Eclettica 3

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INDICE

INTRODUZIONE

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The horror! The horror! Arteggiamenti Echoes Scorci dal mondo incantato Dalla carta alla pellicola Le ali di Iside La bacheca dello scribacchino Il gabinetto del Dottor Lamberti ...E azione! Avventure da palcoscenico Chiacchierando con... Un mare di letteratura Feel music Metti un...classico moderno a cena L’angolo degli esordienti-emergenti Libri vintage Phil e Sofia Memorie di viaggio

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CONTATTI

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I N T R O D U Z I O N E

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ccoci finalmente con il terzo numero di Eclettica! In questo nuovo numero abbiamo una new-entry: diamo il benvenuto a Valeria che, con la sua rubrica Avventure da palcoscenico, ci porterà a teatro con lei! Donato Carrisi e il suo ultimo romanzo, L’ipotesi del male, saranno i protagonisti della rubrica curata da Giuliano. Lidia ci parlerà di una scrittrice tutto fare, Erika Corvo. Il mese che si è appena concluso, Febbraio, può essere considerato il mese dell’amore, quindi Fabiana ci parlerà di The Elite, la cui copertina dai toni rossi le ricorda l’amore e la passione. Non possono mancare i preziosissimi consigli di Mary, che questa volta saranno sul C.A.S.O editoriale. Dopo averci parlato di I pilastri della vita nello scorso numero, Roberto recensirà il suo seguito, Mondo senza fine, che non ha nulla da invidiare al primo volume. La bellissima Nike con le sue ali spiegate: ecco di cosa tratterà Cristina nella sua rubrica Arteggiamenti. Passando per il grande schermo, Mirko ci parlerà di The wolf of Wall Street, invece Daniela di Noi siamo infinito e del libro da cui è tratto, Ragazzo da parete. Ci sposteremo poi in Estremo Oriente con Francesca che ci parlerà di Semiramide, la cui storia si mescola alla leggenda. Divertente il dialogo che ci propone Mirko nella rubrica Phil e Sophia, nel quale si discute sull’amore e su un particolare paragone con le galline. Nella rubrica “Chiacchierando con…” conosceremo meglio un’autrice che si definisce eclettica, alla quale piace sperimentare nuovi generi letterari: Alessandra Paoloni. La stagione primaverile si avvicina e così il protagonista della rubrica Libri Vintage sarà Vita di un perdigiorno di Joseph Von Eichendorff, un libro, come la stessa Laura scrive nel suo articolo, che racchiude in sé i colori e il tepore della primavera. Stephen King torna sul mercato con il seguito di Shining, “Doctor Sleep” e Loredana lo recensirà per noi. Il rapporto uomo-mare sarà analizzato da Claudia attraverso la poesia di Baudelaire, L’homme et la mer. Con Paola in questo terzo numero metteremo Fuga senza fine a cena. Andiamo a suon di musica con i The Smiths e il loro album Singles nella rubrica curata da Mirko, Feel music. Infine, torniamo di nuovo a Londra con Fabiana che, questa volta, ci porterà a fare shopping per i mercati e negozi londinesi.

Buona Lettura!


THE HORROR!

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Di nuovo Stephen King. E’ vero che non è passato molto tempo dall’ultimo articolo scritto sul “Re”, ma questa volta diventava difficile ignorarlo... lo scrittore vuole raccontarci cosa è accaduto al piccolo Danny Torrance, una volta riuscito a salvarsi dall’orribile Overlook Hotel di Shining. Nelle prime pagine, seguiamo il bambino mentre tenta di riprendersi dalle conseguenze terribili del suo dono. Non è finita con l’incendio dell’hotel maledetto. Qualcuno degli evanescenti ospiti ha ancora qualcosa da dire al piccolo Torrance, anche nella sua nuova casa, anche dopo tanto tempo. Riavutosi dallo shock di ritrovarsi di fronte uno dei peggiori incubi affrontati da un essere umano, rifiutandosi di credere di non riuscire a liberarsene mai più, Danny chiede aiuto a Dick Halloran, il cuoco che lo aiutò a uscire vivo dall’orrore dell’Overlook Hotel. Il pesantissimo dono della “luccicanza”, che in lui è molto forte, per una volta riesce a tirarlo fuori dai guai. Un potere da dio molto spesso si sconta con dolore e solitudine, e Danny non fa eccezione. Crescendo smarrisce se stesso, vagabonda per gli Stati Uniti in continua fuga, vivendo di espedienti, imbruttito dall’alcool che lo spinge a frequentare posti e persone malfamate, violente, senza rispetto e senza umanità. Una sbronza particolarmente pesante gli fa toccare il fondo; un mattino si sveglia in una stamberga, sdraiato vicino ad una prostituta seminuda, e mentre tenta di fuggire alla chetichella, dopo averle sottratto del denaro, incontra il figlio bambino di lei, un esserino lasciato a se stesso, coperto di lividi e malnutrito, che sta per ingerire una manciata di droga lasciata incustodita su un tavolino. Dopo aver impedito al bambino di uccidersi inconsapevolmente, Danny si precipita fuori in preda all’angoscia e al disgusto di se stesso più profondi. E’ l’inizio di una lunga catena di anni, che il giovane trascorre impegnato a lottare a corpo a corpo contro il demone dell’alcool e della rabbia che in lui si coalizzano

TRAMA

Perseguitato dalle visioni provocate dallo shining, la luccicanza, il dono maledetto con il quale è nato, e dai fantasmi dei vecchi ospiti dell’Overlook Hotel dove ha trascorso un terribile inverno da bambino, Dan ha continuato a vagabondare per decenni. Una disperata vita on the road per liberarsi da un’eredità paterna fatta di alcolismo, violenza e depressione. Oggi, finalmente, è riuscito a mettere radici in una piccola città del New Hampshire, dove ha trovato un gruppo di amici in grado di aiutarlo e un lavoro nell’ospizio in cui quel che resta della sua luccicanza regala agli anziani pazienti l’indispensabile conforto finale. Aiutato da un gatto capace di prevedere il futuro, Torrance diventa Doctor Sleep, il Dottor Sonno. Poi Dan incontra l’evanescente Abra Stone, il cui incredibile dono, la luccicanza più abbagliante di tutti i tempi, riporta in vita i demoni di Dan e lo spinge a ingaggiare una poderosa battaglia per salvare l’esistenza e l’anima della ragazzina. Sulle superstrade d’America, infatti, i membri del Vero Nodo viaggiano in cerca di cibo. Hanno un aspetto inoffensivo: non più giovani, indossano abiti dimessi e sono perennemente in viaggio sui loro camper scassati. Ma come intuisce Dan Torrance, e come imparerà presto a sue spese la piccola Abra, si tratta in realtà di esseri quasi immortali che si nutrono proprio del calore dello shining.


THE HORROR!

A cura di Loredana Gasparri

spesso. Danny Torrance non è l’unico essere in cerca di qualcosa del romanzo. Parallelamente ai suoi spostamenti in tutti gli Stati americani, seguiamo i movimenti di un gruppo particolare di persone. A prima vista, si tratta di comuni viaggiatori, un po’ avanti con l’età. Pensionati sorridenti e innocui, abbigliati con buffe magliette piene di scritte spiritose, cappellini da baseball, pantaloncini, tute da ginnastica, che guidano camper lenti e mastodontici, impervi agli insulti del mondo arrabbiato e frettoloso che se li trova davanti. Si spostano come se davvero tutto appartenesse a loro, non hanno fretta, consultano cartine e mappe per arrivare alle mete che decidono di volta in volta. Se il mondo che li compatisce e li disprezza facesse maggiormente attenzione alle espressioni di quegli occhi che osservano freddi, e a quei finti sorrisi accomodanti, brillanti di denti stranamente sani e aguzzi, fuggirebbe urlando a cercare riparo. Sono il Vero Nodo: umani diventati demoni, qualcuno vecchio di secoli, veri e propri padroni inosservati e abilmente camuffati, in viaggio continuo alla ricerca del loro cibo preferito, la “luccicanza”, che loro chiamano “vapore”. Cercano soprattutto bambini particolarmente dotati come lo era Danny anni prima: piccoli bersagli facili da attrarre e da “mangiare”, in grado di mantenerli giovani e forti a sufficienza. Durante gli anni di caccia del Vero Nodo, l’inconsapevole Danny costruisce il proprio recupero, giorno dopo giorno, in una minuscola comunità del New Hampshire, dove trova casa, lavoro e alcuni amici in un ospizio. Di giorno inserviente, di notte, in occasioni particolari, “Doctor Sleep”. L’ingombrante luccicanza che l’ha messo così tanto in pericolo in passato, gli fornisce l’occasione di accompagnare dolcemente i pazienti in procinto di attraversare l’ultima porta, grazie all’aiuto di un gatto particolarmente sensibile e infallibile nel capire chi ha esaurito il proprio ciclo vitale. Grazie al suo dono, conosce, seppur a distanza, una piccola superdotata come lui, Abra Stone; una ragazzina estremamente potente che condivide con lui l’oscuro potere e molto altro ancora. Tuttavia, la piccola ha risvegliato l’interesse di Danny Torrance e di qualcuno di molto più pericoloso e spietato. Il Vero Nodo, una volta scoperta la sua presenza e il suo eccezionale potere, scatena le proprie forze infernali per appropriarsene. Doctor Sleep, per difenderla, si trova di fronte ai propri demoni dell’infanzia, mai completamente domati: è l’occasione, dopo i passi incerti nel buio della propria anima, di assaporare il lato positivo della propria vita vagabonda e bizzarra. Dopo un’ultima feroce lotta, Danny chiude definitivamente la porta dell’Overlook Hotel e s’immerge nella sua identità di Doctor Sleep.

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ARTEGGIAMENTI

La Nike restaurata A cura di Cristina Malvezzi

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hi non conosce la Nike di Samotracia, il capolavoro d’arte ellenistica che svetta sulla scalinata Daru del Musée du Louvre e che ha ispirato, con la posizione delle sue ali, un noto marchio di abbigliamento sportivo? La scultura rodia rappresentante la Vittoria alata, rivenuta sull’isola egea nel 1863, è oggetto di un restauro che, iniziato lo scorso 3 settembre, si protrarrà, secondo quanto annunciato dal Louvre, fino all’estate del 2014. L’intervento, che avverrà in più fasi e che partirà con lo smontaggio dei diversi blocchi di marmo che compongono la Nike (effettuati rigorosamente il martedì, giorno di chiusura), coinvolgerà anche la scalinata principale del museo parigino, che, però, non verrà totalmente chiusa in quanto snodo fondamentale per il traffico turistico.

La scultura, realizzata in marmo rodio intorno al 200 a.C. e attribuita allo scultore Pitocrito, rappresenta Nike (la Vittoria), la figlia alata di Zeus, che termina il suo volo trionfale posandosi sulla prua di una nave da battaglia facente parte di un gruppo scultoreo affacciato su un ninfeo. Il monumento fu forse dedicato dai Rodii ai Cabirii, divinità dell’oltretomba particolarmente care agli abitanti di Samotracia che proteggevano i naviganti, per celebrare una vittoria ottenuta contro i Fenici. La statua ha una foggia sorprendente per il realismo con cui sono resi il movimento della dea e le pieghe del panneggio schiacciato dal vento contro il suo corpo. Nonostante la Nike sia priva di testa e braccia, lo studio dell’attaccatura dell’una e delle altre ha permesso di ricostruirne la posizione originaria, determinando per gli arti una posizione diversa: il braccio destro era abbassato, il sinistro sollevato. Ma ciò che più colpisce maggiormente è senz’altro il gioco delle pieghe dell’abito, un preziosismo tipicamente ellenistico che muove dalle innovazioni fidiane delle sculture del Partenone e che fa sembrare viva e volante questa figura «protesa con impetuoso dinamismo sulla base a prora della nave, immersa nello spazio e modellata dal vento che investe e sconvolge il frusciante panneggio» (G. Becatti).


Il restauro, che il Louvre meditava già da una quindicina d’anni, non è finalizzato a riparare danni ingenti, ma solo a pulire la statua dalla patina che negli anni ne ha scurito la superficie e a ridisegnarne il piedistallo per avvicinarla al livello dello spettatore. Il costo dell’intervento è stato stimato in 4 milioni di euro, tre dei quali sono stati reperiti grazie alle sponsorizzazioni. Per l’ultimo milione, la direzione ha messo in piedi un’iniziativa non nuova alle modalità di lavoro del museo, la Tous mécènes! (letteralmente “Tutti mecenati”), invitando chiunque lo desideri a contribuire al raggiungimento della cifra totale: l’ambizioso traguardo è stato raggiunto lo scorso 7 gennaio e il successo dell’iniziativa dimostra quanto sia ancora vivo e forte l’interesse verso l’arte e la cultura. Ora non ci resta che aspettare la conclusione del restauro per godere nuovamente della bellezza della straordinaria Nike.

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ECHOES

Mondo Senza Fine di Ken Follett

A cura di Roberto Baldini

TITOLO: Mondo Senza Fine AUTORE: Ken Follett ISBN: 978-8804579991 EDITORE: Oscar Mondadori PAGINE: 1366 EURO: 16,00

TRAMA

È il 1327. Il giorno dopo Halloween quattro bambini si allontanano da casa a Kingsbridge. Il gruppo, composto da un ladruncolo, un bulletto, un piccolo genio e una ragazzina dalle grandi ambizioni, assiste nella foresta all’omicidio di due uomini. Una volta adulti, le vite di questi ragazzi saranno legate tra loro da amore, avidità, ambizione e vendetta. Vivranno momenti di prosperità e carestia, malattia e guerra. Dovranno fronteggiare la più terribile epidemia di tutti i tempi: la peste. Ma su ciascuno di loro resterà l’ombra di quell’inspiegabile omicidio cui avevano assistito in quel fatidico giorno della loro infanzia. Seguito ideale de “I pilastri della terra” Follett ritorna al Medioevo ambientando “Mondo senza fine” due secoli dopo la costruzione della cattedrale gotica di Kingsbridge, sullo sfondo di un lento ma inesorabile mutamento - che rivoluzionerà le arti quanto le scienze in cui ci si lascia alle spalle il buio e si cominciano a intravedere i primi bagliori di una nuova epoca.

Dopo le vicende di “I pilastri della Terra”... Svariati decenni sono passati dai fatti narrati nel precedente volume. Jack e Aliena hanno trovato, non senza fatica, il fatidico lieto fine. La cattedrale sorge ancora maestosa, la testimonianza più vera e solida dell’enorme passione di Jack, un amore che ha donato sia alla sua famiglia che al suo lavoro. La situazione, in compenso, non è mutata: mancanza di fondi, povertà e malattie. Senza contare gli intrighi a corte, giochi di potere che calpesteranno, come sempre, la povera gente che non ha nemmeno un pezzo di cipolla per la zuppa…

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I protagonisti di questa nuova storia saranno Merthin e Caris. Due adolescenti che si amano da lontano, da sempre. Merthin è un ragazzo buono e umile, disposto ad attendere in eterno per un solo gesto dell’amata Caris. Purtroppo il loro amore dovrà superare mille e ancor più ostacoli, prima di poter finalmente sbocciare… Ralph, fratello di Merthin, non potrebbe essere più differente nemmeno se lo volesse: arrogante, presuntuoso, il tipico ragazzo che vuole tutto senza dare in cambio nulla. Un temperamento di fuoco che lo potrebbe portare verso la grandezza e la gloria, passando però ogni secondo molto pericolosamente vicino alla


9 morte… Gwenda è follemente innamorata dell’onesto Wulfric. Quest’ultimo, come in tutte le storie d’amore che si rispettino, ha ceduto il suo cuore alla bella Annet, una ragazza splendente come il sole ma fredda come i ghiacci del nord. Un triangolo amoroso che porterà gioie e dolori in egual misura, divisi equamente tra i tre ragazzi. Gli anni passeranno lenti ma inesorabili e molte cose cambieranno, a Kingsbridge. A partire dal priore, ben lontano da quell’esempio di saggezza che era Philip. In compenso i giochi di potere saranno immutati e coinvolgeranno chiunque si porrà sulla strada per il successo. Tutto sembrerà andare per il verso sbagliato, l’amore sembrerà soccombere al grande odio che alberga nel cuore di molti esseri umani. La distanza potrebbe rafforzare come distruggere i sentimenti di chi si ama ma la guerra giungerà e demolirà il poco di buono e onesto che è stato costruito con il sudore e il sangue. Quando tutto sembrerà essersi livellato, un nuovo nemico giungerà a sconvolgere la vita egli abitanti dell’intera Europa. Un nemico spietato ma, a modo suo, imparziale. Colpirà indifferentemente ricchi e poveri, buoni e cattivi, uomini e donne. Signore e signori, la peste è giunta sino a Kingsbridge… Ken Follett ha conquistato milioni di lettori in tutto il mondo con le sue opere. Titoli come “La cruna dell’ago” o “I pilastri della terra” sono famosissimi e riconosciuti come

vere e proprie pietre miliari della letteratura mondiale. “Mondo senza fine” non farà certo eccezione, nonostante molti fans del suo predecessore continueranno ad amare Jack e Aliena e storceranno il naso leggendo la storia di Merthin e Caris. Io stesso ero molto scettico verso questo seguito che prometteva grandi cose. Avendo adorato “I pilastri della Terra” ed essendomi innamorato di Lady Aliena, ero curioso di vedere questa nuova opera del buon Ken. Sarebbe riuscito a far di nuovo breccia nel mio cuore come la volta precedente? Ebbene sì, ce l’ha fatta, non so come, ma è riuscito a lasciarmi di nuovo qualcosa, un qualcosa di assolutamente meraviglioso e unico, qualcosa che solo Ken sa dare… Forse qualcuno di voi preferirà Merthin a Jack, o magari Aliena a Caris. Chi vorrà vedere Philip in Godwyn e penserà a Ralph come al nuovo William. Chi odierà il nuovo, chi apprezzerà il vecchio. In ogni modo avrete fra le mani un capolavoro, una storia che vi lascerà qualcosa dentro, nel bene e nel male. Un’epopea storica romanzata con maestria che vi coinvolgerà sin dalle prime pagine. Non lasciatevi ingannare dalla mole del libro, lo finirete ben prima di quanto credete, fidatevi… Forse qualcuno di voi ha già dato un’occhiata alla trasposizione cinematografica di questo libro. Spero l’abbiate fatto prima di leggere il volume e non abbiate commesso il mio errore di seguire le vicende sullo schermo dopo aver terminato questo capolavoro.


La trasposizione cinematografica del predecessore era stata fedele, a parte il finale che aveva deviato qualcosina… Anche in questo caso avevo notato con piacere che la trasposizione cinematografica seguiva la trama del libro, almeno fino a un certo punto. Poi… Uno dei protagonisti, in teoria, dovrebbe morire prima della fine. Nella serie tv riesce ad arrivare allo scontro finale, incredibile! A parte il fatto che non stiamo parlando di Rocky o Rambo, non esistono scontri finali, soltanto vicende che si chiudono. Nel film si arriva a una sorta di tre contro tre inutile e spettacolare soltanto per favorire la trasposizione televisiva. Insomma, se non avete letto il libro, il film potrebbe piacervi. Ma se siete fan del cartaceo, lasciate perdere la trasposizione cinematografica, è un consiglio da amico… In conclusione, procuratevi il libro, qualche snack e staccate il telefono. Passeranno dei giorni in cui farete preoccupare amici/parenti/morosi, ma ne sarà valsa la pena. Un capolavoro, punto e basta. Anzi, due, aggiungiamo anche il predecessore. Facciamo una cosa: leggeteli uno di seguito all’altro però magari, ogni tanto, telefonate a qualcuno per dire che siete vivi…

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A cura di Fabiana Andreozzi

A san Valentino leggi un distopic romance che parla d’amore in un futuro

post apocalittico Febbraio è il mese più romantico dell’anno, quindi ho pensato di dare spazio alla saga distopica di Kiera Cass dove i sentimenti e le emozioni sono in primissimo piano. È uscito a fine gennaio il secondo volume della saga the selection: The Elite. Non nascondo che ho comprato il primo volume attratta dalla stupenda copertina con la dama vestita con un abito da gala pomposo e azzurro. Ero rimasta letteralmente ipnotizzata, una volta a casa mi sono cimentata nella lettura e ho praticamente divorato il libro. Devo dire che l’illustrazione del secondo romanzo è cento volte più bella, sui temi del rosso che ricordano l’amore e la passione.

Scorci dal mondo incantato

The selection: per le lettrici sognatrici e romantiche.

TITOLO: The Elite (The Selection #2) AUTORE: Kiera Cass EDITORE: Sperling & Kupfer PAGINE: 299 PREZZO:17,90€ TRAMA: Dopo le prime, durissime prove della Selezione, a Palazzo sono rimaste solo sei ragazze. Una di loro sposerà il principe Maxon e conquisterà la corona. America Singer è la favorita, eppure non è felice. Il suo cuore, infatti, è diviso tra l’amore per Maxon e quello per Aspen, l’amico d’infanzia. Insieme al principe, America può vivere la favola che ha sempre sognato. Ma è davvero ciò che vuole? Confusa, chiede tempo per riflettere e si allontana da Maxon… Una decisione che potrebbe costarle molto cara. Perché nel frattempo la Selezione continua, più feroce che mai.

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Sono riuscita s finire il nuovo capitolo della saga in tempi ancora più brevi, da record proprio. Una volta iniziato mi sono ritrovata a bruciare le pagine e a giungere alla fine sconcertata. Volevo immediatamente leggere il terzo volume e invece mi tocca aspettare. Questa saga fa proprio parte di quelle che non sono capace di definire con certezza se mi sono piaciute o meno. Sono molti gli aspetti che ho apprezzato come tanti quelli che considero delle pecche. Per cominciare fa parte del filone distopico post apocalittico ma a differenza di romanzi dispotici con contenuti più profondi, tipo Hunger Games, qui la popolazione è divisa in caste ma tutta l’attenzione è incentrata sul trovare una moglie al principe; insomma, a conti fatti, sembra tutto piuttosto frivolo e banale soprattutto se uno pensa che fuori c’è una sommossa in atto, di cui tutti parlano a palazzo e da cui i regnanti cercano di difendersi ma non si sa per quale motivo queste persone stiano combattendo, nè chi siano. Il libro è ambientato

TITOLO: The selection (the selection #1) AUTORE: Kiera Cass PAGINE: 298 PREZZO: € 17,90

in un mondo futuro, all’indomani di una Quarta Guerra Mondiale che ha ridisegnato l’assetto geografico della Terra oggi nota. Illea è il nome del Regno che ha preso il posto degli U.S.A, e America è il nome della protagonista della storia, che vive in un mondo predominato dalla povertà e la divisione sociale. I cittadini di Illea sono classificati in caste di appartenenza in base alla loro rilevanza e alla loro ricchezza. Il malcontento c’è e serpeggia, soprattutto nella protagonista che, per quanto possa vivere nelle difficoltà, ha comunque una situazione più rosea delle caste che seguono la sua. America è una cinque e i cinque sono votati alla musica e alle arti in genere. Per chi avesse perso il primo volume e si fosse sintonizzato solo ora, America è segretamente innamorata di Aspen, che appartiene alla casta sei. I sei si occupano di svolgere i servizi nelle case altrui, vivono di stenti. Ovviamente questo amore è quasi impossibile e va tenuto celato.

TRAMA: In un futuro lontano, in un Paese devastato dalla guerra e dalla fame, l’erede al trono seleziona la propria moglie grazie a un reality show spettacolare. Per molte ragazze la Selezione è l’occasione di una vita. L’opportunità di sfuggire a un destino di miseria e sognare un futuro migliore. Un futuro di feste, gioielli e abiti scintillanti. Ma per America è un incubo. A sedici anni, l’ultima cosa che vorrebbe è lasciare la casa in cui è cresciuta per essere rinchiusa in un Palazzo che non conosce. Perdendo così l’unica persona che abbia mai amato, il coraggioso e irrequieto Aspen. Poi però America conosce il Principe Maxon e le cose si complicano. Perché Maxon è affascinante, dolce e premuroso. E può regalarle un’esistenza che lei non ha mai nemmeno osato immaginare...

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Quando l’erede al trono raggiunge l’età adatta per concedersi una compagna, alle giovani ragazze del regno viene data l’opportunità di essere ‘prescelte’ per la Selezione perché la futura principessa viene scelta tramite una sorta di reality show. Tutte sognerebbero di sposare il principe, a eccezione di America, che crede di aver trovato in Aspen l’amore che ha sempre desiderato. Eppure il destino le rema contro e la mette di fronte alla possibilità di aiutare la sua famiglia dalle gravi condizioni economiche in cui versa. Si troverà intrappolata tra il lusso e gli intrighi di una corte spietata. Toccherà con mano tutto quello che le altre desiderano, ma non si sente interessata. Eppure la corte del principe Maxon si è fatta sempre più insistente, non è facile ricordare l’amore che la aspetta. Ed è questo sentimento che striscia nelle pagine ad attrarmi più che la storia in sé. È la prima volta che in un libro non ho l’effetto prima impressione in cui finisco per innamorarmi del primo ragazzo che è spuntato fuori dalle pagine del libro. E no, ho amato Aspen appena l’ho visto, sofferto per questo amore segreto, ho patito con lui questo suo essere un sei che si sfianca di fatica tutto il giorno per la salvaguardia della sua famiglia ma… sì c’è un ma, quando è comparso Maxon tutto si è magicamente invertito. Per la prima volta nella storia ho sperato che il ragazzo di cui America si sarebbe interessata fosse proprio il principe. Vi domanderete perché? Beh perché sembra un personaggio che va scoperto lentamente, sembra non essero come ce lo prospetta la Cass fin dalle prime pagine. Nel secondo libro poi il gioco è ancora più spinto e Maxon a tratti pare proprio un infido verme che si è preso gioco dei sentimenti di America. Il punto più debole sono queste minacce esterne che a conti fatti sono troppo

blande. È come se la Cass per dar spazio al romance si sia dimenticata di tutto il resto inserendolo un po’ come un timido contorno da cornice. Ma per chi si lascia trasportare dai sentimenti il libro sa catturare e avvincere. Ogni tanto è la protagonista che mi getta nello scompiglio. America è una ragazzina controcorrente, lei al palazzo reale cerca solo la sicurezza e la stabilità per la sua famiglia. È proprio il suo naturale disinteressamento e il suo modo schietto e genuino ad attirare l’attenzione del principe. Sono prima amici, confidenti, poi l’amore la coglie nonostante il suo cuore sofferente deve dimenticare Aspen. Non si aspetta di rivederlo eppure inaspettatamente se lo ritrova di fronte e da quel momento in poi è confusione. Per carità, psicologicamente parlando ci sta, l’amore non si cancella in un secondo, come è possibile non saper scegliere, ma in alcuni punti più che un’impossibilità di scelta sembra che, come una banderuola al vento, America corra dove più le convenga andare. Se Maxon si rivela un mostro c’è sempre Aspen pronto ad accoglierla e ci sarà sempre. Ma appena rientra in ballo Maxon l’altro scompare. Insomma avrei preferito il tormento d’animo del non saper scegliere. Comunque la Cass si beve in poche ore, ha un modo di scrivere semplice, fluido per cui sto seriamente pensando di leggere il terzo capitolo della saga in inglese perché non sto più nella pelle di scoprire com’è andata a finire. Per chi ha l’animo sensibilmente romantico e giovanile (perché è un libro YA) non può lasciarselo sfuggire. Buona lettura a tutti, Licio


DALLA CARTA 14

RAGAZZO DA PARETE

È San Valentino del 2013 e al cinema esce “Noi siamo infinito”, tratto dal romanzo di Stephen Chbosky “Ragazzo da parete” del 2006. La Sperling & Kupfer coglie la palla al balzo e, qualche mese prima dell’uscita del film, ripubblica, in Italia, il libro di Chbosky con titolo e copertina uguali alla locandina cinematografica. Fra un tema su Kerouac e uno sul “Giovane Holden”, tra una citazione da “L’attimo fuggente” e una canzone degli Smiths, scorrono i giorni di un adolescente per niente ordinario. L’ingresso nelle scuole superiori lo lancia in un vortice di prime volte: la prima festa, la prima rissa, il primo amore - per la bellissima ragazza con gli occhi verdi che quando lo guarda fa tremare il mondo. Il primo bacio, e lei gli dice: per te sono troppo grande, però possiamo essere amici. Per compensare, Charlie trova una ragazza che non gli piace e che parla troppo. Allora lui, più portato alla riflessione che all’azione, affida emozioni, trasgressioni e turbamenti a una lunga serie di lettere indirizzate a un amico, al quale racconta ciò che vive, che sente, che ha intorno. Dotato di un’innata gentilezza d’animo e di un dono speciale per la poesia, il ragazzo è il confidente perfetto di tutti, quello che non dimentica mai un compleanno, quello che non tradisce mai e poi mai un segreto. Peccato che quello più grande, fos co e lontano, sia nascosto proprio dentro di lui.

Avete presente quei ragazzi che, nei film americani, ai balli scolastici, se ne stanno tranquilli in piedi appoggiati al muro? Quelli che, come si dice, “fanno tappezzeria”? Considerati un po’ strani. Così timidi e silenziosi, osservano studiano e comprendono le persone meglio di loro stessi. Charlie è uno di loro, vive la sua vita facendo da tappezzeria, senza partecipare veramente. È un sedicenne introverso e riflessivo, preferisce trascorrere il suo tempo tra libri e buona musica, ma è estremamente sensibile e questo lo rende

LIBRO: Ragazzo da parete AUTORE: Stephen Chbosky EDITORE: Frassinelli PAGINE: 271

un ragazzo in grado di capire e aiutare gli altr i. Ma quello che ha più bisogno di aiuto è proprio lui. A causa di un profondo e tormentato segreto, e della morte del suo migliore amico, Charlie è perseguitato da visioni che non sempre riesce a spegnere. Grazie alla vicinanza di Sam, ragazza complicata, e Patrick, simpatico omosessuale, le cose sembrano migliorare. Charlie è pronto per le sue prime volte: prime feste, primi baci, primo amore e prime esperienze con la droga. Finché una dolorosa verità minaccerà di rovinare per


ALLA PELLICOLA

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/ NOI SIAMO INFINITO

A CURA DI DANIELA MIONETTO

sempre il precario equilibrio del ragazzo. È un romanzo epistolare, Charlie scrive delle lunghe lettere ad un amico che non conosce personalmente, ma a cui vuole confidare tutti i suoi tormenti. La prima impressione, quando

si comincia a leggere, è che quelle lettere siano indirizzate direttamente al lettore. Questo stile, a volte, porta a una narrazione confusa, in cui Charlie parla a ruota libera e tutto si trasforma in una cozzaglia di ricordi e pensieri.

Nel libro vengono trattati argomenti importanti: le difficoltà dell’essere adolescente, l’amore, l’amicizia; ma anche temi molto più seri come il suicidio, l’omosessualità e le molestie sessuali. Purtroppo, ho avuto l’impressione che questi argomenti così scottanti venissero solo sfiorati leggermente, senza essere sufficientemente approfonditi, e a causa di questo ci si ritrova a leggere dei lunghi monologhi di Charlie che racconta solo le sue giornate, in modo pacato, freddo e distaccato.

FILM: Noi siamo infinito REGISTA: Stephen Chbosky ATTORI: Logan Lerman, Emma Watson, Ezra Mille

Stephen Chbosky, oltre al libro, firma la regia e la sceneggiatura del film. Questo è un lato positivo, perché chi conosce un libro meglio del suo autore? Chbosky elimina subito le parti meno importanti del libro, concentrandosi solo su Charlie e le sue esperienze. Agli argomenti più seri, che nel libro vengono solo sfiorati, mi sembra che qui venga dato più spazio e quindi vengano approfonditi meglio; o forse sono solo più visibili ed evidenti essendo un film, non lo so. Logan Lerman è bravissimo come Charlie, le

sue espressioni sono intense e incisive e sono perfette per capire gli stati d’animo del ragazzo. Emma Watson, svestiti i panni della maghetta Hermione, indossa quelli di Sam, ragazza spregiudicata e problematica. Si taglia anche i lunghi capelli ricci per l’occasione e il risultato è eccellente, dimostrando di essere un’attrice versatile nonostante la sua giovane età. Anche l’attore che interpreta Patrick, Ezra Miller, è molto bravo nel suo ruolo, dando al personaggio una personalità ben definita e spumeggiante, che manca un po’ nel romanzo, ma


senza cadere nello stereotipo dell’adolescente omosessuale preso di mira dai compagni di scuola. Apprezzabili i pochi, ma importanti, flashback in cui si vede il rapporto tra Charlie e la zia morta da tempo. Essi aiutano a capire un po’ alla volta l’oscuro e terribile segreto che il ragazzo cela nel suo profondo. La colonna sonora è sublime, ma aiutata dal fatto che nel libro erano già elencate le canzoni che poi si sentono nel film (tra cui i Beatles per i quali ho sempre avuto una predilezione). Le frasi che si sentono durante il film hanno un forte impatto, anche se possono sembrare le classiche frasi fatte, riescono a risuonarti dentro. Soprattutto il monologo finale di Charlie, incredibilmente toccante, che infonde positività e una grande spinta verso la vita. Preparate i fazzoletti, perché io ho pianto parecchio con “Noi siamo infinito”. Ha toccato corde per me molto sensibili e mi ha lasciato qualcosa di speciale che non so spiegare appieno, molto più di quanto abbia fatto il romanzo. A mio parere, questa volta, il film batte il libro.

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A cura di Francesca Rossi

Le Ali di Iside

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La leggenda di Semiramide La sua storia si mescola con la leggenda, fino a perdersi in un tempo lontano, di re, regine, favolosi palazzi e complotti sanguinosi. E’ la vicenda della regina assiro-babilonese Semiramide e a parlarcene sono Erodoto (484-425) e Diodoro (90-27), i quali hanno attinto le numerose informazioni da un altro storico, Ctesia di Cnido (V sec.). Il mistero che avvolge la storia di Semiramide ha catturato la fantasia di molti artisti, ma chi fu davvero questa sovrana?

Fu il pastore Simmas a trovarla e ad allevarla come fosse figlia sua, fino a quando ella sposò Onnes, uno dei consiglieri del re d’Assiria Nino. Semiramide era una donna forte, volitiva, senza paura e furono proprio queste doti a conquistare il monarca, che decise di sposarla. Il suicidio di Onnes permise a Nino di realizzare il suo sogno d’amore, perfezionato dalla nascita di un figlio maschio, Nynias. I due sovrani sembravano inseparabili, a palazzo come in guerra, tanto che Semiramide prese parte perfino alle campagne militari del marito. La leggenda, però, ha un tragico epilogo. Il re Nino morì e fu la regina a succedergli. Che Semiramide fosse figlia della dea Syria Durante il suo regno, però, la corruzione e e che da quest’ultima fosse stata esposta la lascivia presero il posto della giustizia e nel deserto. della moderazione. Delle colombe, però, la trovarono e la sfa- Non bastarono le battaglie da lei intrapremarono con latte e formaggio, evitandole se, né i monumenti che fece erigere, tra una morte certa.

Narra la leggenda…


cui un mausoleo per il defunto consorte, strade e il tempio di Belos a renderla una sovrana

assiro Shamsi Adad IV, che regnò dall’823 all’810. La somiglianza tra i due nomi è evidente e c’è di più. Quando il re morì, fu proprio Shammuramat a governare come reggente al posto di amata. suo figlio, ancora in fasce, dall’809 all’806. Si narra che Nynias, per liberarsi di lei, ordì Molto probabilmente la regina fu una donun complotto che, però, venne prontamen- na abile dal punto di vista politico, intellite smascherato. gente e colta ma, purtroppo, non si sa molSemiramide perdonò suo figlio e poco to di più sulla sua vita. dopo si uccise anche se, secondo un’altra versione della leggenda, la sovrana si sarebbe, invece, trasformata in una colomba. Semiramide tra arte e lussuria Come avrete notato, in questa vicenda ci sono molti punti oscuri: il suicidio di OnLa regina Semiramide è divenuta, col temnes, capitato proprio nel “momento giupo, un vero e proprio emblema di lussuria sto”, la morte di Nino e quella di Semirami- e sregolatezza, descritta come una donna de stessa, misteri che sono l’essenza vera priva di senso del pudore, al punto da indi ogni leggenda. traprendere un rapporto incestuoso con il Ateneo di Naucrati (II-III sec.) ci racconta, figlio. a tal proposito, una storia un po’ diversa: Il marchio di “meretrice” le è rimasto adSemiramide, a quanto pare, era solo una dosso, è stato sfruttato da scrittori e pittori, cortigiana molto bella che riuscì a sposare ma esistono anche alcune “voci fuori dal re Nino. coro”. Con uno stratagemma ottenne dal marito Dante la mise nell’Inferno, servendosi di lei di governare da sola per cinque giorni. Ap- per rappresentare la lussuria nel canto V e profittando del potere concessole fece uc- anche Boccaccio la biasimò duramente nel cidere il sovrano e divenne l’unica regina. suo “De Mulieribus Claris” (1361-1362). Molti autori, basandosi ancora sulla legVivaldi e Rossini, basandosi sulle leggende, genda, sostengono che Semiramide abbia le dedicarono due opere liriche, rappresenfondato Babilonia e i suoi meravigliosi giar- tate rispettivamente nel 1733 e nel 1823. dini pensili. Ci furono, però, anche autori che ebbero

La vera storia

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Non esiste in alcun documento il nome di Semiramide. Nessuna regina assiro-babilonese ha mai portato questo nome. E’ possibile, però, che storia e leggenda si siano fuse su un personaggio realmente esistito, Shammuramat, moglie del re

un’altra opinione di Semiramide. Christine De Pizan (13621431), per esempio, nel libro “La Città delle Donne” (1404-1405), ci riporta l’immagine di una guerriera, una conquistatrice indomita e


coraggiosa. Il 1962 e’ l’anno di un film a lei dedicato, “Io, Semiramide”, regia di Primo Zeglio. Nel 1985, invece, venne pubblicato un saggio di Giovanni Pettinato (oggi, ahimè, introvabile) dal titolo “Semiramide tra Leggenda e Storia” (Rusconi, Milano). Nell’opera l’autore tratteggia il profilo di una sovrana disposta alla guerra pur di proteggere il suo pacifico regno, nel quale convivono in tutta tranquillità genti che parlano lingue diverse. Ne viene fuori una Semiramide del tutto diversa, insomma, una donna libera ma non dissoluta, intelligente ma non arrivista né meschina, combattiva ma non sanguinaria. Le leggende, la voce del popolo, le società governate dagli uomini, però, caricarono la figura di simboli negativi, di infamia e di tutte le caratteristiche che una donna non dovrebbe avere. Questione interessante, questa, complessa ma, in un certo senso, attuale. Ancora una volta c’è una donna, che sia realmente esistita oppure no è un altro discorso, una regina potente, forte, indipendente e colta messa in ombra e vilipesa …

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La bacheca dello scribacchino APPUNTI E SPUNTI

UN C.A.S.O. EDITORIALE

A CURA DI Mary Chioatto

Carissimi scrittori, è con immenso piacere che mi ritrovo nuovamente qui in vostra compagnia, per condividere con voi questo errante e caro viaggio chiamato scrittura. Quest’oggi vorrei sottoporvi alcune riflessioni, sorte e maturate nella mia testa da alcuni mesi, grazie ad un intreccio di nozioni e suggerimenti trovati nel web. Ed io, da diligente scrittore alle prime armi quale sono, non ho esitato a raccogliere, analizzare ed apprendere ogni sfaccettatura e consiglio possibile. Il tema di questo articolo, a mio avviso uno degli aspetti più delicati della stesura di un romanzo, è proprio la sua struttura. Come definireste voi la struttura di un romanzo a portata di editore? Ebbene, dopo lungimiranti scervellamenti, sono giunta alla mia conclusione che spero anche possa rivelarsi corretta: un buon romanzo deve essere un vero e proprio C.A.S.O. editoriale. “Caso” non nel senso lato del termine, ma come acronimo di una serie di caratteristiche che, a mio avviso, un buon manoscritto deve avere. In breve: C. = Coerenza A. = Alternanza dei fatti S. = Solidità, ben strutturato O. = Originalità C come “Coerenza” Ebbene sì: per aver tra le mani un manoscritto a portata di editore dobbiamo in primis esser coerenti. Nel precedente articolo abbiamo appurato l’essenzialità della coerenza – esaminandola dal punto di vista dei personaggi – ma questa caratteristica dev’essere abbinata a qualsiasi elemento del romanzo. Se manchiamo di coerenza, generiamo caos nella testa del lettore, con conseguente incomprensione – e talvolta disgusto – del romanzo. Noi scrittori scriviamo a singhiozzi, a volte mossi da un altalenante estro creativo e spesso afflitti da un affannoso rincorrersi di impegni chiamato quotidianità. E tutto questo non giova alla nostra memoria, che potrebbe spingerci nelle sue trappole ed inganni. E vi domanderete: come possiamo esser certi di esser sempre coerenti? In sincerità non ho particolari tecniche da proporvi, ma posso suggerirvi quanto faccio io, ovvero l’annotazione degli elementi più particolari e difficili da ricordare. Nel precedente articolo suggerivo la compilazione di una scheda per ogni personaggio, la medesima cosa può esser fatta per le ambientazioni e le varie vicende. E per maggior coerenza, potrebbe esservi d’aiuto anche quanto vi suggerirò in merito alla solidità. A come “Alternanza dei fatti” Diciamoci la verità: un romanzo che presenta sempre uno stesso ritmo di vicende, o sempre una stessa tipologia di fatti, a lungo andare, seppur scritto da una penna mirabile, si presenta come morboso e piatto. Perdiamo l’effetto sorpresa, quella scintilla che spinge il lettore a voler concludere la lettura romanzo, costringendolo a riporlo in angolo della libreria a far la muffa. Alterniamo momenti d’azione ad attimi di

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quiete, visioni d’amore a valli di lacrime. Alterniamo i fatti, alterniamo le emozioni. A rimedio della morbosità, vi sottopongo un utile stratagemma proposto dall’autrice Grazia Gironella, che ci invita a giocarcela a carte. Buffo come suggerimento direte voi, ma non intende certo una partita a Briscola o a Poker! In breve, l’autrice del saggio “Per scrivere bisogna sporcarsi le mani” ci consiglia di appuntare su alcuni cartoncini rigidi i vari eventi che abbiamo scombinati per la testa. Una volta preparate le carte occorre stenderle su un tavolo e… provate a giocarci, a rimescolarle, a ricreare effetti sorpresa, tagli e divagazioni che prima l’immaginazione non vi offriva. Un divertente stratagemma per aver un effetto sorpresa assicurato. E se questo suggerimento vi stuzzica la creatività, vi lascio il collegamento all’intero articolo di Grazia Gironella, dove vi spiega per filo e per segno la sua proposta: https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=377253652349448&id=217830234958458 Non mi rimane che augurarvi… buon divertimento! S come “Solidità e buona struttura” Un romanzo è paragonabile ad una costruzione che necessita di fondamenta solide, a prova di terremoti emotivi improvvisati dai propri personaggi. E deve crescere pian piano, i capitoli devono essere muri eretti con parsimonia, per aver la capacità di sostenere il peso della tanto agognata conclusione. I capitoli devono susseguirsi con la dovuta logica, seguendo l’elementare regola: Cause  Fatti  Conseguenze Anche in questo caso non ho strabilianti suggerimenti da darvi, ma sono dell’idea che uno schema cronologico/logico dei capitoli, che al momento sono sparpagliati alla rinfusa nella nostra testa, di certo male non faccia. Anzi, ascoltando il programma radiofonico Carezze d’Inchiostro lo scorso dicembre, mentre intervistavano la scrittrice Nadia Boccacci (autrice di “In viaggio con te” e “I colori che ho dentro”), ho trovato riscontro del mio proposito: l’autrice stessa ha spiegato che prima di lasciarsi cogliere dall’esplosione dell’estro creativo, si concede un po’ di tempo per schematizzare tutte le proprie idee. Quindi, perché non provare? Sono certa che, alla mia proposta, alcuni di voi mi riservino una risposta ben diversa dal consueto assenso. Vi starete chiedendo “ma io scrivo seguendo l’estro creativo, quando inizio a scrivere non tutti i fatti sono decisi a priori, come posso fare?” Vi posso assicurare che io stessa mi sono imbattuta nel medesimo problema: quando si inizia un manoscritto si è mossi dalla propria creatività, dall’esplosione della fantasia che a stento riusciamo a trattenere, che non ci riserva alcun spazio per la logica. Volete sapere cosa ho fatto? Ho iniziato ad annotare, man mano che giungevo alla conclusione di un capitolo, un piccolo appunto. Piccole annotazioni a riassumere le vicende, giusto per iniziare, per poi continuare gradualmente lo schema man mano che procedevo alla conclusione dei capitoli. Ciascun capitolo chiuso si è materializzato in un piccolo gradino del mio piccolo flusso logico. In questo modo posso sempre testare l’andamento logico e cronologico dei fatti, senza mai perdermi. O come “Originalità” Inutile ribadire l’essenzialità dell’originalità dei propri manoscritti, argomento che ho già posto sotto i riflettori nel primo volume di Eclettica. Come si sa il lettore è una personcina esigente, che sguazza in una realtà dove ci sono più scrittori che lettori, dove ci sono più libri di quanti realmente riesca a leggere in una vita intera. Ergo, dobbiamo dargli una motivazione affinché scelga di leggere la nostra opera piuttosto che le altre. Dobbiamo invitarlo ad una realtà diversa, ed il volto migliore che possiamo dare al nostro invito è l’originalità. Concludo l’articolo stavolta, porgendovi una manciata di domande: e voi? Cosa ne pensate? Come definireste la struttura ideale per un romanzo a portata di editore? Scambiamoci qualche opinione a riguardo sulla pagina Facebook di Eclettica, vi aspettiamo!

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IL GABINETTO DEL DOTTOR LAMBERTI L’ipotesi del male- Donato Carrisi

A cura di Giuliano Latini

TRAMA:

Mila Vasquez è un poliziotto. Sulla sua pelle sono disegnate le tracce di dolori passati, consolatori dei mali d’anima. La sua anima è dipendente dall’oscurità che la circonda e lei cerca di mantenere un equilibrio affrontando la sua ossessione giorno per giorno, come un ex-alcolista. Mila è un segugio che cerca chi è scomparso, così da farlo uscire dal Limbo, il suo ufficio e la parete che raccoglie le immagini degli scomparsi. Un giorno gli scomparsi decidono di tornare per avere la loro rivincita ed uccidere. Per Mila e la Polizia il ritorno degli scomparsi riporta a galla brutti ricordi e vecchi rancori, soprattutto per il Giudice, che siede a capotavola e Berish, la pecora nera del dipartimento. Mila e Berish stringono un sodalizio, compagni nel mal d’anima che li affligge, cercando sollievo nello scoprire chi fa ritornare per uccidere gli scomparsi e perché. Scopriranno più di quanto desiderano su se stessi e su quanto il male e le sue ipotesi possano sfiorarli negli affetti più cari. TITOLO: L’ipotesi del male AUTORE: Donato Carrisi EDITORE: Longanesi ISBN: 978-8830428232 PAGINE: 432 PREZZO: 18,60€

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“E’ dal buio che vengo, ed è al buio che ogni tanto devo ritornare” è un mantra. E’ il mantra di Mila Vasquez: poliziotto, donna, madre, vittima, anima inquieta, cittadina del buio e testimone dell’abisso, con l’abisso che si riflette in lei. Mila è un poliziotto del Limbo, la sezione della Polizia che si occupa delle persone scomparse. Un ufficio le cui pareti sono tappezzate di foto, ritraggono persone uscite e mai più rientrate a casa, sospese tra la vita e la morte. Limbo da cui Mila e il suo capo Steph hanno il compito di strapparli per riportarli ad uno stato noto, per rispondere alle domande di chi è rimasto. Mila, come scout del buio, caccia chi sta per scomparire, chi è scomparso, chi non è mai esistito. Ora l’oscurità decide di

sorprenderla; la preda esce dal sottobosco e diventa carnefice. Un nuovo caso esplode a sconvolgere la polizia: feroce, insensato e dal colpevole noto. Un caso e un colpevole noti a Mila, da cui si dipana un lungo filo, percorso per disseppellire le radici del male e distruggerle. Un viaggio che Mila inizia, seguendo la scia d’indizi lasciati da un burattinaio nascosto dietro le quinte e che la porterà ad incontrare Simon Berish, il reietto del dipartimento. Accompagnata da Berish, moderno Virgilio in questa discesa negli inferi; a lui dovrà la risalita dal buio profondo in cui scenderà, scoprendo quanto il male ed il suo predicatore le sono vicini. In questa nuova opera, naturale prosecuzione del “Il Suggeritore”, l’autore, Donato Carrisi, continua


il percorso narrativo 6 anni dopo, ripartendo da Mila. La storia scorre coinvolgente, con Carrisi che non tradisce mai il patto stipulato con il lettore, lungo un percorso in penombra illuminato casualmente da flashback, con cui chiarisce la strada fatta fino a quel momento, in una storia ambientata oggi ed iniziata 30 anni prima, con una tragedia familiare in cui anime distorte ed ambigue s’incontrano, per dare origine ad un’armata di ombre. L’autore conclude con un finale ambivalente. Una soluzione interessante per concludere la storia, riportandoci all’inizio del “Il Suggeritore”, grazie alla natura binaria del male, così da trasformare le due storie in un unico Uroboro narrativo. Contemporaneamente, con le ultime righe, Carrisi lascia un finale aperto, piantando il seme di racconti futuri grazie ad un’immagine con cui la fantasia del lettore viene spinta verso nuovi scenari malvagi, possibili nascituri del matrimonio tra il fascino del buio e la curiosità dell’infante. Con questo romanzo, premiato con il Giorgio Scerbanenco 2013, Carrisi inizia ad esplorare come la comunione di scopi ed esperienze spingono le persone ad aggregarsi spontaneamente. Gruppi che, pilotati e focalizzati da personaggi carismatici, annullano la coscienza personale sostituendola con quella del formicaio in costruzione. Usando la narrazione dell’indagine su i propri “villains” come un microscopio, Carrisi mostra come la debolezza morale si trasformi in determinazione omicida, se viene sapientemente forgiata sfruttando: un destino avverso, la banalità del male ed il desiderio di felicità. Gli atteggiamenti di arrogante certezza, con cui sta diventando prassi sociale esporre il proprio punto di vista su qualsiasi cosa, quasi che il dubbio si stia trasformando in un peccato mortale, sono tracce infinitesimali di quello che Carrisi ci mostra con il suo microscopio. Tracce che spero rimarranno mortalmente evidenti solo nella finzione narrativa e latenti nella realtà quotidiana.

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...E AZIONE!

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The wolf of Wall Street IS SPER A G E KO D

A

IR DI M A R CU

TRAMA: Jordan Belfort è un giovane di belle speranze, che vuole sfondare nel dorato mondo di Wall Street. È disposto a tutto, pur di arrivare in alto, fra i pezzi grossi, ma il suo primo giorno di lavoro coincide con il famigerato lunedì nero dell’87, ed è costretto a lasciare il lavoro. Ma non si dà per vinto e decide di fondare una propria società di vendite, la Stratton Oakmont, che gli permette, tramite manipolazioni azionarie e bancarie illegali di farlo diventare milionario a soli 26 anni. Ma l’FBI non tarda a mettersi sulle sue tracce...

TITOLO: The wolf of Wall Street ANNO: 2013 GENERE: Commedia nera; Drammatico; Azione; Biografico DURATA: 159 minuti REGIA: Martin Scorsese SCENEGGIATURA: Terence Winter INTERPRETI: Leonardo DiCaprio; Jonah Hill; Matthew McConaughey; Margot Robbie;

Giunge finalmente anche in Italia, l’ultima fatica di Martin Scorsese, che di “fatica” vera e propria ne ha dovuta aggiungere, oltre a quella per la lavorazione del film, prima di vederlo distribuito. Un braccio di ferro fra lui e la produzione ha fatto slittare di diversi mesi l’uscita di questo The wolf of Wall Street, per contrasti sulla durata della pellicola (battaglia vinta dal regista con le tre ore definitive del film). Già dal trailer l’impressione che si percepiva era quella dello Scorsese che tornava ai temi cari, presenti anche in alcuni lavo-

ri precedenti, Quei bravi ragazzi e Casinò su tutti, con insomma il protagonista che affrontava la solita parabola discendente, dopo il successo e l’affermazione, con soldi, donne e droga nel mezzo del percorso. E tutto questo c’è effettivamente, ma stavolta il tono del film sembra spostarsi anche su un’ironia dissacratoria e sarcastica che sembra venare la storia. Spesso si ride per le situazioni grottesche che si trova ad affrontare Belfort, messo a nudo e spesso in ridicolo, in maniera impietosa sotto gli occhi degli spettatori.


con Scorsese. Non v’è dubbio che la sua inDato l’argomento di stretta attualità (l’ascesa terpretazione dia tantissimo al film (è anche di Belfort è avvenuta nei primi anni ‘90, ma produttore esecutivo, a riprova del suo coinsono i broker, la borsa e l’alta finanza l’argovolgimento nel progetto), arrivando anche a mento principale del film) si potrebbe anche superare la sua prova in The Aviator, nel quale discutere della denuncia del film rivolta al aveva (quasi) da solo sorretto l’intero film. In mondo di Wall Street, così come si potrebbe- The wolf of Wall Street compie un ulteriore ro fare diversi parallelismi ai film precedenti passo, arrivando a rendere credibili alcune del regista newyorchese (basti guardare Bel- scene, anche soltanto con le sfumature della fort e gli altri, quasi più simili a dei gangster propria voce (è davvero consigliata la visione che non a dei broker, nei loro atteggiamenti). in lingua originale, con i sottotitoli), scene che Ma il vero tema, il vero filo portante dell’inte- sarebbero potuto benissimo diventare ridicora pellicola resta la dipendenza: che si tratti di le, senza il suo apporto (vedi la scena in aedroga, pasticche, sesso, successo, soldi, non reo, quando Belfort deve raggiungere la Svizcambia. Jordan Belfort non può fare a meno zera). Dopo il Golden Globe e il premio della della creatura che ha messo su e, in più di Critica, forse per Leo “Cuore dell’Oceano” è una scena, sorge il dubbio su chi sia davvero davvero la volta buona dell’ambito Oscar. A il prodotto di chi, se non sia poi lo stesso Jor- contenderglielo, sarà proprio Matthew McCodan, il vero prodotto della Stratton Oakmont. naughey, qui presente in un cameo irresistibiSenza voler rivelare troppo della trama, la le, nel ruolo del mentore di Belfort. scena nella quale Belfort si ritrova a parlare davanti agli impiegati della Stratton, con tan- Insomma, come da premessa: chi aveva già to di microfono, condensa perfettamente il messo le mani avanti, prospettando uno rapporto che ormai si è instaurato fra lui e il Scorsese in vena di ripetersi non ha davvero mondo pieno di eccessi nel quale è calato (o tutti i torti. Scene nelle quali Belfort-DiCaprio sprofondato). parla allo spettatore, musiche onnipresenti, broker-gangster e via dicendo... ma non si può non dare ragione anche a coloro che avevano previsto una variazione sul tema, con un film che riesce a risultare innovativo, pur percorrendo la solita strada. Nel dubbio, merita senz’altro una visione, per la formidabile interpretazione del protagonista e per la mano del regista, ancora in stato di grazia.

Scorsese si circonda di alcuni fra i suoi fedelissimi, a partire dalla sempre eccezionale Thelma Schoonmaker (in un film concitato come questo, il suo montaggio risulta tanto impeccabile, quanto necessario nella riuscita del prodotto) a Irwin Winkler, produttore di diverse pellicole del regista, da Toro scatenato a Quei bravi ragazzi. Torna anche Leonardo Dicaprio, qui alla sua quinta collaborazione

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Curiosità La vicenda è tratta dalla biografia di Jordan Belfort, realmente esistito, che, dopo la visione del film, ha avuto modo di commentare: «E’ stato scioccante. Ho visto il film con la mia fidanzata la prima volta, e siamo rimasti senza parole. Dovevo fare i conti con la mia vecchia vita. Il libro che ho scritto è stato un’esperienza catartica, ma il film è stato molto di più. Ho letteralmente sudato su alcuni punti…»


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AVVENTURE DA

SUG

A CURA DI VALIVI

Wizard Service Srl e Atlantide - Teatro Stabile di Verona presenta Sugar (regia di Federico Bellone), un esilarante musical ispirato a “A qualcuno piace caldo” (regia di Billy Wilder, 1959), una delle migliori commedie della storia del cinema. Le avventure di Jerry e Joe saranno in grado, dopo aver vinto sul grande schermo un Oscar e tre Golden Globe, di trionfare anche sul palcoscenico? Il copione del musical, (Peter Stone), è stato particolarmente fedele a quello della pellicola cinematografica. Nella Chicago della grande depressione, della mafia e del proibizionismo due musicisti jazz squattrinati, il sassofonista Joe (Pietro Pignatelli) e il contrabbassista Jerry (Christian Ginepro), assistono casualmente alla Strage di San Valentino mentre trasportano degli spartiti in un garage per qualche spicciolo, poiché l’iniziale impiego come musicisti è andato perduto in seguito all’irruzione della polizia nello speakeasy dove lavoravano. Per sfuggire a Ghette Colombo, il temibile sicario di Al Capone, che sta setacciando ogni orchestra d’America alla ricerca dei due scomodi testimoni, Joe e Jerry si travestono da donna e si uniscono ad un complesso jazz di incantevoli fanciulle diretto a Miami per una tournée di due settimane. Si tratta di un’occasione perfetta per sparire dalla circolazione, ma le stupende musiciste sono un’atroce tentazione per Josephine e Daphne (così si chiameranno d’ora in poi i due jazzisti), che rischieranno più volte di tradirsi e rivelare la loro vera identità. Il problema principale è costituito da Sugar (Zucchero Cantido nel film, interpretata nel musical da Justine Mattera), la sensuale cantante e suonatrice di ukulele con il vizio per l’alcool e una vita sentimentale travagliata:

entrambi i fuggitivi sono perdutamente cotti di lei e farebbero di tutto per conquistarla. Ma come corteggiare la bellissima artista, interpretata nel film da Marilyn Monroe, senza fare saltare la copertura? Fingere di essere la sua migliore amica o sedurla nei panni dell’uomo dei suoi sogni, un miliardario occhialuto e sensibile? E cosa accadrebbe se Josephine e Daphne attirassero le lusinghe di ammiratori indesiderati, come il miliardario Osgood Fielding II? La commedia musicale si è prestata egregiamente alla trasformazione in un musical: ogni canzone del film, tradotta in italiano, è stata egregiamente interpretata da ballerine di tip tap selezionate appositamente per l’occasione, secondo criteri fondati tanto sulle loro abilità artistiche quanto per l’avvenenza fisica. Le scarpette da tip tap sono stata indossate anche da Ghette Colombo, il mafioso ballerino più simpatico di Chicaco. Le coreografie di Gillian Bruce sono ammiccanti, graffianti, sexy ma soprattutto comiche e perfettamente in linea con i ruggenti anni ’20 in cui è ambientata la commedia. Non dimentichiamoci che il titolo del film si riferisce ad un sottogenere del Jazz, il Jazz Caldo, perciò la musica è un elemento portante del film quanto del musical. Justine Mattera ha dovuto affrontare l’arduo compito di confrontarsi con un’icona del cinema d’altri tempi, l’immortale Marilyn Monroe. L’artista ha dimostrato di essere all’altezza della situazione: il suo sensuale accento anglofono ha conquistato la platea e le sue movenze ispirate a Marilyn hanno saputo sedurre il pubblico, ma soprattutto la Mattera è stata una fantastica cantante e ballerina, in particolare sulle intramontabili


PALCOSCENICO

GAR

note di I want to be loved by you. Unica pecca … la corporatura troppo secca! Il libretto consegnato agli spettatori vantava la straordinaria somiglianza tra la Mattera e la Monroe e effettivamente le due attrici hanno una fisionomia del viso molto simile; peccato che dal fondo della platea tutto ciò sia ininfluen-

tre interpretare rispettivamente in un timido miliardario snob dalla erre moscia e un’abilissima ballerina di tango, con tutte le “sgambettate” del caso. Si tratta insomma di artisti a tutto tondo con una perfetta padronanza del proprio corpo e della propria arte, capaci di soddisfare appieno le esigenze del regista e di incantare il proprio pubblico. Gli scenografi Roberto e Andrea Comotti hanno voluto illuderci che le scene del film si materializzassero come per magia sul palcoscenico. Alle scenografie realizzate in stile tradizionale, come le cuccette del treno e la hall dell’albergo, si affiancano così le proiezioni di alcune scene in bianco e nero del film su un maxischermo, attraverso il quale gli interpreti possono entrare e uscire a loro piacimento mediante una celebre tecnica illusionistica chiamata Fregoligraph. Essa sfrutta delle luci stroboscopiche per dare l’impressione che gli attori, quando si trovano dietro il maxischermo, non siano più sul palcoscenico ma vivano all’interno della pellicola cinematografica. Nonostante le scenografie siano in bianco e nero, i costumi (Beatrice Laurora) sono coloratissimi, in omaggio all’iniziale volontà di Wilder e Marilyn Monroe di girare il film a te in quanto l’unico confronto possibile tra le colori. Le stoffe variopinte e luccicanti sono due attrici riguarda la loro corporatura. La pur inoltre una prassi nel genere musical e, in gebellissima Justine Mattera, rispetto alla fornerale, nelle coreografie jazz degli anni ’20. mosa e procace Marilyn, sembra un manico La tournée per Sugar è iniziata a Saronno nel di scopa! novembre 2013, ma io ho assistito allo spetUn’ovazione meritata per le due simpaticistacolo il 17 gennaio 2014 presso il Teatro Sosime drag queen, Pietro Pignatelli e Christian ciale di Como. Ci sono tuttavia ancora molte Ginepro, che hanno saputo trasformarsi ora date in programma nelle principali città italiain perfetti musicisti gentiluomini, ora in ridine, perciò non mi resta che invitarvi a teatro coli maschioni disperatamente alle prese con per assistere alla trasformazione di A qualcurossetti e sottane, ora in eleganti e beneduca- no piace caldo in una sensazionale commedia te signorine. I due artisti hanno dovuto inolda palcoscenico.

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ALESSANDRA PAOLONI

A cura di Giovanna S. Ricchiuti

Chiacchierando con...

Ciao Alessandra, grazie per aver accettato di essere intervistata per Eclettica! Iniziamo con una presentazione, chi è Alessandra Paoloni? Ciao Giovanna, grazie a te per avermi concesso l’onore di questa intervista! Alessandra Paoloni è una ragazza troppo sognatrice, poco organizzata e a volte noiosa. Potrebbe stare giorni e giorni a parlare di libri e scrittura e quando questo avviene in genere annoia sempre il suo interlocutore. Se non scrive e legge, questa scribacchina sognatrice si occupa di lavoretti saltuari o passa del tempo con i suoi nipoti che il più delle volte la fanno impazzire. In maniera positiva ovviamente. La tua prima pubblicazione risale al 2008, “Brevi monologhi in una sala da ballo di fine Ottocento”. Come sono nati questi monologhi? I monologhi sono nati in un periodo non

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troppo felice della mia vita. Ho iniziato scrivendo racconti e brevi poesie e allora mi sono detta “perché non scrivere un lungo racconto in versi?”. Il libro in parte ricalca la struttura dell’antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, letta al liceo. Un libro che ho adorato. Così è nata la sala da ballo e tutti i personaggi che ne fanno parte, personaggi che hanno qualcosa di me, o qualcosa che vorrei avere o anche pensieri che non mi appartengono ma che volevo lo stesso includere. Parliamo ora del tuo quinto romanzo, un urban fantasy,“La discendente di Tiepole”. Ti va di parlarcene brevemente? Perché un lettore dovrebbe scegliere questo e non un altro urban fantasy? La discendente di Tiepole non è il primo libro che ho pubblicato, eppure è forse quello che mi ha portato maggiore fortuna. Ho scritto quest’opera nel 2008, l’anno del mio esordio, e con questo ho affrontato


per la prima volta il genere urban fantasy. In questo libro ho cercato di essere quanto più originale possibile, di distaccarmi da alcuni canoni che il genere prevede. Per alcuni ci sono riuscita, per altri no ma questo è a discrezione del lettore. Per quanto mi riguarda andrò sempre fiera dell’universo Tiepole e posso dirvi che il seguito sarà molto più dark e molto più oscuro di questo primo libro. Tra i tuoi libri, prevale il genere fantasy. Nella tua ultima pubblicazione, un romanzo a puntate, “The chronicles of Wendells, invece cambi genere puntando su un romance/erotico/storico. Con quale genere ti sei trovata più in difficoltà? Come mai questo cambiamento?

Mi rifaccio al nome della tua rivista: eclettismo. Per quanto riguarda la scrittura io adoro cambiare, sperimentare, miscelare e vedere cosa ne viene fuori. I Wendell sono per me una prova, scritti senza alcuna pretesa da parte mia e rivolti al lettore quasi per gioco, ma come tutte le cose fatte quasi con noncuranza sono stati apprezzati e hanno conquistato un posto tutto loro nel mio universo immaginario. Nella vita detesto i cambiamenti, ma nella scrittura sono pane quotidiano per me. Nei Wendell mescolo il romance con l’erotico. Due generi mai provati ma con i quali oramai mi trovo a mio agio. In realtà l’accezione storico è errata perché la storia dei Wendell non coincide con la nostra. Quel 1023, durante il quale è ambientata la storia dei Wendell, non è il nostro 1023. I Wendell si vestiranno presto di una connotazione soprannaturale, ecco perché li preferisco definire romance/erotico/mistery. La difficol-

tà nell’affrontare generi diversi forse sta nel coraggio di volerlo fare, di mettersi in gioco e utilizzare linguaggi differenti. Ma una volta superato questo scoglio, ogni genere diventa mio. Come detto prima, “The chronicles of Wendells, è anche un romanzo storico. Sei quindi un’amante della storia? Su quale periodo o personaggio storico ti piacerebbe scrivere un romanzo? Come ti dicevo i Wendell non rientrano propriamente nel genere storico, ma posso dirti che nonostante ciò sono un amante della storia. Ci sono echi storici nei Wendell (come la corte medievale ad esempio) ma sono solo accenni. Tutto comunque viene condito dalla mia fantasia. Per rispondere alla tua domanda c’è più di un periodo storico sul quale vorrei scrivere, uno di questi è la Rivoluzione Francese. Poi seguono la Londra vittoriana e la guerra di secessione americana. O il mio adorato periodo di Enrico VIII. Luther Wendell infatti nella mia fantasia lo accosto molto a questo personaggio storico. Hai scritto anche alcuni racconti contenuti in varie antologie, tra le quali “On the road: diari di viaggio”(Libro Aperto Edizioni), “365 Storie d’amore” (Writers Magazine), “La Stirpe Chimerica”del blog Club Urban fantasy. Ritieni sia più difficile scrivere un romanzo o un racconto? Sono entrambi difficili da scrivere. Un racconto, sebbene sia più corto di un romanzo, ha la sua difficoltà proprio in questo. Esprimere sentimenti e spiegare le dinamiche di un’azione in poche pagine non è facile perché bisogna dosare bene le parole. Ci sono racconti che ho scritto e che vorrei trasformare in romanzo, ma poi mi accorgo che dilatando la storia e aggiungendo particolari allungherei solo una minestra scaldata. Alcune delle

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mie storie sono nate per essere dei racconti, come schizzi veloci su tela. I romanzi sono opere invece più complesse, che richiedono non solo maggiore tempo ma anche un intreccio più particolareggiato.

Io e Elisabetta ci siamo conosciute nel 2010 su fb tramite un gioco di ruolo. Ci siamo trovate subito, proprio come se fossimo nate per diventare amiche. La nostra collaborazione come scrittrice/grafica è nata dopo, nel 2012. Per i tuoi personaggi ti ispiri a qualcuno o Credo fosse proprio destino il nostro. Lei è la sono del tutto inventati? A quale di questi migliore, e non parlo solo dei suoi lavori. Lei sei più affezionata? è la mia migliore amica e non credo che la distanza guasterà mai la nostra amicizia. A A volte m’ispiro a degli attori (fisicamente volte bisticciamo come farebbero due sorelle. parlando intendo). Ma le emozioni sono le Siamo simili ma allo stesso tempo diverse e mie. Sono emozioni che ho vissuto e situain questa nostra diversità ci completiamo. Mi zioni nelle quali vorrei essere coinvolta. È reputo fortunata perché ho lei e non a tutdifficile dire a quale personaggio sono più ti viene data la possibilità di poter coltivare affezionata perché nella mia testa loro sono un’amicizia simile. Anche se lei abita a chilotutti rannicchiati e a volte li sento scambiarsi metri di distanza da me la sento vicina, e mi delle battute. Può capitare che Luther scambi è stata molto vicina in momenti difficili della qualche parola con Emma. Voglio bene a tutti mia esistenza. Ho paura di perderla e di perloro come fossero vecchi e nuovi amici. dere la purezza e la semplicità di quello che abbiamo. Le voglio un bene dell’anima e speSe avessi l’opportunità di far diventare un ro che la nostra amicizia duri in eterno. film uno dei tuoi libri, quale sceglieresti? Novità sui libri futuri? La discendente di Tiepole senza dubbio. E chiederei al regista di girare le scene nei din- La discendente di Tiepole aspetta un seguito. torni del mio paese, se non nel luogo stesso I Wendell anche. C’è molto da fare, tantissiche mi ha ispirato la realtà tiepolese. Ovvero mo. E poco tempo per farlo. Non so cosa mi Licenza, un piccolo comune in provincia di riserverà il futuro ma è certo che io, nonoRoma. stante tutto, continuerò a scrivere. Non può mancare una domanda sulle tue copertine, realizzate dalla bravissima Elisabetta Baldan. Com’è nata questa vostra collaborazione, nonché amicizia?

L’intervista è finita. Grazie Alessandra e in bocca al lupo per la tua carriera da scrittrice! Ringrazio ancora te Giovanna e saluto tutti i lettori di Eclettica. Un bacione e crepi il lupo!

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UN MARE DI LETTERATURA Homme libre,toujours tu chériras la mer! A cura di Claudia Risi

Nello scorso numero di Eclettica, vi ho riportato alcuni esempi di autori che hanno utilizzato il mare come sfondo per le loro opere, o addirittura come protagonista. Uomo-mare, questo binomio indissolubile. Uomo e mare sono strettamente legati. A volte il mare rispecchia il nostro animo o è lo sfondo ideale delle nostre avventure.

Baudelaire, poeta e scrittore parigino nato nel 1821,inserisce nella sua raccolta “Les Fleurs du Mal”, la poesia numero XIV intitolata “L’homme et la mer”,l’uomo e il mare. Quattro strofe di puro sentimento, di pura poesia. Già il primo verso, “A te, uomo libero, sempre sarà caro il mare” sintetizza il sentimento che lega l’uomo al mare. Nell’infinità del mare, l’uomo contempla la sua anima. Uno specchio, “miror” (v.2). Il mare è lo specchio dell’anima. Lo specchio non fa altro che riflettere la nostra immagine, come ben sappiamo, ed infatti, contemplando il mare, contempliamo noi stessi: ci tuffiamo nella nostra stessa immagine. Nella prima strofa abbiamo quindi una presentazione del rapporto tra uomo-mare: guardare il mare è come guardare se stessi. Nella seconda strofa, il rapporto si evolve e notiamo la costante presenza del TU, come se si fosse giunti ad un rapporto più confidenziale rispetto alla prima strofa. Come a voler sottolineare il rapporto ancora più intimo,rispetto ai primi versi, tra uomo e mare:

A te piace tuffarti nella tua stessa immagine; l’abbracci con gli occhi e con le braccia e a volte,ascoltando il suo pianto irrefrenabile e selvaggio, il tuo cuore dimentica il proprio tumulto.” (vv.5-8)


Ma è la terza quartina la più interessante. Uomo e mare vengono messi sullo stesso piano gnoseologico: entrambi,uomo e mare,sono oscuri e discreti. Mai nessuno conoscerà l’anima più profonda dell’uomo, come mai nessuno conoscerà gli abissi del mare e le sue intime ricchezze che, gelosamente ,nasconde. Scrive il poeta:

“Gelosi custodi dei vostri segreti come siete!” Nelle prime due quartine,troviamo la somiglianza tra uomo e mare; nella terza,vengono messi sullo stesso piano, e nella quarta invece compare il sentimento dell’antagonismo, con chiari riferimenti alla guerra, al rimorso, alla pietà. Uomo e mare che si fanno la guerra, nonostante le somiglianze. Ma la poesia si conclude con un’esclamazione:

“a voi eternamente in lotta,implacabili fratelli!” L’ultima quartina può sembrare ambigua. Per ben 12 versi uomo e mare sono stati la medesima anima, e invece nell’ultima strofa un cambiamento. Può sembrare assurdo e risultare incomprensibile ma bisogna anche analizzare la poesia complessivamente: si nota, infatti, che la poesia si nutre di un’ambiguità dialettica. Ambiguità che si ricollega al rapporto di amore e odio tra l’uomo e il mare, e quindi tra uomo e natura e, ancora, al rapporto conflittuale tra poeta e pubblico, elemento costantemente presente nelle opere dello scritto parigino. Personalmente,oltre a considerare questa poesia una delle più belle in assoluto di Baudelaire,ritengo che sia l’esatta spiegazione del rapporto tra uomo e mare. Il mare non è altro che la nostra anima, infinta, segreta, piena di tormenti che, in fondo, sono come le onde che, con violenza, si scagliano contro le rocce. Il mare, questo enorme bacino d’acqua, così profondo, così infinito, così ricco di correnti. Secondo la mia personalissima interpretazione, il mare, come la nostra anima, ha un lato oscuro: il lato della tempesta, della natura violenta che si scaglia contro chiunque. Il lato oscuro della natura, tanto bella quanto pericolosa. Però anche noi in fondo abbiamo un lato oscuro no?

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C THEFEEL MUSIC SMITHS – SINGLES

A cura di Mirko De Gasperis

La scorsa notte ho sognato che qualcuno mi amava. Una folla se ne sta sullo sfondo, con i suoi schiamazzi che, a volte, sembrano degli incitamenti, altre degli insulti, dei litigi. Potrebbe essere il pubblico in attesa trepidante di un concerto, potrebbe essere una manifestazione o un corteo. E in mezzo cavalca il suono di un pianoforte. Ogni colpo di quegli accordi sembra un martello che batte su un chiodo. Tum, tum, tu-tum. All’inizio i colpi sono isolati, distanziati, poi si fanno sempre vicini, sempre più presenti a disegnare una trama, una sorta di ritmo sincopato, legato, adornato da un timido sintetizzatore, appena udibile sotto tutte quelle grida. Sembra andare avanti all’infinito la faccenda, fino al minuto e mezzo, quando il pianoforte prende finalmente coraggio, cavalca spedito, e si blocca a 1:54 della canzone. Ma nessuno se ne accorge più, perché esce fuori Morrissey con la sua voce, Marr con la sua chitarra e Rourke e Joyce, dietro. Addio alla folla, ormai ammutolita. Ora ci sono soltanto loro. E sembra quasi che vengano a trarti in salvo da quella palude di suoni ripetitivi. Ma basta ascoltare il testo, sentire quelle parole per capire che il risveglio è anche peggio del sogno, se di quello si è poi trattato. Il quartetto ci accompagna per i restanti minuti, con i propri strumenti che sembrano ruotare come un tornado, che va sempre più svelto, fino a Morrissey che spinge la voce sempre più sull’acuto, fino a dissolversi

e lasciare campo allo stridore della chitarra di Marr, a chiudere l’intera prova. E “Last night I dreamt that somebody loved me” sta tutta qui. Sembra quasi semplice, a risentirla una seconda volta. Mezza canzone in attesa, poi un testo striminzito. Eppure... eppure la portata emotiva che regalano Morrisey & co. difficilmente lascia indifferenti. Una sola, singola canzone sulla quale c’è più da dire e parlare rispetto a tanti album francamente dimenticabili di altri artisti. Una canzone che diventa metafora del periodo cupo passato dagli Smiths nell’87. Morrissey e Marr erano ormai ai ferri corti e si sentiva già nell’aria la parola fine su quell’intero progetto. Strangeways here we come, l’album nel quale è contenuto questo singolo, sarà proprio l’ultimo per il quartetto di Manchester. Forse anche per questo, le svariate cover, che altri artisti hanno cercato di portare avanti non sono mai riuscite a eguagliare o superare l’originale. Fra i più noti ci hanno provato gli Eurythmics, con la voce di Annie Lennox sublime come sempre, ma che in qualche modo tradisce l’atmosfera della canzone e ciò che voleva trasmettere. Ottimi invece gli arrangiamenti iniziali, coi sintetizzatori (ma d’altronde stiamo parlando dei genitori di “Sweet dreams”, no?) che da soli fanno meritare un ascolto alla cover, anche solo per i primi quaranta secondi. Più fallimentare l’esperimento di Grant-Lee Phillips, che ripropone la canzone in chiave acustica, affidandosi alla sola chitarra e voce (e un sintetizzatore soft, a richiamare il tema principale) e che fa sembrare l’intera composizione troppo eterea e inconsistente. Per assurdo, quella che arriva più vicina all’obiettivo è la band americana dei Low. Mantenendo

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l’atmosfera e rallentandola, facendola passare da cupa e sognante a strisciante, quasi ovattata, creano una composizione valida, non esplosiva come l’originale, sicuramente la migliore cover in assoluto. Una canzone che comunque impallidisce di fronte alla canzone originale, a quel sogno degli Smiths, dal quale non sai mai se sia meglio svegliarsi o restare intrappolato, se sia più dannoso o confortevole. E la foto di copertina dell’album Singles, che raccoglie alcune delle b-sides della band, resta ancora l’immagine più significativa per rappresentare ciò che questa canzone è: una ragazza (l’attrice Diana Dors) che ti guarda dal letto, aggrappata alle sbarre del letto. E finisci per non capire più se sono davvero parti del letto, se lei si trova in gabbia. O se in gabbia, alla fine, ci siamo tutti noi.

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N


FUGA SENZA FINE

Metti un...

A cura di Paola Lorenzini

TITOLO: Fuga senza fine AUTORE: Joseph Roth EDITORE: Adelphi PREZZO: 9,00€ PAGINE: 151

«L’amore, l’amore!» gridava Nataša. «Raccontalo alla tua fidanzata! Io disprezzo il tuo amore. Che vuol dire? Non sai nemmeno spiegarlo. Hai sentito una parola, l’hai letta nelle poesie e nei vostri libri bugiardi, nelle vostre riviste per buone famiglie! L’amore, l’avete magnificamente organizzato! Qui avete la casa dove abitate, là la fabbrica o la bottega del droghiere, dall’altra parte la caserma, accanto il bordello e in mezzo il pergolato. Fate come se fosse la cosa più importante del vostro mondo, vi depositate strato su strato tutto quanto c’è in voi di nobile, di sublime, di gentile, e tutt’intorno c’è posto per la vostra volgarità. I vostri scrittori sono ciechi o corrotti, credono a quel vostro edificio, parlano di sentimenti invece che di affari, di cuore invece che di denaro, descrivono i quadri preziosi alle pareti e non i conti in banca».

L’amore è uno dei sentimenti più presenti in letteratura; quello di Fuga senza fine è un amore romantico, irrequieto, libero dai canoni classici, quasi profanato. Quasi soltanto una consuetudine dell’uomo borghese. Quelli di Franz Tunda, il protagonista, sono più amori, più o meno veri, più o meno saldi, ma mai idealizzati: amori visti quasi come naturali tappe di una vita fatta di spaesamento e smarrimento. Franz Tunda è un tenente austriaco che viene catturato dai russi e deportato in Siberia; la cattura ne determina la morte, o – meglio – pone fine alla sua identità precedente: non potendo tornare in patria da eroe, egli decide di liberarsi dei propri documenti e di iniziare una nuova vita, che si configura però come una fuga da se stesso e dal proprio passato, dalla propria famiglia e dalla fidanzata che l’attende, almeno nei suoi pensieri, fedele e speranzosa. Nonostante la guerra civile possa ormai dir-

classico moderno a cena

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si conclusa, c’è però sullo sfondo una nuova guerra – apparentemente meno importante – che è quella contro l’analfabetismo, per garantire igiene e uno stile di vita dignitoso per i cittadini: Tunda si fa coinvolgere da una rivoluzionaria, Nataša, alla quale si adatta, pur senza condividere gli ideali che lei tenta di inculcargli per allontanarlo dalla banale ideologia borghese: nonostante ciò se ne innamora, diventandone anche geloso. L’amore tra Tunda e Nataša finisce nel momento in cui la donna si rende conto di aver bisogno di altro e si allontana con un altro uomo: tutto, nella narrazione (che, come dice il sottotitolo, è una storia vera) sembra muoversi per necessità, quasi non ci fossero una reale libertà e una reale volontà, quasi i protagonisti venissero a trovarsi in un fluire inarrestabile degli eventi. Incontra per la seconda volta l’amore nella


bella e silenziosa Alja, che frequenta il cinema di cui egli è nel frattempo diventato direttore. Alja è descritta quasi come una non–persona, come «l’inviata di un altro mondo, come rappresentante di una potenza ignota, indifferente e curiosa, incapace forse di amore non meno che di intelligenza, stupidità, bontà, cattiveria, insomma di tutte quelle qualità terrene di cui di solito è costituito un carattere». Rapporti fatti del nulla, che, nonostante ciò, danno vita a un forte sentimento come l’amore, come se questo risiedesse solo nell’animo dell’individuo e necessitasse solo di una persona, una qualsiasi, su cui riversarsi. Nel frattempo gli anni passano, la giovinezza sembra essere ormai dietro alle spalle, così come la parte migliore della vita. Decide così di iniziare a scrivere, per dare dignità e nobiltà a fatti irrilevanti della quotidianità, che altrimenti sarebbero dimenticati. Questo Fuga senza fine è un romanzo del disincanto, che rappresenta con grande forza – seppur con uno stile diretto e paratattico – tutto quello che fu il XX secolo, il secolo per eccellenza della crisi: delle certezze, dei valori, dell’identità, ma anche del linguaggio e, di

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conseguenza, della comunicabilità. Nonostante sia presentato come Una storia vera, e nonostante questo sia il primo libro di Joseph Roth che leggo, ho la netta sensazione che qui ci sia molto delle sue idee, di lui, di quello che è l’uomo del Novecento: «Io so soltanto che non è stata, come si dice, la ‘inquietudine’ a spingermi, ma – al contrario – una assoluta quiete. Non ho nulla da perdere. Non sono né coraggioso né curioso di avventure. Un vento mi spinge, e non temo di andare a fondo». Anche il tentativo di partecipare alla rivoluzione si rivela fallimentare perché, sebbene insieme a un gruppo ristretto, si tratta comunque di un adeguamento a qualcosa che non lo rappresenta veramente. Come se l’uomo moderno e contemporaneo non fosse altro che spettatore della vita che crede illusoriamente che gli appartenga, mentre anche questa è in fuga dal suo controllo; un uomo che diventa alienato, superfluo alla propria stessa vita, nel momento in cui non riesce a ritrovare la propria posizione in un mondo di cui, forse, non ha mai fatto parte.


L’ANGOLO DEGLI ESORDIENTI-EMERGENTI

ERIKA CORVO E I SUOI LIBRI

A CURA DI Lidia Ottelli

Cari lettori, le feste sono passate da un paio di mesi e molti di voi avranno ricevuto in rega-

lo dei bellissimi libri. Spero che alcuni si siano ricordati dei nostri amati emergenti/esordienti regalandosi qualche nuovo loro libro. Per questa nuova uscita, ho interpellato proprio voi lettori mettendo nel mio blog un’iniziativa per scegliere chi sarebbe stato il terzo emergente/esordiente a far parte del mio piccolo angolo. Cento di voi hanno votato e più di trenta fan hanno voluto a gran voce che parlassi della simpaticissima scrittrice Erika Corvo. Erika Corvo è un vulcano o meglio, come lei stessa si definisce, un “fai da te umano”. Appassionata di canto, scrittura, medicina, lingue straniere, Erika è un personaggio poliedrico dai mille interessi e dalle mille risorse. Tutto quello che sa fare l’ha imparato da sola. E’ nata a Milano nel 1958. Aveva diciassette anni quando ha inciso un LP con la Baby Records dopo aver vinto un concorso per voci nuove tra più di duemila partecipanti nella sezione cantautori. Ha iniziato a scrivere per dimenticare i mille problemi del vivere quotidiano e ha creato innumerevoli mondi di fantascienza e fantasy. Sono nate così le serie fantasy Tutti i doni del buio e Blado 457, e la serie fantascientifica Fratelli dello spazio profondo e Black Diamond. La pubblicazione è stata affidata ad Amazon e ad altri store per Ebook, per il cartaceo invece a Youcanprint, a ePubblica e a BookSprint.

Blando 457 Erika Corvo.

Trama: E’ il primo di una serie di quattro racconti ambientati in

un futuro post atomico. Come ho scritto nella premessa di “Blado 457”, se l’argomento è stato utilizzato dagli scrittori di fantascienza fino alla nausea, non è detto che non si possa ancora scrivere qualcosa di valido in proposito, e soprattutto, qualcosa di inconsueto. I miei personaggi non sono mai i classici “eroi”. Sono persone talvolta insicure, che agiscono d’istinto invece che seguendo la logica e il dovere, che hanno dubbi, ripensamenti, e sentimenti contrastanti. In Blado 457, lui aveva una missione da portare a termine e rischia di rovinare tutto per un’azione compiuta d’impulso; lei preferirebbe morire piuttosto che vivere in un futuro che si presenta sotto forma di quello che ha sempre rifiutato. Il tutto è condito da colpi di scena, combattimenti, mostri, invasioni, in un ritmo veloce e coinvolgente. E poi basta, leggetevelo. Se vi racconto tutto io, che senso ha?

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Un libro di fantascienza particolare. Brado è un ragazzo nato duecentoquindici anni dopo “la grande distruzione”, nonché la guerra atomica. È un giovane valoroso che combatte per la conquista della vita umana. C’è una lotta tra il bene e il male, che è una lotta tra due abitanti di questo nuovo mondo: gli Esterni, ovvero coloro che vivono alla luce, e i Rest, coloro che, vivendo sotto terra, vogliono ricreare un modello di società simile a quella precedente la Grande Distruzione. La missione di Brado è di tornare nel passato ed evitare la guerra. In questo viaggio nel tempo incontrerà Susan Wong, una scienziata programmatrice, e si innamorerà di lei. Ma non andrà tutto bene. Da che parte si schiererà Susan? Aiuterà il suo ribelle Brado? Mostri, cannibali, umani, mutaforma: troviamo tutto ciò in un romanzo con una narrazione scorrevole. Un racconto veloce, ben scritto. Le descrizioni sono ottime. Come sempre Erika Corvo ci porta in un mondo particolare, un mondo affascinante con un tema attuale: UN NUOVO MONDO. Un racconto pieno di avventura e intrighi, con una bella storia d’amore.

Tutti i doni del buio Erika Corvo

Trama: E’ il secondo racconto della serie Post-atomica che ha

avuto inizio con “Blado 457 Oltre la Barriera del Tempo”. Si racconta di un ipotetico futuro, in cui la Terra è stata sconvolta da un conflitto atomico. La razza umana è stata decimata e si sono create razze mutanti semiumane, ognuna con caratteristiche differenti. In questo romanzo i protagonisti semiumani sono gli Shakars, i Signori del Buio: spaventose creature carnivore, feroci e crudeli, che popolano boschi e foreste, contendendo il territorio agli umani.

Anche in questo secondo capitolo, la realtà e la fantasia hanno un filo molto sottile. Il pianeta è stato devastato dalla guerra e la civiltà umana è molto cambiata. Da alcune sostanze tossiche nasce una nuova razza, gli Shakar, caratterialmente forti e fisicamente alti. Questa razza vive solo di notte, mangia carne cruda e terrorizza il genere umano che decide di cacciare gli Shakar credendoli pericolosi. Akenion è un ragazzo normale come tanti; un giorno incontra lo sguardo di Mitria e se ne innamora ma lei non è chi veramente lui crede. Nasce cosi una travagliata storia d’amore che passerà tra odio e paura, tra indifferenza e sofferenza. Il diverso spaventa ma nonostante questo trionferà il buon sentimento.

Fratelli dello spazio profondo Erika Corvo

Trama: La storia esce totalmente dagli schemi tradizionali ed

è imperniata su elementi psicologici reali inseriti in un contesto fantastico. Pensato per essere un film e non un libro. Raccontato via via da ciascuno dei personaggi secondo un punto di vista differente. Psicologia, avventura, scienza, amore, odio, azione, riflessione, pensieri, sentimenti, ecologia, sparatorie, colpi di scena... Non riuscirete a dormire finché non sarete arrivati all’utima pagina.

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Fratelli dello spazio profondo è un libro di fantascienza pieno di azione e a tratti divertente. Una storia che viene dallo spazio, con protagonista un giovane ragazzo di nome Brian Black. L’incontro con il maestro Stylo cambierà la vita al nostro protagonista: questo incontro svelerà delle verità nascoste da molti anni e cambierà il destino del nostro Brian. Un’avventura piena di avvenimenti che ti entrano nella testa e nella psiche dei protagonisti lasciandoci delle domande comprensibili. L’odio vendicativo del nostro protagonista ci porta in una storia con un finale con molti colpi di scena. Un libro pieno di sentimenti che svariano dal rancore all’amore e agli inganni fino a una vera e sincera amicizia. Erika Corvo ci narra il tutto in un ritmo veloce, scorrevole e piacevole. Dialoghi a volte spinti ma alquanto realistici. L’autrice passa da un personaggio all’altro semplicemente, senza interrompere il ritmo della lettura. La fantascienza non è proprio il mio genere, ma ho letto volentieri questo libro soprattutto per ampie e buone descrizioni sia ambientali sia dei personaggi. Una guerra stellare che non annoia e ti lascia incollata allo schermo… Questo è il primo di una serie di quattro racconti di pirateria spaziale.

Black Diamond Erika Corvo

Trama: Questo lo dedico a me stessa, e a Brian. A tutte le volte in cui sono stata io a credere di non farcela. A tutti i secoli in cui ho avuto soltanto Brian come amico. L’amico più prezioso, che ha saputo infondermi la certezza che ci sia sempre una via d’uscita. Che finché lui fosse riuscito a cavarsela anche nell’impossibile, ci sarei riuscita anch’io. Grazie, Brian. Ti devo la vita.

Black Diamond è l’ennesimo racconto della poliedrica Corvo e il secondo capitolo di Fratelli dello Spazio Profondo. È una nuova avventura tra i pianeti della confederazione e luoghi sconosciuti. Il cattivo di turno è alle prese con un nuovo pianeta pieno zeppo di uranio. Cercherà di coinvolgere in modo illecito la confederazione che cascherà nella sua trappola; fingendosi una persona che non è, cerca di sposare la principessa erede per poi conquistare l’intero regno. Il nostro Brian Black si metterà in difesa della bella ragazza rischiando sia la sua vita sia quella del suo equipaggio. Inizia così una nuova battaglia tra intrighi e falsità, strategie e guerre che sfocerà in un finale aperto che presuppone un altro capitolo che noi aspettiamo con ansia . Un altro bellissimo libro scritto come sempre benissimo con molti colpi di scena e un ottimo ritmo. Ormai tutti conosciamo il talento della scrittrice e conosciamo i suoi romanzi. Una bellissima storia d’amore, bellissimi inseguimenti nello spazio con una suspense sempre ai massimi livelli. Ma non è finita qui, vi do qualche chicca in esclusiva per concludere. Uscirà il terzo capitolo di Brian Black: la data è ancora da confermare, ma posso dirvi che sarà intorno a Aprile 2014. La Corvo ha anche in progettazione un audio book di “Tutti i doni del Buio” e molte altre sorprese che vi dirò più avanti. Concludo con il nostro motto “Aiutiamo gli emergenti, no all’editoria a pagamento”. Al prossimo articolo! Un affettuoso Bye-Bye dalla vostra Blogger Lidia Ottelli del Rumore dei Libri.

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LIBRI VINTAGE

«Vita di un perdigiorno» di Joseph von Eichendorff A cura di Laura C. Benedetti Bentornati nella rubrica dedicata ai libri vintage, e in questo mese invernale ho deciso di presentare un libro che racchiude in sé i colori e il tepore della primavera.

Copertina n. 1

Il libro è stato ristampato nella collana dei Classici della BUR (copertina n.1), al prezzo di € 8.90, e contiene il testo tedesco a fronte; questo volume non è illustrato, perciò se siete collezionisti, o semplicemente amanti delle cose belle, cercate nei siti dell’usato per l’edizione BUR più vecchia (copertina n.2) perché ne vale la pena solo per le illustrazioni di Franz Stassen che accompagnano i capitoli. TRAMA

Copertina n. 2

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Scritta nel 1826, quando Eichendorff, perduto per sempre l’avito castello di Lubowitz, regno incantato della sua infanzia, è costretto a un deprimente impiego governativo, la novella “Vita di un perdigiorno” è l’ultima fiaba in un mondo che di fiabe non vuol più saperne; un sogno lieve e dorato che alla fine scoppia come una bolla di sapone e riconduce il perdigiorno, dopo tante fantastiche avventure e vagabondaggi, alla realtà che duramente preme intorno, la realtà sociale e politica uscita dalla Rivoluzione francese che vede il tramonto del feudalesimo, l’ascesa della borghesia arricchita, l’urbanesimo, l’industrializzazione. Una realtà in cui l’aristocratico Eichendorff non può riconoscersi: nello spazio sospeso della “Vita di un perdigiorno” egli difende contro l’alienazione la libertà semplice e lieta del cuore, mirabilmente espressa nei Lieder, fra i più belli della letteratura tedesca, che adornano la novella. Aggiungendo musica a musica, Schumann ha tradotto in note il primo, con il titolo “Der frohe Wandersmann” (Il viandante felice).

Ho scoperto questo titolo durante un’escursione in una di quelle librerie “a grande magazzino”: scorrevo lo scaffale dei classici senza cercare nulla in particolare e, d’un tratto, gli occhi mi sono caduti su un titolo all’apparenza amaro e provocatorio: “Vita di un perdigiorno”. Incuriosita, ho preso in mano questo volume un po’ impolverato ma al primo sguardo dato all’interno ho pensato fosse un testo “impegnato”, cioè filosofico o di riflessione più che un vero e proprio romanzo; prima di posarlo - poiché al momento non cercavo quel genere di libro - ho letto la trama e la curiosità mi è tornata, così mi sono segnata il titolo per andarlo poi a cercare in biblioteca. Come dedurrete dal fatto che gli sto dedicando un articolo, ho letto il libro, e non solo, mi è anche piaciuto a tal punto che alla fine l’ho acquistato per il gusto e il piacere di possederlo (e chi tra voi è lettore invasato capirà molto bene questa necessità!).


L’autore vive tra il 1788 e il 1857: originario della Slesia, soggetto poi al governo della Prussia e costretto in un impiego non amato, egli compone questo libro nel 1826. A seguito della Rivoluzione Francese la nobiltà si vede indebolita e von E. ne è colpito in quanto, a causa di debiti, perde il castello natio e con esso una parte di vita e di tradizione. “Vita di un perdigiorno” è una sorta di risposta fiabesca, un rifiuto della realtà, un sogno in cui rifugiarsi quando, all’esterno, crollano i valori e le speranze in cui si credeva. Io mi sono espressa con semplicità e concisione, ma all’interno del volume vi sono una biografia ed una prefazione che analizzano diffusamente la figura dell’autore e le caratteristiche della sua opera. Per l’articolo, vi basti tenere a mente un solo aspetto del libro, al di là di eventuali motivazioni sociali e simboliche: la fiaba. Il racconto inizia proprio così, come una favola: un giovanotto figlio di un mugnaio se ne sta sdraiato nel sole primaverile ma viene ben presto richiamato dal genitore come fannullone e buono a nulla. Il nostro protagonista, piccato per tali parole, prende il suo violino e parte a cuor contento per il mondo in cerca di fortuna. Da qui in poi, tra artisti girovaghi, ragazzi dalle bellissime fattezze femminee, giovani dame d’alto lignaggio, imponenti matrone innamorate, maliziose cameriere e misteriosi loschi figuri, il giovane mugnaio vive una girandola di avventure una più strana dell’altra. Va da sé che non vi sono volgarità di sorta dal punto di vista sessuale, anche se l’amore c’è eccome; di violenza non c’è traccia, non è un romanzo di cappa e spada o di guerra o una tragedia: ci sono avventure, questo sì, varie e assai carine, ma si tratta di una lettura che definirei leggera - nel senso di graziosa ma non priva di profondità o cultura. Le descrizioni dei molti luoghi visitati (ridenti villaggi, un castello arroccato, un fiume attraversato in barca) e dei tanti personaggi sono piene di dettagli e piacevoli da leggere; i dialoghi sono veloci e brillanti; lo stile è un po’ antiquato ma proprio per questo pieno di fascino. Non voglio fare spoiler, perciò se siete curiosi di sapere cosa aspetta il protagonista alla fine, se volete sapere se egli troverà l’amore o una cocente delusione per i suoi sogni... leggete! Prima di tutto è da leggere come un racconto delizioso; in secondo luogo poi, accompagnandosi con la prefazione, si potrà trovare una chiave di lettura più profonda legata allo spirito dell’autore e ai motivi per cui egli scrisse tale opera. Vi lascio in chiusura una parte della breve recensione che ho scritto su aNobii a lettura ultimata, quindi quando le impressioni erano ancora vivissime, così potete capire cos’ho provato leggendolo: «...un quadro antico con damine e cavalieri in un giardino primaverile in cui l’amore, la musica e la bellezza regnano sovrani». Se dovessi sintetizzare con una parola questo libro, non esiterei a usare quella che per me indica il grado massimo di una cosa che ho apprezzato: Bellezza. Una bellezza delicata, un mazzo di fiori freschi colti nella rugiada sotto un sole nascente, mentre si ode in lontananza una dolce melodia di violino.

INCIPIT La ruota del mulino di mio padre aveva ripreso a girare e a rumoreggiare allegra, la neve sgocciolava senza posa dal tetto, i passeri cinguettavano e saltellavano tutt’intorno. Io, seduto sulla soglia, mi stropicciavo gli occhi assonnati. Come si stava bene al tepore del sole! Ma ecco d’un tratto che mio padre uscì di casa.

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PHIL & SOPHIA

A cura di Mirko De Gasperis

Le galline non hanno bisogno di una storia d’amore. [Riflessione/telefonata sull’inappagamento amoroso]

«Te lo giuro, mi ha detto proprio così.» «Farabutto, lo sento che mi stai prendendo in giro.» «Ma quale prenderti in giro! Mi ha detto queste esatte parole: “Le galline non hanno bisogno di una storia d’amore”.» «Tua sorella sta bene, sì? Cioè non è come te, no?» «Ma sì, mica ha dei problemi, che... ehi, aspetta un attimo! Che vuol dire: “come me?” Mi stai dando del pazzo?! E smettila di ridere o vengo lì, a sculacciarti!» «Pazzo non descrive bene con chi ho a che fare! Uno che mi chiama alle 4 di notte...» «Ma te l’ho detto: sono tornato dal pub, ho trovato una chiamata, un numero sconosciuto e ti ho richiamato, pensando fossi tu!» «Potevi aspettare domani, no?» «E se fosse stata una cosa grave?» «Beh, mi hai richiamato dopo tre ore. Ormai ero bella che morta. Tanto vale aspettare la mattina dopo!» «Se non ti sentissi ridere, mi preoccuperei sul serio per quello dici, cretina! Ma se ti disturbo, basta dirlo, eh!» «Mi basterebbe così poco per liberarmi di te? Davvero?» «...» «E dai, lo sai che scherzavo... dai, parlami di queste galline innamorate. Ora mi hai incuriosito!» «Non so se ho più voglia di raccontartelo...» «Ma certo che sì! Smettila di fare il macho con me, dai su...» «Figurati. E comunque “le galline non hanno bisogno di una storia d’amore”, non sono innamorate.» «Ah, vero. E tua sorella come l’avrebbe tirata fuori questa massima?» «Era una domenica mattina. Beh, oddio, non era già più mattina, a dirla tutta. Comunque mi ero già alzato dal letto. Lei era sveglia, ma ancora si rigirava nel letto, nella massima espressione della pigrizia. Sai che intendo, no?» «Eh, sì... una delle cose più belle della vita...» «Bah, io le davo della larva. Fatto sta che, dopo un paio di insulti a vicenda, non mi ricordo neanche come, cominciamo a parlare di come l’amore, alcune volte, sappia davvero essere etereo come poche altre cose al mondo.» «Continua a sfuggirmi il nesso con i pollai.»


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«E aspetta, ora ci arrivo! Insomma, stiamo lì a parlare delle nostre esperienze, di amori che ci hanno travolto, di altri che non sono mai cominciati, del male che abbiamo ricevuto e del male che abbiamo dato... ah, su questo argomento ho tirato in ballo pure te, naturalmente...» «Simpatico. Va’ avanti...» «Beh, abbiamo provato a capire perché fosse così, abbiamo citato varie linee di pensiero, sai un po’ tutti i filosofi e come si rapportavano con il sentimento amoroso. Nietzsche che lo considerava un illusione, Camus che lo apprezzava come massima espressione dell’assurdità della nostra esistenza, Shopenhauer che lo rappresentava come la “truffa” che ci rifila la natura, per spingerci all’accoppiamento...» «Già, mi pare che suggerisse la castità, per raggiungere il suo stato sublime, il Nirvana, etc. etc.» «Sì, peccato che, durante il suo viaggio in Italia finì a letto con diverse donne e si beccò pure la sifilide.» «Hai capito Arthur!» «Tu ce lo vedevi? Io no, giuro! Me lo son sempre immaginato come un vecchio brontolone, e invece in questo libro che stavo leggendo, “Shopenhauer e la vispa Teresa”, si parla proprio delle sue “frequentazioni” e c’è pure una lettera di questa veneziana, Teresa Fuga che scriveva in maniera indecente! Fa ridere solo a leggere quella lettera. La trovi pure su internet che...» «Ehi...» «Ah, sì, hai ragione, le galline! Dunque dicevo... eravamo lì, a farci un’idea della consistenza dell’amore e le sue dinamiche, diciamo, e io avevo cominciato a dire la mia, sul perché spesso non riusciamo a tenere in piedi un rapporto di coppia, un sentimento. Spiegavo a mia sorella che il genere umano, per quanto si sia evoluto da quando era uno scimmiotto peloso, ne ha ancora di strada da fare, parlo di evoluzione intellettiva, prima di avere la maturità necessaria per poter gestire certi stati emotivi. Siamo ancora schiavi degli impulsi che ci portiamo dietro dalla nostra primitività, senza però essere più degli animali. Li rigettiamo e li sublimiamo in concetti più elevati e raffinati, ma sono ancora insufficienti e incosistenti per poterli controllare e ritenercene appagati. Stiamo a metà strada, dunque: gli impulsi animaleschi ci appagano, ma non ci bastano a livello intellettivo; i concetti amorosi e raffinati ci vengono in soccorso, ma stringi stringi sono più leggeri delle nuvole. Siamo un po’ come le galline: per mangiare dobbiamo chinare la testa e beccare per terra, ma di tanto in tanto sentiamo la tentazione di volare appena un po’... e a questo punto mia sorella scuote la testa e mi fa: “Bah, le galline...” insomma non è convinta della metafora. “Le galline non hanno bisogno di una storia d’amore!”. Naturalmente aveva frainteso la mia metafora, ma... beh, sono sbottato a ridere, capisci? Da come l’ha detta, sembrava una massima, te l’assicuro... ecco, stai ridendo pure tu...» «Da non crederci...» «Già. Le ho detto che l’avrei messa come aforisma su internet, a suo nome. Comunque in definitiva, la sua frase folle racchiudeva ancora meglio il concetto e la discussione che era sorta fra di noi, sul perché l’amore e sul perché alcune volte ci delude e non basta: noi siamo degli animali e non era previsto che avessimo bisogno di infiocchettare il tutto, con cuoricini e angeli a culo nudo che sparano frecce. Dovrebbe bastarci un bell’accoppiamento e stop!»


«Sarebbe un po’ triste e vuoto, no?» «Ecco! Capisci che intendo? Se fossimo galline sarebbe tutto più semplice, ma... non lo siamo! Siamo soltanto fermi, in panne, a metà strada... e siamo eternamente insoddisfatti... puntiamo alla fine della strada, pretendendo di arrivarci, anche a piedi, ma sempre in ritardo... anche io che sono maschio, trovo che tutto non può ridursi soltanto all’accoppiamento... emozionalmente cerco, cerchiamo sempre altro... io per la verità... l’avrei già trovato quello che cerco, eh! E... ehi! Ma stai dormendo?» «Mh?» «Ti... ti sento russare dal cellulare, pigrona!» «Ah, scusami... io... devo andare a stendermi un altro po’, o non posso stare sveglia tutta oggi. Proprio no.» «Va bene, dai... ci sentiamo. E riposati. E non pensare alle galline!» «Già, poverine. O fortunate? Bah, ci penseremo un’altra volta... dormi bene, Phil. Un bacio.» «Notte, Sophia.»

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A cura di Fabiana Andreozzi

Memorie di viaggio Londra Low cost: dalla sopravvivenza allo shopping selvaggio

Quando anche un viaggio in una delle capitali più cool e costose d’Europa può costarci pochi spiccioli e permetterci di cambiare il guardaroba al di fuori dei periodi di saldi Tutto quello che siete riusciti a risparmiare tra viaggio e soggiorno potrete spenderlo per i vostri folli acquisti, perché a Londra vi verrà una voglia matta di comprare tutto quello che i vostri occhi riusciranno a incontrare. Se così non fosse, allora potete proprio considerarvi degli alieni. Il nostro giro stavolta prende vita dai principali mercati. A Londra ce ne sono una marea, tutti fichissimi, particolari e alternativi. Per me è difficile scegliere quale mi piace di più e ogni volta che vado, a costo di correre come una trottola, torno a vederli tutti. Senza dubbio il mercato del quartiere di Camden Town rientra tra i miei preferiti sia per l’aria che si respira che per la gente che vi cammina. Mi dà l’idea della vera Londra, quella in cui becchi tipi strani e alternativi ma nessuno ci fa caso perché tira dritto per la sua strada. Non è per indifferenza ma proprio per amor del lasciar vivere, di poter essere se stessi senza preoccuparsi di essere giudicati. Questo è quello che amo di questo posto, così diverso dall’Italia in cui purtroppo siamo ancora legati a tanti bigottismi. Torniamo a Londra e a Camden, per arrivarci si prende la linea nera e c’è proprio la fermata Camden. Il mercato è diviso in più punti: Camden Lock, Camden Market e via dicendo, camminando lungo la via si intravedono alla perfezione questi intrichi di bancarelle che creano labirinti in cui perdersi. Il mercato è aperto tutti i giorni fino alle 18 per cui non è proprio possibile perderlo. Queste bancarelle non solo affollano intere vie, stradine ma anche gli edifici e ci si può trovare di tutto: vestiti vintage, elfici, gioielli, oggetti fatti a mano, libri antichi. Ovviamente immancabile è il cibo di ogni parte del mondo: pasta italiana e pizza rivisitata, cinese, giapponese, churros spagnoli, tacos messicani. Odori che si mescolano in un tripudio di colori e non capisci più dove vuoi andare a mangiare. Quello che amo di più di questo mercato è che la via principale è costellata da una serie di negozi vintage, di scarpe, di tatuaggi (insomma chi più ne ha più ne metta) e le insegne sono praticamente in rilievo e gigantesche. Tra questi negozietti il mio preferito è Punkyfish che vende vestiti carini e particolari, è una marca di Londra. Al piano di sotto trovate la merce a saldo. Capitano ottime occasioni, o almeno io ho sempre trovato qualcosa di strano da acciuffare per poche sterline.

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Bricklane è il mercato della domenica, aperto fino a pranzo. Ci si arriva da più metro: una è quella di Aldegate est della linea rosa. Strano a dirsi ma ogni volta che cerco di raggiungere Bricklane diventa il viaggio della speranza perché chiudono le metro dirette per sciopero o per improvvisi lavori in corso. Ogni volta mi viene voglia di arrendermi perché il viaggio diventa un tour de force, ma non potrei mai passare per Londra senza aver fatto una capatina a Bricklane. È sempre un mercato di oggetti fatti a mano, vestiti particolari. Gli stand sono dentro padiglioni fatiscenti o lungo la via sopraffollata insieme a tanti venditori casalinghi di cose usate. Non è solo questo il bello di Bricklane, quello che cattura gli occhi è il tripudio di colori dei numerosi stand di cibo, stavolta veramente da tutto il mondo. I profumi speziati della cucina orientale si mescolano con le empanadas argentine, le paelle… bisogna arrivare a digiuno per poter gustare tutto a prezzi modici. La signora che vende le torte di carota e altri mini-cakes decorati è bravissima. Portobello è il mercato più famoso, si scende alla fermata rossa della metro di Notting Hill, il bellissimo quartiere dalle case colorate con i fiori alle finestre. Una miriade di negozi e bancarelle di oggetti di antiquariato, vintage e non. È aperto ogni sabato, ma non so perché è quello che mi fa impazzire di meno. Ovviamente un passaggio è d’obbligo se non altro per vedere questo grazioso quartiere, la pizzeria siciliana con la fiat cinquecento arancione in vetrina e la libreria del film di Notting Hill. Io di questo posto adoro Poundland, si tratta di un franchising che vende tutto a 1 pound, ce ne sono tantissimi sparsi per la città. Troverete delle occasioni fantastiche perché non è come i nostri negozi dove c’è tutto a 1 euro, ci sono prodotti anche di marca a 1 pound: tipo 10 batterie kodak, 10 penne bic, custodie di cellulari. Covent garden invece è sulla linea blu fermata Covent garden. Soprannominato il mercato degli artisti perché tantissimi sono gli stand di artigianato locale, soprattutto gioielli. All’interno della struttura ci sono anche due mega padelle giganti dove preparano la paella. Trovate anche Whittard, la catena di tè sparsa per la città. Quello istantaneo, turkish apple, è divino. La zona antistante la piazza è piena di negozi in cui fare shopping dal Disney store (dove ho scoperto che i prezzi in sterline al cambio in euro sono comunque più bassi che in Italia) a Boots a Marks & Spencer il supermercato dove potete assaggiare i mitici tramezzini bacon, pomodoro e insalata.


Un altro mercato non molto conosciuto e non facilmente scovabile per orari è quello del Borough. Io lo consiglio per chi è a caccia di cibo e di assaggini. È il classico mercato che vende verdure, frutta e via dicendo ma in alcuni giorni specifici si mangia perché cucinano pure. La fermata metro è quella del London Bridge. Guardate sul sito per verificare orari. I mercati a Londra non sono semplici mercati ma luoghi da visitare al pari di musei e attrazioni, si respira l’aria tipica della città, la sua cultura. Un altro aspetto a mio avviso carinissimo di Londra è quello che molte chiese non sono solo luoghi di culto ma si trasformano in posti in cui poter mangiare sul prato durante una bella giornata di sole. Alcune chiese hanno proprio la caffetteria e la mensa. Io sono stata alla chiesa di St. Martin-in-the-Fields, è un luogo di culto anglicano situata accanto a Trafalgar Square, per prendere il famoso tè delle cinque. Il luogo è veramente suggestivo si sta avvolti da muri di pietra e volti a botte. Mentre io sorseggiavo tè caldo c’era chi mangiava stufato con patate. Ora non ci resta che tuffarci nel magico mondo dello shopping compulsivo da grande magazzino, vi consiglio di controllare sui rispettivi siti gli orari anche se normalmente molti grandi centri sono aperti fino alle 22 durante la settimana e di domenica restano aperti dalle 12 alle 18. Il primo che va assolutamente citato è Harrods alla fermata knighsbridge. Per intenderci è come da noi la Rinascente o in Spagna il Corts Ingles, ma di dimensione oceaniche e mastodontiche. Il motto cita che si può trovare «dallo spillo all’elefante». È incredibilmente vero, io sono rimasta senza fiato e di nascosto ho scattato una marea di foto prima di venir rimproverata. È costoso da morire ma è sicuramente una tappa obbligatoria in un tour di Londra anche per i non appassionati di shopping. È un’istituzione ormai, talmente grande che distribuiscono la piantina con i vari piani. L’ultima volta che ci sono stata le vetrine erano allestite con donne cinesi e draghi rossi in onore del capodanno cinese che si sarebbe svolto da lì a poco. Harrods assomiglia al paese dei balocchi, il supermercato ha dell’incredibile, c’è un salone immenso dedicato solo alla cioccolata e un altro per le scatole di latta contenenti tè, cioccolato e via dicendo. A febbraio c’era già in piedi un immenso stand dedicato alla Pasqua, che non conteneva solo semplici uova, una roba simile da noi mai vista. Poi beh c’è una parte dedicata proprio al merchandising di Harrods e lì ho comprato tutto quello che la mia valigia poteva contenere. Ve lo sconsiglio perché all’aeroporto di Gatwick c’è una filiale e i prezzi sono notevolmente più bassi. Il mio cuore comunque l’ho lasciato nel reparto giocattoli, un piano immenso pieno di ogni ben di Dio, robe mai viste nei miei trentaquattro anni di vita che mi hanno fatto desiderare di tornare di colpo bambina. Per i fan di Harry Potter c’è proprio di tutto, dalle bacchette ai vestiti.

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Per chi avesse ancora un po’ di tempo Selfridges è un immenso grande magazzino sullo stile rinascente che ha un piano dedicato ai ristorantini veramente spettacolare. Si mangia un gelato costossissimo allo yogurt che ti gela la bocca ma è buonissimo. Chi fosse interessato a comprare e non ammirare soltanto può recarsi in altri negozi. Gli amanti dello sport possono rifarsi gli occhi da Lillywhites alla fermata piccadilly lane. Sette piani, se non sbaglio, dedicati allo sport con prezzi davvero vantaggiosi ed economici. In assoluto la marca Lonsdale è quella più economica. Sono riuscita a scovare tutine per neonati a 11 euro. Comunque sparsi per la città e nei centri commerciali potete trovare il negozio Direct sport che vende gli stessi articoli di Lillywhites. Un Direct sport sta nell’immenso centro commerciale di Westfield, il centro più grande d’Europa di cui vi ho parlato nel primo articolo. Per chi ama invece essere sempre trendy e alla moda e, come me, cambia un vestito al giorno allora la meta ideale è Primark! Negozio immenso a più piani in cui potete trovare dai vestiti di ogni tipo per donna, uomo e bambino, ad accessori, trucchi, articoli per la casa, scarpe. Tutto a prezzi bassissimi nonostante il cambio… insomma costa meno comprare da Primark che alle bancarelle in Italia. Ce ne sono due, uno vicino alla metropolitana bond street, molto caotico, e uno a Tottenham Court, molto più ordinato. Per gli appassionati di libri come me, che non riesco a farne a meno neanche se sono scritti in turco, allora non potete perdere la più bella libreria che i miei occhi abbiano incontrato: Waterstone, alla fermata della metro Piccadilly. È la più grande in cui mi sono incappata, ho perso il conto dei piani, dovrebbero essere 7. All’ultimo c’è la sala da tè. Ovunque ci sono divanetti e tavolinetti in cui ti puoi sedere a leggere e sfogliare pile di libri. I libri sono divisi per genere, per età come in Italia, ma le quantità sono a dir poco spaventose. Waterstone è una catena e ce ne sono di più piccole sparse per la città. Altrimenti c’è VHSmith, anche questa un po’ ovunque, persino all’aeroporto, in cui si vende anche film e musica. Per gli amanti dei cosmetici ci sono due fantastici negozi, Boots e Superdrug. Il primo è un franchising di profumerie/parafarmacia; è sparsa un po’ ovunque e ci si trova un po’ di tutto. Per farvi capire ci si mangia pure. Una di queste sta proprio a Covent garden. La seconda è proprio una profumeria. L’ho svaligiata prendendo tutte le promozioni in corso (http://www.superdrug.com/), sfruttando i 3x2: compri 3 articoli di


make up (anche di marche diverse) e quello che costa meno è gratis. Per concludere il tour dei negozi, non possono mancare le ultime due chicche: Argos e Hamleys. Il primo è un negozio dove si ordina dal catalogo. Se entrate non c’è nulla tranne pile e pile accatastate di questi libri che sembrano pagine gialle. Provate a sfogliarne uno, non manca nulla. Uno degli Argos sta a Shepherd’s bush linea rossa. Io me ne porto sempre via uno per sfogliarlo divertita la sera; non manca praticamente nulla. Il secondo (metro Regent’s park) è il negozio di giocattoli a 5 piani più famoso perché è possibile costruirsi il proprio peluche. Cinque volte che ci sono stata e ancora non sono riuscita a prendermene uno da riportare a casa, causa valigia stracolma di acquisti J Siamo ormai giunti alla conclusione di questa panoramica sullo shopping anche a buon mercato. Londra non è solo questo, al prossimo capitolo per scoprire finalmente “la Londra dei musei e delle attrazioni turistiche anche free!”

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CONT

Se volete contattare uno di noi ecco dove potete trovarci. Di seguito una lista con tutti i link di nostri siti\blog\pagine facebook. PAGINA FACEBOOK ECLETTICA: https://www.facebook.com/Ecletticalavocedeiblogger Giovanna Samanda Ricchiuti (Chiacchierando con...) https://www.facebook.com/unlettoreungransognatore http://lettoreungransognatore.blogspot.it/ Chiara Ricchiuti (Grafica) https://www.facebook.com/ChiaraRGraphicLab UN MARE DI LETTERATURA, Claudia risi https://www.facebook.com/passioneletteratura http://passioneletteratura.blogspot.it/ SCORCI DAL MONDO INCANTATO/MEMORIE DI VIAGGIO, Fabiana Andreozzi https://www.facebook.com/FabianaAndreozzieVanessaVescera http://labottegadeilibriincantati.blogspot.it/ ECHOES, Roberto Baldini: http://scrivoleggo.blogspot.it/ LE ALI DI ISIDE, Francesca rossi www.divineribelli.blogspot.it www.lamanodifatima.blogspot.it https://www.facebook.com/FrancescaRossiAutrice http://elioreds.wix.com/francescarossi DALLA CARTA ALLA PELLICOLA, Daniela Mionetto https://www.facebook.com/Appuntidiunalettriceblog http://appuntidiunalettrice.blogspot.it/ LIBRI VINTAGE, Laura C. Benedetti https://www.facebook.com/pages/Laura-Caterina-Benedetti/397863926952672


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