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XXVIII - Numero 3 - Maggio-Giugno 2010 2010 AnnoAnno XXVIII - Numero 5 - Settembre-Ottobre
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speciale
Veneto
Dott. Gianni Zonin
ComuniCazione istituzionale
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Peccato che il vino non si possa fisicamente accarezzare - Roberto Rabachino L'opinione di Marcello Masi
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In famiglia
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La Segreteria Comunica
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ENOGASTRONOMIA • TURISMO • CURIOSITà
Il Raboso del Piave: un’interpretazione al femminile Luisella Rubin
Calabria enogastronomica: tipicità mediterranea Saverio Scarpino
I terroir del Barbera - Lorenzo Tablino
Il Moscato di Scanzo DOCG - Roberto Vitali
Una bevanda che ama la compagnia - Enza Bettelli
La terra del vino dei re - Giancarlo Roversi
Diario di un viaggio: il mito della Borgogna - Davide Zanette Le notizie di enogastronomia e turismo a cura della redazione di Quality ADV Cantine Nicosia: dall’Etna a Vittoria la Sicilia del vino che guarda al futuro a cura della redazione di Quality ADV Cibo e territori protagonisti al Salone Internazionale del Gusto - Luca Bernardini
speciale
sommario
L’opinione del Presidente
Veneto
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19° Merano International WineFestival - a cura della redazione di Quality ADV Stelle del Piemonte - Una squadra di grandi Chef - a cura della redazione di Quality ADV SCIENZA • TECNICA • APPROFONDIMENTI
Anteprima dei vini di Bolgheri - Virgilio Pronzati
Il grande dei vini Toscani: il Vin Santo Luca Iacopini e Massimo Bracci
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Il senso della verità e dell’informazione
Presidente Vittorio Cardaci Ama
per comunicare con il Presidente: presidente@fisar.com
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n fatto che dovrebbe destare una certa preoccupazione collettiva, avvenuto in questi giorni, mentre scrivo, ma per voi che leggete è datato luglio, non ha avuto la diffusione che merita attraverso i mezzi di comunicazione/informazione, mi riferisco alla vicenda della semina illegale di mais transgenico in Provincia di Pordenone; in pratica uno o forse più agricoltori, sembra, che abbiano seminato del mais transgenico, compiendo una grave violazione della legge in quanto un Decreto Legislativo (il 212 del 24 aprile 2001) prevede, tra l’altro, che la semina di piante geneticamente modificate debba essere appositamente autorizzata e in mancanza di tale necessaria quanto preventiva autorizzazione s’incorre a pesanti sanzioni quali la pena dell’arresto da sei mesi a tre anni o a un’ammenda fino a 51.700 euro. Tali disposizioni di legge mirano a garantire i prodotti dell’agricoltura così detta convenzionale dalla contaminazione con quelli transgenici onde evitare danni all’ambiente, oltre che all’Uomo, perché è bene ricordare che ancora oggi non abbiamo prove sufficientemente convincenti che gli alimenti provenienti da prodotti geneticamente modificati non abbiano “controindicazioni” sulla salute, così come non si conoscono le conseguenze sulla nostra agricoltura che potrebbero in futuro rivelarsi molto gravi. E pensare che l’Italia è anche il maggiore produttore di alimenti provenienti da agricoltura biologica; anche se sarebbe proprio il caso di fare una precisazione: è troppo generico e fuorviante il termine “biologico”, come quando cerchiamo di distinguere l’acqua “naturale” da quella frizzante, come se la seconda fosse “innaturale”. Forse un termine più appropriato potrebbe essere quello adottato in alcuni Paesi, tipo “agricoltura organica” oppure “agricoltura ecologica”, in quanto mettono in evidenza i principali aspetti distintivi dell’agricoltura biologica, ovvero la conservazione della sostanza organica del terreno, l’intenzione originaria di trovare una forma di agricoltura a basso impatto ambientale. Infatti la filosofia che sta dietro a questo modo di coltivare le piante e allevare gli animali non è unicamente legata all’intenzione di offrire prodotti senza residui di composti chimici di sintesi, pesticidi e diserbanti, garantendo così alimenti privi di qualsiasi residuo tossico, ricchi di qualità nutrizionali e gusto, ma anche alla fondata volontà di non determinare impatti negativi sull’ambiente a livello d’inquinamento di acque, terreni e aria. Se tutto questo è vero allora dobbiamo pretendere il diritto alla verità in quanto consumatori a cui vengono venduti i prodotti alimentari, così come gli agricoltori che li forniscono devono anche garantire la “qualità edibile” su cui è fondata anche la
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qualità della vita di tutti e pertanto è un nostro diritto, così come un dovere di chi è preposto al controllo, comprendere se la qualità delle sementi così come la qualità delle tecniche alle quali gli agricoltori dovrebbero essere abituati ad applicare sulla base di una sorta di senso comune che deriva dalla tradizione erudita del passato, siano produttrici di vita vera, di autenticità: se il grano è ancora oggi tale e quale a quello consumato dai nostri padri e se le nostre mucche siano ancora tali e via discorrendo. Non vorrei che si pensasse a quesiti gravidi di retorica: vogliamo la certezza che tutto ciò che viene messo a dimora, che germoglia o che viene allevato sia realmente espressione dell’esemplare originale che è stato al centro dello sviluppo e della cultura da parte degli agricoltori per secoli. Oppure qualcuno ci deve dire se qualcosa è cambiato. E se sì, cosa è mutato? È importante poi ricordare che l’agricoltura biologica è quella che l’uomo ha utilizzato ancor prima che l’industria chimica inventasse i fertilizzanti, le sostanze azotate e i fitofarmaci. In ogni caso, da un punto di vista energetico, l’agricoltura biologica è comunque meno dipendente da idrocarburi, contribuisce alla fertilizzazione continua dei terreni anziché favorire processi di desertificazione come nel convenzionale (i quantitativi di fertilizzanti sono in costante aumento a parità di resa) e sopratutto cosa più importante “il biologico” tutela la biodiversità dell’ecosistema ambientale. Come ho avuto modo già di dissertare in un altro mio precedente scritto, non va però dimenticato il problema della fame nel mondo che non dipende da un’insufficiente produzione agricola bensì da un’iniqua distribuzione di essa. Anzi nei paesi occidentali ogni giorno vengono buttate quantità inimmaginabili di derrate alimentari. In realtà è l’attuale sistema di produzione agricolo intensivo che nel lungo ciclo, a causa anche degli ingenti consumi d’idrocarburi per la coltivazione e per il trasporto dei beni da una parte all’altra del globo, a non essere sostenibile. L’agricoltura biologica nasce da un differente schema culturale, critico verso il classico sistema produttivo, e come tale deve essere analizzato presupponendo un cambiamento che va ben oltre l’utilizzo o meno di fertilizzanti di sintesi. L’agricoltura biologica su scala industriale, che si limita a seguire il disciplinare di produzione per ottenere la certificazione e l’etichetta senza rispettare il principio dell’auto pianificazione, appare un controsenso a chi lo vede come inscindibile dal concetto di biologico. Mi congedo augurando la consueta serenità e che il vostro calice sia sempre colmo.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Rivista di Enologia, Gastronomia e Turismo
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Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
25,00 per 6 numeri
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Peccato che il vino non si possa fisicamente accarezzare
di Roberto Rabachino
per comunicare con il Direttore: direttore@ilsommelier.com
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Il vino è tra i prodotti di consumo il demarcatore di contesto per eccellenza, associato - più degli altri ad insiemi ricorrenti di elementi sociali, situazionali e culturali
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ggi la rappresentazione d’uso del vino può dar stimolo in particolare a due letture speculari: una che sfrutta l’immagine tradizional-culturale del bere, mirando ad associare tale pratica a momenti di relax, ai piaceri della tavola, della tradizione; l’altra si presta come stimolatrice di nuovi piaceri sovversivi, ribelli, disinibiti facendosi carico dell’istanza di divertimento, trasgressione, libertà. Quest’ultima lettura naturalmente errata ed estrema. Terreno comune a queste interpretazioni è la nostra cultura, una cultura del bere dalle radici antiche, intessuta di elementi mitici e misteriosi, e per questo luogo privilegiato di costruzione di mondi ideali nei quali riordinare l’esperienza, definire gli eventi attraverso anche la ricerca di una estetica del vino e della possibilità della sua misurazione estetica. Riprendendo un’analisi sviluppata da Luigi A. de Caro si può affermare che la prospettiva dell’estetica entra in scena non appena il vino viene considerato non già una mera cosa (un puro oggetto di natura, un prodotto chimico),
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né meramente un alimento, o un farmaco, o una merce, ma un oggetto estetico, cioè un oggetto dotato di valore estetico. L’atto che mira a cogliere e misurare il valore estetico del vino è la degustazione, consistente nel valutare le qualità estetiche dell’oggetto, mediante un esame delle sensazioni visive, olfattive, gustative, tattili, che esso può offrire. Della degustazione, intesa come ricerca e fruizione del valore estetico, vengono distinte due forme: una forma emotiva, mirante al godimento emozionale, e una forma giudicativa, mirante al giudizio, alla conoscenza del valore. Naturalmente, non è necessario fare il giudice per assumere il vino come oggetto estetico. Un oggetto estetico deve lasciarsi apprezzare per le proprie qualità di limpidezza, trasparenza, struttura, equilibrio, calore, armonia, eleganza e possibilità di condivisione. Poiché il vino mostra, esibisce, questi valori è un oggetto estetico che spiritualmente ognuno ha la possibilità di “accarezzare”.
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5. - 8.11. 2010 Kurhaus
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GRAPHICS & DESIGN
www.meranowinefestival.com
di Marcello Masi Vice Direttore TG2 RAI e responsabile rubrica Eat Parade
L’Italia è nel piatto e nel bicchiere
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Nel mondo 3 prodotti di tipo italiano su quattro sono falsi, con un danno di decine di miliardi di euro ogni anno
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l simbolo della nostra identità nazionale è il cibo. La notizia arriva da un sondaggio commissionato dalla Coldiretti in occasione dei festeggiamenti per i 150 anni dall’unità d’Italia. Per il 50 per cento degli intervistati le prelibatezze enogastronomiche dello stivale rappresentano il simbolo di maggior successo del made in Italy. Seguono l’arte e la cultura con il 24 per cento delle preferenze, la moda 11 per cento, fino ad un 2 per cento riservato al calcio. Al di là delle suggestioni positive legate alla buona tavola che rallegrano la vita di tutti il comparto enogastronomico anno dopo anno, indubbiamente, sta guadagnando importanza e coscienza di se. L’agroalimentare è infatti un settore in continua crescita che rappresenta il 15 per cento del Pil nazionale, con un valore di 250 miliardi di euro. Le imprese agricole sono quasi 900 mila e rappresentano il 17 per cento delle imprese attive nel Paese. Siamo i primi produttori europei di riso, frutta e ortaggi freschi; il secondo produttore di vino, mosti, uova e pollame; il terzo produttore di carne bovina e frumento, solo per fare qualche esempio. Inoltre l’agricoltura italiana vanta il primato dei prodotti tipici con 206 prodotti a
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denominazione o indicazione di origine protetta riconosciuti dall’Unione Europea. Le nostre Regioni, inoltre, hanno censito ben 4471 specialità tradizionali. Tutto questo ben di Dio, come è facile immaginare, attira ogni anno un gran numero di appassionati. L’Unioncamere attraverso il suo istituto di ricerca sul turismo, Is.Na.R.T, ha valutato un flusso di 11 milioni di turisti enogastronomici presenti in Italia ogni anno. Una cifra destinata a crescere, ma che già ci permette di essere leader in Europa. L’offerta enogastronomica italiana attira da sola il 7 per cento degli stranieri che scelgono l’Italia per le proprie vacanze, con un impatto economico stimato in 1,5 miliardi di euro spesi nel 2009. E a tale proposito sono sempre più frequenti le richieste di itinerari personalizzati per visitare e cantine e aziende di produzione agricola, anche di breve soggiorno. In poche parole non solo gli stranieri ci apprezzano a tavola, ma vogliono anche approfondire la conoscenza dei nostri prodotti attraverso un rapporto diretto con l’uomo o la donna che c’è dietro un etichetta amata. Infine a conclusione di questo lungo snocciolare di numeri e cifre un breve paragrafo dedicato alla pirateria agroalimentare. La
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contraffazione dei nostri prodotti cresce di pari passo con l’affermazione del made in Italy. Nel mondo 3 prodotti di tipo italiano su quattro sono falsi, con un danno di decine di miliardi di euro ogni anno. Ebbene, con i numeri sopracitati, i successi incontestabili delle nostre eccellenze, le prospettive economiche che possono attivare in più settori, ci aspetteremmo più attenzione dalla politica e dai suoi palazzi per questa grande risorsa del Paese e di tutti noi. Registriamo, invece, dibattiti infiniti, per carità importanti e legittimi, su stabilimenti automobilistici. Discussioni appassionanti, ma sterili, su leggi elettorali, costituzionali e degli enti locali. Legittimi impedimenti, leggi bavaglio, riforme e controriforme. Una politica vivace e polemica che continua ad autoalimentarsi, ma che non sembra accorgersi di una parte sana del Paese, una parte grande, che lavora e produce a testa bassa con fatica e creatività. Non si accorge che buona parte del nostro prestigio nel mondo è dovuta proprio a questi uomini e donne. Non vuole capire che per rilanciarsi dalla crisi si deve agire, sui nostri punti forza, e tra questi i più forti di tutti sono l’enogastronomia e il turismo. Per farlo dobbiamo aiutare tutte quelle persone che da troppi anni soffrono dell’indifferenza dei legislatori e dei governi. Un’indifferenza troppo spesso diventata solitudine. Rubare braccia all’agricoltura oggi non è più una battuta di spirito, è una bestemmia. I produttori agricoli moderni sono gente preparata, colta, capace di
Giuseppe Arcimboldo - Vertumnus
cogliere molto spesso, più e prima degli altri, tendenze ed esigenze. Oggi questo mondo poliedrico e pieno di risorse chiede per il bene di tutti maggiore attenzione e considerazione e soprattutto interventi in grado di metterlo in condizione di dare il meglio. Chiede tutela riguardo alla pirateria e leggi internazionali in grado di sconfiggerla. Chiede meno burocrazia e più efficienza amministrativa. Chiede trasparenza e nuove normative in grado di aiutarlo a poter competere nel mondo. Non ascoltarlo sarebbe un errore imperdonabile, davvero imperdonabile.
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Il Raboso del Piave: un’interpretazione al femminile
di Luisella Rubin Consigliere Nazionale
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Ha un profumo che ricorda le violette di campo, la marasca e la mora selvatica. Da giovane si presenta di corpo robusto, tannico e aspro, ma con l’invecchiamento e la maturazione in legno acquista armonia e nobiltà
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itigno autoctono, a bacca nera, di origini antichissime, il Raboso Piave ha trovato la sua culla naturale nel Veneto Orientale da circa 3000 anni. Protagonista incontrastato della pianura trevigiana sino alla metà degli anni sessanta del secolo scorso, ora viene coltivato solo in un centinaio di ettari da pochi appassionati produttori delle Grave del Piave, che hanno investito molto in questa varietà. Intorno agli anni novanta, proprio grazie alla loro passione, all’interessamento di Enti promotori e alla costituzione della” Confraternita del Raboso Piave”, ha preso avvio un’azione intensa di recupero, valorizzazione e rilancio del Raboso Piave, la cui coltivazione, tra gli anni cinquanta e sessanta, subì una significativa contrazione a
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favore dell’introduzione di vitigni internazionali, allora più rispondenti alle esigenze di mercato. Attualmente la sua coltivazione si estende nell’intera provincia di Treviso, dai Colli del Montello e di Conegliano, fino a tutta la vallata del fiume Piave, la cui zona di elezione viene individuata da sempre nell’ area ghiaiosa-sabbiosa della sua sponda sinistra e in quella argillosa di San Donà e Noventa di Piave e nella provincia di Padova dove è conosciuto con il nome di Friularo. Il Raboso Piave storicamente legato alla gente delle terre attraversate dall’omonimo fiume, è il vino della memoria nella tradizione contadina e della cultura locale, espressione autentica di un specifica territorialità. L’origine del suo nome, secondo le documentazioni
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storiche, può essere riconducibile alla forma dialettale”rabioso”, ossia arrabbiato, aggettivo utilizzato per descriverne il carattere un po’ rustico, acido e selvatico. C’è poi chi sostiene che il nome derivi da un piccolo affluente del fiume Piave. Era considerato dai mercanti veneziani “vin da viajo”(vino da viaggio), un vino robusto e resistente, che grazie alla sua capacità di conservarsi a lungo, per una presenza ricca di tannini ed un’alta percentuale di acidità, era adatto al trasporto sulle navi della Serenissima Repubblica di Venezia. Nasce da un’uva forte, che germoglia presto e matura tardi, la si vendemmia infatti a fine ottobre o inizio di novembre. Il vino che ne deriva, è di color rosso rubino con riflessi granati che diventano sempre più intensi con il trascorrere del tempo. In passato per il suo colore carico veniva utilizzato come vino da taglio. Ha un profumo che ricorda le violette di campo, la marasca e la mora selvatica. Da giovane si presenta di corpo robusto, tannico e aspro, ma con l’invecchiamento e la maturazione in legno acquista armonia e nobiltà. Resta il vino più rappresentativo dell’intera area DOC Piave, il cui disciplinare ne prevede un invecchiamento obbligatorio di tre anni, di cui uno in botte. È un rosso scorbutico, difficile da domare, che a causa del suo carattere forte, vede i suoi produttori impegnati in una sfida continua, per produrlo, comunicarlo e commercializzarlo. Il suo ricordo indelebile, ha indotto una imprenditrice vinicola ad interpretarlo con passione ed amore, secondo una visione moderna, mantenendo saldo, però, un legame con il passato. Un’impresa impegnativa e non priva di ostacoli
quella che la brava produttrice Emanuela Bincoletto, ha intrapreso dal 1995, quando entrata nell’azienda agricola “Tessere”, fondata dal padre nel 1979, nel cuore della DOC Piave, ha dovuto lavorare sodo, con competenza, determinazione e sensibilità femminile, per ottenere un vino Raboso di ottima qualità. Il suo spirito innovativo ha trasformato i vigneti da tradizionali ad alta intensità, su sistema di allevamento a guyot, coltivati sulle argille di San Donà di Piave, Grassaga e Noventa di Piave (Ve). Si estendono su una superficie di circa 15 ettari, una piccola realtà, dove, nel rispetto della natura, viene praticata una coltivazione biologica. Già da alcuni anni, l’introduzione dell’antica tecnica agronomica del sovescio, metodo naturale ed efficace per fertilizzare il terreno, contribuisce a salvaguardare il territorio e i suoi prodotti dall’uso di concimi chimici. Il suo obiettivo principale è quello di ottenere una produzione ricercata di un vino di qualità superiore, che le consenta di entrare in un mercato di nicchia, nel quale il Raboso Piave possa essere rilanciato ed apprezzato. La ridotta produzione per ceppo, volta a migliorare la qualità dell’uva e del vino, l’utilizzo di tecniche moderne in vigna ed in cantina, con un occhio sempre attento alla tradizione e l’attuazione di una comunicazione efficace del prodotto, costituiscono le linee guida della sua filosofia aziendale. Ma l’eccellenza del Raboso Piave Doc sarà rappresentata dal “Malanotte”, un Raboso Superiore Piave Doc, il cui nome deriva da una nobile famiglia di Tezze di Piave, che per due secoli ha attuato grandi innovazioni nella viticoltura delle terre del Piave, producendo vini di ottima qualità.
Emanuela Bincoletto
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erenti:
Soci ad
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Vendemmiato per la prima volta nel 2008, sarà in commercio alla fine del 2011. Il disciplinare che ne regola la produzione prevede che una parte dell’uva tra il 15% e il 30% sia sottoposta ad un particolare appassimento, per smussare le caratteristiche spigolose del Raboso Piave. L’invecchiamento minimo è di 3 anni, di cui uno interamente in botte. Sarà un grande vino, destinato nei prossimi anni a fregiarsi della DOCG. La produzione dell’azienda Tessere, circa il 65% è riservata al Raboso Piave e la rimanente è rappresentata da Pinot bianco, Chardonnay, Merlot e Cabernet. Conta complessivamente 50.000 bottiglie, che vengono esportate per la maggior parte negli Stati Uniti, Canada, Olanda, Germania e Svizzera. Il suo Barbarigo 2005, prodotto da uve Raboso, affinato in tonneau di rovere francese per 18 mesi, è un’espressione armoniosa delle caratteristiche tipiche dell’uva: acidità, tannini e profumi selvatici. La struttura importante sostenuta da tannini vivaci e da una giusta acidità, lo rende un vino di grande personalità, paragonabile ai grandi rossi italiani. Si abbina con carni rosse, selvaggina, anguilla e formaggi stagionati. Il fiore all’occhiello, frutto della passione e della ricerca dell’azienda Tessere, interpretato in modo perfetto, affinato per quasi due anni in botte, è il Raboso Passito “Rebecca”, il cui nome di donna, è stato scelto dalla produttrice proprio perché ricorda caratteristiche, espresse dal vino, che sono tipicamente femminili: giusta dose di dolcezza e chiara forza di carattere. L’annata 2004 rivela al naso delicati, ma intensi profumi di marasca, uva passa e note balsamiche. Un ottimo equilibrio di sensazioni tanniche e acidule, di misurata dolcezza, lo rendono un vino di rara specialità, che in numerose degustazioni alla cieca, ha sostenuto il confronto con importanti Recioto della Valpolicella, riscuotendo grande successo. Si accompagna bene alla pasticceria secca, al cioccolato, ai formaggi stagionati. È pure un eccellente vino da meditazione. Il percorso innovativo, di ricerca e di sperimentazione che Emanuela ha intrapreso, coadiuvata dal suo bravo enologo Federico Giotto, continua. A Natale uscirà uno spumante metodo classico, prodotto da uve Raboso Piave della vendemmia 2007. Una grande novità! L’attiva imprenditrice fa parte dell’associazione “Donne del Vino”,del “Movimento del Turismo del Vino”, della “Confraternita del Raboso Piave” e di “Fattorie Didattiche”, la cui appartenenza rappresenta per l’azienda Tessere, un impegno importante, fondamentale per un progetto di crescita e di miglioramento della produzione e della comunicazione di un vino, che asseconda le esigenze di un mercato sempre più attento alla qualità, alla tipicità e al giusto rapporto qualità-prezzo.
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di Rinaldini
di Saverio Scarpino
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Calabria enogastronomica: tipicità mediterranea
Ormai dappertutto in questi territori, i menù proposti dai ristoratori, sono rappresentativi della cultura culinaria tradizionale calabrese
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ra i paesi che si affacciano sul bacino del mediterraneo, la Calabria è quello che oggi esprime il suo meglio in quasi tutte le variabili costituenti il settore enogastronomico. L’amore per le tradizioni è ormai diventato un punto di forza e gli operatori calabresi lo sanno. È proprio questa consapevolezza con l’ausilio di una visione innovatrice che consente al settore enogastronomico di stare al passo con i tempi e di proporre, sempre più, prelibatezze sia sotto il profilo del gusto, sia sotto quello della qualità dei prodotti. Negli ultimi decenni questo settore ha raggiunto importanti risultati. Il fattore che più d’ogni altro ha permesso di conseguire tali successi è sicuramente la valorizzazione dei prodotti della tradizione, per un’offerta enogastronomica che gli amanti della buona tavola apprezzano e ricercano oggi sempre di più. Più specificamente, nell’ambito enologico, questo fenomeno diventa tangibile degustando i vini oggi presenti sul mercato. Si può constatare che le aziende vitivinicole già da tempo capiscono come raggiungere i livelli di eccellenza e come dare respiro ai conti economici aziendali, un po’ asfittici in questi ultimi anni di crisi internazionale. I funghi della Sila
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Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Vigneti di Moscato di Saracena
Nulla poteva essere lasciato al caso, e neanche l’importante storia di questi territori che hanno lasciato un segno distintivo nel DNA di queste genti appartenute all’antica Magna Grecia, terra vocata all’agricoltura e alla coltivazione della vite, tanto da esserne così caratterizzata da assumerne, da tempi immemorabili, una precisa connotazione come terra del vino, ovvero “Enotria”. È chiaro che parlando di vino in Calabria ci riferiamo ai vitigni autoctoni Gaglioppo e Magliocco per i vini rossi e Greco
per i bianchi. Questi vitigni sono alla base di quasi tutte le 12 DOC (Bivongi, Cirò, Donnici, Greco di Bianco, Lamezia, Melissa, Pollino, Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto, San Vito di Luzzi, Savuto, Scavigna, Verbicaro) e delle 13 Igt (Condoleo, Esaro, Valle del Crati, Valdamato, Lipuda, Val di Neto, Arghillà, Costa Viola, Locride, Palizzi, Pellaro, Scilla, Calabria). Ma non è tutto, esistono altre straordinarie realtà, che sebbene di nicchia, vanno assolutamente evidenziate. È il caso del Moscato di Saracena, straordinario passito prodotto soltanto nell’omonimo paese situato nell’area del Pollino a due passi da Castrovillari. Il colore è ambrato e al naso offre straordinari sentori di miele, fichi secchi e frutta esotica. È ottimo da abbinare alla pasticceria secca, ai formaggi stagionati ed è altrettanto azzeccato come vino da meditazione. La particolarità di questo moscato è quella di essere prodotto secondo una metodologia che
si tramanda ormai da centinaia di anni. Le uve dei tre vitigni autoctoni che lo compongono (Malvasia, Guarnaccia e Moscatello) sono accuratamente raccolte a mano e selezionate, e la loro vinificazione avviene separatamente. Al mosto della Malvasia e della Guarnaccia, che viene concentrato mediante cottura, viene successivamente aggiunto quello del moscatello ottenuto mediante appassimento. Le uve di quest’ultimo vitigno, infatti, vengono raccolte ed poste ad appassire su appositi graticci per diverse settimane. Quando poi gli acini raggiungono il giusto grado di disidratazione vengono schiacciati, operazione che per alcuni produttori viene tassativamente fatta a mano, e quindi, aggiunti al mosto concentrato. Unica precauzione per questo vino e quella di non farlo invecchiare: le sue qualità si apprezzano al meglio se viene bevuto nei primi due anni. Ci riferiamo ad una Calabria dai gusti mediterranei, e non potrebbe essere diversamente, con 11 strade del vino e dei sapori che costantemente lo testimoniano con le loro attività promozionali. Ormai dappertutto in questi territori, i menù proposti dai ristoratori, sono rappresentativi della cultura culinaria tradizionale calabrese. Nella grande o piccola Sila, per esempio, la cucina annovera svariate ricette a base di profumatissimi funghi porcini, così comunemente denominati ma appartenenti alla famiglia dei Boletus Edulis che da queste parti gli antichi romani chiamavano Suillus” e che gli attuali calabresi continuano a chiamare “Silli”. Nelle Serre e nell’Aspromonte troviamo i famosi salumi tra i quali ricordiamo la famosa “Soppressata” e la N’duja, entrambi caratterizzati da quel peperoncino piccante che in Calabria ha trovato la sua patria naturale. Cosi come i formaggi, dai pecorini ai caprini, tutti da gustare in tavolozza, con un magnifico e selezionato Gaglioppo. E per finire, uno sguardo particolare va alle località di mare, dove oltre alle bellezze
14
I formaggi della Calabria paesaggistiche del territorio si può trovare il classico pescato mediterraneo, che abbinato ad un fresco Greco bianco dà soddisfazione ai palati più esigenti e contribuisce a mantenere un’alimentazione corretta.
Moscato di Saracena Tipo di Vino: Moscato passito Zona di produzione: Parco Nazionale del Pollino, Comune di Saracena Sistema di allevamento: Controspalliera Varietà delle uve: Malvasia, Guarnaccia, Moscato Vendemmia: Manuale tra fine settembre e inizio ottobre (per il passito raccolta anticipata ed appassimento su graticci Vinificazione: Pressatura soffice (Vinificazione separata tra Malvasia e Guarnaccia e Moscato) Caratteristiche organolettiche: Alla vista si presenta con un colore ambrato e brillante. Ha profumo caratteristico del moscato, intenso. Sentori di miele, fichi secchi e frutta esotica. Sapore dolce, aromatico, morbido e molto fine. Gradazione alcolica: 16% vol Temperatura di servizio: 18 °C Abbinamento: Pasticceria secca, cioccolato e formaggi stagionati. Durata: Vino da bersi preferibilmente giovane (entro due anni)
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
La Cantina Ruggeri compie sessant’anni
a cura della redazione di Quality ADV
“
Da una vigna storica, 4.950 bottiglie numerate per celebrare lo storico compleanno di una delle più antiche cantine di Valdobbiadene
F
ondata nel 1950 da Giustino Bisol, la cui famiglia vanta una secolare tradizione nonchè profonde radici nella cultura vitivinicola nel territorio di Valdobbiadene, la cantina Ruggeri è nata per valorizzare, con la spumantizzazione, i vini Prosecco e Cartizze. La cantina oggi possiede oggi 12 ettari vitati a Prosecco, Pinot Grigio e Chardonnay, e un piccolo vigneto di Cartizze, e si avvale della collaborazione di un centinaio di agricoltori del comune di Valdobbiadene. Fra questi, 25 dispongono anche di uve di Cartizze, e infatti Ruggeri è la cantina che opera la maggior pigiatura di quest’uva particolarmente pregiata, ricercata ed unica proveniente da vigneti di alto pregio ricadenti nelle storiche frazioni di San Pietro di Barbozza, Santo Stefano e Saccol, da sempre riconosciute come l’apice qualitativo dell’intera Docg. All’eccellenza dei vigneti di Valdobbiadene contribuisce la presenza di
”
numerose viti vecchie e, talvolta, vecchissime che possono essere definite “la memoria del territorio” e che, grazie al loro importante apparato radicale, riescono a bilanciare i più diversi andamenti climatici tipici di quelle colline, assicurando anno dopo anno una elevata costanza qualitativa. L’eccellenza della produzione e i principi tecnici e qualitativi che hanno sempre guidato il modo di operare della famiglia Bisol sono anche serviti come indirizzo per alcuni valenti enologi che si sono formati operando sotto la loro guida e anche per questo motivo, e non solo perché è stata una delle prime a produrre spumante in autoclave, si può veramente affermare che la cantina Ruggeri ha contribuito a “fare” la storia del Prosecco di Valdobbiadene. Un ulteriore motivo di vanto è dato dal fatto che il loro Prosecco Superiore Docg Extra Dry Giustino B. (nome del fondatore della cantina) è stato selezionato per essere servito al G8 dello scorso anno a L’Aquila.
S
essant’anni ricchi di impegni e di soddisfazioni, come afferma Paolo Bisol titolare della cantina: “Sono orgoglioso e felice di aver raggiunto questo traguardo di eccellenza, frutto di un costante e preciso impegno volto sempre alla qualità del prodotto. Siamo riusciti ad ottenere tutto questo anche grazie al reciproco rapporto di stima, collaborazione e fiducia che si è creato coi nostri agricoltori conferenti del comune di Valdobbiadene (più di un centinaio), rapporti iniziati da mio padre Giustino negli anni ’50 che ora sto portando avanti con i miei figli Giustino ed Isabella”.
15
di Lorenzo Tablino
I terroir del Barbera
“
In questo ultimi anni è cresciuto molto l’interesse verso questo vino, in particolare verso i terroir maggiormente vocati
B
arbera: uno dei principali vitigni a bacca nera del Piemonte, il piu’ coltivato nelle province di Asti e Alessandria. Ma e’anche il nome di vino che assume denominazioni diverse a secondo delle docdocg originate. Barbera: maschile o femminile che sia, è
sempre, popolare, tradizionale, quotidiana, rustica e vigorosa. Oggi assume ad un nuovo risorgimento grazie ad un netto miglioramento qualitativo ed ad una nuova immagine correlata anche all’intelligente attività promozionale di numerosi enti pubblici e privati. In Piemonte è l’uva maggiormente a dimora:
Vigneti di Barbera nel Monferrato
16
”
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
origina 9 d.o.c. e 2 docg su oltre 12800 ettari di superficie per una produzione globale di oltre 500.000 hl di prodotto. Barbera d’Asti e Barbera del Monferrato superiore sono le sono le ultime docg. In questo ultimi anni è cresciuto molto l’interesse verso questo vino, in particolare verso i terroir maggiormente vocati. D’altronde, dal 2000, sono state legalmente definite tre sottozone storiche, riguardo alla Barbera d’Asti docg. Sono “Nizza”, “Tinella” e “Colli Astiani o Astiano”. È possibile menzionarle in etichetta. Vediamo quali sono, allora, le sottozone migliori per la Barbera limitandoci alle tre denominazioni piu’note Alba, Asti e Monferrato. Intendiamo i luoghi ove hanno acquistato, da sempre, le uve mediatori e produttori. Dove la domanda supera l’offerta, quindi si spuntano i prezzi più elevati. Considerando le vigne con esposizione migliore (i classico sorì a sud-ovest), con le massime somme termiche, con terreni vocatissimi, (calcare, argilla e microelementi in primis), con altre condizioni microclimatiche favorevoli. Dove i gradi zuccherini del mosto sempre al massimo e il colore della buccia nelle annate buone è solo un meraviglioso velluto bleu. Null’altro. Tutto racchiuso in termini francesi intraducibili, ma stupendi: terroir se riferito a macrozone,
cru se a microzone, (quasi sempre un gruppo di vigne). Barbera Alba: Quella proveniente da Monforte - Serralunga d’Alba ha molto colore, come in genere la Barbera dei paesi vicini, (siamo nella zona del Barolo). Mentre quella di Govone, Guarene e Castellinaldo d’Alba ha molta eleganza e finezza. Nel comune di Monforte, Pian Romualdo, da tempo, è un cru famoso. Mitica la Barbera ottenuta. Per decenni, queste pregiate uve sono state acquistate dall’enol. Beppe Colla della ditta Prunotto di Alba. Stesso discorso per la sottozona Baudana di Serralunga d’Alba. Tra Castellinaldo e Guarene, nel Roero, pertanto sulla riva sinistra del fiume Tanaro, troviamo la sottozona “Baraco de Baranco”, valorizzata, su alcune etichette. Mentre alla frazione” Madonna di Cavalli”, non lontano da Canale, le uve barbera danno un vino dalla incredibile eleganza. Una curiosità: In queste sottozone particolari e in genere in tutto l’albese, nelle annate buone e dopo un invecchiamento, la Barbera può assumere profumi e sapori particolari che fanno pensare al Barolo, perciò si dice che “ nebbioleggia.”. Barbera d’Asti: Spostiamoci di dieci-quindici chilometri e troviamo il terrior per eccellenza per detto vino. È quello compreso tra i comuni di Montegrosso d’Asti, Vinchio, Vaglio, Castelnuovo Calcea, Agliano, Nizza Monferrato, Monbercelli. Qui si producono Barbere ricche di potenza, estratto, acidità fissa, colore. Atte, anche a lunghi invecchiamenti, in specie nei grandi millesimi. È il triangolo magico tra i fiumi Tanaro e Tiglione conosciuto da molti decenni dai vecchi mediatori di uve e commercianti di vini. Barbera Monferrato: sono note, da tempo, le barbere di Rosignano e San Giorgio Monferrato, di Vignale e Moncalvo d Asti. Vini di grande struttura, estratto, perfetti nel loro equilibrato, con profumi fruttati di grande profilo.
Vigneti in Montegrosso d'Asti
18
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Il Moscato di Scanzo DOCG
“
di Roberto Vitali
I grappoli raccolti sono stesi su graticci sia in ambienti naturali sia in ambienti condizionati a temperatura inferiore ai 15 gradi e umidità controllata
H
20
”
a un solo difetto il Moscato di Scanzo
al feudatario. Nel Settecento l’architetto Giacomo
Docg. Che è poco. Si produce sulle prime
Quarenghi, che ideò i più grandiosi monumenti di
colline a nord della città di Bergamo, su
San Pietroburgo, ne fece dono alla zarina Caterina di
una superficie vitata che per ora è ferma a 30 ettari,
Russia che lo gradì moltissimo. Nel 1850 il Moscato
tutti esclusivamente nel territorio del Comune di
di Scanzo era l’unico vino italiano quotato alla Borsa
Scanzorosciate. Il risultato è che i 22 soci imbottigliatori
di Londra.
del Consorzio che li riunisce arrivano a malapena a
Il Moscato di Scanzo ha ottenuto la Doc nel 2002 e
produrre e mettere in commercio 60 mila bottiglie da
da quell’anno possono produrre e commercializzare
mezzo litro di questo eccezionale vino rosso passito,
vino con questa denominazione solo produttori che
ottenuto esclusivamente dalla vinificazione delle uve
operano all’interno del Comune di Scanzorosciate.
provenienti dall’omonimo vitigno
Nel 2009 è stata concessa la Docg,
autoctono.
diventando così la quinta Docg
Se la sua produzione è poca (ma
della Lombardia, dopo le bollicine
piano piano crescerà, assicurano
di Franciacorta e Oltrepò Pavese, i
i
grandi rossi di Valtellina con le Docg
responsabili
del
Consorzio
di tutela), lunga è la storia di
Sforzato e Valtellina Superiore.
questa che è tra le più piccole
Classico vino passito da meditazione,
denominazioni vitivinicole a livello
nasce da un vitigno autoctono
nazionale. Nel suo testamento
selezionato negli Anni Settanta
che risale al marzo 1350, il noto
del secolo scorso. La produzione
giureconsulto bergamasco Alberico
massima consentita di uva è di 70
da Rosciate (1290-1354) scrisse
quintali per ettaro. I grappoli raccolti
testualmente:
figlio
sono stesi su graticci sia in ambienti
Tacino la Bersalenda, ove si coltiva
naturali sia in ambienti condizionati
il moscato rosso”. In un carteggio
a temperatura inferiore ai 15 gradi e
del 1372 il vescovo feudatario
umidità controllata. Dopo almeno 21
della Tribulina di Scanzo fa cenno
giorni di appassimento, si procede
alla
“moscadello”
alla sgranatura e pigiatura. Non
che i coloni dovevano fornire
tollerando il legno, viene invecchiato
quantità
“Lascio
di
al
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Q
uesto è vino.
Valcalepio Rosso D.o.c. | Valcalepio Rosso Riserva D.o.c. Valcalepio Bianco D.o.c. | Moscato di Scanzo D.o.c. Grappa Moscato di Scanzo Visita il nuovo shop on-line: www.ilcipresso.info
Eventi Speciali
L’azienda agricola
Domenica 19 settembre 2010 ~ Domenica 17 ottobre 2010
via Cerri 2, Tribulina di Scanzorosciate (Bg) Telefono e fax: +39.035.45.97.005 www.ilcipresso.info a.cuni@ilcipresso.info
Domenica 21 novembre 2010 ~ Domenica 5 dicembre 2010 dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 14.30 alle 18.00 siamo aperti per la visita alla cantina e degustazioni
Il Cipresso
in contenitori di acciaio. Può essere
dei produttori più noti e per anni
commercializzato dopo due anni
presidente del Consorzio - e quindi
dalla vendemmia, a partire dal 1.o
potrebbe avere una certa attrattiva
novembre. Ha colore rosso rubino
anche la nostra zona dove, nel
carico con riflessi porpora. Aromi
raggio di qualche chilometro, sono
preponderanti di frutti di bosco,
concentrati tutti i produttori. A
marasche, salvia sclarea, rosa
Scanzo sono nati negli ultimi mesi
canina e leggeri accenni di spezie
un albergo, alcuni ristoranti e sei
e frutta secca. Ottimo centellinato
aziende di agriturismo, e tutto per
da solo, si sposa bene con la
merito del Moscato».
pasticceria, soprattutto secca.
In piena sintonia con il Consorzio ma con l’interessamento e la
Cosa cambia adesso con l’assegnazione della Docg? «Sul
piano
risponde
il
pratico
poco
presidente
-
Il Presidente del Consorzio Giacomo De Toma
partecipazione diretta del Comune e di altri operatori privati è nata nel 2004 la “Strada del vino e dei sapori
del
Consorzio, Giacomo De Toma - nel senso che
scanzesi” (tel. 035.654712, fax 035.656228,
per noi l’obiettivo della Denominazione garantita
www.stradadelvinoscanzo.it). Ha lo scopo di
era soprattutto una questione di prestigio. I
promuovere e sviluppare le potenzialità turistiche
produttori continuano a fare il loro lavoro come
di Scanzorosciate, in particolar modo legate
prima. Il disciplinare è stato migliorato con alcune
al turismo enogastronomico. L’associazione si
puntualizzazioni e quindi vi saranno più controlli
propone come punto di riferimento per turisti
sulla produzione e sulla filiera, con maggiori
individuali, gruppi e operatori, garantendo un
garanzie per il consumatore. Certo, la Docg
supporto
contribuirà a far apprezzare questa minuscola ma
informazioni e servizi, costruire itinerari e scoprire
bellissima zona collinare, ancora, per certi versi,
più da vicino le svariate opportunità che può offrire
sconosciuta».
quest’area - situata all’inizio della Val Cavallina -
«Nell’ultimo decennio anche in Italia si è sviluppato
da sempre vocata sì alla viticoltura ma non solo.
l’enoturismo - aggiunge Paolo Bendinelli, uno
Merito dell’opera dell’uomo, che su queste famose
tecnico-organizzativo
per
ricevere
colline di Scanzo ha prodotto magnifici muretti a secco, una fitta trama di strade minori, chiesette e tribuline che si trovano un po’ in tutto il territorio. Un paesaggio agreste, bucolico, che i proprietari terrieri hanno reso ancor più affascinante, costruendovi
fabbricati
agricoli
e
residenziali, ville e palazzi di campagna, di
elevato
gusto
architettonico,
di
raffinata eleganza, ammirati dai cultori dell’arte. Negli ultimi anni, proprio sulla collina, sono sorte numerose aziende agrituristiche, che puntano a richiamare gli enoturisti all’assaggio dei prodotti tipici bergamaschi. Non manca, però, una preoccupazione: che la Docg faccia lievitare il prezzo del
nettare di Scanzo. In effetti, una bottiglia (da mezzo litro) costa mediamente 30 euro. Angelica
Cuni,
imprenditrice
agguerrita
e
innamorata di questa terra, componente del direttivo del Consorzio, afferma: «Escluderei aumenti di prezzo, soprattutto in questo momento di congiuntura generale. Vale comunque sempre il fatto che un prodotto al massimo delle sue caratteristiche deve avere un certo costo. Di fronte alla qualità il consumatore attento e buongustaio non si ferma al prezzo». «Il costo del nostro vino – aggiunge Stefano Locatelli, azienda Fejoia – è determinato anche dalle difficoltà che incontriamo nel coltivare e raccogliere su queste balze collinari spesso
verificare negli Stati Uniti. Da sfatare è inoltre la
in forte pendenza, tipo Valtellina. Crediamo
convinzione purtroppo diffusa che questo sia un
comunque nel nostro prodotto di qualità e
vino da regalare solo per Natale. Un vino così può
vogliamo tutti insieme fare squadra per farlo
dare gioia ogni giorno e in ogni circostanza».
conoscere all’estero, dove possiamo avere nuovi
Info:Consorzio di tutela Moscato di Scanzo
sbocchi, come ho avuto personalmente modo di
DOCG - www.consorziomoscatodiscanzo.it
Palazzo Roccabruna – Trento, via SS. Trinità Tel. 0461 887101 – www.enotecadeltrentino.it Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 Ogni giovedì e sabato
scopri i vini e i prodotti del nostro territorio.
23
Una bevanda che ama la compagnia
di Enza Bettelli
“
Antico, probabilmente antichissimo, il sidro è la bevanda tipica delle Asturie e viene prodotto in varie tipologie che consentono abbinamenti a tutto menu, ma per rispettare la tradizione bisogna berlo fuori casa e mai da soli
”
I
l Principato delle Asturie è situato al nord
mucche allevate al pascolo, ma preferiscono
della Spagna ed è una regione molto verde,
il sidro, preparato in casa probabilmente già
ricca di fiumi e ruscelli e con alcune sorgenti
in epoca pre-romana, di sicuro durante l’Alto
minerali. Gli Asturiani bevono quindi volentieri
Medioevo. Inizialmente la produzione era
la loro buona acqua e l’eccellente latte delle
casalinga, piccoli quantitativi per il consumo della famiglia che sono via via aumentati, passando dalle
tradizionali
botti
fino alle bottiglie durante la metà del XIX secolo, quando il sidro veniva sì
imbottigliato
ma
non etichettato e con il nome del produttore inciso sul tappo, fino alla Denominazione di Origine “Sidra de Asturias” del 2003. Il sidro si ricava dalla polpa di mele lasciata
Sidreria ad Oviedo
24
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
fermentare per 48-60 ore, quindi pressata per estrarne il succo che si lascia riposare pià o meno per 24 mesi a circa 12°C. Si utilizzano fino a 20 tipi diversi di mele, mescolando le varietà più dolci coltivate lungo la costa con quelle più acide o amare dell’interno. Dopo la fermentazione, il sidro raggiunge una gradazione di circa 5-6 gradi e mantiene l’aroma delicato della mela, fresco e fruttato. Può essere Naturale, cioè la tipologia tradizionale, secco e leggermente acidulo, versato nel tipico e ampio bicchiere cilindrico di vetro sottilissimo e molto leggero tenendo il braccio il più in alto possibile. È un modo antico e spettacolare di servire il sidro sul quale però i moderni produttori non sono tutti d’accordo.
acqua e bibite
vino e olio
birra e liquori
Il sidro da Tavola ha colore giallo dorato ed è
caffè e gelato
UNA PERSONALITÀ CHE TRASPARE IN OGNI OCCASIONE
www.faravetrerie.it
Le mele tipiche per ottenere il Sidro nel Principato delle Asturie
fermo, filtrato, meno acidulo e viene servito nei
diverse Strade del Sidro. Tuttavia, questa bevanda
normali bicchieri a calice. Quello Spumeggiante è
asturiana è più diffusa al centro della regione e non
trasparente, con delicate bollicine e gusto meno
si beve a casa ma fuori e in compagnia e viene
acidulo, da servire nella flûte, mentre quello Brut
considerata l’unico prodotto “sociale” al mondo.
si ottiene facendo fermentare il sidro Spumante con metodo champenois. Distillando il succo fermentato si ottiene l’Aguardiente de Manzana, un profumatissimo distillato di circa 40 gradi che viene lasciato invecchiare da un minimo di un
26
Le sidrerie sono numerose nelle città, addirittura a Oviedo nella Calle Gascona vi si trovano solo questi locali. I più tradizionali sono quelle dove il sidro viene attinto dai clienti direttamente dal
anno fino a circa 9 anni, prima in botti di legno e
beccuccio (espicha) delle enormi botti collocate
poi in bottiglia.
bene in vista. Nelle sidrerie più moderne viene
Nelle Asturie sono presenti circa un centinaio
invece spillato dai commensali dal cannello di cui
di produttori, alcuni dei quali dislocati lungo le
ciascun tavolo è dotato.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Matrimonio di gusto Nelle
Asturie
è
presente
una
piccola
produzione vinicola nella zona di Cangas, un vino che risale al Medioevo e introdotto dai monaci, bianco e rosso, oggi IGP. Tuttavia il consumo di vino in Asturie è inferiore rispetto quello di sidro che nel 2008 è stato in totale 9,5 milioni di litri e pro capite 8,7 litri. I frutti di mare e i primitivi percebes pescati lungo le coste asturiane sono l’accompagnamento più tipico del sidro Naturale che accompagna perfettamente anche i molti formaggi locali, come il Cabrales DOP e i salumi più tradizionali come El Chosco IGP ottenuto con carne di maiale aromatizzata con paprica e aglio e poi affumicata. Ancora sidro Naturale con le ricche zuppe e i succulenti stufati a base di carne, fagioli e insaccati mentre con la cacciagione da penna, ugualmente tipica e molto diffusa, si serve preferibilmente il sidro da Tavola. Il sidro va bevuto alla temperatura di 10-11 gradi ed è tenuto in fresco non in frigorifero ma nell’acqua che, nelle sidrerie più attrezzate, scorre in continuazione lungo la parete a vespaio che accoglie le bottiglie.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
di Giancarlo Roversi
“
La terra del vino dei re
Aube en Champagne: la culla del Rosé des Riceys
D
opo
essere
sbarcati
all’aeroporto
naturali, artistiche, storiche, gastronomiche.
Charles De Gaulle a Parigi con uno dei
Ma soprattutto lo Champagne, il “vino dei re”,
tanti voli di Air France collegati con le
maggiori città italiane, un comodo e rapido TGV in partenza dall’aerostazione porta, in neppure un’ora, nella regione dello Champagne, una terra
28
”
che deve la sua fortuna e la sua fragranza alla particolare composizione gessosa del suolo, capace di trattenere acqua garantendo così
particolarmente amata dai sovrani di Francia.
alla vite una buona vegetabilità nonostante la
Una terra che offre al visitatore tante attrattive
latitudine proibitiva.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
I primi vigneti furono impiantati in Champagne in
della città, interessate da oltre un trentennio
epoca romana, fra il I e il IV secolo d. C., ma è nel
di un’attenta e imponente opera di restauro,
Medio-Evo sotto l’impulso dei monaci viticoltori
che sta restituendo al centro storico l’impianto
della regione, che lo champagne diventa famoso.
e il volto architettonico dei secoli XV e XVI. Di
L’invenzione della tecnica di spumantizzazione
grande interesse anche le grandi chiese gotiche
viene attribuita al leggendario Dom Pérignon,
impreziosite da splendide vetrate istoriate come
monaco benedettino dell’abbazia d’Hautvillers.
la cattedrale dei Ss. Pietro e Paolo, quelle di St.
Le uve utilizzate nella sua produzione sono lo
Nizier, St. Urbain, St. Remy e St. Nicolas.
Chardonnay, che dona finezza ed eleganza, il
Senza dimenticare il Museo d’arte Moderna,
Pinot Nero, che apporta la struttura e gli aromi,
situato nell’antico palazzo dei vescovi, dove
e il Pinot Meunier, cui va il merito di accrescere
sono esposte 2000 opere che rappresentano
la ricchezza e la complessità aromatica con
le grandi correnti pittoriche dell’inizio del
particolare riguardo al retrogusto fruttato. Le
secolo, da Courbet (1850) a de Stael (1950)
aree di coltivazione sono cinque: la Montagne
con una predilezione per i movimenti fauve e
dei Reims, la Côte des Blancs, la Vallée de la
espressionista.
Marne, la Côte de Sézanne e Aube. Con una
Alcuni
attenta zoomata focalizziamo il nostro sguardo
Matisse, Dufy, Modigliani, Rouault, Van Dongen,
proprio sull’Aube, il dipartimento più a sud della
Delacroix, Daumier, Maillol, Picasso, Cézanne,
Champagne dove si coltiva quasi esclusivamente
Seurat. Da non perdere la rara collezione di vetri
Pinot Nero da cui si ottiene un vino di carattere,
flaconi, coppe, vasi trasparenti con decorazioni
rotondo e dagli aromi complessi.
smaltate, incisioni o in vetro soffiato, screpolato
nomi
evocatori:
Vlaminck,
Derain,
con decorazioni intercalari) messa assieme da
Troyes e le case a graticcio
Maurice Marinot, un vetraio di Troyes.
L’Aube non significa solo Champagne ma anche
30
arte e storia a ogni passo. Nel suo territorio
La culla dei cistercensi
si annoverano infatti 142 monumenti storici
L’escursione nel territorio dell’Aube non può
ufficialmente riconosciuti e altri 226 censiti, 5 siti
non prevedere una tappa alla celebre Abbazia
riconosciuti e 18 censiti e un centro storico di
di Clairvaux (Chiaravalle), culla dell’ordine
grande suggestione, quello di Troyes la capitale
monastico dei Cistercensi, fondata nel 1115 da
del dipartimento. Importante anche il patrimonio
Bernardo di Borgogna assieme a 11 compagni
di archeologia industriale, legato allo sviluppo
per vivere in totale isolamento e autarchia
dell’industria della maglieria nel XIX secolo.
nel cuore di un’antica foresta sacra gallica. I
Troyes conquista il visitatore fin dal primo
monaci fecero venire dall’Ungheria i ceppi dei
approccio con la sua sorprendente e rilassante
vitigni che fornirono le uve utilizzate in seguito
bellezza, fatta di edifici antichi incredibilmente
per produrre lo Champagne. Dell’abbazia
sbilenchi,
pastello
fondata da San Bernardo, trasformata in
segmentate da un sapiente reticolo di travature
prigione nel XIX secolo da Napoleone, rimane
di quercia. Sono le case à colombage, ossia a
il maestoso edificio dei fratelli conversi con la
graticcio ligneo, che rappresentano l’orgoglio
sua dispensa e il suo dormitorio. È una delle più
dalle
facciate
color
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
belle testimonianze dell’architettura cistercense
ottocentesco in mattoni con rivestimenti di
francese di epoca medievale e rinascimentale
legno e grandi vetrate che creano una piacevole
(www.abbayedeclairvaux.com).
trasparenza. Nel salone di accoglienza degli ospiti, impreziosito da un grande camino e da
La Maison de Champagne Drappier
splendide boiserie, troneggia una Melchisedec,
A Urville, nel cuore di un ameno territorio
la più grande bottiglia di Champagne del
ondulato e soleggiato, coltivato a vigneti e
mondo, con una capacità di ben 30 litri. Nei
punteggiato di belle boscaglie, si trova una delle
sotterranei di quello che era l’antico presbiterio
più note case vinicole della regione, la Maison de
di Urville, si sviluppano le cantine costruite nel
Champagne Drappier. Ha sede in un bell’edificio
secolo XII dai monaci cistercensi di Clairvaux.
Storiche cantine di Champagne
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
31
Fra le sue pareti invecchiano dolcemente
cristallo».
le cuvée speciali e le grandi bottiglie, vanto
Adora condividere i segreti del suo mestiere,
della casa, i cui nomi evocano grandi re
far sognare i clienti attorno a una coppa di
biblici Balthazar, Nabuchodonosor, Salomon,
Champagne e confessa una passione per fiori
Melchisedec…). La famiglia Drappier coltiva i suoi vigneti nel territorio di Urville da due secoli. Michel, l’attuale appassionato responsabile della maison, sovrintende con sapienza fin dal 1979 alle delicate fasi di vinificazione. Mentre André, il venerabile patriarca, forte delle sue
tocco di gentilezza e di charme nella visita degli ospiti alle cantine (www.champagne-vezien.com).
suo carisma e un grande senso dell’humor.
Il Rosé des Riceys preferito dal Re Sole
Conosciuti in tutto il mondo, i magnifici
Nell’ambito dell’Aube il territorio dei Riceys con i
Champagne
conquistato
suoi 866 ettari forma il maggior distretto di tutta
personalità prestigiose come il Gen. De Gaulle,
la Champagne viticola e si fregia anche del vanto,
Luciano Pavarotti, Jean-Paul Belmondo e tanti
quasi unico in Francia, di possedere tre grandi
60 vendemmie, tiene d’occhio l’azienda col
Drappier
hanno
altri vip (www.champagne-drappier.com).
La Maison de Champagne Vézien A Celles sur Ource una tappa d’obbligo è quella alla Maison de Champagne Vézien, una famiglia
Champagne D.O.C.: Champagne, Coteaux Champenois e soprattutto il Rosé des Riceys. Secondo la tradizione durante la costruzione della reggia di Versailles, Luigi XIV il Re Sole,
di produttori attivi da oltre 100 anni e arrivati
notò un folto gruppo di muratori originari dei
alla quarta generazione con Jean-Pierre, che è
Riceys che stavano bevendo il vino del loro
anche il Gran Maestro della “Commanderie du
paese, il Rosé des Riceys, divenuto bel presto
Saulte Bouchon Champenois”.
il preferito del re. Oggi è il vino più controllato di
Con passione intatta e grande rispetto per il
Francia, tanto che non viene vinificato tutti gli
suo lavoro, Jean-Pierre continua a proporre
anni, ma solo nella annate di massima qualità.
lo «stile della casa», fiero in particolare della
Frutto di un unico vitigno di Pinot nero raccolto
cuvée dedicata al bisnonno, che conquista gli amanti dei vecchi Champagne con i suoi aromi di mandorle tostate e di miele. Molto attivo nell’organizzazione di feste e di attività promozionali, Jean-Pierre ricorda agli ospiti
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e giardini. La moglie Marie-José aggiunge un
sulle colline più erte e soleggiate, viene prodotto in poche decine di migliaia di bottiglie.
Info
delle sue cantine che produrre Champagne
Comite Departemental du turisme Aube ec
è un’arte molto impegnativa e raffinata. Paul
Champagne: www.aube-champagne.com
Verlaine gli ha suggerito una bella citazione sullo
Ente nazionale francese del turismo
Champagne: «Il vino d’oro che vive nel prezioso
www.franceguide.com
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Diario di un viaggio: il mito della Borgogna di Davide Zanette fotografie di Cecilia Sitran
“
Borgogna che è il riferimento obbligato per tutti coloro che in ogni angolo del mondo desiderano vinificare i due nobili vitigni, l’istrionico Chardonnay ed il burbero Pinot Nero
B
”
orgogna uguale mito. È una equazione di una semplicità quasi banale ma senz’altro efficace. Non sono necessarie troppe parole o spiegazioni condite per parlare di una area vitivinicola tra le più prestigiose in tutto il mondo. Borgogna che si canta con poche note anzi solo con due; due i territori che compongono la mitica Cote d’Or, ovvero la Cote de Beaune per i vini bianchi e la Cote de Nuits per i vini rossi, due i vitigni utilizzati, loChardonnay ed il Pinot Nero; due i colori che dipingono infiniti panorami del gusto e della eccellenza: il bianco ed il rosso. Borgogna che è il riferimento obbligato per tutti coloro che in ogni angolo del mondo desiderano vinificare i due nobili vitigni, l’istrionico Chardonnay ed il burbero Pinot Nero. La culla del vino è qui, tra i clos, i vigneti disegnati,nell’aria stessa che si respira in quanto trasuda storia ed emozioni ed ormai da qualche secolo ci racconta favole deliziose. Borgogna di cui se ne parla, Borgogna che qualche volta si degusta ma Borgogna che spesso si conosce poco ed è da qui che è nata l’iniziativa della delegazione di Treviso per
proporre una gita di 4 giorni nel mese di Giugno nel meraviglioso territorio d’oltralpe. Una visita che andasse nel cuore pulsante ed in quei luoghi che si vedono solamente negli atlanti del vino, spesso osservandoli come mete irraggiungibili. Il gruppo composto da circa 20 persone, non solo della delegazione di Treviso ma anche dalle vicine ed amiche delegazioni di Venezia e Pordenone, è partito il 25 Giugno da Conegliano, ha sostato per il pranzo nei pressi di Mulhouse in Alsazia, per poi arrivare a destinazione in un grazioso albergo a pochi passi dal centro di Digione.
Vigneti in Borgogna
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
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Chateau Clos de Vougeot
Sabato 26 Giugno,dopo la prima colazione, il gruppo e’ partito per la visita del mitico Clos de Vogeout, castello sede della Confrérie de Chevaliers de Tastevin ove ogni anno si tiene l’asta per aggiudicarsi i grandi Pinot Nero della Cote de Nuits. Clos de Vogeout da il nome ad uno dei più affascinanti Grand Cru e forse il migliore di tutta la Borgogna. All’inizio nel XII secolo, qui i cistercensi piantarono qualche vite sui pendii vicini al loro monastero. All’inizio del XIV secolo le donazioni di terra avevano portato la tenuta alla sua dimensione odierna, 50 ettari, delimitandola con un muro, il clos. Più di due secoli dopo, all’epoca della Rivoluzione del 1789, il vigneto fu frazionato e venduto a sei commercianti. Negli anni ogni appezzamento è stato a sua volta suddiviso e oggi il vigneto appartiene a oltre ottanta proprietari. Dopo aver degnamente pranzato in loco, la giornata è proseguita con la visita alla deliziosa azienda Drouhin-Laroze a Gevrey Chambertin nella quale si è approfondito la conoscenza del sontuoso Pinot Nero. Nel VII secoli i monaci dell’abbazia di Beze piantarono viti in questa zona e vennero presto imitati da un lungimirante contadino di nome Bertin.
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Oggi il Clos de Beze, cinto da un muro, e il campo di Bertin (Champ Bertin) producono alcuni dei piu’ raffinati rossi di Borgogna. Nell’azienda Drouhin-Laroze quindi si è degustato un gustoso Gevrey village 2007 per poi passare ai Premier Cru Craipillot e Lavaut St.Jacques (entrambi millesimi 2007) e si è concluso con il colossale Grand Cru LatricieresChambertin figlio dell’annata 2004. Giornata ricca di emozioni che si è conclusa con una rilassante cena in albergo. Domenica 27 Giugno ancora grandi momenti, segnati dalla visita della città di Beaune e delle sue cantine limitrofe. Ma prima di tutto si è ammirato una delle più celebri meraviglie di Francia: l’Hospice de Beaune. Nel 1443, ansioso di assicurarsi un posto in paradiso, l’esattore Nicolas Rolin costruì un hotel-Dieu,un ospedale destinato ai poveri di Beaune. Per il sostentamento dell’ospedale regalò anche dei vigneti che oggi, insieme a quelli donati in seguito da benefattori di tutta la Cote d’Or, producono ogni anno oltre 250.000 bottiglie, il cui ricavato viene tuttora utilizzato per finanziare un ospedale e una casa di riposo di Beaune. Dopo il pranzo si è dedicato il pomeriggio alla visita di ben tre
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
aziende,dedicate alla produzione del maestoso Chardonnay. La prima è stata la nota azienda Patriarche nella quale sono stati degustati ben 10 vini comprensivi di tutte le tipologie presenti in Borgogna. Ed allora Aligote’, Pouilly Fuisse’ 2006 e Mersault 2006 per i bianchi, per poi assaggiare gustosamente i vari Pinot Nero proposti tra i quali: Marsannay 2004, ChoreyLes-Beaune 2007,Gevrey-Chambertin 2004 ed un Vosne Romane’ del 2007. Quindi la giornata ha visto la tappa presso Chateau Mersault sita ovviamente a Mersault. Questa è la patria indiscussa dello Chardonnay e qui si produce circa un terzo di tutti i vini bianchi della Cote d’Or. La successione della degustazione ha visto passare gli Chardonnay, capeggiati dai Chateau du Mersault Premier Cru nelle versioni 2004 e 2005 per poi degustare i Pinot Nero tra i quali ha spiccato per importanza ed eleganza il Beaune Greves Premier Cru millesimo 2004. L’ultima azienda ma non per importanza è stata Doudet – Naudin, squisita e piccola realtà paragonata ai due colossi precedentemente incontrati. Anche in questo caso, parecchie sono state le etichette assaggiate riscontrando picchi qualitativi molto elevati sia nel caso dei Chardonnay che dei Pinot Nero. Tra i nettari bianchi non si può non nominare i due splendidi ed ancor giovani Premier Cru dell’annata 2007 quali Pernand VergelessesSous Fretille ed il Savigny-Les-Beaune-En Redrescul. Tra i Pinot spicca senza dubbi alcuni il Pernand-Vergelesses Premier Cru-Les Fichots dell’anno 2007 e poi per concludere il grandioso Corton Marechaudes Grand Cru 2007 che a detta di tutti e’ stato il calice che ha raggiunto la vetta massima della piacevolezza. La giornata di Domenica è stata senz’altro emozionante ma anche un po’ stancante per cui dopo tanto errare tra quelle terre intrise di magia, è stato ben apprezzato il ritiro in albergo nel proprio giaciglio. Il giorno a seguire il gruppo è partito da
Stoccaggio di deposito
Barricaia in Borgogna
Digione facendo tappa ad Aosta per il pranzo, passeggiando nel centro storico della provincia valdostana ancora così ricca di reperti romani in ottimo stato di conservazione. Poi verso sera l’arrivo a Conegliano, forse un po’ stanchi perché no, quattro giorni così intensi piegano atleti ben allenati, ma la consapevolezza di aver toccato con mano una terra magica come la Borgogna era grande. Come era grande l’affiatamento tra tutti i partecipanti della gita, rinnovando ancora una volta lo spirito di coesione e di amicizia che lega le delegazioni Fisar del Nord-Est. Una esperienza positiva, ben organizzata e seguita che da forza e stimolo per pianificare ulteriori viaggi all’insegna del vino e delle sue terre nella speranza che diventino sempre più occasioni per condividere profonde emozioni tra tutti gli elementi della famiglia Fisar.
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a cura della redazione di Quality ADV
“
Cantine Nicosia: dall’Etna a Vittoria la Sicilia del vino che guarda al futuro
Più di un secolo è trascorso da quando Don Ciccino Nicosia aprì la sua bottega di vino a Trecastagni, sul versante orientale dell’Etna. Oggi la famiglia Nicosia guida una delle realtà più vivaci del panorama vitivinicolo siciliano
E
ra la fine dell’Ottocento quando il bisnonno dell’attuale proprietario apriva la prima bottega di vino a Trecastagni, sull’Etna, e già a quei tempi il vino etneo era molto apprezzato sui mercati europei, tanto da essere
utilizzato come prodotto da taglio per i rinomati vini francesi ai quali conferiva la sua forza minerale e la sua “vulcanica” personalità. Per molto tempo l’attività principale dei Nicosia è stata quella di “talent scout”, scopritori di vini siciliani
”
meritevoli di essere promossi e commercializzati, con una particolare predilezione – già allora – per i vitigni autoctoni siciliani come il Nerello Mascalese. Oggi, a più di un secolo di distanza, Carmelo Nicosia e i suoi figli guidano con
2010, un anno ricco di premi
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Berliner Wein TroPhy: Medaglia d’Oro - Zibibbo Liquoroso Fondo Filara DecAnTer WorlD Wine AWArDS: Medaglia d’Argento - Cerasuolo di Vittoria Classico Fondo Filara 2007 Medaglia di Bronzo - Etna Rosso Fondo Filara 2008 Medaglia di Bronzo - Catarratto Manna Sicana 2009 SeleZione Del SinDAco: Medaglia d’Argento - Etna Bianco Fondo Filara 2009 DoujA D’or: Premio Douja D’Or - Etna Bianco Fondo Filara 2009 Premio Douja D’Or - Etna Bianco Nicosia 2009 Premio Douja D’Or - Etna Rosso Nicosia 2006 Premio Douja D’Or - Cerasuolo di Vittoria Nicosia 2008 concorSo inTernAZionAle Vini Di MonTAgnA: Medaglia d’Oro - Etna Bianco Nicosia 2009 Medaglia d’Argento - Etna Rosso Fondo Filara 2008
l’aiuto di un gruppo di giovani collaboratori una moderna realtà vitivinicola, sempre nel rispetto per il territorio e le sue tradizioni, ma con una propensione all’innovazione che già proietta l’azienda nel futuro. Ne è emblema la cantina di Trecastagni che con i suoi 3.000 m2 di moderni impianti di vinificazione, gli spazi riservati all’affinamento in legno e in bottiglia e l’accogliente enoteca è un luogo vivo, pulsante, aperto alle visite degli enoturisti e spesso sede di degustazioni ed eventi che vedono il vino protagonista. A poca distanza dalla cantina, ai piedi del Monte gorna – uno dei tanti coni vulcanici spenti che circondano l’Etna – sorge il più suggestivo tra i terreni dell’azienda; con i suoi curatissimi terrazzamenti e i tipici muretti a secco in pietra lavica, che si inerpicano fin oltre quota 700 m, si è aggiudicato alla 29a edizione di ViniMilo il premio La vigna e il vulcano come miglior vigneto dell’Etna. In esso si coltivano il Nerello Mascalese, base di un elegante etna
rosso, e il Carricante, dalle cui uve nasce un Etna Bianco che con le sue caratteristiche degne dei migliori vini bianchi d’alta quota ha recentemente conquistato un’importante Medaglia d’Oro al Concorso Internazionale dei Vini di Montagna. Ma Cantine Nicosia non è solo Etna: uno dei suoi fiori all’occhiello è infatti rappresentato dal Cerasuolo di Vittoria Classico Docg Fondo Filara, vincitore negli ultimi anni di importanti riconoscimenti a livello nazionale ed europeo. Prodotto con uve coltivate nell’ampio vigneto situato tra Vittoria e Acate nella Sicilia sudorientale, è recentemente entrato a far parte della prestigiosa Cantina Didattica di ALMA, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana diretta dal maestro Gualtiero Marchesi. La valorizzazione dei vitigni autoctoni e delle area più vocate nella loro produzione e la ricerca di un giusto rapporto qualità/prezzo sono le principali caratteristiche dei vini di Cantine Nicosia. Tra questi spiccano il Sosta Tre Santi, blend di Nero d’Avola e Syrah dal lungo affinamento, e i vini di territorio della selezione Fondo Filara, una collezione di vini siciliani a Denominazione d’Origine e monovarietali destinati esclusivamente a ristoranti, enoteche e wine-bar.
Cantine Nicosia Cantine ed uffici: Via Luigi Capuana, 49 - 95039 Trecastagni (CT) tel. +39 095 7806767 fax +39 095 7808837 skype: cantine.nicosia e-mail: info@cantinenicosia.it www.cantinenicosia.it
Alla passione per il vino delle origini Carmelo Nicosia e i figli hanno saputo aggiungere un nuovo spirito d’iniziativa, arrivando a produrre ottimi vini siciliani dall’equilibrato rapporto qualità/prezzo.
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a cura della redazione di
le notizie di enogastronomia e turismo
CANTINE CARPUTO: LA FALANGHINA NELLA SUA MIGLIORE INTERPRETAZIONE Collina Viticella, un nome una predestinazione per un’altura di origine vulcanica che cinge uno dei tanti crateri spenti dei Campi Flegrei in cui la famiglia Carputo ha realizzato il suo vigneto più bello. Il cru di Falanghina dei Campi Flegrei DOC Collina Viticella rappresenta la migliore testimonianza della filosofia aziendale. Le caratteristiche irrinunciabili sono il rispetto del territorio, la cura assoluta delle vigne e l’impiego di tecnologie all’avanguardia nei processi di vinificazione. Il risultato è un’armonica ed esemplare sintesi di qualità organolettiche d’eccellenza: Collina Viticella, dal lucente e vivace color paglierino, presenta intriganti profumi di frutta fresca locale, come melannurca, nettarina e nespola. Grande equilibrio, freschezza e persistenza ne caratterizzano il gusto. Può accompagnare tutte le pietanze a base di pesce o carni bianche, oltre ad essere un eccellente aperitivo. CANTINE CARPUTO - www.carputovini.it
10/10/10 UNA DATA DA RICORDARE Anche quest’anno Mazzetti d’Altavilla - Distillatori dal 1846 aderirà a “Grapperie Aperte”, la manifestazione che consente di accendere nel mese di ottobre i riflettori sul mondo della distillazione. Una data facile da ricordare, quella dell’evento (il 10/10/10), che vedrà aprire le porte di Casa Mazzetti con un programma ricco di momenti di svago, gusto ed approfondimento sul distillato italiano di qualità e sulle novità che Mazzetti d’AltavillaDistillatori dal 1846 ha in serbo per chi deciderà di trascorrere la giornata “In Cima alla Collina di Altavilla”. Il
programma prevede, fra i vari dettagli, la degustazione di grappe e prodotti aziendali, le visite agli impianti di distillazione (che nel periodo della manifestazione saranno in piena operatività con un ricco bouquet di profumi derivanti dalle vinacce locali), abbinamenti sfiziosi ed originali tra cibo e distillati e i cocktail di tendenza firmati Mazzetti d’Altavilla. Non mancheranno esposizioni e curiosità presso il locale sotterraneo adibito ad Enoteca dei prodotti aziendali. MAZZETTI D’ALTAVILLA S.r.l. - www.mazzetti.it
MEDAGLIA D’ORO AL MÜLLER THURGAU ATHESIS 2009 KETTMEIR In occasione del VII Concorso Internazionale all’interno della XXIII Rassegna Vini Müller Thurgau, il Müller Thurgau Athesis 2009 - Alto Adige DOC - di Kettmeir ha conseguito il massimo riconoscimento con la Medaglia d’Oro. È una kermesse enologica di spicco che mira all’incremento della conoscenza e della valorizzazione di uno dei più interessanti vitigni della Mitteleuropa, espressione dei vini di montagna, selezionando le produzioni di pregio da indicare al mercato dei consumatori. Il premio conferma l’elevato livello qualitativo che caratterizza lo stile di Kettmeir nella sua superiorità ed eleganza. Il Müller Thurgau Athesis Alto Adige DOC - è il frutto della sapienza enologica della cantina altoatesina: un vino che colpisce per un profilo sensoriale di ampia e profonda ricchezza aromatica. Viene prodotto con le uve di un solo vigneto situato nel comune di Soprabolzano e sono le sue caratteristiche pedoclimatiche uniche, con una altitudine compresa fra i 650 e i 700 m. s.l.m., l’esposizione a sud e il terreno porfidico, a conferirgli un carattere particolare. Un ulteriore riconoscimento per Kettmeir, realtà d’eccellenza del panorama vitivinicolo altoatesino, che conferma la validità della sua filosofia aziendale, fondata sul contatto diretto col territorio e sul rispetto di una tradizione produttiva aperta all’innovazione. SANTA MARGHERITA S.P.A. - www.santamargherita.com
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le notizie di enogastronomia e turismo
MONTALBERA, NASCE IL “PASSITO DI RUCHE’” Presentato ufficialmente LACCENTO PASSITO nuovo vino da uve stramature della Montalbera, portabandiera a livello internazionale dell’autoctono Ruchè. Proveniente dal Bricco Montalbera (collina del Ruchè LACCENTO eletto miglior autoctono italiano anno 2010), già raccolto in sovramaturazione, maniacale è la cura di appassimento e di vinificazione. Affinamento prolungato in barrique di media tostatura che portano questo passito ad evoluzioni sensoriali uniche ed inimitabili. La dolcezza palatale è senza precedenti, con un eleganza tipica (vino-frutto) dei Montalbera. Complimenti a codesto archetipo di passito. SOC. AGRICOLA MONTALBERA S.R.L. - www.montalbera.it
LO CHAMPAGNE JACQUART RINNOVA LA SUA IMMAGINE A partire da quest’anno la prestigiosa Maison di Reims utilizzerà infatti una nuova pagina pubblicitaria molto più elegante e d’impatto rispetto alla precedente. Su sfondo blu scuro campeggerà una macro dell’etichetta del Brut Mosaïque il prodotto–emblema della Casa in tutto il mondo e una semplice scritta in francese farà da icastica chiusura: l’essentiel (l’essenziale). I colori dell’immagine saranno soltanto il blu e l’oro, gli stessi del logo Jacquart. Stabilitasi quest’anno nello sfarzoso Palazzo di Brimont, in centro a Reims, Jacquart è entrata nella cerchia delle più grandi e prestigiose Case di Champagne. Le tre unioni di viticoltori che compongono la Maison Jacquart rappresentano 2400 ettari di vigne ripartite come un mosaico – da qui il nome delle cuvée – sulla Montagne de Reims, nella Vallée de la Marne e lungo la Côte des Blancs, vale
a dire uno dei più vasti territori di approvvigionamento della regione champenois. In questo panorama variegato i maestri di cantina Jacquart selezionano gli Chardonnay, i Pinot Noir e i Pinot Meunier che compongono le cuvée, per dare a ognuna di loro un’identità inimitabile: lo stile Jacquart, caratterizzato da vivacità e immediatezza, privilegia una vinificazione brillante e gradevolissima, e un invecchiamento che va ben oltre le esigenze della denominazione. FRATELLI RINALDI IMPORTATORI - www.rinaldi.biz
CANTINA RUGGERI, 60 ANNI E NON SENTIRLI Dal 1 aprile il Conegliano Valdobbiadene è diventato D.O.C.G. Prosecco Superiore e la cantina Ruggeri, una delle cantine storiche del territorio, festeggerà questo importante avvenimento assieme ai suoi “primi” 60 anni. La cantina Ruggeri ha infatti, da sempre, contribuito a “fare” la storia del Prosecco di Valdobbiadene e a farlo conoscere in tutto il mondo. Numerosi i premi ricevuti nel corso di questi primi 60 anni; competizioni nazionali ed internazionali ma un vanto quello ricevuto dalla Guida Vini D’Italia “Gambero Rosso” 1997 per Santo Stefano Dry premiato con 3 bicchieri: era la prima volta, in assoluto, che i 3 bicchieri venivano assegnati a un prosecco mentre il Giustino B. è stato selezionato per essere presente al G8, tenutosi lo scorso anno, 2009, all’Aquila. La cantina Ruggeri detiene un primato, quello di avvalersi di 25 conferitori, viticoltori di uve Cartizze, ed è la cantina che opera la maggior pigiatura di quest’uva particolarmente pregiata, ricercata ed unica. Un vanto che ha fatto conoscere in tutto il mondo questa piccola collinetta, basti pensare che il territorio dove si produce il Prosecco Superiore di Cartizze è di soli 106 ettari. Giustino Bisol, fondatore della cantina, è partito negli anni ’50 con la produzione di poche migliaia di bottiglie per arrivare alla produzione di oggi, al milione di bottiglie l’anno, distribuite per il 60% in Italia e il rimanente 40% su 25 stati esteri. I maggiori acquirenti sono Russia, Stati Uniti e Gran Bretagna che nel 2007 ha totalizzato l’importazione di 200.000 bottiglie, un vero record! CANTINA RUGGERI & C. - www.ruggeri.it
a cura della redazione di
le notizie di enogastronomia e turismo
CASA VINICOLA SARTORI: QUALITà ED ETICA MATRIMONIO PERFETTO Un forte impegno da parte di Casa Vinicola Sartori nei confronti della Responsabilità Sociale, iniziato lo scorso anno e recentemente premiato dall’ottenimento dell’importante SA8000. Solo poche aziende nel mondo possono vantare il raggiungimento di questa certificazione che ha lo scopo di migliorare le condizioni lavorative sia all’interno dell’Azienda che a livello globale. Con la SA8000 Sartori coinvolge le catene di fornitura e di subfornitura, instaurando con esse un particolare rapporto facendole così partecipare attivamente al rispetto ed alla tutela dei diritti umani. Ora la scelta negli acquisti valuta anche questi criteri, la norma prevede inoltre visite da parte di ispettori dell’Ente Certificatore in Azienda con interviste dirette ed anonime ai dipendenti. Tutto ciò fa parte della politica aziendale intrapresa dalla Casa Vinicola Sartori, primo importante passo di un lungo cammino. CASA VINICOLA SARTORI - www.sartorinet.com
ARRIVA IN ITALIA FIFTY POUNDS LONDON DRY GIN Direttamente da Londra arriva in Italia Fifty Pounds, un nuovissimo London Dry Gin di alta gamma. Questo London Dry Gin, di elevato posizionamento qualitativo e d’immagine, trae il suo nome dai quei tempi lontani in cui i distillatori londinesi erano sottoposti al pagamento di una tassa, appunto, di 50 sterline dell’epoca (Fifty Pounds). L’azienda produttrice, la “Thames Distillers”, è una piccola distilleria della zona sud–orientale di Londra, in attività da oltre due secoli e appartenente a una famiglia di antiche tradizioni produttive; il Master Distiller è fra l’altro il Presidente dell’Associazione dei Distillatori Inglesi. Ottenuto partendo
dalla base neutra di un’acquavite di cereali, viene distillata quattro volte; in questa base vengono immersi gli ingredienti vegetali, per un periodo di due giorni, dopodiché il tutto viene distillato una quinta volta in un vecchio alambicco “John Doore” (conosciuto tradizionalmente a Londra come “la Rolls Royce degli alambicchi”). Dopo la quinta distillazione, il liquido rimane a riposo per almeno tre settimane prima dell’imbottigliamento, per dar modo agli ingredienti vegetali di amalgamarsi perfettamente. La produzione di Fifty Pounds London Dry Gin avviene secondo il metodo più antico, per piccoli lotti, e ogni bottiglia riporta il numero di lotto e l’anno di distillazione. La gradazione è fissata a 43,5% vol., ideale per bere il distillato liscio o miscelato: non troppo bassa, cioè, per non perdere di carattere, non troppo alta per non distorcere i preziosi aromi vegetali. La bottiglia di Fifty Pounds London Dry Gin, elegantissima, è la versione moderna delle bottiglie scure e pesanti del Settecento e dell’Ottocento, prodotte con sezione quadrata per facilitarne il trasporto. FRATELLI RINALDI IMPORTATORI - www.rinaldi.biz
ALLEANZA I.G.T. IDEALE EQUILIBRIO TRA LO STILE DEL VECCHIO E NUOVO MONDO Un appuntamento atteso per tutto l’anno da due amici: un paio di giorni passati indisturbati nella cantina ad assaggiare ogni vino, barrique dopo barrique, valutare, proporre, assaggiare, correggere, provare e riprovare, fino a trovare il giusto equilibrio, l’armonia, il punto di incontro perfetto. Quello sarà il taglio di quell’annata: un vino in cui trova la propria espressione ogni uva da cui nasce e la stessa annata. Lo stile e il talento di due enologi di lunga esperienza e diversa provenienza, Giancarlo Roman in Toscana e Ed Sbragia in California, che si fondono in un perfetto connubio e danno origine a questo vino ottenuto dalle migliori uve Merlot, Sangiovese e Cabernet Sauvignon dei vigneti del Castello di Gabbiano recentemente rinnovati (2000 e 2001). La macerazione sulle bucce è protratta. La malolattica si svolge in barriques nuove di rovere francese con interventi manuali di batonnage. Al termine, il vino viene trasferito
a cura della redazione di
le notizie di enogastronomia e turismo nelle antiche cantine del Castello, in barriques di primo e secondo passaggio, per un periodo di 16/18 mesi. Viene presentato solo dopo un’ulteriore affinamento in bottiglia, di almeno 6 mesi. Colore cremisi intenso, al naso è pieno e ricco, con prugna scura, ribes nero con note di cioccolato. Il palato è intenso con frutta matura dolce e bei tannini morbidi, lungo e persistente. CASTELLO DI GABBIANO - www.castellogabbiano.it
IL VERO BIOLOGICO INIZIA DA UN TERRENO SANO! La “Terra srl Ricerca & Sviluppo” del Marcopolo Environmental Group ha messo a punto una gamma di ammendanti organici naturali incredibilmente efficaci, costituita da deiezioni animali attentamente selezionate, insetti-vermi compostate e bioattivate con specifici microrganismi batterici e fungini non geneticamente modificati: HUMUS ANENZY®. Testato da oltre 5 anni, consente di migliorare le caratteristiche chimicofisiche dei terreni biologicamente depressi o che hanno subito accumuli di inquinanti organici dovuti all’intensificazione dei cicli colturali e a monocolture spinte, contrastare lo sviluppo dei fitoparassiti e incrementare la qualità dei prodotti finali. È particolarmente indicato in viticoltura, orticoltura, frutticoltura, colture protette, giardinaggio ed aree verdi, vivaismo. MARCOPOLO ENGINEERING S.p.A - www.marcopolo-e.com
CANTINE PELLEGRINO: 130 ANNI DI VIGNA E FAMIGLIA Per celebrare in modo indimenticabile i 130 anni dell’azienda, le Cantine Pellegrino hanno scelto di rendere omaggio alla propria terra e alla storia del nostro Paese: in concomitanza con l’anniversario dei 150 anni dello sbarco a Marsala, le Cantine hanno ospitato i diretti discendenti di Giuseppe Garibaldi e di Cesare Abba, patriota garibaldino che partecipò alla spedizione dei Mille. Fondate a Marsala nel 1880 da Paolo Pellegrino, le Cantine Pellegrino rappresentano oggi una delle più importanti realtà enologiche della Sicilia, con oltre 22 milioni di euro di fatturato e circa 7 milioni di bottiglie prodotte. Leader assoluta nella produzione del Moscato e Passito di Pantelleria DOC, attraverso una crescita costante si è affermata come una delle aziende di riferimento nella produzione dei vini Marsala e vanta oggi una profondità e ampiezza di gamma anche
nei vini siciliani da tavola: ottimi bianchi e rossi che si trovano con il marchio Duca di Castelmonte sia nel canale Ho.re.Ca sia nella grande distribuzione, ma con differenti linee di prodotto. Completano l’offerta i prestigiosi vini Hauner, Malvasia delle Lipari DOC, dei quali seguono in esclusiva la distribuzione. “Le Cantine Pellegrino rappresentano una storia di successo, frutto della passione e dei sacrifici di tutti coloro che vi lavorano e che si impegnano con determinazione e costanza per far conoscere in Italia e nel mondo l’eccellenza dei vini siciliani” afferma Pietro Alagna, Presidente di Cantine Pellegrino – “Un “Un traguardo importantissimo che ci fa pensare al futuro come ad una sfida possibile, da affrontare uniti nella famiglia dove alla solidità e alla tradizione si accompagnano la freschezza e l’intraprendenza della nuova generazione appena entrata in azienda”. Carlo Pellegrino & C. S.p.A. - www.carlopellegrino.it
NOBILITO - UN DELICATO PRIMITIVO PASSITO Il Primitivo, vino pregiato del sud Italia, burbero e molto gradato trova una sua intrigante versione nel Nobilito, un Salento Primitivo I.G.P. dell’Azienda Agricola Marinelli produttori in Carossino (Ta) dal 1943. Cresce su un terreno calcareo di origine carsica ricco di sesquiossidi di ferro ed alluminio (terre rosse tipiche del Salento) che conferiscono al terreno calore e danno nerbo e sostanza alle uve che vengono fatte leggermente appassire sui ceppi e subiscono una macerazione di 25-30 giorni. Dal profumo vanigliato e dal sapore dolce, aromatico e vellutato, si abbina perfettamente con formaggi piccanti e pasticceria secca di mandorle. Con i suoi 14,5° va servito a temperatura ambiente.
Luca Bernardini - Ufficio stampa Slow Food
Cibo e territori protagonisti al
Il tema di quest’anno l Salone internazionale del Gusto giunge all’ottava edizione. Si terrà a Torino (Lingotto Fiere) dal 21 al 25 ottobre. Il tema si declina in due percorsi fortemente interconnessi tra loro: cibo e territori. Senza territorio non esisterebbe il cibo, espressione del terreno, del clima, del savoir faire; che attraverso il cibo ogni territorio esprime le sue caratteristiche peculiari, riconoscibili. Il cibo, come parte edibile e concreta della nostra identità, come elemento che plasma il paesaggio, come espressione culturale. Il territorio inteso come luogo che appartiene alle persone che vi sono nate o vi abitano, e di quel luogo hanno cura e conoscenza. Territorio coniugato al plurale, però: per esaltare la diversità di luoghi, culture,
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conoscenze, coltivazioni, pratiche. Per rendere visibile e meglio esprimere questa relazione, lo spazio espositivo al Salone 2010, ed è la novità di quest’anno, è allestito in funzione dei territori: non ci sono più le vie tematiche e l’area dei Presìdi, ma ogni regione o Paese del mondo presenta le sue produzioni, i suoi progetti, le sue cucine. Vino e molto altro all’edizione 2010 Si può tranquillamente dire che nella più che ventennale storia di Slow Food il vino sia stato il primo amore. E anche per questa edizione il Salone del Gusto riserva al nettare di Bacco un posto tutto speciale. In primis le novità: La sala Slow Wine - Banca del Vino è un’enoteca dedicata alla degustazione, dove appassionati e
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intenditori possono scegliere tra oltre 300 grandi etichette di vecchie annate della Banca del Vino oppure assaggiare i vini Slow, riconoscimento attribuito dalla nuova guida Slow Wine di Slow Food Editore. Ogni giorno inoltre questa sala ospita eventi esclusivi con vigneron internazionali e le provocazioni gastronomiche di Davide Scabin del Combal.Zero di Rivoli. E poi non poteva mancare la grande Enoteca, assieme al mercato il cuore del Salone. Uno spazio dedicato al vino di qualità dove si possono assaggiare le ultime annate, conoscere nuovi vitigni o nuovi territori scegliendo tra le oltre 2000 etichette italiane ed estere della carta dei vini. Anche nei Laboratori del Gusto i grandi vini e i loro produttori la fanno da padrona. Alsazia, Portogallo, Borgogna, Istria, Georgia (la patria natia del vino), Catalogna e ovviamente Italia con Piemonte e Toscana in testa, sono solo alcuni dei territori che si potranno esplorare attraverso famose etichette. Inoltre agli Incontri con l’Autore, in una saletta raccolta (non più di 30 persone) con a portata di mano un bicchiere e un piatto i partecipanti hanno la possibilità di ascoltare e interagire con grandi personaggi dell’enologia. Ultima novità “alcolica” del Salone sarà il Cocktail Bar: uno staff di barman professionisti, condotto da Dom Costa (Liquid di Alassio) e Tommaso Cecca (Trussardi Café di Milano),
ospita nel Cocktail Bar nel padiglione 2 i migliori bartender da tutto il mondo – tra cui Salvatore Calabrese, Agostino Perrone, Chris McMillian – e corsi di formazione sulla storia del bere miscelato e tanto altro ancora. Luca Bernardini
Consulta il sito: www.salonedelgusto.it per scoprire le novità della manifestazione e prenotare imperdibili appuntamenti. Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
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Veneto speciale
Una leggenda italiana: Carpenè Malvolti di Gladys Torres
Centoquarantadue anni e non li dimostra. Quasi un secolo e mezzo di esperienza per quella che si può definire l’azienda spumantistica italiana leader del Prosecco nel mondo per eccellenza, ovvero Carpené Malvolti.
U
n sogno iniziato nel 1868 con Antonio Carpené Senior, che insieme ai soci Caccianiga, Malvolti e Vianello dette vita alla “Società Enologica Trevigiana” ben presto divenuta semplicemente Carpenè Malvolti per la rinuncia degli altri due soci a proseguire l’avventura di produrre vino spumeggiante con le uve raccolte sulle colline di Conegliano e Valdobbiadene. Un’avventura in cui invece Antonio Senior ha sempre creduto profondamente e alla quale ha dedicato tutta la sua vita e il suo sapere. Va a lui il merito di aver introdotto, per la prima volta il metodo Champenoise in Italia utilizzando sistemi qualificati e scientificamente controllati e non empirici come era uso all’epoca e di aver perfezionato il metodo Charmat
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Etile Carpenè
applicandolo con decisive ed importanti modifiche per produrre per la prima volta al mondo vino spumante da uve Prosecco, e sempre a lui va il
riconoscimento per aver dato vita insieme a Giovanni Battista Cerletti - nel 1877 - alla Scuola Enologica di Conegliano, ancora oggi considerata vero e
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speciale
proprio ateneo del vino con le sue specializzazioni tecniche, agrarie, professionali e il corso di laurea in Scienze Viticole ed Enologiche. Agli albori del nuovo secolo, nel 1902, le redini dell’azienda passano nelle mani di Etile Senior - un nome, una garanzia - che segue le orme del padre migliorando i metodi di produzione e adeguandosi alle “nuove regole del mercamerca to” con vere e proprie campagne pubblicitarie. Un pioniere di una strada che ben presto il settore vinicolo intero sarà
costretto a intraprendere per poter restare concorrenziale. Intanto, negli anni Trenta, entra in azienda anche la terza generazione dei Carpenè, ovvero Antonio Jr, anch’esso un purosangue dell’innovazione grazie all’introduzione di un metodo Charmat da lui modificato ad hoc per esaltare al meglio le caratteristiche dei vini italiani quali Moscato e Prosecco e delle varianti alla spumantizzazione a fermentazione naturale. La quarta generazione di Carpené si chiama Etile Jr,
Veneto
Etile Carpenè con la figlia Rosanna e la moglie Nicoletta Montalban
nelle cui mani passa l’azienda nel 1986, aprendo le porte all’odierno sviluppo economico e produttivo grazie all’internazionalizzazione dei mercati e ai preziosi investimenti in ricerca e sviluppo che hanno portato alla spumantizzazione di vitigni mai spumantizzati prima. Dal 1996 la proprietà decide di completare il rinnovamento con una gestione manageriale dell’azienda, innovazione per il mondo del vino necessaria per competere sui mercati nazionali ed internazionali, affidando la Direzione Generale ad Antonio Motteran. La produzione oggi è di oltre 5 milioni di bottiglie distribuita in oltre 50 Paesi, ripartite tra Conegliano – Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG, Prosecco Treviso DOC, Rosé Brut, Kerner, Viogner, Cserszegi, Petit Manseng, Talento Metodo Classico Brut e Brut Millesimato, Brandy e Grappa. Proprio da questi investimenti è nato, nel 2005, il progetto che prende il nome di “L’arte
Paesaggi e vigne di Prosecco
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Veneto speciale
I collaboratori della Carpenè Malvolti
Spumantistica”, divenuto per
etichette che contraddistin-
la Finissima Grappa Bianca e la
Carpené Malvolti un vero e
guono i magnifici de L’Arte
Fine Vecchia Grappa Riserva e
proprio marchio di riconosci-
Spumantistica
mento, tanto da creare una
Malvolti, che vanno ad af-
la Grappa di Prosecco Severa
“linea INNOVAZIONE” di spu-
fiancarsi a quelle altrettan-
manti : ogni anno una novità,
to fashion del Conegliano
prodotta appunto con vitigni
Valdobbiadene
mai spumantizzati in prece-
Superiore DOCG, già sotto-
denza con la “funzione d’uso”
poste a restyling dopo il ri-
vari eventi bellici e alle muta-
di essere vini spumeggianti da
conoscimento della DOCG
zioni dei mercati ed ha porta-
degustare a tavola, in abbina-
nello scorso mese di aprile,
to avanti con grande forza di
mento a fantasiosi e giovani
una modifica epocale che
volontà quell’obiettivo sogna-
menù. Un modo “alternati-
esalta ancora di più il valore
vo” di rinnovare ogni giorno il
di quel “vino spumeggiante”
to dal capostipite Antonio Sr,
più classico degli spumanti,
prodotto nella zona storica di
un’idea geniale per raggiunge-
Conegliano Valdobbiadene.
re ogni fascia di consumatore,
La filosofia produttiva Carpenè
dal tradizionalista all’amante
Malvolti si ritrova anche nella
degli “esperimenti”. Colorate,
produzione del Brandy di fami-
de campione, anzi, del leader
intriganti,
glia, della Grappa di Prosecco
mondiale del Prosecco, oggi
e Distillato d’uva di Prosecco,
divenuto DOCG.
immediatamente,
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riconoscibili sono
le
Carpené
Prosecco
Imperatrice. Carpenè Malvolti in 142 anni ha più volte cambiato pelle, ha resistito agli scossoni dei
perché anche se passano gli anni e cambiano le persone che la guidano, il DNA rimane sempre quello di un gran-
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speciale
Veneto
…e non chiamiamola più “graspa”! di Nicola Brotto - CentoPerCento srl
L’immagine più significativa che, fino a qualche tempo fa, mi sarebbe venuta alla mente se mi avessero chiesto di parlare di grappa e, in particolare, della figura del distillatore, l’avrei con molta probabilità rubata ai miei ricordi di infanzia.
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icordi di quando, affascinato dalle eroiche imprese di “Asterix il Gallico” abilmente narrate da Goscinny e Uderzo nella omonima serie a fumetti, guardavo con simpatia a quel vecchio druido del villaggio la cui specialità era la “pozione magica”: un misterioso intruglio di fantomatici ingredienti che donava una temporanea forza sovrumana a colui che la beveva. L’origine della pozione si perdeva nella notte dei tempi e la ricetta veniva trasmessa solo da bocca di druido a orecchio di druido. Ci avevate mai pensato? Il “Mastro Distillatore” paragonato ad una sorta di stregone geloso custode delle proprie tradizioni e la grappa come una sorta di “elisir”, capace di corroborare lo spirito e dissipare gli umori dannosi… Oggi però la mia risposta alla stessa domanda non può che essere un’altra. E menomale!!! Certo non possiamo negare che la grappa rimanga il sim-
bolo di un’identità contadina e di tradizioni tramandate di padre in figlio ma, fortunatamente, è anche viva la consapevolezza che la nostra acquavite di bandiera, distillato di eccellenza per definizione e internazionalmente riconosciuta, possa rivestire nuovi e più moderni ruoli oltre a quello del tradizionale consumo al bicchiere o come semplice “correzione” nel caffè. Pensate ad esempio agli oramai innumerevoli cocktail a base di grappa, ai possibili e stimolanti abbinamenti in cucina, alla possibilità di usare la grappa come vero e proprio ingrediente per la composizione di ricette quanto mai suggestive. Non più quindi semplice “digestivo” o fine pasto, ma anche “soggetto attivo e comprimario” nelle nostre tavole. La grappa perciò, anche se in un momento storico caratterizzato da una sostanziale contrazione dei consumi, ha saputo in questi ultimi anni affermarsi sapientemen-
te sul mercato evolvendosi nel tempo con una proposta sempre più raffinata e capace di soddisfare esigenze di nicchia, differenziando addirittura un’offerta di prodotti innovativi accanto a quelli più tradizionali ed essendo così anche capace di indirizzare il consumatore verso una “destagionalizzazione” dei consumi, valorizzando ad esempio le grappe morbide, giovani ed aromatiche, che possono essere servite leggermente refrigerate o quelle invecchiate, magari accompagnandole ad un buon sigaro e cioccolato fondente. Sempre in questa direzione, ma in ambito associativo, va invece segnalata la recente presa di posizione dei nostri produttori tradotta con il Reg. UE 110/08 che sancisce il divieto di aromatizzazione per le grappe. La grappa si ottiene unicamente mediante sapienti tecniche
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Veneto speciale
di selezione e distillazione delle vinacce, legate all’arte, all’esperienza e alla passione del “Mastro Distillatore”. Una scelta per altro coraggiosa ma necessaria al fine di tutelare un patrimonio di qualità e tradizione anche se tra non poche difficoltà, considerata la concorrenza sleale di distillati stranieri di più largo consumo (Rhum e Vodka su tutti) che non sempre perseguono modelli produttivi altrettanto etici e trasparenti soprattutto in un’ottica di informazione e tutela del consumatore. Il ruolo della grappa oggi è quindi un ruolo nuovo, moderno, dinamico e che necessariamente si adatta ad un mercato sempre più esigente ed evoluto. Una dimensione a cui forse non eravamo abi-
tuati prima ma che non dobbiamo per questo accogliere con diffidenza. Anzi, tutt’altro. Impariamo a rispettare maggiormente questa eccellenza tutta italiana e ad elevarne ulteriormente la percezione di distillato di qualità attraverso degustazioni, corsi, master, approfondimenti ma anche singoli assaggi. Cerchiamo di abbandonare i vecchi archetipi: oramai sono solamente ciarpame da relegare in soffitta. Individuiamo piuttosto nuovi strumenti utili a far diventare la grappa ancora più grande. È anche questo il vostro compito di sommelier e professionisti. E non abbiate paura di essere iconoclasti: la grappa ha tanto bisogno di una nuova dottrina quanto ha bisogno di nuovi profeti e discepoli.
Perché allora continuare a chiamarla “graspa” o “grappino”? Perché continuare a “correggere” il caffè quando si corre solamente il rischio di rovinare una buona grappa e bere un caffè cattivo? Un grande insegnamento che la storia ci consegna è che la tradizione è una componente statica della cultura e non si può certo ereditare sic et simpliciter, ma chi la vuole deve saperla conquistare con grande fatica. Quando chiesero a Papa Giovanni XXIII cosa fosse per Lui la tradizione, Egli rispose: “è il progresso che è stato fatto ieri, come il progresso che noi dobbiamo fare oggi costituirà la tradizione di domani”.
L’orgoglio di Breganze A Breganze abbiamo il campanile più alto del Veneto, secondo solo a quello di San Marco. Per questo vogliamo che anche nei nostri vini ci sia quanto di meglio il territorio può offrire. Da sempre vanto della Cantina Beato Bartolomeo, oggi Savardo si impreziosisce con una nuova etichetta ispirata alla tradizione. Cabernet, Pinot Nero, Marzemino, Breganze Bianco, Pinot Grigio e Vespaiolo. Orgoglio di Breganze.
PUNTI VENDITA DIRETTI Schio Via Vicenza 57 - Tel. 0445 513632 Breganze Via Roma 100 - Tel. 0445 873112 Castelfranco V.to Borgo Padova 65 - Tel. 0423 723891 www.cantinabreganze.it
Aperti dal lunedì al sabato: 8.30-12.30 15.00-19.00
Veneto speciale
Arrigo Cipriani, un “prigioniero” all’Harry’s Bar di Venezia di Roberto Rabachino
Arrigo Cipriani è uno dei ristoratori più conosciuti al mondo. E l’Harry’s Bar è il locale più conosciuto al mondo. Un uomo che ha fatto incontri straordinari: da Woody Allen a Giorgio De Chirico, da Ernest Hemingway a Frank Sinatra.
E
legante, disponibile, creativo, futurista, tradizionalista e nello stesso tempo trasgressivo. Un Arrigo Cipriani a tutto campo si racconta. Dr. Arrigo cos’è la cosa più importante nel suo locale. Non esito un solo istante nella risposta: la cosa più importante, il mio valore aggiunto, il motivo del mio successo sono i miei collaboratori. Senza la loro professionalità, la loro disponibilità, la loro eleganza, il loro amore per questo locale non sarei nessuno. Questo locale è 70 mq, il numero di dipendenti è 70. Uno ogni metro quadro. Tutti debbono lavorare con questa idea in testa: “servi gli altri come vorresti essere servito tu”. Nessuno deve essere prota-
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gonista ed ognuno deve svolgere al meglio il ruolo che gli è stato assegnato. Parliamo della sua cucina. Partiamo dallo chef. Non deve essere lui il protagonista. Sono contrario al professionista che vuole imporre la sua cucina a tutti i costi. Sono geneticamente contrario alle imposizione di tutti i tipi. Credo nella libertà e nella libera scelta ed applico questo concetto anche nella mia cucina. Vede, io considero il mio locale una trattoria. Chiaramente una trattoria un po’ particolare, magari un po’ di lusso ma con ben chiare le caratteristiche che deve avere una trattoria. Qualità, tipicità, tradizione sono le nostre armi vincenti. Oggi tutti i locali stanno vivendo un momento di crisi.
come pensa di superare questo difficile momento. Anche l’Harry’s Bar di Venezia fa i conti con la crisi e mi sono trovato costretto a tagliare del 10-15% i prezzi. Niente di strano, le boutique fanno le liquidazioni, noi ci adeguiamo. I clienti comunque hanno capito e l’hanno presa molto bene. Se prima venivano una volta, adesso hanno triplicato la loro presenza. Un grosso aiuto lo stanno dando anche i miei dipendenti che hanno accettato di tagliarsi del 10% il loro stipendi. Tutto questo mi è servito per non licenziare lasciando inalterato il servizio ed offendo la stessa qualità. Ripercorra la sua vita. A chi deve dire grazie. Sicuramente a tutti i miei collaboratori in primis. Le dico una confidenza. In questo lo-
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Arrigo Cipriani Nasce a Verona nel 1932. Nel 1957 si laurea in Giurisprudenza all’Università di Ferrara, si sposa e dal matrimonio nascono tre figli. Nel 1950 continua l’attività del padre che nel 1931 fonda l’Harry’s Bar a Venezia. Con gli anni Cipriani si diffonde in tutto il mondo aprendo svariate attività a Londra, New York, Hong Kong, Los Angeles, Porto Cervo e Miami (ristoranti, resorts, clubs, residences). Nel 2001 il Ministero italiano degli affari culturali dichiara l’Harry’s Bar di Venezia un punto di riferimento nazionale per la sua testimonianza agli eventi di un secolo a Venezia. Scrittore e giornalista collabora con importanti testate nazionali ed estere.
Veneto
cale i miei due direttori sono già in pensione eppure lavorano ancora con me. Senza di loro sarei perso. Il personale è il mio grande patrimonio: veramente senza di loro non avrei potuto raggiungere questo successo. Comunque non mi è mai piaciuto guardarmi indietro. Preferisco guardare avanti. E avanti ho, fortunatamente, i miei figli e già i miei nipoti, la quarta generazione, che sono in azienda. Vorrei che il destino mi riservasse la fortuna di trovare il tempo per ringraziare anche loro.
harry’s Bar
Interno dell'Harry's Bar di Venezia
L'angolo del'Harry's Bar
Il nome del bar, come raccontò lo stesso Giuseppe Cipriani (padre di Arrigo), deriva da quello del giovane studente americano Harry Pickering che, trasferitosi negli anni venti a Venezia con una zia per tentare di curarsi da un inizio di alcolismo, venne da questa piantato in asso con pochissimi soldi dopo un litigio. Giuseppe Cipriani, all’epoca barman nell’hotel in cui risiedeva l’americano, impietosito dalla vicenda prestò al giovane 10.000 lire, somma considerevole per l’epoca, per consentirgli di rientrare in patria. Qualche anno dopo, il giovane, guarito dall’alcolismo, tornò a Venezia e, rintracciato Cipriani, in segno di gratitudine gli restituì l’intera somma aggiungendovi 30.000 lire perché potesse aprire una sua attività in proprio. Cipriani decise quindi di chiamare il suo locale “Harry’s Bar” in onore del suo benefattore, inaugurando la sua attività il 13 maggio 1931. Il cocktail Bellini e il Carpaccio sono le due celebri creazione che hanno reso questo locale unico ed inimitabile.
Il famoso Carpaccio e Bellini
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Veneto speciale
Gianni Zonin: un uomo capace di affrontare qualsiasi sfida di Roberto Rabachino
Gianni Zonin è il presidente del più importante impero vinicolo italiano a conduzione familiare, vale a dire la Casa Vinicola Zonin.
I
l Cav. del Lavoro Gianni Zonin è certamente una figura carismatica e rappresenta il capitalismo, nella sua accezione positiva, del mondo del vino. Persona gentile, in splendida forma e disponibile, ci riceve nel suo ufficio di Gambellara e con assoluta disponibilità risponde alle nostre curiosità. Dott. Zonin ci descriva la sua azienda. Per quanto riguarda la grandezza siamo la più estesa tenuta famigliare italiana con i 1.800 ettari di vigne. Per rendere meglio l’idea equivalgono a 9.000 km lineari, vale a dire la distanza che c’è dall’Italia al Texas. In termini di strategia, posso dire che siamo tra gli unici a diversificare la nostra produzione. Oggi abbiamo vigne in sette diverse regioni italiane che
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concentrano la produzione nelle varietà locali. Non penso che in Europa ci siano molte aziende vinicole a conduzione famigliare che possano competere in questo campo. Abbiamo tenute in Friuli, Veneto, Lombardia, Toscana, Puglia, Piemonte, Sicilia e in Virginia (USA). Parlando di commercializzazione, ciò significa che possiamo offrire ai nostri clienti e importatori una
vasta gamma di vini di qualità a pezzi abbordabili, prodotti da diversi vitigni tipici e provenienti dalle più importati regioni italiane produttrici di vino. Ci parli del suo ingresso in azienda. Era il 1957. Io avevo 19 anni e avevo appena finito il mio diploma in enologia presso la scuola di Conegliano. Mio zio Domenico, che a quel tempo
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stava conducendo l’azienda per conto di tutta la famiglia,
era sempre: Bianco o rosso? Riferito al vino bianco o rosso.
influì molto sulla mia carriera. Lui era un uomo eccezionale: saggio, lungimirante e un gran lavoratore. La mia passione sin da ragazzo era il mondo del vino e volevo seguire le sue orme. Il mio ingresso in azienda non fu però immediato. Prima dovetti soddisfare il desiderio di mia madre che mi voleva vedere laureato e, all’età di 29 anni, conseguii la laurea in giurisprudenza.
La gente allora non era così “sofisticata” e i camerieri non erano proprio tutti così preparati. Oggi i tempi sono cambiati e il grande movimento dei corsi di formazione ha fatto la differenza. Fondamentale per la divulgazione della cultura del bere il ruolo dei sommelier come è fondamentale per noi formare la nostra forza vendita
Veneto
Barricaia dei Feudo di Butera in Sicilia
speciale
non solo sulle tematiche specifiche del marketing ma anche sulla capacità di comunicare il vino tramite una corretta analisi organolettica descrittiva. Dottor Zonin, se io le dico “cultura del vino” lei cosa mi risponde? Cultura del vino significa perseguire la ricerca della qualità partendo dalle scelte che si fanno principalmente in vigna. Significa valorizzare e sviluppare le produzioni tradizionali senza snaturarle. Significa rispettare il territorio. Questa è da sempre la politica della Zonin. Un vino deve essere la finalizzazione di un percorso che vede in primo luogo il rispetto delle tipicità inserite in un contesto territoriale ben definito. La nostra azienda poteva far spostare il prodotto. La nostra scelta è stata spostarci verso il prodotto.
La sua azienda è sempre stata molto attenta nel comunicare un prodotto. Che ruolo hanno oggi i sommelier come veicolo di comunicazione del vino? In questi ultimi anni molto è cambiato. Mi viene in mente una pubblicità fatta alla fine degli anni ’70. Un poster pubblicitario intitolava “Bianco o Rosso, sempre Zonin”, perché avevamo notato che la prima domanda in un ristorante Roberto Rabachino intervista il Cav. Lav. Gianni Zonin
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Veneto speciale
Parliamo per concludere del presente e del futuro. Mi parli della nuova generazione degli Zonin. Io non ho mai imposto nulla ai miei figli. Ho sempre lasciato a loro la possibilità di scegliere ed eventualmente sbagliare. Sbagliando si cresce. Non posso però nascondere che sono molto felice che i miei 3 figli abbiamo scelto di seguire la mia strada. Loro rappresentano la continuità. Domenico e Francesco sono vicepresidenti e rispettivamente si occupano di produzione, vendita e marketing. Michele è a capo della Direzione e si occupa degli aspetti finanziari. Sebbene io sia molto attento ad ogni aspetto degli affari della compagnia, lascio che i miei figli prendano delle loro iniziative e li lascio, come detto prima, anche sbagliare. Fa parte del processo di apprendimento. Dopo tutto, anche io commetto ancora oggi qualche, magari piccolo, errore. gianni Zonin Gianni Zonin è nato a Gambellara il 15 gennaio del 1938. Dopo il Diploma in Enologia (per seguire le orme dello zio), si è laureato in Giurisprudenza (per esaudire il desiderio di sua madre). All’età di vent’anni entra in azienda e, nel 1967, neanche trentenne, assume la
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Gianni Zonin con i tre figli
Presidenza dell’azienda familiare, che proprio in quell’anno diventava una S.p.A. Fu lui a guidare l’azienda verso il costante e rapido successo ottenuto negli anni successivi al suo arrivo e a prendere l’importante decisione di investire in vigneti di proprietà, estendendosi in diverse zone italiane, per dare ancora più garanzia al consumatore attraverso il controllo dell’intera filiera produttiva. “Abbiamo puntato ad acquisire aziende agricole importanti... scegliendole in base alla loro collocazione geografica, in modo da poter offrire ai nostri clienti una gamma completa di vini di qualità provenienti dalle sette regioni più vocate alla vitivinicoltura in Italia”. Secondo Gianni Zonin la chiave di volta imprescindibile per
avere successo è la qualità. Questo è da sempre l’impegno della famiglia Zonin: la ricerca di un continuo miglioramento qualitativo. Per questo nel 1997 Gianni Zonin scelse di avere al suo fianco Franco Giacosa, per proseguire lungo questa strada. Dal dialogo tra un uomo dalle grandi visioni strategiche nel mondo del vino e l’eccellenza del tecnico, Casa Vinicola Zonin ha potuto raggiungere i massimi livelli qualitativi, soprattutto puntando sui vitigni autoctoni, ed entrare a far parte della storia del vino italiano. Nel 1989, è stato insignito dal Presidente della Repubblica Italiana dell’onorificenza di Cavaliere del Lavoro e dal 1996 è Presidente della Banca Popolare di Vicenza.
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Fu un salto importante, per-
azienda
marketing innovative aprirono
ché l’azienda di Gianni Zonin
Una storia che coinvolge set-
la strada a un processo di cre-
passò da realtà di una zona
te generazioni nella viticoltura,
scita tuttora in atto.
che inizia a Gambellara, nel vi-
Risalgono agli anni Settanta
prestigiosa, ma pur sempre
centino, dove già il vino veniva
l’acquisto delle Tenute Ca’
coltivato al tempo dei romani e
Bolani e Castello d’Albola, e il
consumato dai Dogi di Venezia.
successivo approdo in Virginia,
Anche se già a partire dal 1821
USA,
la famiglia è legata alla coltura
Vineyards, che anticipava la
Sicilia. “Lasciare il Veneto sen-
e alla produzione del vino, è nel
futura espansione nel merca-
za lasciarlo” è stata una scelta
1921 che il nome Zonin inizia
to americano. “Ricordo an-
di strategia dell’azienda che
una vera e propria rivoluzione:
cora quando acquistammo
ha segnato il destino della fa-
il
Domenico
la Tenuta Cà Bolani in Friuli –
miglia Zonin.
Zonin specializza nella viticol-
racconta Gianni Zonin in un’in-
tura i terreni di famiglia, dando
tervista – era il 1970 e c’era
Negli ultimi dieci anni, dopo
vita alla Casa Vinicola Zonin.
qualche dubbio in famiglia sul
Nei primi anni ‘60, un’altra
fatto di uscire dai confini del
grande svolta: lo zio Domenico
nostro Veneto. Ma ero convin-
viene affiancato dal nipote
to della mia idea: per produrre
Gianni Zonin, che nel 1967
vini di eccellenza è necessario
e Michele la famiglia si è in-
assume la Presidenza della
possedere i vigneti, sceglien-
grandita ulteriormente, arric-
società.
do i migliori terroir e i vitigni più
chendosi di innovazione e di
Vini di alta qualità e accessi-
tipici. Andai avanti”.
contemporaneità.
a cura della redazione di
commendator
con
V
isti daVicino
Barboursville
Veneto
bilità e scelte commerciali e di
speciale
La storia della storica
circoscritta, a una realtà che si estende dal Veneto al Friuli, dal Piemonte alla Toscana e all’Oltrepò, dalla Puglia alla
sette generazioni, è avvenuto un nuovo passaggio: con l’entrata in azienda dei tre fratelli Domenico, Francesco
Santa Sofia Via Ca’ Dede’ 61 - 37029 Pedemonte di Valpolicella (Verona) Tel. +39.045.7701074 Fax +39.045.7703222 www.santasofia.com – info@santasofia.com
Santa Sofia: I classici vini veronesi dal 1811
L
a storia della prestigiosa azienda valpolicellese, Santa Sofia (1811), è da più di 40 anni connessa a quella della famiglia Begnoni, che la rileva nel 1967 grazie all’intraprendenza del giovane e promettente enologo Giancarlo Begnoni, diplomatosi al rinomato Istituto di enologia di Conegliano Veneto. Assieme a Giancarlo ora alla conduzione dell’azienda ci sono anche i figli Luciano e Patrizia. Dai vigneti della Valpolicella Classica, Giancarlo esprime vini di struttura, eleganti, equilibrati, con ottimo abbinamento con i cibi, e completa la produzione con uve proveniente dai vigneti delle zone di produzione DOC veronesi: Soave, Bardolino, Custoza, Lugana. Con la vendemmia 1967, produce la prima edizione del Gioè, la sua riserva di Amarone della Valpolicella, a sottolineare la qualità superiore di quell’annata. Da allora ai giorni nostri Giancarlo ne ha prodotto solo 16 edizioni:
l’ultima è la 2003. Tra gli ulteriori vini di particolare pregio, segnaliamo: il Montegradella, Valpolicella Classico Superiore, prodotto con lo stesso processo di produzione dell’Amarone, ma con tempi più brevi di appassimento delle uve e di maturazione in botte; l’Arlèo, Rosso del Veronese, un blend di Corvina (85%), l’uva principe della Valpolicella fatta appassire per 60 giorni, e di Cabernet Sauvignon e Merlot (15%), maturato in legno per 24 mesi; il Recioto della Valpolicella Classico, vino da dessert indimenticabile, premiato con la medaglia d’oro al Decanter WWA in Inghilterra. Le cantine storiche sono aperte per visite e degustazioni dal lunedì al venerdì dalle 9:30 alle 11:45 e dalle 14:30 alle 17:30. Chiuso sabato e domenica, salvo eventi particolari quali “Cantine Aperte” e “San Martino in Cantina” promosse dal Movimento Turismo del Vino.
speciale
Veneto
Il bacalà alla Vicentina di Romolo Cacciatori (Membro Venerabile Confraternita Bacalà alla Vicentina, Bailli del Veneto e Consigliere Nazionale Chaine des Rotisseurs)
In tutto il Veneto il baccalà, inteso come stoccafisso, fu accolto con grande interesse, anche e soprattutto nelle comunità rurali per la possibilità di cucinarlo senza grandi problemi, utilizzando ingredienti del territorio e con un costo modesto
S
i racconta che, nel 1269, i vicentini, che tentavano l’assalto al castello di Montebello, difeso dai veronesi, alle guardie che gridavano: ”Altola’!”, rispondessero: ”Oh, che bello, noi portiamo polenta e baccalà”. E a quel grido, i veronesi, ghiottoni, spalancarono il portone. È leggenda o è storia? Ci rimangono i dubbi legati alla data dell’arrivo del pesce essiccato in Italia risalente solo alla metà del 1400. Nel 1432, una spedizione, agli ordini del capitano veneziano Pietro Querini, naufragò a Røest, una delle più sperdute isole Lofoten, al largo della Norvegia. Rientrando poi a casa, nella sua Venezia, portò con sé il merluzzo essiccato che aveva trovato nell’isola. Poi illuminati gastronomi vicentini trasformarono questo
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Il Bacalà alla Vicentina al G8 Agricoltura
pesce essiccato nel famoso piatto che ora noi conosciamo. La sua diffusione fu aiutata anche dalla Chiesa che con il Concilio di Trento ritrovò la voglia di mondarsi, anche con la cucina, e fu un ritorno al mangiare sano, al mangiare magro, all’astinenza ed al digiuno. La cucina di magro divenne una sorta di viatico per l’anima. Qualcuno osò pensa-
re che questa delibera ecclesiastica fosse ispirata e spinta dal fatto che, nel frattempo, le Valli di Comacchio erano passate dagli Estensi al Papato, e lì c’era tanto pesce da consumare e da vendere. I vicentini videro nello stoccafisso un’alternativa al costoso pesce fresco, facilmente deperibile. Un considerevole commercio del pesce fu messo in moto e
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Vigneto “Conca d’Oro”
Più di un secolo fa, nostro bisnonno Giacomo Tommasi ha impiantato il suo primo vigneto di Corvina e Rondinella nel cuore della Valpolicella Classica. Oggi, con la stessa passione, portiamo avanti il suo sogno... Famiglia Tommasi, 4ª generazione
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Viticoltori dal 1902
Veneto speciale Cacciatori - Assaggio, affiliazione Confraternita del Bacalà - Sandrigo VI
poiché il pesce secco era facilmente trasportabile e poco deperibile, riuscì ad avere un posto di rilievo. Bastava poi un po’ d’acqua a rimettere tutto a nuovo, dopo che era stato trasportato come legna e senza molti riguardi. Le popolazioni povere dell’entroterra trovarono nel pesce-bastone (stockfish) un facile modo per adempiere il precetto del venerdì e quindi agli obblighi religiosi. Divenne in questo modo un oggetto prezioso da scambiare fra le popolazioni del nord e quelle del sud.
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Baccalà nel Veneto In tutto il Veneto il baccalà, inteso come stoccafisso, fu accolto con grande interesse, anche e soprattutto nelle comunità rurali per la possibilità di cucinarlo senza grandi problemi, utilizzando ingredienti del territorio e con un costo modesto. Un’evoluzione domenicale e del dì di festa in alternativa alla “triste aringa”e alla “sardella” sotto sale che dava vita ad un piatto semplice ma gustoso: i bigoli in salsa (spaghetti con sardine sotto sale sciolte nell’olio o
burro). Non è detto che tutti eseguissero la “Ricetta Madre del Bacalà alla Vicentina” o del “Mantecato alla Veneziana”. Ogni Paese aveva la sua ricetta: o con pomodoro o con patate od altro, secondo quanto si reperiva per fare “strada” ed accontentare le famiglie numerose. La polenta era sempre presente e quindi il riempimento dello stomaco era assicurato. Molti ingredienti in comune: sicuramente il latte, poiché tutti allevavano le mucche o le pecore, e questo poteva essere un valido sostituto
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l’aglio o il burro, ma c’è tanto latte ed olio che anche il burro, forse, non fa tanto male. La Confraternita ha messo fine alle discussioni ed ecco la ricetta ufficiale depositata. Il Merluzzo ed il baccalà Il merluzzo per tutte le ricette a base di stoccafisso è la specie che vive nel Nord Atlantico e nei mari freddi in generale, a temperature di acqua comprese fra 0 e 16 max.; se la temperatura si alza diminuisce il livello della qualità. La taglia media
è fra 50 e 80 cm. Ma qualche esemplare arriva anche a dimensioni maggiori. Il Merluzzo è fecondissimo: ogni femmina depone milioni di uova, molte vanno perdute altrimenti ne avremmo quantità enormi. Una volta pescato il merluzzo, liberato già sul natante della testa, delle pinne, della coda e dell’intestino, viene immediatamente messo in barili, con abbondante sale che ne garantisce il prosciugamento e la lunga conservazione. Questo è il baccalà. Quando invece viene scaricato a riva e portato a seccare per mesi sui graticci di legno a temperatura che si aggira su zero gradi, esposto quindi all’aria fredda e ai deboli raggi del sole del cielo nordico, si ha lo stoccafisso, ovvero stock, legno o bastone di fish, di pesce, tale apparendo per forma e per durezza. La qualità migliore è quella denominata “ragno”, ma ha poca carne e non lo si trova praticamente più; attualmente si usa la Best Western, un merluzzo di circa 80 cm. È corretto fare una precisazione: i vicentini chiamano lo stoccafisso, pesce secco, con il nome di Bacalà (con una c solamente), perchè quando parlano di baccalà (con due c) si riferiscono a quello salato. Il baccalà ha caratteristiche nutrizionali di buon livello: contiene vitamine PP e B1, calcio e fosforo. Una curiosità: le lingue e le guance del mer-
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Veneto
Valore della ricetta vicentina nel mondo gastronomico Ma cosa dire del valore della ricetta e del piatto nella storia della gastronomia? Solo nel 1580 Michel de Montagne, nel suo celebre “Journal de Voyage en Italie”, lascia un piccolo appunto su Vicenza, “grande città piena di palazzi gentilizi”, ma il suo entusiasmo letterario riprende fuoco solo per un pranzo in cui era incluso il famoso “piatto nazionale” dei vicentini: il baccalà. L’Artusi nell' “Arte del mangiare bene e la scienza in cucina” pur presentando qualche ricetta sullo stoccafisso non fa menzione né del “bacalà alla vicentina” né del “baccalà mantecato”. La “Venerabile Confraternita del bacalà alla vicentina” (sito ufficiale del baccalà: www. baccalaallavicentina.it) suggerisce la ricetta, frutto di studi e di comparazioni tra le numerose preparazioni in auge nei
ristoranti e nelle trattorie più famose del Vicentino, tra gli anni trenta e cinquanta, senza naturalmente demonizzare le varianti, attualmente in servizio. A dire il vero le varie ricette avevano poche differenze e solo nei particolari: latte, cipolla, formaggio sono presenti in tutte le ricette. C’è chi discute sulla “sardea”, chi non vuole
speciale
dell’olio. Anche il prezzo della materia prima era per tutti e quindi molti potevano permetterselo, adatto com’era a vecchi e bambini. Si riporta che allo svezzamento dei piccoli spesso veniva fatto assaggiare un piatto di Baccalà, che aveva sì un po’ di latte come ingrediente ma presentava anche altri elementi un poco impegnativi, e creava spesso, ai bimbi, qualche imbarazzo, ma questa è un’altra storia.
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Veneto speciale
luzzo sono consumate in loco e difficilmente ci raggiungono ma sono saporite e da provare; il fegato di merluzzo, incubo di qualche ragazzo che ora non è più tanto giovane, non è più usato come ricostituente ma solo nei paté alimentari. Le uova sono un’esca formidabile per la pesca delle sardine. L’abbinamento con il “Bacalà alla Vicentina” Anche per il “bacalà alla vicentina” non esiste la perfezione nell’abbinamento fra piatto e vino ma sono presenti nel territorio una serie di proposte. Ancora una volta ci vengono incontro tradizioni locali per i vini: il detto popolare “la Cucina mangia la Cantina”. Anche qui la Venerabile dà qualche indicazione. Questo è un piatto saporito ma delicato al tempo stesso; presenza di latte, olio e dei vari altri ingredienti complicano l’operazione di abbinamento. Il vino deve pulire la bocca ma non sovrastare il piatto quindi la mia preferenza (e quella della Confraternita) va a due vini, entrambi da uve autoctone vicentine: uno è il
Lo chef Antonio Chemello davanti alla sua storica Trattoria.
ché le Vespe sono attratte dalla dolcezza dei sui acini; coltivato dai Benedettini in loco (Breganze - VI) fin dal 1400. In terza posizione metterei un altro Vicentino: il Gambellara Classico (da uve autoctone Garganega). Mentre direi ormai superato definitivamente l’abbinamento del Tocai Rosso ora Taj Rosso, con il Piatto Vicentino. È un vino di struttura (forse non tutti sanno che è un Grenache) poco adatto ad accompagnare con discrezione questo piatto per i troppi sentori di lamponi e ciliegie e con i tannini in evidenza. Se a qualcuno non piace il vino
direi che almeno un bicchiere di Birra potrebbe essere un abbinamento accettabile. Non siamo né in Belgio né in l’Inghilterra o almeno in Germania per avere molteplici scelte. Serve una birra che crei secchezza, eliminando l’untuosità che è in bocca, con alcool e carbonatazione per garantire la pulizia del palato, quindi alcolica o molto alcolica. Potrei suggerire la Baladin, ambrata demi-sec, per un matrimonio italiano; oppure, andando in Belgio, una Duvel, una strong ale. Sconsiglio l’acqua frizzante, anche se qualche astemio potrebbe esserne tentato.
Durello superiore (vino antichissimo e moderno, 100% dall’ omonimo vitigno) e l’altro è il Breganze superiore (da uve Vespaiolo, in purezza). Il Durello è citato in un editto del 1290 come Uva Durasena ed addirittura se ne sono rinvenute tracce in alcune ammoniti. Il Vespaiolo chiamato così perMagazzino di stoccafisso a Røest
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La Venerabile Confraternita del Bacalà alla Vicentina,
sei bottiglie sono state ritrovate e sei premi pagati, con
si costituisce nel marzo del 1987, con una solenne
piacere, dalla Cantina a persone provenienti da Paesi
cerimonia nella sala consiliare del Comune di Sandrigo,
diversi.
una fornitura di vino presso la Cantina. A tutto oggi ben
presente il Sindaco Renato Sperotto e il promotore e ideatore dell’iniziativa, l’avvocato Michele Benetazzo,
La ricetta del Bacalà alla vicentina
presidente della Pro Loco cittadina. Scopo del sodalizio
Ingredienti per 12 persone:
è quello di difendere, conservare e promuovere il piatto
kg 1 di stoccafisso secco; g 500 di cipolle; litri 1 d’olio
tipico vicentino e più in generale, di incoraggiare la
d’oliva extra vergine; 3-4 acciughe; 1/2 litro di latte
cultura gastronomica locale e il turismo. Uno dei compiti
fresco; poca farina bianca; g 50 di formaggio grana
della confraternita è quello di valutare i Ristoranti che
grattugiato; un ciuffo di prezzemolo tritato; sale e
chiedono di entrare nel club e quindi di poter ottenere
pepe.
l’ambita targa della Confraternita e un altro è quello di
Preparazione:
verificare, a sorpresa, l’aderenza alla ricetta nei ristoranti della Confraternita. Sono presenti e individuabili nel sopraccitato sito una quarantina di Ristoranti. La maggior parte dei locali sono in provincia di Vicenza, ma anche in varie località del Veneto e in altre regioni. Sono pervenute alla Confraternita richieste di entrare a farne parte da parte di ristoratori stranieri. Dopo il suo recente inserimento fra i piatti che rappresentano la Tradizione culinaria Italiana (Il Brasato alla Piemontese, La Torta con il Castagnaccio alla Toscana, La Pizza alla Napoletana, Il Cannolo alla Siciliana e per l’appunto il Bacala’ alla Vicentina), si auspica che il piatto, che già gode di fama, venga ulteriormente ampliata, anche a livello internazionale. La cittadina vicentina ha dedicato una piazza all’Isola di Røest e l’isola di Røest e la Norvegia hanno regalato un’isoletta alla comunità di Sandrigo,
Veneto
dato la possibilità al fortunato ritrovatore di aggiudicarsi
speciale
La Venerabile Confraternita del Bacalà alla Vicentina
Ammollare lo stoccafisso, già ben battuto, in acqua fredda, cambiandola ogni 4 ore, per 2-3 giorni. Levare parte della pelle. Aprire il pesce per il lungo, togliere la lisca e tutte le spine. Tagliarlo a pezzi quadrati, possibilmente uguali. Affettare
finemente
le
cipolle;
rosolarle
in
un
tegamino con un bicchiere d’olio, aggiungere le acciughe dissalate, diliscate e tagliate a pezzetti; per ultimo, a fuoco spento, unire il prezzemolo tritato. Infarinare i vari pezzi di stoccafisso, irrorarli con il soffritto preparato, poi disporli uno accanto all’altro, in un tegame di cotto o di alluminio, oppure in una pirofila (sul cui fondo si sara’ versata, prima, qualche cucchiaiata di soffritto); ricoprire il pesce con il resto del soffritto, aggiungendo anche il latte, il grana grattugiato, il sale, il pepe.
che è stata battezzata Sandrigooja. Ogni anno una
Unire l’olio, fino a ricoprire tutti i pezzi, livellandoli.
delegazione ufficiale Norvegese arriva a Sandrigo per
Cuocere a fuoco molto dolce, per circa 4 ore e
assistere, nell’ultima domenica di settembre, alla Festa
mezzo, muovendo ogni tanto il recipiente in senso
del “bacalà” e alla cerimonia della nomina dei nuovi
rotatorio, senza mai mescolare, questa fase di
confratelli. Nel 2007, uno chef Sandricense, Antonio
cottura si chiama “pipare”, in dialetto vicentino.
Chemello, appoggiato ufficialmente dalla Confraternita,
Solamente l’esperienza saprà definire l’esatta cottura
ha organizzato un viaggio-evento, ripetendo la rotta del
dello stoccafisso che, da esemplare ad esemplare,
Querini, del lontano 1432. Con la barca a vela dal porto
può differire di consistenza. Sicuramente il fatto che
di Venezia, dopo una lunga e difficile navigazione ha
si possa ammirare a fine cottura l’olio nuovamente
raggiunto Røest. La barca era partita, con un carico
limpido è segno di una cottura corretta; anche il colore
di bottiglie di buon Vespaiolo della Cantina Beato
del Bacalà cotto deve tendente al bianco. Servito ben
Bartolomeo, etichettate per l’evento e destinate alle
caldo, il baccalà è ottimo anche dopo un riposo di 12-
autorità dei vari paesi toccati nelle tappe del viaggio.
24 ore. Per quanto riguarda l’accompagnamento, non
Alcune bottiglie, bevute dall’equipaggio, vuote, sono
pane ma polenta gialla non abbrustolita, ma tenera, in
state gettate in mare, con un messaggio, che avrebbe
fetta e non al cucchiaio.
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Veneto
Il baccalà mantecato Il primo piatto di stoccafisso nato in Italia
E
ra il 3 febbraio 1432, festa di san Biagio, quando il capitano de mar veneziano Piero Querini e i suoi 11 compagni (dei 68 partiti da Creta il 25 marzo 1431), sopravvissuti ad un tragico naufragio, sono salvati da alcuni pescatori e portati nell’isola di Røest, nelle Lofoten, arcipelago norvegese oltre il Circolo Polare Artico, dove restano per 101 giorni, fino al 14 maggio. In questo periodo, oltre a riprendere le forze, assistono alla pesca del merluzzo e alla sua essiccazione, metodo questo inventato dai Vichinghi già prima del Mille, per conservare quel pesce pescato solo nei primi mesi dell’anno, quando i merluzzi s’avvicinano alla costa per deporre le uova. Querini fa ritorno poi a Venezia, dove giunge il 24 gennaio 1433 e consegna ai Magistrati
un’ampia relazione del suo viaggio. I veneziani, tuttavia, ignorano quel pesce bastone – era infatti chiamato stocfiso – e ciò fino a quando il Concilio di Trento, conclusosi all’inizio di dicembre del 1563, fissa un lungo elenco di giorni nei quali i cristiani dovevano mangiare “di magro”. Allora i mercanti veneziani, come anche i genovesi, accorrono con le loro navi a Bergen, città costiera della Norvegia sud-occidentale, dove c’era (e c’è) il grande mercato dello stoccafisso e ne portano a Venezia gran quantità da vendere nella Penisola. Aveva scritto il Querini nella sua relazione: “I stocfisi seccano al sole senza sale, e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come il legno. Quando li vogliono mangiare li battono col rovescio della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butirro e specie per darli sapore; ed è grande e inestimabil mercanzia per quel mare d’Alemagna.” Una volta a Venezia, le brave cuoche delle case patrizie e borghesi e poi anche popolane, seguono le indicazioni del Querini, cioè battono con cura gli stoccafissi, ma scoprono che per eliminare il loro forte e cattivo odore conviene prima metterli in
ammollo per qualche giorno cambiando l’acqua più volte; poi, eliminate pelle e lische, trasformano la polpa in una crema deliziosa, ammorbidendola con dell’ottimo olio d’oliva, mescolando e sbattendo con cura. Nasce così il più antico piatto di stoccafisso realizzato in Italia e chiamato alla spagnola baccalà mantecato, che significa esattamente crema o burro di stoccafisso. Perché baccalà (termine riservato più correttamente al merluzzo sotto sale) e perché mantecato? Va ricordato che dal 1535 al 1706 Milano e la Lombardia sono sotto il dominio spagnolo e la cultura spagnola si diffonde in gran parte dell’alta Italia, anche nel veneziano e ci sono documenti che rivelano come nelle terre della Repubblica di Venezia il termine corretto di stoccafisso è cambiato in quello di baccalà nella seconda decade del ‘600. E da allora la crema di stoccafisso alla veneziana, sempre presente nella cucina veneziana e nelle terre limitrofe e anche fuori regione, è chiamata baccalà mantecato, inimitabile delizia della cucina veneziana e veneta, in onore della quale il 21 marzo 2001 è sorta a Venezia la “Dogale Confraternita del Baccalà Mantecato”.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 Baccalà mantecato con polenta (archivio fotografico di Giampiero Rorato)
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Il Veneto è una delle grandi terre di formaggi e l’elenco ufficiale della Regione ne conta ben sessantanove, una enormità.
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Veneto
Veneto: grande terra di formaggi
I
n verità, accanto ad alcuni nomi ben noti anche fuori regione – Asiago, Grana padano, Montasio, Monte Veronese, Piave, Taleggio, e pochi altri – la maggioranza dei formaggi prodotti nelle sette province venete, con latte vaccino, pecorino o caprino, sono piccoli ma veri e propri gioielli
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di nicchia, la maggior parte dei quali sono il frutto del lavoro di piccoli casari operanti principalmente nelle zone alpine e prealpine, i quali continuano a produrre come i loro padri, i nonni, i bisnonni.. Nelle malghe del Massiccio del Grappa, che interessano
le province di Treviso, Vicenza e Belluno, si producono, ad esempio, il Morlacco e il Bastardo. Il primo venne introdotto da famiglie morlacche, qui trasferite dai Balcani (ad est della Dalmazia) in secoli lontani da Venezia, bisognosa
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 Alcuni formaggi tipici del Veneto
di ripopolare la montagna e si continua a produrlo, come nel lontano passato, col latte delle piccole vacche di razza Burlina, purtroppo quasi in estinzione. Il secondo è prodotto sempre dai discendenti dei Morlacchi col latte un tempo di risulta dopo aver ottenuto il precedente formaggio Nel Bellunese, a Livinallongo del Col di Lana, dove vive una popolazione ladina, si producono tre formaggi che portano i nomi di tre borgate locali: Contrin, Fodom e Renaz e rappresentano delle vere e proprie eccellenze casearie. Altri due formaggi tradizionali, prodotti in passato col latte delle mucche sulla strada dell’alpeggio, sono lo Stracchino trevigiano (prodotto anche il altre regioni) e lo Stracon veronese, entrambi formaggi freschi e molli. Nell’Altipiano del Cansiglio, abitato, come nei Sette Comuni dell’Altipiano di Asiago, dai discendenti degli antichi immigrati Cimbri, si producono formaggi buonissimi, che regalano i profumi degli alti pascoli di montagna. Molti dei formaggi tipicamente locali – Busche, Cansiglio, Comelico, Daniele, Monte delle Dolomiti, Soligo, Sappada, ecc. – sono varianti locali del tradizionale “Latteria”, che è la forma tipica dei caseifici ottocenteschi.. Dal “Latteria” è poi derivato il Montasio (DOP dal 1986), formaggio genuino, garantito dall’Unione Europea. Esso risponde ad alcuni precisi requisiti: la zona di produzione è rigorosamente identificata nel Friuli, nel Veneto orientale nelle province di Belluno e Treviso, e in alcune aree delle province di Padova e Venezia. La materia prima è il latte fresco e il controllo della qualità e delle progressive trasformazioni sono effettuati dagli ispettori del Consorzio. Col Montasio, come già per il Latteria, si ottengono tre maturazioni: fresco, mezzano e stagionato. La marchiatura, apposta
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Veneto speciale
alla produzione dal Consorzio di Tutela, garantisce l’identità, l’origine e il rispetto delle caratteristiche dei severi disciplinari. Questi fattori, tutti insieme, salvaguardano l’origine e la tipicità del formaggio Montasio, uno dei gioielli dell’arte casearia veneto-friulana. Meritano poi una citazione gli splendidi pecorini e caprini e le ricotte, molto richieste dal mercato alimentare italiano. La rassegna dei formaggi veneti richiederebbe più spazio, ma il nostro invito ai lettori è quello di visitare questa regione, percorrerne le strade, soprattutto nelle Dolomiti, nel Grappa, nell’Altopiano di Asiago, nella Lessinia e nel Monte Baldo, per scoprire la ricchezza, bontà e varietà
Una cella di stagionatura
dei formaggi veneti. A tavola sono sempre i benvenuti, anche da soli. Se freschi, preferiscono vini giovani, profumati, di contenuta gradazione alcolica, come il Prosecco e il Bianco di Custoza, il Pinello padovano, oltre al Pinot bianco o grigio e vini simili. Il Montasio fresco, e i tanti analoghi “Latteria”, amano vini un po’ più robusti, come l’ex Tocai (detto oggi per contrazione “Tai”), il Soave, il Lugana; il Montasio mezzano e l’analogo Latteria, richiedono vini bianchi più importanti come il Colli di Conegliano Bianco, il Soave superiore e vini analoghi, o anche dei vini rosati, tipo Bardolino Chiaretto o Tocai rosso (vinificato in rosato); il Montasio stagionato, al pari degli analoghi Latteria, richiede vini rossi, come Merlot, Carmenere, Cabernet Sauvignon o Valpolicel-la giovane. I formaggi a pasta dura di più lungo invecchiamento, come un Monte veronese o il Grana padano richiedono vini ancora più impegnativi, come Raboso Piave, Friularo, Amarone, Venegazzù e altri bordolesi simili abbondantemente prodotti dalle aziende venete.
Forma del famoso Bastardo del Grappa
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Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
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Veneto
La polenta Il Veneto, al pari di altre regioni italiane, ama moltissimo questa preparazione di origine preistorica.
U
n ricco e interessante volume dello scrittore e giornalista Giampiero Rorato, socio Fisar e già consigliere nazionale, scritto assieme alla moglie Liliana, ripercorre la storia di un alimento che ancor oggi è alla base della cucina del Veneto, come anche di altre regioni. E se fin dall’antichità la polenta era confezionata con cereali oggi considerati poveri, come il miglio e la segale, dalla metà del Cinquecento essa è ottenuta da farina di mais. Rorato racconta come il mais è arrivato all’inizio del ‘500 in terra
veneta e come, dopo essere stato coltivato come pianta ornamentale prima e successivamente come alimento per gli animali, grazie all’intuito di un patrizio veneziano, Lunardo Emo, attorno agli anni 30 dello stesso secolo venne coltivato più estesamente nelle sue terre di Fanzolo di Vedelago (Treviso) proprio per ottenere una farina migliore di quella usata in precedenza. Il grande medico, botanico e studioso Pier Andrea Mattioli (15011578), vissuto in terra veneta nei suoi primi cinquant’anni, a metà dello stesso secolo
scrive che la polenta, pasticciata col formaggio, era già un piatto abbastanza diffuso nel mondo contadino ed era il piatto unico soprattutto della povera gente. E, da allora, non è più mancata sulle tavole venete. La polenta, erroneamente diffamata per oltre un secolo a causa della pellagra, dovuta in verità al mancato assorbimento delle vitamine del Gruppo B, in particolare della “niacina” (vitamina PP) e ciò per la mancanza di sale, di carne e di ortaggi, ha comunque superato indenne anche questa tragica prova, che ha causato tra Veneto e Lombardia decine di migliaia di vittime. Cibo un tempo dei meno abbienti e considerata sostituto povero del pane, da diversi decenni la polenta è ritornata in auge ed è presente anche nei ristoranti più qualificati del Veneto. Come ricorda Rorato, considerato oggi il massimo studioso veneto di storia alimentare e gastronomica ed autore di numerosi volumi sull’argomento, in Veneto ci
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sono delle abbinate ormai irrinunciabili, come “polenta e osèi”, che tuttavia appartiene al passato, al pari della “polenta e latte” che era la colazione e la cena dei bambini fino alla metà del secolo scorso. Molto attuali sono invece:
“polenta e tòcio”, “polenta e pesce”, “polenta e baccalà”, “polenta e formajo”, “polenta e salame”, ecc.. Essa è la compagna immancabile degli umidi sia di carne che di pesce, capace di esaltare ancor più la bontà dei piatti. Ma quale polenta? Fino all’arrivo degli “ibridi” americani, avvenuto a iniziare dagli anni ’60 del secolo scorso, c’erano nel Veneto centinaia di biotipi, diversificatisi nel corso dei secoli, poi quasi totalmente scomparsi per la progressiva diffusione delle nuove sementi molto più produttive. Ma alcuni interessanti biotipi sono rimasti, come il “biancoperla”, che Venezia ha sempre usato per le sue polente, immancabilmente bianche (le eventuali gialle erano per la servitù). Altro biotipo, in verità un felicissimo incrocio, ottenuto sul finire dell’800 dall’intraprendente agricoltore Antonio Fioretti di Marano (Vicenza) incrociando il “Nostrano” locale col “Pignoletto d’oro” di Caldogno (sempre nel vicentino) è il Marano o Maranello, come lo chiama il popolo. La produzione ottenuta, circa 40 q/ha, era ed è molto scarsa, ma dà una farina stupenda con cui si produce una polenta davvero reale. Polenta gialla, s’intende, perché lontano da Venezia e Treviso la polenta è quasi ovunque gialla, ma una polenta di gran lunga superiore a quella ottenuta dagli ibridi americani gialli importati dopo l’ultima guerra, anche se, ultimamente, grazie ad ulteriori ricerche, si ha del mais giallo di buona qualità con cui si confezionano in terra veneta delle ottime polente.
Pietro Longhi (1702-1785) - La Polenta Venezia, Ca' Rezzonico
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Una storia di qualità: le 8 DOCG del veneto di Giannantonio Puppin - delegato San Donà di Piave
L
a vite ed il vino sono parte integrante della storia, della cultura e del paesaggio del Veneto. Esse hanno nobili e profonde radici,basti pensare ai mercanti della Serenissima che resero il “Vino de Venegia”, come si diceva allora, famoso in mezzo mondo fin dal Medio Evo. Da Oriente ad Occidente, dal Regno di Persia sino al nord della Germania, si gustava ed apprezzava il vino proveniente da tutte le province del Veneto. Attualmente nel Veneto si è affermata una cultura enologica che interpreta in modo moderno e brillante una gloriosa tradizione con una capacità dinamica e imprenditoriale che ha permesso di compiere continui progressi, di migliorare le tecniche produttive e di raggiungere elevati livelli qualitativi. Oggi il Veneto è la prima regione italiana in termini di produzione di vino con 8.174.000 hl (davanti a Puglia e Sicilia), e la terza regione in termini di superficie vitata, con 70.300 ettari (dietro a Sicilia
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e Puglia) suddivisa in 25.000 Aziende Agricole attive nel territorio. La qualità del vino veneto è premiata anche da una crescente richiesta da parte dei mercati esteri più attenti ed evoluti. Le esportazioni 2009 di vini e mosti da parte degli operatori del Veneto valgono circa 992 milioni e mezzo di euro, un dato che rappresenta il 28,6% dell’intero export enologico nazionale. In
quantità, l’export veneto può contare su oltre 5 milioni di ettolitri, pari al 26,6% del totale nazionale, La produzione regionale si qualifica inoltre attraverso una tipologia assai varia che offre una vastissima gamma di vini, molti dei quali vanno classificati qualitativamente come vini di pregio garantiti dalla tutela giuridica della D.O.C e della DOCG. Il risultato di questo importan-
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te sforzo qualitativo è rappresentato dalla produzione di 2.3 m/hl di vini DOC/DOCG i quali esprimono il 30% dell’intero prodotto regionale e sono spartiti in 25 DOC, 8 DOCG e 10 IGT. Vediamo ora, in un immaginario percorso da occidente ad oriente, di descrivere brevemente le otto D.O.C.G presenti in questa Regione.
Bardolino Superiore D.o.c.g. Il vino Bardolino Superiore è stato il primo vino rosso veneto ad ottenere la Denominazione di Origine Controllata e Garantita, raggiunta nel 2001. Questo vino è un prodotto tipico della tradizione viticola dell'entroterra gardesano, dove la particolare composizione e natura del terreno, di provenienza morenica, e il clima dolce, favorito dalla vicinanza del lago di Garda, hanno conferito una particolare attitudine alla coltivazione della vite ed in particolare dei vitigni locali. Questo vino prende il nome dall'omonimo paese situato sulle verdissime coste orientali del lago di Garda dove la vite viene coltivata fin dall'età del bronzo, come testimoniano alcuni semi ritrovati nelle palafitte di alcuni siti archeologici limitrofi. Nel periodo medioevale la produzione del Bardolino fu continuata dai Monaci della Chiesa di San Colombano, che salvarono questo vino dalla sua scomparsa. Il vino deriva da un'armonica combinazione di uve da vitigni autoctoni quali la Corvina veronese la quale dà struttura e corpo con una buccia molto spessa, la Rondinella che dà colore e il nerbo acido, la Molinara che fornisce eleganza e sapidità. Invecchiamento obbligatorio di almeno 1 anno. In commercio vi sono due tipologie di vino a D.O.C.G.: Bardolino Superiore e Bardolino Superiore classico, quest'ultimo prodotto nella zona di produzione più antica. Il vino di entrambe le tipologie presenta un colore rubino tendente al granato con l'invecchiamento; il profumo è fruttato e speziato, caratteristico, comunque delicato. Il sapore è asciutto e armonico, a volte caratterizzato da sentore di legno. Ottimo vino da pasto che ben si accosta a minestre, pastasciutte, fritti, pollame e lumache. Va degustato a 16°-18° di temperatura. Il Bardolino Superiore
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si sposa splendidamente con i formaggi saporiti e brevemente stagionati.
Recioto della Valpolicella Docg Amarone della Valpolicella Docg Nei primi mesi del 2010 è arrivata finalmente la tanto attesa “Garantita” per il Recioto e l’Amarone della Valpolicella. Un traguardo che i produttori hanno rincorso per ben 15 anni e che ha richiesto molto impegno e lavoro da parte delle oltre 1800 aziende agricole associate al Consorzio per la tutela dei vini della Valpolicella. Posta all’incirca a nord ovest della città di Verona, la Valpolicella è la terra che dà origine ad alcuni dei più importanti vini rossi italiani; la zona di produzione comprende 19 Comuni dei quali 5 (Marano, Fumane, Negrar, Sant’Ambrogio e San Pietro in Cariano) vanno a costituire la parte più antica,la cosiddetta “Valpolicella classica”. Il nome Valpolicella secondo alcuni deriverebbe dal latino “Vallis-polis-cellae” e potreb-
si chiamano “arele”) in locali molto areati affinché non insorgano muffe dannose. La tecnica dell’appassimento era diffusissima nell'antichità e i romani la applicavano per la produzione di svariati vini fra cui verosimilmente anche alle uve destinate alla produzione del vino “Retico”, che si produceva nella provincia veronese-romana denominata «Retia», come scriveva lo studioso romano Plinio il Vecchio nella sua grandiosa opera «Naturalis Historia». La prima testimonianza scrit-
di vini mediante l’impiego di uve appassite, risale al V sec. d.c., quando Cassiodoro, ministro in Ravenna di re Teodorico, scriveva ai senatori del Canonicato Veneziano allo scopo di ottenere l’approvvigionamento del vino chiamato “Acinatico, il cui nome deriva dall’acino” (Acinaticum, cui nomen ex acino est). L’Acinaticum è quindi l’archetipo del Recioto o meglio dei Recioti perché con lo stesso nome veniva identificato anche il vino bianco da uve passite altrettanto diffuso in
ta che fa preciso riferimento alla produzione nel veronese
Valpolicella e nell’area collinare veronese in generale (Recioto
be significare “Valli dalle molte cantine" a significare che in questa zona si vinificava sin dall’antichità. Si chiama Recioto perché si utilizzano i lati esterni del grappolo, le «recie», quelli più esposti al sole e quindi più maturi,messi ad appassire su graticci (che in questa zona
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novaidea.it novaidea.it
EVVIVA IL NUOVO NATO ! ASOLO EVVIVA PROSECCO SUPERIORE IL NUOVO NATOD.O.C.G. ! ASOLO PROSECCO SUPERIORE D.O.C.G. e Colli Asolani - che aumenta il prestigio di quest’area della “Evviva!” è stato il grido dei produttori del Montello e Colli Asolani alla notizia del riconoscimento dell’Asolo Prosecco D.O.C.G. per dei il proprio prodotto da parte del “Evviva!” èSuperiore stato il grido produttori del Montello e Colli Ministero delle Politiche Agricole. Asolani alla notizia del riconoscimento dell’Asolo Prosecco È il Prosecco Doc Montello Colli Asolani che cambia nome D.O.C.G. Superiore per il eproprio prodotto da parte del e diventa D.O.C.G. Ministero delle Politiche Agricole. Il più nella rigorosa scala nome delle È il livello Prosecco Docprestigioso Montello e Colli Asolani che cambia denominazioni è stato ottenuto dopo un lungo percorso e diventa D.O.C.G. fatto di scelte dai Il livello più coraggiose prestigiosoe controcorrente nella rigorosa effettuate scala delle produttori negli ultimi anni. In un momento in cui la tendenza denominazioni è stato ottenuto dopo un lungo percorso era aumentare le produzioni per sfruttare meglio i vigneti, fattodi di scelte coraggiose e controcorrente effettuate dai hanno deciso di rinunciare a una maggiore quantità di produttori negli ultimi anni. In un momento in cui la tendenza prodotto in favore di una qualità più elevata.Tali sforzi sono era di aumentare le produzioni per sfruttare meglio i vigneti, stati concorsi il Prosecco della hannopremiati deciso sia di nei rinunciare a enologici, una maggiore quantità di Cantina il Nastro d’Argento al Forum prodottoMontelliana in favore di ha unavinto qualità più elevata.Tali sforzi sono Nazionale deglisia Spumanti a Valdobbiadene, dal mercato stati premiati nei concorsi enologici, ilche Prosecco della che ha visto crescere il valore del prodotto del negli Cantina Montelliana ha vinto il Nastro d’Argento 25% al Forum ultimi annidegli e l’aumento della produzione del 65% per mercato arrivare Nazionale Spumanti a Valdobbiadene, che dal a quasi due milioni di bottiglie. che ha visto crescere il valore del prodotto del 25% negli “È un anni traguardo straordinario - dichiara Luling ultimi e l’aumento della produzione delDiamante 65% per arrivare Buschetti, Presidente del Consorzio Tutela Vini Doc Montello a quasi due milioni di bottiglie.
Provincia di Treviso da sempre famosa per la qualità del suo Prosecco e dei suoi rossi, per la bellezza sue colline e Colli Asolani - chevini aumenta il prestigio di delle quest’area della e dei tanti borghi e opere d’arte da visitare, e fornisce Provincia di Treviso da sempre famosa per la qualità del una suo ulteriore di vini viaggio di per grande prestigio persue gli amanti Prosecco ragione e dei suoi rossi, la bellezza delle colline del turismo enogastronomico cheda sempre di epiù visitano la e dei tanti borghi e opere d’arte visitare, fornisce una nostra bella Strada del Vino del Montello e Colli Asolani” ulteriore ragione di viaggio di grande prestigio per gli amanti Nel disciplinare dell’Asolo Prosecco D.O.C.G. Superiore del turismo enogastronomico che sempre di più visitano la inostra produttori hanno scelto di darsi le regole più severe tra bella Strada del Vino del Montello e Colli Asolani” tutti i disciplinari dell’Asolo delle nuoveProsecco Doc e D.O.C.G. del Superiore Prosecco. Nel disciplinare D.O.C.G. La resa è più bassa (è ammessa una produzione massima di i produttori hanno scelto di darsi le regole più severe tra 120 quintali di uva per ettaro) e il vino per essere certificato tutti i disciplinari delle nuove Doc e D.O.C.G. del Prosecco. deve avere estratto secco una di almeno 16 grammi La resa è piùun bassa (è ammessa produzione massimaper di litro ad indicare un vino bianco che ha una struttura e una 120 quintali di uva per ettaro) e il vino per essere certificato maggiore I nuovi impianti di vigneto dovranno deve averelongevità. un estratto secco di almeno 16 grammi per avere almeno 3000 piante per ettaro per garantire litro ad indicare un vino bianco che ha una struttura e una una maggiore delleI uve. maggiore qualità longevità. nuovi impianti di vigneto dovranno “Grazie ai nostri terreni e all’esposizione nostre colline avere almeno 3000 piante per ettaro delle per garantire una imaggiore nostri vini si sono sempre distinti per la loro struttura, ed qualità delle uve. abbiamo questa importante “Grazie aivoluto nostrievidenziare terreni e all’esposizione delle connotazione nostre colline anche nel nostro disciplinare.” i nostri vini si sono sempre distinti per la loro struttura, ed
“È un traguardo straordinario - dichiara Diamante Luling Buschetti, Presidente del Consorzio Tutela Vini Doc Montello
abbiamo voluto evidenziare questa importante connotazione anche nel nostro disciplinare.”
Comune di Cornuda
Comune di Cornuda
CON IL PATROCINIO DI
CON IL PATROCINIO DI
IN COLLABORAZIONE CON
CON LA PARTECIPAZIONE DEL
IN COLLABORAZIONE CON
CON LA PARTECIPAZIONE DEL
Veneto speciale 74
di Soave). Antica è quindi la tradizione di appassire le uve; varie tecniche venivano usate in passato: i grappoli erano appesi a fili, oppure, mediante uncini in metallo, pendevano dalle travature delle soffitte, spesso venivano appesi capovolti allo scopo di mantenere gli acini ben separati e favorirne l’aerazione. Per il disciplinare, la vinificazione delle uve messe in appassimento non può avvenire prima del 1 di dicembre; quindi si pratica una soffice pressatura alla quale segue una fermentazione a bassa temperatura con lieviti selezionati. Quando si raggiungono le percentuali di zucchero ed alcol desiderate, si blocca la fermentazione e si fa affinare il vino in botti di legno di piccole (barrique) e grandi dimensioni. Il Recioto della Valpolicella Docg è un grande vino dolce da fine pasto, da “meditazione”; ottimo per accompagnare la pasticceria secca e crostate a base di frutta. Da provare anche con dolci a base di cioccolato. L’Amarone della Valpolicella Docg, oggi unanimemente considerato come il più pregiato dei vini veronesi e come uno dei più importanti rossi italiani si ottiene con lo stesso procedimento del Recioto ma con una fermentazione più prolungata (45-60gg). La fermentazione trasforma una
quantità maggiore di zuccheri in alcol sino a farlo divenire quasi “amaro”; le caratteristiche peculiari dell’Amarone sono rappresentate da un leggerissimo residuo zuccherino, una nota secca con gradazioni mai al di sotto del 14%. Nacque così, prendendo il nome dalla sua caratteristica vena amarognola, l’Amarone, i cui primi esemplari presero ad essere imbottigliati solo nei primi anni del Novecento mentre la commercializzazione vera e propria ebbe inizio solo nel dopoguerra e nel 1968 arrivò il riconoscimento della Denominazione d’origine controllata (DOC). Lasciato pazientemente maturare l’Amarone diventa un vino assolutamente unico dal colore intenso e luminoso, dai profumi di ciliegia, ribes, cioccolato e spezie, ricco di sostanza, molto strutturato, morbido, elegante, perfettamente equilibrato, dotato di una morbidezza al gusto e caratterizzato da una notevole persistenza gustativa. Questa tecnologia di produzione, applicata nella elaborazione di vini rossi, costituisce pressoché un caso unico nel panorama della produzione vinicola mondiale. Se ne conosce solamente un altro esempio nello Sfurzat della Valtellina (Lombardia) per il quale si fanno appassire le uve del nebbiolo chiamato “Chiavennesca”.
L’Amarone, per le sue caratteristiche, è un vino che si esalta se accostato a preparazioni a base di carni rosse, di cavallo (la classica pastissada de caval veronese, la battuta di puledro), d’asino (stracotto d’asina), di manzo (brasato, roast beef), selvaggina (capriolo e cervo in particolare), pollame nobile, dall’anatra alla faraona, all’oca. Non va dimenticato, inoltre, che l’Amarone è un magnifico vino da formaggi, soprattutto il Monte Veronese, stagionato, ma ancora morbidi e non piccanti. La sua fortuna attuale è dovuta anche alla capacità di essere apprezzato come vino da fine pasto, che chiude e corona una serata, da centellinare con calma conversando in compagnia. I classici vitigni che compongono questi due grandi vini sono: la Corvina, apprezzata soprattutto per il suo corredo di sostanze coloranti, per la concentrazione e la sua grande capacità di adattarsi all’appassimento, dagli inconfondibili aromi di ciliegia; il Corvinone che dona acidità e fragranza aromatica ed è ideale per l’appassimento; la Rondinella dai bei profumi floreali e una buona eleganza. Il disciplinare di Produzione prevede inoltre l’utilizzo di altri vitigni a bacca rossa fino ad un massimo del 15% totale come la Molinara il cui nome deriva dalla grande quantità di prui-
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speciale
Veneto
na che ricopre gli acini, tanto da sembrare ricoperti di farina bianca; e ancora la Dindarella, l’Oseleta, la Forsellina e altre ancora. Recentemente sono state introdotte altre varietà, apprezzate per le loro caratteristiche enologiche positive quali apporto di colore per alcune, struttura per altre, note olfattive particolari quali il Sangiovese, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot, Teroldego
Soave Superiore Docg La storia vitivinicola di questo territorio nel Veronese si perde nei secoli, la sua denominazione risale agli Svevi o “Soavi” di Re Alboino che al seguito dei Longobardi diedero rango alla cittadina omonima. Un nobile
vino che si è guadagnato il titolo di “eminente classico vino bianco d’Italia” grazie anche ad una particolare morfologia dei terreni, della loro origine vulcanica unita ad affioramenti calcarei, un’evoluzione di milioni di anni capace di regalare vini limpidi e dorati. La zona di produzione è situata nella parte orientale dell’arco collinare della provincia di Verona, a nord dell’autostrada Serenissima. È stata la DOC bianca italiana più imbottigliata ed esportata. La tutela dell’identità è stata ribadita con il riconoscimento della Denominazione d’origine controllata nel 1968, ottenendo successivamente nel 2001 la Docg. Il vitigno base è la Garganega, che in queste zone raggiun-
ge livelli di eccellenza assoluta, alla quale possono essere aggiunte Trebbiano di Soave e Chardonnay assieme al Pinot Bianc. L’uso della specificazione «Classico», in aggiunta alla denominazione di origine controllata «Soave Superiore» è riservato al prodotto ottenuto da uve raccolte nella zona di origine più antica. I vini «Soave Superiore» e «Soave Superiore Classico» debbono essere immessi al consumo dopo un affinamento in bottiglia di almeno 3 mesi, comunque non prima del 31 marzo successivo alla vendemmia. Il vino con la qualificazione «Riserva» deve essere sottoposto ad un periodo di affinamento obbligatorio di almeno 2 anni, di cui almeno 3 mesi in
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Veneto speciale
bottiglia, a partire dal 1° novembre. Un ottimo vino bianco di meritata fama dal caratteristico profumo di frutta bianca, di corpo e dal sapore asciutto e leggermente amarognolo nel finale. Caratteristiche che lo rendono idoneo per accompagnare aperitivi, primi piatti, secondi piatti a base di pesce e di carni bianche e formaggi di media stagionatura. Va servito alla temperatura di 10°C circa.
Recioto di Soave Docg Nel 1998 è stato il primo vino veneto ad ottenere la Denominazione di origine controllata e garantita. L’esistenza nel territorio veronese di un vino bianco dolce, simile all’attuale Recioto di Soave, è testimoniato ancora nel V secolo, in una famosa epistola di Cassiodoro,il ministro di re Teodorico,il quale citava oltre all’acinatico “rosso” anche quello “bianco” (cioè l’attuale Recioto di Soave)il quale si doveva ottenere da uve “scelte dalle domestiche pergole”, con-
servate in fruttati fino all’inverno inoltrato, con i grappoli appesi. L’uva con la quale si preparava l’acinatico era, a quel tempo, genericamente chiamata “retica” e solo nel secolo XIV, nell’opera del bolognese Pier De Crescenzi, troviamo citata per la prima volta l’uva “garganica” che poi si diffuse nel territorio veronese dove la troviamo, ancora ai nostri giorni, predominante. Recioto è un vocabolo dialettale della gente veronese, deriva da “recia” che è la parte esterna ed alta del grappolo di Garganega,quella più ricca di zuccheri e meglio esposta all’insolazione. Poco prima della raccolta vera e propria si opera una selezione dei grappoli migliori che poi vengono posti sui graticci per l’appassimento. L’uva a riposo viene costantemente seguita e pulita dai quattro ai sei mesi fino al momento della pigiatura. La fermentazione avviene spesso in piccoli botti ed è lenta e molto lunga. Grande vino da dessert da accompagnare ai tipici dolci veronesi: la fugassa (focaccia), la sbrisolona o il nadalìn cosparso di mandorle che si degusta nelle feste di Natale .Da abbinare poi ai grandi formaggi erborinati salati e piccanti o al fegato grasso. Nella versione spumante ottimo l’abbinamento con il Pandoro e tutti i dolci lievitati. Con il nuovo disciplinare di produzione il Recioto di Soave ha un profilo più complesso ed elaborato diventando un grande vino da meditazione
Recioto di Gambellara Docg La zona di produzione del Recioto di Gambellara è rappresentata dalla fascia collinare posta ad ovest della provincia di Vicenza sulle ultime propaggini dei Monti Lessini, nei Comuni di Gambellara, Montebello Vicentino, Zermeghedo e Montorso Vicentino. In queste località si completa la rassegna del “Recioto” con la peculiarità che qui l’appassimento dell’uva garganega avviene in sospensione, ricorrendo alla legatura
C T V V
Via Valpolicella, 57 37029 San Pietro in Cariano (VR) Italia Tel. 045 7703194 - Fax 045 7703167 www.consorziovalpolicella.it E-mail: info@consorziovalpolicella.it
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 Intervento realizzato con contributo del MIPAAF ai sensi del DM 11435 del 20/07/2009
CONSORZIO DI TUTELA DEI VINI VALPOLICELLA il futuro in crescita
meno di 2000 aziende agricole. Un mondo che
Promozione dentro e fuori i confini nazionali,
della Valpolicella Docg, il Ripasso Valpolicella
valorizzazione del prodotto anche sotto
Doc sta crescendo molto rapidamente nelle
l’aspetto emotivo e non solo enogastronomico,
preferenze dei consumatori. A riprova di ciò,
gestione
un
nell’ultimo triennio, specularmente all’aumento
equilibrio fra domanda ed offerta e tutela del
della domanda è cresciuta l’offerta. Dai 7.4
consumatore da improvvidi acquisti. Saranno
milioni di bottiglie del 2007 si è, infatti, passati
questi gli obbiettivi che impegneranno il
ai 13.6 milioni del 2009 con un incremento di
Consorzio di tutela dei vini Valpolicella per
più dell’80%. Crescita che sembra continuare
gli anni a venire. Prospettive di non facile
anche nel 2010, considerando che nei primi
realizzazione ma non impossibili. Dalla sua
6 mesi dell’anno il Valpolicella Ripasso DOC
ha un areale produttivo piuttosto esteso
imbottigliato sfiora già gli 8 milioni di bottiglie.
e un buon supporto associativo fatto di
A ricercarlo sono soprattutto i nord europei,
numeri decisamente importanti. La superficie
svedesi, danesi ed inglesi, notoriamente
complessiva della Valpolicella DOC è, infatti,
amanti dei rossi veronesi ed attratti da questo
di circa 30.000 ha., geologicamente suddivisi
vino, particolare ed eclettico. Caratterizzato
in versanti (75%), fondovalle (17%) ed aree
da una buona alcolicità, da una acidità un
urbane (8%). Gli ettari vitati complessivi sono
po’ più bassa dell’Amarone ma comunque
circa 6300 (vendemmia 2009), suddivisi in
sostenuta, da una piacevole rotondità al gusto,
3150 ha. per la Valpolicella Classica (50%) e
presenta un valore in estratti e in sostanze
3150 ha. per la zona della Valpolicella DOC
fenoliche
(50%). Gli associati sono suddivisi in oltre 160
dell’invecchiamento di un anno previsto dal
imbottigliatori, di cui 6 cantine sociali, e poco
disciplinare.
dell’offerta
per
preservare
produce ogni anno oltre 50 milioni di bottiglie per un controvalore di quasi 200 milioni di euro. Anche se il must della produzione è l’Amarone
sostenuto,
avvantaggiandosi
Veneto speciale 78
dei grappoli nei cosiddetti “picai” cioè appesi alle travi (sui picai) in arieggiati granai. È una tecnica molto antica, un’arte contadina paziente ed accurata propriamente tipica della zona. E l’unico “Recioto” al di fuori della Provincia di Verona. Il disciplinare prevede l’utilizzo del vitigno Garganega per almeno l’80% e per il rimanente da uve dei vitigni Pinot Bianco, Chardonnay e Trebbiano di Soave (nostrano) fino ad un massimo del 20%. La Garganega è il vitigno autoctono e antichissimo delle colline di Gambellara ed il più importante della provincia di Vicenza. Il Recioto di Gambellara è prodotto in due tipologie: Classico e Spumante. Il risultato è un vino dal colore giallo dorato intenso, dai sentori di frutta matura e passita, con aromi di vaniglia, dal sapore intenso e persistente, abboccato, morbido e caldo. Adatto a formaggi,
caprini freschi o più stagionati e con biscotteria a base di mandorle. Va servito a 12° C. Ha ottenuto il riconoscimento della Docg nel 2008.
Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Il primo Aprile del 2010 è stata una data storica per questo vino dalle straordinarie performance commerciali. Da quel giorno infatti sono state poste in vendita le prime bottiglie con la Denominazione Controllata e Garantita che ha sancito un cambiamento radicale nel panorama viticolo italiano portando alla definizione di due differenti livelli qualitativi: l’attribuzione della Docg per il Conegliano Valdobbiadene comprendente l’area storica e la creazione di una Doc che va a includere tutte le altre aree di produzione (9 province tra Veneto e Friuli Venezia Giulia )e
sostituendo tutte le attuali Igt. La zona di produzione del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg si estende nella fascia collinare della provincia di Treviso, approssimativamente compresa in un triangolo tra i centri di Vittorio Veneto, Conegliano e Valdobbiadene. Un insieme di catene collinari che dalla pianura si susseguono fino alle Prealpi, ad uguale distanza dalle Dolomiti - da cui rimangono protette a nord - e dall’Adriatico, che influenza positivamente il clima e la natura del paesaggio. La vite è coltivata solo nella parte più soleggiata dei colli, ad un’altitudine compresa tra i 50 e i 500 metri sul livello del mare, mentre il versante nord è spesso ricoperto di boschi. Il territorio è composto da 15 comuni e si estende su un’area di circa 18.000 ettari di superficie agricola di cui 5000 a vigneto lavorato da
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speciale
bollicine. Vitigno semiaroma-
appeal. Il binomio bollicine ed
produzione di più di 50 milioni
tico di grande freschezza che
acidità presenti nel Prosecco
di bottiglie, delle quali 15 mi-
ha trovato nella tecnica della
Docg ha la capacità di pulire la
lioni distribuite all’estero per
spumantizzazione la sua mas-
bocca ed i diversi residui zuc-
più di 370.000.000 di euro.
sima espressione originando
cherini per tipologia lo rendo-
Come tradizione, il vino vie-
vini leggeri floreali e fruttati, di
no adatto alla cucina salata,
ne prodotto con un minimo
corpo snello e di buona armo-
speziata o piccante.
dell’85% di uve del vitigno
nia complessiva. La ricorrente
“Glera” e, per un massi-
crisi dei consumi che affligge
mo del 15%, di uve Verdiso,
molti vini non sembra toccare
Bianchetta, Perera. Per la ti-
più di tanto il Prosecco, in un
colli Asolani Prosecco o Asolo – Prosecco Docg
pologia Spumante Superiore
saggio equilibrio fra fascia di
La zona di produzione delle
si possono utilizzare anche le
prezzo medio-bassa e medio-
uve atte alla produzione dei
uve Pinots e Chardonnay.
elevata ma è soprattutto la sua
vini a DOCG “Colli Asolani o
L’origine di questo vitigno è
fragranza aromatica a farne
Asolo – Prosecco” compren-
affascinante e misteriosa; ori-
uno dei più gradevoli, freschi e
de 15 comuni trevigiani sparsi
ginario della zona di Prosecco
gioiosi vini del nostro Paese.
a ovest del fiume Piave: dal
in Provincia di Trieste dove
Nella nuova Docg si avranno
Montello nota formazione bo-
viene tutt’ora coltivato, sareb-
le tipologie di vino Tranquillo,
scosa che si leva verso est ai
be successivamente appro-
Frizzante,
colli di Asolo,sui confini verso
dato sulle colline Trevigiane e
Superiore
sui Colli Euganei dove prende
Charmat).
colline verdi di vigneti e bo-
il nome di Serprino. Per alcuni
AI vertice qualitativo della
schi dove l’antica tradizione
era addirittura già conosciuto
Denominazione Garantita ri-
vitivinicola vede nel Prosecco
ai tempi dell’Impero Romano
mane lo spumante della sto-
(da vitigno Glera) il prodotto
con il nome di “Pucinum”,
rica sottozona del “Superiore
di massimo prestigio enolo-
da cui si otteneva un vino
di Cartizze”: si tratta di una
gico, tanto da essere inserito
particolarmente
apprezzato
piccola zona (100 ettari a San
quest’anno nell’elenco delle
dall’imperatrice Livia moglie
Pietro di Barbozza) dove le vi-
Docg italiane.
di Augusto,la quale visse sino
gne sono ancor più in vertica-
Può essere prodotto nelle
alla veneranda età di 83 anni.
le, addossate a colline ripide
versioni: tranquillo, frizzante e
Solo nel 1773 lo troviamo cita-
esposte magicamente a sud.
spumante superiore
to tra i vitigni coltivati nell’Alta
Il Valdobbiadene Superiore
Dal colore giallo paglierino
Provincia di Treviso. Nel seco-
di Cartizze può essere pro-
brillante,si distingue per una
lo XX° con l’introduzione della
dotto soltanto nella tipologia
spuma fine e persistente, dai
spumantizzazione con il me-
Spumante,con una resa in vi-
gradevoli sentori di frutta(mela
todo Charmat o Martinotti si è
gneto di 120 qli/ha.
e pera),con bella freschez-
avuta la nascita del fenomeno
La possibilità di abbinamen-
za acida e notevole sapidi-
“Prosecco” sino alla creazione
to del Prosecco Docg sono
tà. Perfetto come aperitivo,
di uno stile che non ha eguali
quasi infinite. È quindi a tutti
accompagna antipasti, primi
al mondo nel panorama delle
gli effetti un vino moderno, di
piatti e secondi di pesce.
Spumante (con
il
metodo
Veneto
circa 2800 vignaioli, con una
il Monte Grappa, lungo dolci
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speciale
Veneto
Il mondo della cooperazione nella viticoltura veneta del Prof. Silvio Dalla Torre
Le Cantine Sociali hanno e stanno adempiendo a due funzioni basilari: difendere il socio dalle speculazioni commerciali e recuperare e sviluppare la tipicità delle produzioni venete.
D
a quando la vitivinicoltura è diventata oggetto di interesse economico, il viticoltore ha cercato di valorizzare la propria produzione individuando dei canali di vendita che gli garantissero dei redditi sicuri ed appropriati allo svolgimento della propria attività; in un contesto rurale caratterizzato da dimensioni aziendali ridotte (ettari 1,87 la media regionale delle aziende viticole) e quindi da scarsa competitività commerciale, non esistevano alternative all’associazionismo che ha quindi trovato terreno fertile per diffondersi in maniera uniforme in tutte le province. Ma da dove nasce, perché e quando nasce il movimento cooperativistico?
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Il fenomeno cantine sociali è sorto e si è sviluppato dopo l’ultimo dopoguerra. Alla fine della guerra esistevano infatti solo 6 Cantine sociali: Soave, Cazzano di Tramigna, Illasi e S.Pietro in Cariano in Provincia di Verona e Tezze di Piave e Cantine Marescalchi a Treviso ed è proprio in queste due province che esiste la massima concentrazione. Per oltre il 90% la viticoltura veneta è formata da aziende familiari a conduzione diretta, questo ha facilitato la diffusione della cooperazione. Ma l’ha favorita anche la presenza in Veneto di un Istituto sperimentale per la Viticoltura e di un Istituto agrario Statale per la viticoltura e l’enologia che hanno fornito da una parte un
valido supporto per la ricerca, dall’altra, un vivaio di uomini cui ha attinto anche e soprattutto la cooperazione. Le Cantine Sociali hanno e stanno adempiendo a due funzioni basilari: difendere il socio dalle speculazioni commerciali e recuperare e sviluppare la tipicità delle produzioni venete. Da strutture che inizialmente hanno assolto il compito di recuperare le produzioni delle piccole aziende per farne dei vini di massa con prezzi accessibili destinati ad un mercato che in quegli anni assorbiva grandi quantitativi di vino, si è passati progressivamente al miglioramento qualitativo delle produzioni per raggiungere, in molte situazioni, livelli di qualità pari o superiori
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speciale
GROUP: nasce nel giugno
l’incorporazione della Cantina
Nel 1970, si è raggiunto il
2008,
collaborazione
Sociale di Valtramigna, la
numero massimo di struttu-
di due colossi del ramo vini-
Cantina di Soave acquista la
re esistenti con 57 Cantine e
colo veneto come la Cantina
dimensione attuale potenzian-
36.000 soci complessivi.
di Colognola ai Colli e l’in-
do così la capacità di confe-
Attualmente il numero si è ri-
sieme delle Cantine dei Colli
dotto a 39 con 26.000 soci,
Berici comprendente Lonigo,
rimento dell’uva da parte dei
800 dipendenti e 460 milioni
S.Bonifacio
di euro come valore di pro-
Vicentino, assieme all’azienda
duzione; da segnalare che 7
Cevico, importante consorzio
Cantine sociali rappresentano
di secondo grado con sede a
il 47% dell’intera produzione
Lugo di Romagna. Le cantine
regionale. Questa riduzione fa
continuano ad occuparsi del
seguito ad operazioni di ag-
rapporto coi viticoltori e della
gregazione e fusioni attuate
raccolta dell’uva, demandan-
a partire dagli anni 90 provo-
do al gruppo Collis la trasfor-
ca-te da una parte alla man-
mazione e la successiva co-
circa il 30% della produzione
canza di competitività nonché
mercializzazione dei prodotti.
regionale. Indubbiamente due
alla difficoltà di sostenere spe-
3000 soci viticoltori, 6700
grosse realtà che creano una
se di gestione troppo elevate
ettari di vigneto, di cui 2800
massa critica importante con
in strutture di dimensioni limi-
di Colognola ai Colli e 3900
la quale si dovranno confron-
tate, dall’altra dalla esigenza
di Cantina dei Colli Berici – si
tare gli acquirenti locali.
imposta dai nuovi orizzonti
affaccia sul mercato nazionale
Aggregazioni di più contenuta
del mercato vitivinicolo e dalla
come un colosso da 1,4 milio-
entità sono state attuate an-
globalizzazione, di fare “mas-
ni di quintali di uve per un cor-
che in Provincia di Treviso con
sa critica”, di disporre cioè di
rispettivo di oltre 1 milione di
la Cantina Viticoltori di Ponte
quantitativi di prodotto consi-
ettolitri di vino l’anno lavorati in
stenti per poter asseconda-
6 stabilimenti di vinificazione.
di Piave che ha aggregato
re le richieste del mercato in
In termini percentuali il nuovo
continua evoluzione. Un primo
consorzio vitivinicolo veronese
tentativo di “mettersi assie-
di secondo grado raggiunge,
me” per affrontare il mercato
con Colognola e la Berici, il
si è avuto negli anni 80 con la
15% della produzione veneta.
nascita del Consorzio Cantine
Sempre nel veronese altro
della Marca Trevigiana una
colosso è rappresentato dalla
cooperativa di secondo grado
Cantina di Soave dove negli
tuttora esistente ed operativa.
anni ‘70 incominciò ad esse-
Ma le grandi aggregazioni si
re attuata la politica di cresci-
di Pietra. È indubbio che in fu-
sono avute in questi ultimi anni
ta per incorporazione di altre
turo anche in questa provincia
e fanno riferimento alla provin-
realtà più piccole della zona.
si dovrà procedere secondo la
cia di Verona, dove sono state
Così nel 1979, venne acqui-
logica e la necessità delle fu-
create delle “megastrutture”
stato lo stabilimento di Ruffo.
sioni e delle aggregazioni per
come COLLIS VENETO WINE
Nel luglio del 1996, attraverso
poter competere sul mercato.
dalla
e
Barbarano
Veneto
a quelli delle Cantine private.
propri soci. Infine, nel 2006, è stato approvato anche il progetto di fusione con la Cantina di Illasi e recentemente con quella di Montecchia. Complessivamente
Soave
oggi trasforma circa 800.000 q.li d’uva che aggiunti ai quantitativi di Collis fanno
negli ultimi anni le Cantine di Villorba, nonché quelle di Caposile ed Eraclea in provincia di Venezia; altrettanto importanti sono risultate le collaborazioni fra le Cantine produttori riuniti del Veneto Orientale, Cantina di Jesolo e Cantina Produttori di Campo
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
81
Veneto speciale
La fisionomia vitivinicola del Veneto del Prof. Silvio Dalla Torre
Il Veneto occupa una posizione importante nel panorama vitivinicolo nazionale.
A
livello di superfici vitate risulta al terzo posto con oltre 70 mila ettari coltivati preceduto dalla Sicilia (oltre 125 mila ettari) e dalla Puglia (circa 100 mila ettari) e con la seguente suddivisione per province:
ProVinciA
SuPerFicie ViTATA (hA)
% Su ToTAle
BELLUNO PADOVA ROVIGO TREVISO VENEZIA VICENZA VERONA TOTALE
23 5.326 263 26.403 6.207 7.212 25.253 70.686
0.1 7.6 0.4 36. 9 8.8 10.3 35.9 100 Dati AVEPA 2009
Per quanto riguarda la produzione vinicola invece, ormai da alcuni anni il Veneto è al primo posto nella graduatoria nazionale con una media di 8 milioni di ettolitri che deriva dalla trasformazione di circa 11 milioni di uve prodotte. In questa graduatoria è seguito a distanza da Emilia Romagna, Sicilia e Puglia. Di questo quantitativo il 54% è rappresentato da vini bianchi, il resto da rossi e rosati; ancora, il 29% da vini DOC
82
e DOCG, il 61% da vini IGT e il 10% da vini da tavola. Consultando ancora i dati diffusi dalla Regione Veneto, si può osservare come la maggior concentrazione della categoria più nobile risulta in provincia di Verona con oltre il 62% del totale regionale ben rappresentata da denominazioni importanti come il Valpolicella, l’Amarone, il Bardolino e il Soave. Per quanto attiene alle varietà più rappresentate, si indi-
vidua il Prosecco (da ora in poi chiamato Glera a livello di vitigno a seguito della riforma della DO Prosecco con decisione del D.M. 17 luglio 2009 che riconosce la “riserva del nome” per questo vino) come la varietà più coltivata (il 25,1% del totale regionale) e concentrato per il 90% nella Provincia di Treviso (più di un terzo nella zona classica di Conegliano e Valdobbiadene) seguito dal Merlot diffuso in tutta la Regione specialmen-
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
italiana maggiore esportatrice
Garganega ben rappresentato
superiore, Recioto di Soave,
con il 27,6% del totale nazio-
nel vicentino ma soprattutto
Recioto
nale, seguita da Piemonte,
nella zona del Soave.
Amarone,
Recioto
di
Una annotazione particolare
Gambellara,
Prosecco
di
riguarda la dimensione del-
Conegliano e Valdobbiadene
le aziende vitivinicole vene-
e Prosecco dei Colli Asolani.
te; esaminando i dati dello
Di queste “nobiltà” si parla in
Schedario vitivinicolo veneto
un apposito articolo di questo
34% della quantità esportata,
si può rilevare che le aziende
speciale. A tutt’oggi risultano
seguiti dal Regno Unito, USA,
attive nel 2008 sono risultate
inoltre presenti 27 DOC distri-
Canada, Svizzera e Francia.
pari a 41.714; ne risulta per-
buite sull’intero territorio re-
A conclusione di questa serie
tanto una superficie media
gionale in maniera abbastanza
di informazioni sulla situazione
aziendale regionale di circa
omogenea.
della vitivinicoltura veneta, non
1,7 ettari; a livello provincia-
Secondo i dati della Regione
le la provincia di Verona con
Veneto,
2,93 ettari risulta quella con la
statistico regionale, oltre il
superficie media più elevata
50% del vino prodotto (nel
seguita a distanza di Treviso
2008 - 4.590.000 ettolitri) vie-
con Ha 1,86.
ne destinato all’esportazione;
qualche dato: 40 mila ettari
Relativamente alle produzioni
in termini di valore, sfiora 1 mi-
coltivati (il 57% del totale re-
soggette a denominazioni, il
liardo di euro; in questo ambi-
gionale), 39 Cantine Sociali,
Veneto vanta ben 8 DOCG:
to si colloca come la regione
26 mila soci.
della
Valpolicella,
Direzione
sistema
Toscana, Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna. I mercati più importanti sono rappresentati dalla Germania con il
si può non ricordare l’importanza che nel corso degli anni ha assunto, in questo settore, la cooperazione; basta solo
Veneto
Bardolino superiore, Soave
speciale
te negli areali di pianura e dal
Veneto speciale
Padova: la ricca produzione agroalimentare, oltre 100 prodotti tipici
C
hi conosce almeno un po’ i prodotti agroalimentari della provincia di Padova ha certamente sentito parlare della gallina padovana e forse anche della gallina di Polverara. La prima allevata fin dal 1400, è inconfondibile per il gran ciuffo di penne sul capo, una barba sul mento e dei favoriti sulle guance, con un piumaggio che può essere nero, bianco, dorato, camoscio o argentato. Sorella di questa è la gallina di Polverara, diffusa soprattutto nella varietà nera e dotata con un ciuffetto ritto sulla testa. Entrambe hanno carni pregiatissime, ricercate dai buongustai e preparate con arte antica nei migliori ristoranti padovani. Ma nella “corte padovana” si trovano anche faraone, tacchini, anatre germanate, capponi e capponesse, piccioni, oche, conigli e maiali, tutte carni che concorrono al celebre Gran bollito, vanto della cucina di questa provincia e ad altre preparazioni tradizio-
84
Gallina Padovana
nali e particolari come il pollo latte e miele, autentica squisitezza allevata nel Conselvano o i Torresani di Torreglia prodotto dell’area colli. Di particolare valore, per la sua ben nota bontà, è il Prosciutto Veneto Berico Euganeo DOP,dal profumo caratteristico, gusto dolce e morbido, colore rosa tenue essenzialmente prodotto nell’area della Bassa Padovana in particolare nel Montagnanese. Accanto al Parsuto de Montagnana e al Prosciutto dolce d’Este, va ricordata tutta la gamma degli insaccati prodotti nella maggior parte anch’essa nell’area del Montagnanese, dell’Esten-
se e del Conselvano, ancora secondo le antiche tradizioni di casa, come la Sopressa e il Salame Padovano, la Spressa di Cavallo, gli Sfilacci di Cavallo, il Prosciutto d’Oca, l’Oca in Onto, la Luganega Padovana, la Lingua Salmistrata, il Cotechino di Puledro, i Sisoi, i Nerveti. Anche gli orti concorrono ad arricchire il patrimonio agroalimentare del Padovano, buona parte infatti dei celebri Radicchio variegato di Castelfranco, Radicchio rosso di Treviso precoce, Radicchio rosso di Treviso tardivo, Radicchio rosso di Chioggia, Radicchio rosso di Verona, l’Insalata di Lusia e il Radicchio Bianco Fior di Maserà, tutti IGP, si producono in provincia di Padova, dove c’è pure un’ottima produzione di Asparagi bianchi IGP, Aglio e il particolare Mais Biancoperla. Non tutti sanno che nel padovano si producono anche particolari formaggi di pecora nell’area tra Borgoforte
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
di Pernumia, terra natale del commediografo e letterato Angelo Beolco, il celebre Ruzante e ancora la Ciliegia, la Castagna e Marroni dei Colli Euganei, il Miele della Bassa e dei Colli Euganei e la Giuggiola di Arquà Petrarca.
Padova
Padova: il cuore del Veneto
Veneto
Gallina di Polverara
Una citazione doverosa è per l’Olio extravergine d’oliva dei Colli Euganei, ottenuto da due varietà autoctone (Rasara e Marzemina), mentre negli impianti più recenti si trovano le varietà Leccino, Frantoio e Pendolino. Di materie prime nel padovano ce ne sono dunque a sufficienza per realizzare una cucina capace di esaltare i piatti della tradizione, presentati sovente in forme nuove ed eleganti, secondo le esigenze delle dietetica moderna, senza tuttavia perdere i profumi e i gusti dei vecchi piatti di casa.
speciale
ed Anguillara e la burrata di bufala prodotta direttamente negli allevamenti presenti nel piovese, vi è anche una buona produzione dei formaggi DOP, Grana Padano, Asiago e Montasio. Fra gli ortaggi un posto importante è occupato dalla Patata Merica IGP di Anguillara Veneta e Stroppare, mentre per quanto riguarda la frutta, la provincia di Padova ha dei prodotti elitari, come la Mela e la Pera di Castelbaldo, prodotte nella zona del Conselvano e del Monselicense e sempre nella stessa area, la Pesca
L’Università, Sant’Antonio, le ricchezze artistiche, le attività culturali e il moderno complesso termale fanno di Padova una delle capitali del turismo italiano
N
arra Tito Livio che Padova fu fondata nel 1132 a.C. da Antenore, il principe troiano fuggito dalla sua città conquistata dai Greci. Padova è uno dei principali centri della cultura paleoveneta; gli studi fin qui condotti confermano che i Paleoveneti arrivarono dall’Anatolia attorno al Mille
a.C., in un periodo caratterizzato da grandi migrazioni attorno al Mediterraneo. Di quegli antichi secoli delle epoche paleoveneta, romana e medioevale, sono rimasti molti importanti reperti, gelosamente conservati soprattutto nel museo di Este (Museo Nazionale Atestino, www. ceramicadieste.it/museoat/
museo.htm). Oggi Padova è un vivace centro culturale e commerciale, ricco di monumenti religiosi e civili, palazzi di grande pregio, un’Università, fondata nel 1222, fra le più prestigiose d’Europa. Oltre all’Ateneo, frequentato da studenti provenienti da tutto il mondo, la principale attrazione è la Basilica di Sant’Antonio,
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
85
Veneto speciale Il Prato della Valle
86
costruita a partire dal 1232,
mali di Abano e Montegrotto,
Bassano del Grappa), con
quotidiana meta di pellegrini
con attorno i centri mino-
gli importanti centri agrico-
in visita alla tomba del Santo.
ri di Galzignano, Battaglia e
li, industriali e commerciali
Altro luogo di grande interes-
Monteortone di Teolo. I grandi
di Camposampiero, Piove di
se culturale è la Cappella degli
alberghi e i complessi termali,
Sacco, Conselve e Monselice,
Scrovegni (www.cappellade-
modernissimi e ottimamen-
gliscrovegni.it), affrescata da
te attrezzati, luoghi ideali per
che all’interno dei loro centri
Giotto. Capolavoro della pittu-
ritrovare equilibrio, benesse-
ra italiana ed europea, quello
re e bellezza, sono frequen-
degli Scrovegni è considerato
tati da un’esigente clientela
il ciclo più completo di affreschi
internazionale.
realizzato dal grande maestro
o da Abano è poi doverosa
toscano nella sua maturità.
una piccola fuga alla vicina
Uscendo dalla città si arriva
Praglia, sempre sui Colli, per
velocemente nell’area dei Colli
ammirare il grande comples-
Euganei, comparto di rara
so dell’Abbazia Benedettina,
bellezza paesaggistica dagli
sorta nell’XI secolo, centro re-
scorci stupendi, luogo scelto
ligioso, culturale e artistico fra i
dal poeta Francesco Petrarca
più importanti del Veneto.
(1304-1374) per trascorrere,
Il territorio padovano offre
Musei civici di Padova (Tel.049
nell’affascinante e silente bor-
itinerari turistici di grande fa-
82045450 – 51) e, sempre in
go di Arquà, gli ultimi anni del-
scino, con le città murate
città, il Museo diocesano di
la propria vita.
di Este e Montagnana (sul-
Arte Sacra, (Tel. 049 652855)
Immerse nel verde dei Colli
la strada per Mantova) e di
anch’esso meritevole di un’at-
Euganei, sorgono le città ter-
Cittadella (sulla strada per
tenta visita.
Da
Padova
storici e tra le verdi campagne venete, celano tesori di inestimabile valore architettonico, storico e culturale. E dovunque antichi Castelli, splendide ville (a Padova inizia la ben nota “Riviera del Brenta”), palazzi signorili, musei con importanti reperti d’epoca paleoveneta, romana, longobarda e medioevale, nonché ricchissime pinacoteche a cominciare dai
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Padova
Gnocchetti di ricotta al Ristorante La Montanella
(049.637225) a Tencarola di Selvazzano Dentro, Antica Trattoria al Bosco a Saonara, Montegrande a Rovolon, tutti uniti da un unico simbolo, la gallina con il ciuffo, dell’Associazione RISTORAnTORI RISTORA PADOVANI, sinonimo dell’amore e passione per una professione che esalta le valenze enogastronomiche padovane. Numerosi sono comunque i ristoranti e le trattorie di buona qualità, in città, nell’area termale dei Colli Euganei e nei vari centri dell’Alta e della Bassa, che presentano ricercatezze anche internazionali, per non parlare di una rete di numerosi agriturismo, per chi a discapito di alcuni piaceri a volte irrinunciabili, vuole a poco prezzo avere comunque prodotti agroalimentari di qualità a chilometri zero e nel contempo assaporare una cucina tradizionale, che si incontra e viene riproposta ovunque, soprattutto nelle feste e le sagre paesane, dove nelle locali “bettole” il volontariato di abili mani casa-
Veneto
Padova ha avuto l’intelligenza di conservare il patrimonio gastronomico tramandato dalle precedenti generazioni, difendendo la propria identità legata alle tradizioni culinarie del territorio, raggiungendo nella ristorazione vertici da assoluto primato internazionale con il Ristorante Le Calandre a Rubano, tre stelle Michelin, eccellenza raggiunta anche dai ristoranti Meridiana a Piove di Sacco, stella Michelin e La Montecchia a Selvazzano Dentro, altra stella Michelin. Nel territorio ci sono numerosi altri ristoranti assolutamente degni di menzione, per la professionalità degli operatori, squisitezza dei piatti ed eccellenza della cantina. Fra tutti ricordiamo La Montanella ad Arquà Petrarca e Boccadoro a Noventa Padovana, sicuramente meritevoli della stella e poi ancora, fra i tanti, l’Hostaria San Benedetto a Montagnana; Ai Porteghi a Padova, Dotto di Campagna a Padova, La Saccisica a Piove di Sacco, Piroga
speciale
Padova una ristorazione d’assoluta eccellenza linghe, propone immancabilmente, bigoli e gnocchi con i vari sughi e le carni alla brace con polenta, il musso in tocio con polenta, i fasoi in tocio o co ea siola, il baccalà in varie forme sempre e immancabilmente con polenta, le trippe in umido o le trippe in minestra, le verze scaltrie o sofegà. Una degna menzione bisogna fare alla pasticceria padovana, dove l’arte dolciaria dei maestri pasticceri e sempre e comunque legata alla tradizione, con una serie di numerosi prodotti, prevalentemente di pasticceria secca o povera, tramandata da un’antica cultura contadina, come ad esempio la Fugassa padovana, la Smejassa, il Pan del Santo, la Torta Figassa, la Schisotta, la Rosegota e poi tra i biscotti, i Zaleti, i Pevarini, i Merleti di santantonio, i Crostoli e le Fritee. Un mondo di dolcezze tutte rigorosamente ad alta conservazione, come si usava un tempo e possibilmente da poter “tociar” o sul latte o sul “vin”.
Ravioli alle erbette del Ristorante Boccadoro
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
La seppia secondo l'Antica Trattoria dei Paccagnella
87
speciale
Veneto
Padova, grande terra di vini Una produzione enologica di grande pregio, conosciuta e apprezzata in tutto il mondo.
P
Padova
ublio Virgilio Marone (70-19 a.C.), autore dell’Eneide, passando per la pianura veneta vide i filari di vite e scrisse: Le viti flessibili tessono ombre leggere, disegnando armoniosi fraseggi nei campi ben lavorati da sapienti agricoltori. E pochi decenni dopo Marziale così scriveva a un amico: Clemente, se tu vai prima di me a vedere il paese degli Euganei, vicino a Padova, quei colli rossi, di vigneti…. La tradizione vitivinicola nel padovano è dunque antichissima, caduto l’impero romano, ci penseranno i monaci benedettini a rilanciare la viticoltura nelle terre annesse alle loro Corti, dipendenti dall’Abbazia di Santa Giustina di Padova, ad Anguillara, Concadalbero, Correzzola, Legnaro e in altri centri del-
88
la provincia, come pure le terre annesse all’Abbazia di Praglia. Se le prime testimonianze risalgono al tempo dei Paleoveneti, come confermano i reperti del Museo di Este, c’è stata dunque una ininterrotta continuità giunta fino ai nostri giorni.
Le aree Doc I vini prodotti in provincia di Padova sono suddivisi in 5 zone a Denominazione di Origine Controllata: Colli Euganei; Bagnoli; Merlara; Corti Benedettine del Padovano; Riviera del Brenta. Nell’area dei Colli Euganei ci sono dei vini autoctoni molto interessanti, a cominciare dal Serprino, somigliante al Prosecco, ottimo fuori pasto, con gli antipasti magri e col pesce. Poi c’è il Pinello, un bianco fresco e delicato che accompagna benissimo il pesce e le carni bianche e ancora il Moscato (bianco) e il Fior d’Arancio (Moscato giallo), entrambi spumantizzati, ottimi coi dolci e il secondo anche passito. Poi ci sono, sempre DOC, i vitigni internazionali: Pinot bianco,
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
speciale
Veneto
I vigneti Colli Euganei
Chardonnay, Merlot, Cabernet Franc e Sauvignon. Interessante l’area di Bagnoli, intensamente coltivata a vite già in epoca romana. Qui si produce uno splendido Friularo (vitigno: Raboso Piave), grande vino, amato dagli antichi nobili veneziani e dal famoso commediografo Carlo Goldoni, che in alcune sue opere ne cita le virtù, eccellen-
ciagione, come pure, da sempre, il Friularo passito, grande vino da meditazione, ideale coi formaggi piccanti e col cioccolato. Nella produzione DOC ci sono anche un Bianco (Chardonnay, Sauvignonasse, Friulano ed altri), adatto ad accompagnare sia il pesce che le carni bianche; un Rosso (Friularo, Merlot, Cabernet), per carni al forno, cacciagione
ti; un Rosato (stesse uve del Rosso) per carni bianche, trippe, fritture di pesce, rane, funghi. E ci sono due Spumanti, il Brut (Friularo vinificto in bianco, Chardonnay e altri) e il Rosato, ottimi come fuori pasto, aperitivo, pesce, formaggi a pasta molle. Più recente è l’apparizione di un’importante vitivinicoltura nella zona di Merlara, dove
te con le carni nobili e la cac-
da pelo, formaggi invecchia-
anche qui, accanto agli inter-
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
89
Veneto speciale
Padova
nazionali Merlot e Cabernet, troviamo
il
Sauvignonasse
(ex Tocai), la Malvasia (per primi di pesce, carni bianche e soprattutto il Prosciutto Veneto Euganeo, prodotto a Montagnana), il Marzemino frizzante (per i dolci della tradizione locale a pasta secca) e ancora un Bianco (Friulano, Malvasia,
Chardonnay,
Garganega), per primi di pesce, formaggi e salumi leggeri; un Rosso (Merlot, Cabernet e Marzemino) per salumi della tradizione locale. Molto ricca la produzione del consorzio Corti Benedettine del Padovano, con un eccellente Raboso, anche nella forma passita; un interessante Refosco dal peduncolo rosso, per carni rosse alla brace; un Moscato spumante (giallo) per il dessert, presente anche nella forma passita, ottimo da meditazione e per i biscotti secchi. Non mancano i Cabernet, il Merlot, i Pinot bianco e grigio e il Sauvignon. Ultima Doc nata è quella del-
90
liquori, distillati e birra.
Nella provincia di Padova otre a una florida produzione vitivinicola vi è una produzione secolare di grappe, distillati di frutta e liquori alle erbe, affidata prevalentemente a due famiglie che hanno saputo imporre il loro marchio nel mercato nazionale ed internazionale. Le produzioni di questi distillati di assoluta eccellenza, si è sviluppata adiacente alle produzione vitivinicole più importanti della provincia, e dove la materia prima era disponibile in gran quantità, vale a dire a Conselve e a Torreglia, ma poi anche a Mestrino, a Ponte di Brenta e a Cittadella. Di particolare pregio si produce a Conselve una particolarissima grappa barricata dal colore ambrato, morbida e avvolgente nel gusto e nei profumi, unica nel suo genere, mentre a Torreglia impera il maraschino molto usato in pasticceria e il particolare Sangue Morlacco,
stanno prendendo piede numerose piccole realtà produt-
tive di birra artigianale di ottima e particolare qualità, che durante la fiera del settore che si svolge negli ampi padiglioni della fiera di Padova, trovano un numerosissimo pubblico pronto a degustare birre di ogni tipo e genere, stranezze incluse.
Curiosità: Padova città dei tre senza, capitale dello Spritz. Non tutti sanno che Padova è anche detta la città dei tre senza, vale a dire del “Caffè senza porte” del “Prato senza erba” e del “Santo senza nome”. Il Caffè Pedrocchi è uno dei simboli di Padova, situato in centro è così detto “senza porte” perché fino al 1916 restava aperto anche di notte e il suo caratteristico porticato aperto, permetteva di attraversarlo liberamente da un lato all’altro. Recentemente il loggiato è stato chiuso, ma per preservarne le peculiarità
la Riviera del Brenta, con
entrambi ricavati dalle ciliegie
la produzione di vini pre-
abbondanti sui Colli Euganei,
esclusivamente grandi porte
senti anche nelle altre aree:
vi sono inoltre nei Colli Euganei
a vetro. Nato nei primi anni
Sauvignonasse, Chardonnay,
distillati artigianali come il
dell’800, il Caffè Pedrocchi
Pinot
grigio,
Brodo di Giuggiole, tipico di
divenne ben presto rinoma-
Cabernet, Merlot, Refosco dal
Arquà Petrarca. A Padova c’è
to per essere l’unico luogo in
p. r. e Raboso.
anche un imponente stabili-
cui chiunque poteva fermarsi
Padova, dunque, produce vini,
mento di un noto marchio di
a leggere libri o giornali senza
con alte punte di eccellenza,
birra italiana, che qui produce
obbligo di consumazione e la
conosciuti ed apprezzati in
e commercializza i propri pro-
sua vicinanza con l’Università
Italia e in molti paesi esteri.
dotti per il nord Italia e l’est
ne fece il fulcro della vita cul-
europeo, mentre ultimamente
turale della città e luogo d’in-
bianco
e
originarie, sono state utilizzate
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
speciale
artisti. Prato della Valle, così detto “senza erba” perché in origine non vi cresceva erba, ma solo alberi, poi questo immenso spazio svolse nel tempo diverse funzioni: fu teatro, circo, luogo di combattimenti, sede di fiere, giostre, mercati e persino cimitero. È la seconda piazza più grande d’Europa, unica nel suo genere per la particolare combinazione di diversi elementi: il verde dell’isola che si trova al cen-
e la sua struttura imponente è caratterizzata da una perfetta fusione di elementi romanici e gotici, ricca di misticità, ma anche di piacevolissimo stupore nel momento in cui si scopre d’essere di fronte alle opere di artisti come Giotto, Mantegna e Donatello.
tro, l’azzurro del canale che la circonda e in cui si specchiano le 78 statue di autorità del tro vialetti che portano tutti al centro dell’isola Memmia ed infine i ponti che le conferiscono uno speciale tocco di romanticismo. Per i padovani rappresenta il punto di ritrovo, il luogo per passeggiare, studiare, distendersi sotto il sole o per fare acquisti nel grande mercato all’aperto del sabato o assistere alle grandi feste e manifestazioni organizzate durante l’anno. Sant’Antonio è per i padovani semplicemente “Il Santo” e quindi il Santo “senza nome”. Grande è la devozione che lega gli abitanti al patrono della città e straordinaria è la basilica di Sant’Antonio, conosciuta appunto come “Il Santo” dove giacciono le sue spoglie e le reliquie. Si trova anch’essa al centro della città
Padova è anche un importante centro universitario, ciò significa che una grande concentrazione di giovani vivono e frequentano il centro e le piazze della città, ma il fenomeno solo padovano che si consuma quasi ogni sera tra le 19,00 e le 21,00 e che affolla in particolare Piazza delle Erbe e un po’ Piazza dei Signori è il rito storico e consolidato dello Spritz. Forse è proprio a Padova e comunque nel nord est, che nasce lo Sprtz, durante la dominazione Asburgica, i soldati austriaci frequentando le osterie e imparando velocemente anche a bere la grande varietà di vini locali, mal sopportavano però la loro gradazione elevata, pertanto era loro abitudine ordinarlo allungato con una spruzzata d’acqua, infatti il nome Spritz deriverebbe dal verbo tedesco spritzen
che significa spruzzare. Lo Spritz “liscio” quindi, che bevevano i soldati di un tempo e che ancora si usa bere a Trieste e a Udine, in altre città del Veneto invece si è evoluto, ma in particolare a Padova e provincia è diventato un vero e proprio rito irrinunciabile, motivo di incontro e di relax in compagnia di amici, probabilmente anche perché sempre qui a Padova nel lontano 1919, nacque e venne presentato durante la locale fiera campionaria, l'Aperol, il famoso liquore di color arancio a bassissima gradazione (11°), che nello Spritz Padovano è immancabile, la cui ricetta è composta da una parte di Aperol, due di prosecco, una spruzzata o meglio “una botta” di seltz o acqua gasata, ghiaccio e fettina di arancio, ma numerose possono essere le varianti a seconda della zona o del baretto che si frequenta o del gusto personale (www.spritz.it)
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Padova
passato, l’equilibrio dei quat-
il rito dello Spritz
Veneto
contro di studenti, letterati ed
91
Veneto speciale
Una preziosa gemma: la Mostra Nazionale dei Vini di Pramaggiore a cura di Luciano Flavio Moretto
L
92
a Mostra Nazionale
damentali fin dall’inizio, e cioè
te le prime tre denominazioni
Vini, società coope-
il contributo tecnico da parte
di origine controllata: Tocai di
rativa agricola, è stata
degli enologi, e le premiazio-
Lison, Merlot e Cabernet di
nel tempo ed ancor oggi è ri-
ni dei vini migliori che hanno
Pramaggiore, successivamen-
masta, una delle istituzioni più
sollecitato di anno in anno
te la gamma dei vini D.O.C. si
rappresentative nel settore vi-
l’emulazione tra i produttori e
è ampliata a numerose altre
tivinicolo del territorio dell’area
una sempre maggiore qualifi-
qualità che sono state tutte
D.O.C. Lison – Pramaggiore.
cazione del prodotto.
ricomprese nella D.O.C. Lison
Nasce nel 1946, nell’immedia-
Le prime esposizioni si sono
– Pramaggiore.
to dopoguerra, come Comitato
tenute in una sala del cine-
Nel frattempo, è sorto il
per la promozione dei Vini locali.
ma abbandonata in centro
Consorzio per la tutela dei Vini
L’intuizione di poter contare
a Pramaggiore, poi succes-
D.O.C. Lison - Pramaggiore
su prodotti di alta qualità a
sivamente presso il Salone
ed il Comitato “Strada dei Vini
quei tempi, è stata di grande
della scuola di avviamento
D.O.C. Lison – Pramaggiore”
importanza per l’agricoltura
tecnico – agrario realizzata
che hanno compiti di tute-
locale in quanto ha posto le
dalla Provincia di Venezia in
la della qualità del prodotto
premesse per una coltivazio-
centro a Pramaggiore, fino ad
e della promozione integrata
ne più ampia e qualificata nel
arrivare ad essere ospitate nel
agricoltura e turismo.
territorio stesso.
nuovo Palazzo costruito dalla
Notevole impulso allo sviluppo
I primi passi sono stati segna-
Regione del Veneto e con i
del settore vitivinicolo nell’area
ti da raccolte di campioni di
contributi del FEOGA sempre
Veneto Orientale lo hanno dato
vino dei vari produttori locali,
a Pramaggiore.
le Cantine Sociali Cooperative
soprattutto Tocai, Merlot e
Le iniziative di promozione
sorte
Cabernet, che venivano inviati
qualitativa vitivinicola realizza-
Pramaggiore; esse, oltre ad
a Conegliano per l’esame chi-
te dalla Mostra Nazionale Vini,
un azione di “scuola” per mi-
mico e organolettico, e sotto-
hanno avuto come riscontro
gliorare la produzione in cam-
posti poi ad una commissione
la diffusione nell’area Veneto
po, garantivano l’assorbimen-
di esperti per selezionare e
Orientale
to del prodotto, la corretta
premiare i migliori.
specializzata della vite.
vinificazione e la vendita sul
Due elementi sono stati fon-
Nel tempo, sono state ottenu-
mercato.
della
coltivazione
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
a
Portogruaro
e
a
speciale
Veneto
Concorso Enologico
La Mostra Nazionale Vini,
La
Concorsi
del Veneto quali il Formaggio
nel
gestione
dei
Società
Nazionali viene affidata all’As-
Montasio, i vini biologici ed al-
Cooperativa, ed allarga la par-
sociazione Enologi Enotecnici
tri prodotti veneti con progetti
tecipazione alla società oltre-
Italiani che garantisce la serie-
ché ai privati produttori, anche
tà e la correttezza degli stes-
finanziati dalla Regione Veneto
alle associazioni dei produttori
si.
più rappresentative dell’area,
Dal 1979, la Mostra Nazionale
ai Comuni, alla Provincia di
Vini inizia una nuova attività in
Venezia, alla C.C.I.A.A., all’En-
accordo con la Regione del
ha investito nel rinnovamento
te di Sviluppo Agricolo della
Veneto, all’interno del Palazzo
esterno ed interno del Palazzo
Regione Veneto e si appresta
Mostra,
per renderlo più funzionale ed
a diventare la società più rap-
Regionale del Veneto.
accogliente.
presentativa dell’intera area
La motivazione e la scelta di
Ciò indica la volontà pubblica
Veneto Orientale.
Pramaggiore, non sono state
di mantenere a disposizione
Le selezioni dei vini locali,
casuali ma dovute alla dispo-
nel tempo, sono diventate
nibilità di una sede ed alla vi-
del territorio per la promozione
Concorsi Enologici Nazionali,
cinanza al grande serbatoio
autorizzati di anno in anno dal
turistico delle spiagge dell’Alto
Ministero per le politiche agri-
Adriatico.
cole ed agroalimentari, mentre
Attualmente, la Cooperativa
re che è a disposizione di tutti
la Mostra Campionaria si am-
Mostra Nazionale Vini gesti-
i soggetti che operano per la
plia a rappresentare tutte le
sce anche programmi di pro-
valorizzazione del territorio e
Regioni viticole italiane.
mozione per i prodotti tipici
dei suoi prodotti.
1971
diventa
che
è
l’Enoteca
e dalla Comunità Europea. Recentemente
la
proprietà
del Palazzo che è pubblica,
dei prodotti tipici del Veneto Orientale in particolare, e del Veneto, la struttura immobilia-
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
93
Veneto speciale
a cura di Annalisa Venturuzzo
unto di partenza dell’itinerario alla scoperta del nostro territorio è la città di Portogruaro, che
P
facilmente spiegabile nella prima parte facendo riferimento all’antico porto commerciale sul fiume Lemene; la seconda
tolani”) una vasta area sulla sponda sinistra del Lemene per la realizzazione di un porto e delle relative strutture com-
conserva nel suo centro storico l’originario impianto urbanistico medievale, davvero suggestivo per la sua elegante omogeneità, per la caratteristica impronta veneziana dei suoi palazzi e per gli scorci sul fiume Lemene, che attraversa tutta la città, articolata su due assi viari principali che seguono il corso fluviale sulle rive opposte. L’origine del nome composto di Portogruaro è
parte, invece, come del resto accade per il vicino comune di Gruaro, è di difficile interpretazione. Non essendoci una soluzione certa, rimane nella tradizione popolare il legame con le gru che compaiono nello stemma della città ai lati della torre campanaria. Tradizionalmente il documento del 10 gennaio 1140 con cui il vescovo Gervino concesse a un gruppo di mercanti (“por-
merciali viene considerato l’atto di fondazione della città. Determinanti furono il ruolo e la posizione strategica della città nei traffici commerciali tra la lagune di Venezia e i paesi di area germanica, come punto di passaggio delle merci dalla via d’acqua alla via di terra. Fu soprattutto durante la dominazione veneziana che la città si arricchì notevolmente. Oggi conta poco più di 25.000 abi-
Scorcio di Portogruaro
94
Portogruaro
Terre della Venezia orientale: il Portogruarese
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
mo e il campanile, contraddistinto da una forte pendenza verso la chiesa, dedicata al patrono sant’Andrea apostolo, in onore del quale si tiene ogni anno una Fiera a fine novembre (Antica Fiera delle Oche e degli Stivali). Inoltre, da più di vent’anni, tra la fine di agosto e gli inizi di settembre, un prestigioso Festival Internazionale di Musica da Camera, denominato “Estate Musicale”, richiama musicisti di fama internazionale da tutto il mondo. A breve distanza da Portogruaro, il centro urbano intorno al quale gravitano i paesi circostanti, si segnalano le frazioni di Pradipozzo e Lison,entrambe parte del territorio comunale. La zona a Denominazione di Origine Controllata “Lison Pramaggio-
leria Comunale d’Arte Contemporanea. Da qui si vedono molto bene l’abside del duo-
re”, riconosciuta ufficialmente nel 1985, comprende i territori di gran parte dei comuni tra i
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Veneto
tanti. Giunti in piazza della Repubblica, va segnalata l’elegante facciata gotica del palazzo municipale, costruito nella sua parte centrale tra il 1372 e il 1379. Interamente in mattoni a vista, l’edificio si caratterizza per la merlatura a coda di rondine e il piccolo campanile a vela alla sommità per richiamare le adunanze pubbliche. Sul retro del municipio, in riva al Lemene, dove un tempo si svolgeva il mercato del pesce, sorge l’oratorio della Pescheria, dedicato alla Madonna per volontà dei pescatori di Carole. Poco più avanti i due molini, sicuramente tra gli edifici più antichi della città, menzionati già in una bolla papale del 1186, dal 1970 sono di proprietà del comune e, dopo il restauro, sono divenuti Gal-
speciale
Portogruaro - il Porto fluviale
fiumi Livenza e Tagliamento e prende il nome dal borgo di Lison e dal paese di Pramaggiore, “Città del Vino” (insieme ad Annone Veneto e Santo Stino di Livenza). Il toponimo (dal latino pratus maius “prato di maggiore estensione”) allude chiaramente alla vocazione prettamente agricola del territorio, caratterizzato da terreni pianeggianti formatisi in seguito a depositi alluvionali trasportati dalle acque. All’interno dell’area di produzione è sorta la Strada dei Vini DOC “Lison-Pramaggiore”, chiamata anche Strada dei Vini dei Dogi, lungo la quale un’apposita segnaletica indica le aziende produttrici associate al Consorzio di Tutela dove è possibile degustare e acquistare i vini locali. Pramaggiore ospita anche la prestigiosa Mostra nazionale dei Vini ed Enoteca Regionale dei Vini del Veneto, realtà nella quale sono disponibili gli oltre 300 vini prodotti in regione, oltre a rinomate specialità enogastronomiche. Le scoperte archeologiche a Concordia Sagittaria, l’antica Iulia Concordia, colonia romana fondata nel 42 o 40 a.C. presso l’incrocio tra le vie consolari Annia e Postumia, lungo il Lemene, ci rivelano che in queste zone il vino era prodotto e apprezzato già dai tempi dell’impero romano, in cui assumeva un grande significato di ritualità collettiva e convivialità.
95
Veneto
Ippolito Nievo nel romanzo Le
to a base di lingua di maiale la
ste campagne dai monaci
confessioni di un italiano rac-
cui tradizione nasce ai tempi
benedettini insediatisi a Sum-
contava che nella cucina del
della Serenissima Repubblica
maga, abitato che dista solo
castello di Fratta, in comune
ed è stata tramandata fino ai
quattro chilometri da Porto-
di Fossalta di Portogruaro, il
nostri giorni dalla cultura con-
gruaro, intorno alla fine del pri-
cameriere era impegnato per
tadina.
mo millennio, un’altra tipicità, il
buona parte della giornata a
consumato in occasione del-
Montasio DOP, si lavora come
grattugiare lo stravecchio.
la festa dell’Ascensione e, nel
è stato tramandato nei secoli
Altro prodotto tipico dell’area
portogruarese, in località Cinto
dai casari. In tavola trova po-
territoriale a cavallo tra Veneto
Caomaggiore, nel 2005 è nato
sto in ogni momento. Anche
e Friuli è il lingual, un insacca-
il Consorzio di Tutela.
È
tradizionalmente
Portogruaro
speciale
Probabilmente diffuso in que-
Lison Pramaggiore: una terra dei vini da scoprire a cura di Francesca Amadio - Presidente della Strada Vini Doc Lison Pramaggiore
Una denominazione vinicola e un territorio tutti da scoprire, che in questi anni hanno saputo mantenere le proprie radici antiche ma guardare anche al futuro, divenendo un polo moderno e avanzato della viticoltura veneta. È questo il Lison Pramaggiore, la “Doc di Venezia”.
S
96
i tratta di un territorio
ternazionali.
che ha molto da dire,
Il territorio è anche un’area
a partire dal proprio
fortemente vocata al turismo,
patrimonio enologico di viti-
in perfetto equilibrio fra mare
gni autoctoni, primo fra tutti il
e terra, che offre dalle spiagge
Lison Classico (noto come to-
della riviera adriatica di Caorle
cai fino a qualche anno fa), ma
e Bibione ai vasti scavi arche-
anche grazie alle interessanti
ologi, dalle oasi naturali anco-
interpretazioni delle varietà in-
ra incontaminate ai numerosi
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
e vinicola rese l’area di Lison Pramaggiore all’avanguardia nella produzione vitivinicola. Oggi il Lison Pramaggiore si è ulteriormente evoluto nel rispetto per l’ambiente e ciò ha portato i produttori ad introdurre per primi l’agricoltura biologica (oggi presente con circa 400 Ha).
La Strada Vini Doc Lison Pramaggiore in collaborazione con i suoi soci punta a far visitare questo incantevole territorio e presentarlo nella sua complessità di ricchezze artistiche, storiche, architettoniche e, ovviamente, enogastronomiche, vero segreto per la nostra promozione. L’obiettivo è far conoscere l’intera area che offre davvero molto. Tra tutti i numerosi eventi che ogni anno mettiamo in calendario vorrei
Veneto
dioevo, il centro storico di Portogruaro, una delle cittadine più caratteristiche del Veneto, con il suo municipio merlato, i suoi portici, le ruote dei mulini sul Lemene. I Veneziani giunsero qua nel XV secolo e i principali centri si arricchirono di chiese e palazzi. Il territorio divenne quindi la “Terra dei vini dei Dogi”, qualifica ancor oggi usata per identificare il territorio. Pramaggiore in particolare, con il borgo
di Belfiore, divenne il “Vigneto della Serenissima” perché vocato alle produzioni di alta qualità. Avvicinandoci ai nostri giorni, la viticoltura contribuì a risollevare il territorio dopo la Prima Guerra Mondiale e negli anni Trenta una vasta azione di bonifica e di modernizzazione della produzione agricola
speciale
percorsi d’acqua che bagnano città d’arte. L’area fu scelta già dai Romani come uno tra i più importanti poli del Veneto Orientale, come dimostrano ancora oggi le numerose testimonianze, e proprio a loro si deve l’introduzione della vite. E se in epoca romana il centro principale era Julia Concordia, in quella medievale Aquileia e Sesto al Reghena assunsero un ruolo di primaria importanza. Risale al tardo Me-
ricordare la rassegna Vinosofia, dedicata a turisti ed appassionati. Dai primi di giugno e per 2 mesi gli ospiti delle località balneari possono divertirsi all’insegna del ritmo slow e del bere consapevole, con degustazioni di buoni vini, musica e letture presso gli alberghi, le cantine e gli agriturismi e le piazze dei Comuni nostri soci. Ogni anno questa iniziativa ha registrato migliaia di presenze complessive.
Scoprire il territorio lungo la Strada Vini Doc Lison Pramaggiore. I percorsi tematici.
La Strada dei Vini D.O.C. Lison Pramaggiore è attiva fin dal 1986 ma ha ottenuto il riconoscimento ufficiale grazie alla legge Regionale del Veneto (17/2000) nel 2002. Si snoda idealmente lungo il percorso della romana Via Annia, da Venezia fino al confine con il Friuli. Il simbolo del Leone di S. Marco guida il visitatore nel riconoscere i produttori, le botteghe, gli alberghi e i ristoranti che compongono l’offerta turistica. Non si propone solo come zona di produzione di Vini a denominazione di origine controllata, ma vuole essere anche utile strumento per la valorizzazione dell’area nel suo complesso. Attraverso la Strada dei Vini doc Lison Pramaggiore il turista entra in luoghi di produzione che garantiscono la qualità dell’accoglienza accompagnandolo alla scoperta di un territorio ricco di risorse uniche, di storia e di paesaggi. Un territorio ricco di risorse, quello di Lison Pramaggiore, dove la cultura del vino è strettamente legata alla storia e all’ambiente. Una zona unica e tutta da scoprire, fra terra e mare...
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
97
La doc Lison Pramaggiore
Portogruaro
speciale
Veneto
L’area Lison Pramaggiore è per antonomasia la D.O.C. di Venezia. Il territorio di produzione comprende gran parte dei comuni del Veneto Orientale e si estende dai terreni vicini al mare fino ai confini con le province di Treviso e di Pordenone. La Denominazione d’Origine Controllata viene attribuita oggi alle produzioni di 14 vitigni e ad altri 4 vini prodotti nell’area, che il Consorzio Vini D.O.C. LisonPramaggiore promuove e tutela. Le uve destinate alla produzione dei vini Lison Pramaggiore devono essere prodotte nella zona comprendente, nelle rispettive province, i comuni di Annone Veneto, Cinto Caomaggiore, Gruaro, Fossalta di Portogruaro, Pramaggiore, Teglio Veneto e parte del territorio dei comuni di Caorle, Concordia, Portogruaro, S.Michele al Tagliamento, S. Stino di Livenza(In prov. Di Venezia), Meduna di Livenza, Motta di Livenza (in provincia di Treviso), Cordovado, Pravisdomini, Azzano Decimo, Morsano, Sesto al Reghena(in provincia di Pordenone). Ad oggi si fregiano della doc le seguenti tipologie: Lison, Pinot bianco, Chardonnay, Pinot grigio, Riesling, Sauvignon, Verduzzo, Merlot, Malbech, Cabernet, Cabernet franc, Cabernet sauvignon, Refosco dal peduncolo rosso, Novello, Prosecco, Spumante, Riserva.
98
Preparare e cucinare il pesce a Caorle è una tradizione a cura di ciaocaorle
L’
offerta negli hotel
Gli Spaghetti al nero di Seppia
e negli alberghi di
La Pasta al nero di seppia” è
di attrezzi a ridotte dimensio-
Caorle rappresenta un moti-
una specialità veneziana che
ni. La tecnica di pesca usata
vo per visitare Caorle e nel-
usa il nero delle seppie per le
serve a dare minimo stress,
la maggior parte dei casi, un
sue qualità aromatiche e per il
maggiore qualità e morbidez-
motivo in più per ritornare a
colore dei piatti. Il nero conte-
za al prodotto. È nella cottura
nuto nella sacca delle seppie
in lesso che si apprezza mag-
serve non solo come protezio-
giormente il “Moscardin” ed è
ne al mollusco per confondere
per questo che è considera-
il campo visivo ai predatori,
to una delle specialità tipiche
ma anche a dare qualità e gu-
della cucina caorlotta.
enogastronomia
Caorle anche fuori stagione per assaporare un delizioso piatto di pesce al ristorante in una occasione speciale. Ecco allora svelati i segreti dei piatti tipici di Caorle, le più famose
sto particolare alla pasta.
l’anno con le reti a strascico, a “tirate brevi”, e con l’utilizzo
ricette della tradizione che, a
Il Moscardino
seconda della stagione, ven-
Il “Moscardin” è una qualità di
Il Broèto (ovvero Pesce in umido)
gono proposte sulle tavole dei
mollusco tipico del mare anti-
Questa vecchia ricetta veneta,
nostri ospiti.
stante Caorle. Si pesca tutto
trae le sue origini nella zona di
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
ta dalle famiglie di pescatori
veri pescatori che, in passato,
con il pescato meno costoso,
per poter mantenere a lungo
mentre quello di valore era
le sardine non vendute, erano
venduto al mercato ittico del-
soliti friggerle a mezza cottura
la città. Il “Broeto” prevedeva
e conservarle immerse nello
in passato una sola qualità di
stesso olio.
Veneto
autentica invenzione dei po-
speciale
Caorle. Essa veniva prepara-
pesce, ma oggi si è arricchito con l’aggiunta di molti pe-
il canestrello ai Ferri
sci pregiati, Rombo, Anguilla,
Il canestrello è un mollusco bi-
Passera,
per
valvo raccolto in tutto il Nord
citarne alcuni, e veniva nor-
Adriatico e, negli ultimi anni,
malmente cotto in barca, in
in quantità consistenti al largo
un recipiente di coccio su car-
delle coste di Caorle, dove il
bonella, o a casone (cason) su
prodotto è particolarmente ap-
un paiolo sopra il fuoco.
prezzato e consumato sia cru-
Cannocchia,
do che cotto. Due sono i tipi di
le Sarde in Saòr
canestrello prodotti in questa
Piatto di antica tradizione,
zona di mare; essi vengono
sono le “Sardèe in Saòr”, o
distinti dalla marineria locale in
più semplicemente il “Saòr”.
canestrello bianco e rosso che
Le sardine vengono fritte,
si differenziano, oltre che per
messe a macerare con olio,
la specie, anche per caratteri-
cipolla affettata fine ed appe-
stiche organolettiche e moda-
na soffritta, sale ed annaffiate
lità di commercializzazione. La
di aceto. È un piatto delicato
forma del canestrello richiama
e nello stesso tempo forte,
vagamente quella di un venta-
glio, con due valve convesse, di cui quella inferiore a convessità più pronunciata; la superficie si presenta finemente striata longitudinalmente e di colore variabile dal bianco al giallo fino al rosso e al bruno, con macchie e sfumature di tonalità diverse. La raccolta del mollusco si pratica tutto l’anno ad eccezione dei periodi di fermo biologico. L’area di pesca, al largo del litorale di Caorle, si estendeda 3 a 8 miglia marine dalla costa.
99
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 Moscardini in umido
speciale
Veneto
Pesca e Laguna
100
a cura di Fabrizio Tonon - Vicepresidente della Proloco di Caorle
L
a pesca a Caorle è
Dopo neanche dodici ore il
dal grande scrittore america-
un’arte antica e ri-
pesce viene presentato in pre-
no Ernest Hemingway che, in
spettata, frutto della
libate ricette nei ristoranti ca-
questo angolo di
convivenza della gente caor-
orlotti per il piacere dei nostri
natura, trovò l’ispirazione per il
lotta con l’Adriatico.
Ospiti.
famoso racconto “Di là dal fiu-
I Pescherecci salpano alle pri-
Il Porto è uno dei luoghi più
me ore del mattino e rientrano
suggestivi di Caorle: rimasto
me e tra gli alberi”. Uno spazio
nel primo pomeriggio. L’antica
pressoché immutato nei se-
tradizione marinara unita al ri-
coli. Passeggiando durante
spetto per il mare e la pesca,
il giorno, si possono vedere i
che contraddistinguono da
pescatori rammendare le reti e
sempre il Pescatore Caorlotto
la sera, con le luci dei lampioni
consentono al pescato di rag-
che riflettono sull’acqua, l’at-
giungere il Mercato Ittico in
mosfera romantica del porto
perfette condizioni igienico-
ci rimanda a tempi passati.
sanitarie.
La Laguna di Caorle è un pic-
Anche la vendita al Mercato
colo angolo di paradiso, dove
indimenticabile bellezza. Qui
Ittico segue antiche tradizioni,
in tempi remoti i primi abita-
sorgono i “Casoni”, antiche
con la caratteristica asta “a re-
tori trovarono possibilità di
dimore dei pescatori, costruiti
cia” (cioè con una offerta sus-
sopravvivenza affinando l’arte
in canna palustre, interessanti
surrata dai ristoratori e dai gros-
della pesca. Fu frequenta-
da visitare in bicicletta o con
sisti all’orecchio degli astatori).
ta negli anni ‘50 e ‘60 anche
imbarcazioni e visite guidate.
magico dove il silenzio, la pace e la tranquillità regnano sovrani e dove nulla può intervenire a spezzare l’incanto, neppure il trascorrere del tempo. La laguna si estende ancora oggi per migliaia di ettari tra canneti e distese d’acqua che creano scorci paesaggistici di
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
speciale
I
Veneto
Prodotti della terra e cucina dei sapori nella Marca Trevigiana dei funghi chiodini del Montello e ancora della Pedemontana, accanto a tante altre squisite varietà e c’è la prima raccolta del Radicchio rosso di Treviso Precoce, in attesa di dicembre,
segue il ritmo delle stagioni, per cui ci sono tanti piatti con gli asparagi e le erbe di campo a primavera; con i funghi e gli ortaggi d’estate e in autunno e con i radicchi dall’autunno agli
canto alle tante erbe spontanee (radicee, zimoe, Bruscandoi, Sparesi da Rust..), ancor oggi impiegate nelle cucine di casa e nei ristoranti, ecco il raffinato e delizioso Asparago bianco Igp di Cimadolmo e del Sile. E, subito dopo, le primizie degli orti che offrono ormai tutta la serie degli ortaggi coltivati in Italia e questo continua per tutta l’estate. Intanto, a giugno, quando maturano le ciliegie (Colline Asolane), si iniziano a raccogliere, dopo le prime piogge, i funghi porcini dei boschi di latifoglie della Pedemontana. D’estate matura anche la frutta – pesche, mele, pere, albicocche, susine, ecc. – e poi le celebri noci “Lara”, le migliori in assoluto, nei grandi noceti della pianura e soprattutto a Chiarano. La fine dell’estate e l’incipiente autunno sono il momento dei Marroni (castagne) di Combai,
quando arriva sulle tavole lo straordinario Radicchio rosso di Treviso Tardivo e il Variegato di Castelfranco, che accompagneranno le cucine trevigiane fino a marzo. Anche in questa terra c’è abbondanza di animali da cortile – polli, galline, faraone, tacchini, anatre, oche, conigli - e poi maiali, che regalano salumi fra i più richiesti d’Italia.
albori della primavera. Cucina semplice nella materia prima, che è fresca, sana e genuina, ma intelligente e spesso raffinata nelle preparazioni. Una cucina che si presenta di alta qualità in numerosi ottimi ristoranti. Segnaliamo, tra i tanti il Ristorante Gellius (0422713577), metà ristorante e metà museo, con preziosi resti archeologici romani. È stella Michelin e presenta una cucina giovane, fresca, a base di prodotti sceltissimi, con piatti sapientemente elaborati e ottimamente presentati. Fra i tanti altri eccellenti ristoranti trevigiani ricordiamo: Gigetto (0438.960020), a Miane, con splendida cantina; Sansovino Castelbrando (0438-976093), a Cison di Valmarino, in un antico turrito Castello; Da Gerry (0423 545082) a Monfumo; Casa Brusada (0423.86614),
Cucina del territorio Con questi e altri prodotti è comprensibile che la cucina trevigiana resti radicata nel territorio, anche se i primi piatti tradizionali sono a base di riso – un tempo nel Trevigiano c’erano moltissime risaie – e ci sono poi le carni degli animali da cortile (pollo in umido, anatra rosta e lessa, oca al forno, faraona con la salsa peverada, salumi e soppresse di squisita bontà, ecc.). È una cucina che
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Treviso
l paniere agroalimentare trevigiano è ricchissimo, offrendo una gamma di prodotti di assoluto valore in tutte le stagioni dell’anno. Allo sbocciare della primavera, ac-
101
speciale
Veneto
Radici e Fasoi, tipico piatto Trevigiano
a Crocetta del Montello; La Giraffa (0422.809303) a Fontanelle; Villa Giustinian (0422 850244) a Portobuffolè, in splendida villa veneta; Villa Foscarini (0422.208007) e Villa Revedin (0422.800033) entrambi a Gorgo al Monticano, in storiche ville venete; Bertacco (0422.861400) e Disarò (0422.766023) a Motta di Livenza; Parco Gambrinus (0422 855043) a San Polo di Piave; Le Calandrine (0422 748010) a Cimadolmo;
Rino Fior (0423 490462) a Castelfranco Veneto; Osteria dalla Pasina (0422 382112) a Dosson di Casier; Antica Trattoria da Procida (0422
797818) a Spercenigo di San Biagio di Callalta, Da Tullio (0438587093) ad Arfanta di Tarzo.
Treviso
Treviso, una terra ricca di fascino
L
a Marca Trevigiana, a ridosso di Venezia e della sua laguna, ha una storia che si perde lontano e che offre i primi documenti con l’arrivo, circa tre millenni or sono, dei Paleoveneti che in questa terra ebbero tre grandi insediamenti: Montebelluna, Oderzo e Ceneda (attuale Vittorio Veneto) e numerosi villaggi sparsi dalla pianura alle Prealpi. I Musei di Montebelluna e Oderzo ne mostrano i preziosi reperti, fra
Treviso
102
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Castelfranco Veneto
cui lo scheletro di un cavallo con la sua bardatura, risalente a 2500 anni fa, recentemente venuto alla luce a Oderzo. Poi arrivarono i Romani che costruirono nel 148 a.C. la via Postumia (da Genova ad Aquileia) e centuriarono il territorio attorno ad Opitergium (Oderzo), Ceneta (Ceneda), Acelum (Asolo), Tarvisum (Treviso) e Altinum (Altino), da dove partì, nel 15 a.C. la Claudia Augusta, una impor-
tante via militare e commerciale che raggiunse Augusta Vindelicorum (Augsburg, in Baviera), costruendo altre strade, popolando la pianura e le colline e dando un forte impulso all’agricoltura e alla viticoltura. Da allora la storia e l’intraprendenza degli abitanti hanno regalato a questa terra, definita “gioiosa et amorosa”, città belle e ospitali, come il capoluogo Treviso; Conegliano, “la perla del Veneto”; Vittorio
Veneto, “la città della vittoria”; Oderzo, “l’antica Obterg”; Motta di Livenza, “la città dell’Apparizione” (della Madonna avvenuta nel 1510); Montebelluna, “la città paleoveneta”; Castelfranco Veneto, “la città del Giorgione”; Asolo “il balcone sulla pianura e sul Grappa” e tanti paesi arricchiti negli ultimi decenni da quello sviluppo produttivo che ha fatto gridare a un secondo miracolo economico. Oggi nelle cittadine e nei paesi del Trevigiano ci sono, accan-
Veneto
Monte Pizzoc
speciale
Treviso
to a fiorenti attività produttive, chiese ricche di opere d’arte, firmate da Tiziano, Giorgione, Cima da Conegliano, Paris Bordone, il Pordenone, Pomponio Amalteo, Lorenzo Lotto, Palma il Giovane e altri grandi Maestri del Rinascimento. Il paesaggio poi è particolarissimo. Le colline che da Conegliano e Vittorio Veneto s’inseguono dolci verso Refrontolo, Pieve di Soligo, Follina, Col San Martino, Miane e Valdobbiadene, oltre alle splendide vigne dove nasce il Prosecco, mostrano scorci mozzafiato, chiesette antiche sapientemente affrescate, torrioni longobardi immersi nei boschi di latifoglie, turriti castelli ancor oggi vissuti, ville e palazzi dei secoli andati. E poi c’è la pianura, le Terre del Piave, con i tanti segni dell’antica presenza dei signori me-
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
103
Veneto speciale
dioevali, dei Cavalieri Templari
parchi che danno il senso del-
per il Bosco Montello e i gran-
e della Repubblica di Venezia
la pace, pur accanto alle im-
di alberi di entrambi servivano
e, ovunque, vigne rigogliose
mancabili zone industriali.
a Venezia per le fondamenta
e ancora le Bellussere, vigne
In questa provincia, salendo da
dei suoi palazzi e per il fascia-
nate sul finire dell’Ottocen-
Vittorio Veneto o da Cappella
me delle sue tante navi.
to per alzare il più possibile i
Maggiore a fianco del Monte
Terra bella e gioiosa, vivace
grappoli d’uva dalla terra. Le
Pizzoc, si arriva in Cansiglio,
e operosa, terra di cultura e
strade percorrono paesi lindi
dove, attorno a un’incante-
d’arte, luogo di civiltà e di alta
e ridenti, con chiese che con-
vole “piana” s’estende uno
gastronomia, ricco ancora dei
servano tele di grandi pittori,
dei
importanti
valori umani e sociali che ne
maestosi palazzi, case genti-
d’Italia, riserva dei legni della
hanno caratterizzato la sua
lizie, giardini fioriti, prati e ampi
Serenissima. e lo stesso era
lunga storia.
boschi
più
Treviso: giardino di Bacco Terra del celebre Prosecco e di altri vini straordinari, conosciuti ed apprezzati in tutto il mondo
Treviso
È
104
proprio vero: la provin-
Si può dunque tranquillamente
Pedemontana Trevigiana. Oltre
cia di Treviso è un gran-
affermare che in provincia di
al Prosecco, nome del vino
de giardino enologico,
Treviso,si va dai grandi vini da
che
impreziosito da istituzioni che,
aperitivo e fuori pasto come
vitigno glera, portato in terra
soprattutto negli ultimi tempi,
il Prosecco DOCG, ai vini da
veneto-friulana dai Paleoveneti
hanno contribuito a lanciare i vini
Dessert come il Refrontolo
tre millenni or sono e chiamato
trevigiani fra le più interessanti
passito Doc e soprattutto il
Pucinum dai Romani, nella col-
new entry del panorama enolo-
Torchiato di Fregona Doc.
lina di San Pietro di Barbozza si
gico italiano. In questa provin-
E fra quest troviamo un’ampia
produce il Prosecco superio-
cia ci sono due aree a Docg:
scelta di vini bianchi e rossi,
re di cartizze o, semplicemen-
Prosecco di Conegliano e
fra i quali il grande autoctono
te, cartizze, splendido e raro
Valdobbiadene e Prosecco
raboso Piave, che si prepara
vino per incontri amicali e da
Montello e colli Asolani. E
a conquistare mercati sempre
fine pasto, orgoglio della vitivini-
ci sono 5 aree a Doc: Piave,
più ampi.
coltura trevigiana. Il Prosecco
Montello e colli Asolani,
Ma andiamo con ordine.
può essere prodotto nella ver-
Colli di Conegliano e lison
Il
Conegliano-
sione tranquilla, ma anche friz-
Pramaggiore. A queste aree si
Valdobbiadene Docg si pro-
zante e, soprattutto, spumante,
è aggiunta la recentissima Doc
duce nel comparto collinare
ed ancora brut, dry e extra dry.
Treviso, riservata al Prosecco
che va da Conegliano e Vittorio
Quando è secco può accom-
prodotto in provincia di Treviso,
Veneto a Valdobbiadene, in
pagnare benissimo un intero
fuori dalle zone a Docg.
quella che è denominata la
pranzo di pesce, purché non
Prosecco
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nasce
dall’antichissimo
Verduzzo Trevigiano o Verduzzo Motta, ora in rilancio anche nella forma passita e spumante Metodo Classico, ottimo col pesce. A far da corona, nell’area Doc Piave, ci sono: cabernet Sauvignon,
Carmenere,
Chardonnay,
Veneto
sione Metodo Classico. Altro vino autoctono è il
speciale
lo presentano anche Spumante, preparato in ver-
Merlot, Pinot bianco, Pinot grigio, Tai (ex Tocai, da vitigno Sauvignonasse). I medesimi vini sono nel comprensorio Doc Montello e colli Asolani, nella cui area si pro-
Vigne di Prosecco e Cartizze
duce un ottimo Asolo Prosecco Docg, come pure un vino rosso straordinario, di stile bordolese, che è il Venegazzù, esclusivo dell’azienda conte loredan-gasparini, stupendo con il pollame nobile, la selvaggina di pelo e i formaggi molto invecchiati. Nell’area Doc Colli di Conegliano ci sono quattro vini importanti: il Bianco (Manzoni Bianco, Pinot Bianco e/o Chardonnay, Sauvignon e/o Riesling renano), eccellente compagno di primi piatti importanti e con carni bianche; il rosso
Vigneti a Rolle
(Cabernet Sauvignon, Merlot, Cabernet Franc, Marzemino), per carni nobili; il Torchiato di Fregona, uno straordinario “vin santo” (Prosecco, Verdiso e Boschera) e il Refrontolo passito (Marzemino). Questi due vini sono ottimi con i dolci ed il Torchiato accompagna degnamente il cioccolato, come, del resto, il raboso Piave passito. Infine, ma marginalmente nel trevigiano, c’è l’area Doc Lison-Pramaggiore, nella quale, in comune di Motta di Livenza, si produce un Merlot,
Vigneti di Prosecco
che negli ultimi anni ha dominato il concorso di Aldeno in Trentino dedicato ai vini dell’intero re-
salsato.
parto Italia prodotti con il noto vitigno di origine
L’area Doc Piave è caratterizzata da una ricca
bordolese.
produzione. Innanzitutto c’è il vino più antico, il
Una parola di grande elogio, infine, sui vini
raboso Piave, figlio di un vitigno portato dai
Manzoni, in particolare il Manzoni bianco, il
Paleoveneti e il cui vino i Romani chiamarono
Manzoni rosso e il Moscato-Raboso, viti-
“Picina omnium nigerrima” (nero come la pece,
gni nati da studi di impollinazione fra gli anni 20
più nero di ogni altro). Un tempo re incontrastato
e 30 del secolo scorso da Luigi Manzoni, uno
delle Terre del Piave, dopo aver lasciato il posto,
dei grandi scienziati che lavoro’ a Conegliano,
nella seconda metà del secolo scorso, ai vitigni
nell’Istituto Sperimentale per la Viticoltura e nella
internazionali, è ora in netto rilancio, specie col
celebre Scuola Enologica, fondata nel 1876, dal
Malanotte, che potremo degustare fra un paio
garibaldino Antonio Carpenè, che è pure fonda-
d’anni. Questo è un vino per carni nobili, grandi
tore dell’azienda vitivinicola Carpenè Malvolti,
arrosti e selvaggina e ci sono alcune aziende che
uno dei gioielli dell’enologia trevigiana.
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Ven
speciale
Veneto
Venezia Calle de la Malvasia
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di Annalisa Ricevuti
P
er Shakespeare il vino era “una buona e piacevole cosa”, Goethe precisò che “dopo il denaro il vino è la più importante delle cose”, Bismarck invece consigliò ai tenenti prussiani “una buona bottiglia di spumante al giorno per ravvivarli e tenerli desti...”. Secondo Diego Valeri, veneziano di adozione, che visse a Venezia assolutamente innamorato dei colori, ritmi, tempi, voci e scorci veneziani, il più bel piacere che ci si può prendere in Città è girare senza itinerario. Andare dove le gambe portano lasciandosi stupire dal continuo variare del panorama di questa città, scoprire, passando attraverso una stretta e buia calle, un arioso e soleggiato campo dove giocano i bambini. Perdersi in un dedalo di viuzze fino ad arrivare ad un canale, magari mentre passa leggera e silenziosa una gondola. Scrivere su Venezia non è mai banale, su Venezia è stato scritto tutto e anche di più. Perciò quando gli amici della federazione Fisar di Venezia mi hanno chiesto di spendere al-
cune parole sulla mia città, dal punto di vista storico culturale, focalizzandomi soprattutto sul vino, ho sentito tremare le vene dei polsi. Non ritengo per questa ragione interessante presentare un elenco di quei luoghi che qui ancora oggi chiamiamo “furatole”, “osterie” o “bacari”, lo stesso è infatti facilmente reperibile in qualsiasi buona guida della città. Per prima cosa vorrei spiegare il significato di queste parole: Il bacaro è un tipo di osteria veneziana semplice, dove si trova una vasta scelta di vini in calice e piccoli cibi e spuntini. Il nome bacaro viene dai “bacari” (singolare: bacaro), un termine, che a sua volta deriva dal “Baccho”, dio del vino. Secondo un’altra teoria deriva da “far bàcara”, espressione veneziana per “festeggiare”. “Bacari” si chiamavano una volta dei vignaioli e dei vinai, che venivano a Venezia con un barile di vino a venderlo in Piazza San Marco, insieme con dei piccoli spuntini. Il bicchiere del vino che si beveva, si chiamava “ombra”, perché i venditori del vino seguivano l’ombra
del campanile per proteggere il vino dal sole. Per evitare il trasporto faticoso ogni giorno, si cercava in seguito un locale fermo, che si usava come magazzino e come mescita. Alcuni bacari sono frequentati da turisti, ma ve ne sono altri, più nascosti nei piccoli vicoli, che sono frequentati da Veneziani a cui piace fare il “giro d’ombra”, che vuol dire andare al bacaro, trovare degli amici e bere un “ombra”. Il vino della casa si chiama sempre “ombra”; al bacaro non si trova solo del vino semplice ma anche una grande scelta dei vini di alta qualità, talvolta a buon prezzo. Il termine osteria viene da “oste”, dall’antico francese oste, ostesse che a sua volta deriva dal latino hospite(m). Una delle prime attestazioni del termine hostaria si trova nei capitolari della magistratura dei “Signori della Notte”, che, come suggerito dal nome, vegliava sulla tranquillità notturna della Venezia del XIII secolo. L’etimologia della denominazione attuale richiama la funzione del luogo che è appunto quella dell’ospitalità.
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Le osterie sorsero come punti di ristoro, nei luoghi di passaggio o in quelli di commercio che nella fattispecie sono strade, incroci, piazze e mercati. Ben presto divennero anche luoghi di incontro e di ritrovo, di relazioni sociali. Gli edifici, spesso poveri e dimessi, assumevano importanza in base al luogo dove sorgevano e alla vita che vi si alimentava. Il vino era l’elemento immancabile intorno al quale tutti gli altri facoltativi giravano: il cibo, le camere da letto, la prostituzione. Furatola, era una botteguccia così nominata, quasi simile a quella del pizzicagnolo, dove si vendono commestibili di poco prezzo, cioè minestre, pane, minutaglia fritta, ed altri cibi ad uso della gente meno abbiente. Alcuni fanno derivare la parola furatola dal “furare” per le frodi nella vendita che si perpetravano in queste botteghe. (tratto da Wikipedia). All’osteria, davanti a un generoso calice di vino, non importa se bianco o rosso, frizzante o novello, si sono stipulati contratti, tramandati ricordi, suggellate nuove amicizie. Vino e osterie fanno parte della tradizione, della storia e dell’economia di Venezia, nel duecento i vigneti erano prosperi in tutta la campagna veneta, c’erano filari in pianura, in collina, perfino in piazza San Marco. Oggi all’ombra della basilica non ci sono vigneti, ma è rimasto il culto del vino: all’inizio del secolo scorso nella Città
dei Dogi c’erano più di 1200 tra mescite e rivendite di vino. Ai tempi della Serenissima Repubblica le osterie si distinguevano anche per i vini che commerciavano: nelle malvasie, ad esempio, si vendevano i cosiddetti “vini navigati” provenienti da Malvasia, nel Peloponneso. Nelle furatole si servivano piatti semplici ed economici, ma non vino; i bastioni erano cantine d’infima categoria dove si smerciava vino scadente, spesso diluito. I bàcari erano frequentati e apprezzati da uomini di cultura, scrittori e da musicisti come Stendhal, Richard Wagner e Carlo Goldoni che, proprio in quei modesti locali, trovò ispirazione per molte sue commedie. Per descrivere l’osteria Veneziana poi, chi meglio di Diego Valeri mi può aiutare? “… al fondo sta seduto il solito vecchietto dalla gran barba bianca, […] Ha i gomiti sulla tavola e le mani immerse dentro la barba; pensa e beve, beve e pensa. L’ostessa è appostata vicino al finestrone, e volge ogni tanto verso i passanti quella sua grinta inumana di vecchia sbirra…” Tra tutte le tipologie di vino presenti nei bacari, autoctone e non, trovo interessante spendere qualche parola su di una in particolare, perchè meglio di tutte si identifica, secondo me, con la città di Venezia: il Malvasia. Il Malvasia ha una lunga storia,
anche se diverse sono le ipotesi sulla sua origine. Secondo la maggior parte degli studiosi il vitigno sarebbe originario della Grecia ed in particolare di una città sulla costa sud-occidentale del Peloponneso, chiamata in antichità Monemvasia o Monembasia. Il porto della città protetto da un’alta roccia a strapiombo sul mare, aveva un ingresso strettissimo e pertanto molto difficile da conquistare. Così un potente principe greco, per espugnare la fortezza, chiese aiuto ai veneziani, che, dopo la conquista, correva l’anno 1655, rimasero in quel territorio e si spinsero nell’entroterra. I veneziani seppero subito apprezzare il vino Malvasia, ne attuarono un intenso commercio e trapiantarono il vitigno a Creta, loro possedimento, e in altre isole dell’Egeo. Questo vitigno fu poi trapiantato nel Veneto; il vino prodotto era molto richiesto nelle locande di Venezia tanto che queste furono chiamate “Malvasie” proprio perché lì veniva bevuto il profumato “vino navigato greco”. In Veneto il Malvasia è un vitigno caratterizzato da un grappolo di forma cilindrica mediamente compatto. Il colore è giallo paglierino con riflessi verdognoli. Al naso presenta un corredo aromatico piuttosto complesso; al gusto si presenta fresco e poco stringente. Dopo la pigiadiraspatura e pulizia del
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nezia
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mosto, segue la fermentazione a temperatura controllata intorno ai 18° C, l’affinamento avviene in serbatoi d’acciaio. La Gradazione alcolica è circa 12% vol. Il vino malvasia veneto si sposa con primi piatti delicati e secondi di pesce e pollo con formaggi freschi. Va servito fresco, ad una temperatura di 8-10° C. Ancora oggi a Venezia questo termine è presente nella toponomastica e si può percorrere la Calle della Malvasia e il ponte della Malvasia vecchia. Sfogliando il pratico ed istruttivo libretto di Piero Pazzi: “La bussola del viandante” ho incontrato ben 19 siti che portano il nome Malvasia, dislocati nei 6 sestieri della città: 6 a San Marco, 6 a Castello, 3 a Cannaregio, 3 a San Polo, 1 a Dorsoduro. A Santa Croce e alla Giudecca nemmeno uno. A Cannaregio per esempio, tra fondamenta degli Ormesini e fondamenta della Sensa troviamo il ponte della Malvasia, appena giù del ponte si arriva in campo Sant’Alvise, dove la chiesa di S. Alvise merita sicuramente una visita. La chiesa, considerata a torto come opera minore è una semplice costruzione gotica in mattoni a vista, non molto grande ma assai ben inserita nel contesto che la circonda. Si possono ammirare tele di Tiepolo, Paolo Veneziano e della scuola del Veronese. Li vicino si apre il campo dei Mori con le statue del sior Rioba, Sandi e Afani e da li si raggiunge la chiesa della
Misericordia, il campo dell’Abbazia dove si ammirano le costruzioni e i portali del ‘200 in gotico veneziano. A Dorsoduro la calle della Malvasia ci porta direttamente in campo San Barnaba, qui c’è solo l’imbarazzo della scelta su cosa vedere, io consiglierei di perdere del tempo ammirando palazzo Rezzonico, sede del museo del ‘700 veneziano, anche per la posizione assolutamente strategica di questo museo, in canal grande di fronte alla chiesa di San Samuele. Interessante è il ponte che congiunge campo san Barnaba a santa Margherita: il Ponte dei Pugni, chiamato così perché era teatro della famosa sfida annuale tra Castellani (residenti a Castello) e Nicolotti (residenti a Dorsoduro). Le due fazioni ogni anno si misuravano in prove di forza affrontandosi sul ponte in violentissime zuffe. A Castello la calle della Malvasia sbocca in Campo San Filippo e Giacomo, da questo punto è veramente un attimo giungere a San Marco, ma consiglierei prima una sosta alla chiesa di San Giorgio dei Greci, e al museo delle icone dove alcune di queste risalgono al X e XI secolo, sopra il museo si trova la sala riunioni dell’Arciconfraternita la cui scala di accesso è del Longhena. A metà del ‘500 a Venezia vivevano più di 4.000 greci in una popolazione di 150.000 abitanti. Nel 1539 la Serenissima iniziò la costruzione di una chiesa per il culto ortodosso
A San Marco invece la calle della Malvasia ci accompagna fino al Gran Teatro la Fenice, di cui mi sento di consigliare una breve ma interessante visita, se non altro per poter paragonare il risultato del restauro al teatro prima dell’incendio. Oggi nelle osterie si beve l’”ombretta” (il calice di vino) e si mangiano “cicheti” (assaggini tipici) o piatti più o meno raffinati, legati alla tradizione gastronomica veneziana di cui il gastronomo Giuseppe Maffioli fu cultore lasciandoci deliziose ricette doverosamente accompagnate dal vino, dalla malvasia in particolare quando illustrava ricette di piatti di pesce, di molluschi e di crostacei conditi in guazzetti che la malvasia esalta e rende prelibatezze regali. Di osterie autentiche ne restano poche: la gran parte sono state trasformate in più redditizie, ma sicuramente più anonime, paninoteche. Anche se a Venezia, per fortuna, non tramonterà mai il piacere di un goto (bicchiere) bevuto in compagnia, “ragionando” dei propri o degli altrui problemi. Il giro “dee ombre” a Venezia comincia presto, alle dieci del mattino. Bere un calice con l’amico incontrato in calle è un rito sacro al quale nessun veneziano si sottrae. Le osterie continuano ad essere un importante luogo d’incontro, un fulcro della vita sociale e culturale di Venezia, elemento aggregante di una città che si spopola sempre di più.
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Venezia tra orti e mare di Lucio Chiaranda
Q
uando il turista ‘el foresto’ (come lo chiamano i veneziani) pensa a Venezia da un punto di vista della produzione alimentare quasi sicuramente pensa al pesce visto che la città sorge all’interno dell’omonima laguna divisa dal mare Adriatico solo dalle sottili strisce delle isole di Lido e Malamocco. Questo è vero e sul pesce torneremo, ci piace però presentare un luogo poco noto ai non residenti ma che per la città è stato di vitale importanza nei secoli scorsi: l’isola di Sant’ Erasmo. Si tratta di un isola della laguna nord, quella parte di laguna dove sorgono le ben più famose Murano, Burano e Torcello. Sant’Erasmo è stata da sempre l’orto della città, specie nel periodo in cui la Repubblica di Venezia non aveva possedimenti oltre mare né tanto meno nella terraferma che si affaccia sulla laguna. Ancor oggi a Sant’Erasmo l’agricoltura è l’attività princi-
no – insalate, pomodori, cetrioli, peperoni, radicchi, ecc. - svetta per peculiarità e quantità la ‘castraura’. Strano nome? Di certo sì, ma a Venezia l’uso del dialetto è profondamente radicato tra gli abitanti e ancora in molti lo usano come prima lingua, per cui i termini che identificano i prodotti alimentari locali si sono mantenuti inalterati nel corso del tempo. La castraura, per l’esattezza il carciofo violetto D.O.P. di Sant’ Erasmo e Cavallino, è il primo fiore della pianta del
carciofo che nasce all’apice della pianta stessa, raccolto ancora piccolo, castrato nella crescita, per offrire un prodotto di eccellenza per qualità, sapore e tenerezza. La si trova in un breve lasso di tempo a cavallo tra i mesi di aprile e maggio e la si può gustare come si vuole: cruda accompagnata da una vinaigrette o da una citronette, affettata e poi panata e fritta, spadellata con poco olio, aglio e prezzemolo, oppure può essere l’ingrediente principale per risotti, frittate o paste.
pale e tra le tante produzioni che si susseguono tutto l’anCastraura
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L’abbinamento con il vino, trattandosi di carciofi non è tra i più semplici, ma date le caratteristiche di particolare dolcezza si può suggerire un Sauvignon n o n e c c e s s i v a m e n t e aromatico ad esempio un Doc Lison-Pramaggiore. E la castraure, assieme ai botoli e sottobotoli (i successivi carciofi offerti dalla pianta) è solo uno dei circa cinquanta ortaggi prodotti negli orti della provincia di Venezia, a Chioggia e a Cavallino-Treporti soprattutto. Nel periodo delle castraure visitare al mattino presto il mercato del pesce a Rialto è un’esperienza che non si dimentica: si trovano i ‘bovoéti’, chioccioline dal guscio
bianco striato di marron scuro o nero. In quel periodo sono particolarmente gustosi perché, trovandosi numerosissimi nelle carciofaie, assorbono l’amarognolo della pianta del carciofo. I bovoéti si servono bolliti, conditi con aglio, prezzemolo ed olio e si mangiano come sfizio aiutandosi con uno stuzzicadenti per estrarli. Dall’isola di Sant’Erasmo arrivano anche i piselli che sono alla base di un piatto della tradizione veneziana, i ‘risi e bisi’ uno splendido piatto che sta tra la minestra ed il risotto e che preannuncia l’estate quando lo si porta in tavola, da abbinare ad un Lison Classico od un Soave giova-
ne; era il piatto con cui il Doge iniziava il pranzo del 25 aprile, festa di San Marco patrono della città. Abbiamo iniziato parlando del pesce e su questo torniamo essendo l’elemento distintivo e più rappresentativo della moderna cucina veneziana nel mondo. Al pesce di laguna si alterna quello dell’alto Adriatico, al pesce nobile quello cosiddetto povero (in verità: poco costoso), il tutto presentato in piatti spesso accompagnati dalla polenta, elemento tipico della cucina non solo veneziana ma di tutto il Veneto. Ed ecco altri piatti interessanti della cucina veneziana. Le ‘schie’ (gamberetto gri-
Risi e bisi
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in alcuni casi risulta eccessivamente preponderante sul gusto del pesce. Le regole ben note in proposito suggerirebbero di accontentarci dell’acqua, ma questa non riesce a pulire la bocca dal ‘freschin’ (termine veneto con cui si indica il gusto e l’odore del pesce, ma anche del pollame, quando è crudo). Si potrebbe tuttavia azzardare un Sauvignon questa volta però dell’Alto Adige profumato ma non troppo alcolico o un Verduzzo
Veneto
tro giorni in luogo fresco prima di essere servito. Allo stesso modo si preparano i ‘sfogieti in saor’ (i sfogieti sono pesci di piccola pezzatura simili alle sogliole), e questo è il vero piattino di antica tradizione veneziana, nato nelle case dei pescatori della parrocchia di Santa Marta. Negli ultimi tempi si è poi diffuso l’uso di presentare ‘in saor’ anche altri pesci o crostacei, ad esempio gli scampi, ma queste preparazione non ap-
speciale
gio di laguna) sono minuscoli gamberetti che sui banchi del mercato saltellano e si agitano a testimonianza della loro freschezza, si preparano in due modi: quelle più piccole rigorosamente infarinate e poi fritte, quelle di pezzatura superiore lessate, pazientemente sgusciate e successivamente condite con olio sale pepe aglio e prezzemolo tritato, da abbinarsi ad un Pinot Grigio Doc Lison-Pramaggiore di media struttura. In entrambi i casi si accompagnano alla polenta, naturalmente bianca, che per l’occasione viene servita morbida. Le schie sono servite come antipasto e la classe degli antipasti di pesce è a Venezia particolarmente varia e numerosa, ad essa appartengono anche le sardee in saor. Le ‘sardee in saor’ sono un piatto che nasce dalla cucina ebraica di Venezia, per la preparazione si usano sardee (le sarde) freschissime che, adeguatamente mondate e lavate, vengono infarinate e quindi fritte nell’olio non completando la cottura. Nel fondo di cottura (o, meglio in altro olio ) si fanno appassire delle cipolle affettate finemen-te, sfumate con aceto, poi, a freddo si aggiungono pinoli ed uvetta. Le sarde vengono adagiate in un contenitore a strati alternate alle cipolle con i pinoli e l’uvetta e il tutto viene ricoperto dal fondo di cottura e si lascia riposare per almeno tre o quat-
Sardee in Saor
partengono alla tradizione. Il “saor” è un metodo di cottura che permette di mantenere il cibo più a lungo: Venezia è città di mare, e questa tecnica è presente anche in altre zone d’Italia dove prende nomi diversi: a scapece, in carpione, ecc. Per questo piatto l’abbinamento con il vino si fa arduo per la presenza dell’aceto che
trevigiano spumante. Che dire delle ‘masanete’, dei ‘gransipori’ e delle ‘moeche’? Ecco altri piatti tipici veneziani. Le ‘masanete’ sono le femmine dei granchi che arrivano sulle tavole nei mesi di ottobre e di novembre, si servono bollite e possono essere gustate condite in modo classico oppure ‘nature’ tiepide con
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Veneto speciale
solo l’umidità della cottura per
in Veneto consiglio un Soave
moderatamente dolci che ven-
assaporare appieno il gusto,
classico.
gono ricotte in forno, usate un
lo stesso dicasi per i ‘gransi‘
Chiudiamo questo breve pa-
tempo nei viaggi per mare per
pori’ (granchi con dimensioni pori
norama sul pesce con un pro-
simili a quelle delle grancevo-
dotto che strettamente vene-
la loro caratteristica di mante-
le), preparazione che richiede
ziano non è ma che a Venezia
un vino non troppo strutturato
ha avuto ed ha ancora un
ma allo stesso tempo con una
notevole successo anche tra i
certa personalità, un Bianco di
turisti: il baccalà.
Custoza o un Doc Lison.
Una precisazione, a Venezia
ed appiattita sono preparati
Le ‘moéche’ ‘ sono i maschi
come in tutto il Veneto, si
anche con farina di polenta
dei granchi quando mutano
chiama baccalà quello che nel
gialla, da qui il nome (zaeti in
e perdono la corazza, per cui
resto dell’Italia si chiama stoc-
veneziano
risultano morbidi e si mettono
cafisso, stiamo parlando del
nell’impasto è presente anche
vive nel tuorlo d’uovo battuto
merluzzo messo ad essiccare
l’uvetta sultanina, che un tem-
di cui sono ghiotte e di cui si
all’aria e non di quello che vie-
nutrono, una volta assorbito
po i veneziani importavano dai
ne salato.
l’uovo vengono fritte, in que-
Si è detto prima che il baccalà
possedimenti greci.
sto caso il vino sarà più di cor-
non è un prodotto veneziano,
po, più deciso, come il piatto,
come si legge in altra parte
un Lison Classico ad esempio
della rivista e qui ci limitiamo a
o un Manzoni bianco.
suggerire idonei abbinamenti
di un biscotto estremamente secco. I ‘zaeti’ di forma ovoidale
significa
giallini),
Per entrambi i dolci proponiamo una D.O.C.G. Ramandolo o un Recioto di Gambellara o un Torchiato di Fregona
col vino.
o anche un Torcolato di
escursus sul pesce si accen-
Anche se si tratta di un piatto
Breganze.
nava al pesce povero; ecco il
di grande eleganza presenta
Non abbiamo parlato della
‘gò’ (ghiozzo) è uno di questi,
una certa untuosità dovuta
carne, un tempo quotidiana-
vive nel fango della laguna ed
alla presenza dell’olio, indi-
mente sulla tavola dei patrizi
oltre a non essere particolar-
spensabile per la preparazio-
e delle famiglie benestanti e
mente bello ha una lisca par-
ne ed anche qui abbiniamo
ticolarmente ricca di spine,
un vino bianco, un eccellente
a Venezia continua ad esser-
eppure da questo pesce si ot-
Lison Classico o un Colli di
tiene quello che io considero
Conegliano bianco.
il miglior risotto di pesce che
Per chiudere un brevissimo
si possa preparare, gustoso
accenno ai dolci veneziani,
e saporito ma nello stesso
oltre alle classiche fritole (frit-
tempo delicato, non aggres-
telle) ci piace ricordare due
la Salute, accompagnata da
sivo, direi suadente, anche il
prodotti da forno: i baicoli ed
un buon Merlot Doc Lison-
vino dovrà avere queste ca-
i zaleti.
Pramaggiore di 2-3 anni o da
ratteristiche e per rimanere
I ‘baicoi’ sono fettine di pane
un Colli di Conegliano rosso.
All’inizio
112
nersi a lungo visto che si tratta
di
questo
breve
ci, anche in piatti particolarissimi come la castradina, mangiata
obbligatoriamente
a Venezia il 21 novembre, solennità della Madonna del-
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Veneto
Michel Thoulouze: “un sogno in mezzo alla laguna” di Franco Jurassich
L’
isola di Sant’Erasmo è un grande orto nella laguna veneziana che per secoli ha fornito verdure e ortaggi freschi alla città di Venezia e ancora oggi continua ad offrire delle eccellenze come le “castraure” e il carciofo violetto di Sant’Erasmo, famosi in tutta Italia. Qui Michel Thoulouze ha realizzato la prima e per ora unica cantina di Venezia e dal 2006 produce e imbottiglia il suo piacevolissimo vino “Orto” che raccoglie tutte le migliori caratteristiche legate a questo speciale territorio della laguna di Venezia. Michel ha ripreso ad “allevare la vite”, già presente nell’isola nel 1700, utilizzando i metodi tradizionali degli agricoltori locali e la competenza tecnica di Lydia e Claude Bourguignon, “dottori della terra” prima che ingegneri agrari e Alain Graillot produttore di un Crozes Hermitage famoso in tutto il mondo. Prima di impiantare il vigneto, i terreni sono stati “preparati”
in successione con orzo, ravanello, avena e radice cinese secondo il metodo “duro su duro” cioè senza mai arare, seguendo le indicazioni di Claude Bourguignon “mai un segno d’aratro, mai naturalmente concimi ne’ diserbanti”. I terreni sono calcarei e argillosi, con notevoli concentrazioni in profondità di conchiglie fossili frantumate. Le viti sono state piantate direttamente in questi terreni a piede franco. È stato rinnovato l’antico sistema di drenaggio, l’acqua piovana viene raccolta entro i canali che passano tra i filari delle vigne e poi fatta fluire in laguna con la bassa marea,
attraverso sistemi idraulici di “chiuse”. Il vino nasce da un “cultivar” di antichi vitigni italiani dove domina la Malvasia Istriana assieme a Vermentino e Fiano. La Malvasia è un vitigno che i veneziani portarono nel 1300 a Venezia dalla città di Monembasia nel Peloponneso. Il vino fatto con questa varietà era molto popolare a Venezia, tanto che le osterie erano chiamate “malvase” e ancora oggi sono rimaste molte le calli di Venezia con il nome “calle de la malvasia”. “Orto” viene vinificato in acciaio, è un vino con alti contenuti
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Veneto speciale
di minerali, che concentra ed esalta i sapori di questa isola della laguna e ben si abbina a tutti i piatti del territorio e della tradizione veneziana. Come dice Michel “le cose genuine sono le più difficili da trovare e hanno un prezioso valore a lungo termine che non bisogna abbandonare. Ci sono voluti secoli per avere certi valori e questi oggi fanno la differenza”. È stato per noi un gran piacere conoscere Michel Thoulouze ed ascoltare le sue parole, seduti all’aperto attorno al tavolo della sua casa, con di fronte a noi l’isola di San Francesco del Deserto, Burano, Torcello, il campanile di Murano e sullo sfondo le Dolomiti degustando il suo
“Orto 2007” un vino non immediato, spesso è proprio questo l’impatto che abbiamo con i “vini naturali”, un vino che non vuole stupire, che ha bisogno di aprirsi lentamente,
veneziana, un vino di grande piacevolezza, che si fa bere anche con un secondo bicchiere. “Le cose semplici hanno un valore che dura nel tempo”
con dei ritmi che sono propri di questa isola, una finezza di naso molto francese unita alla lunghezza di gusto e alla sapidità minerale della laguna
continua Michel e questo “Orto 2007” ha secondo noi, il gusto della semplicità di un sogno in mezzo alla laguna...
La famiglia Bisol e l’Uva Dorona di Lucio Chiaranda
I
vitigni autoctoni, i vitigni della tradizione, i ‘vitigni scomparsi’: se ne sente parlare e discutere sempre con maggior frequenza, c’è chi è entusiasta fautore del recupero di questi vitigni e chi invece ne ha una visione riduttiva. È giusto cedere alle logiche di mercato e quindi puntare sulla coltivazione di vitigni econo-
micamente sicuri oppure è più giusto ricercare e recuperare i vitigni che fanno parte della storia e della tradizione di una regione? Perché i vitigni antichi sono stati abbandonati? Perché il vino prodotto era di scarsa qualità oppure perché l’impianto di altre tipologie di vitigno risultava essere più remunerativo? Gianluca Bisol
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l’uva, proprio qui Gianluca Bisol, affiancato dal winemaker Roberto Cipresso, ha voluto ridare vita al vitigno.
Veneto
della terra tra i cui prodotti era presente anche
speciale
luogo di meditazione spirituale e di coltivazione
Nell’Isola di Mazzorbo sorge la tenuta ScarpaVolo, un’antica “vigna murata” risalente al Probabilmente ciascuna di queste ipotesi ha un suo contenuto di verità ma l’intento di queste poche righe non è quello di dare risposte bensì di parlare dell’esperienza di una grande azienda. Trovo infatti sia giusto che una grande azienda vitivinicola, quando ne ha l’occasione, dedichi tempo, energie e risorse economiche alla riscoperta di vitigni in cui crede ed in cui vede delle potenzialità. Sperimentazione che affianca la produzione tradizionale come dovrebbe avvenire i tutti i settori dell’economia. Non so se si possa definire sogno, ostinazione o caparbietà, preferisco la parola sogno, ci riporta all’infanzia, alle fantasie di quando si era bambini, fantasie che per alcuni, da adulti, si realizzano.Gianluca Bisol appartiene ad una famiglia che storicamente ha legami con i vigneti e di conseguenza con il vino, non è veneziano Gianluca perché la famiglia Bisol vede le sue origini nella zona di Valdobbiadene, rimaniamo però nella stessa regione, il Veneto. Ed a Venezia Gianluca ha potuto concretizzare un suo sogno, la creazione di un vigneto frutto del recupero di poche piante di un vitigno antico, l’Uva Dorona. Venezia: laguna, acqua salata a quota del terreno, e si pensa di realizzarvi un vigneto? Sì, ma l’idea di Gianluca Bisol non è nuova, la città di Venezia nel corso della sua storia ha ospitato vigneti non ornamentali, da cui si produceva vino, erano presenti vigneti in alcune parti della città stessa come a San Francesco della Vigna, negli orti/giardini di conventi e monasteri, nell’Isola della Giudecca, nell’Isola di Sant’Erasmo, nell’Isola delle Vignole e nell’Isola di Mazzorbo. Mazzorbo è unita da un ponte di legno alla più famosa Isola di Burano ed è stata da sempre
1400, sorvegliata da un campanile secolare, un’oasi di tranquillità fuori dal tempo, se fossimo in Francia potremmo definirla un ‘close’. Questa la sede prescelta per il reimpianto, la stessa tenuta è stata oggetto di un intervento di recupero e valorizzazione. Nell’avventura non è coinvolto solamente Gianluca ma tutta la famiglia Bisol, in particolar modo il fratello Desiderio. I primi passi risalgono al 2002 quando è iniziata la ricerca delle piante di Uva Dorona ancora presenti nelle isole della laguna. L’Uva Dorona, o uva d’oro per il colore brillante degli acini, è caratterizzata da grappoli grandi e spargoli ed è lontana parente delle uve garganeghe, è uva sia da tavola che da vino ed era presente sulle tavole della Serenissima Repubblica sin dal 1400 circa, diffusa anche nell’entroterra fino alla zona del fiume Livenza. La famiglia Bisol ha già iniziato la produzione vinicola e la prima vendemmia ufficiale sarà quella di quest’anno, 2010, le prime bottiglie saranno sul mercato nel 2011, il vino si chiamerà Venissa, in omaggio ad Andrea Zanzotto che anche con questo nome indica, nei suoi scritti, Venezia. L’ambiente peculiare, con un terreno che trae la propria vitalità dall’acqua salmastra della laguna, ci darà certamente modo di assaporare un vino bianco unico, sicuramente sapido, che sarà in grado di ritrasmetterci tutti i profumi che caratterizzano il luogo in cui viene prodotto. La famiglia Bisol si auspica che il prodotto possa entrare nel mondo del vino con un livello di eccellenza, credo che questo sia l’augurio di tutti gli appassionati di vino ed anche il modo migliore per dare un contributo alla causa dei ‘vitigni scomparsi’.
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speciale
Veneto
L’oro del Garda a cura del Consorzio di Tutela Olio DOP Garda
All’interno di una bottiglia di olio del Garda è racchiusa cultura, storia, tradizione ed assaporarne il gusto delicato ed avvolgente è un “emozione”.
D
i antica e famosissima tradizione, l’olio del Garda viene prodotto alla latitudine più a nord del mondo, grazie alla conformazione del territorio ed al microclima del lago. Numerose fonti documentali risalenti a periodi storici differenti, a partire dal Medioevo, e diverse opere letterarie di Catullo, Bonfadio, Goethe, Carducci e D’Annunzio, testimoniano la rilevante presenza della pianta d’olivo sul territorio bagnato dalle acque del Garda. L’olio extra vergine di oliva Garda ha ottenuto il riconoscimento di Denominazione di Origine Protetta dalla Comunità Europea nel novembre del 1997. Il Consorzio di Tutela è stato riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali nell’anno 2004. È nato per tutelare il prodotto, assistere ed aiutare i soci nello svolgere le pratiche per ottenere la certificazione: dalla raccolta all’imbottigliamento. Una tracciabilità completa volta a garantire l’origine e la provenienza dell’olio, verificando il rispetto del disciplinare di produzione e collaborando con l’organismo di controllo preposto. Questo è un consorzio giovane, in principio erano circa una trentina di soci e nel corso di pochi anni è cresciuto molto, oggi sono circa 480 i soci tra olivicoltori, molitori ed imbottigliatori. Il consorzio opera su tre regioni lambite dalle acque del lago e sono: Veneto, Lombardia, Trentino e quattro rispettive provincie, Brescia, Verona, Mantova, Trento che danno denominazione all’olio di oliva Dop Garda. Una volta prodotto l’olio, l’ente certificatore preleva dal contenitore di stoccaggio alcuni campioni di olio e lo chiude con dei sigilli che saranno tolti dopo il risultato delle analisi. L’olio è sottoposto all’analisi chimica da parte di un laboratorio ed al panel test (gruppo di assaggiatori esperti) riconosciuti dal MIPAAF, che determinano se l’olio rientra nei parametri dettati dal disciplinare della Dop, e se rispetta la tipicità del Garda.
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Altro importante compito è la valorizzazione del prodotto “Olio DOP Garda”, della sua olivicoltura e del bel territorio gardesano, attraverso fiere, manifestazioni e comunicazione. Professionalità, ragione, passione, testa sono doni essenziali per praticare una buona e sana olivicoltura e produrre un olio sempre migliore. Queste sono le caratteristiche dei nostri olivicoltori e grazie al loro lavoro manteniamo il territorio, sano, bello e curato elementi necessari anche per lo sviluppo del turismo e orgoglio per i suoi abitanti. Agricoltura e prodotti tipici, territorio, turismo, ristorazione e cultura,sono settori molto importanti legati tra loro e collaborando possono creare una forte economia ma la mancanza e la trascuratezza di uno solo di questi metterebbe in crisi anche gli altri. “È importante pensare globale nella promozione ma consumare locale”. All’interno di una bottiglia di olio Dop Garda è racchiusa cultura, storia, tradizione ed assaporarne il gusto delicato ed avvolgente è un “emozione”. Le caratteristiche sensoriali dell’olio sono: odore fruttato medio leggero di erba fresca, erbe aromatiche, fieno, carciofo che si fondono in un gusto delicato con note di amaro e piccante percepibile in gola equilibrati tra loro ed un retrogusto tipico di mandorla. Queste caratteristiche delicate e persistenti sono date grazie alla particolarità della zona di produzione con presenza del lago e delle montagne che rendono unico l’olio del Garda. Studi recenti eseguiti da ricercatori e medici, hanno dimostrato che l’olio extra vergine di oliva, prodotto seguendo attente modalità di raccolta e produzione,contiene antiossidanti naturali come la vitamina E, polifenoli; ha un azione antinfiammatoria, stimola le secrezioni gastriche predisponendo l’organismo ad una migliore digestione quindi più digeribile rispetto ad altri grassi; contiene acido oleico che è l’ acido grasso monoinsaturo più importante, presente anche nel latte materno; contribuisce a ri-
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Veneto speciale 118
durre l’eccesso di colesterolo
e protettiva per la pelle, svol-
di bellezza per il nostro orga-
nel sangue; è un energetico,
gendo una protezione natu-
nismo.
più digeribile anche in età se-
rale contro le radiazioni solari,
L’olio extra vergine Dop Garda
nile.
comportandosi come un filtro
può essere utilizzato per mol-
Il consumo di olio extra ver-
biologico.
te preparazioni in cucina, sia
gine di oliva aiuta a prevenire
Altro importante fattore è che
a crudo che per cucinare e,
e proteggere anche dalle ma-
l’olio extra vergine di oliva
grazie al suo gusto delicato, si
lattie cardiovascolari (contiene
possiede un elevato punto di
abbina a molte preparazioni. È
vitamina E) e dall’arterioscle-
fumo, cioè resiste di più alle
fondamentale per accompa-
rosi, ovviamente abbinato ad
alte temperature rispetto ad
gnare piatti a base di pesce di
una dieta sana ed equilibrata.
altri grassi che bruciano più
lago, pinzimoni, carni, strac-
Altra sostanza molto impor-
velocemente.
chino, formaggi magri, carne
tante contenuta nell’olio è lo
Si può affermare che l’olio
salada, carpaccio di carne e
squalene, presente anche nel
extra vergine di oliva è molto
pesce, salse, bruschette; per
pesce di lago, che ha una fun-
più che un condimento, è un
preparare dolci, sorbetti, gela-
zione antiossidante naturale
ottimo medicinale e prodotto
to e molto altro.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
speciale
Veneto
Riso Vialone Nano Veronese IGP a cura di Giovanni Lazzari
L
a risicoltura veronese nata ai primi del XVI secolo, importata dalla Lombardia, si è affermata nelle terre della Serenissima assieme al mais. Sino a pochi anni fa, nella pianura veronese, il risotto era il piatto della domenica, spesso cucinato esclusivamente dal capo famiglia. Quando l’Adige veniva utilizzato come via d’acqua per il trasporto di merci, la sede del mercato del riso lavorato era
Legnago perché da li partivano i Burchi per Venezia. La Serenissima ha sempre avuto una propensione al commercio che certamente ha influenzato l’agricoltura, i proprietari terrieri spessi erano commercianti: il riso assieme alla seta era un prodotto da esportazione e ciò perdurò anche con la dominazione Austriaca. Sino all’ultimo conflitto mondiale una grande riseria aveva sede a Trieste, la Riseria di
Trieste tristemente conosciuta come “Risiera di San Saba” era la prima esportatrice verso i paesi del nord ed est Europa. Non dimentichiamo che fino gli anni cinquanta la Curti aveva una riseria ad Adria, dove lavorava il Vialone del Polesine e l’ Arborio di Ferrara. Nel veronese una moderna e grande riseria la Brena, nata nel XVIII secolo lavorava il 7080 % del Vialone nero veneto, per commercializzarlo poi in
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Veneto
re, la taglia minore, maggiore produttività, più precoce, in genere caratteristiche agronomiche migliori e buone qualità culinarie, si convincono sia gli agricoltori a coltivarlo che i cuochi a preferirlo in cucina. Negli anni sessanta un valido risicoltore veronese Adriano Olivieri, che vide sparire il Vialone nero anche dalle sue risaie, si dedicò al mantenimento in purezza del Vialone nano. Si mise in contatto con il direttore della Sezione specializzata in risicoltura dell’ Istituto per la Cerealicoltura di Vercelli
nel frattempo divenuta la materia agricoltura delegata alle Regioni, era più difficoltoso colloquiare con uffici di due regioni diverse. Nel 1979 nasce il “Consorzio per la tutela del “Vialone nano Veronese” il primo presidente è Adriano Olivieri per poi succedergli Ernesto Artegiani. Nel 1981 le risaie Veronesi hanno segnato il minimo storico con 366 ha. Ciò non scoraggia i pochi risicoltori rimasti, convinti che il loro Vialone nano Veronese sia sempre un ottimo riso da risotti ed un
varietà Novarese. Il Vialone nero non si adattava al trapianto e forse anche per questo la sua applicazione non entrò nella tecnica di coltivazione del riso in veneto e mantovano. Negli anni cinquanta la coltivazione del Vialone nero andò sempre più diminuendo, poiché il ciclo vegetativo era lungo, facile all’ allettamento, sensibile al brusone e non ultima l’impurità varietale, esso veniva sostituito con il P.6, il Precoce Rossi, il Rinaldo Bersani, e per ultimo il Vialone nano, portato dal prof. Romeo Piacco allora direttore della “Stazione Sperimentale di Risicoltura” di Vercelli. Il Vialone nano, nasce alla S.S.R., costituito nel 1927 dall’ing. Giovanni Sampietro dall’ ibrido nano x vialone; inizia la coltivazione nel 1937 Con il nome simile al genito-
(ex S.S.R.) dr. Salvatore Russo, per ottenere pannocchie della varietà Vialone nano dalle quali partire e moltiplicare in purezza il seme. Iniziò così a seminare pannocchia fila per passare poi al nucleo, prebase e base, controllando ed eliminando in campo e nei mazzetti, impurità varietali, grana rossa, fusarium. Proprio per opera del compianto Adriano Olivieri abbiamo ora il Vialone nano. Questo avvenne quando il contributo per risi da seme non veniva ancora elargito dalla C.E. Sempre l’Olivieri nella metà degli anni settanta si muove per costituire un consorzio per la tutela del Vialone nano; riunisce i risicoltori di Verona e di Mantova. Con Mantova la collaborazione cessa quasi subito, sia per mancanza di interesse; ma anche perché essendo
prodotto da valorizzare. Le superfici coltivate a Vialone nano aumentano e si assestano nel breve periodo intono ai 1.500 ha.
Verona
speciale
tutta Italia Il “Vangelo” di cucina delle nostre mamme o nonne era “L’Artusi”, il libro che indicava come unico riso da risotti il Vialone nero coltivato nel Polesine, in Veneto e nel Mantovano. Il Vialone o nero di Vialone o Vialone nero, nasce a Pavia nella Cascina Vialone selezionato dagli agricoltori De Vecchi che moltiplicarono un cespo di riso trovato in una risaia di Ranghino (1901) che fu subito apprezzato dai pilatori che lo pagavano di più della
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Nel 1992 la Comunità Europea emana il regolamento per la richiesta delle Denominazioni di indicazione geografica. Il presidente del consorzio di allora, Ernesto Artegiani, con il valido aiuto dei funzionari della Regione si attiva subito, in armonia con agricoltori e riserie, per avviare la pratica del del riconoscimeno di qualità per il Vialone nano Veronese. Nonostante l’inesperienza di chi ha preparato la documentazione, nel 1996 viene ottenuta la Indicazione Geografica Protetta per il Nano Vialone Veronese assieme al fagiolo di Lamon, il Radicchio rosso di Treviso, ed il Radicchio Variegato di Castelfranco.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Docks Market
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International
19° a cura della redazione di Quality ADV
5-8 novembre 2010
Da venerdì 5 novembre a lunedì 8 novembre 2010 la rinomata cittadina termale di Merano, adagiata nella splendida cornice alpina, ospiterà la considerevole 19esima edizione del Merano International WineFestival, una delle manifestazioni più esclusive ed eleganti non solo a livello italiano ma anche europeo.
P
alcoscenico per questo incontro esclusivo, nell’ambito del quale produttori selezionati italiani ed internazionali presentano e propongono in degustazione le loro migliori produzioni enologiche e culinarie ad un pubblico amante del vino e del buon gusto di tutto il mondo, saranno nuovamente le eleganti sale del neoclassico palazzo del Kurhaus di Merano e le piazze circostanti. Evento d’apertura del 19° MIWF, nella giornata di venerdì 5 novembre 2010, sarà la bio&dynamica, (dalle ore 10-18). 50 aziende vitivinicole italiane ed internazionali selezionate, certificate biologiche e/o biodinamiche, propongono
Da sabato 6 novembre (dalle ore 10-18) a lunedì 8 novembre (dalle ore 10-17) all’interno del Kurhaus di Merano batte il vero e proprio cuore del Merano International WineFestival, cioè la presentazione e la degustazione di vini elitari ed unici da tutto il mondo, selezionati dopo le numerose degustazioni dalle apposite commissioni d’assaggio. Quest’anno sono oltre 500 i produttori di vino selezionati italiani ed internazionali che presentano e propongono in degustazione le loro migliori produzioni enologiche. Particolarmente interessante sarà la presenza dei 35 Château dell’Union des Grands Crus de Bordeaux, la maggior
in degustazione i loro vini, nella maggior parte con riferimento alla filosofia del mondo di Rudolf Steiner. Ad inaugurare ufficialmente la 19esima edizione del MIWF nella serata inaugurale di venerdì 5 novembre (dalle ore 19 alle 22, solo su invito) sarà Philippe Casteja, presidente dell’organizzazione Conseil de Grand Cru Classés 1855.
parte dei quali rientrano nella famosa classificazione dei Grand Cru Classé del 1855, nelle giornate di sabato 6 e domenica 7 novembre (ore 10-18) e le aziende vinicole selezionate della Germania (sabato 6 novembre, ore 10-18), organizzato in collaborazione con il noto giornalista enogastronomico Gianluca Mazzella. Il Merano International WineFestival,
organizzato per la prima volta nel 1992 da Helmuth Köcher (Gourmet’s International), il presidente, ed alcuni amici, oggi non è più dedicato esclusivamente agli ottimi vini, ma ha accolto nella sua proposta esclusiva anche altre prelibatezze e piaceri di benessere. Nell’ambito della Culinaria, per esempio, 100 artigiani e piccoli produttori presentano e propongono in assaggio selezionate prelibatezze gastronomiche e tipicità, birrifici selezionati presenteranno le loro birre artigianali, mentre nella Aquavitae&Liquores sarà possibile degustare l’offerta più selezionata dell’alcolico mondo dei distillati e liquori. Novità all’interno del 19°Merano International WineFestival sarà l’integrazione di aziende enoturistiche, le quali oltre ad offrire camere di charme e gastronomia di spicco siano anche produttori di vino di alta qualità: WineResorts. Anche la 19esima edizione del MIWF brillerà con diversi seminari interessanti, presentazioni straordinarie ed esclusive degustazioni guidate. Un ricco panorama di eventi collaterali arricchiscono il Merano International WineFestival 2010 prima e dopo la data del 5 novembre 2010.
(Ulteriori informazioni sul sito www.meranowinefestival.com)
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Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
a cura della redazione di Quality ADV
“
Una squadra di grandi cuochi per far brillare e comunicare nel mondo l'identità di un territorio
”
“Stelle del Piemonte” è un progetto della Regione Piemonte, sostenuto e realizzato dall’Assessorato Regionale al Turismo, nato nel 2005 con lo scopo di creare un gruppo di professionisti che promuovano il Piemonte e comunichino al mondo le eccellenze, le peculiarità e i tesori enogastronomici del territorio. Un’iniziativa unica in Italia: un team di cuochi d’eccellenza di una Regione, “ambasciatori” nel mondo dell’enogastronomia del territorio, che racchiude in sé anche la cultura, la storia, le tradizioni. Se il cibo è linguaggio universale capace di comunicare cultura e stili di vita, le “Stelle” sono i testimonials dei sapori, dei saperi, della storia, ma anche del futuro del Piemonte, una terra che guarda avanti traendo forza dalle radici del passato. La squadra dell’eccellenza enogastronomica piemontese ha già “firmato” eventi importanti: dalla serata di gala delle Paralympics Night a Dusseldorf, alla consacrazione durante i Giochi Olimpici Invernali 2006 con il P Food&Wine, spazio hospitality della Regione Piemonte, dalle 11 tappe europee del Road Show di Promozione Internazionale della Regione, al Torino+Piemonte Food Festival presso l’ONU a New York nel maggio 2007 fino alla gestione nelle stagioni teatrali 2009 e 2010 del Foyer de “Il Teatro Regio a Racconigi”. Il progetto prosegue con successo: un gruppo di 6 nuovi cuochi arricchirà la squadra dell’eccellenza enogastronomica piemontese, ambasciatrice di gusto, professionalità e creatività culinaria.
@ a le s s a n dr a t in ozzi
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i protagonisti Riccardo Aiachini e Andrea ribaldone, Ristorante La Fermata Resort, Spinetta Marengo (AL) - Ugo Alciati, Ristorante Guido, Pollenzo (CN) - Giuseppina Bagliardi e Piero Fassi, Ristorante Gener Neuv, Asti - Piero Bertinotti, Ristorante Pinocchio, Borgomanero (NO) Piercarlo Bussetti, Ristorante Pier Bussetti al Castello di Govone, Govone (CN) - Massimo camia, Ristorante Locanda nel Borgo Antico, Barolo (CN) - Antonino Cannavacciuolo, Ristorante Villa Crespi, Orta San Giulio, (NO) Carla Chiodo e Massimo Milano, Ristorante Cacciatori, Cartosio (AL) - elide Mollo cordero, Ristorante Il Centro, Priocca D’Alba (CN) Mariuccia Ferrero, Ristorante San Marco, Canelli (AT) - Walter Ferretto, Ristorante Il Cascinale Nuovo, Isola d’Asti (AT) - Stefano Gallo, Ristorante Barrique, Torino
Maurilio garola, Ristorante La Ciau del Tornavento, Treiso (CN) Giovanni Grasso e Igor Macchia, Ristorante La Credenza, San Maurizio Canavese, (TO) - Marta grassi, Ristorante Tantris, Novara - Pieraldo Manetta, Lo Scoiattolo, Carcoforo (VC) - Alessandra Strocco e Massimiliano Musso, Ristorante Vittoria, Tigliole (AT) - Davide Palluda, Ristorante All’Enoteca, Canale (CN) - Alfredo Russo, Ristorante Dolcestilnovo alla Reggia, Venaria Reale (TO) - Marco Sacco, Ristorante Piccolo Lago, Verbania (VB) - Davide Scabin, Ristorante Combal.Zero, Rivoli (TO) - Mariangela Susigan, Ristorante Gardenia, Caluso (TO) - Matteo Vigotti, Ristorante Novecento, Meina (NO) - Sergio Vineis, Ristorante Il Patio, Pollone (BI) - giampiero Vivalda, Ristorante Antica Corona Reale, Cervere (CN) Angelo Angiulli
eVenTi enogASTronoMici 2010 in PieMonTe
www.stelledelpiemonte.net
SeTTeMBre 2010
♦ 10-19 Douja d’or - Salone nazionale di vini selezionati (Asti) ♦ 21-25 Salone internazionale del gusto e Terra Madre (Torino)
oTToBre 2010
♦ 1-3 Alé Chocolate (Alessandria) ♦ 2-17 Fiera Int.le del Tartufo bianco d’Alba e Asta Int.le del Tartufo (Alba) ♦ 14-17 Fiera nazionale del Marrone (Cuneo) ♦ 24 e 31 Fiera Mostra Mercato Nazionale del Tartufo (Moncalvo - AT)
noVeMBre 2010
♦ 7 Fiera Nazionale del tartufo bianco del Monferrato (Montechiaro - AT) ♦ 14 e 21 Fiera Nazionale del tartufo - Trifola d’Or (Murisengo - AL) ♦ 21 Mostra Mercato Nazionale del tartufo (S. Sebastiano Curone - AL)
DiceMBre 2010
♦ 16 Fiera Nazionale del bue grasso (Carrù - CN)
www.piemonteitalia.eu
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Anteprima dei vini di Bolgheri di Virgilio Pronzati
“
Un banco d'assaggio molto interessante dove è stato possibile fare delle comparazioni tra vini delle stesse tipologie e capire l'influenza del terroir sui vini
”
Il nobile pioniere Se i vini di Bolgheri hanno raggiunto una notorietà internazionale, il merito è del marchese Mario Incisa della Rocchetta. Pioniere in quella terra sassosa che, dopo 24 anni dall’impianto del vigneto, produsse la prima bottiglia di Sassicaia. La sua sorte per 26 anni è stata quella di un re senza corona: infatti, benché vincente in concorsi e tasting di livello internazionale il Sassicaia era un “vino da tavola”. Otterrà il blasone della doc solo nel 1994. Un vino portabandiera che ha fatto proseliti, portando a 54 il numero dei produttori, di cui trentaquattro aderenti al Consorzio di Tutela.
Le nuove annate Quest’anno, cambio della location: dalla storica Tenuta di San Guido al Campastrello Hotel Sport. Un complesso ideale per l’ospitalità e per l’impegnativa degustazione. Come di consueto, con la regia di Paolo Valdastri direttore del Consorzio di Tutela, si è tenuta l’anteprima dei vini di Bolgheri delle annate che sono messe in commercio nel corso del 2010. Attese, in particolare, quelle del 2007 del Bolgheri Rosso Superiore e del 2008 per Il Bolgheri Rosso, nonché diversi IGT (bianchi, rosati e rossi di 4
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Paolo Valdastri - Direttore Consorzio Bolgheri DOC
annate) di pregio. Ma i vini in degustazione passati al vaglio di un folto gruppo di giornalisti nostrani ed esteri, erano ben di più. Centodiciannove vini di 4 annate, così suddivisi: 29 bianchi (18 del 2009, 2 del 2008 e 1 del 2007) di cui 10 Doc e 19 IGT (5 di questi di produttori associati ma fuori zona); 8 rosati 2009 di cui 6 Doc e 2 IGT, 36 Bolgheri Rosso di cui 2 del 2009, 22 del 2008 e 12 del 2007. Ventitre i Bolgheri Superiore di cui 19 del 2007 e 4 del 2006; infine 23 IGT rossi di cui 8 del 2008, 12 del 2007, due del 2006, ed altri tre (dei produttori associati ma fuori zona), rispettivamente del 2009, 2008 e 2007.
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Le valutazioni Dovendo fare una valutazione sui vini degustati, quelli di buon livello (eccellenti, ottimi e buoni), rappresentano circa il 31% del totale. Può sembrare un giudizio negativo, ma non lo è, in quanto in quel 31% non rientrano quei vini ancora disarmonici per gioventù (eccesso dì acidità fissa e tannicità, carenza di morbidezza) per eccesso di boisé, per il precoce imbottigliamento, ect. La degustazione ha validità nel momento in cui è fatta. E se questo metro, lo usiamo per altre manifestazioni, il risultato sarà simile. Entriamo nel dettaglio. Dei 29 bianchi: dei ventisei 2009 due ottimi, cinque buoni, dieci medio-buoni, 9 appena sufficienti; mentre degli altri tre, sufficienti i due del 2008 e buono l’unico 2007
vendemmia tardiva. Dei sette rosati: 6 buoni e 2 appena sufficienti. Passando ai Bolgheri Rosso, di livello medio i due 2009, dodici 2007, cinque ottimi, tre buoni e quattro medio-buoni. Gli altri presentavano sentori fruttati e vegetali piacevoli e buona armonia in bocca. Di seguito i Bolgheri Rosso: i ventidue del 2007, risultavano sette ottimi, cinque buoni, sei medio-buoni e 4 discreti. Mentre dei dodici del 2006: sei ottimi, due buoni, tre medio-buoni e uno appena discreto. Ora è la volta dei 21 Bolgheri Superiore: dall’annata 2006, sei ottimi, due buoni, dieci medio-buoni e tre discreti. Da quella del 2005, tre mediobuoni. Infine, quindici IGT di cui 6 del 2007 e 9 del 2006. Della prima annata, due ottimi, uno buono e tre medio-buoni. Della seconda,
Disciplinare di produzione Bolgheri Doc Zona di produzione: il territorio amministrativo del comune di Castagneto Carducci per la parte ad est della SS1 Aurelia vecchio tracciato, in provincia di Livorno. Bolgheri Bianco uve trebbiano toscano, vermentino e sauvignon dal 10 al 70% per ognuna, con eventuale aggiunta d’altre uve a bacca bianca raccomandate o autorizzate per la provincia di Livorno, fino al 30%, con resa massima di 100 ql per ettaro. Gradazione minima 10,5%. Bolgheri Vermentino uve vermentino minimo 85%, altre max 15%, con resa massima di 100 ql per ettaro. Gradazione minima 10,5%. Bolgheri Sauvignon uve sauvignon minimo 85%, altre max 15%, con resa massima di 100 ql per ettaro. Gradazione minima 10,5%. Bolgheri Rosso uve cabernet sauvignon dal 10 all’80%, merlot max 70%, sangiovese max 70%; altre max 30%, con resa massima di 90 ql per ettaro.
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Gradazione minima 11,5%. Bolgheri Rosato come per il Rosso. Bolgheri Vin Santo Occhio di Pernice uve sangiovese dal 50 al 70%, malvasia nera dal 30 al 50% ed altre max 30%, con resa massima di 90 ql per ettaro. Gradazione minima 16%. Bolgheri Superiore qualificazione del Bolgheri Rosso se ottenuto con resa massima in uve di 80 ql per ettaro, presenti una gradazione alcolica minima complessiva di 12,5%, un estratto secco minimo del 24 per mille, ed un affinamento minimo di 2 anni, a decorrere dal primo gennaio successivo alla vendemmia, di cui minimo 1 in botte di rovere e almeno 6 mesi in bottiglia. Gradazione minima 12%. Bolgheri Sassicaia ottenuto da uve cabernet sauvignon 85% e cabernet franc 15%, con resa massima di 60 ql per ettaro, provenienti dalla sottozona Sassicaia, collocata nella parte collinare della
Tenuta San Guido di Bolgheri, con un affinamento minimo di 2 anni di cui almeno 18 mesi in botte di rovere da 225 litri, e altri 6 mesi in bottiglia. Gradazione minima 12%. La proposta della modifica del disciplinare, votata all’unanimità dall’Assemblea dei soci, riguarda le seguenti norme: Bolgheri Rosso e Bolgheri Superiore, senza citare l’uva impiegata. Entrambe le tipologie potranno essere prodotte anche in purezza, mentre con syrah e sangiovese non dovranno superare il 50%. Il Bolgheri Rosso potrà essere immesso al consumo non prima dell’1 settembre dell’anno successivo a quello della vendemmia. Nel Bolgheri Superiore resta invariato l’affinamento minimo di 24 mesi. I vitigni di sangiovese e syrah saranno presenti fino ad un massimo del 50%. Sarà introdotta la menzione in etichetta del nome della vigna. Per i bianchi e i rosati si potranno utilizzare tappi sintetici.
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tre ottimi, due buoni, uno medio-buono e tre
I Bolgheri Doc in cifre
appena discreti. Oltre che in cinque bianchi, dei
La superficie totale Doc è in questo momento
molti rossi o quasi tutti, Doc e non, elevati in
di 1.148 ettari, di cui 962 dei soci del Consorzio
barriques, più di un quarto prevaleva il boisé, con note troppo tostate e balsamiche. Comunque
un
banco
d’assaggio
molto
interessante, dove è stato possibile fare delle comparazioni tra vini delle stesse tipologie, capire l’influenza del terroir sui vini, la caratterizzazione conferita dai vitigni di origine bordolesi, la cresciuta qualità (più omogenea da alcuni anni), e non certo ultimo, il piacere di degustare dei vini che possono confrontarsi con i cosiddetti
di Tutela. Di questi, 857 ettari sono iscritti all’albo Doc, mentre i rimanenti 105 sono ad IGT. La superficie vitata d’aziende non iscritte al Consorzio Doc ammonta a 186 ettari. I vigneti iscritti alla Doc dei soci aderenti al Consorzio di Tutela sono così composti: cabernet sauvignon 387 ettari, merlot 206,52 ettari, cabernet franc 66,58 ettari, petit verdot 63,98 ettari, syrah 61 ettari, sangiovese 11,38 ettari, vermentino 52
grandi dei cinque continenti.
ettari di cui 46,23 Doc, sauvignon 5,87 ettari
I francesi nelle vigne del Bolgherese
Doc, chardonnay 2 ettari circa e trebbiano
Dei 102 vini degustati, quelli ottenuti totalmente
La potenzialità produttiva compresi gli IGT, si
da vitigni italici sono solamente 13. Mentre
può stimare in 6.000.000 di bottiglie. Parlando
quelli ottenuti da vitigni esteri, quasi totalmente
dei consumi, poco più del 30% è consumato
francesi, sono risultati ben 81. Otto erano i vini
in Italia, il restante 70% prende la strada per
di cui uno su due o tre, era italiano.
l’estero.
di cui 3,03 Doc, viognier 4,92 ettari di cui 4,54 toscano 1 ettaro.
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di Luca Iacopini e Massimo Bracci
Il grande dei vini Toscani: il Vin Santo
“
È un vino che ha bisogno di molte attenzioni e soprattutto ha bisogno di molto tempo per poter esprimere i massimi livelli qualitativi
”
N
el mese di giugno nello splendido panorama del lago di Massaciuccoli a Torre del Lago si è svolta una degustazione organizzata dalla delegazione FISAR di Viareggio sui Vin Santi toscani. Quale migliore occasione poteva prestarsi per scoprire un vino così tanto legato alla Toscana e forse, insieme al Chianti e al Brunello, il vino più conosciuto e rappresentativo di questa regione? Premettiamo che per parlare di Vin Santo toscano occorrerebbe forse un intero libro per quanto è ricca la tradizione storica. Le origini di questo vino risalgono all’epoca medioevale quando si impose una crescente richiesta da parte delle classi medie di vini dolci sul tipo di quelli del mediterraneo orientale che venivano bevuti dalla nobiltà e i cui prezzi non erano certamente alla loro portata. Proprio in molte zone vocate all’appassimento delle uve si cominciò la produzione di questa tipologia di vino che diventò ben presto il vino più venduto e diffuso del medioevo. Sul nome ci sono varie teorie: la prima si fa appunto legare all’origine orientale come i vini Greci, Xantos (giallo) che identificava quei vini dolci che mediante appassimento venivano usati dalla Chiesa Bizantina e a sostegno di questo vi è una famosa affermazione fatta da un patriarca greco che a un concilio a Firenze degustando un vino dolce della zona esclamò: “Questo è un vino di Xantos”
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Batteria di caratelli
proprio a identificare il vino tipico della sua regione. Ma i commensali compresero erroneamente l’affermazione del patriarca orientale con: “Questo è un vino Santo” tanto erano buono e di grande
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rosso farnè barriques alta qualità
Tenuta Farnè S.r.l. - Sede produttiva Castello di Serravalle (Bo) - Sede logistica Nord Italia Portogruaro (Ve) Tel. 0421 770619 - Fax 0421 770112 - E-Mail: info@tenutafarne.it - http://www.tenutafarne.it
qualità. Da qui il nome Vin santo. Più probabile però che il nome derivi dal periodo in cui l’uva appassita viene pressata per la produzione del mosto ossia proprio nelle vicinanze della Settimana Santa. In Toscana ne esistono due tipologie regolamentate da disciplinare : Vin Santo Chianti (DPR 28.08.97) e il Vin Santo Chianti Classico (DPR 24.10.95) che rispecchiano la territorialità del vino rosso. Le uve utilizzate sono il Trebbiano Toscano e la Malvasia per almeno il 70% e il restante uve a bacca bianca, mentre per la tipologia Occhio di Pernice c’è l’apporto per almeno il 50% del vitigno principe della Toscana il Sangiovese e per il resto è possibile utilizzare sia un uva a bacca bianca che a bacca nera. Le uve normalmente vengono raccolte anticipatamente per avere una buccia più spessa e non far staccare gli acini dal raspo . È un vino che ha bisogno di molte attenzioni e soprattutto ha bisogno di molto tempo per poter esprimere i massimi livelli qualitativi. Per questo, dal punto di vista commerciale per chi lo produce, non è un vero e proprio affare, nel senso che se si considerasse interamente il tempo dedicato, le attenzioni, le pratiche di cantina, avrebbe prezzi a dir poco proibitivi e i Vin Santi di alta qualità oggi non sono certamente economici. È semmai una
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missione, una sfida, una forte passione che spinge a produrlo, senza fare tanti calcoli di guadagno; è il risultato quello che conta ed è quello che ti ripaga di tanto lavoro e di tanta pazienza per aspettarlo. Ma vediamo brevemente cosa c’è dietro questo vino speciale. Anzitutto si parte dai vitigni le cui rese devono essere ovviamente basse e di grande qualità. Un volta raccolte e selezionate con grande cura vengono collocate su cannicci o appesi (penzane) negli appassitoi, locali in cui il ricambio dell’aria è fondamentale affinchè avvenga il processo di surmaturazione. Con l’appassimento delle uve viene a diminuire l’acqua dagli acini e conseguentemente a aumentare il contenuto zuccherino. Questa operazione è difficile e costosa che non può essere industrializzata. Il periodo di riposo di questi grappoli è abbastanza variabile, che può arrivare anche fino a sei mesi, si procede poi alla pigiatura e alla collocazione del mosto in speciali botticelle: i caratelli. I caratelli, definite le piccole botti, esistono di varie misure da 50 a 200 l, possono essere costruiti con diversi legni (rovere, castagno, ciliegio) e di diverse età. Ogni legno ha la sua porosità, riesce più o meno a far passare ossigeno che negli anni trasforma, modifica il bouquet e la struttura del prodotto finale.
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Non sono fermentazioni tumultuose come i normali vini ma visto che opera in luoghi ridotti ed esistono grandi quantità di zuccheri, sono fermentazioni di carattere lento. Il caratello viene riempito per circa 80-85% e sigillato ermeticamente con tappi e sigillati con ceralacca, il restante 20% nel tempo sarà riempito dall’anidride carbonica che si sprigiona dalla fermentazione. I caratelli sono collocati in locali denominati vinsantiere (normalmente sottotetto) dove la temperatura ha un estrema importanza. Visto che nei caratelli il Vin Santo deve riposare per almeno tre anni nel corso dell’invernoautunno, il clima freddo genera una lenta e graduale fermentazione mentre durante la primavera, con l’aumento della temperatura aumenta la produzione di anidride carbonica e in estate quest’ultima satura il caratello provocando il blocco della fermentazione che ripartirà poi con l’inverno. Questo ciclo si ripete dalle tre alle otto volte. Da far presente che esiste una diminuzione del volume iniziale dovuto all’evaporazione (8/15%) e all’essiccazione (20/25%). A volte il produttore può decidere di fare dei travasi da caratello a caratello. La fermentazione nel caratello usufruisce di un deposito feccioso derivato da precedenti fermentazioni ovvero la madre. È un particolare sedimento, scuro e molto denso che rimane all’interno del caratello dopo la svinatura e viene tramandato di generazione in generazione. È in realtà un insieme di lieviti ed altri batteri che riescono a far fermentare il mosto anche con alti livelli zuccherini. Senza l’uso continuativo dei caratelli non esisterebbe la madre. È questa che segna una linea di continuità qualitativa al Vin Santo negli anni. La degustazione si è svolta con 9 vini di alta qualità, di cui 5 vin santi doc della provincia di Pisa e Pistoia (La Regola, Pietro Beconcini, San Gervasio, Sorelle Palazzi, Marini), e 4 Vin Santi Classici doc (San Giusto a Rentennano, Isole e Olena, Montegrossi e Sant’appiano), tutti vinsanti vincitori di concorsi o oggetto di menzioni d’onore al Vinitaly. La degustazione è stata affrontata sia con appassionati, sia con i produttori e il risultato finale è stato che i “veri Vin Santi” hanno aromi e profumi
di grande intensità, che spaziano dalla frutta come l’albicocca, alla noce moscata, al miele alla frutta candita. In bocca si percepiscono grandi concentrazioni, il vino scivola in bocca in modo vellutato, elegante e potente, lasciando per minuti e minuti sentori di frutta matura, frutta candita, caffè, residui di cioccolato. Il tutto accompagnato da una buona mineralità e freschezza. I Vin Santi del Chianti Classico hanno denotato una maggiore concentrazione e ricchezza di zuccheri che sicuramente gli permette di essere bevuti anche oltre i dieci anni. Più che un semplice vino da dessert, il Vin santo è un modo di vivere, di concludere degnamente un pranzo o semplicemente di fare due chiacchiere con gli amici. I Vin Santi più giovani possono essere accompagnati con della pasticceria secca come i famosi cantuccini, i durissimi biscotti alle mandorle. Ma li abbiamo degustati anche abbinandoli con un Roquefort o a un Fois Gras e vi possiamo confermare che ne è risultato un abbinamento perfetto. I Vin Santi invecchiati sono invece dei veri vini da meditazione da bere semplicemente quando siamo in buona compagnia seduti in un bel salotto. È un vino in cui la tradizione svolge un ruolo fondamentale che lo ha reso immutato nei secoli. In genere per la maggioranza dei vini, certi cambiamenti per migliorare la qualità ed aggiornare la tecnica sono quasi scontati e con le generazioni sono ben evidenti. Per il Vin Santo i cambiamenti sono minimi e la tradizione prevale. Forse perché queste piccolissime produzioni sono basate solo su fenomeni naturali come l’appassimento delle uve e la lenta fermentazione nei caratelli o forse perché il Vin Santo, secondo tradizione, ha una sua perfezione che piace e che non sarebbe saggio modificare.
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news in famiglia dall'Italia Biella sicerimonia consegnano gli attestati A AVolterra di consegna degli attestati Il 25 giugno scorso la Fisar delegazione storica di Volterra, ha festeggiato presso Il ristorante Enoteca Del Duca, nostro socio, in una serata piena di entusiasmo, di ottimi vini e buona cucina, la fine del II° livello del corso per sommelier. Alla presenza di 18 dei venti corsisti si è svolta la consegna degli attestati di partecipazione da parte del delegato avv. Flavio Nuti, del direttore di Corso
Enrico Del Testa, del responsabile dei sommelier Bartolini Renzo, coadiuvato dai sommelier Fausto Bacci e Gamberucci Francesca. Era presente tra l’altro l’assessore alle attività produttive del Comune di Volterra, già sommelier Fisar, Graziano Gazzarri. Alcuni dei corsisti si sono cimentati nel servizio ai tavoli scegliendo in abbinamento ai piatti degli Chef Genuino e Ivana
Delli, i vini messi a diposizione della delegazione, a partire dai vini locali dell’Az. Marcampo, ai vini della Doc Montescudaio: Sorbaiano, Ginori Lisci, Poggio Gagliardo e Podere la Regola, ad alcune selezioni di vini di Bolgheri, Satta e le Macchiole, e delle Colline Pisane, dalla Tenuta di Ghizzano a Giusti e Zanza; per finire una selezione di vin santi: az. Agr. Santa Maria, Sorbaiano e Il Conventino di Montepulciano nonché un ottimo Sauterns 2001. La serata si è conclusa con la consegna da parte del delegato, ai titolari del ristorante Enoteca Del Duca, per la loro adesione alla nostra Federazione, dell’insegna con lo stemma FISAR recante l’incisione di “Locale Associato”, come già l’anno passato era stato fatto per l’Hotel-ristorante “Villa Nencini” altro noto locale nostro socio di Volterra. In ottobre riprenderà il terzo ed ultimo livello del corso che culminerà nell’esame e diploma finale di sommelier.
Notizia inviata da Flavio Nuti della Delegazione storica di Volterra
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news in famiglia dall'Italia A Biella si consegnano gli attestati Mercoledì 16 giugno 2010 presso la Trattoria Doria, nella splendida cornice del ricetto di Candelo, antico borgo medioevale, alle porte di Biella, si è tenuta l’assemblea dei soci per la consegna degli attestati ai nuovi sommelier della delegazione di Biella unitamente ai corsisti di 1°livello a cui si è consegnato l’attestato di frequenza. I nuovi sommelier della delegazione sono: Alpino Claudio, Canton Fiorenza, Carta Giuseppe, Castaldelli Corrado, Corda Elvio, Decci Mirko, Deiro Corrado, De Rossi Eliseo, Iapichino Barbara, Mazzia Paolo, Mosca Giuliana, Passarella Erika, Ruschena Riccardo, Zerbola Adriano. A tutti i neo sommelier sono stati
formulati i migliori auguri per il traguardo raggiunto, raggiunto, e eai aicorsisti corsisti di
di primoprimo livello l’augurio livello dil’augurio completarediil completare percorso formativo. il percorso formativo
Notizia inviata da Ennio Pilloni della Delegazione di Biella
23 nuovi sommelier a Livorno La “Festa del Sommelier” è un appuntamento tradizionale e importante per la delegazione Fisar di Livorno, la serata tanto attesa da quanti hanno superato il rigoroso esame finale e nel corso della quale si consegnano gli attestati. 23 neo sommelier hanno ricevuto l’ambito riconoscimento. Tra questi si sono particolarmente distinti Rossella Ghelardi, Chiara Tosi, Alessandro Biondi, Francesco Sassano e Nadia Ucciferi. Prima del convivio presso il ristorante Da Sandro e Elisa (nel complesso Tennis Club Libertas, con la collaborazione del Gruppo Montresor di Verona), si era svolta la tavola rotonda: “Uno strumento di comunicazione: la carta dei vini”, tenuta da Fabio Baroncini
su una esperienza fatta su richiesta di un amico ristoratore. Il delegato Mario Albano ha ricordato il successo riportato nella storica Fortezza Vecchia (una imponente costruzione voluta dal cardinale Giulio de’ Medici iniziata nel
1521 e terminata dal duca Alessandro de’ Medici nel 1534, ora parzialmente restaurata) con la manifestazione Un mare di vino presenti 56 aziende e 30 sommelier per un servizio professionale ed elegante. Il
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news in famiglia dall'Italia venduto anche quei vini che non con fonduta di caprino (Sauvignon A Biella si consegnano gli attestati riusciva a proporre e mi ha ringraziato. Sansaia, Giacomo Montresor 2009);
consigliere nazionale Filippo Terrasini aveva puntato il dito sul prezzo che i ristoratori praticano per la bottiglia del Mercoledì 16segiugno 2010 presso vino. “Anche molti ristoratori, ora, la Trattoria il Doria, splendida presentano vino alnella bicchiere, o la cornice del Candelo, antico bottiglia da ricetto mezzo di litro o il rimanente borgo vino damedioevale, portare via”.alle porte di Biella, si è tenuta l’assemblea deidella socicarta per Fabio Baroncini ha parlato la consegna degli ai nuovi dei vini come unaattestati guida turistica. sommelier della delegazione Biella “Bisogna dare un senso di logico unitamente ai corsisti di 1°livello a cuiho si alla carta: con il nome del vino è consegnato l’attestato aggiunto, l’uvaggio o diinfrequenza. purezza, I nuovi della delegazione se Doc sommelier o Docg, l’annata e i gradi. Il sono: Alpinoaveva Claudio, ristoratore in Canton cantinaFiorenza, dei vini Carta Giuseppe, Castaldelli Corrado, che non riusciva a vendere. Per ogni Corda Decciin Mirko, Deiro piatto hoElvio, proposto abbinamento Corrado, Rossiprezzo Eliseo,per Iapichino 3-4 vini diDe diverso fornire Barbara, Mazzia Paolo, Mosca al commensale il piacere di scegliere. Giuliana, Passarella Ruschena Dopo qualche meseErika, il ristoratore mi Riccardo, Zerbola Adriano. ha chiamato e mi ha detto che ha A tutti i neo sommelier sono stati
Il suo esempio è stato seguito già da altri due ristoratori”. Ed ha concluso: “La Fisar è disponibile a collaborare con la ristorazione per una migliore presentazione del vino in tavola”. A questo incontro era presente anche il dott. Rolando Ceccotti, revisore nazionale Fisar e sommelier onorario. La proposta della cucina: Aperitivo di benvenuto (Chardonnay Spumante Brut Montresor Linea Storica), involtini di salmone fresco con spuma di branzino alla riduzione di aceto balsamico e flan di asparagi in vellutata; primo: scialatelli al ragù bianco di mare (Montefiera Bianco di Custoza Doc Giacomo Montresor formulati i migliori 2009); involtini di pera eauguri ricotta per salatail traguardo raggiunto, e ai corsisti
sella di vitella alla principe Orloff con sformatino di patate, piselli e prosciutto cotto (Teroldego Rotaliano Doc Conti di Wallenburg 2008) e bavarese al caffè (Moscato Spumante Contessa Giulia). Questi i neo-sommelier: Alessandro Biondi, Luca Biondi, Riccardo Castellani, Costanza Cominu, Francesco D’Oriano, Dario Filidei, Paola Finocchiaro, Rossella Ghelardi, Luca Giovannetti, Elena Marengo, Claudia Meini, Francesca Nieto, Ewa Olewcynska, Gabriele Pedroni, Giovanni Raimondi, Francesca Sassano, Gabriele Selmi, Chiara Tosi, Nadia Ucciferi, Lorenzo Valenti, Bruna di livello l’augurio Vinci,primo Silvia Volpe e Marco Vozzolo. di completare il percorso formativo
Notizia inviata da Gianfranco Grossi Notizia inviata da Ennio Pilloni della Delegazione di Biella
La delegazione di Lucca Garfagnana “Al Settembre Lucchese” Nella suggestiva scenografia di Piazza S.Michele sotto il loggiato di Palazzo Pretorio nell’ambito del Settembre Lucchese si svolge la tradizionale mostra dell’agricoltura e del territorio lucchese ( 11 – 29 settembre 2010). La mostra si tiene ormai da più di 30 anni e rientra tra gli appuntamenti “storici” del Settembre Lucchese. L’evento si presenta come un’importante operazione di marketing territoriale, in quanto costituisce l’occasione per far
conoscere la lucchesia ai numerosi turisti che affollano la città nel mese di settembre. Proprio per questo sotto il Loggiato sarà allestito un info point in cui saranno presenti la FISAR Lucca-Garfagnana, l’Associazione Strade del Vino e dell’Olio di Lucca Montecarlo e Versilia e le associazioni agrituristiche che distribuiranno ai visitatori pubblicazioni e guide utili a far conoscere al meglio la città ma anche il territorio circostante. Tutti i Giorni i Sommelier della FISAR Lucca-Garfagnana Guideranno i visitatori alla degustazione dei vini delle Colline Lucchesi e del vicino comune di Montecarlo a far scoprire i vini DOC e IGT e l’olio extra-vergine d’oliva di queste zone. Anche quest’anno più di 40 aziende partecipano alla mostra e saranno presentate oltre 100 etichette in degustazione. La FISAR Lucca –Garfagnana organizza in questi giorni sotto il Loggiato in un apposito spazio degustazioni guidate da prenotare al desk, dove è anche possibile ritirare il calice da degustazione e il portacalice griffati a ricordo dell’evento. Inoltre tutti i giorni dalle 11:00 alle 19:30 al Banco degustazioni i Sommelier FISAR saranno a disposizione dei presenti per servire i vini del territorio e l’olio prodotto in dette zone.
Notizie inviate da PIERONI DAVID - Delegazione Lucca-Garfagnana
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in famiglia dall'Italiadall'Italia newsnews A Biella si consegnano gli attestati La Delegazione di Manziana consegna gli attestati Iniziativa enogastronomica nel fantastico Castello Medioevale di Ceri, lo scorso 25 Giugno: la Trattoria “Sora Lella” ha messo a disposizione una splendida sala panoramica sulla vallata che si estende dalla Rocca di Ceri al mare verso Ladispoli, e naturalmente la sua cucina tradizionale, per una cena che ha celebrato tre importanti iniziative: la consegna degli attestati di primo livello, la consegna dei diplomi dei nuovi Sommelier della delegazione di Manziana Monti Sabatini e la presentazione in
falanghina su terreni di proprietà, interamente ristrutturati secondo le più scrupolose tecniche agronomiche e utilizzando il metodo dell’agricoltura biologica. La falanghina Taburno doc 2009, imbottigliata dopo oltre quattro mesi di affinamento sulle fecce fini, ha accompagnato l’antipasto a base di salumi, bruschette, zuppetta di fagioli e verdure, tipico della tradizione gastronomica della zona: una lode particolare va al prosciutto tagliato a mano e alle “mitiche” melanzane in umido della Sora Lella. La falanghina ha continuato a sostenere
anteprima della nuova annata dei vini dell’Azienda Vinicola Torre del Pagus. L’azienda Torre del Pagus si trova a Paupisi, un piccolo centro nel Sannio Beneventano situato alle pendici del Monte Taburno, dove dispone di vigneti coltivati ad aglianico e
la Zuppa di Funghi e Legumi, mentre l’Aglianico del Taburno doc rosato 2009, fresco di imbottigliamento, ha sposato un colorato piatto di Maltagliati all’ortolana. Il potente aglianico del Beneventano IGT “Impeto” 2006 ha invece
accompagnato una grigliata di carne locale e patate al forno come secondo e contorno. Per concludere il pasto, prima dei grandi festeggiamenti, crostate di frutta e ciambelline al vino in abbinamento con la falanghina del Beneventano IGT “Lacrime di Luna” 2007, una vendemmia tardiva di uve selezionate, successivamente appassite e parzialmente attaccate da muffa nobile. Nel corso della cena il direttore di corso Vincenzo Cincotti, il delegato Anna Borrelli e i consiglieri Giancarlo Albarello e Stefania Sidoretti, hanno consegnato gli attestati di partecipazione agli allievi del corso di primo livello appena concluso. Notizia inviata da Ennio Pilloni della Quindi sono stati festeggiati i dodici Delegazione di Biella nuovi SOMMELIER FISAR che hanno ritirato l’attestato di qualifica, avendo superato positivamente l’esame finale di terzo livello: Martina Bernardini, Claudio Bugliazzini, Alberto Combusti, Carlo Cotini, Alessandra De Marco, Monica Gennaro, Luciano Giuliani, Maria Lotito, Pasquale Ranieri, Mario Scarafoni, Giuseppe Sebastianelli, Carlo Vincenti. La serata si è conclusa in un clima di generale allegria, di soddisfazione degli ospiti e con un “pizzico” di dispiacere da parte dei nuovi sommelier per la fine del corso. Tutto il gruppo dei nuovi sommelier si è ripromesso di proporre alla delegazione iniziative di approfondimento e di collaborare nell’organizzazione per poter mantenere il contatto e per migliorare sempre le proprie competenze.
Notizia inviata dalla Delegazione di Manziana Monte Sabatini
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news in famiglia dall'Italia BiellaTreviso si consegnano gli attestati LaA Fisar a Teatro… dalla nota casa vinicola prima di Nella Mercoledì magnifica 16 giugno cornice2010 del castello presso dell’Azienda Zardetto di Conegliano. la Trattoria diDoria, nella asplendida medievale Serravalle Vittorio L’attrice ha presentato, insieme al assistere alla piece teatrale. cornice del ricetto di Candelo, antico collega Giancarlo Marinelli, “Love Veneto in occasione del Festival Dopo attori, regista e amici hanno borgo medioevale, allegiovedì porte di1Biella, Teatrale di Serravalle, luglio Story” liberamente tratto da Erich cenato nel giardino dell’Enoteca tenuta l’assemblea dei sociSonia per Segal; la serata e lo spettacolo si isinsè sommelier Michela Taffarel, la consegna degli Titton attestati ai avuto nuovi sono svolti all’ aperto, nel parco del Castrum, situata all interno del Bettiol e Massimo hanno di Biella castello, e favoriti dal clima favorevole castello e sapientemente gestita, in ilsommelier piacere didella poterdelegazione offrire alla notissima unitamente ai corsisti di 1°livello a cui si e fresco circa 300 persone hanno concomitanza con il festival, dai ns attrice Deborah Caprioglio il Prosecco è consegnatoextra l’attestato frequenza. Superiore dry diDocg “X” potuto godere dell’ aperitivo offerto colleghi di Treviso. I nuovi sommelier della delegazione Inviato da Michela Taffarel della Delegazione di Treviso sono: Alpino Claudio, Canton Fiorenza, Carta Giuseppe, Castaldelli Corrado, Corda Elvio, Decci Mirko, Deiro Corrado, De Rossi Eliseo, Iapichino Barbara, Mazzia Paolo, Mosca Giuliana, Passarella Erika, Ruschena Riccardo, Zerbola Adriano. formulati i migliori Anche questo anno la delegazione ha scelto come luogo A tutti i neo sommelier sono stati auguri per il di ritrovo per la cena di inizio estate lo splendido ristorante
Festa alla Delegazione di Lucca - Garfagnana
Notizialocale inviatache da Ennio della Delegazione di Biella Butterfly, non Pilloni ha bisogno di presentazioni
e oramai conosciuto a livello nazionale grazie alla guida Michelin “ locale stellato”, alle magie dello chef Fabrizio e alla professionalità di sala di sua moglie Mariella. Il delegato quest’anno ha consegnato nelle mani del proprietario la preziosa e ambita targa di locale associato Fisar (nella fotografia). Alla cena era presente anche il Sindaco di Capannori Del Ghingaro a cui è stata consegnata la tessera di sommelier . Durante la cena presente tra gli ospiti si è esibito in diversi momenti Claudio Menconi campione mondiale di intagli su vegetali,frutta e salumi, creando in pochi attimi stupende opere “commestibili”, che anno stupito e sorpreso i presenti. In rappresentanza di Vinolia (di cui Fisar Lucca - Garfagnana ne parte) e Strade del Vino e olio di Lucca Montecarlo e
Saten per poi arrivare ad un Rosè con 48 mesi sui lieviti, e per finire il dessert è stato bagnato con un passito della medesima azienda che già il nome dice tutto Incanto. Nel corso della serata sono stati consegnati gli attestati di partecipazione agli allievi del 1° livello del corso per Sommelier Fisar.
Versilia, era presente Fabio Tognetti.
Un ringraziamento va a tutti gli associati che ogni anno e
Tutte le portate sono state sublimi e ben curate, e questo
sempre più numerosi ci permettono di poter continuare a
anno grazie all’azienda Mirabella di Rodendo Saiano (BS)
raggiungere obbiettivi sempre più grandi.
rappresentata da Luca Amato le bollicine hanno dominato
Un sentito plauso anche ai Sommelier Fisar che hanno
sui tavoli partendo da un Brut per poi passare ad un
prestato servizio e sono stati il valore aggiunto alla serata.
Notizie inviata da Pieroni David della Delegazione Lucca - Garfagnana
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in famiglia dall'Italiadall'Italia newsnews F.I.S.A.R. A Biella si Delegazione consegnano gli di Varazze attestati Mercoledì 16 30 giugno Giugno 2010 2010 presso c/o il Ristorante Varazze, dei la Trattoria“Boma” Doria, di nella splendida F.lli Alessandro e Giovanni Patanè e cornice del ricetto di Candelo, antico sede del ns. corso di terzo livello, si è borgo medioevale, alle porte di Biella, svolta la cerimonia di consegna si è tenuta l’assemblea dei soci delle per Qualifiche di Sommelier. la consegna degli attestati ai nuovi Hanno partecipato all’evento dii Biella Sigg. sommelier della delegazione Terzago Luigi (presidente della unitamente ai corsisti di 1°livello a cui si sessione di esame) e Ceccardi Omero è consegnato l’attestato di frequenza. (rappresentante del CTN). I nuovi sommelier della delegazione Presenti anche per il consiglio di sono: Alpino Claudio, Canton Fiorenza, Delegazione i Sigg. De Belat Brunello Carta Giuseppe, Castaldelli Corrado, (Delegato), Piaggesi Luigi (Segretario), Corda Elvio, Decci Mirko, Deiro Malaspina Flavio (Direttore del corso), Corrado, De Rossi Eliseo, Iapichino De Gasperis Angelo (Cons.) Barbara, Mazzia Paolo, Mosca Si ringrazia espressamente il Sig. Giuliana, Passarella Erika, Ruschena Terzago per aver portato i saluti del Riccardo, Adriano. PresidenteZerbola Nazionale Vittorio Cardaci A tutti i neo sommelier sono stati Ama e unitamente al Sig. Ceccardi per aver dimostrato durante la sessione di esame un’altissima professionalità mirata innanzitutto a far sentire gli esaminandi completamente a loro agio durante l’interrogazione. Durante la cena di fine corso mirata alla presentazione della Enogastronomia ligure: Zimino di ceci, Capra stufata alla maniera di Pigna e Gubelletti al
cioccolato. Sono stati serviti i vini formulati i migliori auguri per il Rossese di Dolceacqua della Azienda traguardo raggiunto, ai corsisti Vinicola Altavia, presentiei titolari della
Ansaldi Lisetta, Brossa Maria Teresa, di primo livello l’augurio di Confortola Federica, Corosu Maria, completare il percorso Frassine Marco, Freddiniformativo Gloria,
cantina, Sigg Formentini. Gorziglia Roberto, Marrapodi Simona, Notizia inviata da Ennio Pilloni della Delegazione di Biella Oltre ad accompagnare il menù il Patané Giovanni, Pellegrin Alessandro, Rossese di Dolceacqua Superiore è Ribaudo Donatella, Volpe Massimo, stato oggetto di una degustazione Zinno Antonio. verticale per le annate 2007 - 2006 - Un particolare encomio agli allievi che 2005 - 2004 raccogliendo nell’ordine hanno ottenuto le valutazioni più alte: i seguenti risultati: 82/100 - 84/100 - Sig.ra Freddini Gloria e Sig. Zinno 83/100 - 89/100. Antonio 1° classificata/o, Sig.na a Hanno conseguito la qualifica di Corosu Maria 2 classificata e Sig. Sommelier: Volpe Massimo 3° classificato. Notizia inviata da Brunello De Belath della Delegazione di Varazze
La Delegazione di Treviso e di Jesi gemellate e festanti L’incontro di gemellaggio fra la Marca Trevigiana e le Marche, avvenuto in due diversi momenti, si è felicemente concluso. Protagonisti sono stati la Delegazione Fisar di Treviso e la Delegazione Fisar Castelli di Jesi nelle Marche. La seconda tappa, dopo quella di Treviso dello scorso autunno, è avvenuta sabato 29 e domenica 30
maggio 2010, con la Cena di Gala presso il Ristorante Relais Marchese del Grillo di Fabriano (AN) e la visita alle cantine del territorio in occasione di Cantine Aperte. È d’obbligo ricordare che le Delegazioni di Treviso e Jesi si sono conosciute “combattendo” al primo torneo di Divinando nel lontano
2008, e tra la simpatia e l’ amicizia appena nate è sbocciata l’idea di gemellare le delegazioni. Iniziano così preparativi per il primo incontro: “Le Marche nella Marca”, che ha avuto il suo culmine in una cena con prodotti enogastronomici marchigiani degustati in terra trevigiana. Incontro riuscitissimo, per l’ ottima accoglienza
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news in famiglia dall'Italia A Biella si consegnano
del ristorante ospitante (La Croce di Negrisia di Ponte di Piave) e le numerose presenze (ben 101 persone) e la serata è stata un tale successo che ha invogliato gli Mercoledì 16 giugno 2010 presso organizzatori a prepararsi al meglio per il ritorno. la Trattoria Doria, nella splendida I prodotti enogastronomici della Marca Trevigiana portati cornice del ricetto di Candelo, antico con fierezza ed orgoglio agli amici marchigiani hanno borgo medioevale, alle porte di Biella, ricevuto il meritato successo fin da quando sono entrati si è tenuta l’assemblea dei soci per nella cucina del ristorante ospite; la location fortemente la consegna degli attestati ai nuovi voluta dalle organizzatrici per il fascino immediato sommelier della delegazione di Biella dell’edificio storico e del panorama mozzafiato sulle dolci unitamente ai corsisti di 1°livello a cuidel si Grillo”, edificio fatto colline marchigiane. Il “Marchese è consegnato l’attestato di frequenza. costruire dal celebre nobiluomo romano per sfuggire alla Inoiosa nuovi vita sommelier della delegazione della capitale (come ben si vede nell’omonimo sono: Claudio, CantondiFiorenza, film) è,Alpino tra l’altro, il luogo nascita della Fisar Marche. fantastica accoglienza ricevuta dalle cantine visitate, Carta Giuseppe, Castaldelli Corrado, Tra i 23 sommelier trevigiani scesi in pullman la Fisar di avendo appunto unito al dilettevole del gemellaggio, anche Corda Elvio, Deiroben 4 visitatori venuti l’utile di Cantine Aperte domenica 30 maggio, in maniera Treviso ha avutoDecci l’onoreMirko, di ospitare Corrado, De Rossi appositamente dall’ Eliseo, Olanda Iapichino (molti colleghi a malincuore da poter meglio apprezzare, per noi veneti, dei prodotti a Barbara, Mazzia Paolo, hanno dovuto rinunciare per laMosca richiesta di servizio presso volte poco valorizzati. Giuliana, Erika,di Ruschena le cantinePassarella nella giornata Cantine Aperte), ed i 9 amici La Fisar di Treviso desidera ringraziare la Cantina Mancinelli marchigianiZerbola partecipanti al gemellaggio,formulati si è creato Riccardo, Adriano. i un migliori auguri per il di per primo livello edl’augurio di e Stefano Mancinelli la calorosa amichevole gruppo che ben hasono apprezzato A tutti affiatato i neo sommelier stati l’impegno traguardo messo raggiunto, e ai corsisti completare formativo accoglienza, il magnifico pranzoil e percorso la degustazione a dalle organizzatrici dell’ evento, le sommelier trevigiane Laura noi dedicata dei loro migliori prodotti di cantina, frantoio Notizia inviata da Ennio Pilloni della Delegazione di Biella Minato e Michela Taffarel, nella ricerca dei vini e degli e distilleria; Filippo Maraviglia e il padre per il tempo abbinamenti tra le eccellenze gastronomiche del territorio dedicatoci nella visita alle vigne di proprietà, della piccola veneto. Il menu della serata prevedeva infatti: i Bibanesi e ma modernissima cantina produttrice di ottimi vini e per la Casatella Trevigiana Dop con Prosecco Cuveè Storica aver fatto trovare le “fave” legumi poco conosciuti in terra Carpenè Malvolti Docg; gli ottimi Salumi De Stefani, veneta; Azienda Colonnara e Daniela Sorana per il pranzo i pluripremiati Formaggi della Latteria Perenzin con tipico ed il presidente Massimiliano Latini per la personale Prosecco San Fermo Bellenda Docg; Risi&Bisi e Fagottini accoglienza e compagnia nella visita della cantina e agli Asparagi (Riseria La Fagiana, Bisi di Borso e Asparagi bottaia e per ultima ma non meno importate l’Azienda di Cimadolmo) con il Manzoni “Svejo” di Italo Cescon e il Montecappone per gli ottimi vini e i particolari prodotti Verdiso di Candido Paoletti; la Farona ripiena con patate gastronomici offerti. novelle e polenta Bianco Perla e Formajo Ciok abbinati al Un grande grazie va da queste colonne a Sonia Bettiol, Raboso Piave Doc “Autentico” di Bellussi e Raboso Piave sommelier e grafica d’eccellenza che ha creato i Casa Roma ed infine i dolci con la Pinza del Panificio Tami programmi, i menù e le tovagliette di degustazione che e Segno-Dolce al Radicchio Rosso Trevigiano Igp con tanto successo hanno riscosso; la Giroingross per i Prosecco Passito Bellenda e Refrontolo Passito di Toffoli; bicchieri di degustazione, lo staff del Marchese del Grillo brindisi finale con il Cartizze Docg di Andreola per la cortesia ed il servizio professionale anche dei vini Successo confermato anche dal patron del Marchese del degustati, a tutte le aziende amiche sopracitate che con Grillo, Lanfranco D’Alessio, che ha ricevuto da parte della il loro generoso, prezioso e goloso contributo hanno fatto Delegazione di Treviso una targa a ricordo della magnifica si che il gemellaggio con la Delegazione di Jesi fosse un serata e della calorosa accoglienza e per la possibilità successo ed ancora alla Regione Veneto per il patrocinio avuta di poter ammirare la favolosa cantina specchio di accordato e, naturalmente alla Fisar Nazionale. La voglia di una carta dei vini ai massimi livelli. fare gemellaggi non ci è passata: Delegazioni Fisar Italiane, Non possiamo certamente però non sottolineare la aspettateci!!!
Notizia inviata da Michela Taffarel della Delegazione di Treviso
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Organo Ufficiale della FISAR Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori
news in famiglia dall'Italia A Biella si consegnano glicorsisti attestati Consegna degli attestati ai della Delegazione di Vercelli La
Delegazione
di
Vercelli
ha
organizzato Venerdì 4 giugno 2010 la cena per la consegna ufficiale degli attestati ai numerosi corsisti che con grande impegno hanno frequentato i corsi di Sommelier di primo livello a Borgosesia (VC) e di primo e secondo livello a Vercelli. Location della serata un locale di prestigio quale il Ristorante “ Il Vigneto” di Gattinara in Piazza Paolotti 2, di proprietà del Socio Ristoratore Mauro Colli.
hanno ricevuto l’attestato:
Ottaviani Valentina, Rijitano Filippina
Dopo i saluti di benvenuto da parte del
Per il primo livello di Borgosesia,
Rosalba, Rondano Monica, Rossi
Delegato Claudio Valenza per conto
Baratto Andrea, Barbaglia Loredana,
Simone, Sartore Adriana, Schiboni
di tutto il Consiglio, il Consigliere di
Bergamasco Monica, Berta Gian
Dario, Sedini Gabriele, Soldera Marco,
Giunta Luigi Terzago ha trasmesso il
Mario,
Spalla Roberta, Tosi Barbara, Tricerri
saluti e i complimenti ai premiati da
Vanni, Broggini Andrea, Carli Oriano,
Giampiero, Vaudagna Marisa.
parte del Presidente Nazionale Vittorio
Carlone Davide, Casarotti Alessia,
Per
Cardaci Ama.
Cocchini Oscar, Conti Giuseppina, Costa Andrea, Crivelli Sara, De Gregori
Vercelli,Baldisseri
Ospiti della serata sono stati il Direttore
Formativa
Corrado, Gagino Laura, Giacobino
Co.Ver.Fo.P. il Dott. Claudio Osenga
Diego, Gilardi Valentina, Grassone
ed i responsabili del Gruppo Santa
Raffaella, Grosso Gloria, Iacolino
Margherita il Dott. Massimo Tonin,
Laura, Longhi Gabriele, Losito Ivan,
Capo Area ed il collaboratore Agente
Manfredi Claudia, Marchesi Giuseppe,
di Zona il Sig. Gianfranco Piazza,
Montagner Giovanni, Negroni Pier
che hanno presentato i vini proposti
Luigi, Pattaroni Mirco, Peroni Daniele,
dell’Azienda
Caldaro
Peterle Alessia, Pianori Cristian, Prato
(BZ) in abbinamento ai magnifici
Gabriele, Quazzola Fulvio, Scozzari
piatti elaborati dallo Chef. Con gli
Emanuele, Siviero Andrea, Tisato
antipasti un “Metodo Classico Brut
Elisabetta, Uffredi Matteo, Zimnicka
Rosè Athesis Alto Adige DOC”, con
Halina, Zucca Guido.
i primi il “Muller Thurgau Athesis Alto
Per il primo livello di Vercelli, Boffino
con il “Tulipano d’argento” il Sommelier
Adige DOC”, con il secondo un “Pinot
Maura, Boffino Paola, Bordonaro
Giovanni Torta. Un Ringraziamento
Nero Alto Adige DOC”, ed infine con il
Salvatore,
Fanini
particolare va ai nostri sommelier che
dessert un “Moscato Giallo Vallagarina
Fabio,
Gamasco
hanno magistralmente provveduto
IGT”.
Cesare, Limina Monica, Mastronardi
al servizio dei vini, il capo servizio
Le congratulazioni da parte della
Antonella,
Paolo Baltaro ed i sommelier Andrea
nostra delegazione ai corsisti che
Alessandro,
dell’Agenzia
Kettmeir
di
Boggio
Marcello,
Dorelli
Gabutti
Stefano, Carla,
Merlin
Boggio
Claudio,
Ottaviani
Olmo Andrea,
il
secondo
livello
Patrizia,
di
Bellavia
Elisa, Bonato Valentina, Brusasca Cinzia,
Capellino
Laura,
Ferrara
Roberto, Franchini Ezio, Gerbaudo Marco, Giuliano Roberto, Grigolon Marzio, Mattivi Alessandro, Moretti Daniela,
Novello
Nicolò,
Omodei
Zorini Luigi, Pavese Maria Grazia, Porta Guido, Quadrio Alberto, Rosso Barbara, Saggia Stefano, Saggia Simone, Spata Anna, Vecchio Anna Maria. Inoltre nella serata è stato premiato
Carpani, e Marco Rondinelli.
Notizia inviata da Claudio Valenza e Corrado Pasqualin
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Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
i Vinando inando ddiididdiV ViV 2010
速
FEDERAZIONE ITALIANA SOMMELIER ALBERGATORI RISTORATORI
CONGRESSO NAZIONALE FISAR a Castelbrando
La Segreteria comunica
“
Dal 12 al 14 Novembre 2010, presso lo storico Castello Brandolini di Cison di Valmarino (Tv) si terrà il Congresso Nazionale FISAR. Ecco il programma.
Venerdì 12 novembre Entro le ore 17:00 ARRIVO DEI PARTECIPANTI Ore 18,30 APERTURA UFFICIALE DEL CONGRESSO E BRINDISI DI BENVENUTO Ore 20,30 Cena Sociale Sabato 13 Novembre Ore 9,30 Partenza in Pullman per Conegliano visita turistica e visita presso la Cantina CARPENE’ MALVOLTI Ore 12,30 Pranzo in compagnia di Carpenè Malvolti sulle Colline del Prosecco Ore 15,30 Torneo Divinando e Concorso Miglior Sommelier FISAR 2010 Trofeo Rastal nei saloni di CastelBrando (nel pomeriggio per gli accompagnatori visita alla Abbazia di Follina e tempo libero) Ore 20,00 Aperitivo Ore 21,00 Ristorante LA FUCINA - CASTELBRANDO CENA DI GALA Cerimonia di premiazione squadra vincitrice Torneo Divinando ed incoronazione Miglior Sommelier FISAR 2010 – Trofeo Rastal
”
Domenica 14 Novembre Ore 9,30 Convegno sul tema “ENOTURISMO: UN’IMPORTANTE RISORSA ECONOMICA” Ore 11,00 COFFEE BREAK Ore 11,30 INCONTRO CON I DELEGATI potranno accedere alla riunione i quadri organici della FISAR ed i Delegati (o loro rappresentanti) Ore 14,00 DEGUSTAZIONE VINI E PRODOTTI TIPICI DELLE COLLINE TREVIGIANE E DEL VENETO Al termine: rientro presso le rispettive destinazioni.
il programma dettagliato ed il modulo di prenotazione sono disponibili su www.fisar.com 144
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