine, “M”, n. 2 (IV bimestre), 1984, 23 “L'iconologia è la disciplina che studia le figurazioni storico-allegoriche usate tradizionalmente. Tale procedimento traslativo riguarda concezioni, idee, sentimenti, stati d'animo, situazioni psichiche, condizioni, attività, istituzioni [...], cui si dia parvenza di persona fisica” (corsivo nostro) p. IX. E vedi anche l'elencazione delle categorie di attributi iconologici: a) tratti fisionomici, particolarità anatomiche, posture e atteggiamenti; b) abbigliamento; c) oggetti e figure che accompagnano (comparse); d) colori, p. XV. G. Plessi, “Introduzione”, in N. Cecchini, Dizionario sinottico di iconologia, Patron, Bologna 1976. 24 Modellato sul termine Onomaturgia di B. Migliorini, Parole d'autore, Sansoni, Firenze 1977; e Semiurgia, di J. Baudrillard, op. cit. 25 F.H.K. Henrion e A. Parkin, op. cit., p.7 26 Wittgenstein a proposito dei disegni del Wilhelm Busch, ma in realtà molto più in generale, dichiara: “Questi tratti però hanno questo significato solo all'interno di tutto un linguaggio. Ed è un linguaggio senza grammatica, non si potrebbe indicarne le regole.” L. Wittgenstein, Pensieri diversi, Adeiphi Editore, Milano 1980, p. 138. 27 Crosby/Fletcher/Forbes, A sign system manual, Praeger, New York- Washington 1970. 28 Per iconogenia (neologismo modellato su fotogenia), si intende una determinata propensione a farsi raffigurare, propria di certi oggetti rispetto ad altri. Vedi G. Anceschi, Botanica Iconogenia delle piante, in G. Anceschi, P. Pallottino, L'illustrazione scientifica didattica e divulgativa (Mostra), Lucca 14, 1980. 28+1. Già per il giovane Marx il denaro è l’oggetto in senso eminente [überhaupt], che confonde e scambia tutte le cose . Karl Marx, Manoscritti economico filosofici del 1844, Einaudi, Torino, 1968. Che esso sia una merce viene sviluppato ne Il Capitale, (Editori Riuniti, Roma, 1965-68) nel contesto della teoria del denaro e dell’analisi delle merci. 28+2. Gaver, B., Dunne, T., Pacenti, E., Culturale Probes, in “Interactions ”, ACM, vol. VI-1, gennaio-febbraio, 1999. Elena Pacenti, La progettazione dei servizi, Tesi di Dottorato in Disegno Industriale, Politenico di Milano, X ciclo, 1995. 28+3. Giovanni Anceschi, Il progetto delle interfacce Oggetti colloquiali e protesi virtuali, Milano, Domus Academy Edizioni, 1993. 29 P. E. Schramm, Herrschaftszeichen, und Staatssymbolik, in Schriften der Monumenta Germaniae, bd. 13, 1978, p. 1059. 30 Vedi in proposito il meraviglioso A. Salmony, Corna e lingua, Adeiphi Editore, Milano 1968, p. 68 e passim.


31 T. Brun, Dizionario internazionale del Iinguaggio dei segni, Sugar Editore, Milano 1971, p. 71. 32 J Boucher, Simbologia massonica, ed. Atanor, Roma, s.d. (ma ediz. fr. 1948), p. 61 e poi p. 211. 33 U. Eco, voce “Simbolo”, Enciclopedia Einaudi, vol. XII, p. 877. 34 É la situazione formidabilmente descritta e radicalmente criticata da Naomi Klein (Nologo, Baldini & Castoldi, Milano, 2000). 35 L’ espressione relazioni interne è in molti casi un eufemismo per relazioni col sindacato. La disciplina delle Public relations, si sviluppa soprattutto negli Stati Uniti a cominciare dagli anni ‘30, con una particolare fioritura negli anni ‘50. Scott M. Cutlip, Allen H. Center, Effective public relations (1952), Engelwood Cliffs, New York, 1982. Si può affermare che l’image nasce negli anni ‘60 dall’alleanza fra la grande scoperta massmediologica operata dai visual designer (i quali riconoscono che l’azienda è essa stessa un mass medium multimediale), con la tradizione delle Public Relations (che vede l’azienda come un emittente di comunicazioni interne e esterne). S. De Vio, Immagine, relazioni interne e relazioni esterne, in “L’impresa”, n. 2, 1988. 36 Truman Burbank è il personaggio impersonato da Jim Carey in Truman Show, il film che racconta di una persona che vive dentro a uno studio televisivo. È l’unico che non sa che tutta la sua vita è il risultato di un’illusione progettata. 37 Metaverso è l’espressione usata da Neal Stephenson per designare il universo parallelo virtuale dove si svolge la parte più avvincente della storia del suo romanzo Snow Crash. Neal Stephenson, Snow Crash, Shake, Milano, 1995. Oggi sul web è attivo più di un metaverso, ad esempio “EverQuest” il MMOG (Massive Multiplaying Online Game), che attualizza il regno virtuale di Norrath, dove ‘vivono’ più di 500.000 giocatori iscritti, o il coreano “Lineage”, con 8 milioni di abitanti. La virtual reality supera la fantasy. 38 Nathan Shedroff, Experience design, New Riders, Indianapolis, 2001. 39 Ralph Wilson, 11 regole per NON avere un sito, “Web Marketing Tools”, n.1, marzo, 2001. Questa indicazione mi viene dalla tesi di laurea del mio allievo Marco Dufour, Comunicazione coordinata, Politecnico di Milano, A. A. 2000-2001.


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