Anno XXXV - Numero 1 - 2017 - Dir. Resp. Roberto Rabachino - Reg. Trib. Pisa n. 21 del 15.11.1983 - Lg. 47/1948
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FEDERAZIONE ITALIANA SOMMELIER ALBERGATORI
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Periodico Trimestrale - Poste Italiane Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 conv.in L. 27/02/2004 n. 46
Siamo a Vinitaly 2017 Padiglione F - Enolitech stand H3
Rivista di enologia, gastronomia e turismo - Anno XXXV n. 1 - 2017
RISTORATORI
Speciale
€ 7,50
l’evento dedicato al vino targato FISAR
Miglior Sommelier dell’Anno
Trofeo Rastal
Lorena Lancia
Ai Sigg. Soci Loro Indirizzi
Prot. Nr. 58
Asciano, 13 febbraio 2017
51ª EDIZIONE
Oggetto: Convocazione in Assemblea del 7 maggio 2017. I Signori Soci sono invitati a partecipare alla Assemblea Nazionale ordinaria che avrà luogo alle ore 19:00 del giorno 6 maggio 2017 presso l’Hotel Plaza e De Russie – piazza D’Azeglio,1 - 55049, Viareggio (LU) – Tel. 0584 44449 ed occorrendo in seconda convocazione alle ore 10.00 del 7 maggio 2017 nel medesimo luogo per discutere e deliberare il seguente:
VERONA 9 -12 A P R I L E 2017
ORDINE DEL GIORNO
1. 2. 3. 4. 5.
Saluto e relazione del Presidente Nazionale. Nomina del Presidente e del Segretario dell’Assemblea. Lettura del bilancio consuntivo e della relazione al 31 dicembre 2016. Lettura della relazione del Collegio dei Revisori. Approvazione della relazione e del bilancio consuntivo al 31 dicembre 2016 e delibere conseguenti. 6. Varie ed eventuali.
Cordiali saluti
A WO R L DW I D E PA SSI O N S I N C E 19 6 7 I N G R E S S O R I S ERVATO A D O P ER ATO R I D EL S E T TO R E
V I N I TA LY@V ERO N A F I ER E .CO M V I N I TA LY.CO M
P R E M I O E N O LO G I CO
Graziella Cescon Presidente nazionale Fisar
INTERNA ZIONALE
G R A N D TA S T I N G F i n e s t I ta l i a n W i n e s Ve ro n a , 8 a p r i l e 2 017
V I N I TA LY 3 1 m a r zo - 2 a p r i l e 2 017
TOGETHER WITH
Riconoscimento della Personalità Giuridica con D.P.PI n. 1070/01 Sett.I del 09/05/2001 Sito istituzionale: www.fisar.org – Sito organo ufficiale della F.I.S.A.R.: www.ilsommelier.com
FO L LOW U S
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Anno XXXV - Numero 1 - 2017
Lettera del Presidente Nazionale F.I.S.A.R. di Graziella Cescon Entro il 2020 il Pil legato alla produzione di vino “ecologico” aumenterà del 30% a cura del Direttore Responsabile Roberto Rabachino
La Segreteria Nazionale comunica di Laura Maggi, Segretario Nazionale Nuova DOC Pinot Grigio: una scommessa da oltre 350 milioni di bottiglie di Giuseppe Martelli Degustando selezionati, richiesti e provati dalla Redazione Centrale
parola all’esperto
Un territorio, una storia, una tradizione di Lara Loreti Non solo Sangiovese e vini fermi di Lara Loreti Primavera del Prosecco 2017. Arte, storia, cultura e enogastronomia d’eccellenza di Gladys Torres Urday Il seducente caviale di Riccardo Lagorio Riflessioni sulla storia moderna del vino italiano tra passato e futuro di Walter Filiputti “I have a drink” di Germano Longo L’anima del Vino di Charles Pierre Baudelaire – traduzione adattata e ricerca di Roberto Rabachino La doppia vita del fiore d’inverno a cura di Roberto Rabachino
turismo nel mondo
2 3 5 9 11 14 18 22 28 31 36 38 39
di Charles Pierre Baudelaire – traduzione adattata e ricerca di Roberto Rabachino
L’anima del
a cura della Redazione Centrale
42 Charles Pierre 50 Baudelaire È 53
Il contributo delle produttrici vitivinicole per lo sviluppo del turismo enogastronomico di Silvia Parcianello
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Nell’ultra millenaria e fiabesca Cina: Shanghai, la metropoli delle meraviglie di Jimmy Pessina Intervista a Lorena Lancia, Miglior Sommelier 2016 - Trofeo Rastal di Laura Grossi Intervista a Alessandra Maccanti, vincitrice del Concorso “Progetta la tessera Fisar”
il piatto
Il dolce che profuma di primavera di Enza Bettelli con l’abbinamento di Nicola Masiello Il Vinitaly 2017: tradizione, impegno, internazionalità e professionalità a cura dell’Ufficio Stampa Verona Fiere
La Fisar al Vinitaly 2017 a cura della Redazione Centrale Biblioteca a cura di Gladys Torres Urday
MareDiVino Livorno: da un grande territorio, grandi vini di Davide Amadei Speciale
a cura della Redazione Centrale
QUALITY NEWS Le notizie di enogastronomia e turismo a cura della redazione di Quality ADV In FAMIGLIA - Le notizie dalle Delegazioni
56 58 60 62 63 68 108 113
nato a Parigi nel 1821, morto a Parigi nel 1867. Poeta, scrittore, critico letterari e d’arte, giornalista, filosofo e saggista è considerato uno dei più importanti poeti del XIX secolo, esponente chiave del simbolismo, affiliato del parnassianesimo e grande innovatore del genere lirico, nonché anticipatore del decadentismo. I fiori del male, la sua opera maggiore, è considerata uno dei classici della letteratura francese e mondiale. Il pensiero e la biografia di Baudelaire hanno influenzato molti autori successivi a lui (come ad esempio i “poeti maledetti” come Verlaine, Mallarmé e Rimbaud, ma anche gli scapigliati italiani come Emilio Praga, lo scrittore Marcel Proust, Edmund
Nella bottiglia l’ “Caro Uomo, de sotto i rossi sugg di luce e di frater So bene quanta p sopra la collina donarmi vita ed sarò, né malefico nella gola cadrò petto per me sarà meglio che nel fr i ritornelli delle t bisbiglia dentro sopra il tavolo m mi vanterai e con affascinata acce Robustezza rida per codesto esile rafforzerà i suoi io ambrosia vege Seminatore etern nasca la poesia c boccio di un raro
Wilson, Dino Campa in particolar modo, P Valéry), appartenent a correnti letterarie e in periodi storici diffe viene ancor oggi co non solo come uno d precursori della lette decadente (nonché del ribelle in stile bo ma anche di quella p di quella filosofia ne della società, dell’ar
di Graziella Cescon, Presidente Nazionale F.I.S.A.R.
Lavorando insieme, forti del nostro passato e aperti al futuro, diventeremo invincibili! Fisar sta diventando un luogo di aggregazione, cultura e formazione per chi già ama il vino e un luogo dinamico, stimolante, moderno e facilmente fruibile per coloro che sono attratti dal suo mondo.
S
u queste pagine, esattamente un anno fa, vi ho comunicato la mia intenzione di esprimere il potenziale di Fisar e renderla il riferimento della sommelierie italiana rimettendo al centro della scena il vino. Oggi sono orgogliosa di dirvi che quanto ci siamo proposti sta diventando realtà. La nostra Federazione è cresciuta e i passi che abbiamo compiuto nel mondo enoico hanno richiamato su di noi un’attenzione senza precedenti, sia da parte degli addetti del settore, che degli appassionati. La collaborazione con MIPAAF, Signori del Vino e Slow Food; i tanti e continui corsi per diventare Sommelier, la progettazione per la didattica informatizzata; il restyling della comunicazione; in ogni azione Fisar ha dimostrato di sapersi rinnovare nel rispetto della tradizione. A coronare tutto, il successo di Vinoè, che alla sua prima edizione ha superato i 6000 ingressi. Confermando le migliori aspettative degli sponsor e dei produttori che ci hanno accordato la loro fiducia, questo evento prova la 2
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nostra competenza e capacità di comunicare il vino in ogni suo aspetto dando voce a tutte le professionalità ed arti che si raccolgono intorno a questo meraviglioso prodotto. Grazie ai nostri sommelier e agli oltre 5000 vini presentati dalle aziende, abbiamo offerto ad un pubblico incuriosito, ma non ancora consapevole, l’opportunità di vivere un vero viaggio culturale e storico attraverso l’Italia vitivinicola. Con le ‘verticali’ di grandi annate, le degustazioni di selezioni speciali come i vini d’anfora e gli approfondimenti sulle eccellenze made in Italy, abbiamo conquistato gli intenditori. Come mi aspettavo, Fisar sta diventando un luogo di aggregazione, cultura e formazione per chi già ama il vino e un luogo dinamico, stimolante, moderno e facilmente fruibile per coloro che sono attratti dal suo mondo. E ci riesce perché ogni territorio, ogni delegazione, ogni socio è parte attiva di un progetto comune che ci vede tutti protagonisti e ugualmente importanti. Il 2017 dovrà essere un anno di
conferma e ulteriore crescita. Il prestigio che abbiamo raggiunto ci impone un livello di eccellenza. Sono già al lavoro per pianificare tutte le attività, mantenendo la suddivisione di argomenti e compiti che hanno contraddistinto il modus operandi degli scorsi mesi garantendone i risultati. Vinitaly è il primo appuntamento: cogliamo l’opportunità di affermare ancora una volta il primato di Fisar. Essere un modello di riferimento prevede dei requisiti. Lavorando insieme, forti del nostro passato e aperti al futuro, abbiamo dimostrato di averli tutti. Ricordiamocene sempre e nulla potrà fermarci. Buon lavoro a tutti!
a cura di Roberto Rabachino direttore responsabile (dati e fonte ANSA – Photo CatadelVino)
Entro il 2020 il Pil legato alla produzione di
vino “ecologico” aumenterà del 30%
La ricerca della sostenibilità ambientale e sociale porta non solo vantaggi nella reputazione del prodotto, ma obbliga anche l’azienda a rimodellarsi trovando un efficientamento dei processi operativi aziendali.
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vincente scommettere sul vino sostenibile, cioè quel vino prodotto secondo le indicazioni del progetto Viva del ministero dell’Ambiente che punta, basandosi su 4 indicatori (aria, acqua, vigneto e territorio) a produrre il minor impatto possibile sull’ambiente. Entro il 2020 il Pil nazionale connesso a questa produzione aumenterà del 30%, arrivando a quota 4 miliardi di euro. È quanto emerge da uno studio della docente di Economia aziendale all’Università di Siena, Maria Pia Maraghini, che ha elaborato i dati partendo dalle
ultime rilevazioni disponibili del settore. ‘’Oggi il fatturato delle aziende che producono vino sostenibile – spiega la studiosa – vale oltre 3 miliardi di euro, un terzo del valore della produzione totale e, pur usando stime prudenziali, è possibile prevedere che il Pil del vino italiano continuerà a crescere nei prossimi anni più velocemente di quello dell’agroalimentare, ma quello del vino sostenibile ancora di più, con valori doppi rispetto alle aziende tradizionali’’. La docente stima che il tasso medio di crescita del fatturato delle
imprese del vino oscilla tra il 3% e il 5% l’anno, a fronte del 7-10% delle realtà sostenibili. “E questo – osserva la studiosa – è dovuto non solo alla maggiore attenzione del mercato e dei consumatori su tematiche ambientali e sociali, ma soprattutto alla crescita imprenditoriale che solitamente caratterizza le aziende orientate a strategie di sviluppo sostenibile. Infatti, la ricerca della sostenibilità ambientale e sociale porta non solo vantaggi nella reputazione del prodotto, ma obbliga anche l’azienda a rimodellarsi trovando un efficientamento dei processi operativi aziendali (in particolare più efficaci campagne di comunicazione sul mercato), una migliore gestione delle risorse, aumentando la forbice fra costi e ricavi, nonché una maggiore propensione all’innovazione. Puntare sulla sostenibilità ambientale e sociale significa dunque migliorare anche quella economica dell’azienda”. il Sommelier | n. 1 - 2017
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Registr. Tribunale di Pisa n° 21 del 15.11.1983 ®
Rivista Ufficiale della F.I.S.A.R.
Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori Ric. di Pers. Giuridica PI. n.° 1070/01 Sett. 1 del 9.5.01 FEDERAZIONE ITALIANA SOMMELIER
Direttore Responsabile: Roberto Rabachino
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C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 direttore@ilsommelier.com Redazione Centrale: Gladys Torres Urday
C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 redazione@ilsommelier.com Editore: Pacini Editore S.r.l.
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Hanno collaborato a questo numero
Giuseppe Martelli, Alberto Cugnetto, Gladys Torres Urday, Lara Loreti, Jimmy Pessina, Enza Bettelli, Nicola Masiello, Davide Amadei, Fabio Ciarla, Sabrina Somigli, Simone Mazzei, Aldo Mussio, Luca Canapicchi, Giampaolo Zuliani, Walter Filiputti, Silvia Parcianello, Germano Longo, Valerio Sisti, Laura Grossi e le Delegazioni della FISAR Per la fotografia
FotoArte di R. Zucchi, Alessia Bernardeschi, Jimmy Pessina, Davide Amadei, Lara Loreti, Slow Food, Consorzio del Soave, Luisella Rubin, Roberto Rabachino, Enza Bettelli e immagini di Redazione
Finito di stampare nel mese di Febbraio 2017 presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore Srl Via A. Gherardesca • 56121 Ospedaletto • Pisa Telefono 050 313011 • Telefax 050 3130300 www.pacinieditore.it
Distribuzione della rivista La rivista viene inviata in abbonamento postale a tutti i Soci (abbonati) F.I.S.A.R., a tutti gli organi di informazione, a tutti i giornalisti dei gruppi di specializzazione di settore, a tutte le Istituzioni, a tutte le Associazioni di settore e a tutti gli IPSSAR che ne facciano richiesta. La rivista è associata al USPI Unione Stampa Periodica Italiana
Abbonamento alla Rivista € 25,00 per 4 numeri Segreteria di Redazione Il Sommelier: Via dei Condotti, 16 - 56017 Asciano (PI) - Tel. +39 050 857105 - Fax +39 050 856700 - segreteria.nazionale@fisar.com
di Laura Maggi, Segretario Nazionale FISAR, segretario.nazionale@fisar.com
La Segreteria Nazionale comunica
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Ricordando il Congresso Nazionale di Firenze e Vinoè rivivo tutte le emozioni di quei giorni: l’organizzazione frenetica, l’apertura della Stazione Leopolda, la degustazione con i produttori e i numerosi eventi sul palco. Tantissimi i premi consegnati nei due giorni Alle Delegazioni che hanno aumentato costantemente il numero dei soci negli ultimi tre anni: MILANO, TORINO, GENOVA, FIRENZE, SIENA, PRATO. Alle Delegazioni che si sono distinte nell’aiuto per lo sviluppo di Delegazioni: BIELLA per l’aiuto alla Delegazione Medio Campidano, PAVIA per l’aiuto alla Delegazione Lodi.
Alla Delegazione con maggior numero di Soci nel 2016: TREVISO. Al corsista che si è distinto acquisendo la qualifica di Sommelier con voto più alto: VERARDO VALENTINA della Delegazione di Treviso. Un premio speciale a LUCIO CHIARANDA per il supporto alle Delegazioni. Al Direttore della rivista Il Sommelier ROBERTO RABACHINO per il lavoro svolto per FISAR.
A DAVIDE AMADEI per la disponibilità dimostrata nella collaborazione con la rivista Il Sommelier. Il titolo di FISAR Ambassador a MARZIO BERRUGI per l’impegno nella formazione.
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E infine i premi più attesi legati ai concorsi FISAR A ALESSANDRA MACCANTI della Delegazione di Montecarlo vincitrice del concorso Progetta la Tessera FISAR 2017 che ha ricevuto un bellissimo dipinto Vinarello dell’artista Maurizia Gentili realizzato con il vino. Ai finalisti del concorso Miglior Sommelier dell’anno 2016: 3° classificato FEDERICO GHEZZI della Delegazione di Firenze, 2° classificata GIULIA CARPENÈ della Delegazione di Treviso e 1° classificata LORENA LANCIA della Delegazione di Milano vincitrice del prestigioso Trofeo Rastal e di un soggiorno offerto dal Consorzio di Tutela dei Vini DOC Cortona.
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Appuntamenti futuri Sono certa che anche i prossimi appuntamenti non mancheranno di darci nuove emozioni e successi. Dal 9 al 12 aprile saremo a Verona per Vinitaly e per l’evento collaterale Vinitaly and the city. Domenica 7 maggio appuntamento all’Hotel Plaza e De Russie di Viareggio per l’Assemblea dei Soci per l’approvazione del bilancio.
il Sommelier | n. 1 - 2017
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di Laura Maggi - Segretario Nazionale, segretario.nazionale@fisar.com FEDERAZIONE ITALIANA SOMMELIER ALBERGATORI
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Essere Socio F.I.S.A.R. vuol dire: usufruire di tanti vantaggi nel mondo enogastronomico Associarsi alla Federazione
non è mai stato così facile! Le modalità per aderire al tesseramento sono indicate sul sito
www.fisar.org La quota sociale
per l’anno 2017 è di €
70,00
•
Ricevere la rivista di enogastronomia e turismo
•
•
Partecipare a condizioni vantaggiose alle cene, alle degustazioni, agli eventi.
Usufruire di sconti e omaggi nelle maggiori manifestazioni enogastronomiche nazionali (Vinitaly, Salone del Gusto, Slow Cheese, Slow Fish, ecc.).
•
Usufruire di sconti in locali convenzionati in tutta Italia (Ristoranti, Enoteche, Cantine, Agriturismi, ecc.).
“il Sommelier”.
Con il tesseramento 2017 in OMAGGIO la prestigiosa edita da Slow Food Editore in collaborazione con F.I.S.A.R.
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il Sommelier | n. 1 - 2017
F.i.s.a.r. segreteria Nazionale
@Fisarsommelier
segreteriafisar
di Giuseppe Martelli, Presidente Comitato Nazionale Vini - MiPAAF
Nuova DOC Pinot Grigio:
una scommessa da oltre 350 milioni di bottiglie Sulla scorta dell’esempio del Prosecco, il Pinot grigio caratterizza una super Doc che copre Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino per 20 mila ettari, 1,3 milioni di ettolitri, con una previsione di oltre 350 milioni di bottiglie destinate per il 60% all’export in generale e a Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Canada e Scandinavia, in particolare.
A
rchiviato un anno di battaglie, il settore vitivinicolo italiano ha iniziato ad affrontare un 2017 denso di sfide. Il nodo principale da sciogliere ritengo rimanga il legame, in discussione a livello internazionale, tra vitigno e denominazione di origine. L’Italia ha recentemente portato a casa un’importante vittoria sul fronte dei vitigni cosiddetti “identitari”. Si è mossa benissimo dimostrando un’efficace azione di lobbing in Europa, arginando, almeno per ora ma speriamo per sempre, la proposta di liberalizzazione del regolamento 607/2009 che, riformando le menzioni geografiche, avrebbe spezzato il legame tra alcune nostre denominazioni di pregio e una decina di vitigni autoctoni come Lambrusco, Vermentino,
Barbera, ecc. Fiori all’occhiello del nostro patrimonio vitivinicolo nel mondo che altri Paesi vorrebbero avere la possibilità di utilizzare in etichetta, facendoci perdere l’esclusività. Bruxelles tornerà alla
carica su questo fronte, speriamo che non la spunti. In questo contesto ben si colloca il rafforzamento di alcune denominazioni che hanno scelto dimensioni iper-regionali. È il
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ITALIA: SUPERFICI A PINOT GRIGIO VENETO FRIULI VENEZIA GIULIA TRENTINO ALTO ADIGE ALTRE REGIONI
11.511 47% 6.005 24,5% 2.760 11,3% 630 2,6% 3.596 14,7%
Fonte: elaborazione su dati Servizio Statistico Regione Veneto
TRIVENETO: ESPORTAZIONI PINOT GRIGIO 2011 2012 2013 2014
960.000 Ettolitri 1.020.000 Ettolitri 1.000.000 Ettolitri 1.070.000 Ettolitri
Fonte: elaborazione su dati Servizio Statistico Regione Veneto
caso del Pinot grigio che, sulla scorta dell’esempio del Prosecco Doc, ha realizzato una super denominazione di origine (il cui nome è Delle Venezie con tipologia bianco e Pinot grigio) da 20 mila ettari, 1,3 milioni di ettolitri, con una previsione di oltre 350 milioni di bottiglie destinate per il 60% all’export in generale e a Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Canada e
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Scandinavia, in particolare. Super Doc che riunisce tre Regioni: Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino. Un obiettivo non facile, che ha comportato un anno di “tira e molla”, in cui il Comitato nazionale vini è stato più volte chiamato in causa anche da interrogazioni parlamentari che mettevano in discussione il requisito del legame con il territorio
e paventavano rischi per i piccoli produttori. A mio avviso è vero il contrario: il Pinot grigio non può certo essere considerato un vitigno autoctono, ma va sottolineato che molto del suo successo è dovuto all’appeal dell’Italian sounding che ha trovato il suo apice nelle preferenze accordate da sua maestà il consumatore nel mondo in generale e nel mercato statunitense in particolare. E per affrontare i mercati serve anche un’efficace capacità di governo delle produzioni per mettere immagine e primato qualitativo al sicuro da tentativi di imitazione. Del resto, come ha illustrato in una recente relazione il professor Corrado Giacomini dell’Università di Parma, il Pinot grigio è tra le varietà di vite che hanno avuto maggiore sviluppo nel corso degli ultimi anni. Basti pensare che, a livello mondiale, secondo un rapporto del di Kym Anderson, nel 2010 contava una superficie vitata di 43.500 ettari; un’estensione più che doppia di quella registrata nel 2000 che risultava pari o poco inferiore ai 19.000 ettari. Questa dinamica ha contribuito a qualificare il Pinot grigio tra i fenomeni più rilevanti nello scenario del mercato mondiale del vino del nuovo millennio. In Italia il Pinot grigio è concentrato nell’area nord orientale: Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, così come mostrano i grafici riportati, elaborati su dati del Servizio Statistico della Regione Veneto. In queste Regioni e Province Autonome risultano presenti quasi 21.000 ettari, l’85% del totale nazionale. Non solo, in quest’area, a partire dal 2000, la superficie vitata investita a Pinot grigio è aumentata più di tre volte.
Az. Agricola Costa di Bussia
Monforte d’Alba (CN) - www.costadibussia.com Quasi 150 anni di storia riassunti tra le mura di questa struttura: oggetti e lettere che parlano di un passato importante e di un territorio che ha molto da raccontare. Nel 1988 il colpo di fulmine e la svolta: Paolo e Guido Sartirano investono in questa proprietà con il sogno di riportarla all’antico splendore. È qui che rinasce la cantina di Arnulfo sotto il nome di Costa di Bussia, antico toponimo usato già nell’Ottocento per identificare questa proprietà. I lavori di ristrutturazione necessari per rimettere in sesto i locali della vinificazione e affinamento dove già Arnulfo operava, così come i reimpianti e le cure ai vigneti durano circa un paio d’anni, ma ecco nel 1990 la prima vendemmia produttiva e Costa di Bussia presenta di nuovo i suoi vini.
Barolo Bussia Vigna Campo dei Buoi 2011 - Barolo DOCG 100% Nebbiolo provenieti dalle vigne “Campo dei Buoi” con esposizione a sud, che partendo dalla quota di 250m, salgono fino a 350m. La componente principale è la marna, mentre argilla e arenaria sono minoritarie. 30 mesi in grandi botti di rovere di Slavonia da 5000L e poi in bottiglia. Colore granata con delle piacevoli sfumature aranciate. Al naso elegante nelle spezie con presenze mentolate caratteristiche della zona. Tannini setosi accompagnano il gusto intenso e persistente, bene integrata la presenza di vaniglia che lo avvolge. Bottiglie prodotte: 8.000 Prezzo consigliato in enoteca: 37 euro
Italo Cescon Roncadelle di Ormelle (TV) - www.cesconitalo.it Nel 1954 Italo, terminato il servizio militare, scelse di seguire le orme del nonno Domenico che già produceva vino, soprattutto Raboso Doc Piave per le famiglie della borgata. Nel 1967, dopo gli ingenti danni dell’alluvione del 6 novembre 1966 la famiglia si trasferisce nella sede attuale dell’azienda a Roncadelle. Dagli anni 90 la terza generazione, Gloria, Graziella e Domenico, hanno portato quel pizzico di entusiasmo e l’impulso giusto, fatto anche di ricerca e sperimentazione, per accrescere la riconoscibilità del marchio e la qualità dei loro prodotti.
Madre – Manzoni Bianco biologico 2014 - Veneto IGT 100% Manzoni Bianco da coltivazioni biologiche con pressatura soffice da uve intere e successiva fermentazione in cemento per poi completarsi nel legno. Il suo colore è un giallo paglierino con riflessi verdognoli. Al naso è elegante con evidente presenza di frutta a polpa gialla, fiori di acacia impreziositi da una piacevole nota balsamica. Al palato è fresco con una buona ed equilibrata acidità. Morbidezza e lunga persistenza in bocca ne fanno un vino speciale. È e sarà un grande e prezioso testimone di un territorio vocato alla qualità. Bottiglie prodotte: 12.000
Prezzo consigliato in enoteca: 18 euro
Castello Monaci
Salice Salentino (LE) - www.castellomonaci.it La bianca cantina vicina al Castello, edificata dalla famiglia Memmo negli anni ’70, offre nuovi sistemi refrigerati di pigiatura attraverso serbatoi termo-condizionati in acciaio. Attraverso la selezione delle uve e accurate tecniche di vinificazione Leonardo Sergio, l’enologo della cantina, firma la qualità dei prodotti. Il Castello e la Cantina sono circondati da circa 3.000 piante di ulivi e 150 ettari di vigneti che rappresentano uno dei modelli più significativi dell’innovativa viticultura salentina. Il lavoro nei vigneti è seguito personalmente da Vitantonio Seracca Guerrieri che da anni ha intrapreso scelte volte alla valorizzazione degli autoctoni salentini.
AIACE Riserva 2012 - Salice Salentino DOC 80% Negroamaro, 20% Malvasia Nera di Lecce. Vigne coltivate su terreni calcareo-argilloso-silicei profondi ed asciutti. A malolattica ultimata, il vino matura per 12 mesi in barriques di 1° e 2° passaggio prima di essere messo in botte grande per altri 12 mesi. Riposa poi 6 mesi in bottiglia in ambiente climatizzato. Rosso intenso con riflessi granati. Al naso si alternano sensazioni di mora e amarena, note di basilico e spezie dovute all’affinamento in botte. In bocca è morbido ed equilibrato con un tannino deciso ma non invadente. Finale lungo e persistente. Bottiglie prodotte: 13.000 Prezzo consigliato in enoteca: 15 euro il Sommelier | n. 1 - 2017
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Az. Agricola Abbona Anna Maria Farigliano (CN) - www.annamariaabbona.it Il bisnonno Giuseppe coltivava le vigne da mezzadro: il sogno era di possedere i terreni in proprietà ma ebbe una vita troppo breve per vederlo realizzato e così ci dovette pensare il nonno Angelo. A lui seguì Giuseppe, che negli anni della grande industrializzazione ebbe il merito di non trasferirsi in città ma rimase legato ai suoi vigneti. Nel 1989 Franco impianta vigneti cantine. Oggi Federico e Lorenzo continuano le tradizione di famiglia.
Maioli 2013 - Dogliani Superiore DOCG 100% Dolcetto con vinificazione tradizionale in vasche di acciaio con macerazione di 8/10 giorni e affinamento in acciaio per 22 mesi. Colore rosso porpora scuro. Profumo fine e complesso. Al naso si sente il frutto in confettura, mora e ribes in primis. Palato pieno, caldo, armonico e lungo in bocca. Bottiglie prodotte: 7.000
Prezzo consigliato in enoteca: 13 euro
Az. Agricola Villa Corniole
Giovo Fraz. Verla (TN) - www.villacorniole.com Nasce in Valle di Cembra, terra di “viticoltura eroica” del Trentino-Alto Adige. La storia della cantina di vini e spumanti “Villa Corniole” parte da lontano, da generazioni di viticoltori che con impegno e gratificazione hanno costruito e modellato uno dei panorami più suggestivi del Trentino: la Valle di Cembra, dove la viticoltura, definita “eroica” rappresenta anche la forma di tutela del paesaggio, valore inestimabile per il territorio. In questa valle alpina di ineguagliabile bellezza, in un terroir unico di grande e particolare vocazione vitivinicola, Villa Corniole produce i suoi vini bianchi estremi, che identificano la ruralità montana: il Müller Thurgau in primis, vino di Montagna e simbolo della Valle di Cembra. Petramontis 2014 - Alto Adige DOC 100% Müller Thurgau da più vigneti nella parte più in alto della Valle di Cembra, zona particolarmente vocata In Trentino AltoAdige per la produzione di questo vitigno, tra i 600 e gli oltre 800 m slm. le uve vengono raccolte manualmente e in maniera selettiva, la temperatura controllata e l’affinamento avvengono in serbatoi di acciaio inox. Colore giallo paglierino scarico con riflessi verdolini, al naso è fine e intenso con sentori di erbe aromatiche, sambuco, frutta tropicale e agrumi. Sapido, minerale, con piacevole acidità tipiche caratteristiche dei vini di montagna. secco e persistente. Bottiglie prodotte: 20.000 Prezzo consigliato in enoteca: non dichiarato
Soc. Agricola Castelluccio Modigliana (Forlì-Cesana) - www.ronchidicastelluccio.it L’Azienda Agricola Castelluccio nasce negli anni ‘70 con la consulenza enologica dell’Enologo Vittorio Fiore e si trova sulle colline di Modigliana, fra Faenza e Forlì, ad un’altitudine che varia tra i 250 ed i 500 m s.l.m. Siamo in quell’enclave della Romagna chiamata storicamente “Antica Toscana”, poiché fino agli anni ‘30 faceva parte della vicina a quella regione.
Ronchi dei Ciliegi 2009 - Forlì Sangiovese IGT 100% Sangiovese con fermentazione in acciaio inox. Maturazione in tonneau da 350 litri per almeno 12 mesi in locale termocondizionato (15°C). Affinamento in bottiglia per almeno 10 mesi in locale termo-condizionato (17°). Colore rosso rubino intenso tendente al granato con il passare del tempo. Profumo ampio, ricco e speziato, con sentori di ciliegie e di ginepro. Sapore pieno, estremamente vellutato ed armonico, con un’acidità ben equilibrata con la componente tannica; la componente del rovere è ben proporzionata rispetto al frutto del vino. Bottiglie prodotte: 20.000 12
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Prezzo consigliato in enoteca: 16 euro
Antonelli San Marco s.s.
Montefalco (PG) - www.antonellisanmarco.it È un’azienda vitivinicola di 170 ettari in un corpus unico al centro della zona Docg Montefalco con una grande storia alle spalle, una grande passione tramandata per questo territorio e una grande cura della qualità dei prodotti. Da anni ha intrapreso un percorso di ricerca e miglioramento continuo dalla vite fino alla bottiglia secondo uno stile che è volto alla tipicità e all’equilibrio, alla bevibilità e all’eleganza, più che alla potenza, con estrazioni delicate e un uso moderato del legno.
Montefalco Sagrantino 2010 - Montefalco Sagrantino DOCG Sagrantino 100%. Vinificazione con riempimento delle vasche per gravità, fermentazione sulle bucce per 25-40 gg alla temperatura di 25-28°C. Illimpidimento spontaneo senza filtrazione. Affinamento di 6 mesi in carati di rovere da 500 litri e 18 mesi in botti di rovere da 25 hl, in vasca di cemento per 12 mesi, quindi in bottiglia per almeno un anno. Colore rosso rubino intenso. Olfatto ricco e potente, etereo e complesso. Tipicamente caratterizzato da note di frutta ed erbe aromatiche, dove spiccano agrumi, ciliegia, frutti di bosco, menta e origano. Al palato è un vino molto strutturato, con un tannino deciso e persistente. Bottiglie prodotte: 19.000 Prezzo consigliato in enoteca: 27 euro
Marenco
Strevi (AL) -www.marencovini.com La proprietà della Marenco si estende nell’Alto Monferrato con 100 ha vigneto coltivati con la sensibilità di un tempo ed una costante attenzione per l’agricoltura sostenibile, parte integrante della nostra cultura da sempre, punta ad un ridotto impatto sull’ambiente. Con tecnologie innovative in vigna e cantina, vengono seguite tutte le fasi del processo produttivo perché la natura faccia al meglio il suo corso. La priorità non è il profitto ma la qualità delle scelte, e la volontà di far scoprire i sapori di eccellente qualità del territorio piemontese.
Strapone 2015 - Moscato d’Asti DOCG 100% Moscato Bianco prodotto in Strevi, valle Bagnario, Vigna Scrapona. Il mosto, ottenuto dalla spremitura soffice delle uve viene conservato a bassa temperatura fino al momento della fermentazione in autoclave a temperatura controllata per il raggiungimento della gradazione alcolica di 5.5 % e la presa di spuma. Segue filtrazione e stabilizzazione. Vino aromatico dolce di colore giallo dorato e perlage fine ed elegante. Profumo intenso e persistente con spiccati sentori di agrumi, miele, tiglio e poi ancora pesca, salvia, fiori d’arancio. Il sapore È fresco, dolce, aromatico, decisamente persistente ed elegante come l’uva da cui nasce. Bottiglie prodotte: 30.000 Prezzo consigliato in enoteca: 12 euro
Baglio del Cristo di Campobello Campobello di Licata (AG) - www.cristodicampobello.it Il progetto di Baglio del Cristo di Campobello è un progetto ai limiti del visionario in quanto gli artefici di questa idea, Angelo, Domenico e Carmelo Bonetta, lo hanno intrapreso per riuscire ad imbottigliare la “sicilianità”. Un’idea ambiziosa, supportata dal prezioso contributo di Riccardo Cotarella, uno tra i più importanti enologi nazionali. Nel Baglio del Cristo di Campobello ci sono trenta ettari di vigna della Sicilia agrigentina, organismo unico di dieci microaree.
Lusirà Syrah 2012 - Sicilia DOC Il Lusirà è un 100% Syrah ed è un vino rosso siciliano profondo e corposo, dotato di grande eleganza e incisività, maturato per 14 mesi in barrique francesi (e successivi 12 in bottiglia) ottenuto da dirasaptura, pigiatura soffice e fermentazione con macerazione per 18 giorni con frequenti rimontaggi. Il suo colore è rosso porpora profondo. Al naso denota evidenti note di frutta rossa, more mature, prugne, frutti di sottobosco e una piacevole sensazione balsamica riconducibile alla macchia mediterranea. In bocca è molto elegante con una evidente mineralità e di una componente tannica morbida e piacevole. Bottiglie prodotte: 13.700 Prezzo consigliato in enoteca: 22 euro il Sommelier | n. 1 - 2017
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di Lara Loreti
Un territorio, una storia, una tradizione Intervista a Klaus Gasser, direttore della cantina Terlano, dal 1994 in azienda.
C
he nell’azienda Terlano ci sia una naturale predisposizione alla conservazione delle vecchie annate è cosa nota. Basta citare lo strano caso di Sebastian Stocker, uomo simbolo della cantina altoatesina, dove ha passato la maggior parte della sua vita da enologo. Fu lui negli anni 50 a murare all’interno della cantina una serie di bottiglie per sfuggire all’ordine dei proprietari, che invece avrebbero volute venderle tutte. Una scelta fortunata, figlia di una grande intuizione, di cui ancora oggi 14
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si raccolgono i frutti. E non un caso che quest’anno la “rarità” di casa Terlano sia una bottiglia molto speciale, che riunisce in sé profumi, sapori, ricordi ed emozioni di 25 anni, dal 1991 al 2016. Si chiamerà solo Terlaner 1991 il prodotto clou dell’anno dell’azienda di Bolzano: 3.340 bottiglie al costo di 150 euro ciascuna, per la ristorazione. Prodotto d’eccellenza, lanciato il primo marzo e presentato all’edizione 2017 di Vinitaly, è l’espressione massima del lavoro di una cooperativa che riunisce 180 soci e che fa dell’unitarietà
e della qualità i suoi cavalli di battaglia. Basti dire che l’azienda ha solo doc e non ha ceduto al canto ammaliatore delle sirene dell’effervescenza: nessuna bollicina prodotta. Solo bianchi di grande respiro, realizzati principalmente con i tre vitigni storici del territorio: Pinot bianco, Chardonnay e Sauvignon Blanc. Di questo e dei segreti del longevo gruppo altoatesino (nato nel 1893), ci parla Klaus Gasser, direttore vendite e marketing della cantina Terlano, 49 anni, dal 1994 in azienda, nella quale è entrato come sommelier ed enotecnico.
particolarità principale di questo vino, che ci è piaciuto tanto e che abbiamo ideato con grande convinzione. Nella nostra cantina, abbiamo un ampio stoccaggio di annate, e possiamo permetterci di scegliere fino al 1979. Ogni 4-5 anni assaggiamo le annate e decidiamo quale vino viene destinato all’imbottigliamento. E quest’anno siamo di fronte a un grande debutto”.
Cominciamo dall’ultimo nato: cosa racchiude in sé Solo Terlaner 1991? “È un vino molto particolare che esce dalla norma: di solito noi imbottigliamo le nostre rarità dopo circa dieci anni, realizzando dei millesimati importanti. Quest’anno invece abbiamo dato vita a un vino che ha fatto 25 anni di affinamento sui lieviti. All’inizio, nel nostro stile tradizionale, ha “riposato” nel legno delle botti grandi, da circa tremila litri; poi ha fatto un ulteriore affinamento su lieviti fini in acciaio. È questa la
Terlano dal 1893 è sinonimo di grandi bianchi: avete mai pensato di realizzare una bollicina? “Abbiamo sempre cercato di seguire la nostra tradizione e di rispettare la nostra storia, facendo vini bianchi di lunga evoluzione, ma sempre fermi. Un’idea su cui siamo sempre stati un po’ rigidi. Certo, sarebbe interessante fare delle bollicine, ma abbiamo già tanti vitigni e tanti vini, quindi preferiamo di migliorare nel nostro piccolo invece di buttarci su progetti nuovi e sperimentali”. Qual è il core business del vostro mercato estero? “Sicuramente la Germania e gli Stati Uniti sono i nostri clienti più affezionati, anche se in tutto esportiamo in 60 Paesi”.
E cosa ci dice dei mercati asiatici? “È una realtà che si sta muovendo, ma sulla clientela importante non c’è ancora una cultura di medio consumo, al livello di quantità. Tuttavia, in futuro – tipo tra dieci anni – sicuramente ci saranno sviluppi molto rilevanti, soprattutto in Cina, che rischia di diventare uno dei più grandi al livello mondiale. In questo senso è giusto fare distinzione. Da una parte c’è il Giappone, mercato storico, dove si lavora da più di 20 anni, con un volume non grandissimo, ma di grande qualità. Un’altra cosa è la Cina, mercato in piena evoluzione, dove per ora c’è mancanza di professionalità da parte degli importatori e del mondo che ruota intorno al business vinicolo. Ma non c’è da meravigliarsi: la stessa cosa era successa in Russia 20 anni prima. All’inizio il mercato era molto orientato sulle etichette, poi piano piano si è evoluto anche verso con un consumo di vini di ottimo livello e di fascia media. La Cina, ad oggi, è molto influenzata da Hong Kong, dove la Francia (Bordeaux e Borgogna) domina il mercato. Attualmente il business è in evoluzione. Del resto in Cina, come pure in India, l’approccio il Sommelier | n. 1 - 2017
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al vino è diverso dal nostro per cultura, e nella valutazione del mercato non si può prescindere da questo. L’avvicinamento al vino è più lento e difficile rispetto, ad esempio, a Paesi più legati alla cultura europea. Il vino italiano in Cina per ora è ancora un po’ in sordina e prova ne è il fatto che per il momento ci sono poche manifestazioni di grande livello italiano. A dominare il panorama è solo James Suckling”. Chi sono i competitor di Terlano al livello internazionale? “Sicuramente la Francia, per i nostri vini più importanti (quelli di fascia superiore ai 50 euro). Ad esempio Terlaner 1 Grande Cuvée è in competizione con la Borgogna nei ristoranti importanti. Sulle fasce di prezzo normali, invece, al livello mondiale ci fanno concorrenza un po’ tutti i bianchi più interessanti del globo, a partire dai Sauvignon della Nuova Zelanda, dell’Australia e del Sud Africa”. 16
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Qual è il valore aggiunto di Terlano rispetto ad esempio ai bianchi di Borgogna? “Anche se geograficamente abbiamo la stessa latitudine, possiamo godere di una posizione più mediterranea, quindi di un clima più mite. Ciò fa sì che i nostri vini abbiano un Ph più alto e quindi meno acidità. Sono più equilibrati, anche se all’inizio si presentano con un impatto più veloce. E poi sono destinati a grandi evoluzioni: si esprimono dopo anni di affinamento di bottiglia. Del resto oggi, se vuoi fare un grande vino, devi assicurarti che abbia una notevole complessità, da poter bere dopo 10 anni. Noi stilisticamente lavoriamo con Pinot bianco e Chardonnay, vitigni non paragonabili ai Riesling come potenzialità di invecchiamento”. Terlano è una grande cooperativa: qual è il segreto del vostro successo? E come fate a mettere d’accordo 180 produttori? “Eh, non va sempre tutto
liscio, dirlo sarebbe una bugia. C’è sempre una persona da convincere, una situazione da sbloccare, un accordo da trovare. Sicuramente i problemi erano più grandi venti anni fa: all’epoca abbiamo iniziato ad abbassare le rese della produzione, l’unico sistema valido per raggiungere il successo al livello internazionale, ottenendo vini di elevata concentrazione e complessità. Oggi, dopo tanto lavoro, i risultati sono arrivati e questo ha cementato i rapporti: i soci sono contenti. Il primo passo è sempre il più difficile: Terlano, sin dalla fondazione nel 1893, ha sempre avuto il pallino dell’alta qualità rispetto ad altre realtà. E già dai primi anni, l’azienda ha sempre imbottigliato nella 0.75, destinando una parte del prodotto all’invecchiamento. Nella nostra enoteca storica ci sono 100mila bottiglie: andando indietro fino al 1954, abbiamo stoccate tutte le annate, e risalendo al 1893 ne abbiamo alcune. Il lavoro qualitativo l’abbiamo
sempre fatto in vigna. In cantina ci siamo lanciati in qualche esperimento, mettendo alcuni bianchi in barrique, ma dopo siamo tornati alla nostra filosofia storica dell’utilizzo del legno di botti grandi, cercando di trovare i risultati migliori senza rinunciare al nostro stile tradizionale. Questo è stato il passo principale per l’azienda”. Come è organizzato il lavoro? “Abbiamo un solo agronomo, che controlla le vigne dei soci, un enologo, un unico programma di produzione, a cui ciascuno deve adeguarsi per contratto, ed etichette uguali per tutti. Ed è lo stesso enologo che decide la vinificazione dei singoli vigneti e che si assicura che vada tutto molto liscio. Ogni socio ha circa un ettaro di terreno vinificato; molti di loro, poi, in pianura, coltivano anche le mele, altro grande business dell’Alto Adige”. Che ruolo ha il turismo nello sviluppo della vostra azienda? “Noi siamo il turismo, settore che in Alto Adige è molto importante come business in tutti i sensi, soprattutto nella divulgazione del territorio. Terlano investe molto in questo: in azienda organizziamo visite guidate, manifestazioni con chef importanti, soprattutto per i clienti, ma anche per gli appassionati del mondo del vino. In tutto, ogni anno facciamo circa 700 visite in cantina (sia a Terlano e sia ad Andriano, che gestiamo dal 2009) e tantissime degustazioni, sia da noi sia fuori, in occasione di festival e manifestazioni, per divulgare ancora di più la nostra filosofia e far sì che anche all’estero si porti alta la bandiera dei bianchi italiani”.
L’Italia, al livello internazionale, è nota soprattutto per i suoi rossi. I bianchi cominciano finalmente a girare anche fuori dai nostri confini? “Siamo ancora giovani se si parla di qualità medio alta, nell’esportazione sia dei rossi sia dei bianchi. La Francia in certe zone ci ha preceduto di 2-300 anni... Penso a Champagne, Bordeaux e alla Borgogna. Tuttavia, credo che il vino italiano negli ultimi 30 anni abbia fatto un progresso enorme al livello internazionale, posizionandosi sempre più in alto nelle classifiche mondiali. Restando nella fascia di qualità medio-alta, l’Italia fa grandi vini rossi a un prezzo
“normale”. Ma quelli che girano di più all’estero, sono i più costosi: penso ai toscani e ai piemontesi. Più difficile invece è il posizionamento dei bianchi, che sono ancora poco conosciuti. L’obiettivo della nostra azienda va proprio in questa direzione, in linea con i produttori “bianchisti” più importanti del Paese. Terlano, nei suoi 180 ettari, coltiva al 70 per cento vitigni a bacca bianca: Pinot bianco, Chardonnay, Sauvignon Blanc, ma anche Pinot grigio, Müller Thurgau e Gewurztraminer. Come rossi abbiamo Lagrein, Pinot nero, un po’ di Schiava e Merlot. Il nostro impegno è massimo”.
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di Lara Loreti
Non solo Sangiovese e vini fermi Ormai Toscana è anche sinonimo di grandi bollicine, alcune delle quali poco hanno da invidiare ai maestri del Nord.
L
a fortuna aiuta gli audaci. Che in Toscana non mancano. E allora si può tranquillamente dire addio allo stereotipo che vede la terra del Sangiovese ambasciatrice solo di Chianti, Brunello e Bolgheri… e se va bene Vernaccia. Ormai Toscana è anche sinonimo di grandi bollicine, alcune delle quali poco hanno da invidiare ai maestri del Nord. Certo, di strada ce n’è ancora tanta da fare. Ma basta sorseggiare un calice di Montellori 18
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Brut Pas Dosè, direttamente dalle colline del Montalbano (zona Empoli) o di spumante La Regola di Riparbella, nell’entroterra tra Livorno e Pisa, per capire che una nuova era è già iniziata. Era in cui è bene lasciare a casa ogni pregiudizio e armarsi di curiosità, senza dimenticare un flûte, naturalmente. In principio fu proprio Montellori, storica azienda gestita da Alessandro Nieri, sulla cui scia, lunga ormai oltre 40 anni, si
sono accordati altri produttori coraggiosi, pronti a sperimentare e mettersi alla prova con le bollicine. Decantato sulla guida “I Vini d’Italia” dell’Espresso, Montellori Pas Dosè metodo classico è uno Chardonnay che regala a chi lo degusta note tostate, di crema di limone e agrumi, oltre a un finale elegante e piacevole. Ce ne parla direttamente il produttore. “Tutto nasce negli anni Settanta da un sogno di mio padre: fare i primi vini champenoise con le uve Chardonnay della vigna
che avevamo a Cerreto Guidi, in realtà votata ai rossi – dice Nieri – Il mio babbo cominciò così a sperimentare. Poi ebbe l’intuizione di acquistare dei vigneti, sul Montalbano, a 500 metri di altezza, coltivati a mezza pergola trentina, con 7.500 piante per ettaro, orientate in modo tale che l’uva maturasse non colpita dal sole. Ed è questo accorgimento che ancora oggi fa sì che il nostro vino base abbia una acidità rilevante e che gli permette di conservarsi nel tempo. Io cerco solo di non sciupare ciò che la natura ci offre dopo tanto lavoro: l’importante è portare l’uva verso la maturazione e
coglierla un attimo prima, affinché preservi acidità e la mantenga nel tempo”. Natura e tecnica hanno dunque ruoli chiave nella realizzazione di questo Pas Dosè. Ma qual è il risultato finale secondo il produttore? “Questo è un vino ideale non solo come aperitivo, ma anche per pasteggiare – rivela Nieri – E il merito è anche delle nostre viti che producono solo un chilo e due etti, cioè poco meno di una bottiglia, a pianta”. Montellori Brut Pas Dosè è pronto dopo 42 mesi dalla presa di spuma. Ma può durare anche dieci anni. “Se apri una bottiglia dopo sei-sette anni dalla vendemmia – spiega Nieri – vedrai che è l’ideale con piatti elaborati di pesce, carni bianche, ma anche di maiale. Dentro ci sono 30 anni di lavoro e passione”. Il merito va anche al terreno, che è pura roccia: una delle caratteristiche più belle del Montellori Brut, infatti, è la mineralità che, come dice il produttore, è un po’ la sua impronta digitale. “Sulla collina del Montalbano abbiamo tre vigneti, tutti coltivati a Chardonnay, che ci danno grandi gratificazioni. Ma la soddisfazione più grande – aggiunge Nieri – questo vino ce la dà quando lo beviamo con gli amici”. Bollicine e metodo classico in Italia uguale Franciacorta... “Noi siamo un’altra storia – precisa Nieri, che gestisce l’azienda di famiglia dal 1998 – Nel Bresciano puntano a fare vini morbidi, noi invece cerchiamo una spigolosità giovanile che si traduce in un arcobaleno di sensazioni man mano che il vino invecchia. È vero, oggi c’è la moda delle bollicine, ma noi siamo oltre: avendo iniziato 40 anni fa, abbiamo una grande esperienza alle spalle. Non seguiamo la logica commerciale e non facciamo
questo vino solo per venderlo e ricavarne profitto. Le nostre bottiglie parlano del territorio, della fatica e di chi suda nella vigna”. E non è un caso che le bottiglie prodotte siano poche migliaia: dalle 5-6.000 alle 10mila perché, come dice Nieri, “il vigneto è capriccioso”. Nessuna esportazione, la vendita è solo in Italia al prezzo di 20 euro in enoteca. Ma proseguiamo il nostro viaggio tra il perlage made in Tuscany, voliamo verso la costa e soffermiamoci sulle colline di Riparbella, a un passo da Bolgheri e a una quarantina di chilometri da Livorno. Qui sorge l’azienda La il Sommelier | n. 1 - 2017
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Regola dei Fratelli Luca e Flavio Nuti, cantina storica, ma in forte ascesa negli ultimi anni e che dallo scorso autunno è diventata un vero e proprio museo, grazie alle opere dell’artista Stefano Tonelli che ornano la barricaia e un po’ tutta la tenuta. Tra bianchi strutturati e rossi intensi, la vera perla di casa Nuti è La Regola Spumante Brut metodo classico. Un vino originalissimo, prodotto in 2mila bottiglie, a base di Gros Manseng (90 per cento) e Chardonnay (10%). Dopo la maturazione sui lieviti per 18/24 mesi, remuage a mano e affinamento in bottiglia di sei mesi, La Regola Brut esprime tutta la sua
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freschezza se degustato subito, ma serba sensazioni ancora più profonde se lasciato “riposare”, anche per anni. «È stata una vera scommessa piantare il vitigno tipico del sud della Francia e della Spagna dove di solito coltiviamo lo Chardonnay – dice Flavio Nuti – Il Gros Manseng ha un’ottima base acida che conferisce freschezza e note agrumate piacevoli al naso e rivelatrici in bocca». Una delle annate più riuscite è il 2012, realizzato anche in magnum. Nel nostro peregrinare tra onde, valli e vigne, torniamo nell’entroterra, per la precisione nell’azienda Felsina, a
Castelnuovo Berardenga (Siena), nel cuore del Chianti. Chi lo direbbe che proprio qui, baricentro del Sangiovese, viene partorita una delle più interessanti bollicine toscane, metodo classico? In tre versioni: Spumante Brut, Millesimato e Rosè. Il primo, ricavato da uve 60% Sangiovese, 20% Pinot Nero e 20% Chardonnay, offre un ricco bouquet, fresco e delicato, in cui prevalgono note floreali e fruttate che ricordano la mela golden e la crosta di pane. Una bottiglia che è frutto di un attento lavoro di selezione e studio dei vigneti. Marco Barbi, responsabile commerciale dell’azienda, che dal 1990 è diretta da Giovanni Poggiali, spiega la filosofia del Brut: “L’idea prende corpo dall’esigenza di accogliere i nostri clienti con una bollicina che fosse espressione del territorio. Nella nostra zona il turismo sta conoscendo un bel momento e la nostra fattoria è molto apprezzata. Sulla tavola, il principe resta il Chianti, che ben si abbina ai piatti tipici della zona. Ma perché non iniziare il banchetto con un aperitivo a base di uno spumante che sia il risultato di un nostro metodo classico, che possa essere associato al territorio? Ed ecco che da un impeto di follia è nato un gran bel prodotto. Del resto il nostro enologo, Franco Bernabei, non è certo uno che si tira indietro...”. Viva il coraggio, che di certo non è mancato a Frescobaldi, che dalle uve Chardonnay e Pinot Nero, coltivate sulle alte colline di Pomino, a 600 metri, nei territori di Rufina (Firenze), ha tirato fuori un originale metodo classico, Leonia, che prende il nome dalla trisavola del patron Lamberto Frescobaldi.
Quando donna Leonia a metà Ottocento è rientrata a Firenze dalla Francia, dove aveva trascorso la maggior parte della sua vita, ha portato con sé le varietà vinicole d’oltralpe. Vitigni che a Pomino trovano una condizione climatica particolare, soprattutto per le temperature miti d’estate. Lo spiega l’enologo di Frescobaldi, Nicolò D’Afflitto: “Ciò permette alle uve di arrivare a maturazione con una grande acidità. E infatti, quando stappi “Leonia” le bollicine non finiscono nel naso, proprio grazie alla spiccata acidità”. Pomino trasuda Francia in ogni angolo: “In una stanza della cantina – continua D’Afflitto – c’è un torchio francese portato dalla Signora Leonia dalla zona dello Champagne. Dall’intuizione di quella grande donna, ha preso il via questa
nostra bollicina. E, dopo dieci anni di studio, nel 2011 è uscita la prima vera annata. È un vino elegante ed equilibrato. Quando si stappano bollicine c’è sempre una bella occasione: compleanni, feste, leggerezza. E Leonia, in questo senso, è un vino che deve dare piacere. Per ottenere il massimo del risultato, abbiamo ingaggiato anche degli enologi francesi come consulenti”. Tutte le fasi della vinificazione e della spumantizzazione avvengono in loco. Una menzione particolare, parlando di metodi classici alla Toscana, la merita anche il “Donna Catherine”, spumante realizzato dall’azienda Montechiari a Montecarlo di Lucca, frutto dell’amore del produttore per la sua dolce metà. E una bollicina champenoise è spuntata negli
ultimi anni anche sul lago di Massaciuccoli, in Versilia. Si chiama il Segreto e svela il grande coraggio del produttore che in questa bottiglia ha inserito per l’80 per cento Pinot Nero e per il 20 Chardonnay, uve che crescono sulle soglie del lago. Merito anche a Riccardo Baracchi, grande produttore di Cortona (Arezzo), che si è inventato un Brut Rosè a base di Sangiovese in purezza, elegante ed equilibrato, senza rinunciare alla robustezza tipica del vitigno del Chianti. E non poteva mancare anche una Vernaccia spumantizzata: onore all’azienda Casale Falchini per l’esperimento in cui il tradizionale vitigno di San Gimignano viene affiancato a Chardonnay e una piccola parte di Pinot Nero. E ora non resta che provare. il Sommelier | n. 1 - 2017
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di Gladys Torres Urday
Primavera del Prosecco 2017
Arte, storia, cultura e enogastronomia d’eccellenza Terra fascinosa che si manifesta con più sfaccettature, dalle pendenze collinari, che hanno dato lo spunto allo sviluppo vorticoso della viticoltura, con i filari di uva Glera che in breve tempo hanno coperto ogni punto coltivabile e che offrono al visitatore curioso degli straordinari colpi d’occhio.
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erdi colline dolcemente armoniose, alture completamente coltivate a vite e pettinate da migliaia di filari perfettamente ordinati, ondeggianti sui declivi ora morbidi ora più ripidi e scoscesi, le “rive”, con pendenze disagevoli, da viticultura eroica, si avvicendano a lussureggianti e fitti boschi. È un paesaggio suggestivo che si svela orgoglioso nel suo alternarsi di terrazzamenti, erti filari e alture dominate da piccoli borghi e solitari casolari, imponenti castelli e umili pievi, segno inequivocabile dell’operoso intervento dell’uomo che ha plasmato questi terreni con fatica e rispetto. 22
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È il fascinoso territorio del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, generoso e ospitale, collocato tra le Alpi e la Laguna di Venezia, prezioso fazzoletto ricamato dell’Altamarca trevigiana lambito dal Piave che lo accarezza nella parte sud-occidentale, le cui colline “eroiche” sono iscritte dal 2015 nel Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali Storici dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ed ora giustamente candidate a patrimonio dell’Umanità UNESCO, racchiuse come sono in un ecosistema biologicamente sostenibile che principia dal
XVIII secolo con lo sviluppo della viticultura europea e la razionalizzazione di pratiche tramandate di generazione in generazione, ne sviluppa alcune innovative e culmina con l’istituzione della Regia Scuola di Viticoltura ed Enologia del 1876, prima scuola enologica d’Italia, e della Stazione Sperimentale di Viticoltura ed Enologia del 1923 che hanno avuto il grande merito di diffondere in tutto il mondo le migliori pratiche enologiche tramite la massiccia emigrazione trevigiana partita da queste terre tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
Terra fascinosa che si manifesta con più sfaccettature, dalle pendenze collinari, che hanno dato lo spunto allo sviluppo vorticoso della viticoltura, con i filari di uva Glera che in breve tempo hanno coperto ogni punto coltivabile e che offrono al visitatore curioso degli straordinari colpi d’occhio, ai filari a “girapoggio”, veri e propri inni all’ingegno umano, che permettono di sfruttare al massimo le forti pendenze e pure i benèfici effetti dell’esposizione solare ma che a causa della fragilità del terreno, impediscono una comoda lavorazione con i macchinari e limitano alle sole attività manuali la faticosa gestione di quei luoghi impervi. Una terra che ha visto, nel corso dei secoli, iniziali interventi agricoli da parte degli antichi Romani e poi dei monaci Benedettini creando i presupposti per il successivo sviluppo di quell’economia rurale basata esclusivamente sulla famiglia, sulle numerose “braccia” che dovevano essere d’aiuto nel duro lavoro dei campi e che sono state, e sono tutt’ora, il simbolo della tenacia del popolo veneto, in Italia e nel mondo. Ma questi territori hanno anche affascinato artisti e grandi pittori rinascimentali sia locali, come Cima da Conegliano e Giorgione, sia provenienti dalla vicina Venezia, come Zuane Belin (Giovanni Bellini), il pittore ufficiale della Serenissima, o il suo successore, proveniente dal Cadore, il grandissimo Tiziano Vecellio, tutti incantati da quei paesaggi, dai panorami fatti di improvvise, profondissime e strette gole, da corsi d’acqua e laghetti, da fitti boschi e morbidi declivi, arricchiti da agglomerati di rustiche abitazioni, dai borghi,
dalle splendide ville rinascimentali e dalle massicce fortezze, da pievi e abbazie, particolari molto presenti nei loro splendidi dipinti, veri capolavori paesaggistici. E di capolavori pittorici è ricca anche l’architettura locale, con esempi da far rimanere a bocca aperta come a Vittorio Veneto, nel quartiere di Serravalle, conosciuta nel ‘500 come la “piccola Firenze del Veneto”, nel cui Duomo si
ammira una magnifica pala dipinta da Tiziano o presso l’Oratorio dei SS. Lorenzo e Marco della Confraternita di S. Maria dei Battuti con affreschi del XV secolo raffiguranti, secondo i canoni della pittura gotico-devozionale, le Storie di S. Lorenzo e di S. Marco, gli Evangelisti, i Dottori della Chiesa e una mirabile Crocifissione. E sempre alla Confraternita dei Battuti si deve la magnifica sala,
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nel complesso del Duomo di Conegliano, ornata da un ciclo di affreschi dovuti a Francesco Pagani detto Francesco da Milano, molto attivo intorno alla prima metà del ‘500 nei territori della Sinistra Piave.
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E se la pittura a carattere religioso è di particolare pregio, le chiese, i monasteri, le pievi e le abbazie sulle cui mura sono dipinti stupendi affreschi o nei cui interni sono custodite sacre tele e pale lignee, sono a loro volta veri capolavori
architettonici, a partire dalla straordinaria Abbazia cistercense di Santa Maria di Follina, con un’incantevole chiostro dell’XI secolo delimitato da colonnine cesellate da motivi unici e con capitelli diversi l’uno dall’altro, o come l’Oratorio di San Virgilio a Col San Martino risalente ai primi del 1200. Parlando invece di strutture civili, non si può non citare l’imponente Castello Brandolini a Cison di Valmarino, una fortezza del 1300 appartenuta tra gli altri al “Gattamelata” e che domina l’intera vallata, o il castello di Susegana, uno dei più vasti sistemi fortificati d’Europa, che ospita annualmente una importante manifestazione enologica o ancora quello di Conegliano che regala una vista che nei giorni più tersi può arrivare fino alla laguna veneta. Un piccolo gioiello è rappresentato dal Molinetto della Croda (la “roccia” nel dialetto locale) a Refrontolo, un minuscolo mulino del XVII secolo ancora oggi funzionante, azionato da una romantica cascatella d’acqua e che ricorda le deliziose casette dei presepi. In questo incantevole amalgama tra paesaggi, attrattive naturali, arte e storia, l’ospitalità e la buona tavola ricoprono un ruolo fondamentale: l’Altamarca trevigiana è anche un territorio goloso, che offre al viaggiatore curioso un’ottima cucina locale, un ghiotto patrimonio enogastronomico in un vero e proprio percorso del gusto che regala continue sensazioni gourmand offrendo antichi saperi e prelibati sapori a chi vuole ancora emozionarsi con gli straordinari piatti della tradizione tra i quali, oltre ai ricchi e corposi piatti a base di formaggi di malga, salumi,
funghi e selvaggina, spicca il succulento “Spiedo d’Alta Marca”, quasi una religione per tradizione e storicità. Lo spiedo è un modo molto antico di arrostire le carni, nato nella preistoria con la caccia e la scoperta del fuoco e ha mantenuto pressoché immutata la tecnica di cottura. In tempi più recenti è diventato sinonimo di festa e di convivialità poiché, per la scarsità di carni, il contadino si nutriva principalmente di verdure, erbe, legumi e formaggi da lui stesso prodotti o coltivati. Oggi, grazie all’Accademia dello Spiedo d’Alta Marca, sono stati riuniti in un disciplinare i dettami e le tecniche per lo Spiedo perfetto, prendendo in considerazione la scelta delle carni, i metodi di cottura, le aromatizzazioni, la legna e le attrezzature: i pezzi regolari ed omogenei di pollo, costicine e
ossocollo di maiale inframmezzati con lardelle non troppo spesse e foglie di salvia, la legna di carpino o di faggio accesa sette ore prima, gli schidioni sul girarrosto a circa 40 cm. dalle fiamme e tanta pazienza e cura per la lenta cottura, oltre cinque ore, controllandola con attenzione e sapienza, regolando la fiamma, salando le carni con giustezza per gustare infine tutti insieme “el spéo in tola”, lo spiedo in tavola, caldo e saporito, croccante fuori e morbido all’interno, che va servito subito perché come dice Leonardo Ricci, Presidente dell’Accademia, “…lo spiedo non è democratico, quando è pronto è pronto!” e il silenzio iniziale dei commensali intenti a degustare le carni è ottimo indizio della sua buona riuscita. E così si compie questo rito culinario, capolavoro di gusti, profumi e aromi che, oltre al
piacere della compagnia e del buon bere, è anche un piacere cerebrale, che coinvolge tutti i cinque sensi più uno: la memoria, la persistenza del ricordo che accompagnerà per sempre chi lo ha gustato. Non è possibile parlare di cibo senza citare l’abbinamento con il vino, soprattutto il vino che è diventato il simbolo identitario di questo territorio, il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg che sviluppa, con l’omonima “Strada” costituita fin dal 1966 – la prima in Italia – un itinerario che porta a conoscere, oltre la fondamentale realtà ad esso dedicata, anche produzioni di nicchia come il Torchiato di Fregona Doc, il Colli di Conegliano Docg, il Verdiso e il Vin Santo del Prete di San Pietro di Barbozza. Il suo successo internazionale, 90 milioni di bottiglie vendute nel 2016, ha radici antiche: la viticoltura locale era presente sin dai tempi dei romani ma il vero sviluppo si ebbe nel 1923 con la fondazione della prima Scuola Enologica d’Italia, dove nacque il metodo di spumantizzazione Conegliano Valdobbiadene, messo a punto da Antonio Carpenè. Da un territorio difficile da coltivare, ma affascinante, e dai vigneti di uva Glera in alta collina, con ripide pendici definite “eroiche”, dove è difficoltoso persino rimanere in piedi senza scivolare, si ricava un vino moderno, internazionale, aromatico, dal colore leggermente paglierino, di gradazione alcolica moderata, dai profumi di mela e pera, agrumato, con note floreali, morbido e fresco ma con una acidità vivace, perfetto sia come aperitivo sia a tutto pasto, che ha conquistato i palati di tutto il mondo, creando uno stile italiano il Sommelier | n. 1 - 2017
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del bere moderno, informale e allegro, apprezzato e amato in tutto il pianeta. Riconosciuto DOCG nel 2009, è prodotto nei 15 Comuni ai quali appartengono le colline tra Conegliano e Valdobbiadene e tra questi si distinguono i cru, il famoso “Superiore di Cartizze” e i “Rive”, ottenuti da uve provenienti esclusivamente da un unico comune, e rappresenta l’eccellenza qualitativa dell’ampio mondo del Prosecco, prodotto esclusivamente nel Nord-Est d’Italia nelle regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia. E per meglio scoprire le mille sfaccettature di questo territorio e della sua enogastronomia sono previsti numerosi appuntamenti tra i quali il più importante è senz’altro la XXII “Primavera del Prosecco Superiore” che, come le edizioni precedenti, affiancherà l’enoturista 26
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da marzo a giugno prossimi con eventi, esposizioni, visite in cantina e mostre enologiche, concorsi fotografici e gastronomici, attraverso numerose tappe che permetteranno di degustare questo delicato nettare abbinato ai tipici prodotti della gastronomia del territorio, di percorrerlo con rilassanti passeggiate a piedi, a cavallo o con comodi tour in bicicletta, di vivere emozionanti momenti culturali e musicali in luoghi dall’atmosfera intimamente affascinante, godendo di perle paesaggistiche e architettoniche uniche, scorci di natura incontaminata e suggestive località intrise di storia e di eroismo. Formidabili i dati dell’ultima edizione: 17 tappe, oltre 700 le aziende in mostra, circa 200.000 i calici versati e ben 60.000 le bottiglie acquistate, più di 300.000, infine, sono stati i visitatori e
all’inizio di luglio, a chiusura di tutte le manifestazioni, la “Notte Bianca del Gusto”, una serata speciale che ha ospitato la premiazione del Concorso Enologico Fascetta d’Oro, la più ambita per i produttori del Conegliano Valdobbiadene DOCG. Inoltre, una rete di strutture ricettive costituita da dimore di charme e alberghi, agriturismi e bed & breakfast, ristoranti e locande, trattorie e osterie è a disposizione per calarsi in un’atmosfera di accogliente convivialità, per respirare e vivere in prima persona il fascino di un’area da scoprire a poco a poco, fatta di sentieri naturalistici che conducono a luoghi sconosciuti, incontaminati, grotte carsiche, eremi, malghe e piccole frazioni, ma anche di centri storici medioevali, importanti monumenti, chiese romaniche, splendide ville e fascinosi palazzi.
ALLA SCOPERTA DI COL VETORAZ NELLE BOLLICINE DOCG TUTTO IL SENSO DI UN TERRITORIO Vi aspettiamo al Vinitaly dal 9 al 12 aprile - Padiglione 6 - Stand C5 “Seguire scrupolosamente un metodo che preservi l’integrità espressiva del frutto di partenza è l’unico modo per riuscire ad ottenere gli equilibri e le armonie naturali che la vite ci ha donato” è concentrata nelle parole di Loris Dall’Acqua enologo e socio di Col Vetoraz, la filosofia di lavoro dell’azienda di S.Stefano di Valdobbiadene. Una realtà che ogni anno segue il percorso segnato dalla Natura, nel pieno rispetto della perfezione con cui fa nascere ogni acino del prestigioso spumante, in un territorio d’eccellenza, patrimonio di indiscussa unicità e immenso valore culturale, storico, paesaggistico. Quanto conferma la filosofia aziendale è un metodo di produzione fondato su criteri di rispetto ed elevata qualità, cui si unisce l’aspetto quantitativo: grandi volumi di vinificazione che consentono un’accurata selezione delle uve migliori dai pendii della Pedemontana, l’area più vocata alla coltivazione eroica del Valdobbia-
dene Docg dove la vendemmia viene eseguita rigorosamente a mano. La severa tecnica di trasformazione dell’uva a vino utilizza il meglio della tecnologia così da non togliere né aggiungere nulla a quanto la Natura sa offrire attraverso il grappolo, in un circolo virtuoso che dalla Natura nasce e alla stessa torna. Dal rispetto profondo per il territorio si ottengono spumanti di indubbio pregio, come il Valdobbiadene DOCG Prosecco Superiore di Cartizze, vino dal profumo delicato e leggermente aromatico e gusto intenso privo di spigolosità che incarna la massima espressione della denominazione o il Valdobbiadene DOCG Prosecco Superiore Brut Dosaggio Zero proveniente dalle colline più favorevolmente esposte della zona vocata di Valdobbiadene, un vino assolutamente secco ma capace di mantenere una rotondità vellutata sprigionando gradevoli floreali di agrumi, rosa, acacia e floreali di pesca bianca, pera, mela.
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di Riccardo Lagorio
Il seducente caviale Il consumo del caviale deve avvenire accostandolo a cibi che non ne invadano la purezza. Sconsigliati quindi vodka, uova, cipolle che servono ad anestetizzare le papille gustative.
C
osa vi è, nell’immaginario collettivo, di più prezioso e seducente di una portata di caviale? Ne sapeva qualcosa la casa reale persiana dei Pahlavi: il menu datato 22 ottobre 1967 e tuttora affisso nelle cucine del Palazzo di Niavaran di Teheran, divenute parte dell’omonimo museo, elenca i piatti preparati dai cuochi di corte per la cena e spicca come prima portata, accanto all’insalata alla Ordov (una sorta d’insalata russa con patate lesse, piselli, mais, carne di pollo e maionese), il caviale di Rudbar, provincia che dà sul Mar Caspio e che ancora è tra i principali centri di raccolta del prelibato prodotto. Tecnicamente si possono definire caviale solo le uova dello storione, pesce che appartiene al genere Acipenser. In Italia il Po era ambiente ideale per la vita dello storione, sino a quando le dighe (ma più ancora l’inquinamento agricolo) ne impedirono la riproduzione. Erano gli anni Sessanta. La pesca indiscriminata lo ha reso assai raro anche nelle altre regioni dove era presente come nel Danubio o nel Mar Caspio, tanto 28
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che la comunità internazionale si è sentita di intervenire per regolarne la cattura. Il caviale da animali selvaggi è quindi praticamente estinto. Ma esistono, sparsi per il mondo, numerosi allevamenti e il caviale tratto da animali cresciuti in cattività è del tutto legale. L’acquacoltura dedicata allo storione si concentra per l’85% in Cina. In Europa l’allevamento dello storione è
destinato quasi esclusivamente alla produzione di caviale, che rappresenta circa l’80% in valore e l’Italia condivide con la Francia il podio. Sono circa 20 le specie di storione classificate ma le attenzioni di chi ama il caviale si concentra sostanzialmente su tre di esse: l’Huso huso, l’Acipenser gueldenstaedtii e l’Acipenser stellatus. Da questi tre pescioni – l’Huso huso, il più
grande, può raggiungere il peso di 1,5 tonnellate – si ottengono rispettivamente il caviale beluga, l’osetra e il sevruga. Le caratteristiche delle uova sono uno degli aspetti principali per riconoscere l’origine del caviale e di conseguenza il suo pregio. Il beluga si contraddistingue per il colore variabile dal grigio perla al grigio scuro e possiede una buccia tenera; i grani sono grandi e possono arrivare a 3 mm di diametro. L’osetra ha colore bruno scuro quasi nero, gusto complesso che ricorda la nocciola, e il sevruga ha colore tra grigio chiaro e grigio antracite con di dimensioni ridotte. Il caviale viene poi distinto in quattro livelli di qualità che dipendono dall’uniformità e dalla consistenza delle uova (che non sono rotonde, ma rotondeggianti), dalle dimensioni, dal colore e dal profumo. In linea del tutto generale si può affermare che più chiaro è
il colore delle uova, maggiore è il pregio. Un aspetto cruciale per la buona riuscita è la salatura, che deve essere omogenea e moderata. Il caviale meno pregiato è quello venduto in pani pressati, ricavato dalle uova che si rompono durante la lavorazione. Alcuni di questi pani vengono acquistati dalle industrie cosmetiche. In Europa l’allevamento di storione si è concentrato sull’Acipenser baerii (storione siberiano), transmontanus, gueldenstaedtii, stellatus e i loro ibridi. Il costo del caviale deriva anche dalla sua rarità e dalla difficoltà di ottenerlo. Infatti nel migliore dei casi, come avviene per il transmontanus, le femmine diventano fertili dopo il settimo anno e solo al compimento del terzo anno di età si possono distinguere i sessi. Per l’Huso huso la completa maturità sessuale degli esemplari femmina di storione avviene intorno ai 15 anni di età,
perché l’ovario presenti elementi d’interesse commerciale. E ciò avviene solo nel periodo tra fine settembre e fine gennaio. In Europa, e in Italia soprattutto, l’allevamento dello storione avviene prevalentemente in acqua di risorgiva o di fontanili. Ma è grazie alla particolare modalità di allevamento in uso in Iran, tradizionalmente con acqua di mare, a differenza dei Russi e degli Azeri che pescano in prossimità del Delta del Volga e degli altri fiumi, ed alle conseguenti condizioni di ciclo di vita del pesce che il caviale iraniano mantiene un fascino particolare per le tavole dei gourmet. Il Mar Caspio è alimentato da 130 fiumi che forniscono circa il 79% del totale delle acque. Il resto è garantito da precipitazioni meteorologiche (per il 20,2%) e fontanili (per lo 0,8%). La salinità cambia a seconda della profondità e delle stagioni. il Sommelier | n. 1 - 2017
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Nell’area settentrionale, dove il Volga e l’Ural si immettono nel Caspio, la salinità è decisamente bassa. Questa diventa maggiore nella costa sud. In particolare nell’allevamento La Perla di Ghorogh nei pressi di Talesh l’acqua marina è captata a 300 metri dalla costa e a 3 metri di profondità, “Con il mantenimento delle sostanze di cui essi si potrebbero nutrire in natura ed avendo perciò un’immediata conseguenza positiva su polpa e uova” svela Erfan Vaziri, il direttore della cooperativa ritenuta all’avanguardia a livello mondiale. Questo interessante metodo di allevamento si distingue da quello in uso in Europa e in America, proprio per l’analogia all’ambiente naturale del sistema di cattività in cui gli storioni vivono. L’acqua viene centrifugata per renderla più ricca di ossigeno e per triturare le sostanze che servono all’alimentazione dei pesci (gamberetti, insetti, parti di piante). Una volta utilizzata dalle vasche, un impianto di depurazione attraverso decantazione su sabbia permette la reimmissione nel mare. Si facilita in questo modo il mantenimento dell’ecosistema e si garantisce al pesce un nutrimento molto simile a quello che avrebbe lo storione selvaggio. Con innegabili conseguenze positive sotto l’aspetto organolettico. Ma un altro segreto si nasconde dietro l’unicità del caviale Beluga d’origine iraniana (importato in Italia da Caviar Import): le complesse fasi di salatura e controllo del caviale sono state affidate a Iraj Toufani, per otto anni responsabile del controllo qualità del caviale iraniano destinato all’esportazione, un guru nel firmamento degli specialisti di 30
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questa golosità. “La salatura è la fase più delicata per garantire che l’ottima qualità del caviale Beluga si traduca in ottima qualità organolettica: bisogna sapere quanta acqua estrarre attraverso il contributo del sale, che non deve essere eccessivo per evitare microcrepe nelle uova e conseguente fuoriuscita di albumina. Inoltre, è solo l’esperienza a segnalare come e quanto le mani devono roteare per fornire la giusta quantità di sale al prodotto finale” continua Vaziri. Il consumo del caviale deve avvenire accostandolo a cibi che non ne invadano la purezza. Sconsigliati quindi vodka, uova, cipolle che servono ad anestetizzare le papille gustative. L’assaggio di caviale avviene posandolo con un cucchiaino di legno (o madreperla) sul dorso della mano tra l’indice e il pollice (che ovviamente non deve essere stata a contatto con profumi) per qualche secondo e poi consumarlo accertando l’assenza di grani rotti e valutando la dimensione, il colore e la lucentezza delle uova. Poi il dorso della mano viene posta sotto le narici per valutarne il profumo. Nessun profumo di pesce conservato deve colpire il degustatore, neppure una volta ingerito il caviale: questo è un grande difetto che indica cattiva conservazione. La burrosità (nel beluga) e la vicinanza al gusto della nocciola (nell’osetra e nel sevruga) sono le caratteristiche positive più semplici da individuare. Al gusto deve essere alieno qualsiasi ricordo di terriccio o di fango. Un modo per accompagnare il caviale può essere con sfoglie di pane secco (Pane di Kashan) che ha poco sale e burro. Questo metodo consente di apprezzarne al meglio le
caratteristiche. L’alto livello del prezzo del caviale e la decrescita numerica degli storioni selvaggi ha creato anche scenari di diversificazione della domanda, con il conseguente affacciarsi sul mercato di succedanei che possono indurre il consumatore in errore. Secondo previsioni neanche troppo pessimistiche all’autentico caviale si potranno affiancare uova di altre specie di pesce, imitazioni del caviale (derivate da altre sostanze biologiche che ne imitano l’apparenza o il gusto), derivati (cioè prodotti che contengono autentico caviale come componente della preparazione), infine prodotti che nulla hanno a che vedere con il caviale ma ne stimolano l’associazione emozionale (come ad esempio il caviale di cioccolato, che semplicemente evoca il lusso legato al nome caviale). Queste ipotesi rafforzano la necessità di far conoscere ed apprezzare l’autentico caviale, provenga esso anche da animali allevati in cattività. Attenti quindi alle imitazioni…
di Walter Filiputti - Docente di “Linguaggio e comunicazione del vino” presso l’Università degli Studi di Milano - Facoltà di Agraria
Riflessioni sulla storia moderna del vino italiano tra passato e futuro La storia moderna del vino italiano, che prende forma tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta, rappresenta la più bella pagina mai scritta dalla nostra agricoltura.
H
a dato vita alla più importante rivoluzione agraria dei tempi moderni, trasformando, nel volgere di pochi anni, dei poveri contadini in imprenditori le cui bottiglie sono oggi presenti in tutto il mondo. Una vera e propria rivoluzione anche socio economica – e non solo viticola ed enologica – che è stata capace di creare modelli innovativi in ogni settore della filiera. Epocale fu poi la capacità di sapersi innovare. Di credere nella scienza e nella ricerca, con un fervore che potremmo definire illuminista. Infatti la conquista enologica fu la chiave di volta – sposata al coraggio imprenditoriale – del successo. L’incontro con i mercati – in particolare con quello degli Stati Uniti – ci ha poi fatti crescere nella cultura aziendale, mettendoci, più avanti, nelle condizioni di guardare alla globalizzazione come a un’opportunità. Di volta in volta il mondo del vino italiano ha saputo affrontare le battaglie – perché tali furono il Sommelier | n. 1 - 2017
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– sul mercato. Non fu facile contrapporsi, ad esempio, all’arrivo dei vini del Nuovo Mondo, che avevano costi di produzione per noi impensabili, uniti a una buona qualità. Fu un passaggio cruciale: è in quel momento che abbiamo attinto al nostro grande patrimonio: prima naturale – l’Italia produce vini dalla Valle d’Aosta a Pantelleria con una variabile di offerte uniche al mondo – e poi culturale, che è alla base del Made in Italy. Il successo conquistato sul mercato degli Stati Uniti lanciò il vino italiano nel mondo. Vi concorsero diversi fattori, oltre al coraggio, alla capacità di innovarsi, alla determinazione imprenditoriale dei nostri produttori. • L’altissima influenza degli Stati Uniti su tutto il pianeta. Gli stili, le tendenze, le mode là sbocciano e poi conquistano il resto del mondo: dall’arte alla cultura, dalla musica all’economia, dagli aspetti socio politici fino alla cucina e 32
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ai vini. • Una presenza molto importante di ristoratori italiani che, da emigranti, seppero arrivare al vertice, facendo diventare la nostra cucina un modello da seguire: citiamo, per tutti, Sirio Maccioni, Tony May, Lidia Bastianich e Piero Selvaggio. • Anche gli importatori di vino furono determinanti e molti di essi sono italiani o figli di italiani: da Anthony Terlato – ex Paterno – a Nocerino, da Leonardo Lo Cascio ai Di Bellardino e a Fabrizio Pedrolli che, assieme a Louis Iacuzzi, fondò la Vias imports. Senza dimenticare il prezioso lavoro che fecero, agli inizi degli anni Ottanta, Gelasio Lovatelli ed Andrea Franchetti con la loro Riverwine. • La stampa, che vide nell’emergente vino italiano una sponda per contrastare l’allora monopolio del vino francese e anche il dominio degli inglesi nei media. Non è un caso che The Wine
Spectator iniziò scrivendo solo di vini californiani e italiani. Va pure segnalato il grandissimo contributo che hanno dato al Belpaese i numerosissimi autori americani e italoamericani attraverso i loro libri di cucina italiana. • Il mercato americano ci mise a confronto con una maniera di fare impresa per molti di noi sconosciuta e che ci portò a comprendere l’importanza del marketing. • La moda che, come il vino e la cucina, trovò il suo lancio proprio negli Stati Uniti, coinvolgendo in questo anche il design. Sempre americano – pur se vive in Italia da lungo tempo – è il giornalista che più di ogni altro ha contribuito alla conoscenza dei tantissimi vini di qualità del Belpaese e lo fece nel momento critico, quando eravamo ancora visti come produttori di vini di basso livello. È Burton Anderson, al quale i vignaioli italiani gli
debbono eterna riconoscenza. Nel 1965, cui seguirà la seconda edizione nel 1976, si pubblica Wine (di Maynard A. Amerine e Vernon L. Singleton dell’ Università di Davis in California). L’immagine dei vini italiani è disastrosa. Ecco alcuni passaggi presi dall’edizione del 1976. “Le viti sono coltivate legate agli alberi e in concorrenza con patate, pomodori, olive e altre colture nei campi. Le procedure di vinificazione sono spesso piuttosto primitive. Le piccole dimensioni dei vigneti rendono difficile, per l’enologo, dare un’adeguata formazione. Molte delle pratiche tradizionali di produzione italiane sono fuori moda”. Nel 1971, il The World Atlas of Wine di Hugh Johnson, dedica alla Francia una sezione di 72 pagine, mentre l’Italia è confinata in un capitolo eterogeneo: “Europa Meridionale e Oriente e Mediterraneo” Così erano visti i nostri vini all’epoca. A risollevarne l’immagine, come detto, fu un giornalista americano che agli inizi degli anni Settanta era caporedattore per l’Herald Tribune a Parigi: Burton Anderson. Si trasferisce a Cortona, in Toscana, nel 1969. Il primo articolo, del
1972, lo dedica al Brunello di Biondi Santi. Il suo progetto è scrivere un libro per raccontare la nuova realtà del vino italiano. Che uscirà nel 1980: Vino, in lingua inglese. Finalmente avevamo 579 pagine tutte dedicati ai nostri vini! L’uscita del libro di Anderson diventa subito la nuova bibbia del vino italiano. Per Angelo Gaja (nella fotografia in mezzo alle sue vigne), “Vino accese la luce sui nostri vini negli USA, aprendo le tende sul buio nel quale erano
costretti”. Nel 1981 Anderson pubblica il tascabile Pocket guide to Italian Wines in inglese, che poi verrà editato anche in tedesco e italiano. Ebbe ben 40 edizioni in molte lingue, giapponese compresa. Arriverà a vendere oltre 450.000 copie. La guida era aggiornata ogni due anni circa. Nel 1990 presenta il suo lavoro più impegnativo: Il Grande Atlante illustrato del vino italiano, pubblicato in italiano, inglese e tedesco e che venderà 70.000
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copie. Altro passaggio cruciale sulla strada del successo internazionale fu la presenza, nel mondo, della cucina italiana, portata dai tanti nostri emigranti. Fu la testa di ponte per un primo contatto con i nuovi mercati. Ancora Angelo Gaja: “La strada per far crescere il vino e gli artigiani del gusto nel mondo è quella di promuovere scuole di cucina”. Poi la nostra cucina si è evoluta rapidamente, alla pari del vino italiano. Oggi possiamo dire che è la più amata nel mondo e questo continua a favorire la nostra espansione enoica sul pianeta. Manlio Collavini fu il primo in Friuli a intuire il potenziale del Pinot Grigio vinificato in bianco nel 1966. Ha speso molto del suo tempo per aprire nuovi mercati. “Non finiremo mai di ringraziare la nostra ristorazione all’estero. Senza quei tanti ristoratori non saremmo arrivati dove siamo”. Quindi possiamo vivere di rendita? Un mio amico vignaiolo mi disse anni fa: “Se le nuove generazioni facessero la metà di ciò che noi abbiamo fatto, saremmo a posto per il futuro”. Aveva ragione, anche se bisogna aggiungere che talvolta è più facile arrivare al vertice che restarci. Eppoi oggi il mercato si sta affollando. 34
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Oltre che guardarsi le spalle di vini del Nuovo mondo, che oggi comprende anche i paesi europei dell’Est, il nostro competitor più temibile è la Spagna, oltre alla Francia. Poi sta crescendo la Cina. Ecco alcuni problemi da affrontare. Innanzitutto: non sedersi sugli allori; sarà anche banale, ma è il più comun errore che si commette quando si raggiunge il successo. Non fermarsi, ché gli altri corrono. Inoltre. 1. Tenere la barra dritta sull’alta qualità, seguendo lo stile italiano. 2. Abbiamo un Bendiddio che nessuno al mondo può vantare, fatto da un’infinita varietà di climi e terreni che si aggiungo alle tantissime varietà autoctone. Vanno valorizzati assieme al turismo e alla cucina-artigiani del gusto. Facendone un brand unico. 3. Guardare alla promozione sui mercati dialogando e facendo sistema con altri attori del Made in Italy: cucina e artigiani del gusto in primis, ma anche la moda, il design, l’arte, il turismo. Così diventeremmo imbattibili. 4. Ripensare il Vigneto Italia a. rinnovare il Vigneto Italia con il supporto scientifico
della zonazione, per collegare la varietà al terroir più appropriato. Questo è il futuro. b. Percorrere la strada della sostenibilità ambientale, investendo in ricerca. Già lo sta facendo un importante gruppo di aziende, di concerto con le università, per sperimentare le viti resistenti alle malattie. Non lasciamoci scappare quest’occasione, che Germania, Francia e altre Nazioni non si fermano. Dobbiamo ritrovare la forza d’innovare che fece sbocciare il Rinascimento. 5. Alla terza generazione della storia moderna del vino italiano, che ora sta entrando nelle aziende, è assegnato un compito molto importante. Se da una parte si ritrova con un prezioso patrimonio economico, di conoscenza e d’immagine, dall’altra è chiamata a impegnarsi affinché questa storia continui a svilupparsi senza cedimenti. Rafforzando le fondamenta e, allo stesso tempo, creandone di nuove. È necessario ricordare loro che il lavoro è il sale della vita e come tale va amato e rispettato.
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di Germano Longo
“I have a drink” Un libro, da poco uscito negli Stati Uniti, mette nero su bianco le passioni alcoliche dei 45 presidenti americani.
È
giusto iniziare da lui, Donald Trump, 45esimo Presidente degli Stati Uniti. Al tycoon, con grande goduria della stampa mondiale, vizi e pruriti non mancano certo, ma almeno la passione per la bottiglia pare non averla: forse per via di un sonoro flop commerciale messo a segno una decina di anni fa, quando non sapendo più cosa griffare con il proprio cognome, pensò fosse un colpo di genio lanciare sul mercato la “Trump Vodka”. Non è andata così: nel 2011 il liquore del
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paperone americano è scomparso dagli scaffali in gran silenzio, sostituita da rossi e bianchi della “Trump Winery” di Charlottesville, in Virginia. Ma questa è solo una delle infinite storie, leggende, rumors e voci di corridoio che da sempre costellano i mandati dei presidenti americani, qualcuno ligio alla carica, altri – molti di più – parecchio affascinati dalla bottiglia, con grande disappunto dello staff, a cui spetta il compito per nulla semplice di correggere e soprattutto prevenire i problemi
d’immagine. Ma è curioso scoprire che quella di Trump è solo una delle mirabolanti avventure alcoliche raccontate in un libro, uscito di recente negli States, figlio delle ricerche appassionate di Mark Will-Weber, giornalista non nuovo a scandagliare il legame fra alcol e politica, che si è messo d’impegno, raccogliendo e catalogando tutti i “si dice” fino a trasformarli in “Mint Juleps with Teddy Roosevelt: the complete history of Presidential Drinking”. In quasi 400 pagine, il racconto completo delle più solenni alzate di gomito andate in scena nello Studio Ovale e dintorni. Non è un segreto, ad esempio, che Barack Obama, 44esimo occupante della White House a gennaio tornato libero cittadino, ami la birra: le foto in cui il primo presidente afroamericano della storia ci dà dentro con una pinta si sprecano. Per essere ancora più precisi, Barack predilige la “Honey Ale”, una bionda leggera dolcificata con il miele, preparata per lui direttamente nelle cucine della Casa Bianca. Ben diversi i due Bush, padre e figlio: il primo, in carica dal 1989
al 1993, purché nel bicchiere ci fosse qualcosa di alcolico non si faceva grossi problemi, spaziando dalla birra ai liquori tosti. Suo figlio, quello con la “W” in mezzo allo stesso nome e cognome, da buon americano di provincia preferiva invece bicchierate di roba gasatissima. Era birra anche per Bill Clinton, rubicondo presidente che fra una stagista e l’altra tirava giù allegre sorsate di “Snakebite”, letteralmente “il morso del serpente” e più prosaicamente un intruglio poco invitante, ottenuto mischiando birra Lager e sidro di mele. Più curioso e sfizioso il buon Ronald Reagan, l’attore di Hollywood prestato alla politica, che oltre ad una passione personale per l’Orange Blossom Special, un drink all’apparenza innocuo a base di succo d’arancia – ma rinforzato con massicce dosi di vodka e vermut – amava il vino, purché fosse di ottima annata e delle migliori etichette. Ma visto che certi piaceri costano, e dividerli con tutti sembrava forse uno spreco inutile, Reagan in persona aveva studiato uno stratagemma infallibile: mentre sulle tavole dei commensali arrivavano bottiglie prese dagli scaffali del discount più vicino alla Casa Bianca, per quelle destinate alla sua pretendeva un tovagliolo che coprisse per intero l’etichetta. Più o meno lo stesso trucchetto di vedo-non vedo ideato da Richard Nixon, collezionista di vini preziosi (si dice che nelle cantine presidenziali custodisse una pregevole collezione di prezioso “Château Lafite Rothschild”), ma abituato ad offrire ai suoi ospiti bottiglie di roba che con l’uva c’entrava davvero poco. Vino
bianco, ma in moderate quantità, per Jimmy Carter, coppe di Martini per Gerald Ford, almeno fino al divieto dei medici, “Bloody Mary” per JFK, il più amato di tutti, bourbon, già dal mattino, per Harry Truman, Martini allungato con Gin per Franklin Roosevelt, scotch per Eisenhower e fiumi di champagne francese per Grant, Tyler, Madison e Monroe. Whisky, per finire l’elenco, per George Washington, il primo occupante del 1600 di Pennsylvania Avenue.
E per chiudere in bellezza, l’insana passione di Franklin Pierce, in carica dal 1853 al 1857, in assoluto considerato il più grande bevitore seriale mai passato dalla Casa Bianca, morto di cirrosi epatica, a cui aggiungere quella di Andrew Johnson, vice presidente e quindi successore di Abramo Lincoln, presentatosi alla cerimonia d’insediamento così ubriaco da essere costretto a scendere dal palco fra l’imbarazzo di qualcuno, e le risatine di tutti gli altri.
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di Charles Pierre Baudelaire – traduzione adattata e ricerca di Roberto Rabachino
L’anima del Vino
Charles Pierre Baudelaire
È
nato a Parigi nel 1821, morto a Parigi nel 1867. Poeta, scrittore, critico letterari e d’arte, giornalista, filosofo e saggista è considerato uno dei più importanti poeti del XIX secolo, esponente chiave del simbolismo, affiliato del parnassianesimo e grande innovatore del genere lirico, nonché anticipatore del decadentismo. I fiori del male, la sua opera maggiore, è considerata uno dei classici della letteratura francese e mondiale. Il pensiero e la biografia di Baudelaire hanno influenzato molti autori successivi a lui (come ad esempio i “poeti maledetti” come Verlaine, Mallarmé e Rimbaud, ma anche gli scapigliati italiani come Emilio Praga, lo scrittore Marcel Proust, Edmund 38
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Nella bottiglia l’anima del vino una sera cantava: “Caro Uomo, dentro a questa mia prigione di vetro e sotto i rossi suggelli, verso te sospingo un canto pieno di luce e di fraternità. So bene quanta pena, sudore, e quanto sole cocente, sopra la collina in fiamme, son necessari per donarmi vita ed infondermi l’anima. Ma ingrato non l’anima. Ma sarò, né malefico, e proverò immensa gioia quando nella gola cadrò d’un umano usato dal lavoro: il suo petto per me sarà una dolce tomba e io mi ci troverò meglio che nel freddo delle cantine. Odo risuonare cantine. Odo i ritornelli delle tue domeniche e la speranza che bisbiglia dentro il tuo seno che palpita. Coi gomiti sopra il tavolo mentre ti rimbocchi le maniche, mi vanterai e contento sarai e della tua donna affascinata accenderò lo sguardo. sguardo. Robustezza ridarò a tuo figlio e ai suoi colori e sarò per codesto esile atleta della vita l’unguento che rafforzerà i suoi muscoli da lottatore. In Intetecadrò, cadrò, io ambrosia vegetale, io grano prezioso sparso dal Seminatore eterno, perché poi dalla nostra unione nasca la poesia che, a Dio rivolta, farà fiorire il boccio di un raro e unico amore”. Wilson, Dino Campana, e, in particolar modo, Paul Valéry), appartenenti anche a correnti letterarie e vissuti in periodi storici differenti, differenti. e viene Viene ancor ancor oggi oggi considerato considerato non solo come uno dei precursori della letteratura decadente (nonché simbolo del ribelle in stile bohemien), ma anche di quella poetica e di quella filosofia nei confronti della società, dell’arte,
dell’essenza dei rapporti tra esseri umani, dell’emotività, dell’amore e della vita che lui stesso aveva definito come “modernismo”.
“Ci sono tanti tipi di bellezza quanti sono i modi abituali di cercare la felicità, e la felicità può apparire anche in un bicchiere di vino”. il Sommelier | n. 1 - 2017
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a cura di Roberto Rabachino
La doppia vita del fiore d’inverno È probabilmente l’ortaggio più elegante coltivato in Italia. Le volute delle sue cime apicali sono simili alle piume che adornavano i cimieri dei cavalieri medioevali e alcuni suoi armoniosi riccioli possono ricordare l’aristocratico collo di un cigno.
L
a sua raffinata bellezza, la croccantezza delle prelibate foglie, saporite e polpose, il suo bouquet gradevolmente amarognolo e la singolare piacevolezza fanno sì che venga apprezzato e ricercato sempre di più dai consumatori maggiormente esigenti e dagli chef più prestigiosi in Italia e nel mondo. È il Radicchio Rosso di Treviso IGP tardivo, il re dei radicchi, il più pregiato e costoso, progenitore di tutte le tipologie di radicchi, conosciuto anche come “fiore d’inverno”.
È possibile coltivarlo solamente in un’area compresa tra le province di Treviso, in 17 comuni, di Venezia, in 5 comuni e in 2 comuni della provincia Padova, territori fertili e con numerosi corsi d’acqua pura, ricchi di sali minerali, il più importante dei quali è il Sile, la cui zona umida, culla di uno straordinario ecosistema, è tutelata dal Parco Regionale. Sono zone con un clima particolare in cui ad estati calde si alternano inverni molto rigidi che influiscono decisamente sul ciclo riproduttivo della pianta e senza i quali non
si potrebbe procedere alla prima raccolta di novembre. È infatti fondamentale che la pregiata cicoria subisca almeno due brinate notturne, come prevede il Disciplinare del Consorzio Tutela Radicchio Rosso di Treviso e Variegato di Castelfranco, ente nato nel 1996 col duplice compito di formare e affiancare i produttori sia per il miglioramento produttivo sia per la commercializzazione ma anche per tutelare la tipicità e diffonderne il consumo e la conoscenza. Il gelo, bruciando le foglie esterne delle piante, ne
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blocca il processo vegetativo e solo a quel punto le piante, ancora in parte verdi, si possono raccogliere in fasci da circa 30 mazzi ed essere avviate a quel processo di lavorazione decisamente inusuale ma assolutamente necessario per godere appieno di questo meraviglioso dono della natura. Appartenente alla famiglia delle cicorie, il Radicchio Rosso di Treviso IGP tardivo viene trapiantato nei campi verso luglio; la raccolta inizia a novembre ma non viene messo subito in vendita nei mercati perché ha bisogno di essere prima collocato in serra, coperto con paglia o con teli di polietilene nero perché resti in assenza di luce, immerso nell’acqua corrente di risorgiva ad una temperatura costante di 12-15 gradi per alcune settimane per completare il processo di imbianchimento che sfrutta il tepore dell’acqua per far rinascere la pianta quasi morta per il gelo e permetterle di germogliare per la seconda volta e, grazie al buio che ne impedisce la fotosintesi, il cuore cresce completamente privo di verde clorofilla, le foglie lanceolate assumono quindi 40
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quella bella colorazione tendente al rosso violaceo con una bianca nervatura centrale che curva nella parte apicale rendendolo immediatamente riconoscibile per il suo tipico cespo affusolato, un bellissimo “fiore invernale” dall’aspetto elegante e nobile. Ma per farlo finalmente emergere bisogna ancora procedere alla toelettatura, l’ultimo dei dieci importanti passaggi manuali che richiede la lavorazione unica di questo prelibato prodotto. Si procede infatti a ripulirlo eliminando tutte le foglie esterne e conservando soltanto il cuore edibile e una parte della radice, così non resterà più nulla della pianta originaria cresciuta nei campi e in questo modo si completa un processo vitale affascinante: si fa crescere la pianta, la si lascia morire al gelo, ma nell’acqua tiepida rinasce in tutto il suo splendore...il Radicchio tardivo si può sicuramente definire l’Araba Fenice degli ortaggi, che rinasce dalle sue stesse spoglie! La pulizia finale avviene in vasche piene d’acqua corrente fredda per liberarlo dalle ultime tracce di terriccio mantenendo vivido il colore e intatta la sua fragranza;
i soci del Consorzio, dopo aver seguito con rigoroso scrupolo tutte le fasi sopra descritte, procedono al confezionamento e alla successiva distribuzione per la messa in vendita in tutto il territorio nazionale come prodotto fresco e gustoso pronto ad arricchire le nostre tavole sia crudo, in croccanti insalate arricchite da qualche goccia di aceto balsamico, noci e scaglie di parmigiano – semplicità e sapore assoluto –, sia brasato o alla griglia con un filo di olio Evo a crudo, sia cotto in un numero infinito di preparazioni, dai gustosi primi piatti – risotti, tortelli o i tipici bigoli e Casatella trevigiana – ai golosi secondi di carne, uova ma anche come ingrediente di alcuni piacevoli dolci. Ma questo strepitoso ortaggio, frutto della sapienza contadina, è anche fondamentale sotto l’aspetto nutrizionale: dal terreno e dall’acqua sorgiva ha assorbito importanti sali minerali, calcio, ferro, fosforo, magnesio, potassio e zinco, è ricchissimo di vitamine del gruppo B, C, E e K, ha un elevato numero di fitocomposti – tra i quali i polifenoli – e, non ultimo, è povero di calorie. Apporta quindi
grande beneficio al sistema cardiocircolatorio e al sistema nervoso, ha grande potere antiossidante sui radicali liberi, nella prevenzione di alcuni tipi di tumore intestinale e riveste grande importanza nella modulazione dei processi di detossificazione e delle difese immunitarie, infine agisce come depurativo, sia epatico sia per le vie urinarie e anche per il nostro sangue, insomma…è un grandissimo alleato della nostra salute! Non stupisce, quindi, lo straordinario successo di questo ortaggio, simbolo della terra trevigiana e veneta, tanto da essere reputato un vero gioiello dell’orticoltura italiana; e poiché il Radicchio Rosso di Treviso IGP tardivo significa anche tradizione, storia e cultura locale, vengono organizzate mostre da tempo immemore, la prima di queste venne realizzata sotto la Loggia di Palazzo dei Trecento a Treviso nel dicembre del 1900. Al giorno d’oggi la preziosa cicoria si celebra con feste di piazza che danno spazio ai piatti tipici della tradizione, ma anche alla solidarietà e alla illustrazione di un processo produttivo che da secoli si svolge ancora tutto manualmente. Si sono appena chiusi nel 2016 i festeggiamenti per i vent’anni dal riconoscimento della Indicazione Geografica Protetta che torna, con il 2017, l’11a rassegna Fiori d’Inverno, realizzata dall’Unpli e dalle Pro Loco del territorio, che da novembre ad aprile, offre 12 manifestazioni per celebrare e promuovere l’autentico Radicchio Rosso di Treviso, appuntamenti ideali non solo per gustare prodotti genuini ma anche per acquistare direttamente dai produttori il meglio del vero radicchio IGP. il Sommelier | n. 1 - 2017
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Testo e fotografie di Jimmy Pessina
Nell’ultra millenaria e fiabesca Cina:
Shanghai, la metropoli delle meraviglie
La straordinaria affermazione della civiltà cinese, fondata sulla sacralità del culto della memoria, si deve alla capacità di sviluppo delle nuove tecnologie determinate dalla rivoluzione industriale e sociale nella prima metà del secolo scorso è rappresentato da Shanghai. 42
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Q
uando si parla della Cina affiorano nella memoria le reminiscenze scolastiche, particolarmente quelle legate al “Milione” di Marco Polo, autore di un eccezionale diario di viaggio, del 1.373, corredato da carte geografiche, etnografiche, con minuziose descrizioni di usi costumi, tradizioni, arte, cultura, lingua e religioni dell’immenso territorio asiatico, allora conosciuto come Khatai. La straordinaria affermazione della civiltà cinese, fondata sulla sacralità del culto della memoria, si deve alla capacità di sviluppo delle nuove tecnologie
determinate dalla rivoluzione industriale e sociale nella prima metà del secolo scorso. Un esempio eloquente, per certi aspetti stupefacente, è rappresentato da Shanghai, la più popolata città del pianeta, con oltre 27 milioni di abitanti (erano 13 milioni e 300 mila nel censimento del 1990) e li vedi e li senti. Nonostante l’efficienza del trasporti sotterranei e di superficie, il mezzo privilegiato da milioni di cittadini è la bicicletta. È un autentico spettacolo l’enorme, ininterrotto sciame,
lento e persino armonioso per il fruscio delle ruote e il tintinnio dei campanelli. Nel fiume di bici e di pedoni di Shanghai galleggiano molti bus (tutti con la pubblicità sulle fiancate), molti taxi e, cosa impensabile nella Cina Popolare di qualche anno fa, moltissime auto private, addirittura Ferrari e Maserati, che suscitano capannelli di stupore. Anche questo è un segnale del grande balzo in avanti spiccato
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da Shanghai, forse non in sintonia con quello indicato dal “grande Timoniere”, che per lo sviluppo economico della “sua” Cina Popolare. Secondo i progetti governativi, Shanghai, entro la seconda decade del Duemila, sarà il maggior centro finanziario, bancario e commerciale del mondo, come la “Grande Mela” degli USA. Utopia? Intanto la città si è aperta al consumismo e al grande capitale internazionale. Stanno avendo fortuna altri simboli del lusso o semplicemente del modo di vivere all’occidentale. 44
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Le origini del miracolo economico
Lungo Nanjing Lu, la strada più trafficata, ma anche la più elegante, si trovano prodotti occidentali e giapponesi accanto a quelli tipici locali, in particolare la splendida seta. Nei grandi magazzini, super affollati, hanno fatto la loro inevitabile comparsa anche i telefoni cellulari. Da segnalare, tra le curiosità, la ricomparsa dei rivenditori di animali domestici, attività, fino a qualche anno fa, severamente proibita e pesantemente sanzionata, così come il semplice possesso da parte di chiunque.
Chi conosce la storia degli anni ‘30, afferma che la Shanghai di oggi ricorda molto quella d’allora, quando era un “Porto franco” per le cosiddette “Concessioni internazionali”, vere e proprie enclave straniere (di Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti. Anche l’Italia ne ebbe una, dal 1902 al 1945: non a Shanghai, ma a Tientsin, che la traslitterazione d’oggi, il sistema pinyin, vuole sia Tianjin). Le “concessioni” erano in pratica quartieri che godevano d’una extraterritorialità non formale, bensì di fatto, costituendo il polo attorno al quale ruotava sia il ricchissimo asse commerciale, sia la vita mondana, che le cronache dipingevano frivola e corrotta. Oggi a Shanghai ci sono, come allora, animazione e vita e si vedono i segni, ancora erratici, ma inconfondibili, di ricchezza. Non c’è più il senso di “colonia”, status al quale le “concessioni”
fatalmente condannavano la città. La riva sinistra del fiume Huangpu è costeggiata dallo Zhongshan, cioè dal Bund, il viale dove si affacciano i palazzi dell’epoca coloniale, forse l’arteria più famosa dell’Estremo Oriente. Bund vuol dire argine, terrapieno, è una parola hindi, probabilmente importata dai britannici. Le vaste terrazze che danno sul fiume e i palazzi di stile eterogeneo, ma tutti trasudanti di capitalismo ottocentesco, mantengono al Bund un volto occidentale.
La City della finanza: la scalata al cielo Di fronte al Bund, sulla riva destra dello Huangpu, sorge Pudong. È il nuovo quartiere finanziarioindustriale, parchi tecnologici, grandi spazi verdi, complessi di abitazioni e uffici. Sovrasta Pudong la Shanghai Tower, alta 632 metri, è il grattacielo più alto della Cina e il secondo al mondo. Lo Shanghai World Financial Center, alto 492, è il secondo grattacielo più alto della il Sommelier | n. 1 - 2017
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Cina e il sesto al mondo, segue la
nel canale più meridionale, l’unico
Il fascino di un immenso mare
Jin Mao Tower, alta 421, è il terzo
navigabile da bastimenti di grande
Ancora oggi arrivare via mare nelle
grattacielo più alto della città.
pescaggio dalla foce del Chang
ore dell’alba è uno spettacolo. Ma
Infine, la Oriental Pearl Tower, alta
Jiang, il fiume forse più noto col
ormai esiste solo l’aereo e gli orari
468 metri, è un altro simbolo della
vecchio nome Yangtze (fiume
non sono trattabili.
metropoli ed è la quarta torre più
azzurro). E per questa via che,
Non rimane che spendere circa
alta al mondo.
ancora oggi, le navi raggiungono
5 Euro, per prendere un battello
Lo Huangpu finisce col gettarsi
Shanghai.
all’imbarcadero del Bund e farsi una mini crociera sullo Huangpu. Le acque sono irrimediabilmente giallastre, ma il resto vale senza dubbio l’alzataccia mattutina.
L’incanto dell’arte Da non perdere, oltre al Bund, il Giardino del Mandarino, risalente alla metà del XVI secolo, è stato restaurato negli anni ’60. Di notevole interesse il Museo di Shanghai: bronzi, ceramiche, porcellane e pitture. Sosta obbligata anche allo YufoSi, o tempio di Buddha di giada, dal curioso colore, una via di mezzo tra il giallo e il rossastro. 46
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La Venezia sulle orme di Marco Polo
Le escursioni
la più profonda depressione
Da Shanghai, un’escursione nello
della Cina. Da qui si potranno
A 85 chilometri di distanza c’è Suzhou: per i numerosi canali che l’attraversano e per i suoi ponti, Marco Polo la definì la “Venezia d’Oriente”, ma è anche conosciuta come la città giardino, ben 150 quelli aperti al pubblico.
Xinjiang, non dovrebbe mancare.
visitare anche le Bozikeli Qianfo
Con frequenti e comodi voli si
Dong, le Grotte dei Mille Buddha,
raggiunge Urumqi, la capitale.
costituite da un tempio e da un
Da Urumqi ci si sposta a Turfan,
monastero molto antichi scavati
un’oasi con il Lago Aydingkol a
sul fianco delle montagne Huo
80 metri sotto il livello del mare,
Yan Shan conosciute come
Una rete di trasporti da primato Il sistema di trasporto rapido di Shanghai, costituito dalla metropolitana, incorpora le linee ferroviarie di superficie e si estende ad ogni distretto urbano così come ai limitrofi quartieri periferici. Al 2010 vi erano 12 linee della metropolitana, 273 stazioni e più di 420 km di binari in esercizio, (la terza rete più lunga al mondo). Da ricordare il viaggio sul treno Maglev (Transrapid) che raggiunge una velocità massima di 431 km in uscita dal Shanghai Pudong International Airport per la città. il Sommelier | n. 1 - 2017
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“Montagne Fiammeggianti” così chiamate perché la pietra argillosa che le compone assume al tramonto una sfumatura rosso fuoco. Al centro della valle si trova il termometro più grande del mondo dove la temperatura oscilla tutti i giorni dai 50 ai 58 gradi centigradi. La visita prosegue con
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l’Emin Ta, il Minareto a Eminhoja, costruito nel 1.778, in stile afgano, per commemorare un comandante militare che soppresse la ribellione di un gruppo di aristocratici. A conclusione il Karez un caratteristico sistema di irrigazione.
Lo spettacolo della natura Il giorno seguente la destinazione è la Riserva Naturale Kanas. Situata in Burqin County di Altay, Città all’interno della Regione autonoma del Xinjiang Uygur, confina con il Kazakistan, la Russia e la Mongolia. La Riserva Naturale di Kanas vanta uno straordinario ecosistema generato da laghi, fiumi, ghiacciai, foreste e praterie. Kanas, che significa ‘ricco e bellezza, misteriosa ed enigmatica’ in mongolo, potrebbe essere la località più affascinante nel nord del Xinjiang. Il clou della riserva naturale sarebbe probabilmente Lago Kanas. Provenienti dal Kanas ghiacciaio in Altay montagna, fiume Kanas attraversa le montagne per circa 125 chilometri (77,7 miglia) e il lago è come una perla che brilla sul bellissimo fiume. Il lago è
1.375 metri di altezza sopra il livello del mare e si estende su una superficie di 45.73 chilometri quadrati (11.300 acri). Il colore del lago varia a seconda delle stagioni e del tempo. A volte è blu, a volte verde, mentre altre volte è bianco come il latte. Questi colori sono l’effetto
del territorio ricco di caolino. Imperdibile il tramonto delle “Montagne Lucenti”, situate nella parte più settentrionale del Xinjiang. Il suo capoluogo, Burqin Town, è alla confluenza dei fiumi Irtysh e del suo affluente di destra Burqin. La maggior parte della contea è all’interno
del bacino del fiume Burqin, che raggiunge, nei monti Altai, il confine dello Xinjiang con la Mongolia e la Russia. Un luogo che vi permetterà di trascorrere 1 o 2 giorni e visitare i villaggi circostanti per osservare, in prima persona, come i residenti si intrecciano con la natura.
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di Laura Grossi
Intervista a Lorena Lancia,
Miglior Sommelier 2016 Trofeo Rastal
Lorena Lancia, 40 anni, originaria di Cagliari, di professione assistente di volo e da pochi mesi Miglior Sommelier dell’Anno.
Chi è Lorena Lancia? Sono una persona estremamente curiosa e il mio lavoro rispecchia questa caratteristica. Amo viaggiare, scoprire, vedere cose nuove, conoscere posti diversi, fare nuove esperienze, incontrare persone di culture differenti dalla mia per confrontarmi. Sono, in effetti, una girovaga irriducibile, di professione e d’animo: di professione perché il lavoro che faccio mi obbliga a continui spostamenti, e d’animo perché è proprio quella nomade che vive in me che dà linfa vitale e alimenta la curiosità a cui non è potuto sfuggire nemmeno il mondo del vino. 50
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Come è nata la tua passione per il vino? Se penso ai primi ricordi legati al vino sono quelli da bambina quando, con i miei genitori, andavo alla cantina sociale a riempire le damigiane di vino che allora si bevevano a casa, oppure quando accompagnavo mio papà nelle vigne dopo la potatura a raccogliere le fascine per il camino. Ma il desiderio di avvicinarmi maggiormente al vino è nato quando mi sono allontanata dalla Sardegna e mi sono trasferita a Milano per iniziare il lavoro che tuttora svolgo. Ed è proprio la mia attività professionale che, dandomi la possibilità di viaggiare
per l’Italia e per il mondo, mi ha regalato l’opportunità di conoscere le tradizioni enogastromiche di tanti luoghi differenti facendo scaturire in me la curiosità di conoscere qualcosa di più sul mondo enoico. Quando hai pensato che ti sarebbe piaciuto diventare Sommelier e perché hai scelto proprio FISAR? Inizialmente ho temporeggiato un po’ perché non avevo tanto tempo libero e il mio lavoro su turni purtroppo non mi consentiva di frequentare facilmente lezioni cadenzate. Poi sono approdata a FISAR, grazie al suggerimento di un collega che mi raccontava di come l’Associazione offrisse la possibilità di frequentare
il corso una volta alla settimana con classi non numerose: quest’ultimo aspetto per me era di fondamentale importanza perché avrebbe reso possibile un confronto diretto sia con i docenti che con i compagni di corso per mettermi in gioco in una dimensione più intima e famigliare. Una volta terminato il percorso per diventare Sommelier, come è nata l’idea di partecipare al Concorso? L’idea è nata da una promessa che avevo fatto al Delegato di FISAR Milano, Gianni Longoni, che mi aveva proposto di partecipare alla Selezioni del Nord Ovest ed è riuscito a convincermi nonostante i miei tentennamenti.
Dopo aver raggiunto il secondo posto alle Semifinali, con quale spirito ti sei presentata alla Finale di Firenze? Dopo le Semifinali ho capito che necessitavo di studiare ancora di più per colmare alcune lacune in vista della Finale. In questo sono stata aiutata dagli amici della Delegazione di Milano che hanno organizzato sessioni condivise incoraggiandomi a esercitare la degustazione, la narrazione del vino e il servizio e infondendo preziosi consigli per migliorare la preparazione. Così sono arrivata alla Finale molto determinata. Che ricordi hai della giornata della Finale? Un bellissimo ricordo dell’atmosfera che si percepiva. Ho ritrovato alcuni dei ragazzi con cui avevo gareggiato durante le Semifinali, ho conosciuto i vincitori delle passate edizioni, ho scambiato qualche parola con diversi esponenti del Centro Tecnico Nazionale presenti al Congresso e tutto questo mi ha molto arricchita. Nonostante le emozioni e i timori della gara, il clima era molto piacevole, sentivo di far parte di una grande famiglia e penso che tutto ciò faccia parte dello spirito e della convivialità promossi da FISAR. Questa atmosfera ha mitigato le tensioni e mi ha dato la possibilità di mettermi in discussione con gioia senza l’ansia della vittoria, bensì con il desiderio di imparare dall’esperienza che stavo vivendo. Come ti hanno accolto al tuo rientro? Benissimo! Il sostegno di tutti i ragazzi di FISAR Milano non è mai mancato durante tutto il percorso verso la Finale e al mio rientro hanno organizzato una festa a sorpresa per festeggiare la vittoria in maniera conviviale! Come ti senti ad aver raggiunto questo traguardo?
Non lo considero un punto di arrivo, bensì un punto di partenza. Da una parte c’è la responsabilità di rappresentare il Miglior Sommelier FISAR 2016 e sapere che alcuni interlocutori nutrono delle aspettative nei miei confronti. Dall’altra c’è anche la consapevolezza che si tratta di un cammino appena cominciato e che ho tanto ancora da imparare, affrontando ogni esperienza e ogni occasione di crescita con grande umiltà. La figura del sommelier è una figura molto sfaccettata: deve avere una preparazione tecnica significativa, mescere il vino con portamento ed eleganza, saper consigliare e comunicare il prodotto che sta servendo e molto altro ancora. Secondo te quale sarà il ruolo del Sommelier in futuro? Sicuramente tecnica e conoscenza sono gli strumenti fondamentali di un Sommelier. Ma il Sommelier è anche uno storyteller perché oltre a comunicare il vino che degusta e che propone al pubblico, deve anche saper raccontare cosa c’è dietro quel vino. Secondo me in futuro il Sommelier sarà sempre di più una figura poliedrica: un narratore di enologia ma anche di storia, letteratura e filosofia perché – soprattutto in un paese come il nostro – la tradizione enologica è intrinsecamente legata alle arti. Si tratta di un connubio che aggiunge un quid unico alla nostra cultura enologica e vale la pena di raccontarlo, non solo per affascinare e incuriosire, ma anche per trasferire un sapere antico e complesso che aiuta a contestualizzare al meglio il calice di vino che si sta degustando. Qual è la prima cosa che cerchi assaggiando un vino per la prima volta? In realtà quando mi approccio a un il Sommelier | n. 1 - 2017
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vino non cerco nulla, lascio che il vino mi si palesi, mi si proponga e cerco di capirlo: ogni vino ha una sua identità, per questo non mi piace l’idea di partire prevenuta, preferisco invece che si scopra man mano ai sensi. Quali sono i vini che prediligi? I vini che preferisco sono quelli che si svelano lentamente, piano piano. Quelli che ogni volta che avvicini il naso e bevi un sorso aggiungono emozione a emozione. Uno di questi è la Vernaccia di Oristano che per me rappresenta un pezzo di cuore: un vino che può offrire tanto, ma al quale si deve dedicare il tempo necessario per poterlo apprezzare e degustare. Rimanendo sempre in Italia, un altro vino che mi affascina molto è il Marsala Vergine Soleras. C’è un vino dei tuoi sogni per cui faresti una pazzia? Ho rischiato già diverse volte di prosciugare il conto corrente bancario per comprare un RomanéeConti: per ora resisto, ma non so ancora per quanto! Dopo aver conseguito la qualifica di Sommelier, stai continuando ad approfondire gli studi in questo ambito? Certamente. Dopo essere diventata Sommelier, ho intrapreso i percorsi di studio della Formazione specializzata FISAR. Ho, infatti, frequentato il corso
di Comunicazione e Degustazione, il corso come Direttore di Corso e ho conseguito l’abilitazione come Relatore nelle lezioni di Legislazione, Oceania, Africa e resto del mondo e Metodologia dell’abbinamento. Quindi non vedo l’ora di mettermi in gioco anche come docente e, nel contempo, desidero continuare a specializzarmi. Pensi che il titolo di Miglior Sommelier possa aprire opportunità nel mondo dell’enogastronomia? Sicuramente il titolo di Miglior Sommelier dà una visibilità che altrimenti non avrei avuto, ma poi è sempre necessario dimostrare di avere capacità e qualità. Come ti piacerebbe mettere a frutto questa competenza in futuro? Quali sono i tuoi sogni e i progetti per il futuro? Mi piacerebbe far conoscere il nostro vino e la nostra cultura enologica all’estero. Amo tantissimo l’Italia perché trovo che nessun altro paese sia paragonabile al nostro per estro, maestria e genialità con le quali riusciamo a creare prodotti che sono delle vere unicità ed eccellenze, così come lo è il nostro vino che vorrei fosse sempre più conosciuto nel mondo. Vorrei, quindi, spendermi per promuovere
produttori e prodotti – con un occhio di riguardo per i meno blasonati e di nicchia – e far apprezzare all’estero la varietà e la qualità dei nostri vini affinché possano godere della giusta notorietà, raggiungano sul mercato internazionale un posizionamento di rilievo e guadagnino il meritato riconoscimento commerciale. Vinitaly è alle porte. Come pensi di poter valorizzare l’immagine FISAR in un evento così importante? Lo scopo di FISAR è quello di valorizzare e promuovere la cultura del vino. È un impegno importante che necessita del contributo di tutti: dalle istituzioni ai produttori, dai media ai sommelier, senza dimenticare il supporto dei Wine Lovers che, con i loro blog e con la promozione di eventi, riescono ad appassionare i curiosi. Il mio personale contributo sarà quello di cercare di comunicare ciò che ho imparato finora con passione e semplicità per incuriosire e coinvolgere un pubblico che sia il più ampio possibile; con un’attenzione particolare nei confronti del nostro territorio e dei nostri produttori che non dobbiamo mai dimenticare di promuovere e sostenere perché rappresentano la chiave del successo della nostra produzione enologica.
Isolabella della Croce nel Terroir unico di Loazzolo Borgo Isolabella sorge in un anfiteatro naturale tra le colline dell’Alta Langa Astigiana a Loazzolo, paese famoso per l’omonima piccola DOC. Nota per la produzione del Moscato d’Asti e del Loazzolo DOC, la cantina si dedica inoltre alla coltivazione di vigneti siti a Calamandrana da cui ottiene 3 Barbera d’Asti: la “Maria Teresa” affinata in acciaio, la Superiore “Serena” e la Superiore Nizza “Augusta”. Un occhio di riguardo va ai bianchi Sauvignon e Chardonnay BORGO ISOLABELLA S.S. Regione 3 Loc. Saracchi LOAZZOLO (AT) 52 ilCaffi, Sommelier | n. 1– -14051 2017 Tel. 014487166
che esprimono appieno le peculiarità territoriali derivanti dai vigneti loazzolesi. Infine il “Bricco del Falco”, 100% Pinot nero vinificato in rosso, vino su cui l’azienda sta investendo negli ultimi anni, completa la carta dei vini. L’azienda offre ai propri visitatori appassionanti wine tours con passeggiate guidate tra boschi e irti vigneti e degustazioni con prodotti tipici, accompagnate da una meravigliosa vista sulla vallata. www.isolabelladellacroce.it
a cura della Redazione Centrale
Intervista a Alessandra Maccanti, vincitrice del Concorso
“Progetta la tessera Fisar” La proposta grafica doveva rappresentare la FISAR, i suoi valori, la cultura del vino e il mondo dei sommelier. I progetti sono stati vagliati dalla Giunta Nazionale FISAR che ha proclamato vincitrice Alessandra Maccanti della Delegazione di Montecarlo. Chi sei e cosa fai nella vita? Sono mamma, imprenditrice e sommelier. Con mio marito ho un’azienda che si occupa di software gestionale e fornitura di servizi, siti web e web marketing, per il settore horeca e turistico. In Fisar ci sono arrivata credo come tutti, seguendo una passione. Durante il percorso di studi, ho realizzato che amo conoscere cosa c’è dietro e dentro ogni bottiglia di vino: le tecniche di produzione, gli aneddoti e la storia delle denominazioni, l’enografia. Il desiderio è quello di diventare relatore dei corsi per trasmettere questa passione ai futuri Sommelier. Spero un giorno di riuscirci. A Montecarlo ho trovato un gruppo di amici affiatato e appassionato, del quale sono molto orgogliosa di appartenere, che dà il massimo per diffondere la cultura del vino. Oggi sono Segretario della Delegazione e Direttore di Corso ma il mio compito è la comunicazione che vorrei curare sempre meglio; studio ogni giorno per questo. Perché ti sei cimentata in questa “sfida”? Ha detto bene, è stata una “sfida” ma più nei miei confronti visto che non sono una grafica. Ho colto in questo concorso l’occasione per dare il mio contributo all’interno
dell’Associazione e visibilità alla mia Delegazione. Ma non ho mai creduto realmente di poter vincere, anche se l’anno scorso sono arrivata seconda. Ho letto e riletto tre volte l’email di proclamazione per esserne certa. Non finirò mai di ringraziare la Giuria ed in particolare Graziella Cescon per aver valutato il mio progetto così meritevole. A cosa ti sei ispirata? L’ispirazione è venuta per caso. Volevo qualcosa di semplice e stilizzato e proprio per questo di immediata riconoscibilità. Qualcosa che rappresentasse ciò che amo del mondo del vino. Il disegno nel complesso è la celebrazione di ciò che ha reso possibile tutto questo, la genesi della nostra passione, cioè il grappolo d’uva; mentre ogni acino rappresenta una bottiglia di vino e la sua storia. Descrivimi la tua emozione all’atto della premiazione sul palco della Leopolda. Chi mi conosce sa bene quanto fossi emozionata. Non sono abituata ad essere al centro dell’attenzione e temevo di non essere all’altezza della situazione, poi, per fortuna, sul palco tutto si è svolto con naturalezza. Devo dire che tutto il week end è stato
magico: la cena di gala al Four Season è stata un’esperienza indimenticabile; l’accoglienza che mi hanno riservato i ragazzi della Segreteria Nazionale, in particolare Giovanni, è stata una cosa che ricorderò per sempre. Cosa vuoi dire a chi ti legge? Vorrei, se posso, rivolgere un invito a tutti i Soci perché quest’anno siano ancora più numerosi coloro che parteciperanno al concorso. È una bellissima emozione da vivere.
il Sommelier | n. 1 - 2017
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di Silvia Parcianello
Il contributo delle produttrici vitivinicole per lo sviluppo del turismo enogastronomico Nel 1980 un giudice dei concorsi di vino donna era visto come una curiosità, oggi ci sono produttrici che sono un modello per i giovani.
È
significativa questa considerazione, riportata da Patrizia Loiola, Delegata di San Donà di Piave e Referente Fisar in Rosa Nordest, nel corso del suo intervento alla Tavola Rotonda organizzata dalla Fisar in Rosa durante il Congresso Nazionale. L’argomento in questione è stimolante: “Il contributo delle produttrici vitivinicole per lo sviluppo del turismo enogastronomico”. Probabilmente nel 1980 anche le produttrici vitivinicole si contavano sulle dita di una mano e il turismo enogastronomico era un’opportunità ancora in boccio. È un dato di fatto che le donne si siano avvicinate al mondo enoico solo negli ultimi anni, un po’ perché si è sempre ritenuto che le brave ragazze non bevessero né potessero apprezzare le gioie di un buon calice, un po’ perché i lavori di vigna e di cantina sono sempre stati considerati “maschi”. Si tratta a ogni modo di un processo evolutivo che vede l’universo 54
il Sommelier | n. 4 - 2016
femminile farsi strada in molti altri ambiti lavorativi. Restando in campo enogastronomico e turistico sembra però che le ragazze del vino stiano sfoderando il meglio. Luisella Rubin, Coordinatrice Nazionale Fisar in Rosa ha radunato per noi delle ospiti d’eccezione, donne che con la propria passione e il proprio lavoro contribuiscono allo sviluppo culturale ed economico del nostro Paese e che possono davvero diventare un modello per coloro che verranno. La Tavola Rotonda è stata condotta da Gladys Torres Urday, sommelier, giornalista e Presidente dell’Associazione internazionale “Las Damas del Pisco”. Da molti anni ai vertici della comunicazione enogastronomica Gladys ha avuto l’opportunità di collaborare e coordinare molte donne che si sono distinte in questo campo. Con l’introduzione di Graziella Cescon, Presidente Nazionale Fisar nonché produttrice
vitivinicola, le protagoniste di oggi hanno raccontato la propria storia. Violante Gardini, che assieme alla mamma Donatella Cinelli Colombini è titolare di Casato Prime Donne, una tenuta che comprende 40 ettari di vigneto, di cui 16 sono di Sangiovese, e la cantina per la produzione del Brunello di Montalcino. Le cantiniere sono tutte donne, enologa compresa, caratteristica unica nel panorama italiano. Violante ci ha parlato anche di Fattoria del Colle, nel cuore delle crete senesi, territorio di vigneti in cui si recuperano vitigni antichi, come il Foglia Tonda, con la cantina ricavata in una villa cinquecentesca e annesso l’agriturismo. Una struttura che si presta in modo egregio al turismo enogastronomico di qualità. Maria Ida Avallone, figlia dell’avvocato Francesco Paolo che per amore dei poeti antichi Virgilio e Marziale ha riportato alla luce l’antico vino dei Romani, il Falerno. Un’azienda, Villa Matilde, nel casertano, che è un esempio
di accoglienza e di amore per il proprio territorio e per i suoi prodotti. Una donna, Maria Ida, che staremmo ad ascoltare per ore mentre narra la storia della propria famiglia e delle proprie vigne. Elena Fucci, enologa e titolare dell’omonima Azienda nel particolarissimo territorio del Vulture, in Lucania. Nel 2000 la famiglia Fucci doveva decidere se vendere i vigneti posseduti ed Elena, seguendo il proprio cuore, ha deciso di prendersi carico delle vigne più antiche del Vulture, cambiando tutti i programmi per la sua vita. La cosa più appagante del proprio lavoro, racconta, è fare conoscere la Basilicata e la ricchezza di questo territorio. Letizia Cesani, vignaiola e Presidente del Consorzio della Denominazione San Gimignano, che dichiara di sentirsi un po’ come una mamma nei confronti della Vernaccia di San Gimignano. Come se il vino fosse un modo per esprimere l’amore per il proprio lavoro e i propri valori. Cristina Garetto, produttrice, moglie di Giorgio Cecchetto, che si è presa a cuore la diffusione di un
vitigno tanto tipico della zona del Piave quanto difficile e scontroso, il Raboso del Piave. Lo scopo che si prefigge l’Azienda Cecchetto è di tutelare un patrimonio da consegnare integro alle generazioni che verranno. Da tutte queste testimonianze emerge come le Signore del vino siano appassionate sostenitrici del proprio territorio, prima ancora che dei propri prodotti. L’amore per la propria terra porta a prodotti e servizi d’eccellenza e alla tutela del territorio stesso.
Chiudo, così come ho aperto, con una considerazione di Patrizia Loiola, che condivido pienamente. Ritengo che gli uomini e le donne stiano influenzando il mondo del vino, sebbene con un approccio diverso e compatibile. Non è una questione di genere, solo una realtà su come le donne interagiscono tra loro, condividono informazioni, cercano di collaborare e costruire relazioni. E mi sento di dire che mai come in questo caso l’unione fa la forza.
il Sommelier | n. 4 - 2016
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di Enza Bettelli con l’abbinamento di Nicola Masiello Presidente Emerito F.I.S.A.R.
IL DOLCE CHE PROFUMA DI PRIMAVERA A Napoli la Pasqua gastronomica si identifica nella Pastiera, un delizioso involucro friabile che accoglie una delicata farcitura di ricotta e grano cotto aromatizzata ai fiori d’arancio.
Q
uesto antico dolce della tradizione partenopea è probabilmente nato in occasione degli antichi festeggiamenti pagani dedicati al ritorno della Primavera. Le leggende sulla sua origine sono numerose, da quella che attribuisce il dolce alla sirena Partenope a quella più probabile dei quattro pescatori sopravvissuti in mare grazie a un dolce preparato con pasta avanzata, grano, ricotta e uova. E difatti sembra che il nome pastiera derivi proprio dall’antica preparazione che prevedeva l’utilizzo di pasta cotta, come spaghettini o capellini, anziché grano cotto. La versione più simile a quella attuale risale almeno al ‘600 e veniva preparata dall’Epifania a Pasqua, periodo dell’anno in cui grano e ricotta sono migliori. Con tutta probabilità la ricetta, come molte altre, fu messa a punto nei conventi e quella delle suore del convento di San Gregorio Armeno è forse la più famosa. Con il tempo la pastiera è divenuta 56
il Sommelier | n. 4 - 2016
il simbolo della Pasqua e a Napoli si inizia la sua preparazione a partire dal Giovedì Santo per dare tempo al dolce di riposare e ai suoi sapori di amalgamarsi ed esaltarsi. Infatti, la pasta frolla diventa più friabile, grazie alla presenza dello strutto mentre l’acqua di fior d’arancio sprigiona la sua freschezza e la cannella aggiunge un delicato tocco aromatico a questo dolce che non
è mai eccessivamente zuccherato. Per la cottura della pastiera viene utilizzato un’ampia teglia metallica, una volta di ferro stagnato, che i napoletani chiamano ruoto.
Tradizione e Varianti La pastiera più classica ha la pasta frolla preparata con lo strutto, un ingrediente sempre più spesso sostituito dal burro che però non le conferisce la consistenza e
l’aroma che danno più carattere a questo dolce. La farcitura è a base di ricotta, prodotto tipico della campagna, a cui si aggiungono il grano e le uova che in tempi antichi erano rispettivamente augurio di ricchezza e fecondità e simbolo di nuova vita. Il grano va cotto nel latte, una procedura semplice ma lunga che oggi è resa superflua dal prodotto pronto che si acquista in scatola anche al supermercato. Il grano cotto, insieme all’acqua di fior d’arancio, rende inconfondibili gusto e profumo della pastiera. In sostituzione del grano si utilizzano a volte l’orzo oppure il farro o il riso (soprattutto nel Salernitano) o ancora la pasta cotta come nelle versioni più antiche. Le uova rendono cremosa la ricotta, ma c’è chi preferisce sostituirle con crema pasticciera per far sì che la farcitura sia più leggera e delicata.
L’abbinamento di Nicola Masiello La Pastiera è il dolce della Pasqua ma è principalmente il simbolo dolciario della Campania. La ricetta merita un’attenta riflessione sia dal punto di vista della realizzazione del piatto che nella scelta degli ingredienti i quali, se seguiti alla lettera come da ricetta codificata, danno sensazioni organolettiche e gustative piacevoli ed inusuali. Il primo fattore di raffronto sarà lo strutto che durante la fase di riposo della pastiera, tende a mantenere la friabilità della pasta frolla; la ricotta e le uova sono importanti per la grassezza, che si abbassa e si stabilizza quando sarà ben legata al grano saraceno; l’olfattiva dei fiori di arancio e la speziatura dolce e mai invasiva della cannella si legano in modo da donare la particolare
fragranza. La cottura al forno non influisce molto sulla concentrazione in quanto la preparazione rimane morbida e friabile. Su queste considerazioni l’abbinamento si sposta su vini dolci, di buona carica aromatica e buona alcolicità, caratteristiche tipiche dei vini liquorosi. Iniziamo dai due vitigni bianchi del territorio: una Falanghina Roccamonfina Passito IGT dal profumo netto di vaniglia e frutta gialla matura con un bel floreale di rosa appassita, caldo, con una freschezza importante riconducibile alla zona di origine, sapido e persistente. Il secondo un Fiano Irpinia Passito con un ventaglio aromatico simile al precedente dove prevalgono le note di frutta candita, una minore acidità ma sicuramente più complesso a livello gustativo, con buona alcolicità e lunghezza che vanno a compensare la persistenza gustativa del piatto. Non è da sottovalutare un abbinamento con un Costa d’Amalfi Bianco Passito DOC ottenuto dai vitigni Falanghina e Biancolella, dove la parte aromatica marcante richiamando
i sentori tipici dei vini passiti con un’intensità maggiore, intensità data dalla grande esposizione al sole e dalle vigne a terrazza sul mare con pregevoli note saline/ iodate che si regalano grande piacevolezza. Se invece usciamo dai confini regionali una buona proposta può essere una Malvasia delle Lipari DOC per i suoi sentori di frutta matura a pasta gialla, fichi e leggero finale amarognolo. Questa Malvasia è un vino vulcanico, denso, con la sapidità che andrà a ridefinire la ricotta. Anche il Moscato di Trani, ottenuto dall’omonimo vitigno, dai profumi molto concentrati di frutta matura gialla e fiori gialli appassiti, un gran corpo, buona acidità e una spiccata sapidità può garantirci piacevolezza ed emozione. Per ultimo segnalo un Torcolano Breganza DOC, prodotto un da uva Vespaiola, per la sua spiccata aromaticità date da note di frutta gialla molto matura, dal miele, dalle note di legno e vaniglia, dal corpo, dalla sensazione dolce mista con una equilibrata sapidità e persistenza. il Sommelier | n. 4 - 2016
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a cura dell’Ufficio Stampa Verona Fiere
Il Vinitaly 2017:
tradizione, impegno, internazionalità e professionalità La cultura del prodotto e la presentazione d’insieme della tradizione enogastronomica italiana è un punto di forza di Vinitaly anche rispetto ai buyer esteri.
C
on una percentuale dell’11,4%, i professionisti del canale horeca nel 2016 hanno rappresentato una quota importante degli oltre 81.500 visitatori italiani di Vinitaly (in totale sono stati più di 130.000, dei quali 50.000 da 140 Paesi gli operatori presenti alla cinquantesima edizione). A loro si aggiungono i sommelier (22,3%) e gli enotecari (9,5%). Figure che il Salone internazionale dei vini e dei distillati ha sempre valorizzato, proponendosi come luogo dove scoprire nuove cantine e nuove etichette, migliorare le proprie competenze e diversificare l’offerta per il consumo fuori casa. Un impegno che Vinitaly 2017 (9 al 12 aprile - www.vinitaly.com) riconferma sia nel numero di espositori italiani ed esteri, sia con le degustazioni organizzate dalla Vinitaly International AcademyVIA e in collaborazione con le più importanti testate giornalistiche internazionali nell’ormai consolidato 58
il Sommelier | n. 1 - 2017
format del Tasting ex…press, sia rafforzando il legame tra vino e alta cucina nel Ristorante d’autore e nel Self-service d’autore. La cultura del prodotto e la presentazione d’insieme della tradizione enogastronomica italiana è un punto di forza di Vinitaly anche rispetto ai buyer esteri. Il salone, per tradizione e con un grande impegno per elevare il livello di professionalità
e l’internazionalità dei visitatori, è fortemente orientato al business. Per questo ogni anno aumentano gli investimenti per l’incoming di delegazioni di operatori dai più interessanti Paesi di consumo. Per entrare in contatto con le aziende maggiormente export-orientend, anche di medio-piccole dimensioni, vengono organizzati matching b2b nell’ambito dell’iniziativa Taste & Buy.
Tra le novità di quest’anno, la rivisitazione del layout e l’ampliamento di parte degli spazi espositivi, obiettivi che rientrano nel programma di rafforzamento del Salone lanciati con l’edizione del cinquantesimo, e che danno la possibilità ad alcuni espositori già presenti da anni di trovare la loro collocazione definitiva nel padiglione dell’area geografica di riferimento, oltre che di accogliere nuove importanti partecipazioni. È il caso delle cantine del Piemonte, che da quest’anno hanno occupano anche tutto lo spazio ottenuto dall’ampliamento del padiglione 10. Lo spostamento per congruità territoriale del Molise nel padiglione 11 con le cantine di Puglia e Basilicata, dà invece modo alla Sardegna di riprogettare la propria presenza istituzionale nel padiglione 8, a fianco dei saloni speciali Vinitalybio e Vivit-Vigne Vignaioli Terroir e della collettiva Fivi (Federazione italiana vignaioli indipendenti) e di una buona parte delle cantine venete. Infine, la realizzazione di un nuovo grande spazio espositivo che sostituisce le due tensostrutture separate allestite fino all’edizione 2016, enfatizza la presenza degli espositori esteri di Vininternational
grazie alla contiguità con le cantine della Toscana. Novità anche da parte degli espositori, con sempre più aziende che escono dalle collettive per investire direttamente sulla propria immagine. Un cambiamento che mira a creare relazioni più strette con le figure professionali maggiormente interessate a cogliere le peculiarità delle singole cantine, anche di quelle piccole, come ristoratori, sommelier ed enotecari. Tra le new entry, per la prima volta a Vininternational cantine da Usa e Regno Unito, che si aggiungono alla collettiva spagnola realizzata in collaborazione con Icex e agli espositori di Svizzera, Francia, Azerbaijan, Georgia, Croazia, Argentina, Portogallo, Australia e Sudafrica. Il loro numero in crescita, come pure gli espositori esteri presenti nei saloni speciali Vivit e Vinitalybio rappresentano un’opportunità di conoscere nuovi vini e di entrare in contatto diretto con aziende provenienti dai più importanti Paesi produttori. Ai professionisti della ristorazione e della vendita per il consumo fuori casa, spunti di interesse vengono anche da Sol&Agrifood (www. agrifood.com) ed Enolitech (www. enolitech.it), che si svolgono in
contemporanea con Vinitaly. Novità del Salone Internazionale dell’Agroalimentare di Qualità è il nuovo spazio “Biodiversità e Territori”, un’area tematica interattiva per valorizzare quei prodotti la cui tipicità è espressione della biodiversità del luogo di origine. Un’iniziativa che si aggiunge ai tanti appuntamenti di degustazione con protagonisti salumi, formaggi, birre, oli extravergini di oliva e altri prodotti dell’eccellenza agroalimentare. A Enolitech, oltre alle tecnologie di produzione, in esposizione anche una vasta gamma di complementi di arredo per la conservazione dei vini e di oggettistica per la mescita e il loro consumo. E se gli affari si fanno in fiera, per i wine lover Vinitaly organizza il suo fuori salone nel centro storica di Verona, tra arte, storia e cultura. Nel 2016 sono stati 29.000 gli appassionati del vino che hanno partecipato alle tante iniziative di degustazione, agli appuntamenti culturali e conviviali di Vinitaly and the City. L’evento quest’anno viene allungato da quattro a cinque giorni ed è in programma dal 7 all’11 aprile: sabato e domenica dalle 11 alle 24, venerdì, lunedì e martedì dalle 17 alle 24 (www. vinitalyandthecity.com).
Ligabue Class Reggiano Lambrusco Dop 2016 Cantina Sociale di Gualteri La ricchezza e l’eleganza dell’Emilia in un calice pieno di gusto e di grande personalità: non finisce mai di stupire il Lambrusco Reggiano Doc Ligabue Class della Cantina Sociale di Gualtieri. Anche con la vendemmia 2016 il vino di punta dedicato al grande pittore di casa Antonio Ligabue si riconferma un’etichetta di prima classe, un’ottima interpretazione del territorio in grado di coniugare intensità e raffinatezza con una sorprendente riCANTINA SOCIALE DI GUALTIERI Via San Giovanni, 25 - 42044 Gualtieri (RE) Tel. 0522.828161/828579
cercatezza di profumi e sapori fruttati. Spuma ricca e delicata, grande bevibilità, grande equilibrio e un finale fresco e piacevole sono i tratti più convincenti di questo lambrusco, destinato a primeggiare nella sua categoria dopo gli importanti riconoscimenti ottenuti nei concorsi e sulle guide di settore. Ideale da gustare con paste ripiene, stupisce anche con preparazioni più complesse come anatra all’arancio e arrosti. www.cantinasocialegualtieri.it info@cantinasocialegualtieri.it il Sommelier | n. 1 - 2017 59
a cura della Redazione Centrale
La FISAR al
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Come ogni anno la FISAR organizza un ricco programma d’incontri in collaborazione con la FISAR in ROSA, le DELEGAZIONI, i COORDINAMENTI e il MIPAAF.
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Anche per questa edizione è previsto un biglietto d’ingresso a prezzo ridotto per i soci in regola con la quota 2017 acquistabile tramite le Delegazioni. VINITALY FISAR 210x297.indd 1
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il Sommelier | n. 1 - 2017
FO L LOW U S
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12/10/
IL NOSTRO PROGRAMMA ISTITUZIONALE Il programma potrà subire variazione nelle date, nei temi e negli orari indipendentemente dalla nostra volontà.
DOMENICA 9 APRILE 2017 ORE 14
Il premio 2017 verrà consegnato dalla GIUNTA NAZIONALE FISAR a GIUSEPPE MARTELLI Presidente Comitato Nazionale Vini del Mipaaf
Premio FISAR alla Comunicazione 2017
Interverrà la Presidente Nazionale FISAR GRAZIELLA CESCON. Modera il Presidente della Stampa Agroalimentare Italiana ROBERTO RABACHINO.
Stand MIPAAF – Palco Centrale
Ingresso libero sino ad esaurimento dei posti disponibili
DOMENICA 9 APRILE 2017 ORE 15
Interverrà la Presidente Nazionale FISAR GRAZIELLA CESCON e le produttrici Sala C 1° piano Pad. 10 /Area Centro Servizi “Bra” MARIA CRISTINA ASCHERI, ELENA WALCH, FISAR in ROSA – Wine Tasting / Tavola Rotonda MARIANGELA CAMBRIA, VALENTINA TESSARI, MILENA PEPE e LETIZIA CESANI.
Grandi vini bianchi d’Italia
Modera la giornalista GLADYS TORRES URDAY. La degustazione affidata alla Miglior Sommelier FISAR 2016 – Trofeo Rastal LORENA LANCIA. Organizza la Referente Nazionale FISAR in ROSA LUISELLA RUBIN. Per prenotazioni: luisellarubin@libero.it oppure 347 8202834 Ingresso libero sino ad esaurimento dei posti disponibili Prenotazione obbligatoria.
LUNEDÌ 10 APRILE 2017
Stand MIPAAF – Sala Degustazione
Vini e Vitigni del Territorio
Due presentazioni curate dal COORDINAMENTO FISAR ITALIA NORD OVEST e dal COORDINAMENTO FISAR ITALIA CENTRO. La degustazione dei vini sarà affidata alla Miglior Sommelier dell’anno 2016 – Trofeo Rastal LORENA LANCIA. Ingresso libero sino ad esaurimento dei posti disponibili
MARTEDÌ 11 APRILE 2017
Stand MIPAAF – Sala Degustazione
Due presentazioni curate dal COORDINAMENTO FISAR ITALIA NORD EST e dal COORDINAMENTO FISAR ITALIA SUD E ISOLE.
Vini e Vitigni del Territorio
La degustazione dei vini sarà affidata alla Miglior Sommelier dell’anno 2016 – Trofeo Rastal LORENA LANCIA. Ingresso libero sino ad esaurimento dei posti disponibili
Anche per questa edizione è previsto un biglietto d’ingresso a prezzo ridotto per i soci in regola con la quota 2017 acquistabile tramite le Delegazioni. il Sommelier | n. 1 - 2017
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di Gladys Torres Urday – gladys@torresurday.com
Cucina Slow – Ricettari Slow Food Slow Food Editore
Ci sono libri che per importanza e completezza possiamo definire irrinunciabili. A modo suo, Cucina Slow vuole esserlo: è il ricettario che secondo noi ogni cucina deve avere, il volume che ti guida alla scoperta dei piatti più autentici della tradizione italiana e che ti fa stare ai fornelli seguendo la filosofia di Slow Food Questo ricettario, ricco di approfondimenti e consigli, vi guiderà nella scelta delle materie prime secondo stagione e vi svelerà tutti i trucchi della tradizione per utilizzarle al meglio. Più di 500 ricette per mangiare ogni giorno “buono, pulito e giusto”: in maniera semplice o più elaborata ma sostenibile per il pianeta, per le nostre tasche e per la salute. E in ogni occasione, dal pranzo veloce al menù delle feste.
Il respiro del vino
di Luigi Moio - Editore Mondadori Si parlerà di quel profumo coinvolgente, di quel suo respiro trattenuto, al quale è impossibile opporre resistenza, che anticipa tutto ciò che si sente in bocca subito dopo aver avvicinato il bicchiere alle labbra. Di quel profumo che può essere un effetto del sole di un’alba radiosa o delle nuvole che precedono la pioggia. Di quel profumo che forse è l’aspetto sensoriale più straordinario del vino, perché è anche il linguaggio della sua composizione, della sua storia, delle sue tradizioni, dei territori in cui nasce e dei microclimi che ne accarezzano i giorni. Il vino è la sintesi sorprendente dei profumi di tutto ciò che ci circonda, perché ha nella sua natura più profonda le tracce della terra, dei fiori, dei frutti, delle spezie, del mare, della montagna, del vento, della luce e di tante altre cose che nobilmente rappresenta.
Marketing delle cantine aperte di Donatella Cinelli Colombini - Agra Editrice
Quando è stato inventato l’evento Cantine aperte, nel 1993, i turisti non riuscivano a visitare le aziende del vino italiano, che erano quasi tutte chiuse. Oggi invece il numero di quelle accessibili, tutto l’anno, ha superato le 20.000. Sono aperte dunque, ma sanno offrire, ai visitatori, un’esperienza unica e indimenticabile del mondo del vino? In altre parole sono solo aperte oppure sono diventate wine destination? Il nuovo libro insegna esattamente questo: come portare al successo turistico la propria azienda enologica e come diventare professionisti dell’incoming fra le botti. È un manuale facilmente comprensibile ma densissimo di informazioni su come organizzare il punto vendita e le degustazioni turistiche, trovare agenzie che organizzano wine tour e proporsi in modo convincente.
di Davide Amadei - Credit photo: FotoArte di R.Zucchi, Alessia Bernardeschi e Davide Amadei
MareDiVino Livorno:
da un grande territorio, grandi vini L’evento, ideato ed organizzato dalla Delegazione di Livorno della FISAR, è la vetrina istituzionale dei prodotti di queste zone d’eccellenza, giunta alla Settima edizione, sviluppata al Terminal Crociere del Porto di Livorno, luogo significativo in quanto porta d’ingresso di turisti e consumatori nonché di uscita verso il mondo.
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essuna “crisi del settimo anno” per MareDiVino: si consolida ed aumenta il successo della manifestazione, che ha visto un significativo ulteriore incremento dei visitatori, di coloro che hanno preso il bicchiere per assaggiare i vini dei settanta produttori della Provincia di Livorno e Costa degli Etruschi. Tanti appassionati, molti giovanissimi ed interessati a comprendere, attraverso le parole dei produttori
presenti e dei sommelier, lavoro e territorio che stanno dietro ad ogni bottiglia; ma numerosi anche gli operatori, enotecari, ristoratori e giornalisti di settore. Di nuovo Bolgheri e Val di Cornia, Suvereto ed Isola d’Elba, area del Terratico di Bibbona e Riparbella, con qualche azienda di Monteverdi Marittimo e Canneto: tutti territori segnati dalla vicinanza al mare, che conferisce ai vini sapidità ed equilibrio in un contesto di calore
mediterraneo. L’evento, ideato ed organizzato dalla Delegazione di Livorno della FISAR, è la vetrina istituzionale dei prodotti di queste zone d’eccellenza, giunta alla Settima edizione, il 19 e 20 novembre 2016 al Terminal Crociere del Porto di Livorno, luogo significativo in quanto porta d’ingresso di turisti e consumatori nonché di uscita verso il mondo. MareDiVino 2016 ha raggiunto
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il maggior numero di aziende partecipanti, ben settanta, con la significativa presenza, accanto ai grandi nomi, di molti nuovi produttori, poco noti, che recentemente, con passione e qualità, si sono affacciati al mondo del vino, consapevoli di avere vigneti in aree particolarmente vocate. L’edizione è stata caratterizzata e qualificata soprattutto dal gemellaggio con un’altra grande manifestazione del mondo del vino: il Mercato dei Vini di Piacenza della FIVI, la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti. Si tratta dell’associazione maggiormente rappresentativa di produttori e aziende, ormai quasi mille, che raccoglie coloro che possano definirsi vignaioli nel senso che seguono personalmente tutto il percorso produttivo del vino dalla barbatella all’imbottigliamento. A MareDiVino erano presenti sette produttori, particolarmente significativi ed appassionati (tra i quali l’istrionico Walter Massa, vice-presidente della Federazione) ed il biglietto della manifestazione livornese avrebbe consentito l’ingresso scontato al Salone di Piacenza. A Piacenza, la settimana successiva, è stato poi allestito un tavolo di MareDiVino, al quale due sommelier FISAR hanno servito alcuni vini della Costa degli Etruschi 64
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di produttori appartenenti alla FIVI. Un’altra novità importante da segnalare è stata la presenza dell’Associazione “11 del Vino”, la nazionale italiana di calcio
dei produttori vitivinicoli, che vede proprio in Bolgheri e Val di Cornia il gruppo di giocatori più nutrito: le prime dieci postazioni dei banchi d’assaggio erano
dedicate alle aziende partecipanti all’Associazione, che ha potuto farsi conoscere ed apprezzare. La VII edizione di Rosso Buono Per Tutti, il concorso enologico a giuria
popolare, dove il pubblico degli avventori valuta alla cieca i vini rossi di prezzo inferiore ai 18 Euro, ha visto l’affermazione dell’IGT Toscana Rosso “Fortulla” 2012,
dell’azienda Agrilandia-Fortulla di Castiglioncello, da vigne a picco sul mare. Come sempre, poi, un vero e proprio assalto hanno visto le postazioni dei cinquanta e più produttori di gastronomia di qualità, con la presenza anche di un “norcino” (Battaglia) che ha fatto assaggiare e venduto prodotti delle terre martoriate dal recente terremoto. Particolarmente apprezzati gli stand dei produttori di olio, pochi, a causa dello scarso raccolto della campagna 2016, ma con prodotti davvero di altissimo livello qualitativo. Pieni i vari cooking-show, dalla pasticceria di Loretta Fanella a quella di Alessandro Bianco, dalla presentazione del libro “Pasta Revolution” di Eleonora Cozzella alle creazioni con gli “scarti” della chef Silvia Volpe, dalle preparazioni giapponesi di Eriko Furukawa ai cocktail dell’AIBES. Infine, i primi eventi a registrare il tutto-esaurito sono stati, come al solito, i laboratori per bambini, vero e proprio fiore all’occhiello della manifestazione, in cui alcuni sommelier FISAR e soci Slow Food fanno divertire i più piccoli iniziandoli al gusto, ai valori del “buono, pulito e giusto”, all’uso ed alla valorizzazione degli alimenti. Arrivederci a MareDiVino VIII Edizione, 18 e 19 novembre 2017. il Sommelier | n. 1 - 2017
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Alcuni assaggi a MareDiVino Spumante Brut Aleatico TENUTA DELLE RIPALTE – Un metodo charmat elbano, dell’azienda di Pier Mario Meletti Cavallari nella penisola di Capoliveri, baciata da sole e rinfrescata dal vento, interamente dal vitigno aromatico isolano per eccellenza; è decisamente fresco al naso e in bocca, con fiori rossi e piccoli frutti varietali, con spuma piacevole, godibile, di buona presenza gustativa. Maccetti Terratico di Bibbona Vermentino 2015 DOLCI RICORDI – Unica azienda che ha sede e qualche vigna anche a Livorno, trae le uve soprattutto da zone collinari nell’area di Rosignano Marittimo. Questo bianco piacevolissimo è un classico Vermentino della Costa, senza le pesantezze che in altre zone, a volte, lo caratterizzano; al naso, fine, ha fiori bianchi e mandorla fresca; in bocca ha attacco piuttosto rotondo, bella freschezza e finale tipico, ammandorlato, pulito, certamente non lungo, ma invitante. Singularia Suberetum IGT Toscana Bianca 2015 RENÌS – Blend di Trebbiano, Ansonica, Malvasia, provenienti da una vecchia vigna, recentemente ripresa e rimessa in produzione. Invitante freschezza fruttata al naso, con susina, note tropicali, fiori gialli eleganti, sensazioni di salmastro e iodio; bel volume al gusto, centro bocca sapido, finale appena caldo, ma corrispondente, con lievi note agrumate a completare il quadro aromatico. Un vino che sente il mare. 66
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Val di Cornia Rosso Poggio Miniera 2010 TENUTA DI MONTERUFOLI – Da una vecchia vigna di Sangiovese su un poggio esposto a Sud, in mezzo ad un bosco che in alto ripara dai venti freddi, nella tenuta “costiera” del gruppo del Cerro, viene un vino di gran carattere. Naso poco espresso, con qualche cenno di legno e leggera evoluzione, poi escono spezie e ricordi di terra umida; successivamente ciliegia matura: è in bocca che colpisce per equilibrio, il tannino è ben risolto, fine, ha freschezza e contrasto preciso nel finale, dove legno ed alcol sono ben integrati e le note del sangiovese, tra terra, fiori e frutti rossi, emergono precise ed invitanti. Rebuco Bolgheri Rosso 2011 POGGIO DEI TRAMONTI – 80% Merlot e 20% Sangiovese, di cui il 30% affinato in barrique per 12 mesi, da vigne con molti sassi in alto, in una delle zone più fresche del territorio di Bolgheri e Castagneto Carducci, vicino a Segalari e a Grattamacco, in località Casavecchia. Ha colore carico, intenso, al naso ha note di erba fresca, balsamico fine, frutto rosso maturo, anche mora e prugna; la bocca è rotonda, ma c’è una spina dorsale sapida che regge tutto il sorso e crea contrasto con il netto calore; il finale è ricco, speziato e inaspettatamente succoso, con menta e cenni officinali. Tâm Bolgheri Superiore 2009 BATZELLA – Un’espressione tipica bolgherese, con le note balsamiche fresche ed il frutto nero maturo del sole mediterraneo in connubio con la sapidità che i terreni e il mare sanno fornire
per creare equilibrio. Al naso ha dunque sensazioni mentolate e di eucalipto, mora e liquirizia; in bocca calore, morbidezza, sensazioni marine e iodate sono ben amalgamate con un tannino di grana fine, carezzevole; il legno risulta perfettamente integrato, il finale è pulito, con ritorni balsamici e speziati. Da vitigni Cabernet Sauvignon e Franc, è il top aziendale, dove il nome significa “passione” in vietnamita. Tino Rosso IGT Toscana Rosso 2015 MONTE SOLAIO – Assemblaggio di Merlot (40%), Cabernet Sauvignon (40%) e Petit Verdot (20%), ha colore e naso giovani, netti, vivaci; all’olfatto i cenni vegetali varietali sono ben armonizzati con tanto frutto nero e varie spezie, il calore e la maturità non pregiudicano la finezza; la bocca è tutta giocata sull’equilibrio, è carnosa ma il tannino è netto e preciso, fine; il finale è appena asciugato dall’alcol, ma è comunque ricco di spezie e sensazioni balsamiche, lungo ed inchiostroso. Rezeno IGT Toscana Aleatico Passito 2015 POGGIO AL GRILLO – Una “perla” di questa nuova e piccola azienda di Castagneto Carducci, appassionata di Aleatico: dopo la ricca versione secca (il “Rosatico”) da questo vitigno, ecco il passito, veramente intrigante, con naso tipico, elegante e complesso, di rosa, lampone, arbusti di macchia mediterranea; in bocca è succosissimo, ampio, floreale; ha dolcezza ben contrastata da un tannino lieve e da una sapidità inattesa, che genera una scia finale molto lunga, golosa.
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a cura della Redazione Centrale
Le grandi degustazioni di
Durante Vinoè, il Congresso FISAR tenutosi a Firenze, Stazione Leopolda, si sono tenute varie degustazioni enoiche tematiche di alto livello qualitativo, didattico ed edonistico. Di seguito il resoconto degli eventi, a cura di Davide Amadei, Luca Canapicchi e Giampaolo Zuliani inviati della rivista Il Sommelier.
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Verticale di “Giulio Ferrari” di Davide Amadei Un vino simbolo dell’enologia italiana, probabilmente lo spumante più famoso e più rappresentativo dell’eccellenza del metodo classico della Penisola: il “Giulio Ferrari“, Trento Doc, millesimato della Ferrari-Lunelli, si è mostrato in tutto il suo splendore nella verticale organizzata a Vinoè, sabato 12 novembre 2016. Si tratta della cuvée di punta dell’azienda trentina, che nel 1972 i fratelli Lunelli decidono di dedicare al fondatore, il
lungimirante Giulio Ferrari. Costui era stato un personaggio unico, famoso in tutto il Trentino; coltivava barbatelle e viti per fornirle ai viticoltori. Ancora giovane, si era innamorato dello Champagne e si accorse che in Trentino c’era un clima che poteva essere adatto alla produzione di vini base per spumanti di qualità, con le montagne a garantire freschezza e acidità, fondamentali per la presa di spuma, la sosta sui lieviti e la conservazione. Nel 1902 fonda la propria azienda e imbottiglia i primi vini da alcune vigne a 600 metri di altitudine, in una valle laterale trentina e subito, nel 1906, ottiene per il suo spumante la medaglia d’oro in un concorso enologico. Ma è durante la guerra che comprende l’idoneità all’invecchiamento dei propri prodotti: in quel periodo, mura le cantine, con dentro le bottiglie, per evitare furti, e si ritira nella sua valle d’origine; quando torna, dopo tre anni, trova in cantina vini splendidi, che avevano goduto della sosta in bottiglia, in ambiente idoneo, si erano arricchiti in complessità ed erano ancora freschissimi. Dopo l’acquisto dell’azienda nel 1952 da parte della famiglia Lunelli, con cui Giulio Ferrari continua a collaborare, nel 1972, sulla base dell’intuizione delle grandi potenzialità di invecchiamento dei vini, si individua un vigneto d’eccellenza per produrre la “Riserva del Fondatore Giulio Ferrari”. Ancora oggi è un vero e proprio cru: le uve, 100% chardonnay, provengono tutte e solo dal vigneto Maso Pianizza nel Comune di Trento, a 500-600 m. s.l.m., con esposizione Sud-Ovest che garantisce piena insolazione e ottima maturazione delle uve (del resto, non basta l’acidità per l’invecchiamento, occorre anche la struttura); sono circa 5 ettari, con piante anche di 50 anni d’età, da cui ogni anno vengono prodotte diverse basi-spumante per il “Giulio Ferrari” e poi vengono scelte ed assemblate le migliori. Oltre alla provenienza, la Riserva del Fondatore è sempre un millesimato, per cui risente della natura e delle caratteristiche dell’annata. I fratelli Lunelli in questo vino top ricercano maturità e freschezza, leggerezza e concentrazione, finezza e profondità, modulati diversamente sulla base del millesimo e della sosta sui lieviti. La degustazione di Vinoè ha manifestato proprio queste caratteristiche: capacità di lettura del millesimo, forza ed eleganza, in questo che può definirsi, senza tema di smentita, il più grande spumante d’Italia; l’intuizione di Giulio Ferrari, che nel 1902 aveva individuato nei versanti trentini un terroir adatto a spumanti di alta qualità, risulta confermata dalla forza, anche evocativa, degli spumanti proposti in assaggio. Da segnalare, infine, la particolarità, che ha reso possibile l’emersione di questi elementi: tutti gli spumanti, di diverse annate, anche lontane tra loro, avevano sboccatura recente, e più o meno dello stesso periodo, tra fine 2015 e primi del 2016. 2005 - Annata che ha dato buona maturità di frutto, con vendemmia il 15/20 setttembre; tirage in luglio 2006; sboccatura febbraio 2016. Sono state raccolte uve molto ricche, per un il Sommelier | n. 1 - 2017
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vino lento nella sua evoluzione in bottiglia. Al naso è floreale, c’è mineralità con cenni marini, iodati, anche toni di frutta bianca matura; bocca cremosa, avvolgente, ma di grande freschezza, ficcante, con cenni anche di frutta secca nel finale lunghissimo, maturo, con qualche sensazione di vaniglia, ma comunque ben contrastato. Ricco e intenso. 2004 - Annata più fresca della 2005, con vendemmia a fine settembre; uva con maggior acidità, meno matura. Al naso è molto fresco con tanti fiori, erbette di campo, rinfrescanti note balsamiche; le bollicine sono finissime ma pungenti, è un vino che in bocca entra discreto, in punta di piedi, e poi è tutto in progressione, teso e molto sapido, con finale roccioso e floreale, rinfrescante, con una lieve sensazione amara invitante, finale pulitissimo; uno spumante vibrante, di grande bevibilità, sia pure meno strutturato di altri. Nonostante l’annata più fresca, si è scelto comunque di dosare poco, 2,5 gr/l, per esaltare le caratteristiche del millesimo. 2001 - Annata ottima, con bel tempo costante, per uve equilibrate. Ha veste giallo oro brillante, rilucente. Grande complessità olfattiva, tè e camomilla, frutta secca fine, anche spezie e caramella d’orzo. Al gusto è rotondo all’ingresso in bocca, ha tanto volume che è subito rinfrescato dalla spuma carezzevole, abbondante e finissima; cresce a centro bocca, gessoso, marino, verso un finale che pare cedere ma poi riemerge lunghissimo, ricco, sapido, limpido. Avize e Mesnil sono vicine… 1996 - Sboccatura gennaio 2016. Colore con bei riflessi dorati, al naso ha paglia, note evolutive, intriganti sentori affumicati, anche fungo secco, tutto rinfrescato da intense note di salmastro, iodate; poi escono nocciola e bastoncino di liquirizia, particolari; in bocca ha grande materia, è avvolgente ed eccezionalmente sapido, con impressionante dinamica gustativa; finale con mallo di noce, spezie, pulitissimo, senza alcun profilo asciugante. Annata suadente, vino elegante, di fascino. 1993 - Degorgement di questo spumante a febbraio 2016 (con soli 6 gr./l di zucchero): 22 anni sui lieviti! È stata la prima annata calda in Trentino, con vendemmia precoce, anticipata. Al naso è roccioso, molto minerale, pietra focaia; colpisce per la inaspettata freschezza, 70
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soprattutto delle erbette e dei fiori bianchi; anche in bocca è disarmante poiché sembra il più fresco di tutti, ha sorso teso e tagliente, un lama, con bollicine finissime, carezzevoli; il finale è ricco e complesso, con ritorni marini, anche di zafferano, spezie fini; ha eccezionale equilibrio, con freschezza affascinante. Lascia un ricordo indelebile. Per curiosità: quando questo spumante è stato immesso al consumo, nel 2002/2003, aveva 10 gr/l di zucchero in dosaggio, perché così chiedeva il mercato in quel periodo; ma era un vino più semplice rispetto a quello che è oggi, ricco e complesso, con soli 6 gr/l.
La verticale di Amarone Quintarelli di Davide Amadei È difficile descrivere a parole la degustazione di un vino che è unanimemente riconosciuto come monumento della cultura e qualità della viticoltura ed enologia italiane. È il mito: l’Amarone della Valpolicella Classico di Giuseppe Quintarelli, in quattro annate recenti, 2007, 2006, 2004, 2003, che non ha deluso le elevatissime aspettative. L’azienda nasce ai primi del ‘900 con Silvio Quintarelli che, con i fratelli, coltivava a mezzadria vigneti altrui, a Marano di Valpolicella. Nel 1910 il vino prodotto dall’azienda era già famoso, tanto da essere esportato e venduto in botti da 50 litri negli Stati Uniti. Nel 1924 l’impresa si trasferisce a Ceré di Negrar a 320 m. s.l.m., sul monte Cà Paletta, versante Est della vallata di Negrar. Il figlio più piccolo di Silvio, Giuseppe Quintarelli, chiamato “El Bepi” in dialetto, a manifestare il suo legame stretto con il territorio, entra in azienda negli ani Quaranta, e inizia ad acquistare vigneti, incrementando in pochi anni la proprietà da 2 a 8 ettari, oltre a precisare, tra i primi, le tecniche di cantina per la produzione dell’Amarone. Negli anni Ottanta i vini di Quintarelli sono ormai famosi in tutto il mondo, ma nonostante questo El Bepi innova sempre: nel 1985 decide di impiantare filari di vitigni diversi da quelli classici del veronese (corvina, corvinone, rondinella, molinara), e dunque nebbiolo, sangiovese, cabernet sauvignon e croatina; sembrò quasi un atto di lesa maestà secondo molti, ma ancora oggi nell’assemblaggio è presente un 15% di queste uve (la base è corvina al 50/55%) allo scopo di creare l’assoluta eleganza e la totale armonia senza alcuna prevaricazione di sentori varietali. Nel 1999 prende un’altra decisione fondamentale per l’azienda: assaggia il 1994 e non gli
piace, per cui decide di far uscire l’Amarone solo nelle grandi annate, altrimenti le uve vengono destinate ad altri vini. Quando, nel 2012 viene a mancare, Giuseppe Quintarelli ha ormai infuso nei suoi familiari, in particolare nel nipote Francesco, la passione e la cura estrema dei vini. Si usa un rigore quasi maniacale in vigna, dove negli 11 ettari si fanno 80 quintali per ettaro – ma per l’Amarone solo il 15/30% nei terreni con maggiori concentrazioni di calcare ed argilla tra i 150 ed i 350 m. s.l.m. – e le uve sono raccolte un grappolo alla volta; la cernita in cantina è precisa, rigorosa, accurata. Poi, avviene un lungo appassimento su graticci per cinque mesi, con perdita del 50% in peso delle uve, e a febbraio si pigiano delicatamente i grappoli; ne segue una macerazione estrema, per 70/80 giorni, e poi il vino si affina in botti medio-grandi di rovere per 7 o 8 anni. Ecco che una parola ed un criterio fondamentale dei vini Quintarelli è “tempo”: appassimento, macerazione, elevazione in legno, sosta in bottiglia, sono necessari per ottenere un prodotto di potenza e complessità olfattiva inarrivabili, con un armonia gustativa garantita da una rara sapidità, frutto delle rese per ettaro e per pianta estremamente basse. È il modello di riferimento per tutti i produttori della Valpolicella: alcol e concentrazione, acquisiti dai vini grazie all’appassimento delle uve, debbono essere sempre contrastati dalla sapidità attingibile dalle caratteristiche dei terreni, ricchi di sostanze nutritive minerali. La degustazione è stata magistralmente introdotta e guidata da Andrea Da Ros, esperto Sommelier FISAR e comunicatore efficace del suo Veneto. 2007 - Annata calda, con marzo-aprile bollenti, le piante hanno germogliato addirittura il 3 aprile; poi la temperatura è scesa in agosto, con settembre il Sommelier | n. 1 - 2017
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bellissimo, con escursioni termiche notevoli, fino ad ottobre. Il colore è impenetrabile ma non pesante; l’olfatto è di eccezionale complessità, con incenso, spezie orientali, cenni vegetali eleganti, ciliegia matura quasi sotto spirito, e poi ancora, in progressione e successione, pietra lavica e fiori rossi, pepe e china; bocca di grande avvolgenza, calda ma affusolata, con tannino di velluto ed estrema sapidità, lunghissimo il finale, succoso e speziato, cioccolatoso e fruttato, con eccezionale contrasto sapido-alcolico; l’equilibrio raggiunge l’armonia. 2006 - Germogliamento tardivo, clima freddo fino a fine maggio, poi caldo a luglio ed agosto, senza eccessi, con settembre e ottobre perfetti, ideali, con vendemmia dal 20 settembre. Il colore è molto concentrato; all’olfatto ha netto balsamico, con frutta rossa varia e molto elegante, a bacca piccola, sottobosco, canfora, spezie, eucalipto e foglia d’alloro; la bocca è carnosa, con sensazioni ematiche, ma ha grinta da vendere, decisamente fresca di acidità; ha tannino giovane, croccante, netto, arrembante; finale con arbusti mediterranei aromatici, spezie, menta fresca e ciliegia, irradiante, ampio e succoso 2004 - Annata ideale, di grande equilibrio, con estate 72
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classica, vendemmia a metà ottobre. Naso minerale, grafite e pietra, poi prugna e mora mature, in confettura, note balsamiche e di cioccolato, belle spezie e tanto altro; sontuoso nella varietà ed eleganza dei sentori. Ha una bocca di inarrivabile armonia, con tannino setoso, dolce, centro bocca quasi salato, pieno di frutto rosso, sfaccettato; la struttura è immensa, alleggerita da una succosità penetrante, una prosopopea di potenza ed eleganza; infinito il finale, con un rincorrersi continuo di tabacco dolce, spezie, ciliegia matura, fiori secchi, che non cedono mai. Davvero un monumento alla territorialità della Valpolicella, un assaggio emozionante ed indimenticabile. 2003 - La bellezza di una verticale è proprio quella di mostrare quanto il vino sappia leggere e tradurre le caratteristiche peculiari di ciascuna annata; ed un grande vino deve avere questa onestà e sincerità. Da un millesimo dove il caldo non ha mai ceduto, questo Amarone ha colore ancora vivace, rubino con unghia granata; naso caldo, maturo, con belle sensazioni terrose, inchiostro e grafite, mora in confettura e fiori appassiti, cioccolato dolce, poi eucalipto a rinfrescare; la bocca è larga ma sapida, di grande equilibrio anche se sul finale, impreziosito da note di rabarbaro e china, tamarindo e cioccolato, emerge qualche nota di calore; il tannino invece non risente dell’annata ed è fine, Da segnalare che il vino è stato imbottigliato nel novembre 2012, dopo lungo affinamento in legno e vetro.
Vini del Douro: passato e presente di Luca Canapicchi Nel contesto del Portogallo vitivinicolo, la regione del Douro è quella che, al momento, presenta la maggiore dinamicità. Prende il nome dall’omonimo fiume – Duero in Spagna, sulle cui sponde si trova l’importante Denominación de Origen Ribera del Duero – che scorre da est a ovest, a due terzi circa del percorso entra in Portogallo, si fa strada nella provincia dell’Alto Douro e Tras-os-Montes con un andamento sinusoidale, tra calanchi scoscesi e vigne ripide, in un panorama Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 2001. Sfocia in Oceano Atlantico separando la città di Porto a nord da quella di Vila Nova de Gaia. Il fiume ha legato la sua fama da sempre al celebre fortificato portoghese, il Porto, il cui vino base si ottiene dalle uve vendemmiate proprio nella sua valle. Fino a
venticinque anni fa, la produzione viticola del Douro era interamente destinata alla produzione di vino fortificato. Le ragioni erano sia di carattere economico, che tecnico: sotto il primo profilo, il Porto si vende meglio, ha un mercato più ampio e internazionale, limitandosi il vino del Douro ad un consumo compreso nei confini portoghesi; sotto il secondo, il calore e l’alta presenza di ferro nel terreno assoggettano il mosto al costante rischio di ossidazione, che tradizionalmente veniva scongiurata con la fortificazione. Oggi la situazione è in parte mutata: nel 2014 il 28% delle uve è destinato alla produzione di vino non fortficato. È una zona molto calda, con i monti Marão e Monemuro che la proteggono dai freddi venti atlantici. La media delle temperature massime estive è superiore ai 30° e presenta escursioni termiche variabili a seconda dell’altitudine delle vigne; il corso del fiume agisce da agente mitigante e incanala la brezza, ma riflette la luce di una delle aree più soleggiate d’Europa: la vendemmia inizia nella seconda metà di agosto. Il ricorso alle tecnologie moderne in vinificazione è fondamentale, soprattutto nell’ottica di controllo della temperatura, senza il quale irregolarità in fermentazione e sviluppo di batteri nocivi sarebbero un problema assai grave. Sotto il profilo geologico, il Douro è un territorio eterogeneo, anche perché piuttosto vasto – l’intera denominazione copre circa 42.000 ettari: in prevalenza si riscontrano terreni di scisto argilloso e granito, con il primo più adatto per le uve rosse e il secondo per le bianche. La quasi totalità delle varietà coltivate è autoctona: ben quarantadue uve bianche e una trentina di rosse, quasi tutte neutre aromatiche, e normalmente, quanto meno le bianche, non adatte all’invecchiamento in legno. Tra le uve bianche, da circa una ventina d’anni, è nettamente incrementata la produzione di Rabigato – che ora costituisce circa il 35% tra i vitigni piantati nella regione – che si presta maggiormente degli altri ad un affinamento in legno. L’occasione di scoprire questo territorio ancora poco conosciuto ci è stata data, durante Vinoè alla Stazione Leopolda di Firenze, dall’azienda Quinta Nova de Nossa Senhora do Carmo, fondata a metà Settecento e, dal 1999, di proprietà di Amorim, azienda leader mondiale nella produzione di tappi da sughero. È proprietaria di oltre 120 ettari nella valle del Douro. La degustazione è stata guidata da Jorge Alves, enologo aziendale, con quattro vini in assaggio, due bianchi e due rossi. Un’esperienza assai interessante: la scommessa di fare vini territoriali, identificabili, da una zona in cui ha
sempre dominato Sua Maestà il Porto, è ambiziosa. Le basi ci sono, non resta che augurare a Quinta Nova e agli altri produttori del Douro l’in bocca al lupo. GRAINHA DOC Douro Reserva 2015 - Da uve Viosinho, Gouveio, Rabigato, Fernão Pines, coltivati su terreni principalmente granitici. Le uve sono sottoposte a fermentazione prolungata – circa 1 mese – in acciaio a 10 gradi, quindi passa in barrique usate per 8 mesi, con batonnage nel solo primo mese, proprio per limitare il contatto con l’aria e il rischio di ossidazione. Bel colore paglierino carico, brillantissimo. L’impianto “tecnologico” del vino, e lo sforzo del cantiniere per contenere le sue naturali derive si riconosce al naso con un evidente impatto di solforosa, svanito il quale con una giusta ossigenazione, emerge uno spettro fresco, di cedro e mandorla, e il ferro, minerale, non rugginoso, che è chiaramente individuabile. La bocca fresca e vibrante, molto sapida, con una leggere punta di alcol a metà bocca – 14° la gradazione, ben gestita – e un finale ammandorlato che ricorda la nostra Vernaccia di San Gimignano. Gastronomico, godibile, da rivedere con un annetto la nota amarognola con cui chiude. MIRABILIS DOC Douro Grande Reserva 2015 Selezione di quattro vigneti a circa 600 m di altitudine,
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senza indicare le varietà in etichetta per catalizzare l’attenzione sul terroir; l’altezza delle vigne consente una vendemmia ritardata – siamo al 15 di ottobre – e garantisce un tenore alcolico importante (14,1 Vol) e ben 25g/l di estratto secco. Il vino matura in barrique di rovere francese nuove, ma poco tostate per 12 mesi. L’equilibrio del vino si gioca sull’acidità: essendo un bianco dallo stile internazionale, è necessario mantenere il giusto grado di freschezza per evitare la pesantezza in bocca. Ancora paglierino seppur concentrato, è chiaramente un vino giovane. Il naso è ancora troppo segnato dalle note boisé, e fatica un po’ a uscire la spezia, il pepe bianco, il glicine, la scorza di limone candita; non ci sono sentori di vaniglia, segno che il legno è comunque ben gestito. La bocca si presenta in maggior forma: inevitabilmente segnato ancora dalla tostatura, ha comunque spina acida, lunghezza di beva e un bel ritorno di bocca speziato – noce moscata e cannella – solo in parte coperto nel finale tostato. Avrà modo di farsi, ma appare sulla buona strada. UNOAKED RED DOC Douro Rosso 2013 - Touriga Naciola, Touriga Francesa, Tinta Roriz, Tinto Cão. L’ampia famiglia delle Tourigas è l’uva nera nazionale portoghese, la Tinta Roriz è lo spagnolo Tempranillo. Si tratta di un rosso che nasce per una beva agevole, vinificato e affinato interamente in acciaio e bottiglia, da vigne basse, a 200 metri di altitudine, su suolo scistoso. La scelta di non utilizzare il legno deriva dall’esigenza di evitare troppi travasi – che potrebbero esporre a rischi ossidativi – e far emergere il frutto dato dallo scisto. È peraltro una scommessa dell’azienda, che appositamente ha scelto di produrre un vino fresco e fruttato, in una zona calda: le Tourigas, già precoci, vengono vendemmiate anticipatamente, mentre spetterà alle tardive ma più potenti Tintas il 74
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compito di conferire grado alcolico. Dopo una breve macerazione prefermentativa a 7° di qualche giorno, inizia la fermentazione che dura una settimana, a 22°; non appena inizia il processo di avvinamento del mosto, le vinacce vengono separate, e la massa prosegue la fermentazione in bianco. Rubino acceso, vivace, colorato, al naso il frutto è netto preciso e pulito, sulla ciliegia e sulle erbe aromatiche: ricorda, per certi versi, l’impianto dei nostri Valpolicella. Bocca croccante, semplice ma gustosa, con un’irruenza di frutto iniziale che si allunga sulle erbe aromatiche e una consistente spina acida che facilita la beva e garantisce un apprezzabile allungo. Gran succo, tannino presente ma non graffiante, con ottime potenzialità di tenuta nel tempo. Molto, molto gastronomico. REFERÊNCIA DOC Douro Grande Reserva 2013 - È il vino “di rappresentanza” dell’azienda, il più curato dal punto di vista della cantina, ma quello, tra i quattro, che al momento appare il meno espressivo. Se vogliamo azzardare una definizione eterodossa, il meno portoghese, e il più “spagnolo”. L’uvaggio: al 75% è Tinta Roriz, il resto è una vigna quasi centenaria che neppure gli agronomi aziendali hanno idea di cosa sia composta. Affina per 24 mesi in barrique nuove di Allier, e ne vengono prodotte circa 7000 bottiglie. Rubino carico, evidenti riflessi granati ma ben brillante nel bicchiere, il naso è chiaramente giocato sul volume: la speziatura è di grande impatto, seguita da una nota eterea un po’ forte ma non fastidiosa, poi amarena sotto spirito, vaniglia. Il terziario ancora non presente, ma si farà. La bocca tradisce la natura di “vinone ancora giovane”, tesa, di buona verticalità ma nervosa, e molto segnato dal legno, quindi poco espressivo, al momento. C’è da dire, di positivo, che il gran tannino non ha elementi amari, e che la persistenza c’è, con un bel ritorno iodato e di cola, poco pronosticabile all’attacco di bocca.
I vini d’anfora di Luca Canapicchi Ottima occasione per approfondire una modalità di affinamento in continua ascesa, la tavola rotonda, tenutasi a Vinoè domenica 13 novembre 2016, sui vini in anfora condotta da Alessandro Zago. L’anfora è uno strumento antichissimo per la conservazione e l’affinamento del vino, e costituisce il mezzo tecnico per antonomasia, potendo essere utilizzato per affinare vini prodotti da vigneti condotti
con le più svariate tecniche. Nella comunicazione enogastronomica il vino in anfora viene spesso associato al vino naturale o alla biodinamica: è in realtà un mero dato statistico perché, se è vero che la quasi maggioranza delle aziende che producono vini in anfora conduce il vigneto secondo i dettami della biodinamica, o dell’agricoltura biologica, è altrettanto vero che possono essere affinati in anfora anche vini tratti da uve coltivate convenzionalmente. Si è quindi tentato di analizzare gli effetti di questo formidabile strumento di affinamento, scevrandoci da pregiudizi o condizionamenti inerenti alle modalità di conduzione del vigneto. Innanzitutto, l’anfora non è un vezzo. L’utilizzo dell’anfora, la scelta della tipologia, dei materiali con cui è prodotta, è una scelta consapevole e tecnica, perché pur antico, si tratta di un mezzo utilizzabile secondo i dettami dell’enologia moderna, ed è un mezzo che ha caratteristiche uniche. La terracotta è un materiale poroso, che consente la traspirazione graduale ma senza cedere tannini o composti aromatici; è uno strumento durevole, riutilizzabile all’infinito, che consente una termoregolazione spontanea, e tendenzialmente neutro che tuttavia non presenta l’inconveniente della dinamicità elettrostatica dell’acciaio. È, soprattutto, completamente naturale: non tutte le terracotte sono adatte per produrre anfore ad uso enologico, e circa una decina sono, in Italia, le fornaci che le realizzano, rigorosamente a mano, con l’antica tecnica della colombina, senza collanti, coadiuvanti. Solo pura terra cotta e circa due settimane di lavoro per produrre un’anfora di 800 litri. A differenza che in Italia e in Spagna – nel sud della penisola iberica si utilizzano spesso anfore di 300400 litri – in Georgia il recipiente non ha mai cessato di essere usato: anfore di grandi dimensioni, 20-30 hl, sotterrate, si trovano presso ogni viticoltore, anche amatoriale. In Italia, la prima azienda che, circa dieci anni fa, ha iniziato a riprendere sistematicamente l’uso dell’anfora, è Castello di Rampolla, dopo un attento studio sulle esperienze spagnole e georgiane. Sette i vini in assaggio. 1701 – “Sullerba” 2015 - Vino frizzante prodotto in Franciacorta, da uve chardonnay coltivate in biodinamica. Fermentazione in anfora italiana non a temperatura controllata, lieviti autoctoni, fino a febbraio, quindi imbottigliamento e rifermentazione con l’aggiunta di mosto congelato delle stesse uve, senza sboccatura né dosaggio. Giallo paglierino, opaco; dopo una
notevole ossigenazione il naso si presenta poco pulito, molto vegetale, con note di carciofo, baccello di piselli, e un elemento grasso animale. Meglio la bocca, sapida, particolarmente acida, con un allungo interessante. Rimane comunque l’impressione di un vino non preciso, troppo vegetale. Fricandò – IGT Emilia “Al di là del Fiume” 2015 Da uve albana condotte in biodinamica nell’area di Marzabotto (BO), su terreno ripido e fresco. Le uve affrontano una lunga macerazione in anfora italiana per quattro mesi, e una fermentazione di due settimane. Bel colore, brillante, già dorato; naso lento all’apertura, poi allunga sull’albicocca disidratata, spezie orientali – cumino, coriandolo – latte di mandorle. Nessuna punta di ossidazione e ottima pulizia: dopo un minimo di ossigenazione, scompare anche una sgradevole nota di cetriolo sottaceto, data dalla chiusura. Bocca fresca, viva, sapida, speziata. Cade un po’ nel finale con un allungo di poca personalità ma ottima beva e pulizia. Cos – IGT Terre Siciliane “Pithos Bianco” 2014 Siamo nella Sicilia meridionale, da uve grecanico condotte in biologico con alberelli in zona sabbiosa e pianeggiante, Cos è uno dei pionieri dell’anfora. Usa prevalentemente anfore spagnole interrate. Dorato brillante, grande vivacità, naso carnoso, pepe bianco, zagara, mineralissimo, latte di mandorle e una interessante nota affumicata, che tende al salmastro con l’ossigenazione. Bocca piena, salata, di grande freschezza e con una nota appena tannica precisa e rinfrescante. Ci aspetteremmo più calore, ma al momento sembra assestato sulla freschezza, e ne guadagna l’allungo. Castello dei Rampolla – IGT Toscana Rosso “Sangiovese di Santa Lucia” 2013 - Da uve sangiovese di vari vigneti biodinamici a Panzano, nel cuore del Chianti Classico, svolge una macerazione il Sommelier | n. 1 - 2017
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tradizionale di circa 40 giorni, e successivi 8 mesi di anfora. Lieviti autoctoni e imbottigliamento con un minimo di anidride carbonica disciolta che salvaguarda la micro ossigenazione. Rubino splendente e carico, il naso presenta qualche problema, tardando a perdere una nota sporca iniziale; emergono poi le ciliegie, una punta minerale e i fiori rossi, ma permane una costante stanca, come precocemente evoluta. La bocca è, al contrario, pulita, calda, polposa di ciliegia matura, con la nota sapida tipicamente panzanese, un tannino potentissimo che in parte disturba, ma non vanifica un bel ritorno di frutto pulito. Mulini di Segalari – IGT Costa Toscana “Soloterra” 2014 - Sangiovese da una “Bolgheri di montagna”, sui vigneti della vallata di Segalari, arretrata rispetto al mare, e mediamente più alta. Lunga macerazione sulle bucce, un anno di anfora. Bel rubino brillante, vivace; naso pulito e preciso, sottobosco e eucalipto più che frutto, che comunque riprende nel bicchiere sul ribes e marasca. Elegante e in sottrazione, la bocca è rispondente, compatta e non molto persistente, ha un tannino molto rinfrescante e i frutti rossi si percepiscono a tutta beva, con grande piacevolezza di sorso e pulizia impeccabile. Francesco Cirelli – DOC Montepulciano d’Abruzzo 2015 - Uve da agricoltura biologica, il pigiato fermenta in anfora senza rottura del cappello per limitare l’estrazione; affina nelle stesse anfore per 12 mesi. Rubino scuro, con bella brillantezza, ha un naso fresco, balsamico di melograno e mirtillo, con ancora qualche nota sporca, che scompare dopo una adeguata ossigenazione. In bocca è caldo, il frutto è maturo e croccante – mora, torna il melograno – tannino esuberante come si conviene alla varietà ma ottimamente gestito. Possente in finale, un po’ rustico ma lungo. Casadei – IGT Toscana “Le Anfore di Elena Casadei” 2015 - Syrah da Suvereto, Maremma Toscana, macera per 35 giorni in anfora di stile georgiano, quindi affina sempre in anfora per sei mesi. Rubino scuro, di bella tonalità, al naso è il più in forma della batteria: pulitissimo, il frutto è ben definibile nel lampone e la visciola, poi arriva la speziatura varietale con un pepe nero chiarissimo, ma anche mirto e macchia mediterranea. La bocca è caratterizzata da un tannino esuberante e freschissimo, che accarezza la lingua e una beva floreale, mentolata molto più verticale di quanto pronosticabile al naso. Spina acida a allungare il sorso, perfettamente pulito, è senz’altro il migliore degli otto vini. 76
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I Cacciagalli – IGT Roccamonfina Aglianico “Phos” 2015 - Siamo a Roccamonfina, sul vulcano alle spalle di Caserta, e sulle rocce di lava e sabbia scura, a 350 metri s.l.m. l’azienda conduce biologicamente le viti di aglianico da cui produce il Phos. Rubino carico, brillantissimo; naso curioso, lento a pulirsi: ribes, cola, radici, tamarindo, rosa rossa, fresco. Mi aspettavo più mineralità ma qui giochiamo sul fiore. In bocca è acidissimo, quasi tagliente, con tannino vibrante, ma poi esce il succo, sul frutto e sulla sapidità. Come persistenza mi sarei aspettato qualcosa in più.
Verticale di Caiarossa di Giampaolo Zuliani La manifestazione di Vinoè si è impreziosita Domenica 13 Novembre della presenza di Emilio Mancini che rappresentava, nella figura di responsabile commerciale, l’Azienda Caiarossa che si è resa disponibile a presentare una verticale del loro vino di punta il “Rosso Caiarossa” nelle cinque annate dal 2009 al 2004. L’azienda si trova nel comune di Riparbella (PI) in Località Serra all’Olio, dove la provincia di Pisa “stringe” il territorio della provincia di Livorno tra le colline metallifere e il mar Tirreno. I vigneti aziendali, intorno ai 12 ettari, sono a circa 300 mt sul livello del mare e poggiano su terreni ricchi di sabbie, argille e gabbro, una roccia intrusiva basica comune lungo la costa. Le varietà coltivate rappresentano un intelligente caleidoscopio di tradizione ed innovazione: Sangiovese, Alicante, Merlot, Cabernet franc e Cabernet sauvignon, Syrah, Petit Verdot per le bacche rosse , Chardonnay, Viognier e Petit Manseng per le bacche bianche. Il clima è di stampo mediterraneo con estati calde e secche, autunni miti e poco piovosi, inverni asciutti con picchi di freddo nel mese di Gennaio e primavere nelle quali si alternano giornate calde a giornate piovose segnate dal vento. La collocazione dei vigneti è ottimale poiché ubicati in prossimità della macchia mediterranea che incanala aria fresca notturna durante il periodo pre-vendemmiale. Le densità di impianto si attestano sulle 9000 piante ettaro dalle quale si ricavano una media di 70 q/ha di uva. La cantina, un parallelepipedo rosso di forme classiche che declama con forza la presenza sulla collina, è stata progettata sfruttando l’altezza del volume per gestire
le masse in fermentazione e in affinamento per caduta limitando l’uso delle pompe. I contenitori sono suddivisi tra tini di cemento, per le macerazioni e gli assemblaggi pre imbottigliamento, e l’utilizzo delle classiche barrique. Il Caiarossa rosso è il vino più prestigioso dell’azienda ed è costituito dall’assemblaggio di 7 vitigni diversi in perfetto stile bordolese. Il taglio del Sangiovese e dell’Alicante aggiunge al blend quel tocco di calore mediterraneo. Le annate presentate in degustazione dal 2004 al 2009 sono state analizzate e descritte con precisione e professionalità da Livio del Chiaro, sommelier dell’anno Fisar 2014. Caiarossa 2009 - Il vino veste il bicchiere di un rosso rubino con tracce di porpora, limpido e denso. Il naso è intriso di boisè che si alterna a note di mirtilli neri. Le spezie dolci accompagnano l’analisi olfattiva con decise note di caramello e liquerizia. La bocca, di struttura, dove gioca un ruolo determinante una marcata sapidità, è segnata dal calore avvolgente dell’alcol al quale fa da contrappunto un’acidità rinfrescante. Il finale è segnato da una scia di tannini ancora esuberanti e leggermente ruvidi. Persistente il finale di bocca impreziosito da note delicate di mirto. MINERALE E NERVOSO. Caiarossa 2008 - Il vino si presenta con un colore rubino carico, luminoso e denso. In fase olfattiva si apre con leggere note di fiori e decisi ricordi di spezie dolci con la vaniglia in esubero. Lentamente emergono anche note fresche di eucalipto e incenso. Rimangono in sottofondo leggeri ricordi di piccoli frutti rossi. La complessità olfattiva è impreziosita anche da leggere note ferrose e legni amari. L’attacco di bocca è ampio, avvolgente, ben scandito al centro da una sapidità marcata che gioca con le sensazioni nette di acidità e con un tannino ampio e leggermente asciugante. Il fin di bocca, vegetale con l’emersione di erbette aromatiche, alloro e radici, è persistente e appagante. COMPLESSO E ARTICOLATO. Caiarossa 2007 - Il bicchiere è colorato da note di rubino luminoso e carico. Il naso è letteralmente invaso da spezie dolci esuberanti, avvolte da note di mirtillo ed erbette. Una nota leggera ed elegante di cuoio prelude ad una intrigante evoluzione. Decisamente fine. La bocca è ampia, di struttura, calda a cui fa da contrappunto una scia di succo rinfrescante. Il finale si riprende lo spazio con un tannino asciugante e largo. In retro olfattiva emergono netti ricordi di note mentolate e balsamiche regalando una persistenza decisamente lunga. FINE ED ELEGANTE.
Caiarossa 2006 - Un colore rubino molto luminoso è il biglietto da visita di quest’annata. In fase olfattiva subito emerge una nota delicata di mirtilli avvolti da ricordi di spezie orientali, pepe e cannella. Il corredo aromatico si impreziosisce anche di leggeri rimandi di liquerizia. La bocca è avvolta dalla matrice alcolica e dalla pienezza dell’estratto; il centro bocca riequilibria la parte morbida con note rinfrescanti e sapide. Il finale di bocca è composto, e la matrice del tannino è a maglia fitta. In retrolfattiva emergono note di legni amari, ferro e grafite. L’allungo finale di persistenza è piacevolmente sorprendente. EQUILIBRIO MEDITERRANEO. Caiarossa 2005 - Il bicchiere per la prima volta in questa batteria regala tendenze di rosso granato in una matrice di rubino intenso e limpido. Al naso si avvertono note di ciliegia e piccoli frutti,con note dolci di vaniglia decorate da soffusi richiami di cuoio. È restio nell’aprirsi, leggermente statico . Lentamente emergono note rinfrescanti di menta e un finale di fumo. In bocca si conferma diverso dai predecessori: un minore volume alcolico, lascia repentinamente spazio alla decisa sapidità che risulta lo scheletro portante. Il finale è giocato da sensazioni tanniche a maglia larga. In retro olfattiva le note balsamiche preludono ad una persistenza di discreta lunghezza. GASTRONOMICO. Caiarossa 2004 - L’ultimo campione della batteria regala note luminose di rosso granato. Il naso è ampio e articolato, affascina attraverso profumi terziari di spezie dolci e amare con una nota suggestiva di china. Il corredo aromatico si impreziosisce di sentori ematici e note ferruginose. Bocca ampia, di struttura; l’alcol è perfettamente integrato nel succo acido e nella matrice sapida. I tannini sono esuberanti, a maglia fitta con un finale decisamente asciugante. In retrolfattiva le note di china e legni amari sono protagoniste e preludono ad una persistenza molto lunga. LUNGA VITA. il Sommelier | n. 1 - 2017
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di Valerio Sisti – Giunta Nazionale FISAR
Camillo Langone, cronaca di un’intervista Langone è un fine pensatore, fuori dagli schemi, graffiante, spesso duro, mai scontato. Scrive sul Foglio che fu di Giuliano Ferrara e ora di Claudio Cerasa, scrive sul Giornale, scrive libri, grande appassionato di vino, ottimo conoscitore della materia.
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n anno fa, durante Expo, FISAR presentava allo Slow Food Theater un intervento sul tema vino vegano, una nostra brava relatrice di Alessandria, Serena Pasetti, spiegava cosa fosse il vino vegano e quale condizioni debbano sussistere, affinché una bottiglia possa essere etichettata vegan. FISAR non si era espressa né a favore né contro, aveva semplicemente raccontato, spiegato. Bisogna partire da lì per capire l’invito a Camillo Langone alla Leopolda, dall’interesse che aveva suscitato quel nostro intervento in Expo, tale da richiamare anche le telecamere della Rai, e la conseguente voglia di dar voce a chi la pensa diversamente dai tanti sostenitori della moda vegana. Camillo Langone è arrivato dalla sua Parma verso mezzogiorno, l’intervento era previsto per le 14, c’era tempo per bere un buon bicchiere di vino ai banchi d’assaggio e così è stato. Langone è un fine pensatore, fuori dagli schemi, graffiante, spesso duro, mai scontato. Scrive sul Foglio che fu di Giuliano Ferrara e ora di Claudio Cerasa, scrive sul Giornale, scrive libri, ogni tanto è ospite in tv, è quel che si dice un personaggio pubblico dalla vasta cultura, grande appassionato di vino, ottimo conoscitore della materia. Partiamo con un Boca di quelli giusti, è la giovane e bravissima Silvia Barbaglia che ci fa assaggiare il suo vino di punta. Ci spostiamo nelle Langhe e poi in toscana, giusto in tempo per meritarmi un rimprovero amichevole ma severo: bevo vino senza guardare la 78
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bottiglia, borgognotta o bordolese poco importa, vale il contenuto. Che banale che sono! E Langone me lo fa notare. A me che tutto mi si può dire, ma banale no, la cosa brucia un po’. Ha ragione lui però, la borgognotta è benedettina, di Sacra Romana Chiesa, la bordolese è di origine protestante, tutta un’altra cosa. È pur vero che conta il vino e non il vetro, ma Camillo mi fa notare che di vini buoni fortunatamente ce ne sono tantissimi, non potendoli bere tutti, dovendo quindi fare obbligatoriamente una scelta, perché non considerare anche l’aspetto culturale? Io che in fondo ho sempre preferito la Borgogna a Bordeaux, adesso ho un motivo in più. Saliamo sul palco, il pubblico non è moltissimo ma ce lo aspettavamo, Langone scherza sul fatto che con più di 500 vini in degustazione chi può aver voglia di ascoltare noi due. Invece la voglia c’è e col passare dei minuti il pubblico aumenta. Langone cita il mosciame di delfino, scovato in una ricetta di un libro degli anni sessanta e ora impossibile da trovare perché fuori legge, poi l’oca e le castagne, perché è l’11 novembre e per tradizione “San Martino, oca castagne e vino!”, lui che è cattolico praticante ha bevuto vino, per l’oca e le castagne c’è ancora tempo, ma teme che la moda del momento rischi di impedirgli l’ossequio alla tradizione. Lo stuzzico un poco sulla sua vena passatista, che in realtà condivido pienamente, lui dapprima accetta, ma poi si ribella all’idea, il passato, inteso come tradizioni, varietà di prodotti e cultura va salvaguardato, ma la sua è una
battaglia per la libertà di alimentarsi secondo i propri gusti e desideri, contro le proibizioni settarie, il passato c’entra, ma non è quello il punto. Arriviamo al tema vegan, filosofia che spesso Langone ha attaccato; non si tira indietro nemmeno questa volta e sono dati, pensieri e opinioni espresse con cristallina lucidità. Passiamo dall’utilizzo del letame, vietato come concime vegano, al desiderio di trovare un produttore che ancora chiarifichi con il sangue di bue; parlando di vino ci spostiamo in Veneto per esprimere solidarietà all’autoctono Raboso, soffocato da un mare di alloctono Cabernet. Ogni argomento è toccato con spietata pragmaticità, il
pubblico ascolta attento, annuisce, non può obiettare nemmeno di fronte all’idea che gli allevamenti intensivi siano necessari, perché su questa terra siamo in tanti e se vogliamo mangiare tutti il giusto necessario, anche gli allevamenti devono obbligatoriamente produrre di più. Un’ora passa veloce e la scaletta degli eventi alla Leopolda è molto lunga, ci apprestiamo a lasciare il palco, non prima di aver sottolineato un concetto fondamentale, non vogliamo far estinguere nessun animale, ma quando questo rischio non c’è, vogliamo poter essere liberi di mangiare ciò che ci pare. Applausi.
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di Aldo Mussio
Gli eventi di
Zolla14 Organic Farm Project: le biodiversità che tengono viva la natura Presentata una singolarissima verticale di succhi di mela chiarificati e millesimati.
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inoè” si è dimostrata una fucina di buone opportunità legate oltre che al vino anche al cibo con varie partecipazioni tra gli sponsor e nell’area riservata ai cooking show. Una tra le più particolari è stata sicuramente questa azienda della Marca Trevigiana che ha partecipato come sponsor e ha organizzato una singolarissima verticale di succhi di mela chiarificati e millesimati. Zolla14 opera in regime biodinamico controllato in maniera maniacale dalla proprietaria, la simpaticissima signora Marisa Saggio. Undici ettari di proprietà coltivati per circa la metà con frutteti fino a 60 anni di mele e pesche, e per il rimanente a ortaggi tra cui un importante IGP della zona, il Radicchio Rosso di Treviso Tardivo. La zona dove si svolgono le colture è appunto ricchissima di biodiversità, risorgive, siepi, piante officinali spontanee e fauna domestica e selvatica tra cui le api, irrinunciabili e fondamentali coadiuvanti del lavoro svolto in completa assenza di prodotti chimici. Questo ha spinto a suo tempo la signora Marisa a intraprendere la strada biodinamica dei due preparati, il corno letame e il corno silicio. Due preparati alla base di ogni coltura biodinamica che si rispetti. Il resto lo fa la natura che si mantiene viva e rigogliosa proprio grazie alle tante diversità che la popolano e interagiscono tra di loro. Azienda Biologica certificata ICEA dal 2007, inizia a produrre dall’anno successivo succhi di mela limpidi da 8 diverse varietà. Gli anni successivi saranno un susseguirsi di riconoscimenti nazionali e internazionali 80
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Gli eventi di
nell’ambito appunto delle colture biologiche. La produzione attuale si svolge tra gli otto succhi limpidi da varietà diverse, per arrivare a quelle che sono chiamate Riserve speciali, succo migliorato tramite lungo affinamento in bottiglia di cui dispone di annate a partire dalla 2009, che saranno poi oggetto della degustazione. Aceto di mela, Sidro e una Birra doppio malto con radicchio rosso completano la gamma dei prodotti per un’alimentazione sana che espongono nel loro stand fra i vari sponsor della manifestazione. Trasformazione del frutto in succo e successiva conservazione non prevedono in alcun modo impiego di prodotti chimici. Test di invecchiamento che si protraggono oramai da anni sono la base della conoscenza e del risultato ottenuto. La scelta di processi naturali come la pastorizzazione a bassa temperatura permettono di lasciare inalterato il contenuto nutritivo del loro prodotto senza andare a discapito della capacità di invecchiamento sorretta come per il vino dalla spiccata acidità di alcuni di questi frutti. Parte la degustazione dopo una breve introduzione dell’azienda e iniziamo subito dal succo mono varietale prodotto con mele Granny Smith, una mela dalla buccia verdissima a zero contenuto zuccherino adatta anche a chi soffre di patologie legate all’assunzione di zuccheri. Questa mela ha appunto come caratteristica saliente un’elevata croccantezza e una importante intensità olfattiva. Tre annate in degustazione, la 2014, la 2012 e la 2011. Tutte leggermente ambrate e brillanti in un crescendo di intensità cromatica direttamente proporzionale all’annata. Tutte dotate di una freschezza viva che sostiene benissimo il sorso e spinge la richiesta del successivo. Una bocca che rimane perfettamente pulita grazie alla mancanza di zuccheri e all’alta acidità ma ricca di profumi e di una persistenza elevata. Un sorso gustoso di energia e vita. L’annata 2012 aggiunge ai profumi varietali aromi di lieviti delicati nell’intensità mentre nella 2011 crescono le note evolutive spostandosi verso sfumature più boisé, della cenere e della salamoia e più intensi della buccia di mela. Si passa in sequenza a un blend fatto con varietà Golden Delicius, Imperatore e Fuji, denominato Auro Rosa. Anche in questo caso sono presentate le versioni Riserva nelle annate 2014, 2012 e 2009. Questo blend si mostra con colori dorati più tenui, note vegetali e una leggera tannicità acquista dalla buccia e dal picciolo che vengono spremuti
insieme alla polpa. Come nota generale si tratta di un succo più equilibrato dove le parti morbide, dolci, stemperano l’acitdià del succo. La progressione delle annate si riscontra bene nell’aumentare della scurezza del colore che si mantiene comunque luminoso, brillante, indice di un’acidità intrinseca importante. La 2012 ci regala aromi di miele di castagno mentre la 2009 amplia il suo bouquet con profumi del mondo vegetale cotto mai troppo invasivo e della frutta cotta in forno. Una chiara nota di strudel in un finale davvero intrigante. Si cambia ancora blend per arrivare alla mela Cotogna e alla Renetta del Canada, solo un’annata in questo caso, la 2012. L’intensità aromatica della mela Cotogna è a livelli elevatissimi e assolutamente riconoscibili, i tannini crescono fino a manifestare una leggera astringenza e la freschezza rispetto ai succhi precedenti è più contenuta. Sicuramente il più equilibrato di tutti quelli sentiti anche se a mio gusto la freschezza delle mele Granny Smith regala a questi succhi il piacere della bevuta. Terminata con soddisfazione la degustazione rimane giusto il tempo di fare un salto alla stand per salutare e ringraziare la signora Marisa e non potevo non assaggiare la birra doppio malto a bassa fermentazione al radicchio rosso Trevigiano. Ambrata, con schiuma fine e compatta e lieviti naturali in sospensione e nei sedimenti. Una birra morbida ma allo stesso tempo decisa e corposa che mostra la sua natura amara del radicchio già in ingresso di bocca ma soprattutto nel finale lungo e di buona persistenza. Mai avrei pensato di partecipare a una degustazione del genere. I succhi che normalmente si trovano in commercio sono ben distanti dalla qualità dai profumi eleganti e armoniosi e dal gusto intenso che ho avuto il piacere di provare. L’unico ricordo precedente è legato a dei calici di Sidro bevuti in Normandia che seppur nella loro tipicità si non si accomunano a questi per nessuna caratteristica organolettica. L’esperienza è stata interessante e cercare di analizzare la bevuta con una quantità inferiore di parametri degustativi rispetto a quelli del vino non è stato assolutamente limitante. Un grosso grazie al nostro sponsor che ha accettato la sfida di presentarsi con coraggio in una piazza dove il vino era sovrano incontrastato, sfida da cui è uscito a testa alta con l’interesse dimostrato da una sala che al termine della degustazione era stracolma. Alla prossima signora Marisa! il Sommelier | n. 1 - 2017
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di Sabrina Somigli
Gli eventi di
Gli inabbinabili
I grandi maestri pasticceri toscani sfidano i sommelier FISAR Vinoè è stato anche sfida, durante l’evento più dolce di tutta la manifestazione, dedicato al vino e alla pasticceria.
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olci con bagne alcoliche, frutta, gelato, cioccolata, torte al caffè e chi più ne ha più ne metta. Il trionfo del gusto, la gioia dei golosi, ma con quale vino abbinarli? Abbiamo pensato pertanto di creare un momento
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di provocazione, lanciando una sfida ai sommelier FISAR. Abbiamo chiesto a grandi maestri pasticceri di realizzare creazioni particolarmente complicate per l’abbinamento col vino. E i pasticceri hanno risposto alla sfida con grande
Gli eventi di
entusiasmo, portando in degustazione alcune loro specialità tutt’altro che semplici da accompagnare a vini dolci. A rispondere alla sfida due sommelier di tutto rispetto: Luca Canapicchi e Silvia Porcianello, ai quali è stato affidato l’arduo compito di trovare abbinamenti appropriati, talora anche azzardati. Due ore di dibattito appassionato, un’occasione di discussione divertente e al tempo stesso formativa, che ha coinvolto un largo pubblico nell’assaggio dei dolci e dei vini scelti dai sommelier. Nel dettaglio ecco cosa hanno proposto i maestri pasticceri e le proposte dei sommelier: Loretta Fanella, chef pastry del ristorante Borgo San Jacopo nel centro storico di Firenze, propone un torrone di mandorla aromatizzato al gianduia, al quale è stato abbinato un passito calabrese, il Greco di Bianco di Cantine Lucà. Paolo Sacchetti della pasticceria Nuovo Mondo di Prato, considerato il mago delle Pesche di Prato, cos’altro poteva portare in degustazione se non la pesca di prato? Morbida e profumata pasta brioche, bagnata con l’alchermes dell’Officina Farmaceutica di Santa Maria Novella, e farcita di crema pasticcera. Silvia e Luca hanno pensato ad un abbinamento con il Moscato rosa di Franz Haas, fresco e aromatico, abbinamento inedito e assolutamente divertente
fosse anche solo per l’armonia del colore rosa dell’alchermes e del moscato. Bingo! Poi è la volta di Sergio Dondoli, della gelateria Dondoli di San Gimignano. La sfida qui si fa davvero ardua nel trovare un vino da accompagnare al gelato alla ricotta di pecora con fichi di Carmignano cotti nel Vin Santo. E qui viene fuori tutta l’originalità dei sommelier FISAR nel proporre un Erbaluce di Caluso passito dell’azienda Cieck, servito molto freddo, quasi gelato! E non poteva mancare Claudio Pistocchi, il cioccolatiere fiorentino famoso per Torta Pistocchi. E l’abbinamento è proprio con Torta Pistocchi versione classica, un grande cioccolatino morbido e cremoso, di solo cioccolato fondente. Silvia e Luca ispirandosi al Banyuls, hanno proposto un abbinamento tutto italiano con Anghelu Ruju di Sella e Mosca, molto apprezzato dalla platea. A chiudere Alessandro Bonci della pasticceria Fratelli Bonci di Montevarchi che propone niente meno che il Panpepato di Siena: una prelibatezza fatta di frutta secca, frutta candita, uva passa, amalgamati con miele, liquori, cioccolato e ovviamente abbondante pepe. E qui la risposta è stata con un Romanelli Sagrantino Passito: potenza, persistenza, speziatura. E Vinoè si concluse in dolcezza.
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di Simone Mazzei
I dibattiti di
La viticultura sostenibile Il tema ormai di scottante attualità, tanto caro alla GUIDA SLOW WINE che da decenni istiga e premia quei produttori che ne fanno il loro lifestyle, è la viticoltura sostenibile.
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otto la conduzione di Giancarlo Gariglio, curatore di Slow Wine, due ospiti di eccellenza: Ruggero Mazzilli, agronomo della Stazione Sperimentale di agricoltura sostenibile di Panzano, e Marco Simonit, “Preparatore d’Uva” e fondatore della Scuola Italiana di Potatura. Direi, per gli addetti ai lavori, due personaggi che hanno poco bisogno di essere presentati, bensì ascoltati per il valore intrinseco del messaggio che da molti anni portano avanti, cioè la sostenibilità come valore aggiunto nelle pratiche agronomiche di gestione del vigneto e la metodologia di potatura secondo criteri naturali di ramificazione per curare e prevenire malattie nel vigneto. Secondo Mazzilli un bravo viticoltore dovrebbe agire più sulle cause che sugli effetti delle varie patologie facendo forse “qualcosa in meno” che in più, cioè adeguandosi al “millesimo” e aiutando il sistema ad essere più autosufficiente per rivelare maggiormente il terroir. Invita quindi ad osservare nel suo insieme il territorio nel quale si opera, non diviso da confini di proprietà e da gestioni diverse, proprio come farebbe un insetto ed a considerare il vigneto come un SUOLO con un insieme di piante sopra, e non il contrario, evidenziando così la necessità di rivolgere la propria attenzione alla conservazione del suolo che dice simpaticamente essere insieme alla testa dei viticoltori le uniche due cose che le pratiche agronomiche non possono cambiare! Il termine “sostenibilità”, che inizialmente aveva un valore innovativo, a suo parere è ormai inflazionato 84
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e deve sempre più lasciare il campo alla viticoltura “territoriale” che è l’unica ad avere un rapporto del tipo vasi comunicanti con l’ambiente circostante da una parte escono i veleni dall’altra aumenta la biodiversità, importantissima per l’equilibrio e la stabilità dell’ecosistema vigneto. Simonit ci racconta come da ragazzo la sua osservazione per il mondo vegetale fosse una vera e propria necessità che lo portava a disegnare le piante ed il loro sviluppo naturale; poi gli studi e primi confronti con la didattica e la ricerca che sottovalutavano la sua curiosità e le domande sulle pratiche di domesticazione della vite (potatura) sentendosi rispondere laconicamente che “si fa così da sempre” senza dargli la giusta importanza mentre in Francia ad esempio esisteva già un albo dei potatori formati; in collaborazione con Sirch, il lavoro di preparatori d’uva nasce proprio da questa mancanza d’attenzione da parte della viticoltura italiana per la potatura. Andando ad osservare lo schema di crescita in base alle ferite inferte alla pianta e delle conseguenze riscontrate esaminando tronchi di vite di molti anni hanno messo a punto una metodologia di taglio per migliorare la fisiologia ed allungare la vita delle piante permettendo ai viticoltori di fare produzioni che siano qualitativamente migliori perché perfettamente adattate al clima ed al territorio dove vivono. Quindi la creazione della scuola italiana di potatura e poi in meno di due anni in collaborazione con l’università di Bordeaux anche un corso di laurea
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breve in questa disciplina (chissà perché non con un ateneo italiano?) per far sì che le esperienze fatte potessero essere condivise e “generare altro sapere” partendo proprio dall’aumento di conoscenza e sensibilità del personale che opera nel vigneto; il loro è un vero e proprio lavoro di formazione che li ha portati ormai in molte parti del mondo ed in comprensori viticoli di assoluta eccellenza per insegnare a giovani viticoltori come far accumulare alle piante “del legno vivo e funzionante” senza stressarle con cicatrizzazioni e disseccamenti. Mazzilli che Simonit concordano che resta fondamentale per il futuro della viticoltura italiana la spinta per la ricerca ed all’innovazione ma partendo sempre dal saldo legame con la tradizione conservando inalterato il bagaglio di conoscenze
di più di due millenni di allevamento della vite con tutte le sue particolarità e differenze regionali dalla pergola Trentina all’alberello di Pantelleria ed alle nostre istituzioni di tutela di evitare l’allargamento indiscriminato delle denominazioni senza considerare la reale vocazione viticola dei comprensori ma solo per ragioni di mercato . Infine alla domanda di Gariglio che voleva sapere cosa secondo loro un enoturista dovrebbe chiedere ad un produttore per capire se è “sostenibile” i nostri personaggi ci stupiscono davvero per la semplicità dei loro quesiti perché Mazzilli vorrebbe sapere “se fa l’orto e se gli piace sperimentare nel suo lavoro” mentre Simonit chiederebbe “se tocca le sue piante”, in sostanza se ha un vero ed intimo legame con la terra da cui nasce il suo vino! il Sommelier | n. 1 - 2017
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di Fabio Ciarla
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Vino e sostenibilità,
a Montepulciano il Consorzio del Nobile punta a certificare l’intera filiera vitivinicola Il convegno di apertura di “Vinoè” ha visto protagonista il Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano insieme a Università degli Studi di Roma “Guglielmo Marconi” e “Qualità e Sviluppo Rurale”.
L
a sostenibilità in ambiente vitivinicolo è concetto complesso, sarà forse per questo che il Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano dopo un progetto specifico sulla Carbon Footprint (impronta di carbonio) ha deciso di mirare ancora più in alto e, grazie a partner affidabili e preparati, puntare direttamente ad una piattaforma di filiera, capace di comprendere tutte le diverse anime dell’impatto ambientale. Sono queste le basi del convegno “La sostenibilità nella filiera vitivinicola” che ha aperto gli eventi sul palco centrale di Vinoè sabato 12 novembre alla Stazione Leopolda di Firenze. Sul palco il direttore del Consorzio toscano Paolo Solini, il sindaco di Montepulciano Andrea Rossi, il prof. Umberto Di Matteo del Dipartimento Ingegneria della Sostenibilità dell’Università Guglielmo Marconi, Stefano Biagiotti di Qualità e Sviluppo Rurale e il sottoscritto come moderatore dell’incontro. Per raccontare in sintesi quanto sta accadendo nel territorio di Montepulciano, definizione volutamente ampia e poi capiremo perché bisogna rifarsi al concetto del “prendere gusto” nel senso di provare piacere nel fare qualcosa e cominciare ad apprezzarne i contorni. È quello che dev’essere successo al Consorzio del Vino Nobile che ha dapprima avviato un progetto di calcolo dell’impronta di carbonio – ricevendo importanti riconoscimenti allo SMAU di Firenze e Milano – salvo poi accorgersi
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che le cose fatte bene hanno il diritto e il dovere di essere estese, ampliate, rese più pervasive. Ecco quindi che prende vita il progetto “SOSTENOBIL-ETÀ” che abbraccia con la filosofia del rispetto massimo dell’ambiente non più solo alcuni aspetti della produzione, ma l’intera filiera delle aziende e anche del territorio del Consorzio Vino Nobile di Montepulciano. “Andiamo verso un’idea di ambientalismo sociale – ha precisato il prof. Di Matteo dell’Università Marconi di Roma – in cui preservare anche la biodiversità aziendale. Abbiamo pensato ad una piattaforma collaborativa incentrata su uno spazio web diviso per aree tematiche (innovazione, finanziamenti, ecc.) dove le imprese possano confrontarsi e crescere tutte insieme verso la sostenibilità. Un processo che comprende anche l’analisi delle aziende stesse, messo a disposizione di tutti, anche dei più piccoli che altrimenti non avrebbero accesso a questi strumenti.” Dopo aver ringraziato la FISAR per la possibilità di presentare un progetto così importante in un contesto prestigioso come l’evento Vinoè, il direttore del Consorzio ha poi chiarito anche alcuni degli obiettivi dell’impegno sulla sostenibilità: “Abbiamo già un 1516% di aziende in regime biologico – ha detto Paolo Solini dal palco della Leopolda – e sono dati sempre in crescita, questo fa bene al territorio e alle aziende anche in termini di marketing e promozione. La nostra
I dibattiti di
idea è di arrivare un giorno ad etichette che richiamino concretamente gli sforzi in sostenibilità delle aziende, una specie di marchio di garanzia, fino a pensare in futuro ad una differenziazione dei vini in commercio in base al territorio ma anche al rispetto dell’ambiente nel suo complesso”. Sugli indicatori della sostenibilità si è soffermato invece Stefano Biagiotti di Qualità e Sviluppo Rurale, che ha esaminato nel dettaglio un progetto che comprende la carbon footprint dal vigneto alla commercializzazione, l’uso dell’acqua (da quella meteorica a quella di rifiuto oltre a quella consumata nella produzione), l’aspetto sociale e quindi il lavoro, l’economia e infine la biodiversità. “Non esiste un solo indicatore della sostenibilità – ha detto Biagiotti – per questo è necessario prendere in considerazione le variabili e i tanti indicatori diversi che la compongono”. Un percorso che mira a far diventare la scelta una caratteristica di distretto, da estendere eventualmente anche al resto del territorio di Montepulciano. Come ha spiegato il sindaco della cittadina toscana Andrea Rossi: “Tutto è partito dieci anni fa dall’esempio di un’azienda singola, abbiamo deciso di credere in quella scelta filosofica e dall’idea siamo arrivati oggi
al progetto concreto. Puntiamo a diventare un distretto dove la sostenibilità è diffusa, cambiando le variabili – ha detto il sindaco Rossi – i parametri di studio possono essere applicati tranquillamente anche ad altri settori oltre a quello vinicolo”. Un’iniziativa che vede coinvolto pubblico e privato, anzi diremmo istituzioni che lavorano per il territorio, ma anche l’intervento di finanziamenti importanti come quelli del Piano di Sviluppo Rurale. La forma è quella innovativa della piattaforma online, mentre la diffusione è pensata per essere pervasiva ed estesa, venendo incontro anche ai piccoli e piccolissimi. Il prof. Di Matteo in questo senso ha parlato della capacità di mantenimento della “biodiversità aziendale”, proprio per rinnovare l’invito a pensare al territorio come un insieme di eccellenze, a cominciare dalla Strada del Vino Nobile di Montepulciano e dei Sapori della Valdichiana Senese. Un modus operandi che può portare effetti molto positivi a cominciare dal comparto vitivinicolo, ricordiamoci che stiamo parlando di una delle prime DOCG italiane (1980) che al momento raccoglie circa 400 produttori e 80 imbottigliatori, con un sistema di tracciabilità per le proprie bottiglie di assoluta efficienza. il Sommelier | n. 1 - 2017
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di Sabrina Somigli
La cucina a
Grande cucina
alla Leopolda di Firenze Vinoè è stato anche grande cucina. Poteva una grande manifestazione dedicata alle eccellenze vinicole non includere una parte dedicata al buon cibo?
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el resto cosa sarebbe un vino senza una tavola che lo attende, per essere goduto appieno in convivialità? Ed ecco che tre grandi interpreti
“Vinoè cucina” all’interno della manifestazione. È stata l’occasione per far conoscere al grande pubblico nuove realtà ristorative, ma anche per mettere in
della cucina toscana contemporanea hanno deliziato
contatto addetti del settore, in un unico grande
gli occhi e il palato di sommelier e appassionati,
momento di scambio e trasmissione delle informazioni.
che hanno assistito alla realizzazione di piatti con
Ecco il valore di una manifestazione riuscita.
curiosità e interesse. Domande, osservazioni, contatti
L’accensione dei fornelli nella cucina di Vinoè,
scambiati, ecco il grande valore che ha avuto lo spazio
allestita con grande eleganza e professionalità da
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La cucina a
Berto’s cucine, è stata affidata a Simone Cipriani, lo chef rivelazione del panorama fiorentino, fresco dell’attesissima inaugurazione del nuovo progetto Essenziale. Simone ha proposto un club sandwich alla faraona, una ricetta estratta del menu FastAndCasual, disponibile al ristorante “al banco” in orario pre-teatro. La faraona è brasata con carota, sedano e cipolla; il fondo fatto ritirare viene emulsionato con olio di oliva per creare una maionese alla faraona. Il tutto poi è servito in pane a cassetta tostato con insalata e pomodoro. Poi è stata la volta di Nicola Damiani, chef dell’Osteria di Passignano, fiore all’occhiello della ristorazione nel Chianti Classico fiorentino con la stella riconfermata anche per quest’anno. Nel cuore del Chianti Classico, in un antico convento Vallombrosano, chef Damiani propone con audacia e intelligenza una cucina che ha profondi legami col territorio. Per Vinoè ha proposto un piccione in 3 cotture: petto arrosto, cosce confit e ala fritta, servito con spuma al pistacchio e pera cotta nel vino di Badia a Passignano. E infine Maria Probst, chef bavarese, approdata
alla tenda della Tenda Rossa di Cerbaia, vulcanica, sorridente, piena di energia, che ha conquistato la platea con un piatto di sostanza: le stelline di pasta al cinghiale con melagrana e salsa al cavolo nero. Una versione della selvaggina che sposa un frutto diverso dal solito, la melagrana, natalizia e di buon auspicio, e che si lega profondamente al territorio con l’ingrediente toscano più caratteristico: il cavolo nero.
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di Sabrina Somigli
Fashion a
Il Sommelier veste
Tablecloths Vinoè è stato anche moda! Un momento ludico all’interno della manifestazione, che ha visto sfilare 15 sommelier della delegazione fiorentina in una sfilata molto particolare.
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l palco della Stazione Leopolda si è trasformato in una passerella, in cui a sfilare sono state tovaglie, runner, torcioni, grembiuli, parannanze e molti altri preziosi capi firmati Tablecloths. In molti si saranno chiesti il perché di una sfilata all’interno di un evento dedicato al vino. A guidarci è stato il concetto di eleganza. E in questo contesto lo abbiamo proposto in maniera giocosa. L’eleganza è una caratteristica propria della figura del sommelier, sia nella gestualità dell’aprire una bottiglia
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o versare un vino, così come nel portamento; e in un contesto professionale, l’eleganza del sommelier spesso si sposa all’eleganza di una tavola, che si esprime attraverso il tessuto di una tovaglia, o nelle versioni più contemporanee, l’eleganza di runner o di una tovaglietta all’americana, o addirittura la ricercatezza di certi capi di servizio come ad esempio i torcioni. In questa occasione abbiamo voluto unire questi due aspetti di un unico concetto di eleganza appunto,
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facendo sfilare i sommelier FISAR con le creazioni per la tavola di Tablecloths. Una sfilata assolutamente originale, quasi unica nel suo genere, ma crediamo che sia stato un momento divertente e stimolante. A sfilare in passerella solo sommelier uomini, mentre una giuria di donne sommelier, tra cui Graziella Cescon, presidente nazionale Fisar, e Laura Maggi, segretario nazionale Fisar, ma anche giornaliste e food blogger, hanno votato ed eletto il miglior sommelier apparecchiato. Ovvero quel sommelier che ha meglio interpretato gli aspetti di eleganza nello sfilare, disinvoltura e divertimento, perchÊ non ci dimentichiamo che dietro a una qualunque tavola apparecchiata ci deve essere piacere e ci deve essere divertimento. E un pizzico di eleganza ovviamente. Qui va ancora una volta un ringraziamento a tutti coloro che hanno permesso la realizzazione di questa sfilata: a Massimiliano Parri, creatore del marchio Tablecloths, alla giuria in rosa e un grazie sentito e tanti complimenti ai sommelier che hanno sfilato. Per molti di loro è stata la prima volta su un palco in qualità di modelli, quindi davvero bravi a tutti, eleganti, disinvolti, divertiti e divertenti. PerchÊ il buon gusto si esprime in tante forme. il Sommelier | n. 1 - 2017
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Il primo tappo di sughero naturale al mondo garantito con TCA non rilevabile*
GARANZIA DI ECCELLENZA IL tAppo DEI pIù pREGIAtI vINI AL moNDo La tecnologia NDtech consente un controllo qualità individuale, su ogni singola chiusura per il vino, offrendo il primo tappo di sughero naturale al mondo garantito con TCA non rilevabile*. Un’ulteriore conferma per i viticoltori che si affidano all’eccellenza dei nostri tappi, un’avanguardia che si aggiunge ai già comprovati metodi di prevenzione, trattamento e tutela della qualità che Amorim destina al sommo custode del vino. Per maggiori informazioni su questa rivoluzionaria innovazione nel packaging di settore, vi invitiamo a visitare il sito amorimcork.com.
*contenuto di TCA rilasciabile al di sotto del limite di quantificazione di 0,5 ng/l; analisi effettuata in conformità con la norma ISO 20752.
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QUALITY NEWS “Carpenè & Malvolti” e lo Champagne Italiano Fondata da Antonio Carpenè nel 1868 – il prossimo anno celebrerà ben 150 anni di storia – la Carpenè Malvolti è stata tra le prime aziende spumantistiche nella nostra penisola a produrre un vino spumeggiante, con qualità visive e sensoriali del tutto simili al più famoso prodotto dell’enologia francese, tanto che si fregiò del nome di “Champagne Italiano”. Le uve erano quelle di Prosecco, raccolte sulle scoscese colline di Conegliano e Valdobbiadene e Antonio Carpenè fu il primo a spumantizzarle e a dare il via alla grande e fortunata espansione di questo vino oltre a valorizzarne il vitigno e il territorio di provenienza. Ma Carpenè diede un contributo fondamentale a tutto il comparto enologico del bel paese fondando nel 1876 a Conegliano l’Istituto Cerletti, la prima Scuola Enologica d’Italia. La sua ricerca qualitativa nella territorialità diede l’idea al figlio Etile nel 1924 di modificarne il nome in “Prosecco di Conegliano” per identificarne con precisione la tipologia e la provenienza e ad Antonio, figlio di Etile, di innovare la metodologia di rifermentazione passandola in autoclave. Ed è dovuta alla quarta generazione, rappresentata dall’attuale presidente Etile, la spinta all’ottenimento della DOCG per i 15 Comuni facenti parte di quel territorio di eccellenza. Attualmente, con la figlia Rosanna, prosegue con fermezza il cammino tracciato dal bisnonno, uno dei più importanti uomini che la storia dell’enologia italiana abbia mai avuto. CARPENÈ MALVOLTI S.P.A. www.carpene-malvolti.com
Grenaches du monde 2017: 44 medaglie alla Sardegna
Con un totale di 213 medaglie assegnate si è conclusa la V edizione del concorso enologico internazionale Grenaches du monde, organizzato in Sardegna. Durante la serata “La notte dei Grenaches” organizzata a Cagliari nei locali dell’ex Manifattura tabacchi, sono stati annunciati i nomi dei vini vincitori. I cento giurati del concorso hanno premiato 213 vini tra i 684 campioni analizzati dai 100 giurati. Le etichette provenivano da 8 diversi paesi. Tra i riconoscimenti, 104 sono state le medaglie d’oro, 87 quelle d’argento e 22 quelle di bronzo. All’Italia, a pari merito con la Francia, sono andate in tutto 51 medaglie, di cui 44 alla Sardegna (18 d’oro). Alla Spagna ne sono invece state assegnate ben 108 di cui 55 d’oro. Una medaglia di bronzo a testa per la Macedonia, l’Australia e il Sudafrica. Durante la serata è stato consegnato ufficialmente il testimone per l’organizzazione del concorso internazionale alla Catalogna, che si svolgerà ad aprile del 2018 nella Regione di Terra Alta, zona dove si coltiva il Grenaches bianco. A salutare e ringraziare gli organizzatori anche il vice presidente della Regione Sardegna, Raffaele Paci che ha voluto sottolineare che “…il vino fa parte dell’identità di una regione e il Cannonau è uno dei simboli dei nostri prodotti e quindi attraverso questo e con simili manifestazioni volgiamo promuovere i nostri prodotti dell’agroalimentare in tutto il mondo. Ben vengano quindi manifestazioni come questa”. Con circa 200.000 ettari, è il vitigno con la maggiore superficie vitata nel Mondo. Si trova in Spagna, la terra d’origine (100.000 ha), nel nord del paese, in Aragona, in Castiglia, nel paese basco ed in Catalogna. È anche fortemente impiantato in Francia (90.000 ha), Roussillon, Languedoc, valle del Rodano, Provenza, in Portogallo, in Italia, specialmente in Sardegna e Veneto, in Grecia, in Messico, in Sudafrica, in California, regione di Chaparral, in Cile, a sud di Santiago, in Australia, nella zona di Perth, ecc. All’origine, si trattava esclusivamente di grenache nero. Ma poco a poco si sono sviluppate le forme grigie (o rosate) e bianche principalmente al
QUALITY NEWS momento dell’espansione dei vini dolci naturali. S’intende il vitigno Grenache (rosso, bianco o rosato) e tutti i suoi sinonimi ufficiali: in Italia (ad esempio e non esclusivo: Cannonau in Sardegna, Tai rosso in Veneto, Gamay perugino in Umbria). GRENACHES DU MONDE www.grenachesdumonde.com/it
Eccellenze italiane e filiere corte con l’associazione Foodway
Promuovere la diffusione della cultura enogastronomica italiana dentro e fuori i confini nazionali, valorizzare le eccellenze agricole e ittiche delle diverse regioni, sostenere la produzione e la commercializzazione dei prodotti del territorio attraverso la tutela e lo sviluppo di filiere corte e di alta qualità. Sono gli obiettivi dell’associazione culturale Foodway, nata a fine gennaio per sostenere reti stabili di collaborazione che stimolino la crescita dei diversi territori e il loro appeal nei confronti di consumatori e turisti italiani e stranieri. Il primo evento organizzato dal 17 al 19 marzo a San Benedetto del Tronto (AP) è “I tesori di papà pescatore”, tre giorni di attività dedicate ai tesori del mare Adriatico con incontri, esperienze in acqua e degustazioni. A chi si è allontanato dagli antichi saperi e sapori della terra e a chi desidera riscoprirli è rivolta l’attività dell’associazione, che mira a tutelare i prodotti tipici e le tradizioni regionali, salvaguardare l’ambiente, promuovere il benessere e favorire un rapporto diretto tra produttori e consumatori consapevoli. ASSOCIAZIONE FOODWAY www.foodway.info
Ritorna Chazalettes per salvare una memoria storica del Vermouth di Torino Una storia lunga oltre un secolo, un aperitivo vintage ma di grande tendenza, un’eccellenza tutta italiana che volge lo sguardo al futuro: sono questi gli ingredienti che segnano il ritorno sul mercato di Chazalettes, una delle aziende torinesi più importanti del panorama liquoristico del secolo scorso, fondata nel 1876 e in attività per oltre cent’anni. La volontà della famiglia Chazalettes di riportare in scena questo storico marchio dell’epoca d’oro del vermouth di Torino è diventata una vera “mission” per Francesca Bava, discendente della storica famiglia di produttori piemontesi, che ne ha reso possibile il ritorno sul mercato in un momento positivo per il Vermouth, tornato di gran moda nel panorama nazionale e internazionale. L’incontro “La storia del Vermouth a Torino: Chazalettes”, che si è svolto qualche mese fa presso la caffetteria di Palazzo Madama a Torino, segna l’inizio di un nuovo capitolo di questa eccellenza torinese, che riunisce l’incontro di generazioni, il fascino di un’arte liquoristica antica da riscoprire e il comune impegno nel salvare un’eredità importante per la città ed il Piemonte. Dopo 140 anni dalla fondazione si possono finalmente riassaggiare le ricette storiche Chazalettes a cominciare dal Vermouth Rosso della Regina, dedicato alla Regina Margherita il cui stemma ricorre nelle etichette e dall’Extra Dry, Vermouth che hanno fatto la storia di questa categoria e della città di Torino. CHAZALETTES & Co. www.chazalettes.com
QUALITY NEWS Giovanni Ponchia nuovo direttore del Consorzio Colli Berici e Vicenza Dopo dodici anni di successi al Consorzio Tutela Vini Soave e Recioto di Soave, l’enologo Giovanni Ponchia è stato nominato Direttore del Consorzio Tutela Vini DOC Colli Berici e Vicenza, al posto di Andrea Monico in forza dall’ottobre 2015. La sua nomina porta senz’altro bene al Consorzio che per la prima volta riceve una medaglia d’oro e una d’argento alla quinta edizione del Concorso Internazionale Grenaches du Monde 2017 promosso dal Conseil Interprofessionnel des Vins du Roussillon (Civr) e tenutosi per la prima volta in Sardegna ai primi di febbraio. Premiati col prestigioso riconoscimento sono il Montemitorio Tai rosso Colli Berici Doc 2015 e il Colpizzarda Tai Rosso Colli Berici DOC 2013 dell’Azienda Dal Maso di Montebello Vicentino. Chi ben comincia… CONSORZIO TUTELA VINI DOC COLLI BERICI E VICENZA www.consorzio.bevidoc.it
Sartori festeggia il nuovo wineshop gennaio è stato inaugurato il nuovo wineshop della In famiglia Sartori a Pedemonte di San Pietro in Cariano, in via Campostrini 24, nel cuore della Valpolicella, territorio colmo di storia e cultura, terra di eccellenza vinicola, arricchito nel tempo da itinerari eno-turistici. Un nuovo punto di riferimento dunque della tradizione vitivinicola veronese e non solo, a due passi dalla rinomata città di Verona. La grande novità di questo nuovo wineshop è rappresentata dalla possibilità di degustare i pregiati vini della casa vitivinicola ascoltando la descrizione olfattiva, le modalità di raccolta dei vitigni, le tecniche innovative con cui sono stati prodotti per arrivare al risultato che si annusa e gusta dal bicchiere. Infatti è sta-
ta creata una apposita applicazione su tablet, tradotta in inglese e tedesco per i numerosi clienti stranieri, che permette di ascoltare dalla voce dell’enologo della casa Sartori e di vedere nei video girati in cantina le descrizioni di ciascuna etichetta presente nel wineshop. Novità dunque nel settore, per amplificare l’esperienza dei sensi di questi pregiati vini. CASA VINICOLA SARTORI SPA www.sartorinet.com
Bollicine di Sangiovese in fondo al mare con Tenuta Casali Dalle colline della Valle del Savio agli abissi del Mar Adriatico per celebrare una storia di intraprendenza e coraggio lunga oltre 90 anni: Tenuta Casali di Mercato Saraceno (FC) ha deciso di affinare 200 bottiglie di spumante di Sangiovese “Villa Zappi” in un relitto a cin-
QUALITY NEWS quanta metri di profondità. Il vino riemergerà a maggio, il mese in cui, nel 1924, la famosa missione esplorativa del Dirigibile Italia portò per la prima volta l’uomo a camminare sopra i ghiacci del Polo Nord. A quest’epica impresa, funestata da un incidente in cui persero la vita diversi uomini dell’equipaggio, prese parte anche il capitano di corvetta mercatese Filippo Zappi, che tra tempeste di neve e carenza di cibo, camminò per quaranta giorni tra i ghiacci per raggiungere i soccorsi e guidarli dai compagni feriti. A lui è dedicato lo spumante di Tenuta Casali affinato in fondo al mare dove l’assenza di luce, la temperatura fredda e costante e il moto ondoso garantiscono condizioni ottimali per la maturazione. Il vino è stato portato all’interno di un relitto sommerso da un gruppo di dieci sub del Dive Planet di Rimini, uno dei più grandi centri immersioni d’Italia. TENUTA CASALI www.tenutacasali.it
Tenimenti d’Alessandro vini e vacanze bio
È un azienda stori ca del territorio della Valdichiana, dove da sempre si è cercato di valorizzare al meglio le risorse naturali e paesaggistiche di Cortona per tracciare un percorso di sperimentazione su vitigni che oggi sono emblema e punto di forza aziendali. Nasce da una di queste il successo del Syrah a Cortona quale connubio perfetto fra terroir e vitigno. Nello spirito di salvaguardia ambientale, l’azienda ha iniziato nel 2013 il percorso di riqualificazione secondo principi organici che hanno portato nel 2016 alla certificazione biologica. Tenimenti d’Alessandro è anche un luogo di vacanza dove vivere l’esperienza della vendemmia e condividere con i vignaioli e cantinieri sforzi e soddisfazioni fino alla creazione di un grande vino. TENIMENTI D’ALESSANDRO www.tenimentidalessandro.it
Luzzago confermato presidente del Consorzio Valtènesi È al suo secondo mandato e, insieme a lui, scelti anche i due vicepresidenti, Mattia Vezzola e Fabio Contato. “Il patto di territorio sottoscritto nel 2016 ha prodotto il primo grande risultato della nuova denominazione unica, oggi vigente – ha dichiarato Luzzago -. L’accordo tra i produttori ha creato un nuovo, proficuo clima di fiducia e collaborazione: ora la Valtènesi ha tutte le carte in regola per guardare con ottimismo al futuro, crescere e convincere i mercati”. E a conferma di ciò il rosé della riviera bresciana del Garda è tornato protagonista con il tradizionale “déblocage” della nuova annata 2016 nel giorno di San Valentino, ideale brindisi alla festa degli innamorati. Colore suggestivo, vagamente affine al petalo di rosa, aroma fragrante e floreale ed un gusto che anticipa nel bicchiere la freschezza della primavera: il Valtènesi Chiaretto, vera e propria esclusiva enologica della riviera bresciana del Lago di Garda, torna sul mercato con oltre due milioni di bottiglie (+10% sulla scorsa annata). Questo rosé dalla vocazione antica, deve la sua nascita al Senatore veneziano Pompeo Molmenti, che nel 1896 codificò per la prima volta il procedimento produttivo del Chiaretto, diffuso sul territorio fin dal ‘500 con la denominazione “claretto”. “Si prepara una stagione di grandi eventi in rosa che vedranno il Chiaretto 2016
QUALITY NEWS protagonista di primo piano – annuncia il presidente del Consorzio Valtènesi Alessandro Luzzago - dal 19 al 21 marzo torneremo per il terzo anno consecutivo al Prowein di Dusseldorf, dal 9 al 12 aprile ci attende Vinitaly, mentre dal 2 al 4 giugno è in programma l’edizione del decennale di “Italia in Rosa”, la più importante vetrina nazionale dedicata ai rosé in programma nel castello di Moniga del Garda, città del Chiaretto”. CONSORZIO VALTENESI www.consorziovaltenesi.it
Wine Fashion Night a Verona La moda e il vino si incontreranno a Verona nei giorni del Vinitaly alla Wine Fashion Night, serata di gala organizzata da Italia nel Bicchiere. Domenica 9 aprile i vini di sette vignaioli italiani diventeranno abiti da sera unici realizzati dall’Atelier Judged. Durante la serata, condot-
ta dal giornalista Luca Casadei e dalla showgirl e attrice Melita Toniolo, il ristorante Flora si trasformerà in un teatro di sapori e alta moda con un inedito connubio tra cucina vegana e gluten free, etichette d’eccellenza e abiti prêt-à-couture. Gli abiti, disegnati dalla stilista Carmentea Tsaparopulos ispirandosi a vini prodotti dal Veneto alla Sicilia, sfileranno nel locale tra una portata e l’altra per raccontare in modo originale il fascino italiano. A ispirare le creazioni sartoriali sono stati lo spumante di Malvasia “Monteroma brut” di Vigna Cunial, lo spumante metodo classico “Colletto Blanc de blanc millesimato” di Colletto, l’Offida Docg Pecorino “Aurai” di Paolini e Stanford, il Marche Igt Rosato “Madeleine” de La Staffa, il Lambrusco Mantovano Dop “Rosso Matilde” di Bugno Martino, il Terre Siciliane Igp Syrah “Pargione” di Italiano e il Recioto di Gambellara Docg Classico “Cul d’Oro” di Davide Vignato. ITALIA NEL BICCHIERE www.italianelbicchiere.it
In FAMIGLIA - Le notizie dalle Delegazioni Notizia inviata da Catia Minghi della Delegazione FISAR di Civitavecchia e Costa Etrusco-Romana
VINI D’ITALIA DEL GAMBERO ROSSO 2017
“V
ini d’Italia! Tre decenni di storia dei grandi vini italiani.” Il Gambero Rosso ha festeggiato con estrema soddisfazione la trentesima edizione della Guida Vini d’Italia, contribuendo alle solide basi e all’affermazione nazionale e internazionale del settore vinicolo italiano. La delegazione F.I.S.A.R. di Civitavecchia e Costa EtruscoRomana è stata chiamata a partecipare con l’incarico di fornire il servizio. A Roma presso lo Sheraton Hotel in occasione della degustazione dedicata alla presentazione ufficiale della Guida dei Tre Bicchieri 2017,
sono stati quindi impiegati 55 Sommelier provenienti dalle delegazioni del Lazio, dell’Umbria e della Toscana che, con il coordinamento dalla
delegazione di Civitavecchia e Costa Etrusco Romana, hanno messo in mostra la professionalità che contraddistingue la nostra Associazione.
Notizia inviata dalla Delegazione FISAR “Le due Valli” Cecina (LI)
LA DELEGAZIONE “LE DUE VALLI” FESTEGGIA I NUOVI SOMMELIER
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a Delegazione “Le due Valli”, nella splendida cornice del Ristorante “L’Aioncino”, all’interno della Tenuta Campo di Sasso, circondato da stupendi vigneti, ha organizzato la festa per la consegna degli attestati di 2° e 3° livello. I commensali intervenuti all’evento sono stati guidati, con professionalità e competenza, in un percorso enogastronomico dove ad accompagnare la grande selezione di vini c’era un menù attento a valorizzare i profumi e i sapori della nostra splendida terra. Ad illustrare i vini ed i piatti ha provveduto, con cortesia e professionalità, Martina Caroti Sommelier FISAR della casa,
mentre il servizio è stato curato, con la competenza che sempre li contraddistingue, dai nostri Sommelier Roberto Burgalassi ed Emanuele Costantini che nell’occasione sono stati insigniti del Tulipano d’argento. L’evento, che è stato ufficializzato dal Vice Presidente FISAR Filippo Franchini, con la consegna del Diploma e del Tastevin ha coronato lo splendido percorso formativo dei nostri 4 nuovi Sommelier: Alberto Caroti, Marco Cacci, Marco Costagli e Veronica Segafreddo. Il traguardo raggiunto in questa serata non è assolutamente un punto di arrivo per questi ragazzi ma semmai un punto di partenza per una nuova
esperienza fatta di passione con tante occasioni per divertirsi e crescere insieme.
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Notizia inviata da Silvia Giannassi della Delegazione FISAR Siena Valdelsa
BOLLICINE AL “PALAZZETTO ROSSO”
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ella splendida hall del Palazzetto Rosso Hotel, incastonato nel cuore medievale di Siena, si è svolta una degustazione su 4 importanti vini francesi e italiani guidata dal grande maestro e docente Fisar Marzio Berrugi.Champagne, Cremant de Bourgogne, Franciacorta DOCG e Trento DOC sono stati i protagonisti indiscussi di della serata accompagnata dalla bellezza artistico-architettonica del luogo: un tempo era casa di un antiquario senese oggi un comtemporary boutique hotel.“Trouver l’ introuvable” diceva nel 1985 Alain Thiénot (proprietario di questa Maison independant) che da una semplice idea ha creato un progetto concreto. Uno champagne che negli anni ha saputo valorizzare la creatività di
un vino armonico dove la rotondità e la finezza, riescono a ricordare ogni volta la freschezza primaverile. La serata è iniziata con il Crémant de Bourgogne Pierre Naigeon, un “Brut Prestige” fresco e leggiadro, seguito dal Moser 51.151: perlage fine, note fresche e fragranti con un palato fresco, sapido e persistente. Nella successione è arrivato lo Champagne Thiénot: colore dorato, spuma cremosa, naso potente, lunghezza in bocca dove si susseguono aromi di frutta; il tutto assemblato a formare uno champagne d’eleganza.Alla fine il potente Cà del Bosco Cuvée Annamaria Clementi 2006, con la sua selezione e vinificazione meticolosa e i suoi 8 anni sui lieviti ci dona un profumo di straordinaria complessità, un sapore di eccezionale pienezza e
persistenza.Una incantevole serata supportata anche dalla presenza dell’arte fotografica che con scatti insoliti e “vintage”, realizzati da Jacopo Rossi Napoli, ha regalato ai partecipanti piccoli poetici souvenir.
Notizia inviata da Giuseppe Ianni della Delegazione FISAR di Tigullio e Cinque Terre
VITICOLTURA EROICA
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a Delegazione di Tigullio e Cinque Terre, con sede a Sestri Levante in provincia di Genova, ha ritenuto di aderire con grande partecipazione alla mobilitazione solidale finalizzata alla raccolta fondi in favore delle popolazioni terremotate del Centro Italia. È nata quindi l’idea (grazie alla fattiva e preziosissima collaborazione del nostro Socio Sommelier Emiliano Bixio e del carissimo amico Filippo Parmigiani, che si è adoperato gratuitamente in tutto e per tutto) di organizzare due serate di 114
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degustazione ed approfondimento, aperte a tutti (il 3 e 10 ottobre scorsi), riguardanti la viticoltura eroica, nello specifico di Liguria e Valle d’Aosta. L’iniziativa è stata accolta con entusiasmo da Soci FISAR (non solo appartenenti alla nostra Delegazione, ma anche a quelle di Savona e Varazze), da simpatizzanti ed amici che – presso i Bagni Liguria di Sestri Levante della Socia Sommelier Benedetta Riccomini – si sono ritrovati sia per degustare ottimi e particolari vini liguri e valdostani (Colline di Levanto
Bianco, Lumassina spumantizzata non filtrata,Vermentino Colli di Luni, Rossese di Dolceacqua Superiore,Petit Arvine, Muscat Petit Grain, Torrette Superiore, Fumin, Donnas), sia per saperne di più sulla viticoltura eroica e, soprattutto, per contribuire alla raccolta fondi da destinare ai nostri concittadini terremotati del Centro Italia, ai quali sono stati consegnati tramite alcuni rappresentanti del Comune di Sestri Levante, recatisi in loco. Pertanto, ringrazio tutti di cuore per la partecipazione e la sensibilità dimostrata.
Notizia inviata da Fabio Cabianca della Delegazione FISAR di Venezia
DEGUSTAZIONE SPUMANTI METODO CLASSICO “OPIFICIO PINOT NERO”
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imarrà certamente traccia nel ricordo dei 35 soci della FISAR di Venezia, che erano presenti il 25 novembre 2016 nelle ampie sale dell’Hotel Mercure di Marghera-Venezia, per partecipare alla straordinaria serata di degustazione dei vini prodotti dall’ “Opificio del Pinot Nero” di Marco Buvoli il cui “laboratorio creativo” si trova in località Gambugliano(Vi) sui Colli Pre-Lessini. Durante la serata il produttore ha illustrato ai presenti il proprio progetto di ricerca del “pinot nero perfetto”, per il quale Marco Buvoli concentra
i propri sforzi già nella scelta dei terreni con le migliori caratteristiche micro-climatiche e geologiche in cui impiantare i cloni francesi di pinot nero, potature severissime della vigna per ottenere rese molto basse, utilizzando una vendemmia manuale in cassette quando l’uva ha raggiunto la perfetta maturazione aromatica e polifenolica, ma soprattutto Marco segue un’ enologia rispettosa della terra e dell’ambiente. Durante la serata Marco Buvoli unitamente a Nicola Sabbatini- Degustatore Ufficiale Fisar, hanno condotto l’evento in cui
sono stati degustati sei Spumanti Metodo Classico, prodotti da uve di pinot nero (talvolta assemblati in cuvèe) con lunghe permanenze sui lieviti come: il Brut Rosè “Tre”, il Brut “Quattro”, il Pas Dosé “Cinque”, l’Extra Brut “Super Sei”, l’Extra Brut “Sette”, e lo straordinario Extra Brut “10 e mezzo” oltre al vino rosso Pinot Nero 2011. La serata si è conclusa con un lungo applauso di apprezzamento per i vini presentati da Buvoli e molti sono stati i ringraziamenti dei soci nei confronti della Delegazione che ha organizzato l’esclusivo evento.
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Notizia inviata da Susanna Guerrini della Delegazione FISAR Siena-Valdelsa
A SIENA CONSEGNA DEGLI ATTESTATI DI 2° LIVELLO
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il 24 luglio 2016 e, nella bellissima cornice di Piazza del Campo, la Delegazione FISAR Siena Valdelsa consegna con orgoglio gli attestati di 2° livello ai 26 corsisti che, in primavera, hanno seguito con instancabile interesse e coinvolgimento il corso tenutosi presso l’Enoteca Italiana, a Siena. Il pranzo, organizzato per celebrare il risultato raggiunto, si svolge durante una bellissima giornata di sole al “Liberamente Osteria”, nel cuore di Piazza del Campo. Ospite dell’evento il Delegato Piero Giampaoli della Delegazione di Lucca, attorniato dai rappresentanti della Delegazione Siena Valdelsa: il Direttore del Corso Angelini Giorgio,Bartalini Marco, Cabizza Riccardo, il Delegato Niccolini Vincenzo, Quartesan Massimiliana. Il servizio vini è svolto ottimamente dalle Sommelier Elena Russo (capo servizio) e Assunta Tartarone, che
accompagnano la selezione di vini alle varie pietanze del menù: il prosecco Vie del Conte con la varietà di stuzzichini offerta come aperitivo, Chardonnay 2015 Andrian con i pici alle melanzane e ricotta dura pugliese, Grillo 2015 di Donnafugata con il tonno del chianti e Moscato d’Asti con l’assaggio di torta della nonna e crostata alla marmellata di frutta. A conclusione dell’evento, il Direttore del Corso consegna gli attestati a: Bulfamante Francesco, Ceccarelli Gabriele,
Di Lorenzo Laura, Dzialak Ilona Agnieszka, Fiorentini Giuseppe, Foderi Stefania, Grotti Francesca, Guerrini Susanna, Lattanzio Marco, Limongelli Gian Luigi, Marchionni Carlo, Micheli Davide, Monaco Laura, Monica Michele, Monteleone Pasquale, Parmeggiani Pier Enrico, Ricci Caterina, Sani Roberto, Santini Isotta, Santos Erika, Scorsone Maria, ShabaniArber, Tota Luciano, Valentini Riccardo, Vieri Paolo, Waspi Remo. Congratulazioni ragazzi!!
Notizia inviata da Giorgia Chiopris della Delegazione FISAR di UDINE
I PRIMI SOMMELIER FISAR DI UDINE
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iovedì 20 giugno 2016, presso il ristorante Ai Celti di Gemona del Friuli,
locale gestito dalla Presidente delle Lady Chef FVG Signora Ferigo Marinella, si è svolta la cena di gala per la consegna dei degli attestati ai primi Sommelier Fisar della neonata delegazione udinese. Si tratta di operatori
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del settore ed appassionati, che hanno portato al termine questo faticoso ma affascinante percorso di studi accompagnati dalla guida del Commissario Massimiliano Loca e grazie alla collaborazione del Direttore di Corso Gino Luigi Rosset, della vicina Delegazione pordenonese che ci ha supportato durante tutto il periodo. Hanno ottenuto il Tastevin 15 Sommelier: Bin Cristina, Bello Valter, Calligaro Sylvie, Chieu Claudio, Chiopris Giorgia, Di Biasio
Stefano, Giordano Andrea, Gubiani Marzia, Londero Armando, Poian Marta, Romano Sandra, Simonini Stefania, Tosolini Regina, Tranchi Pino e Verona Lorenzo. L’incontro ha coinvolto anche i partecipanti al corso di I livello ai quali è stato invece consegnato l’attestato di partecipazione per aver superato con successo il primo step del percorso di studi: si tratta di Baiutti Ivan, Battellino Davide, Cargnelutti Fabio, Cargnelutti Luca e Cargnelutti
Marco, Coletti Michael, Dizdarevic Fatima, Dondé Alessandro, Fantini Igor, Graziutti Rafael, Macorig Guglielmo, Maion Riccardo, Melchior Andrea, Miserini Cristian, Pezzetta Vittorio, Pivotti Elisa, Sine De Natal Maricel, Tessaro Jacopo, Tomasoni Francesca, Urban Daniele, Zanier Lenny e Zilli Massimo. Per la delegazione udinese non è altro che il punto di partenza per nuovi e coinvolgenti traguardi.
Notizia inviata da Nilde Galligani della Delegazione FISAR di Piacenza
LA SERATA DI CONSEGNA DEGLI ATTESTATI NELLA VALLE PIÙ BELLA DEL MONDO
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emingway la definì la “Valle più bella del mondo”…. si riferiva alla Val Trebbia. Il noto scrittore americano, corrispondente di guerra al seguito dell’esercito americano, attraverso la Val Trebbia e la Val d’Aveto rimanendone incantato. E proprio fra queste morbide colline sorge l’Agriturismo Casa Nuova di Carlo Pontini che ha ospitato la serata di consegna degli attestati di secondo livello. Piacevole cena con menù tradizionale piacentino accompagnato da vini della zona. Nel corso della serata, oltre alla consegna degli attestati, stato ricordato ed illustrato l’inizio ormai imminente del terzo livello e la prospettiva di avviarne uno nuovo. “Saranno mesi di intensa attività per la delegazione di Piacenza – commenta Sergio Serena, Direttore del Corso – non soltanto partirà il terzo ed ultimo livello per il conseguimento del diploma di Sommelier, ma verrà presentato il nuovo corso in programma per il
biennio 2017-2018”. Ma chi sono i futuri sommelier? 14 donne e 16 uomini. Ed eccoli qua i loro nomi: Antonioni Marco, Arena Amerigo, Basso Lara, Bongiorni Giovanni, Braghi Davide, Brunelli Matteo, Cella Zanacchi Federica, Cesura Miguel, Chiesa Patrizia, Deviletti Giulia, Gioia Antonella, Lazzari Stefano, Magnani Benedetta, Malchiodi Elena, Marzoli Luca, Minali Ilaria, Molinari Alessandra, Palladini Giulio, Piana
Marco, Possenti Laura, Rapetti Paolo, Reccagni Claudio, Savu Marius, Sozzi Vittorio, Terzoni Claudio,Tizzoni Rachele, Valla Giorgia, Villaggi Gloria, Zangrandi Fabio. Alla serata erano presenti Alberta Tiramani, Delegata di Piacenza e Michele Stragliati, Direttore del Corso insieme a Sergio Serena. Erano inoltre presenti i consiglieri di delegazione e numerosi soci sommelier. il Sommelier | n. 1 - 2017
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Notizia inviata da Lara Pradal della Delegazione FISAR di Treviso
SAPORI ITALIANI E ALPINI: A LONGARONE I SOMMELIER FISAR TREVISO
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rotagonisti della tre giorni di Longarone le produzioni artigianali più rinomate del panorama nazionale e i sommelier di Fisar Treviso. Si è aperta così, il 1 ottobre scorso, la 16a edizione di Sapori Italiani e alpini a Longarone, importante centro fieristico del Bellunese alle porte di Cortina e delle località sciistiche dolomitiche più rinomate. Ampio e vario il pubblico che vi ha partecipato, dagli operatori di settore agli appassionati, accumunati dalla volontà di conoscere le nostre tipicità agroalimentari e, perché no, anche vitivinicole. Fondamentale
la collaborazione con Fisar Treviso che ha avuto il piacere di ospitare, in un area appositamente dedicata alla nostra associazione, tredici cantine provenienti dai territori veneto e trentino. Numerose le occasioni offerte agli appassionati di partecipare agli incontri di degustazione guidati da esperti docenti Fisar e con l’impegno di numerosi sommelier. In degustazione i vini delle cantine presenti in un ampio calendario di appuntamenti. “Autoctono... non lo conoscevo” per scoprire due dei vitigni autoctoni più diffusi nel territorio del trevigiani: Verdiso
e Manzoni Bianco. “Trento Doc e Prosecco DOCG: uguali ma diversi” in cui si è dato rilievo in particolar modo al metodo di spumantizzazione e per concludere “Torchiato di Fregona: il Vin Santo di casa nostra” per conoscere un vitigno, un vino, un territorio di qualità Garantita. “Felice di aver partecipato a questo evento – afferma il Delegato Roberto Donadini – perché accanto alle eccellenze dei prodotti agroalimentari italiani abbiamo potuto affiancare la qualità di Fisar con la professionalità dei nostri sommelier”
Notizia inviata da Laura Grossi della Delegazione FISAR MILANO
SUA MAESTÀ L’AMARONE DI CANTINE MANARA
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a oltre sessant’anni Cantine Manara rappresenta una delle aziende vitivinicole più radicate del territorio veneto grazie alla rinomata produzione di vini nel cuore della Valpolicella classica. Abbiamo avuto l’opportunità di degustare i suoi grandi Rossi, accompagnati dai produttori stessi – Davide e Riccardo Manara − nel corso della serata che FISAR Milano ha organizzato lo scorso giovedì 26 gennaio. La famiglia Manara coltiva e vinifica le proprie uve dal 1950 portando avanti la propria tradizione vitivinicola con passione ed esperienza da
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tre generazioni: i circa 11 ettari di vigneto si estendono nella fascia collinare della Valpolicella classica nei comuni di San Pietro in Cariano, Negrar e Marano di Valpolicella tra i 100 e i 250 metri di altitudine su suoli di tufo basaltico. I vini prodotti nascono dalla premessa che “bisogna rispettare le caratteristiche del terroir per realizzare vini riconoscibili” e in tal senso
le uve vendemmiate da zone diverse sono sempre vinificate separatamente. Accompagnati da salumi e formaggi tipici dell’azienda Corrado Benetti – quali Soppressa classica, Monte veronese vecchio e Lardo con scannello – la serata ha visto in degustazione Valpolicella Classico 2015, Valpolicella Superiore “Vecio Belo” 2014, Valpolicella Classico Superiore Ripasso “Le Morete”
2014 e l’Amarone della Valpolicella Classico “Corte Manara” 2011 a cui è seguita una Verticale di Amarone Postera (Annate 2010, 2005, 2000; la cui zona di produzione è un particolare vigneto situato sulla sommità della collina in località Mirabele con l’esposizione al sole per tutto l’arco della giornata) per chiudersi con il Recioto della Valpolicella Classico “El Rocolo” 2012.
Notizia inviata da Laura Grossi della Delegazione FISAR MILANO
UNA PASSEGGIATA NELLE CATTEDRALI SOTTERRANEE DI CANELLI
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rendere unico il territorio di Canelli è il sottosuolo dove hanno sede le “Cattedrali Sotterranee”. Si tratta di Cantine Storiche a costruzione ipogea che si snodano per chilometri in un dedalo di tunnel, gallerie e sale scavate tre secoli fa sotto il centro storico cittadino ed è qui che nel 1850 Carlo Gancia diede vita al primo spumante italiano, l’Asti. Tra le più famose Cattedrali del Vino vi sono quelle di Cantine Bosca che FISAR MILANO ha visitato lo scorso Sabato 28 gennaio nel corso di una giornata dedicata alle eccellenze del Monferrato. Storica famiglia di Canelli che ha prodotto e commercializzato il vino dal 1831 fino ad oggi a Canelli, Cantine Bosca – giunta ormai alla sesta generazione – è tra le poche aziende spumantiere ancora in mano alla famiglia fondatrice. Nella nomina a Patrimonio dell’Umanità UNESCO ai “Paesaggi Vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato”, inoltre, le Cantine Bosca sono state specificatamente menzionate come sito di merito
in un territorio con indiscussa capacità di eccellenza, storia e tradizione. La nostra passeggiata sotterranea è stata allietata da proiezioni, installazioni e ologrammi creati da Eugenio Guglielminetti – scenografo, scultore e pittore – che ha ideato un percorso multimediale che sposa l’austerità della tradizione con la passione per il futuro e per l’innovazione.
Coniugando oggetti simbolici, luci e musiche, viene infatti spiegata la storia della Famiglia Bosca e quella del loro Spumante Metodo Classico “La riserva del Nonno” (30 mesi per l’affinamento in bottiglia e un remuage realizzato rigorosamente a mano sulle pupitres) che abbiamo potuto degustare e apprezzare al termine della visita guidata.
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Notizia inviata da Cristina Tabacchi della Delegazione FISAR Verona
FISAR VERONA, DA 40 ANNI INSIEME
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er celebrare i quarant’anni di attività Fisar Delegazione di Verona ha organizzato due importanti appuntamenti. Il primo, ospiti della cantina “Bertani Domains”, è stato un vintage tasting dedicato a due vini eccellenze del nostro territorio: Amarone e Sfursat. Ad introdurre le degustazione l’Ad della cantina Bertani Domains, Emilio Pedron, e il direttore della cantina Nino Negri, Casimiro Maule che ci hanno illustrato le rispettive filosofie produttive. Accompagnati dalla ricca e professionale dialettica del noto giornalista e blogger Angelo Peretti, l’Amarone delle annate 2008, 1998, 1981,1978, 1967 e lo Sfursat 5 stelle delle annate 2011, 2009, 2002, 1999, 1997 si sono sfidati e, disvelandosi, ci hanno fatto capire cosa significhi parlare di grandi vini. Ospite d’onore la nostra Presidente Graziella Cescon, a testimoniare
l’importanza e l’orgoglio di appartenere alla grande famiglia Fisar. Questa giornata è stata perfetta anche grazie alla collaborazione del delegato di Vicenza Andrea Fabio e alla professionalità dei nostri sommelier. Il secondo appuntamento, presso la nostra sede, ha visto la premiazione, da parte del delegato Ugo Bonalberti, dei sommelier con
più anni di servizio. È stato un momento di festa e emozioni ma soprattutto un momento per stare insieme e condividere, attraverso foto e filmati d’epoca, alcune tappe fondamentali del cammino che ha portato la nostra delegazione a crescere e a svilupparsi sempre all’insegna della professionalità, della passione e della conoscenza.
Notizia inviata da Cristina Tabacchi della Delegazione FISAR Verona
CONSEGNA ATTESTATI NELLA DELEGAZIONE DI VERONA
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uest’anno il rituale incontro per gli auguri per le festività 2016 è stato festeggiato presso l’azienda agricola “Sandro de Bruno” di Montecchia di Crosara. Il pranzo, che ha visto la partecipazione di numerosi soci, si è concluso con il suo momento più atteso: la consegna di attestati di
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primo e secondo livello e per i neo sommelier. La delegazione dà il benvenuto ai nuovi colleghi e si congratula con gli aspiranti sommelier; coglie l’occasione per ringraziare i direttori di corso, Gianni Vincenzi, Elsa Menegolli, Lorella Menegolli, che li hanno guidati in questo meraviglioso cammino.
Ai Sigg. Soci Loro Indirizzi
Prot. Nr. 58
Asciano, 13 febbraio 2017
51ª EDIZIONE
Oggetto: Convocazione in Assemblea del 7 maggio 2017. I Signori Soci sono invitati a partecipare alla Assemblea Nazionale ordinaria che avrà luogo alle ore 19:00 del giorno 6 maggio 2017 presso l’Hotel Plaza e De Russie – piazza D’Azeglio,1 - 55049, Viareggio (LU) – Tel. 0584 44449 ed occorrendo in seconda convocazione alle ore 10.00 del 7 maggio 2017 nel medesimo luogo per discutere e deliberare il seguente:
VERONA 9 -12 A P R I L E 2017
ORDINE DEL GIORNO
1. 2. 3. 4. 5.
Saluto e relazione del Presidente Nazionale. Nomina del Presidente e del Segretario dell’Assemblea. Lettura del bilancio consuntivo e della relazione al 31 dicembre 2016. Lettura della relazione del Collegio dei Revisori. Approvazione della relazione e del bilancio consuntivo al 31 dicembre 2016 e delibere conseguenti. 6. Varie ed eventuali.
Cordiali saluti
A WO R L DW I D E PA SSI O N S I N C E 19 6 7 I N G R E S S O R I S ERVATO A D O P ER ATO R I D EL S E T TO R E
V I N I TA LY@V ERO N A F I ER E .CO M V I N I TA LY.CO M
P R E M I O E N O LO G I CO
Graziella Cescon Presidente nazionale Fisar
INTERNA ZIONALE
G R A N D TA S T I N G F i n e s t I ta l i a n W i n e s Ve ro n a , 8 a p r i l e 2 017
V I N I TA LY 3 1 m a r zo - 2 a p r i l e 2 017
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Anno XXXV - Numero 1 - 2017 - Dir. Resp. Roberto Rabachino - Reg. Trib. Pisa n. 21 del 15.11.1983 - Lg. 47/1948
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