Rivista Il Sommelier n.4/2011

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Anno XXIX - Numero 4 - Luglio-Agosto 2011

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speciale

Valle d'Aosta

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Organo ufficiale della FISAR - Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane S.p.A. - Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004) v46, art. 1 comma 1, DCB Po”

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Rivista di enologia, gastronomia e turismo

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Protagonisti i nostri sommelier e la rivista della F.I.S.A.R. al Vinexpo di Bordeaux


Misticismo ed eleganza in un sorso

Feudi Della Medusa Azienda e Vigneto

Eccellenza e autenticitĂ di Sardegna. degustazioni, visite guidate, eventi personalizzati Feudi della Medusa, 09010 S. Margherita di Pula, (CA) Tel: +39 070 9259019 - Fax: +39 070 9245449 info@feudidellamedusa.it - www.feudidellamedusa.it


Identità, tradizione e tipicità - Roberto Rabachino L'opinione di Marcello Masi Fisar in Rosa - di Luisella Rubin News dall'Italia In Famiglia La segreteria comunica Il CTN comunica Congresso Nazionale F.I.S.A.R.

Pag.

ENOGASTRONOMIA • TURISMO • CURIOSITà

Alla ricerca del salame perduto - Giancarlo Roversi

Permacultura nel vigneto - Gudrun Dalla Via

La grande Bufala - di Antonella Petitti

speciale:

A Cracovia Piwo batte Vodka - Enza Bettelli

9-18 settembre 2011. La Douja d’Or porta all’Enofila 500 vini di qualità di tutta Italia

Anteprima 2011 dei vini di Bolgheri - Davide Amadei

Vinexpo: già 30 anni - Ufficio Stampa Vinexpo 2011

Vinexpo 2011: FISAR protagonista a Bordeaux Roberto Rabachino

Valle d'Aosta • Liguria • Sardegna a cura della redazione di Quality ADV il vitigno viaggiatore Vermentino a cura della redazione di Quality ADV Le notizie di enogastronomia e turismo cura della redazione di Quality ADV SCIENZA • TECNICA • APPROFONDIMENTI

Le Marche: il Bianchello del Metauro Luca Iacopini e Massimo Bracci

sommario

Comunicazione Istituzionale

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Rivista di Enologia, Gastronomia e Turismo

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Foto di copertina a cura di Fabio Dalla Bà

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Identità, tradizione e tipicità

di Roberto Rabachino per comunicare con il Direttore: direttore@ilsommelier.com

Se non vogliamo perdere la nostra identità culturale bisogna difendere le nostre identità prima che vengano cancellate dal nostro disinteresse.

Q

uando parliamo di identità culturale ci riferiamo ad un insieme di caratteristiche che rendono gli usi e i costumi di un dato popolo unici. E come tali, sono tramandati da una generazione all’altra costituendo l’essenza stessa del popolo, in quanto ne rappresentano il bagaglio di tradizioni. Fra gli aspetti fondanti una cultura vi è senza dubbio la tradizione legata al cibo. Anzi si potrebbe dire che è proprio il diversificarsi delle diete che ha caratterizzato fin dall’origine il differenziarsi delle culture umane. Il primo passo per capire è cercare di dare una definizione del concetto di tipicità dei prodotti alimentari, e tra le tante definizioni presenti in letteratura, quella di seguito riportata risponde a canoni di semplicità e chiarezza: “…un prodotto si può considerare tipico, quando in esso si realizza la concomitanza di alcuni fattori, che sono riconducibili alla loro cosiddetta memoria storica, alla localizzazione geografica delle aree di produzioni, alla qualità della materia prima impiegata nella loro produzione, ed alle relative tecniche di preparazione” (Giardiello, 1995). La memoria storica di un prodotto riguarda tutte le tradizioni collegate al prodotto stesso. Ciò implica inevitabilmente una presenza antica di tale prodotto in un territorio circoscritto, dove le condizioni ambientali specifiche di un luogo geo-

grafico lo caratterizzano e lo rendono unico. La materia prima è considerata di qualità, proprio grazie alla lunga tradizione tramandata negli anni. Un altro elemento che dà tipicità ad un prodotto, è la tecnica di preparazione, che assume poca importanza per i prodotti non trasformati, e molta per quelli trasformati. Quando si parla di tecniche di preparazione, ci si riferisce all’esperienza degli artigiani, agli strumenti utilizzati, ai tempi scelti per la preparazione, mezzi e metodologie, anch’esse tramandate, a loro volta con una memoria storica. Identità, tradizione e tipicità sono tre elementi inscindibili che tutti noi dobbiamo ben avere presente e tutelare con assoluto rigore se intendiamo mantenere vive le nostre peculiarità.

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di Marcello Masi Direttore ad interim del TG2 RAI

Una giornata molto particolare

Unica regola: i detenuti “chef per un giorno” potevano utilizzare solo utensili di uso quotidiano della prigione.

P

izza fritta con pomodoro, basilico e mozzarella di bufala; rigatoni fatti in casa al sugo di capretto e ricotta salata; cous cous di agnello; pasta all’amatriciana; merluzzetto primavera all’acqua pazza; torta pandispagna glassata alle fragole, banane e panna. Questo non è il menu di un pranzo particolare, è il menu di un pranzo molto particolare che si È svolto qualche giorno fa nella casa circondariale di Rebibbia a Roma. L’occasione è stata l’annuale gara tra detenuti organizzata dalla Caritas. Ai fornelli sei squadre di diverse regioni d’Italia e del Nord Africa. Unica regola: i detenuti “chef per un giorno” potevano utilizzare solo utensili di uso quotidiano della prigione. Per intenderci, niente coltelli e forchette di metallo, niente forno, niente contenitori in vetro, niente matterelli, niente strumenti elettrici, niente grattugie. A giudicare i piatti Clara Barra, l’ottima curatrice delle guide gastronomiche del Gambero Rosso e il sottoscritto. Come dicevo è stata una giornata davvero speciale e piena di sorprese a cominciare dai tanti volontari che da più di cinquanta anni, ho scoperto, assistono i detenuti in carcere. Uomini e donne di ogni estrazione sociale e professione che hanno deciso di restare vicino a uomini e donne che hanno sbagliato commettendo reati gravi, e che sono emarginati dalla società. Dietro ogni volto dei detenuti che ho incrociato con lo sguardo c’è una storia di dolore e troppo spesso di violenza, ma anche di uma-

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nità e voglia di riscatto. L’aria che si respira in un carcere ho scoperto che è diversa. La mancanza di libertà rende tutto strano quasi irreale. Un particolare insignificante per un uomo libero, dietro le sbarre diventa importante. Ecco quindi che una gara di cucina si è trasformata sotto i miei occhi in una festa creativa e sorprendente. Per tagliare carne e verdure i detenuti utilizzano i coperchi dei barattoli opportunamente assottigliati a mano, lo stesso barattolo bucato con

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un chiodo diventa un’efficiente grattugia. Tre fornelletti da campo uniti tra loro si trasformano in un fuoco da cucina da grand hotel. Una rete metallica serve a creare cous cous, mentre un bicchiere di plastica diventa un dosatore infallibile. Con un cucchiaio di legno i detenuti fanno miracoli: spezzettano, amalgamano, montano, girano. E soprattutto sono capaci di aggiungere nei loro piatti un ingrediente speciale, la passione. Il piatto presentato si trasforma in un raro momento di piacere e confronto. L’attenzione è assoluta, così come la cura. In carcere il tempo molto spesso non è importante e spenderlo per fare bene diventa una missione. Il risultato ci ha lasciato a bocca aperta. Tutti i piatti erano perfetti. Dalla cottura della pasta all’equilibrio dei sapori, alla presentazione nei piatti di plastica. Clara ed io abbiamo faticato per scegliere il migliore. Per la cronaca ha vinto il cous cous, perfetto, allo stesso livello, se non superiore, di quelli che ho avuto la fortuna di mangiare in tanti ristoranti Tunisini, Algerini, Marocchini. Quando abbiamo premiato il ragazzo tunisino, non ancora trentenne, che lo ha preparato, le parole che ha pronunciato sono state: è la prima volta che

in vita mia vinco qualcosa, ed aveva le lacrime agli occhi. Non voglio fare retorica, ma ho sentito in quel momento che era successo qualcosa di bello e forse di importante in una vita difficile. Ma questa giornata mi ha fatto anche riflettere sul nostro mondo e modo di vivere. Il consumismo sfrenato e la velocità dissennata delle nostre vite. Guardando il lavoro di molti chef, affermati e non, sembrerebbe impossibile ormai cucinare bene senza abbattitori, azoto, robot e pentole in ceramica o argento... Non è così. In cucina come in cantina i sogni dell’uomo restano la cosa più importante ed insostituibile. La tecnica si può acquisire e migliorare, la passione no, bisogna averla dentro e non si può comprare a nessun prezzo. Gli uomini non liberi di Rebibbia a pochi chilometri dal centro della capitale di questo Paese mi hanno ricordato che nessuna arroganza, nessuna presunzione può sostituire la semplicità, l’essenzialità di un gusto e di un sapore che è sempre figlio di una cultura fatta di esperienza e sudore, amore e generosità verso gli altri. Con un cucchiaio di legno si possono ancora fare miracoli e si può incantare non solo il palato, ma anche il C M Y CM MY CY CMY K cuore delle persone.


Le donne e il mondo FISAR in rosa del vino nella terra tra il Piave e il Tagliamento di Luisella Rubin

Produttrici ed autorevoli esponenti del mondo del vino, testimoni di una realtà affermata e qualificata, si sono confrontate sulla specificità del contributo che le donne offrono a questo vasto mondo, per quanto riguarda l’innovazione della viticoltura, dell’enologia, della comunicazione e della commercializzazione del vino.

U

na grande partecipazione di pubblico ha decretato il successo del Convegno:” Le donne e il mondo del vino nella terra tra il Piave e il Tagliamento”, organizzato dalla FISAR (Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori) di San Donà di Piave, con la collaborazione del Coordinatore delle Delegazioni del Nord

Est Antonio De Vitiis e del Delegato Giannantonio Puppin, per valorizzare le donne che operano nel mondo del vino. L’evento, che ha ricevuto il patrocinio della Regione Veneto e del Comune di San Donà di Piave, si è svolto presso il Centro Culturale “Leonardo da Vinci” di San Donà di Piave, il 30

FISAR 6

in

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Aprile 2011 alle ore 10.00, alla presenza del

mondo, per quanto riguarda l’innovazione della

Presidente della provincia di Venezia e Sindaco

viticoltura, dell’enologia, della comunicazione e

della città di San Donà di Piave Francesca

della commercializzazione del vino.

Zaccariotto e di altre autorità politiche locali, il

La dottoressa Francesca Zaccariotto, Sindaco

Consigliere Nazionale Fisar Giorgio Pennazzato,

della Città e presidente della provincia di Venezia,

il responsabile del centro Tecnico Nazionale Fisar

dopo il suo consueto saluto di apertura del

Silvio Dalla Torre e il Delegato di Treviso Flavio

Convegno, è intervenuta apprezzando la sensi-

Casagrande.L’evento ha inoltre registrato la pre-

bilità, l’impegno, la determinazione e la profes-

senza della giornalista Gladys Torres, redattrice

sionalità di molte imprenditrici agricole e profes-

della rivista “il Sommelier”, organo ufficiale della

sioniste del settore vitivinicolo, che, grazie al loro

FISAR.

lavoro, sono una preziosa risorsa e contribuisco-

La referente della manifestazione Luisella Rubin,

no in modo significativo allo sviluppo culturale ed

consigliere

presentando

economico dell’area tra Piave e Tagliamento, di-

quest’incontro tutto al femminile, ha sottolinea-

ventando ambasciatrici di un territorio unico, ric-

to la crescente importanza del ruolo della donna

co di tradizione, di cultura, di storia e di bellezze

nel mondo enoico, in ogni livello della filiera,dalla

naturali, conosciuto in tutto il mondo.

vigna alla cantina. Negli ultimi vent’anni, nell’area

Patrizia Loiola, consigliere della Delegazione Fisar

compresa tra il Piave e il Tagliamento, le donne

di San Donà, nel ruolo di moderatrice, ha intro-

sono diventate protagoniste indiscusse del vasto

dotto il tema evidenziando l’importanza della pre-

settore vitivinicolo.

senza delle donne nel mondo del vino, nel quale

Produttrici ed autorevoli esponenti del mondo

operano, con successo, come produttrici, som-

del vino, testimoni di una realtà affermata e qua-

melier, agronome, enologhe, giornaliste, esperte

lificata, si sono confrontate sulla specificità del

di comunicazione e marketing e ha guidato gli

contributo che le donne offrono a questo vasto

interventi delle relatrici durante il Convegno.

nazionale

FISAR,

Karen Casagrande degusta ufficialmente i vini

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Severina Cancellier, già ricercatrice all’Istituto Sperimentale di Viticoltura di Conegliano, ha riferito sugli studi effettuati sui vitigni locali, in particolare si è soffermata sulla storia del Raboso del Piave, espressione autentica della terra e della gente del Piave. Ha citato il Manzoni Bianco, vitigno autoctono, figlio della genetica, creato dal professor Luigi Manzoni dall’incrocio di due varietà Riesling Renano e Pinot Bianco, che ha trovato il suo habitat felice nelle terre della Marca Trevigiana e della provincia di Venezia. Emanuela Bincoletto, ha raccontato la sua esperienza di produttrice nell’azienda “Tessere” di Noventa di Piave, dove, dal 1995 ha lavorato sodo, con determinazione e passione per ottenere un vino Raboso di qualità, interpretato secondo una visione moderna, dettata da una sensibilità femminile, attenta all’innovazione delle tecniche di viticoltura e di vinificazione, ma con un occhio sempre rivolto alla tradizione e al rispetto della natura.Il “Barbarigo” Raboso 2006 e il “Rebecca”, Raboso passito, prodotti di assoluta qualità sono il fiore all’occhiello dell’azienda. Graziella Cescon, produttrice, conduce, insieme

alla sorella, alla madre e al fratello l’azienda familiare “Italo Cescon-Storia e Vino”, a Roncadelle di Ormelle (Tv), ereditata dal padre e da sempre impegnata nella ricerca e nella valorizzazione di vitigni autoctoni, in particolare il Manzoni Bianco. Ha dichiarato che il suo obiettivo è quello di proporre in ogni calice di vino la tipicità della sua terra e la storia enologica della sua famiglia. Per un’interpretazione innovativa, di un prodotto sano e di qualità, la produttrice ha introdotto una coltivazione biologica, nel rispetto dell’ambiente. I suoi vini sono venduti in Italia, in Europa ed in America. Francesca Amadio, Presidente della Strada dei Vini Doc Lison Pramaggiore, nel suo intervento sostiene la necessità di creare un rapporto di collaborazione più stretto tra produttori di vino e ristoratori, per promuovere e valorizzare in modo proficuo i prodotti tipici del territorio, tenendo conto del fatto che i vini della Doc Lison Pramaggiore garantiscono un ottimo abbinamento sia con i piatti della cucina marinara delle località balneari del nostro territorio, sia con quelli tradizionali dell’entroterra. In questa prospettiva il

FISAR 8

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valore identitario del territorio può essere meglio comunicato. In qualità di produttrice dell’azienda “Amadio”, ha presentato un Lison, vino rappresentativo di un’area vinicola tipica, interprete reale ed autentico del territorio di appartenenza. Anna Brisotto, Presidente Consorzio Tutela vini Doc Friuli Grave e titolare dell’azienda “San Simone” -Porcia, nella sua esposizione ha sottolineato l’importanza del ruolo che il Consorzio ha, i cui obiettivi principali sono volti ad accrescere la qualità del prodotto, incrementare iniziative ed attività di promozione, tutelare e valorizzare la Denominazione, creando un’azione di squadra fra tutti i consorziati. Il Refosco dal Peduncolo Rosso è stato presentato dalla produttrice come il vino principe che sa esprimere caratteristiche di identità della propria terra. Marzia Morganti, giornalista, addetta ufficio stampa dell’azienda “Carpenè Malvolti” - Conegliano (Tv), nella sua relazione, ha messo in evidenza come la numerosa ed autorevole presenza delle donne nel mondo enoico abbia un ruolo importante ed incisivo nella comunicazione e nel

marketing del vino, grazie a peculiarità che sono del tutto femminili: capacità di comunicare e di relazione interpersonale, attenzione ai particolari, accoglienza e presentazione del vino sempre più in chiave emozionale ed esperenziale, valorizzazione della cultura locale. A ciò fanno seguito strategie di marketing, relative alla comprensione delle esigenze del cliente, alla qualità del prodotto, al vitigno, al packaging, ad aspetti culturali, turistici e del territorio. Quest’ultimo è uno degli aspetti fondamentali, che conta nella commercializzazione del vino. Un chiaro esempio di territorio ci è dato dalla felice posizione geografica di Valdobbiadene e Conegliano, da cui è nato uno dei vini più rinomati ed apprezzati in Italia e nel mondo, il Prosecco Superiore Docg. L’azienda Carpenè Malvolti, storica casa spumantistica, ha offerto in degustazione un ottimo Prosecco extra dry “Cuvee Storica”. I vini presentati dalle produttrici durante il Convegno, sono stati raccontati in modo eccellente dalla sommelier Fisar dell’anno 2010 Karen Casagrande.

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di Giancarlo Roversi

Alla ricerca del salame perduto

Ormai, salvo sparute eccezioni, i buoni salami contadini sono sempre più rari anche perchè gli stessi contadini che li fanno ancora se li tengono tutti per loro!

C’

era una volta nelle case di campagna, e in certe salumerie e spacci alimentari di paese, un prodotto fragrante, invitante, profumato, che solo a sentirne pronunciare il nome metteva allegria addosso. La stagione ideale per assaporarlo andava da marzo fino in piena estate (ma solo per i salami rivestiti di budello gentile, quello più grosso che mantiene morbida la farcia). Il salame era il re delle merende, degli spuntini (fino a non molto tempo fa nessuno li chiamava pic-nic) all’aria aperta in campagna, sopra una bella tovaglia stesa sul prato. Memorabili a Bologna quelli fatti il giorno di Pasquetta sul colle della Guardia all’ombra del santuario della Madonna di S. Luca, che domina la città. Appena il salame veniva levato dalla sporta, il suo profumo inconfondibile faceva venire l’acquolina in bocca a quanti non vedevano l’ora di gustarlo. Per le scampagnate e le immancabili merende sull’erba (allora non si chiamavano ancora picnic) molti preferivano acquistarlo sul posto da qualche salumiere o macellaio di campagna che offriva

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garanzie di tradizionalità e genuinità. Però anche nelle città non mancavano buoni pizzicagnoli col culto degli insaccati fatti con le loro mani o acquistati da parenti o contadini di fiducia. Roba dal sapore raro e soave. Ma si contavano sulle dita di una mano. Così questo prodotto nell’immaginario collettivo si ammantava di un alone quasi favoloso. E in tanti, per procurarsi qualche esemplare di quelli più squisiti e più tipici, compivano pellegrinaggi in campagna, nelle terre di pianura e fra le montagne, come, per limitarci all’Emilia Romagna, quelle della Bassa e soprattutto quelle dell’Appennino tosco-emiliano, dove i maiali venivano allevati anche con le ghiande che conferivano alle loro carni un sapore ineguagliabile. In particolare i buongustai andavano in pellegrinaggio nel Parmense, sia nelle colline di Felino che nel territorio bussetano lambito dal Po, come pure nell’alto Piacentino, nel Reggiano e nel Modenese. Ma anche in Romagna, terra da sempre giustamente famosa per i suoi ottimi salami dal gusto e dalla tradizione antichissima, giunta pressochè inalterata fino a noi. In più il salame romagnolo aveva e ha ancora il pregio di essere molto magro, quasi dietetico ! Così per evitare un sovraccarico di lipidi e problemi col colesteroli è sufficiente eliminare i lardelli che occhieggiano

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nell’impasto dell’insaccato tradizionale. Fra tutti i tesori dell’arte norcina il salame è quello forse più straordinario, perchè deve avere alle spalle un background di esperienze molto superiori a quelle necessarie per stagionare un buon prosciutto. E questo perché fare un salame significa sapere selezionare, manipolare e conciare alla perfezione le carni di maiale, secondo un’esperienza tramandata di padre in figlio e una serie di segreti del mestiere in parte comuni in ogni parte d’Italia e in parte peculiari di questa o di quella zona. Nell’imbudellamento non sono ammessi errori. Ne andrebbe della qualità del prodotto. I vecchi insaccatori e macellai, i norcini insomma, sapevano anche che il bravo porco doveva rendere l’anima al suo dio senza traumi, quasi senza accorgersene. Viceversa, nel caso di un trapasso agitato, le sue carni avrebbero dato risultati scadenti e un sapore non soddisfacente ai salami. Nella loro confezione bisognava e bisogna tenere conto della fase lunare e dei fattori climatici, dando la preferenza a giornate invernali fredde e asciutte. I giorni attorno alla festività di S. Antonio Abate, il santo del porcello, erano quelli in genere preferiti dai contadini e lo sono in parte anche oggi benché non sono pochi quello che anticipano l’olocausto suino alla fine di novembre e ai primi di dicembre o addirittura lo ritardano fino a metà di febbraio, tenendo però sempre conto della situazione meteorologica. Ormai, salvo sparute eccezioni, i buoni salami contadini sono sempre più rari anche perchè gli stessi contadini che li fanno ancora se li tengono tutti per loro! Quasi completamente scomparsi dal mercato, si possono gustare solo presso pochi amatori e qualche raro salumiere o ristorante che continuano a produrli per sé e per una ristretta cerchia amici o clienti. E chi non ha la fortuna di appartenere a questo casta di privilegiati deve

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restare a bocca asciutta. Un innamorato del salame ben difficilmente può rivolgersi ai prodotti industriali che hanno tutt’altro gusto e si assomigliano un po’ tutti, in quanto esistono norme precise di fabbricazione imposte dalle leggi che li rendono abbastanza monocordi come sapore. Ma anche chi continua a fare il salame in casa spesso prova delle cocenti delusioni. I motivi possono essere svariati: carni non adatte o non ben dissanguate, o provenienti da maiali non castrati alla perfezione (e quindi con un pungente afrore di urina); budelli non idonei o male lavati; carni non bene compresse in fase di insaccatura col rischio della formazione di buchi e di un irrancidimento precoce; salagione scarsa o esagerata, concia sbagliata per troppa pepatura o troppo odore di aglio (un difetto che non vale per i Ferraresi che vanno matti per il salame agliato); formazione di micotossine e microflore nocive capaci di dare al salame un sapore sgradevole di muffa (non dannose sono le muffe bianche e neppure, entro certi limiti quelle verdi, mentre sono da temere quelle nere). Grande importanza per una buona riuscita dei salami ha il sito di stagionatura che non deve essere nè troppo umido nè troppo secco (l’ideale è un locale asciutto e freddo, abbastanza ventilato e con una giusta dose di umidità per non fare seccare troppo in fretta i salami). C’è ancora chi, subito dopo l’insaccatura, usa appenderli in una stanza a debita distanza dal camino acceso per una prima lenta asciugatura (ma se il calore è eccessivo si corre il rischio di disseccare troppo rapidamente le carni che possono anche assumere un non gradevole sapore di affumicato). In passato in campagna c’era perfino chi faceva fare ai salami un passaggio di una settimana o due in camera da letto perché esisteva la convinzione che il calore umano favorisse la prima fase di maturazione. Anche in occasione dei trofei e delle gare destinati oggi a premiare i migliori salami tipici, sia artigianali e che amatoriali, si hanno risultati non sempre soddisfacenti anche perché la razza su-

ina attualmente più allevata, l’inglese large white introdotta in Italia nella seconda metà dell’800, lascia molto a desiderare in quanto a sapidità delle carni. Molto meglio quelle provenienti dalle vecchi razze autoctone come la cinta senese, la mora romagnola, la borghigiana di Parma, il casertano, il nero siciliano dei Nebrodi e altre ancora. Rivalutare queste ed altre razze è diventato oggi l’imperativo di non pochi cultori del maiale come quelli che si riuniscono nella “Congrega del Buon Salame”, fondata sette anni fa da alcuni appassionati “salamofili” bolognesi, romagnoli ed emiliani a Roncofreddo nel Cesenate (info: lorisfantini@virgilio.it). Suoi fini sono la tutela e la valorizzazione dei salami tipici italiani attraverso presentazioni mirate e rigorosi confronti fra insaccati sia amatoriali che artigianali, corsi di norcineria per neofiti, convegni, mostre. Suo fiore all’occhiello è il “Trofeo del Buon Salame di Romagna”, che con l’inappuntabile regìa di Loris Fantini, organizza già da 12 anni, all’inizio di maggio a “Casa Zanni” di Villa Verrucchio, uno dei santuari della buona cucina romagnola oltre che punto di vendita di preziosi salumi e carni di propria produzione. Sottoposti all’esame di una qualificata giuria di giornalisti, di rappresentanti istituzionali e delle associazioni del settore agricolo e di quello della produzione alimentare, l’evento ha riscontrato un forte successo sia per numero di partecipanti che per la qualità dei prodotti in gara tanto artigianali che amatoriali. Sempre per impulso della Congrega hanno visto la luce i trofei: del “Buon salame ravennate e della Mora romagnola “ a Brisighella, del salame gentile a Bologna, del ciauscolo e del salame tipico della Provincia di Macerata all’Abbazia di Fiastra, del “Triregionale Romagna, Toscana, Marche”, degli “insaccati da cottura” a Villa Verrucchio, del salame all’aglio a Voghiera nel Ferrarese e della salama da sugo sempre in provincia di Ferrara. I membri della Congrega sono pure intervenuto come giurati per il Concorso della ventricina

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a Vasto. In fase di gestazione sono anche nuovi eventi analoghi in altre province e regioni italiane. Un primo grosso risultato ottenuto dalla Congrega è stato quello di avere dato nuovi stimoli al salvataggio e alla ripresa dell’allevamento delle razze suine in via di estinzione come la mora romagnola, la borghigiana di Parma e la cinta dell’Appennino bolognese. Sempre per iniziativa della Congrega è stato organizzato il primo esame comparativo dei pro-

Il PRIMATISTA DEI... SALAMI

dotti suini, semistagionati, stagionati e freschi da cottura (cotechini, zamponi, bondiole, mariole, salamine da sugo, cappelli da prete, ecc.), ottenuti dai maiali delle diverse razze allevate in Emilia-Romagna. Un’esperienza di grande interesse che ha dimostrato le notevoli differenze esistenti fra le varie carni, sia a livello di gusto che di consistenza e che lascia ben sperare per la sopravvivenza di sapori tipici ineguagliabili che appartengono alla nostra cultura alimentare.

Primo Badiali di Riccione

Primo Badiali, marchigiano doc con un intenso passato a tutela della collettività, dapprima nell’Arma dei Carabinieri, poi nel corpo vigili urbani di Riccione e infine nell’USL, svestita la divisa, si dedica da tempo alla nobile arte norcina confezionando nella sua casa di Riccione per alcuni fortunati amici splendidi salami che incontrano l’unanime apprezzamento dei buongustai per la loro fragranza. Badiali è depositario dei segreti della tradizione più autentica appresi quando era ancora bambino a San Marcello (AN) suo paese natale. I suoi insaccati hanno mietuto allori in tutte le gare di qualità e tipicità cui ha partecipato: dal Trofeo del Buon Salame di Romagna a Villa Verrucchio (che l’ha visto fare man bassa di riconoscimenti in tutte le sue 12 edizioni) a quello di Brisighella, a quello della Provincia di Macerata all’Abbazia di Fiastra, a quello del Salame Gentile emiliano-romagnolo a Bologna, fino al “Triregionale Romagna, Toscana, Marche” e a quello degli “insaccati da cottura”. Recentemente ha raggiunto l’apoteosi con la preparazione del salame più lungo della Romagna e delle Marche: un “mostro” che si estende all’interno di un unico budello per ben 2,07 metri. I segreti del suo successo sono la scelta delle carni, una sapiente manipolazione, la stagionatura sulle vicine colline di Montefiore Conca e soprattutto tanto amore per l’arte norcina. Amore che Badiali mette anche nella preparazione del pesce. Mitiche sono le sue morbide grigliate, le insalate di mare, i condimenti di pesce che insaporiscono le insuperabili tagliatelle preparate al matterello dalla moglie Albinella e accompagnati con ottimi vini che solo Badiali sa dove scovare. Per questi suoi meriti salumari, in occasione del suo decennale di fondazione la “Congrega del Buon Salame”, ha aperto le celebrazioni della ricorrenza con la consegna della sua prima targa d’onore.

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Permacultura nel vigneto

di Gudrun Dalla Via

C’è molto fermento in viticoltura. Un crescente numero di vignaioli italiani, francesi, tedeschi, austriaci e di oltre oceano sceglie forme “diverse”, dalla coltivazione biologica a quella biodinamica, dal genericamente “naturale” alla permacultura o permacoltura. Con risultati molto interessanti sotto il profilo qualitativo e quello economico. La più recente e più stimolante tecnica è forse la permacultura, apparentemente ancora poco diffusa nei vigneti.

È

stata una gradevole sorpresa, durante una visita della Tenuta La Ghiaia a Sarzana/SP, trovare un vigneto coltivato con i criteri della permacultura. Il modello della permacultura è stato sviluppato poco più di trent’anni fa in Australia da Bill Mollison e David Holmgren, ma le radici sono certamente antiche … quanto l’umanità. Sta per agricoltura permanente o cultura permanente e mira ad una agricoltura sostenibile, imitando ecosistemi naturali. Il sistema richiede

un dispendio minimo o nullo di macchinari e prodotti da risorse fossili; i risultati sono duraturi nel tempo, equilibrati e stabili. L’enologo di La Ghiaia, il Dr. Andrea Di Maio, ci mostra filari di vite che presentano qualche aspetto insolito. Il terreno intorno alle viti e tra i filari non è lavorato, nel senso classico. Vi è stato seminato del favino come sovescio, lasciato crescere, poi sfalciato e lasciato sul luogo come pacciamatura. In natura infatti non esiste la “terra nuda”: essa farà subito

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ogni sforzo per proteggersi dal sole e dall’erosione del vento, coprendosi di vegetazione. La permacultura però non conosce il concetto di infestanti, ci spiega il Dr. Di Maio, ma solo di piante collaboratrici: le leguminose come favino, sulla e veccia per fissare l’azoto, le crucifere come ravizzone e senape perché le loro radici smuovono il terreno, le graminacee come avena e orzo per produrre paglia, utile per tenere comunque coperto il terreno. Alcuni di questi concetti si ritrovano comunque anche in coltivazione biologica e biodinamica. Ma mentre altre tecniche interrano la biomassa prodotta dal sovescio, in permacultura la si lascia in superficie del terreno che viene lavorato al massimo una volta. Così la sostanza organica è più costante e meglio conservata ed

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arriva a formare uno strato di 3 cm, contro massimo 1 cm di altri sistemi di coltivazione. Questa “arte di progettare ecosistemi” per ottenere una agricoltura sinergica richiede di ragionare in modo nuovo, ci spiega l’enologo Di Maio. Eppure … fino a due generazioni fa, il contadino italiano praticava, per certi versi, una forma di permacultura, distrutta poi dal fascismo che ha introdotto forzatamente la meccanizzazione, anche in vigna. In passato, i contadini conoscevano il loro terreno; osservavano, assaggiavano, sapevano, senza aver studiato chimica, se il terreno era per esempio acido o basico (la famosa prova con l’aceto: se il terreno reagisce formando delle bolle, significa che è basico). Si può quindi parlare anche di una sorta di recupero.

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Il costo della permacultura è più basso anche perché non si fa uso di concimi chimici; pacciamatura e sovescio provvedono ad una naturale e costante fertilità del suolo. Solitamente non si fa irrigazione; ciò costringe le viti, anche a costo di una crescita più lenta, ad affondare le radici in maggiori profondità. Il risultato, lo abbiamo assaggiato poi in cantina, è un vino meravigliosamente minerale e sapido. Per certi versi, in permacultura il vigneto costituisce una anomalia perché si tratta comunque di una monocultura. Ciò richiede maggiori accorgimenti rispetto alle coltivazioni miste. Tanto più si apprezza la vista di grandi cespugli di rose, all’inizio di ogni filare.

avanti un bellissimo esempio di permacultura in Provincia di Pavia, è consulente di grandi aziende in Italia e all’estero e viene interpellato da istituti di ricerca di tutto il mondo. Ci spiega che fare permacultura in vigna è, sotto certi aspetti, più facile rispetto alle coltivazioni annue. Però a farvi una “vera” permacultura richiede, secondo lui, scelte che possono sembrare insolite, come per esempio la rinuncia alla potatura. Osservando l’energia della natura si permette al tralcio di prendere la direzione più opportuna. E secondo l’andamento climatico dell’annata oltre che alle esigenze specifiche del terreno si sceglie il tipo di sovescio, che può consistere anche in camomilla o in papaveri …

Abbiamo interpellato anche Giuseppe Oglio, uno dei padri della permacultura in Italia, il quale porta

La resa nei vigneti così coltivati è buona, anche se il raccolto dovrebbe essere fatto a mano.

Il vino nell’uovo La Tenuta La Ghiaia si distingue per diverse scelte innovative. Tra queste, l’”uovo” di cemento, inventato da un produttore francese di cemento alimentare su richiesta di un produttore di vino rosso della zona del Rodano. In seguito, in Borgogna si è usato l’uovo anche per il vino bianco. La forma senza spigoli interni sfrutta i moti naturali convettivi dei liquidi, quindi si ottiene un batonnage continuo naturale, cioè senza intervento di pompe o altro; la feccia fine rimane in movimento. Il risultato è un vino molto fine e aperto al naso. Si ottengono ottimi risultati sul rosso, con l’”uovo”, mentre sono ancora in fase di sperimentazione i vini bianchi. Un particolare tecnico: si tratta di una gettata unica di cemento, quindi senza collanti o resine, solo un trattamento con acido tartarico delle pareti interne.

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La Grande Bufala di Antonella Petitti

Un metro d’oro bianco per festeggiare l’Unità. Protagonisti con la FISAR gli stellati Vissani, Esposito, Barrale e Iaccarino

È

stata indubbiamente la mozzarella di bufala campana DOP la protagonista della quarta edizione de “La grande Bufala”, kermesse enogastronomica svoltasi nel cuore della Piana del Sele, ad Eboli, dal 28 maggio al 5 giugno scorso. E se…”Cristo si è fermato ad Eboli”, sarà stato anche per degustare quell’oro bianco che tanto lustro sta dando al territorio che la produce. Per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia quest’anno la manifestazione si è aperta con una treccia DOP lunga un metro, un prodotto mai realizzato prima ottenuto con il latte proveniente da tutte le

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province italiane rientranti nel disciplinare di produzione: Salerno, Caserta, Foggia, Frosinone, Latina e Roma. Una lavorazione resa possibile dalla stretta collaborazione che ha unito l’Associazione Eboli Sviluppo ed il Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana DOP. A scegliere - nei 9 giorni della kermesse - La Grande Bufala, la mozzarella di bufala ed i prodotti tipici della Piana del Sele, sono stati oltre 50 mila appassionati gourmet ed esperti del settore tra produttori, chef, sommelier e consumatori di rango.

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Numeri che attestano il grande successo di una

numeri della manifestazione

edizione che ha accesso i riflettori sul mondo della

Sono stati oltre 50.000 i visitatori che hanno ri-

ristorazione grazie allo spazio dedicato agli Show

empito e vissuto il Bufala Village di Piazza della

Cooking, dove chef stellati come Gianfranco Vissani, Gennaro Esposito, Paolo Barrale ed Alfonso Iaccarino, si sono alternati con gli chef

Repubblica ad Eboli. È stato stimato che all’incirca il 75% sia stato proveniente dalle zone li-

del territorio come Teresa Di Napoli (anche lei

mitrofe, il 15% dalle altre province campane, il

stellata), Dino Marchetta, Lorenzo Forlano, Ada

7% dalle regioni vicine ed il 3% dalle altre regioni,

D’Amato, Angelo Borghese ed Antonietta Boffa

in particolare dalla Toscana. Tra gli altri hanno

ed i pasticceri Giacomo Langone, Antonio

partecipato a questa edizione una delegazione di

Chiumiento, Cosimo Ricca, Giosuè Resta,

sindaci cileni, un gruppo di americani segnalati

Rosario Moscato, ed Antonio Gaeta. Protagonista anche la FISAR Salerno, capeggiata dal delegato Alberto Giannattasio, che si è occupata di curare gli abbinamenti con i piatti ed

dal Consolato Americano di Napoli ed un gruppo di studenti provenienti dal Brasile, dalla Turchia e dall’India.

i dolci, portando all’attenzione del pubblico le mi-

5 i quintali di mozzarella di bufala DOP degusta-

gliori produzioni vinicole campane.

ta, 3 i quintali venduti, senza contare il grande

D’altronde la provincia di Salerno si sta distin-

successo di pubblico nei confronti del gelato di

guendo sempre più per le produzioni di nicchia

latte di bufala e un piatto sempre verde come la

e di qualità legate ai numerosi vitigni autoctoni,

pasta e fagioli, preparata rigorosamente con i fa-

così se il Fiano si mostra adatto alla mozzarella, bene incontrano il pesce e le verdure il Greco e la Falanghina, senza tralasciare i buoni risultati che

gioli di Controne.

su carne, insaccati e ragù ottiene il re Aglianico,

Notizie e dati

anche nella versione rosato.

La mozzarella di bufala campana è il più impor-

Un altro “taglio” ha segnato la conclusione de LA

tante marchio DOP del centro-sud Italia. Nel

GRANDE BUFALA, stavolta una mega torta for-

2010 sono state prodotte 36.719 tonnellate di

mata da oltre 800 porzioni simili a mozzarelline di

Mozzarella di Bufala Campana (+8,22% rispetto

bufala, alla presenza del presidente dell’Associazione Eboli Sviluppo, Attilio Astone, del vice presidente della Confesercenti Regione Campania, Enzo Galiano, del vice presidente del Consorzio

al 2009), di cui il 17% esportato, principalmente in Francia, Germania, Stati Uniti, Gran Bretagna, Svizzera e Giappone. Il 58% della mozzarella

di Tutela Mozzarella di Bufala DOP, Domenico

DOP viene prodotta tra le province di Caserta e

Raimondo e dell’assessore all’agricoltura della

Napoli, il 34% a Salerno, il 7% nel basso Lazio e

Provincia di Salerno, Mario Miano.

l’1% tra Foggia e Venafro.

La parola ‘mozzarella’ è considerata dalla legislazione alimentare internazionale un termine generico (come pizza, pasta, ecc.), utilizzato in tutto il mondo per prodotti senza nessun legame con le tradizioni storiche, culturali, artigianali. Il marchio della DOP ha consentito di far conoscere il prodotto originale, il suo territorio e soprattutto il sapore inconfondibile, ma soprattutto ha consentito al consumatore di distinguere mozzarelle non certificate dalla Mozzarella di Bufala Campana che è soggetta a tantissimi controlli, dall’allevamento della bufala fino alla vendita al consumatore. Infatti, solo i caseifici che superano l’impegnativo l’iter di certificazione, possono ottenere il marchio della DOP; successivamente tali aziende vengono monitorate costantemente attraverso analisi per garantire il rispetto del disciplinare ed alti standard qualitativi del prodotto messo in commercio.

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di Enza Bettelli

A Cracovia Piwo batte Vodka

Non c’è Polacco che non ami la vodka, ma oggi la preferenza è decisamente orientata verso la birra (piwo). E nella città di Papa Giovanni Paolo II la si gusta ancora meglio circondati dagli edifici storici della splendida Piazza del Mercato.

I

n Polonia la tradizione birraria affonda le radici nel tempo, con una qualità che è andata migliorando nel tempo fino alla produzione moderna, molto popolare anche fuori dai confini polacchi e che ricorda quella ceca o tedesca. Oggi in Polonia le fabbriche di birra e i microbirrifici sono parecchi e in genere prendono il nome dalla città di origine, come la Żywiec, la più famo-

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sa e sede di un interessante museo della birra, di proprietà degli Asburgo fino alla confisca alla fine della seconda guerra mondiale. La storia di questa bevanda è abbastanza complessa in Polonia. Infatti, le aziende produttrici sono state nazionalizzate durante il regime comunista e attualmente la maggior parte sono acquisite da multinazionali, pur se la produzione ha mantenuto nomi e gusto

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Piazza Rynek Gtowny

tradizionali. Oggi la produzione polacca di birra è tra i primissimi posti in Europa come quantità e, secondo recenti stime, anche come consumi con circa 100 litri a testa. La vodka si beve ancora, ovviamente, ed è di buona qualità, ma i Polacchi, soprattutto i giovani, preferiscono la birra e ogni occasione è buona per stare fuori, grazie anche alla vastissima gamma di locali che propongono birre locali e internazionali. A Cracovia, in particolare, l’immensa Rynek Gtówny, la Piazza del Mercato patrimonio UNESCO, dominata dalla Basilica di Santa Maria e animata dal Mercato dei Tessuti, bancarelle di fiori e quadri di pittori, è circondata da una cornice di tavolini, quelli dei locali che vi si affacciano e che sono sempre allegramente affollati. I locali sono numerosi in tutta la città e la birra viene servita anche in quelli dentro gli edifici storici, come la Cattedrale di Wawel, chiesa madre dell’Arcidiocesi di Cracovia, famosa per la sua cupola dorata

circondata dai campanili e che ricorda il suo arcivescovo Karol Wojtyla con una statua posta proprio davanti all’ingresso della basilica. Né manca la possibilità di bere un bicchiere di birra andando a visitare gli altri punti storici della città, come per esempio il Museo Czartoryski che ospita la Dama con Ermellino di Leonardo da Vinci. La birra della zona prossima a Cracovia è caratterizzata dall’impiego delle purissime acque dei vicini monti Tatra, dai quali prende il nome un’altra famosa produzione polacca. La più diffusa è la lager, dorata, ricca di bollicine ma senza formare il cappello di schiuma, con un aroma che ha sentore di bacche e un retrogusto secco e amarognolo. La Tatra è ugualmente una lager, di colore più intenso e con un cappello che smonta velocemente, poco aromatica, con un gusto vagamente tostato con tracce di erbaceo. Oltre che in modo tradizionale la birra polacca viene servita anche aromatizzata. Durante la stagione estiva con succo di lampone o di ribes nero, e

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Krakowskie obwarzanki

allora si beve con la cannuccia, e in inverno calda, con cannella, chiodi di garofano e miele. Alcune birre aromatizzate sono anche imbottigliate, prodotte dalle aziende e hanno vari gusti, tra cui caffè e lampone.

Una cucina da birra A Cracovia, come nel resto della Polonia, la cucina internazionale non è diffusa come in altre città europee, tuttavia la gastronomia locale è invitante e varia, con gusti decisi che si abbinano bene con quello della birra. Per cominciare, nei ristoranti viene portato subito lo smalec, una pasta di lardo o bacon con cipolle fritte, eccellente da spalmare sul pane e innaffiare subito dopo con la birra. Numerose le zuppe e i primi piatti, in particolare i pirogi, ravioli di pasta sottile simili a quelli russi, che in Polonia vengono farciti in ogni modo, non escluso il formaggio per la versione dolce. I più popolari sono quelli con la carne, con funghi e crauti e con le immancabili patate che sono l’ingrediente principale della cucina polacca. Si preparano a casa e al ristorante, oppure si acquistano nei negozi specializzati; a Cracovia in agosto c’è la festa dei pirogi con bancarelle che li propongono caldi e

freddi, lessati o fritti, in decine di gusti tradizionali o creativi. Ugualmente famoso è il bigos, una specie di stufato speziato con carne e crauti che viene servito sia nelle scodelle tradizionali sia in scodelle ricavate da una pagnotta svuotata. Al bigos, preparato in molte versioni, si alterna il piatto misto di carni arricchito con una delle numerose e famose salsicce di Cracovia. I dessert non sono da meno per quanto riguarda ricchezza di gusto, un trionfo di panna come la dolcissima kremówka, due strati di pasta farciti da una ricca e candida crema. E per placare un improvviso languore, basta fermarsi a uno dei tantissimi chioschi che punteggiano le piazze e le vie principali della città che vendono le krakowskie obwarzanki, le antiche ciambelle che hanno ispirato i bagels americani.

Piatto carni miste

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Asti, 9-18 settembre 2011

La Douja d'Or porta all'Enofila oltre 500 vini Doc e Docg di tutta Italia

G

randi novità per l’edizione 2011 della Douja d’Or: il Salone di vini selezionati Doc e Docg si svolgerà dal 9 al 18 settembre ad Asti, nella nuova sede a Palazzo dell’Enofila, affascinante sito industriale di fine Ottocento, recentemente riconvertito a centro fieristico. “La Douja d’Or trova finalmente una sede definitiva e dedicata”, dichiara Mario Sacco, presidente della Camera di Commercio di Asti, organizzatrice e promotrice dell’evento attraverso la sua Azienda speciale. Nata come Enopolio nel 1871, per volontà di illustri imprenditori del settore tra i quali Carlo Gancia - l’inventore dello spumante italiano - l’Enofila tornerà alla sua antica vocazione con l’Enoteca permanente della Douja d’Or. Le splendide cantine con volte a botte raccoglieranno di anno in anno il meglio della produzione vinicola di qualità, selezionata dagli esperti dell’Organizzazione nazionale assaggiatori vino (Onav) attraverso il concorso nazionale patrocinato dal ministero delle Politiche Agricole. Giunta alla sua 39a edizione, la competizione ha registrato quest’anno la partecipazione di 1021 vini proposti da 389 aziende: hanno superato le rigorose selezioni 501 vini Doc e Docg rappresentativi dell’intero panorama nazionale. Tra questi spiccano 39 Oscar: vini con punteggio superiore a 90/100, sinonimo d’eccellenza. Dal 9 settembre tutti i vini premi-

ati si potranno degustare ed acquistare alla 45a Douja d’Or, manifestazione che trasformerà Palazzo dell’Enofila in un vero e proprio tempio dell’enogastronomia. Ad accogliere i visitatori ci saranno i “piatti d’autore” cucinati dai rinomati chef astigiani, le “serate d’assaggio” organizzate dall’Onav, dove vini e prodotti tipici delle regioni italiane si incontrano in abbinamenti particolarmente interessanti ed inediti; le degustazioni delle Camere di Commercio del Piemonte e delle associazioni di categoria. Ed ancora la rassegna “Asti fa goal” con le specialità agroalimentari proposte dagli artigiani d’eccellenza. Grande spazio avranno i vini ambasciatori del territorio nel mondo: l’Asti e la Barbera d’Asti Docg. Allestimenti innovativi in un contesto architettonico di pregio offriranno ai visitatori le

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migliori condizioni per conoscere ed apprezzare la storia di questi straordinari prodotti della vitivinicoltura piemontese e le loro intrinseche peculiarità. Spettacoli, attrazioni musicali ed eventi culturali completeranno il programma del Salone. Da non perdere domenica 11 settembre la 38a edizione del Festival delle Sagre, evento unico nel panorama italiano. In mattinata oltre 3000 figuranti - con i loro abiti d’epoca, i trattori e gli attrezzi degli antichi mestieri – daranno vita ad una rappresentazione corale della società contadina tra Otto e Novecento. A seguire il più grande ristorante all’aperto d’Italia, con il ricco menu allestito da 45 pro loco astigiane e due pro loco “fuori porta”: dalla Sardegna, Aglientu, e dalla provincia di Torino, Montanaro. www.doujador.it www.festivaldellesagre.it

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Anteprima 2011 dei vini di Bolgheri

di Davide Amadei

Dalla degustazione sono emerse le caratteristiche del millesimo, in cui l’estate molto calda ha indotto alcol e concentrazione in abbondanza, tannino in alcuni casi un po’ ruvido o non perfettamente maturo, ma elevata acidità a creare equilibrio e bevibilità, grazie alle buone escursioni termiche del mese di settembre che hanno consentito anche complessità e ricchezza di profumi.

V

enerdì 27 e Sabato 28 maggio 2011 al Teatrino di San Guido, all’inizio del Viale dei Cipressi che dall’Aurelia conduce a Bolgheri, si è svolta la grande degustazione in anteprima dei vini prodotti nel territorio della denominazione Bolgheri doc. Il Consorzio, con il suo Direttore Paolo Valdastri, ha organizzato l’evento per la presentazione ai giornalisti di settore delle nuove annate in commercio nel 2011: 23 bianchi (con i vini da vermentino sugli scudi), 8 rosati, 41 Bolgheri Rosso, 28 Bolgheri Superiore e Bolgheri Sassicaia, e numerosi IGT Toscana Rosso di rilievo. Ogni partecipante ha potuto scegliere se effettuare la degustazione palese oppure alla cieca, ed ha assaggiato seduto alla propria postazione, in silenzio e concentrazione, con sei bicchieri a disposizione; il servizio dei vini è stato impeccabilmente curato dai sommelier della Delegazione Le Due Valli della FISAR. Le attenzioni si sono concentrate soprattutto sull’annata 2008 dei Bolgheri Superiore e dei grandi IGT. Dalla degustazione sono emerse le caratteristiche del millesimo, in cui l’estate molto calda ha indotto alcol e concentrazione in abbondanza, tannino in alcuni casi un po’ ruvido o non perfettamente maturo, ma elevata acidità

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a creare equilibrio e bevibilità, grazie alle buone escursioni termiche del mese di settembre che hanno consentito anche complessità e ricchezza di profumi. Di seguito sono elencati e descritti quelli che per chi scrive sono risultati i migliori assaggi, divisi in Eccellenti (con ordine interno di preferenza) e Ottimi (con ordine interno cronologico d’assaggio) tra i 28 Bolgheri Superiore presentati, di cui 22 dell’annata 2008, 4 dell’annata 2007 e 2 dell’annata 2006. Si tratta della trascrizione delle note di degustazione, effettuata rigorosamente alla cieca (erano note solo l’annata e la denominazione) dalle 10.00 alle 12.00 di Sabato 28 maggio 2011. Sono emerse varie conferme: come altre volte, i vini di Bolgheri più eleganti e piacevoli sono risultati quelli di Grattamacco Collemassari, non solo il “tradizionale” Grattamacco Rosso ma anche il “nuovo” e più internazionale L’Alberello; non ha deluso Ornellaia, uscito meglio rispetto all’assaggio alla cieca a MareDiVino il 15 maggio 2011, con grande complessità olfattiva, potenza in bocca ma anche notevole equlibrio; ed è stato “premiato”, come altre volte negli assaggi alla cieca di chi scrive, il San Martino de La Cipriana, dall’olfatto intrigante; grandi vini, poi, i

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La Città di Bolgheri

due dell’azienda I Luoghi di Stefano Granata, originali, equilibrati ed invitanti, capaci, tra l’altro, di valorizzare al meglio le diversità di territorio da cui provengono (Podere Ritorti, più caldo e marino; Campo al Fico, più elegante, sapido e succoso). Un’altra conferma, se così si può definire, riguarda il pioniere e faro della denominazione: come sempre a primavera, dopo poco tempo dall’imbottiglimento, il Sassicaia si presenta nella sua veste giovane e contratta, è chiuso e reticente, sia al naso sia in bocca, pare “muto”; va atteso, affinché possa esprimere le sue enormi indiscutibili qualità di potenza ed eleganza (nell’esperienza personale, ad esempio, la diversità dell’assaggio del 2007 a maggio e a novembre2010 è ben impressa nella memoria). Ma non sono mancate alcune belle sorprese: senz’altro il Sor Ugo di Aia Vecchia, ricco e profondo, davvero una piacevole riuscita; il Bolgherese di Vincenzo Di Vaira, migliore rispetto ad un precedente assaggio, sempre alla cieca, del millesimo 2007; il Guado De' Gemoli di Chiappini, che rispetto al 2007 pare aver registrato l’uso del legno, più misurato e discreto. Più in generale e nel complesso, comunque, ri-

spetto alle incertezze del passato anche recente, possono delinearsi alcuni elementi comuni della denominazione Bolgheri e del territorio che valorizza: il sole è ben presente nel bicchiere, con calore ed alcol, ma anche concentrazione e profondità gustativa; esiste una coerenza di profili olfattivi, con mora e prugna mature, sentori balsamici e note speziate in quasi tutti i vini, note salmastre e di macchia mediterranea in molti prodotti più accattivanti e ricchi; il legno è normalmente presente e percepibile (caffè, tostatura, balsamicità), certamente da assorbire, ma dosato con ponderazione, rispetto agli eccessivi arrotondamenti e alle prevaricazioni di qualche millesimo passato; si ricerca, e spesso si trova, un equilibrio gustativo che crea una inaspettata bevibilità; rari sono diventati i sentori vegetali e varietali, segno, forse, che le vigne cominciano a raggiungere l’adolescenza, se non la maturità. In attesa, poi, dell’entrata in vigore del nuovo disciplinare della doc, che consentirà in particolare la produzione di vini monovarietali (Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot) o da singolo vigneto (cru) indicato in etichetta, i Bolgheri Superiore assaggiati sono tutti assemblaggi, per

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I degustatori al Teatro San Guido

lo più con base Cabernet Sauvignon e normalmente la presenza di Cabernet Franc, particolarmente a suo agio nel territorio di Bolgheri, senza abbandonare quasi mai il Merlot e spesso valorizzando il Petit Verdot: anche l’arte del blending, la capacità di creare complessità ed equilibrio compensando le caratteristiche dei vari vitigni, dei diversi impasti dei terreni e dell’annata, contribuisce a determinare la peculiarità della produzione bolgherese. A tale proposito, fa piacere constatare che spesso nei vini c’è una grande sincerità nel rappresentare i terreni di provenienza, nell’ambito della elevata variabilità tipica della denominazione Bolgheri (come da tempo dimostrato dagli studi di zonazione del Prof. Attilio Scienza, o come oggi descritto dalla carta di Enogea di Alessandro Masnaghetti): in particolare, i prodotti più caldi e salmastri dell’area sabbiosa ad Ovest della via bolgherese, verso il mare; quelli più minerali e quelli più potenti delle zone ricche di scheletro o argillose dell’area a monte della medesima via o della collina; i vini che, grazie alle dislocazioni ed estensioni delle vigne, sanno arricchirsi delle caratteristiche dei vari terreni. Si può dunque ormai parlare di un’identità dei vini di Bolgheri, di un terroir che consente vini ca-

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ratterizzati ed irripetibili altrove, in un contesto in cui la qualità media dei prodotti è decisamente elevata. A tutto ciò ha contribuito e contribuisce il Consorzio, che funziona come pochi altri, nel creare “squadra” tra i produttori – molti presenti personalmente o tramite propri tecnici al Teatrino di San Guido a degustare alla cieca e confrontarsi -, per stimolare la consapevolezza delle proprie potenzialità, anche con eventi di presentazione come l’Anteprima, per creare un’immagine della denominazione Bolgheri che possa portare dovunque le eccellenze del suo territorio. GLI ECCELLENTI Grattamacco Rosso 2008 Grattamacco Collemassari Alla vista si presenta con un bel rosso rubino, non concentratissimo ma vivo ed intenso. L’olfatto è intenso, sfaccettato e preciso: inizialmente prevalgono note tostate, con evidente caffè, ma poi escono eleganti sentori di piccoli frutti rossi maturi, con un nettissimo piacevole anice. In bocca è molto elegante, con un’ottima sapidità ed un finale pulito e ben contrastato, piacevolissimo e quasi rinfrescante, sia pur non lunghissimo (Cabernet Sauvignon 65%, Merlot 20% e Sangiovese 15%).

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Sor Ugo 2008 - Aia Vecchia Naso decisamente complesso che all’inizio ha frutta molto matura, poi si apre su note fresche e floreali, spezie, leggero sentore vegetale elegante, cacao. La bocca è molto ricca, il tannino è tanto e fine, per niente amaro, ha bellissima freschezza in un contesto di piacevole morbidezza e persistenza (Cabernet Sauvignon, Merlot, Petit Verdot e Cabernet Franc). L’Alberello 2008 - Grattamacco Collemassari Molto elegante all’olfatto, con fiori, frutti rossi, note balsamiche fresche; in bocca l’ingresso è rotondo, ha grande equilibrio, il finale è lungo e piacevole, sapido ed invitante (Cabernet Sauvignon 70%, Cabernet Franc 25% e Petit Verdot 5%). Ornellaia 2008 - Tenuta dell’Ornellaia Gran bel naso, molto intenso, nettamente speziato e balsamico, ma anche salmastro, iodato. Al gusto ha tannino di elevata finezza, grande struttura e calore, notevole sapidità, finale lungo e contrastato (Cabernet Sauvignon 54%, Merlot 27%, Cabernet Franc 16% e Petit Verdot 3%). San Martino 2008 - La Cipriana Naso intenso ed elegante, originale, con erbe aromatiche mediterranee, eucalipto, successivamente frutta nera matura; in bocca ha attacco morbido, tannino fine, bel contrasto acido e sapido, notevole materia e persistenza (Cabernet Sauvignon, Petit Verdot ed altri). GLI OTTIMI Millepassi 2008 - Donna Olimpia 1898 All’olfatto ha distinti aromi di ciliegia, marasca, leggera vaniglia, non complesso ma piacevole; successivamente esce un’interessante resina di pino. In bocca è piuttosto elegante, ha buona sapidità e freschezza, emergono leggeri sentori vegetali e, nel lungo e pulito finale, note tostate (Cabernet Sauvignon, Petit Verdot e Merlot). Podere Ritorti 2008 - I Luoghi Bel naso, con note minerali, talco, intriganti sentori di macchia mediterranea (mirto), oliva nera. Rimarchevole l’equilibrio gustativo, con tannino non tanto ma preciso e fine, finale pulitissimo (Cabernet Sauvignon 80%, Cabernet Franc, Merlot e Syrah 20%). Bolgherese 2008 - Vincenzo Di Vaira Colore concentrato, naso intenso su note di legno (spezie dolci, caffè) e balsamiche (mentolato), poi mora e ciliegia nera mature, quasi in confettura; bocca di bell’equilibrio tannini piuttosto fini, senza sensazioni amare, finale fresco

nettamente fruttato, solo leggermente poco persistente (Cabenet Sauvignon 50% e Merlot 50%). Campo al Fico 2008 - I Luoghi Chiuso all’inizio, si apre con sentori balsamici e piacevole frutta rossa matura. In bocca colpisce per rotondità e freschezza, è ben aperto e complesso, con finale molto lungo fruttato e succoso (Cabernet Sauvignon 80% e Cabernet Franc 20%). Guado De' Gemoli 2008 - Chiappini Note di bastoncino di liquirizia, frutti neri maturi, sentori terrosi e vegetali (peperone verde, leggero). Al gusto entra morbido, non cede per tutto l’assaggio, ha bella sapidità, forse manca un po’ di freschezza, nel finale ha alcol e calore, ma c’è grande materia. Fa piacere notare, rispetto al 2007, un uso del legno più misurato e discreto, che crea maggior piacevolezza e bevibilità (Cabernet Sauvignon 80% e Merlot 20%). Tâm 2007 - Batzella Naso elegante, sia pure non complesso, con piacevoli note di china e tamarindo. In bocca è rotondo e piuttosto ricco, ha bella sapidità, ottimo equilibrio, il finale è persistente e pulito (Cabernet Sauvignon 65% e Cabernet Franc 35%). ALTRI Degni di nota sono stati alcuni assaggi, questa volta palesi, di vini ad Indicazione Geografica Tipica. Si tratta innanzitutto di tre vini da Cabernet Franc 100%, da cui è risultata confermata l’impressione spesso avuta della peculiare vocazione del territorio di Bolgheri per questo vitigno anche senza i suoi consueti compagni di assemblaggio: il Dedicato a Walter 2008 di Poggio al Tesoro, con la sua intrigante balsamicità, l’eleganza ed il bell’equilibrio; il Lienà 2008 di Giovanni Chiappini, lunghissimo e sapido, ma soprattutto il Paleo, vino “storico” di Bolgheri che ha contribuito a far grande la denominazione per uscirne e valorizzare il Cabernet Franc in purezza, con una struttura potente, dal tannino finissimo, legno senz’altro da integrare e digerire, ma eccezionale equilibrio e rara persistenza. Infine, una particolare menzione merita il Campo alla Sughera 2007 (Petit Verdot 70% e Merlot 30%, non più, dunque, solo il primo in purezza come alla prima uscita), prodotto top di Campo alla Sughera, che ha colpito con il suo olfatto originale e accattivante, su belle note di rosa, ciliegia, spezie, grande materia ed equilibrio in bocca, con finale sapido, pulito e lungo.

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Vinexpo: già 30 anni da Ufficio Stampa Vinexpo 2011

Che si tratti di importatori, grossisti, dettaglianti, della grande distribuzione come della ristorazione, i buyer di più di 135 paesi hanno partecipato alla manifestazione.

N

ato nel 1981, su iniziativa della Camera di Commercio ed Industria di Bordeaux, il salone Vinexpo si è affermato nel corso delle edizioni come il più grande salone professionale del mondo per gli operatori del settore dei vini e degli alcolici. Si svolge a Bordeaux tutti gli anni dispari e riunisce 50.000 visitatori professionisti provenienti da più di 135 paesi e 2400 espositori in rappresentanza di 47 paesi produttori. Parallelamente, tutti gli anni pari, la Vinexpo Overseas, filiale di Vinexpo, organizza i salo-

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ni Vinexpo Asia-Pacific o Vinexpo Americas. Nel 1998, la prima edizione di Vinexpo Asia­Pacific si è tenuta a Hong-Kong, seguita nel 2000 e 2002 da due edizioni a Tokyo. Vinexpo Americas si è svolta nel 2002 a New-York e nel 2004 a Chicago. Dal 2006, Vinexpo Asia­Pacific si tiene a Hong-Kong ogni due anni ed è diventato un salone imperdibile in Asia. Prossimo appuntamento: dal 29 al 31 maggio 2012. La Francia, con una superficie di 25.450 m2, resta il principale paese espositore.

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Al Vinexpo erano presenti tutte le regioni francesi produttrici di vino. La regione Bordeaux­Gironde è al primo posto quanto a superficie con quasi 8.200 m2 sui quali saranno degustati dei Pauillac, dei Margaux, dei Saint-Emilion, dei Bordeaux, dei Sauternes, come pure il complesso dei vini delle 57 denominazioni bordolesi. La Champagne batte il suo record dì rappresentatività spaziando su 3.000 m2 di stand, e si colloca in seconda posizione, seguita dal Languedoc Roussillon et dalla Borgogna. Gli altri 46 paesi occupano il 36,3% dei 40.000 m2 di superficie espositiva netta. Con più di 4.800 m2 di superficie prenotata (con un aumento del 20% rispetto al 2009!), l’Italia è il secondo paese più rappresentato al Vinexpo, davanti alla Spagna (3.500 m2). A seguire il Portogallo, il Cile, l’Argentina, la Germania, gli Stati Uniti. Nel 2009, sono state consumate nel mondo più di 31,5 miliardi di bottiglie di vino Il consumo mondiale di vino d’uva (vini fermi + vini frizzanti) ha raggiunto 2,626 miliardi di casse nel 2009, cioè l’equivalente di 31,51 miliardi di bottiglie, con un aumento del 4,5% rispetto al 2005. Per il 2014, il consumo mondiale di vino continuerà ad aumentare Tra il 2009 e il 2014, lo studio VINEXPO/The Iwsr prevede un aumento moderato del consumo mondiale di vino del 3,18 %, fino a raggiungere i 2,729 miliardi di casse. In 10 anni, il consumo mondiale di vino aumenterà

quindi dell’8,6%, cioè 216 milioni di casse. La crescita mondiale del consumo è sostenuta da 3 paesi trainanti: Stati Uniti, Cina e Russia Tra il 2010 e il 2014, il consumo di vino fermo progredirà di 72,90 milioni di casse da 9 litri (+2,98%). Circa tre quarti di questa crescita (73,38%) si realizzerà su 3 mercati: gli Stati Uniti (+26,94 milioni di casse), la Cina (+20,76 milioni di casse) e la Russia (+5,53 milioni di casse). I vini frizzanti continuano la loro ascesa Nel 2010, rappresentavano il 7,4% del consumo mondiale ed il loro consumo dovrebbe crescere del 5,61% (contro 2,98% per i vini fermi) entro il 2014 raggiungendo 207 milioni di casse da 9 litri. Il Fatturato mondiale Al dettaglio (tasse incluse) il fatturato del vino aumenta due volte più rapidamente del consumo in volume. Il fatturato realizzato dalla vendita di vino (prezzo al consumatore) ha raggiunto 183,105 miliardi di dollari (US) nel 2009, in crescita del 9,25% rispetto al 2005 mentre, nello stesso periodo, la crescita del consumo in volume dei vini fermi era del 4,2%. Una bottiglia su 4 consumata nel mondo è di “vino importato” Nel 2009, il 25,55% dei volumi di vino fermo consumato nel mondo era di vino importato (+9,31% rispetto al 2005). Per il 2014, il consumo di vino importato rappresenterà 667 milioni di casse (+5,54% rispetto al 2010) cioè il 26,44% del consumo mondiale.

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Vinexpo 2011: FISAR protagonista a Bordeaux

di Roberto Rabachino

Al Vinexpo 2011 di Bordeaux, oltre alla rivista Il Sommelier, sono presenti i sommelier FISAR a servizio negli stand istituzionali di Toscana Promozione e della Camera di Commercio di Asti.

N

ella manifestazione più importante e prestigiosa del mondo, davanti a buyer e personalità provenienti da 135 paesi e giornalisti provenienti da 87 stati, Anna Paola Coppi, Maria Pia Gori, Leonardo Finetti e Stefano Alessi hanno prestato servizio, con eleganza e professionalità, negli spazi istituzionali di Toscana Promozione e della CCIAA di Asti. Parole di apprezzamento sul loro operato da parte di tutti e principalmente dal Direttore settore Vini dell’Istituto Commercio Estero (ICE) Stefano Raimondi, da Mario Sacco Presidente CCIAA di Asti, dal Dirigente dei servizi promozionali di Toscana Promozione Paolo Ignesti, dagli organizzatori e dalle numerose aziende italiane presenti. Per la prima volta a Bordeaux era istituzionalmente presente la rivista Il Sommelier che, insieme

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alla brochure preparata in tre lingue dalla FISAR, veniva distribuita nelle otto postazioni dedicate alla stampa estera. Anche il famoso enologo francese Michel Rolland, sfogliando la rivista, si è complimentato e si è reso disponibile per una lunga intervista che sarà pubblicata su un prossimo numero de "Il Sommelier". Identici complimenti dal Prof. Attilio Scienza, noto luminare del mondo enologico, da Fabio Carlesi, segretario generale dell’Enoteca Italiana e da Giuseppe Martelli, direttore di Assoenologi. Presenti a Bordeaux anche la Consigliere Nazionale FISAR Claudia Marinelli, il Delegato FISAR di Roma Filippo Terenzi, il Direttore della rivista Il Sommelier, il Concessionario pubblicitario della rivista Paolo Alciati e numerosi sommelier FISAR con le insegne associative tra i quali Davide Cecio di Livorno.

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esenti a Vinexpo

r pr I nostri Sommelie

2011

Massimo GuascPres. CCIAA Asti Mario oni Pres. CCIA S A Siena e Fabacco, Rabachino io Carlesi - Eno teca Ital

iana

Maria Pia Gori allo st

and della CCIAA

Stefano Raimondi E C 'I ll de i in V e or Il Direttore sett e Nazionale Claudia Marinelli li con il Consig er

po 2011

stribuita al Vinex

melier“ di La rivista "“Il Som Roberto Rabachino con

l ‘enologo francese Mich

el Rolland

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In questo numero ripercorriamo la Valle d’Aosta, la Liguria e la Sardegna.

Valle d'Aosta

Peculiarità, storie e personaggi saranno raccontati da Silvana Delfuoco (Valle d’Aosta) Virgilio Pronzati (Liguria) e Gilberto Arru (Sardegna)

Liguria

Sardegna 32

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Terrazzamenti, gradoni, su su, sempre più in alto fino ai mitici 1200 metri che regalano alla Valle d’Aosta il titolo di “vigneto più alto d’Europa”.

P

erché la sua bellezza la rende “degna di un re”. Così i Valdostani spiegano l’etimologia del nome Valdigne, la prima, maestosa, vallata attraversata dalla Dora Baltea nella sua discesa dal Monte Bianco verso sud. La sinistra orografica del fiume ospita le vigne che, dal fondovalle, si inerpicano pazienti sulla montagna. Terrazzamenti, gradoni, su su, sempre più in alto fino ai mitici 1200 metri che regalano alla valle d’Aosta il titolo di “vigneto più alto d’Europa”. Come succede per tutti gli eroi eponimi che si rispettano, anche sulle origini del vitigno Priè-biotipo Blanc de Morgex, unico padre riconosciuto del Valle d’Aosta D.O.C. Blanc de Morgex et de La Salle, fioriscono le leggende. Autoctono secondo i più, passato attraverso secolari selezioni naturali, racconta invece una tradizione locale

che sarebbe arrivato qui nel XVII secolo, portato da coloni del Vallese venuti a ripopolare la valle dopo una pestilenza. Qualunque sia stata la sua provenienza, la vera particolarità di questo solido vitigno sta nelle sue caratteristiche. Innanzi tutto, la rapidità con cui compie il suo ciclo vegetativo, dal germogliamento tardivo, che lo preserva dalle gelate invernali, alla maturazione anticipata, che permette di completare la vendemmia prima dell’arrivo della neve, da queste parti piuttosto precoce. Inoltre, ottima è la sua resistenza alle malattie crittogamiche, grazie alle particolari condizioni climatiche della zona; persino la temibile filossera non è riuscita a intaccare le viti, che sono tuttora a “piede franco”. Qui si utilizza infatti ancora l’antico sistema detto delle “propaggini”: in primavera viene interrato un germoglio di vite

Valle d'Aosta

di Silvana Delfuoco

speciale

Il vino più alto d’Europa

senza staccarlo dalla pianta madre fino all’autunno, quando la nuova piantina ha ormai messo sicure radici autonome. Un’uva forte e vigorosa, cresciuta in modo così spartano come questa, non può certo tollerare una vinificazione che ne alteri le caratteristiche. Alla Cave du Vin Blanc de Morgex et de La Salle si cerca quindi di intervenire, come loro stessi assicurano, “solo lo stretto necessario” pur nel rigoroso rispetto del protocollo enologico, per permettere che le diversità dei piccoli vigneti dei soci possano esprimersi nella loro pienezza. La produzione dei vini bianchi non si limita dunque al più, giustamente, famoso Blanc de Morgex e de La Salle D.O.C., ma comprende anche il Rayon, i Vini Estremi, e La Piagne, prodotto a 1050 metri all’interno dell’unico clos (vigneto circondato da muri) del comprensorio.

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Valle d'Aosta speciale

Un “vino speciale” assai sorprendente Una realtà ormai consolidata della Cave è la produzione dello speciale Chaudelune, un intrigante vino da meditazione ottenuto dalla vendemmia invernale, che vanta ormai quindici anni di vita. Ne parliamo con il Presidente della Cave du Vin Blanc, Mauro Jaccod. Gli abbiamo chiesto come secondo lui si può collocare un vino così particolare nel panorama europeo degli altri “ vini del ghiaccio”. “Mi è difficile rispondere a questa domanda, in quanto le differenze che portano al prodotto finale sono veramente tante – è stata la sua risposta immediata- Il suo successo è anche un riconoscimento per i viticoltori che, con non poche peripezie, portano le uve Prié nelle condizioni ottimali in mesi invernali proibitivi”. Jaccod ha subito chiarito la sua affermazione entrando più nello specifico della natura dello Chaudelune:

“Caso unico il vitigno, un franco di piede autoctono. Caso unico il sistema di allevamento, pergola bassa. Anche il protocollo di vinificazione e fermentazione, che si rifà a esperienze di vendemmie gelate risalenti al 1816, non mi risulta sia adottato in altre produzioni di questo tipo. Se poi vogliamo aggiungere la variabilità delle condizioni atmosferiche delle singole stagioni, che contribuiscono a creare complessità aromatiche diverse per un diverso prodotto finale, non è difficile capire come lo Chaudelune sia davvero un vino a sé stante, sicuramente originale”. Un invito alla prova a cui è impossibile sottrarsi!” Ma le sorprese non si fermano qui. La Cave du Vin Blanc è l’unica azienda in Valle d’Aosta a produrre spumante metodo classico a denominazione d’origine, le famose “bollicine dei ghiacciai”. E siccome tutto questo, evidentemente, non

basta a chi è abituato a camminare in salita, l’imprenditoria vinicola valdostana ha cercato una vetta ancora più alta da scalare… Le “bollicine” più alte d’Europa adesso esplodono a un passo dal cielo. Una cantina sperimentale è stata realizzata a 2590 metri d’altitudine, per poter studiare gli effetti della spumantizzazione in quota: questo il progetto che dal 2008 sta portando avanti la società consortile “4000mètres Vins d’Altitude”. Nato dalla collaborazione della Cave du Vin Blanc de Morgex et de la Salle con la Coopérative de l’Enfer e La Crotta di Vigneron, validamente sostenuto dalle Guide di Courmayeur e dalla Società Guide Monte Cervino, questo laboratorio sperimentale è stato inaugurato nel settembre del 2008 presso il Rifugio “Franco Monzino” nel gruppo del Monte Bianco. Così l’anno successivo il 20 luglio 2009 un gruppo di alpinisti, composto dai rappresentanti delle cantine dei Consorzi oltre che dalle guide di Courmayeur e del Cervino, hanno stappato, anzi “sciabolato”, in quota la prima bottiglia di brut “Cuvée des Guides”. Dopo questa prima fase, dove gli sforzi di tutti i partecipanti si sono soprattutto concentrati nella comunicazione del

La coltivazione eroica in Valle d'Aosta

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speciale

Valle d'Aosta

Vigneti di Fumin

progetto per rafforzare il legame vino-montagna, il Consorzio “4000metrès” sta oggi valutando la possibilità di nuove interpretazioni delle bollicine valdostane. Ce ne parla ancora Mauro Jaccod:

“È stato reintrodotto il metodo Ancestrale per la presa di spuma di alcuni vini che mi auguro possano incontrare lo stesso favore di pubblico e di critica di Fripon e Refrain, i nostri spumanti “top”. Detto ciò, non sono ancora stati definiti

tempi dell’intera operazione, ma le “sciabolate” in quota potrebbero anche ripetersi presto sulle montagne valdostane”. E noi ci auguriamo che sia davvero così: siamo già prenotati per assistere, anche noi in diretta, alla prossima!

Speciale Valle d'Aosta a cura della redazione di Quality ADV

Maison Vigneronne Frères Grosjean Dal 1781 da Fornet, piccolo villaggio della Valgrisenche, ormai sepolto dall’acqua della diga di Beauregard, scendevano i nonni materni fin qui ad Ollignan per rifornirsi del vino e delle castagne per superare i lunghi inverni montani; fu poi nel 1969, stimolato dall’amico Pino Albaney, che Papà Dauphin iniziò a imbottigliare il proprio vino per presentarlo alla “II exposition des vins do Val d’Aoste”; fu proprio questa fiera che stimolò l’iniziativa che portò l’azienda dai 3.000 mq. di vigneto agli attuali 10 ettari, coinvolgendo nell’attività i 5 figli. L’azienda è situata sul confine dei Comuni di Quart e Saint Christophe. Vini prodotti: Torrette, Torrette Superieur, Gamay, Prëmetta, Mayolet, Cornalin, Pinot Noir, Fumin, Petite Arvine, Pinot Gris, Muller Thurgau, Muscat Petit Grain, Gewurztraminer. Le tecniche colturali sono profondamente legate al rispetto dell’ambiente ed è dal 1975 che non vengono effettuati trattamenti insetticidi e acaricidi e le concimazioni vengono effettuate rigorosamente con concimi di origine organica. Siamo in attesa della certificazione biologica. MAISON VIGNERONNE FRÈRES GROSJEAN S.S. Fraz. Ollignan, n.1 - 11020 Quart (AO) - Tel. e Fax 0165 775791 - www.grosjean.vievini.it - grosjean@vievini.it

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Valle d'Aosta speciale

I vini della Valle d’Aosta, dove il territorio è sinonimo di qualità di Silvana Delfuoco

Quando è la natura stessa a mettere in difficoltà l’esistenza umana, la scelta è obbligata: non contrastarla con una lotta vana ma, nei limiti del possibile, assecondarla per farne una alleata.

C

osì è accaduto in Valle d’Aosta, almeno nel campo dell’agricoltura e, in particolare, della viticoltura. Un territorio orograficamente “difficile”, attraversato per tutta la sua lunghezza dalla Dora Baltea, che scorre nel fondovalle tra terreni in pendenza protesi verso le cime delle Alpi, non poteva che lottare strenuamente da sempre per la propria sopravvivenza. A partire dagli anni ’60 del secolo scorso, la Regione ha scelto di investire cospicue risorse per il recupero e lo sviluppo delle coltivazioni. Reimpianto dei vigneti, risco-

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perta e tutela dei vitigni autoctoni, potenziamento delle Cantine Cooperative: fatiche intense ma anche ben calibrate che hanno dato i loro frutti. Negli anni ‘71/72 c’è stato il riconoscimento delle prime due D.O.C. Donnas e Enfer d’Arvier, confluite poi, nel 1985, nella prima D.O.C. territoriale italiana, la Valle d’Aosta o Vallée d’Aoste DOC, che oggi vanta sette sottodenominazioni di area e quindici di vitigno. Una D.O.C. che ne vale sette! Conosciamole allora un po’ più da vicino, queste sette sottodenominazioni che stan-

no dando grandi soddisfazioni non solo all’economia della Valle ma anche a tutto il mondo dell’enologia italiana. Presso le Caves Cooperatives de Donnas, a pochi chilometri dal confine con il Piemonte, si trova il Vallée d’Aoste Donnas Doc, “fratello montano del Barolo”, come è stato brillantemente definito, che nasce da uve nebbiolo all’85%. L’altro “figlio primogenito” della D.O.C. valligiana, il Vallée d’Aoste Enfre-Arvier Doc, intenso rosso di montagna, dal vitigno autoctono petit rouge all’85%, si può invece assaggiare alla Coopérative de l’Enfer, nel comune di Arvier.

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speciale

Valle d'Aosta

Certo può sembrare un fatto

D’altra parte, come è logico

molto apprezzato, secondo le

singolare che i primi vini dive-

che sia in una terra di lunga

leggende, nientemeno che da

nuti Doc della Vallée siano sta-

tradizione agricola, i vini rossi

Ponzio Pilato per la sua buona

ti dei rossi, visto che stiamo

sono da sempre fondamen-

parlando della realtà produtti-

tali soprattutto nel consumo

vigoria e le calde sensazioni

va vinicola più alta d’Europa,

familiare. Dalla loro area di

con le vigne di prié blanc an-

produzione più vasta, gli Onze

cora a “piede franco” a 1200

Communes, che hanno la loro

metri d’altezza, appena sotto

sede nella Cave di Aymavilles,

il massiccio del Bianco! Da

arriva dunque il rosso più dif-

di una delle zone più siccito-

queste uve proviene infatti il

fuso e conosciuto, il Vallée

se della Valle, produce anche

vino valdostano che tutti ben

d’Aoste Torrette Doc, morbi-

il Vallé d’Aoste Chambave

conoscono, il Vallée d’Aoste

do e vellutato, tutto vinificato

Rouge D.O.C., un rosso sec-

Blanc de Morgex et de la sal-

da vitigni autoctoni (petit rouge

co sapido e armonico, petit

le Doc, delicato bianco secco

al 70%,), esiste ora anche nel-

rouge al 70%. Di queste due

dai sentori di erbe d’alta quo-

la versione Bio. E nella Bassa

ta, ora anche nella versione

Valle, presso la cooperativa

denominazioni

“bollicine dei ghiacciai”. Oggi

La Kiuva di Arnad, troviamo

lo si può degustare, con visita

un altro rosso a base neb-

su prenotazione alla cantina e

biolo, il Vallée d’Aoste Arnad-

ai vigneti “più alti d’Europa”,

Montjovet Doc prodotto dai

alla Cave du Vin Blanc de

viticoltori dei sette paesi circo-

ni dello zabajone, e il Vallée

Morgex et de La Salle che si

stanti. Invece il Vallée d’Aoste

d’Aoste Nus Malvoisie D.O.C.,

trova a Morgex, poco lontano

Nus Rouge D.O.C., a base

un bianco secco a base pinot

da Courmayeur.

vien de Nus per il 50%, già

gris gradevole e armonico.

alcoliche, si trova alla Crotta di Vegneron di Chambave. Questa cooperativa, nata con lo scopo di valorizzare i vini

esiste

an-

che la variante vino bianco: il Vallée d’Aoste Chanbave Muscat D.O.C. particolarmente indicato nelle preparazio-

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Valle d'Aosta speciale

Bistrot La Bonne Étape: il futuro ha un cuore antico di Silvana Delfuoco

Paolo Vai, pluristellato chef del mitico Cheval Blanc di Aosta fino agli anni novanta, non ha resistito alla pensione e ha scelto di riprendere quello che lui stesso ha voluto definire il suo ”percorso di crescita”, ripartendo da questa semplice e bella locanda ai piedi del fascinoso Château di Saint Marcel.

“L’

ho chiamato Bistrot perché la nostra cultura è anche francese e in francese il significato della parola è chiaro: una buona cucina di tradizione a un prezzo contenuto. E La Bonne Étape perché è il nome del mio primo “due stelle” quando lavoravo a Châteaux Arnoux, vicino a Sisteron – il mio interlocutore sorride, sull’onda dei ricordi- prima, molto prima dei miei anni allo Cheval Blanc… “ Siamo a Località Surpian, minuscola frazione di Saint Marcel,

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quasi al centro della Valle. Piacevolmente seduti nel dehors della bella locanda da cui Paolo Vai ha deciso di ripartire per la sua avventura nel mondo della ristorazione valdostana, ascoltiamo il suo racconto. Dall’alto dei suoi settantunanni tranquillamente dichiarati (“il

mio amico Gualtiero Marchesi ne ha più di me e continua a fare progetti: devo pur stargli dietro…”), ci parla con entusiasmo di questa sua nuova creatura, che compirà due anni il prossimo settembre. “In realtà non mi sono mai fermato, da quando ho lasciato le cucine dello Cheval Blanc, nel ’93. Ho fatto esperienze diverse, sia qui in Valle che fuori, finchè il fascino di questo posto mi ha convinto a fermarmi di nuovo. Provi a guardarsi intorno: qui c’è un’anima diversa, che gli altri posti della Valle, secondo me, non

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Ricetta di Paolo Vai Ingredienti per 4 persone 400 gr. di fontina 200 gr. di latte 4 tuorli d’uovo profumo d’aglio Preparazione Prendere una casseruola o un bagnomaria e sfregare il fondo con l’aglio. A parte, tagliare a cubetti la fontina e metterla a

mollo nel latte per due ore circa. Versare quindi nella casseruola il latte con la fontina e farla fondere (questa operazione può essere fatta a bagnomaria, o sulla piastra); aggiungere i tuorli d’uovo, facendo attenzione che non attacchino sul fondo e che si incorporino fino a raggiungere la giusta consistenza, cioè una buona cremosità. La Fonduta può essere

essere prima di tutto come piace a me! Noi in Italia abbiamo una fortuna unica al mondo, una cucina stupenda per ricchezza e varietà: perché allora perdere tempo a scimmiottare altre esperienze? Ma forse parlo così perché sono vecchio…” Dal guizzo ironico del suo sguardo davvero non si direbbe. “Venga con me a visitare la cucina – Paolo Vai si alza e mi invita ad entrare – Voglio presentarle mia figlia e mio genero. In realtà sono loro che conducono il ristorante e io li sto accompagnando in questa loro avventura… Perché io, ormai…”

Valle d'Aosta

La Fonduta Valdostana

a comprarli i Doria, gli armatori genovesi, per riempirne le cambuse delle loro navi? E poi ci saranno le nostre patate rosse, e altro ancora… tutti prodotti autoctoni che potranno essere acquistati dai turisti, oltre che, s’intende, utilizzati per la cucina del Bistrot”. Già, la cucina! La ragione vera della nostra visita! Come è lo stato di salute della ristorazione valdostana? “Mi pare che in giro ci sia molta confusione, e certo non soltanto da queste parti: creativa, molecolare… Io mi sento molto legato alle mie tradizioni; quando lavoro, devo sempre assaggiare, e il risultato deve

speciale

hanno…” E mentre parla, abbraccia con un gesto circolare il panorama che ci circonda: campi ordinati e tranquilli, poche case raggruppate come in una cartolina d’altri tempi, un castello che sembra fatto a misura del borgo che domina da una piccola altura. “Ora nel castello c’è ancora una stalla, pensi un po’! Ma la ristrutturazione è già in progetto, e allora ci saranno altri cambiamenti -sorride di nuovo- Anch’io sto pensando al mio futuro! Qui davanti nascerà un orto, con prodotti tipici della Valle. Lo sapeva che i nostri fagioli sono così buoni che già nel ‘500 venivano qui

servita con uno sformato di verdura (ottimo quello di cavolo), con una buona polenta, o con semplici crostini. Portatela a tavola nei fornellini della “bagna caoda”.

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Valle d'Aosta speciale

Un prodotto unico: il Lardo di Arnad di Silvana Delfuoco

Formaggi a parte, la Valle d’Aosta riserva altre sorprese.

N

on ha certo bisogno di presentazioni il Valle d’Aosta Lardo d’Arnad D.O.P., anche lui frutto di tradizioni secolari. Ne parla un documento inventariale conservato nel Castello che sovrasta il borgo di “Ville”, l’antico centro di Arnad, testimoniando fin dal 1763 la presenza di quattro doïl, i contenitori in castagno utilizzati per la tradizionale stagionatura in salamoia. A creare la sua tipicità sta soprattutto l’uso sapiente degli aromi di montagna. Ancora oggi, infatti, il rosmarino, il lauro, la salvia e tutte le altre erbe necessarie vengono coltivate e raccolte nel territorio della Bassa Valle. Basti pensare che la sola Azienda Bertolin, riconosciuto leader nel settore, produce direttamente sette quintali di rosmarino l’anno, eseguendo poi manualmente tutta la fase di pulitura degli aromi. La Chiesa di S. Martino ad Arnad

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uva passa o martin sec sciroppati, per esaltarne il sapore grazie all’abbinamento dolcesalato. Infine, un’autentica chicca è l’olio di noce, ritornato di moda da quando la scienza medica ne ha riscoperto l’utilità nella prevenzione delle malattie degenerative cardio-vascolari. “Lo produceva già per uso domestico all’inizio del secolo

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Valle d'Aosta

scorso mio nonno François Peaquin- ci ha raccontato Marilena Bertolin, mostrandoci con orgoglio il suo piccolo laboratorio di lavorazioneCosì, da qualche anno ho deciso di recuperare la ricetta di famiglia e iniziarne una piccola produzione artigianale, con l’unica variante della spremitura a freddo. Con l’olio di noce oggi si possono condire verdure grigliate, insalate fresche e si impreziosiscono salumi e insaccati”. È nato così il “Dinus Donavit”-

speciale

Ed è proprio Marilena Bertolin che ci presenta altri prodotti tipici valdostani, non sempre conosciuti nel resto d’Italia. Il suo “Scrigno dei Sapori”, una sorta di boutique gastronomica che si trova nei pressi di Arnad, all’inizio della Valle, funziona infatti come una sorta di benvenuto o di arrivederci per il turista in transito. Lì è possibile acquistare, oltre alla gamma completa del marchio Bertolin, un vasto assortimento di prodotti esclusivi di grandi e piccoli produttori valdostani. Dai pregiati vini D.O.C., ai formaggi D.O.P., alle castagne, ai frutti di bosco, ai dolci artigianali, ai liquori alle erbe di montagna… Qui, per esempio, abbiamo scoperto i Boudin, (sanguinacci o salami di patate), a base di patate bollite, cubetti di lardo, un ottimo conservante naturale come le barbabietole rosse, spezie, vino e sangue bovino o suino. Una volta insaccati in sottili budelli naturali, vengono lasciati essiccare appesi per circa due settimane prima della consumazione. Specialità esclusiva valdostana meno nota ai più è poi lo Teteun, ottenuto dalla salmistrazione delle mammelle bovine attraverso una complessa lavorazione totalmente artigianale. Si consuma generalmente condito con una salsa a base di prezzemolo, olio e aglio, accompagnato con marmellate di fichi o lamponi,

Olio di noce spremitura a freddo, realizzato con la collaborazione attiva dei valligiani che ogni anno conferiscono all’Azienda Bertolin le noci, di cui si trascurava ormai da tempo persino la raccolta. Per aiutarci a non dimenticare che la saggezza dei vecchi ha ancora molto da insegnare a chi sa farne tesoro.

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Valle d'Aosta

Valle Aosta, sinonimo di Fontina

speciale

di Silvana Delfuoco

Un prodotto e una cultura che identifica un territorio e non solo.

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ire “Fontina” e pensare “Valle d’Aosta” è così ovvio da sembrare quasi banale. Ma tutt’altro che scontato, invece, è l’incontro con questo formaggio, la Valle d’Aosta Fontina D.O.P., prodotto simbolo del territorio, talmente ricercata da doversi continuamente difendere dai tentativi di imitazione. Divenuta D.O.P. con

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Regolamento n° 1107/1996 dell’Unione Europea, le origini della Fontina valdostana si perdono nella notte dei tempi. Tecniche di lavorazione, caratteristiche e proprietà organolettiche sono comunque codificate da secoli, se già nel 1496 le troviamo annotate con grande precisione dal medico vercellese Pantaleone da Confienza nella sua Summa lacticiniorum, il più antico trat-

tato finora conosciuto sul latte e sui latticini. Come, dove e…perché! Al latte, vaccino fresco di una sola mungitura, viene addizionato caglio di vitello, lavorando quindi il tutto rapidamente fino ad ottenere la coagulazione. La cagliata che ne risulta viene messa nelle forme, pressata, lasciata asciugare e rivoltata più volte per procedere infine alla stagionatura, possibilmente in ambienti naturali, per almeno tre mesi. I prati su cui pascolano le mucche delle tre razze autoctone, Pezzata Rossa, Pezzata Nera e Castana, sono ricchi di essenze di erbe spontanee dai sentori diversi, che variano a seconda della stagione e dell’altezza: questa è la terra, non dimentichiamolo, dove ci sono i pascoli più alti d’Europa! A tutela del consumatore

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speciale

Valle d'Aosta

opera nei pressi di Aosta il Consorzio Produttori e Tutela della D.O.P. Fontina, costituito fin dal 1957 come Consorzio Produttori Fontina. Qui ogni

formaggio viene marchiato con il numero progressivo del prodotto e quello identificativo del socio- produttore. I numeri sotto il cinquecento stanno a

indicare le Fontine di alpeggio prodotte nei mesi estivi; gli altri, quelle fatte col latte invernale o di animali comunque allevati in stalla. Studi recenti hanno rilevato nella Fontina d’Alpeggio la presenza di acidi grassi insaturi Omega 3 e Omega 6, i nemici del famigerato colesterolo, e la totale assenza di glutine, che la rende quindi un prodotto adatto anche ai celiaci. La sua versatilità in cucina (fonde molto bene già a 60°) permette infine il suo utilizzo su molti fronti: dai rinomati piatti della tradizione ai semplici toast casalinghi.

La fonduta

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speciale

Liguria

Il Ristorante Zeffirino di Genova: la storia della famiglia Belloni di Virgilio Pronzati

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icuramente, il ristorante genovese più popolare all’estero è “Zeffirino”. Una notorietà meritata, acquisita con oltre mezzo secolo d’attività. La famiglia Belloni originaria del Modenese e approdata a Genova negli anni Quaranta, dove rilevò un’osteria con cucina che, proponendo semplici ma gustosi piatti, in breve tempo si affermò tra i buongustai. Ma a dare un col-

po di timone all’attività ristorativa, è stato Zeffirino che con la moglie Olga, rilevando un locale nella centralissima via XX Settembre nel cuore della città, ha dato inizio all’ascesa dell’omonimo ristorante. Sotto la loro guida, i figli Luciano, Gian Paolo, Odino, Alberto e Giorgio acquisiscono in fretta il mestiere di famiglia. Luciano in sala e P.R. di casa, Alberto al bar, Odino, Giorgio e Gian

Paolo in cucina. Quest’ultimo, primo di cinque figli, da sfogo al suo estro, coniugando tradizione e intelligenti innovazioni, creando piatti di raffinata matrice. Nel contempo, suo fratello Luciano, da ulteriore lustro e notorietà al locale, creando il Guanto d’Oro. Un trofeo col quale Luciano, nell’arco di un ventennio ha premiato

Le cruditè di Zeffirino

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ValleLiguria d'Aosta

speciale speciale

Interno del Ristorante Zeffirino di Genova

decine e decine di grandi pugili, tra cui Arcari, Benvenuti, Griffith e Hagler. Negli anni successivi,

Gian Paolo acquisendo tecniche ed esperienze diverse, mantenendo però rigore nella scelta delle basi che danno origine a piatti con pasta rigorosamente fatta in casa, fresco pescato, carni piemontesi e salumi emiliani. Oltre ai buongustai, compare tra i clienti qualche volto noto. Poi è tutto un crescendo. Frank Sinatra, Roger Moore, Alberto Sordi, Gina Lollobrigida, Sofia Loren, Liza Minelli, Luciano Pavarotti, Cassius Clay, Sandro Pertini, Papa Wojtyla ed altri personaggi di notorietà mondiale. Ormai il ristorante è famoso. Alcuni locali situati in tre continenti diversi, portano il nome di Zeffirino. Lo stesso per Gian Paolo: nei grandi eventi gastronomici internazionali non manca mai.

Il Maestro Luciano Pavarotti

Incontro con SS. Benedetto XVI

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Liguria speciale I Mandilli al pesto

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Spesso è chiamato come ospite d’onore e chef, da statisti ed attori. Alcuni anni fa, in occasione del battesimo ufficiale del suo nuovo locale rivierasco “La Cucina di Gian Paolo” nella solare Pieve Alta, Gian Paolo Belloni è stato nominato Ambasciatore dello Stoccafisso di Norvegia.

Pesto alla genovese di Zeffirino

Un riconoscimento che per la prima volta, è stato assegnato ad uno chef italiano. A conferirgli la targa, il dr Arne Gjermundsen Ministro Consigliere della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma, con le seguenti motivazioni: “Per noi è un piacere e un onore dare questo riconoscimento a Gian Paolo Belloni, perché attraverso la sua cucina rappresenta perfettamente l’essenza dello Stoccafisso, un prodotto che nella sua unicità riesce ad essere talmente versatile da sposarsi perfettamente con le tradizioni culinarie locali di molte regioni italiane e da essere interpretato in chiave sempre moderna e innovativa”.

Gr. 30 di formaggio pecorino stagionato grattugiato

Ingredienti per 6 persone 12 piccoli mazzi di basilico genovese 4 spicchi d’aglio Gr. 80 di pinoli Gr. 70 di formaggio parmigiano grattugiato 2 dl di olio di oliva Sale grosso q.b. Gr. 300 fagiolini Gr. 300 patate tagliate Procedimento: Lavare minuziosamente il basilico e farlo asciugare senza strizzarlo, mettere sale, pinoli e aglio nel mortaio e cominciare a pestare. Aggiungere il basilico e amalgamare bene ogni cosa. Aggiungere il formaggio e l’olio di oliva. Il composto apparirà come una salsa verde chiaro. Cuocere la pasta con le patate tagliate e i fagiolini e a fine cottura condire con il pesto e un cucchiaio d’acqua della cottura stessa per ogni persona.

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Speciale Liguria a cura della redazione di Quality ADV

Azienda Agricola Cascina Nirasca

Azienda Gualtieri

Costituita nel 2003, produce circa 30.000 bott. di vini doc della Liguria. Quattro ettari di vigneto quasi interamente coltivati ad Ormeasco, gestiti direttamente: ogni passaggio della filiera produttiva viene meticolosamente controllato, la vinificazione si avvale di tecniche all'avanguardia senza dimenticare la tradizione e rispettando al massimo il fattore natura. In questo piccolo lembo di Liguria si producono vini piacevoli, profumati, decisi... ma soprattutto molto tipici, legati al territorio, dove coltivare é difficile, certe volte quasi una scommessa; vigne in montagna, meccanizzazione del lavoro inesistente, difficoltà di ogni genere non impediscono la riuscita di un ottimo prodotto. L'Azienda produce anche Ormeasco Sciac-trà, Ormeasco Superiore, Vermentino e Pigato Riviera Ligure di Ponente e Senso (vdt rosso 65% syrah e 35% sangiovese).

La nostra azienda, a conduzione familiare, nasce nel 2005 con l'impianto di vigne nuove nei soleggiati terreni della Colombera e con vigneti già in produzione riuscendo a produrre per l'annata 2006 circa 4.000 bottiglie. Attualmente la produzione si aggira sulle 8.000 bottiglie di cui 700 di Ormeasco Sciac-trà; 8oo circa di Ormeasco Superiore e le rimanenti di Ormeasco Classico. Al momento è possibile acquistare i nostri prodotti solo nelle Fiere di settore alle quali partecipiamo per far conoscere il prodotto e la nostra produzione. Nel corso di quest'anno inizieranno i lavori di costruzione di una cantina di nostra proprietà nel Comune di Rezzo, paese facente parte della Comunità Montana Valle Arroscia e zona di Ormeasco DOC; attualmente la vinificazione è fatta dalla Cooperativa Viticoltori Ingauni di Ortovero.

AZIENDA AGRICOLA CASCINA NIRASCA Via Alpi 3 - Fraz. Nirasca - 18026 Pieve di Teco (IM) Tel. e Fax 0183.368067 www.cascinanirasca.com - info@cascinanirasca.com

PRODUTTORI DI GOVONE soc. coop. r.l. 12040 Govone (CN) - Via Umberto I, 46 - Tel. 0173 58120 www.produttorigovone.com - govone@produttorigovone.com

Massimo Lupi Il Pigato “Vignamare”

Tenuta Maffone

Parlare di Vignamare è sempre molto emozionante perché mi ricorda tutte le discussioni di mio padre con i clienti che non capivano la sua voglia di proporre un vino bianco “affinato” un anno in legno. Il 1988, con il fondamentale aiuto di Donato Lanati, mio padre realizzò il suo sogno e fu un doppio battesimo: il primo anno di vinificazione ed io, il terzo figlio, cominciavo il mio cammino nel mondo del vino all’Istituto di Enologia e Viticoltura di Alba. Oggi il Vignamare è il diamante dell’azienda insieme al Braje, (Ormeasco Superiore affinato in legno vecchio). La sua evoluzione è arricchita ogni anno dall’esperienza, dalla maturità dei vigneti, dalle ricerche di Enosis-Meraviglia e dalla conoscenza dei legni da utilizzare. L’annata 2009 uscirà dopo 24 mesi di affinamento. Porterà l’anno di nascita di mio figlio come a voler suggellare che i rinnovamenti dell’azienda Lupi avvengono coi grandi avvenimenti personali.

La Tenuta Maffone è una piccola anzi piccolissima Azienda Agricola a conduzione familiare situata ad Acquetico, minuscola frazione di 140 abitanti circa del comune di Pieve di Teco (IM). Eliana e Bruno, i titolari dell' azienda, hanno iniziato questa "avventura" da solo tre anni ma si può sicuramente affermare che l'azienda ha radici ben salde nella tradizione contadina di Acquetico. Già nel 1950 il bisnonno impianta un bellissimo vigneto di “Ormeasco” e viene premiato nel 1955 in un concorso Nazionale dall'allora Ministro delle Risorse Agricole e Forestali. Inizia così...........con grande passione e tenacia, recuperati e rinnovati i vigneti di Pigato e Ormeasco su un'estensione di circa un ettaro, producono in totale circa 5000 bottiglie suddivise in “Ormeasco di Pornassio DOC”, “Ormeasco di Pornassio sciactrà DOC” e “Riviera Ligure di Ponente Pigato DOC”.

LUPI AZIENDA AGRICOLA Via Mazzini, 9 - 18026 PIEVE DI TECO (IM) Tel. 0183 36161 - Fax 0183 368061 www.casalupi.it - lupi@casalupi.it

TENUTA MAFFONE di Bruno Pollero Fraz. Acquetico -18026 PIEVE DI TECO (Im) Tel. 339 6582592 - 347 1245271 - www.tenutamaffone.it


speciale

Liguria

I vini della Liguria di Virgilio Pronzati

L’

aspetto orografico ligure è molto vario, se si pensa che studi recenti fanno risalire la regione a ben 350 milioni anni. Per quel che riguarda l’origine e le caratteristiche litologiche, la Liguria rappresenta un’area di eccezionale interesse scientifico per gli studiosi di tutto il mondo, poiché in essa vi sono rappresentate tutte le ere geologiche. Particolarmente fertili i terreni provenienti dai calcari marnosi dell’eocene. Nella Riviera di Levante si trovano terreni argillosi, calcarei ed arenacei. Il clima è abba-

stanza vario – suddiviso in moltissimi microclimi – data la conformazione fisica della regione che, unito alla composizione ed esposizione dei terreni, fa sì che la Liguria sia una terra vocata alla viticoltura. Curioso e significativo il fatto che il nome del mitico fondatore di Genova, Giano, in ebraico ed aramaico significhi “vino”. L’antichissimo popolo dei Liguri si stanziò, oltre che su una lunga costa che andava da Marsiglia a Luni, lungo la dorsale appenninica settentrionale, su entrambi i versanti delle Alpi Occidentali. Raggruppati in stirpi o tribù, in particolare i Liguri Stazielli, acquisirono – dato che conoscevano già la vite – dai Greci i primi rudimenti di vinificazione. Non a caso gli Stazielli, spaziando a Nord-Est di Genova, giunsero a popolare i territori dell’Alto Monferrato e dell’Albese. Lo testimonia il fatto, che anticamente Alba era denominata Alba Pompeja; si ritrovava in pratica nel suo nome il substrato linguistico comune ricorrente nell’attuale toponomastica: vedi il termine Alba con Albenga, Albissola, ed Album Intimilium (Ventimiglia). Addirittura dei Galli-Liguri introdussero la vite

in Valtellina passando dalla Val Chiavenna; da qui, forse, il nome chiavennasca dato al nebbiolo. Già nel Medioevo la viticoltura rappresenta in Liguria una nota dominante, siccome il vino prodotto era una fonte di redditi calcolati fra i maggiori della regione. Questo prologo è necessario per collegare gli aborigeni alla vite ed al vino. Saltando dei secoli e passando agli anni ’70, la situazione vitivinicola ligure era ben lungi dall’attuale. Un tempo Cenerentola nell’Italia dei vini, la Liguria, da alcuni decenni, anche se al penultimo posto - precede solo la Valle d’Aosta - nella produzione vinicola nazionale, si è imposta all’attenzione degli operatori del settore e dei competenti consumatori, sia per la qualità sia per la caratterizzazione dei ligustici vini, conferite dagli “esclusivi” vitigni e dai particolari condizioni pedo-climatiche. Ormai lontana dall’oltre mezzo milione di ettolitri, la sua produzione si attesta oggi sui 100 mila ettolitri annui, con una percentuale di circa il 28% di vini Doc. Il tutto compreso in otto Doc e tre IGT. Facendo una rapida carrellata sui vini liguri, attraverso un itinerario che va dai due

Il Rossese

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lembi estremi, cominciamo dalla provincia d’Imperia con i vini della Doc Rossese di Dolceacqua o Dolceacqua, prodotti con vitigno omonimo, impiantato in posizione collinare di 14 comuni con epicentro Dolceacqua. Due vini, di cui un Superiore (per alcol e invecchiamento). Si può definire il vino italiano più “francese”, poiché i sentori fruttati e speziati ricordano i migliori rossi di Bandol e della Cotes du Rhone. Poi, sempre nella stessa provincia, quelli della Doc Ormeasco di Pornassio o Pornassio: cinque vini (tre facevano parte della Doc Riviera Ligure di Ponente), nelle tipologie Pornassio, Pornassio Sciac-tra, Pornassio Superiore, Pornassio Passito e Pornassio

varietale ma ha acquisito una spiccata sapidità. Un vino bianco inizialmente floreale e poi fruttato, con sentori di miele, sapido e pieno. Poi il Pigato (dalle stesse origini sopra citate), meno sapido ma più polputo e profumato del Vermentino e il Rossese, prodotto con un clone (di Campochiesa) diverso del Dolceacqua, fruttato, sapido, poco tannico da bere giovane. Passando alla provincia di Genova, due le Doc. La prima, Valpolcevera, comprendente otto vini (6 bianchi, 1 rosato e 1 rosso) in cui spicca il mitico Coronata (dal romano Columnata). Questa verde vallata alle spalle del capoluogo, vanta le più antiche origini viticole. Nel 1506, a Pedemonte di Serra Riccò, fu scoperto la famosa “Tavola Bronzea”. Un documento redatto nel 117 a.C. dai fratelli Minucii,

magistrati inviati da Roma per dirimere una questione di confini e proprietà agricole, tra i Langenses (gli antichi abitanti di Langasco, località del Comune di Campomorone distante pochi km. da Genova) e i Genuati. La seconda, nel Genovesato di Levante: Golfo del Tigullio, comprendente ben dieci vini formanti una gamma completa (dal bianco secco al rosato, dal rosso allo spumante, dal dolce al passito), dove spiccano oltre i già noti Vermentino, Bianchetta genovese e Ciliegiolo, un aromatico, effervescente, dolce ma sapido Moscato. Infine la provincia di La Spezia con ben tre Doc. La prima: Colline di Levanto (quattro comuni) comprendente due vini (ma e previsto anche il tipo Novello): il Bianco con le stesse uve del

ValleLiguria d'Aosta

Liquoroso. Tutti ottenuti da un clone di dolcetto, coltivato sin dal 1303 a Pornassio, su imposizione dell’allora Podestà locale. Proseguendo, incontriamo i vini della Doc Riviera Ligure di Ponente (ampia area che interessa ben tre province: IM, SV e GE, quest’ultima solo per il Vermentino) comprendente attualmente tre vini: Vermentino prodotto dall’omonimo vitigno derivato da un clone di Malvasia che, allignando in Liguria da almeno quattro secoli ma originario della Spagna, ha perso il

speciale speciale

Il Pigato

Il Vermentino

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Liguria speciale Cinque Terre - Vigneto

Cinque Terre, ma in proporzioni diverse e, il Rosso, caratterizzato da uve sangiovese, ciliegiolo e canaiolo nero. La seconda: Cinque Terre (quattro comuni) che comprende due tipologie di vini bianchi: Cinque Terre, anche con tre sottozone, e il Cinque Terre Sciacchetrà, anche in versione Riserva. Entrambi prodotti con uve bosco, albarola e vermentino, coltivate in strette fasce sostenute da muretti a secco, a strapiombo sul mare. Un paesaggio creato dal vignaiolo che non ha riscontro in nessun continente. Il primo, con sentori fruttati e di brezza marina, secco e pieno; il secondo, di color oro, bouqueté, dolce, vellutato, di gran persistenza e personalità. Entrambi possiedono un invidiabile bagaglio storico, essendo stati lodati da famosi personag-

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gi, tra cui il Petrarca, Sante Lancerio, il Pascoli e dal premio Nobel Eugenio Montale. Non solo. Col Cinque Terre hanno battezzato le navi al varo e, già nel Settecento era presente sulle tavole dei ricchi londinesi. L’ultima Doc: Colli di Luni, comprendente quattro vini: Bianco, Vermentino, Rosso e Rosso Riserva, prodotti in 17 comuni di cui 14 in provincia di La Spezia e 3 in quella di Massa. Un’ampia zona d’antiche vestigia, dove spicca l’anfiteatro romano di Luni. Qui i vini, tranne l’ottimo Vermentino, hanno sfumature olfattive e strutture diverse, essendo prodotti con uve liguri e toscane, con l’aggiunta, minima, di uve di origine bordolese. Il territorio fuori della Doc delle province di Savona Genova e La Spezia, è recentemente insignito da rispettive

tre IGT. A Genova: colline del Genovesato, con tre vini: Bianco, Rosso e Rosato anche in versione frizzante. A La Spezia: Golfo dei Poeti, con due vini: Bianco e Rosso. A Savona: Colline Savonesi, con altri cinque vini: Bianco, Rosso e Rosato, Lumassina e Granaccia; questi ultimi due, colmi di fardelli storici. Il primo, bianco secco, leggero ma composto e d’invitante beva, nel tardo medioevo nel comune di Quiliano, era accettato in cambio della gabella, dai marchesi Del Carretto, signori di gran parte del Savonese. Mentre il secondo, importato alcuni secoli fa dai cartai quilianesi dalla Spagna (noto col nome di Alicante), è oggi un superbo vino rosso, bouqueté, caldo, sapido, vellutato, di gran corpo e personalità.

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T

ommaso Lupi (classe 1936) intraprende il suo viaggio nel mondo del vino a 20 anni, quando dai terreni dell’entroterra ligure si ricava appena il necessario per vivere e le origini contadine vengono spesso rinnegate per un comodo lavoro nelle città. Inizia a conoscere il mondo della ristorazione e dopo varie esperienze diventa chef di un prestigioso albergo di Diano Marina e quando apprende i

suoi segreti decide, incoraggiato dalla sorella, di rilevare una fiaschetteria-osteria nel cuore di Oneglia. La ricerca della tradizione e della qualità appresa negli anni trascorsi nelle cucine lo spinge a ricercare i migliori vini e a conoscere il territorio e i produttori. Il locale diventa un riferimento per chi vuole gustare i migliori vini della zona: l’Ormeasco dell’Alta Valle Arroscia, il Rossese di Soldano, il Pigato

ValleLiguria d'Aosta

di Paolo Alciati

speciale speciale

Storia di vite e di cantina: Tommaso Lupi

di Campochiesa, il Vermentino di Diano Castello. Decide di trasformare l’osteria in enoteca e, aiutato dal fratello Angelo che inizia a seguire la clientela, Tommaso si dedica sempre di più a conoscere la viticoltura e la vinificazione. Diventano sempre più frequenti i viaggi nelle Langhe e nel Collio conoscendo e intrecciando amicizie con produttori ed enologi che si rivelano fondamentali per la sua

La famiglia Lupi in un vigneto

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Liguria speciale

formazione. Durante le esperienze matura e definisce il progetto di realizzazione della cantina e trova il luogo ideale in un fabbricato commerciale del 1300 a Pieve di Teco. La scelta è dettata dall’amore per il vitigno Ormeasco, il clima fresco e una riserva abbondante di acqua ottima per raffreddare la superficie delle vasche nella fermentazione dei vini bianchi. Passo dopo passo costruisce l’azienda Lupi e contemporaneamente inizia a investire nei contadini che come lui credono nella qualità favorendoli con corsi di formazione e fornendo tecnici

viticoli. Mentre si consolidano i rapporti con contadini e clienti liguri, Tommaso inizia a percorrere le strade del mercato italiano e rispolverando la sua passione per la tavola ospita gli chef di mezza Italia nella

mansarda dell’azienda creando i presupposti per far apprezzare l’enologia ligure. Conoscendo l’importanza della ricerca e della sperimentazione intraprende una ricerca per trovare un enologo capace di interpretare e capire, senza stravolgere, la ricchezza della sua terra così difficile. E quando incontra Donato Lanati inizia una collaborazione che ben supera i rapporti professionali. Collaborando con Lanati riesce a realizzare la vinificazione del Pigato in modo da ottenere un vino bianco di grande capacità di maturazione. In seguito l’azienda ha concentrato i suoi sforzi per acquisire la conduzione dei vigneti e oggi governa 12 ettari e coopera con molti dei contadini che avevano iniziato il percorso con Tommaso. Oggi arrivati alla cinquantesima vendemmia l’azienda agricola Lupi è condotta dal figlio Massimo che ha raccolto il testimone e porta avanti il cammino della qualità e della tradizione tracciata tanti anni fa.

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L

a gastronomia ligure, pur varia, deriva soprattutto dalla cucina genovese; le eccezioni derivano dalle zone più interne e da quelle confinanti con le altre regioni e con la Francia. I suoi piatti tipici si identificano nella ormai nota e seguitissima dieta mediterranea: quindi piatti scarsamente grassi, ricchi di fibre e proteine vegetali, di molta leggerezza e saporosità, ottenuti con freschissimi prodotti ittici, ortaggi, pasta fresca e secca, carni avicole e ovine e (limitatamente) salumi e formaggi. Preparazioni gastronomiche di semplice o raffinata matrice, insaporite dalle immancabili erbette aromatiche e cucinate o condite solo con un delicato, fruttato ma sapido olio extravergine d’oliva, dove spicca la quasi totale assenza di spezie e droghe. Da tutto ciò si è sviluppata una cucina “seria”, in linea con il carattere ligure: e cioè aliena da effimeri effetti, realistica, attuale e dietetica, affidata esclusivamente a intelligenti e pazienti manipolazioni che sono l’op-

posto di moderne improvvisazioni, o peggio di una cucina costruita, baroccheggiante e ricca solo di orpelli. Genova e dintorni a tavola La cucina della Superba ha origini antiche. Nel corso dei secoli si è arricchita facendo suoi (con intelligenti modifiche) piatti derivati da vari paesi del Mediterraneo, molti dei quali risalenti al Medio Evo. Ricette con povere basi, frugali ma d’estrema saporosità, che superando l’usura dei tempi e delle mode sono ancor oggi consumate ed apprezzate. A quei tempi, l’economia della città era quasi totalmente legata al suo porto: un mondo colorito, fatto d’innumerevoli merci caricate e scaricate dai camalli, comandato dai signori degli scagni (i commercianti della darsena). Un’attività in grado di dare

ValleLiguria d'Aosta

di Virgilio Pronzati

speciale speciale

I piatti tipici della Liguria lavoro ai non abbienti, che per sbarcare il lunario lavoravano a cottimo su navi e banchine. Proprio per nutrire questa gente con cibi realizzati in poco tempo e con basi allora poco costose, nacque a Genova una sorta di... fast-food. Un mangiare veloce, consumato mentre si lavorava, fatto di Fainà, Frisceu e Fugassa (oggi mangiati percorrendo le strade cittadine), Panissa, Trippe,

I Mandilli de saea del savonese

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Liguria speciale

Berodi, Ancioe, Pignulin friti ed altri piatti oggi desueti. Dal primo macello di Liguria, sorto in Soziglia nel 1152, nacquero poi piatti di bontà straordinaria. A quei tempi non c’era la catena del freddo e in tarda primavera, d’estate e nella prima parte dell’autunno, la cervella, il fegato, la milza, il rognone e le interiora andavano presto in decomposizione. Ma costavano poco e la povera gente faceva di necessità virtù, usandoli per realizzare le farce dei ravioli, della cima, delle lattughe ripiene in umido e in brodo e nelle verdure ripiene. Dalla terra il menestrun co-o scrucuzu o i brichetti, le famose torte di ortaggi e verdure caratterizzate dalla Prescinseua che Caterina dÈ Medici usava inserire nei menu dei pranzi per il Duca d’Orleans e il Re di Francia. A Recco, la famosa focaccia col formaggio. Per le paste ci vorrebbe un intero capitolo. Unici nel loro genere, i Pansouti (specie di tortelli d’erbette), i Corzetti stampae e tie co-e die della Valpolcevera, le Trofiette e i Battolli (taglierini con farine di castagna e frumento delle valli Fontanabuona e Graveglia), condite con sugo di funghi, di castrato e di tre salse da mortaio. Dal Sestrese e Ne, rispettivamente, i Testajeu e le Frisciulle, derivati dagli antichi testaroli lunigianesi. Salse che vanno dal 1200 al 1900:

iniziando dal Duecento con l’Agliata, proseguendo con Marò e Machetto (Imperia), Salsa di noci, Pesto, arrivando al Novecento con la Salsa di pinoli. Dal mare la Cappunadda, l’antenata del Cappun magro, le Suppe con de pescio e de muscoli, Laxerti e seppie co-i poixi (sgombri e seppie con piselli) e, dal Seicento, Baccalà a-o verde e all’aggiadda, Stocchefisce buggio e accumudou. Dai marinai di Riva, il mitico Bagnun. Dai pollai e dai macellai, pulastru e cuniggio in ta cassoula, Galinn-a e Cappun boggii, Giancu e neigro, Agnello a-o furno e co-e articiocche, Tomaxelle, Vitella all’oxellettu e co-i funzi, trippe a-o verde e accumude, Stufou de crastun ed altri. Mentre i dolci antichi erano il Castagnassu, Pandoçe, Quaresimali, Amaretti, Canestrelli, Cobelletti, Fruti candii, Bonettu e Laete duçe

frito. Dalle serre di Prà, il miglior Basilico Genovese Dop di Liguria. Dalla Valpolcevera dalla Doc omonima, 8 sapidi vini tra cui il mitico Coronata. Dal Chiavarese e dal Tigullio, altri 10 vini Doc Golfo del Tigullio e ottimi funghi ed oli extravergini, di cui il Dop Riviera Ligure Riviera di Levante, in costante aumento. Imperia e dintorni a tavola Dall’estremo ponente, antichi piatti: uno dei quali è il Gran pistau, millenario, originariamente fatto con chicchi di frumento leggermente ammollati nell’acqua e pestati nel mortaio, lardo o cotiche di maiale, aglio, alloro, latte e sale. Il tutto bollito. È il tradizionale piatto natalizio di Pigna, oggi si aggiungono porri o cipolla, olio d’oliva e formaggio grattugiato. Ottimi il pane di Pieve di Teco e di Triora, la Carpasina (pane d’orzo), la Ciappa e i Canestrelli de Taggia.

Barbagiuai

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Torta verde, Fazzin (frittelle o sfoglia con patate lievitata), Scarpassa (polpettone di melanzane). Tra i primi, i Mandilli de saea (lasagnette quadrate col pesto), i natalizi Maccheroni di Natale con le trippe, gustosi pescetti come Zerli e Cicciarelli di Noli in carpione o fritti, Buridda de seppie, de pesciu e de Stoccafisce. Cua (coda) de baccalà pinn-a, Purpo e patatte, Baccalà a Campanassa, Lumasse (lumache) a-o moddo de Finale, a Carcare le Tire (pane ripieno di pasta di salsiccia), i Tirotti (pani “tirati”), Cuniggiu a Carlunn-a, Funzi co-e patatte, Agnellu e cravettu co-e articiocche, e ad Alpicella l’antica e gustosa Zeaia (testina di maiale ed altri pezzi di carni in gelatina) e le Frizze simili alle Grive piemontesi. Dolci come gli storici Amaretti di Sassello, Baci di Alassio e d’Albenga, i Turcet (ciambelline irregolari lievitate e fritte), la Torta dolce di zucca (anticamente il dolce natalizio di Loano) e il Pan dei marinai (sorta di pandolce basso). Ma non solo. Dal finalese e dall’entroterra ottimi salami e formaggette. A Millesimo e Cosseria, pregiati funghi e tartufi bianchi. Dall’Albenganese i migliori carciofi e asparagi del mondo. Ottime le pesche dell’Albenganese e le albicocche di Valleggia. Di gran qualità i vini Doc Riviera Ligure di

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bianchi). E dulcis in fundo, dolci poco conosciuti anche in Liguria. Cubaite di Isolabona (millefoglie di cialde e nocciole tostate e scaldate nel miele, di origine araba), Michetta di Dolceacqua, Bescotti de Taggia, Stroscia (torta di pasta frolla con l’olio d’oliva), le Biscette e le Castagnoe (dolcetti dalla forma di castagna). L’Imperiese è anche vocata zona per grandi e dolci extravergini di oliva, di cui in aumento quello Dop Riviera Ligure Riviera dei Fiori. Grandi anche i vini delle due Doc Dolceacqua e Pornassio. Ottimi le formaggette e i funghi, prodotti nelle zone collinari di tutta la provincia. Savona e dintorni a tavola Malgrado i mugugni, il Savonese ha i più ricchi giacimenti gastronomici dell’intera regione, da cui derivano tanti piatti, spesso inconsueti. Iniziamo con la Fainà gianca (fatta con farina di frumento),

speciale speciale

Le tre salse: Salsa d’aglio, Marò (pestun di fave fresche) e Machetto (a base di sardine, oggi di acciughe), la Sardenaira (focaccia con sardine, olive, cipolle e olio d’oliva) a Sanremo, Machettusa (ad Apricale) o Pissalandiere (ossia Pizza all’Andrea Doria a Menton). Barbagiuai, ravioli di zucca fritti, la Pasta sciancà (pasta fresca rotta con le mani e condita con formaggio fresco), Fregami e Torta e fugassa verde. La poco nota Frandurà (torta di patate della valle Argentina). Poi lo Stoccafissu a baucogna (alla Badalucchese) con noci e nocciole tostate e pestate, Buridda de pesciu e de Stoccafisce, Brandacujun (Stoccafisso mantecato), Buiabesa (simile alla provenzale Bouillabaisse), Cuniggiu a-o Dusaiga (Coniglio in casseruola al Dolceacqua), Zeraria (testa di maiale in gelatina), Stufou de crava co-i rundin (stufato di capra con fagioli

La mitica Mesc-ciua di La Spezia

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Liguria speciale La focaccia di Recco

Ponente Pigato, Vermentino e Rossese. Lo stesso per gli oli extravergini d’oliva Dop Riviera Ligure Riviera del Ponente Savonese e non. Il Savonese con Andora ed Albenga è il maggior produttore di Basilico genovese Dop e non, e di erbe aromatiche dagli aromi unici. Spezia e dintorni a tavola La Spezia, l’antica Portus Lunae, come si desume dal nome fu fiorente centro di importazione di spezie dall’oriente. Nella Lunigiana ligure, gli antichissimi Testaroli e, nel tempo, anche i Panigazzi e gli Sgabei. Da Soviore e Sarzana, le storiche Torta di Soviore e la Torta d’erbi. Dai forni il Pane martino (fatto con farina di castagne), la Gizzoa (torta di pane con salsiccia) e la Scarpazza (torta d’erbe e zucca cotta al for-

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no). Da Levanto i Gattafuin (ravioli con erbette e fritti) e il Fugasson (torta con polpa d’oliva). Trai primi, la mitica Mesc-ciua: minestra di granaglie e legumi, le Tagliatelle con patate e cavoli, condite con formaggio ed olio oliva e, nell’entroterra, la Polenta con cavoli, con sugo di salsicce e di cinghiale. Dal mare lo storico Tian (acciughe nel testo di terracotta o di rame), le gustose Zuppe di pesce, di muscoli e, per chi la trova, di datteri di mare, tipica di Portovenere, anche se da anni n’è vietata la pesca. Per il pesce conservato, ottime le Acciughe di Monterosso e delle Cinque Terre sotto sale. Dall’interno, Polenta (arrivata dalla vicina Toscana) con sughi di funghi, carni bianche e selvaggina (spesso di cinghiale) e la Minestra di testa di cinghiale. Infine dolci d’antiche

origini come la Spungata, il Buccellato, le Sciuette (fiori di pasta di mandorla colorati a mano dalle suore Agostiniane) e i Canestrelli di Brugnato. Dalla terra, Funghi freschi e secchi di particolare pregio a Varese Ligure, così come Salami e Pancetta steccata. Ottima la Prosciutta di Castelnuovo Magra. Grandi formaggi – perlopiù vaccini – della Val di Vara e in tutta la valle, a Brugnato e a Varese Ligure. Di vasta ed antica notorietà i vini Doc Cinque Terre con al vertice lo Sciacchetrà; un passito che compete alla pari con i più grandi vini da dessert. E ancora, i vini Doc Colli di Luni, di cui il Vermentino primeggia in Liguria e, quelli, Bianco e Rosso, della Doc Colline di Levanto. Molto buoni gli oli extravergini di oliva, in particolare il Dop Riviera Ligure Riviera di Levante.

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di Virgilio Pronzati

speciale speciale

L’oro di Liguria: l’Olio Extravergine di Oliva

C

om’è ormai noto, la coltivazione dell’olivo e l’uso dell’olio extravergine d’oliva in Liguria ha radici secolari. Dal 700 all’800 la Liguria era tra le prime regioni produttrici. Gran parte dei primi oliveti sono stati impiantati nel Ponente ligure, in particolare nell’Imperiese. Non a caso, la cultivar taggiasca deriva appunto da Taggia, antico borgo medioevale dove i Benedettini impiantarono le prime piantine d’ulivo. Tra più ombre che luci, l’olivicoltura ligure iniziò a diffondersi dopo il 1600. Un cammino difficile che portò, nei primi del Novecento, Oneglia a capitale dell’olio. Infatti, fiorirono le più importanti ditte del settore oleario. Facendo un quadro della produzione olearia nazionale, su venti regioni, dodici producono olio d’oliva e, la maggior produzione, è nel meridione, con in testa la Puglia. Se la Liguria si può definire la Cenerentola dell’olio, per quanto riguarda la qualità, è senz’altro tra le prime. L’olio extravergine d’oliva ligure ed il suo impiego gastronomico L’olio extravergine ligure in generale, è delicatamente fruttato, con note di pinolo maturo ed erbe aromatiche, equilibratamente dolce, sapido, di molta armonia e persistenza. Molte delle preparazioni gastronomiche regionali ne sono caratterizzate sin dal Medioevo, quali la farinata, la focaccia con l’olio, i frisceu, i coccolli,

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Liguria speciale la panizza, la sbira e, in tempi meno lontani e sino ad oggi, lo stoccafisso al verde, il tian (d’acciughe), le buridde e molte altre golosità. Ma non solo. Resistente alle alte temperature (fritture e piatti al forno), facilmente digeribile, di alto potere calorico, ma di benefico effetto sui grassi ematici a causa dell’acido linoleico che ne provoca il netto abbassamento, versatile in cucina (compone moltissime salse), caratterizzante di molti piatti, poiché ne esalta aromi e sapori, ne riequilibra l’armonia (un po’ come il vino), sia in piatti freddi sia caldi. Tenendo conto del tipo di cultivar (varietà), delle caratteristiche pedoclimatiche dove alligna ed in particolare della sua drupa (frutto), cioè l’oliva, dei tempi di raccolta e dal tipo d’estrazione, l’olio che se

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ricava trova il suo impiego ideale con svariate preparazioni gastronomiche. Citate le sue proprietà, congeniali per cotture diverse, il suo impiego migliore è però a crudo. Eccone alcuni esempi, per utilizzare al meglio l’olio extravergine d’oliva ligure. Come condimento: insalata di funghi porcini e ovoli; bianchetti e rossetti cotti a vapore, lessi o alla piastra; crostacei (gamberi e scampi) cotti a vapore; su polpo lesso con patate; sul minestrone; zimino di ceci; pesci di mare lessi e al forno (con patate, funghi o erbe aromatiche); carni bianche lesse; formaggi caprini poco stagionati. Ideale per stoccafisso in umido; fritture di pesce e crostacei; ortaggi ripieni e funghi fritti. Adatto per pasta fresca o secca con salvia (al posto del burro), per la vitella all’uccel-

letto e con i funghi. Inoltre, insostituibile nel pesto (attenua il piccante dell’aglio, favorisce estrazione degli oli essenziali contenuti nel basilico e lo rende armonico amalgamando gli ingredienti) e nell’aurea farinata. Inoltre dà origine a non poche salse, tra cui la più nota è la maionese (mayonnaise), considerata ormai una delle salse “madri”. Oli extra vergini dal fruttato tenue o delicato sono ideali per realizzare salse da mortaio e non, come pesto, agliata, machetto, marò, verde, maionese, aiolì, tartara e molte altre. L’olio extravergine d’oliva DOP “Riviera Ligure” Riconosciuto ormai da tutti come il più naturale, gradevole e salutare dei grassi, l’olio extravergine d’oliva sta conquistando la fascia alta del

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lieve o media intensità; sapore: abbastanza intenso, discretamente dolce e con tenue percezione di piccante e amaro. L’acidità massima in acido oleico consentita è di 0,8%. Il punteggio minimo al panel test per tutte e tre le menzioni, è di 6,5. Il garante dell’olio extravergine DOP “Riviera Ligure”, è il Consorzio per la tutela dell’olio extravergine d’oliva a denominazione di origine protetta “Riviera Ligure”, costituito il 5 aprile del 2001 ad Imperia e riconosciuto con Decreto Ministeriale del 22 aprile 2002 dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Presieduto da Francesco Bruzzo, il Consorzio ha molteplici finalità che spaziano dalla tutela alla valorizzazione dell’immagine della qualità nel mondo, dal miglioramento della produzione olearia all’informazione, nonché la collaborazione con gli organi dello Stato preposti alla vigilanza.

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menzione Riviera del Ponente Savonese è riservata all’olio extravergine d’oliva ottenuto dalla varietà Taggiasca presente negli oliveti per almeno il 50%, in 48 comuni in provincia di Savona. Al consumo si presenta con le seguenti caratteristiche organolettiche. Colore: da giallo a verde-giallo; odore: fruttato di lieve o media intensità; sapore: discretamente intenso, con netta sensazione dolce e, lievissimi, piccante e amaro. L’acidità massima in acido oleico consentita è 0,5%. La menzione Riviera di Levante è riservata all’olio extravergine d’oliva ottenuto, con le varietà – da sole o congiuntamente – Lavagnina, Pignola, Razzola ed altre riconducibili alla Frantoio per almeno il 55%, in 63 comuni di cui 39 in provincia di Genova ed il resto a La Spezia. Al consumo si presenta con le seguenti caratteristiche organolettiche. Colore: da giallo a verde-giallo; odore: fruttato di

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mercato, facendosi apprezzare non solo da chef affermati ma anche dai comuni consumatori. Ancor pochi ma attenti gourmet, giustamente informati, chiedono spesso il meglio della produzione nazionale, ossia oli extravergini Dop. Oli di alta qualità, prodotti con cultivar tipiche di varie regioni secondo i rispettivi disciplinari, tutelati da leggi nazionali e comunitarie; gli unici veramente “tipici”, certificati e garantiti, testati con analisi chimiche e sensoriali da qualificati Enti, in primis dalle Camere di Commercio. Infatti la CEE col regolamento del 2 luglio del 1996, riconobbe la DOP a cinque oli italiani, seguiti nel 1997 dal “Riviera Ligure”, la cui DOP è stata riconosciuta con pubblicazione sulla G.U. n° 193 del 20/8/1998. La DOP “Riviera Ligure” prevede tre menzioni geografiche aggiuntive: “Riviera dei Fiori” (Imperiese), “Riviera del Ponente Savonese” e “Riviera di Levante” (Genovesato e Spezzino). La menzione Riviera dei Fiori è riservata all’olio extravergine d’oliva ottenuto dalla varietà Taggiasca presente negli oliveti per almeno il 90%, in 68 comuni in provincia di Imperia. Al consumo si presenta con le seguenti caratteristiche organolettiche. Colore: da giallo a giallo-verde; odore: fruttato di lieve o media intensità; sapore: abbastanza intenso con netta sensazione dolce e, appena percepibili, piccante e amaro. L’acidità massima in acido oleico consentita è 0,5%. La

I numeri della filiera dell’olio DOP Riviera Ligure Riviera dei Fiori

Riviera del Ponente Savonese

Riviera di Levante

Oliveti DOP Riviera Ligure

1.917,00 ettari

106,06 ettari

168,28 ettari

2.191,34 ettari

Olivicoltori **

949

73

119

1.141

Frantoiani **

36

9

8

53

Confezionatori **

55

12

26

93

Olio DOP *** Riviera Ligure

3.259,50 quintali

50,85 quintali

71,69 quintali

3.382,05 quintali

Anno 2009/10*

Totale

• Dato aggiornato al 7/07/10 • ** iscritti al piano di controllo

• *** Olio certificato all’8 giugno 2010

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speciale

Liguria

Le salse storiche liguri di Virgilio Pronzati

O

ltre il pesto, la Liguria vanta antiche salse sicuramente meno note, ma non meno buone della tipica salsa. Le loro origini vanno dal 1200 alla fine dell’800. Tutte caratterizzate dall’aglio e dall’olio extravergine di oliva, e rigorosamente realizzate nel mortaio. Di seguito, le salse antiche che, superando l’usura del tempo ed il cambiar delle mode, sono delle autentiche golosità.

Pesto Genovese Pesto Zeneize Questa ricetta del Pesto è registrata da Virgilio Pronzati e Luigi Barile e proposta nei Corsi per degustatori di pesto promossi dalla Provincia di Genova. Dosi e ingredienti per 1 kg: 30% di Basilico genovese DOP (di Prà o d’altre località della Liguria); 3% di aglio di Vessalico (comune in provincia d’Imperia); 10-12% di pi-

noli di Pisa prima scelta; 2022% di Parmigiano Reggiano Dop di 30 mesi grattugiato; 5% di Pecorino Sardo Dop di 15 mesi grattugiato; 1-1,5% di sale grosso marino; 24-26% di olio extravergine Riviera Ligure Dop (dolce e maturo). Preparazione: togliere le foglie di basilico dalle piantine, lavarle e farle asciugare su carta assorbente o nella centrifuga, facendo attenzione a non schiacciarle.

Pesto alla Genovese

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Speciale Liguria a cura della redazione di Quality ADV

Cantine Calleri Il Pigato di Albenga Dalla zona elettiva di Albenga all’Alta Valle Arroscia il Pigato, che prende probabilmente il suo nome dall’espressione dialettale “Pigau” – macchiettato – per le sue piccole macchie marrone-ruggine sull’acino, rappresenta il vino più conosciuto e tipicamente autoctono. Probabile clone di Malvasia, viene introdotto in Liguria verso la fine del 1600. Il Pigato in purezza “Saleasco”, prodotto dalla nostra Azienda, presenta una buona intensità olfattiva con discreta persistenza. Di colore giallo paglierino carico con aromi fruttati di nespola, floreali di acacia e ginestra ed erbacei su cui spicca la salvia uniti ad una piacevole freschezza, sapidità e buona acidità, ne fanno l’ideale abbinamento a primi di pasta fresca al pesto, crostacei, delicati antipasti di mare e di terra, pesci alla ligure e le tipiche verdure ripiene. Il finale leggermente ammandorlato ne esalta l’eleganza.

Cooperativa Viticoltori Ingauni La Cooperativa Viticoltori Ingauni nasce nel 1976 per iniziativa di 13 viticoltori e attualmente conta 200 soci. Nel 1988 nasce la DOC Riviera Ligure di Ponente, che racchiude i Vini Pigato, Vermentino, Rossese e Ormeasco e nel 2003 l’Ormeasco ottiene la nuova denominazione con la DOC Ormeasco di Pornassio (nella versione Ormeasco di Pornassio, Ormeasco Sciac-trà, Ormeasco Superiore). Nel 1990 si inaugura la nuova sede della Cooperativa, dotata delle più moderne attrezzature che permettono di vinificare oltre 4.000 q.li di uve Pigato, Vermentino, Rossese, Ormeasco di Pornassio (DOC), Lumassina, Granaccia (IGT Colline Savonesi), bianco, rosso e rosato (Vini da Tavola). Nel corso degli anni numerosi sono stati i riconoscimenti per l’alta qualità tra cui la “Douja d’Or” dalla Cam Com di Asti e la “Gran Medaglia d’Argento di Cangrande” conferita al VINITALY per l’alto contributo apportato all’enologia nazionale.

CANTINE CALLERI & C. S.n.c. del Cav. Aldo Calleri Reg. Fratti, 2 - 17031 SALEA D’ALBENGA (SV) Tel. 0182 20085 - Fax 0182 21710 calleri@cantinecallerisnc.191.it

VITICOLTORI INGAUNI SOCIETÀ AGRICOLA COOPERATIVA Via Roma, 3 - 17037 Ortovero (SV) Tel. 0182 54.71.27 - Fax 0182 58.78.28 www.viticoltoriingauni.it - info@viticoltoriingauni.it

Cantina Sancio

Ramò

Attualmente l'azienda, le cui origini risalgono ai primi anni 80, opera su circa 5 ettari sparsi nel territorio savonese, messi a dimora con i classici vitigni autoctoni nel rispetto della vocazione del terroir. Tutta la produzione viene vinificata e imbottigliata nella cantina aziendale, recentemente ampliata, con un continuo aggiornamento delle tecniche di produzione, rispettando nello stesso tempo i metodi tradizionali e storici. L'azienda è praticamente autosufficiente per la produzione corrente elettrica (fotovoltaico). Pratiche agronomiche: tutti i vigneti sono potati a guyot, inerbiti, densità circa 5000 piante ettaro (varia molto da vigneto a vigneto a seconda delle dimensioni delle terrazze), tutte le pratiche di vendemmia, potatura ecc. sono manuali. CANTINA SANCIO di Sancio Riccardo Via Laiolo, 73 - 17028 SPOTORNO SV TEL E FAX 019 743255 - cantinasancio@libero.it

L'Ormeasco è un vitigno autoctono a raspo rosso che ha saputo adattarsi sia alle cocenti radiazioni diurne che alle improvvise cadute termiche provocate dai freddi venti notturni provenienti dalle Alpi Marittime, perciò può essere definito vino di montagna. Le prime notizie storiche risalgono al 1303, con un editto che ne imponeva la coltivazione. Lorenzo Ramò, agronomo, appassionato di cultura contadina e viticoltura, avvia l'attività nel 1938 con i primi imbottigliamenti del Pornassio, quale precursore in Valle Arroscia. L'Azienda si estende tutt’ora su 2.8 ettari di vigneto, ad una altitudine di 650 metri, gestita dai figli Gian Paolo e Marino che, con dedizione e impegno, ne hanno incrementato la produttività, con tutte le attrezzature adeguate al terreno e alla cantina, per una razionale trasformazione delle uve. L'azienda produce circa 25.000 bottiglie l'anno, che sono da suddividersi nelle varie tipologie alle quali può dare vita l’Ormeasco. AZIENDA AGRICOLA RAMO’ LORENZO Via S. Antonio 9 - 18024 PORNASSIO (IM) Tel. 0183 33097 - Cell. 3483541003 - elena.ramo@libero.it


Liguria speciale

Porre l’aglio già mondato nel mortaio, pestarlo col pestello d’olivo o di frassino fin tanto da ridurlo in poltiglia, unire i pinoli e pestare, amalgamando così i due ingredienti. Unire il basilico e il sale e schiacciare - senza più pestare - a lungo roteando col pestello, mentre con l’altra mano si fa girare il mortaio nel senso opposto, sino ad ottenere un composto omogeneo. Aggiungere i formaggi e, sempre, roteando, incorporare l’olio versato a filo. Se il pesto fosse troppo denso, diluirlo con un cucchiaio d’acqua calda della cottura della pasta. Avvertenze: le foglie, necessariamente asciutte, non devono minimamente essere stropicciate, perché le vescicolette contenenti gli oli essenziali poste sulla pagina

superiore della foglia, rompendosi, provocano un’ossidazione del colore e degli aromi, rendendo prima il pesto verde sbiadito-marrone o verde scuro, e poi con note verdenero, dall’aroma solamente erbaceo. Il pesto fatto nel frullino elettrico, a parte che viene una salsa emulsionata simile ad una crema, scaldandosi per l’alta velocità si ossida in parte anch’esso e fa quintuplicare l’effetto piccante dell’aglio conferito dall’allicina (solfuro di zolfo). Il mortaio era e deve rimanere un attrezzo di cucina, poiché l’aglio pestato nel mortaio non si scalda; inoltre il sale messo assieme alle foglie di basilico, sotto l’azione roteante del pestello, le sminuzza finemente e, essendo il sale igroscopico, ne rallenta l’ossidazione. I pinoli, conside-

Una serra di Basilico

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randoli un’aggiunta fatta verso la fine del 1800, possono essere anche facoltativi, benché aggiungono morbidezza per il contenuto d’alcuni acidi grassi, che si trovano anche nell’olio extravergine di oliva. Obbligatorio invece l’aglio, che trova perfetta armonia col basilico genovese. Chi lo toglie (Dio lo punisca) abbia l’onestà di non chiamarlo più pesto, ma semmai salsa al basilico. Infine, perché l’olio deve essere maturo e dolce? Semplice: l’olio oltre a far da solvente per le sostanze aromatiche, conferisce il perfetto amalgama, esaltando l’aroma del basilico ed attenuando il piccante dell’aglio. Ideale per condire vari tipi di pasta fresca, in particolare i mandilli de saea, cioè le lasagne.


Minestrone col pesto

sale. Unire la mollica, la cagliata, il formaggio, amalgamare e diluire con l’olio. Se la salsa è troppo densa, aggiungere un cucchiaio d’acqua calda di cottura della pasta. Ideale per condire i classici pansoti. Ottima con tortelli di borragine. Salsa di pignoli Sarsa de pigneu Dosi e ingredienti per 6 persone: 180 g di pinoli di Pisa 1a scelta; 2 spicchi d’aglio di Vessalico; 30 g di mollica di pane bagnata nel latte e strizzata; 30 g di Parmigiano reggiano stagionato; 1 cucchiaio di prescinseua (cagliata); le foglioline fresche di due rametti di maggiorana; olio extravergine di oliva Riviera Ligure DOP e sale grosso marino q.b. Esecuzione: pestare l’aglio nel

mortaio, unire i pinoli e continuare a pestare sino ad ottenere un denso composto. Roteando col pestello, aggiungere la maggiorana e il sale, la mollica passata al setaccio, la prescinseua e il formaggio. Sempre mescolando, diluire la salsa con l’olio versato a filo. Se la salsa è troppo densa, aggiungere un cucchiaio d’acqua calda di cottura della pasta. Ideale per condire corzetti stampati e polceveraschi.

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Salsa di noci Sarsa de noxi Dosi e ingredienti per 6 persone: 200 g di gherigli di noci; 1 spicchio d’aglio di Vessalico; 30 g di mollica di pane bagnata nel latte e strizzata: 30 g di Parmigiano Reggiano stagionato; 1 cucchiaio di prescinseua (cagliata); olio extravergine di oliva Riviera Ligure DOP e sale fino marino q. b.

Esecuzione: immergere i gherigli nell’acqua bollente per alcuni minuti e toglierci la pellicina. Pestare nel mortaio l’aglio e, continuando a pestare, aggiungere i gherigli e il

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Marò Pestun de bazann-e Dosi e ingredienti per 6 persone: 400 gr di fave sgusciate piccole e fresche; 2 spicchi d’aglio di Vessalico; 4 foglie di menta; 40 g di Parmigiano Reggiano; 50 g di prescinseua (cagliata); olio extravergine di oliva Riviera Ligure DOP e sale marino grosso q.b. Esecuzione: pestare nel mortaio l’aglio, unire le fave, il sale, la menta e, continuare a pestare, fino ad ottenere un composto omogeneo. Aggiungere la prescinseua, il formaggio, mescolare e diluire con l’olio. Se la salsa è troppo densa, aggiungere un cucchiaio d’acqua calda di cottura della pasta. Nel tempo è stato aggiunto del formaggio pecorino stagionato. Alcuni secoli fa era usata per minestre in brodo. Oggi si può abbinare a delle costine d’agnello alla griglia e con sformati di patate e di zucch ini. Può condire paste come farfalle, trofiette e lasagnette.

Salsa di maggiorana Sarsa de persa Dosi e ingredienti per 6 persone: 120 g di mollica di pane bagnata nel latte e strizzata; 2 spicchi d’aglio; le foglioline di 10 rametti di maggiorana fresca; 50 g di prescinseua (cagliata); 10 g di Parmigiano Reggiano di 30 mesi; alcuni brillantini di sale grosso marino; olio extravergine di oliva DOP Riviera ligure. Esecuzione: pestare nel mortaio l’aglio, unire la maggiorana e il sale, e continuare a pestare, fino ad ottenere un composto omogeneo. Roteando col pestello, aggiungere la mollica, la prescinseua ed il formaggio, mescolare e diluire con l’olio. Se la salsa è troppo densa, aggiungere un cucchiaio d’acqua calda di cottura della pasta. Nel tempo è stato aggiunto del formaggio pecorino stagionato. Ideale per i Dian. Va bene anche le trofiette.

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speciale

Liguria

Il regale Cappon magro di Virgilio Pronzati

S

u questo piatto tipico della cucina genovese, unico nel suo genere nel quadro gastronomico nazionale, si è scritto a lungo e spesso anche in modo sbagliato. Quello che troneggia invitante nelle vetrine dei negozi di gastronomia, non rappresenta nemmeno lontanamente l’antico piatto. La sua origine risale al Cinquecento, e si chiamava “biscotto con-

dito”, ossia delle fette di pane biscottate inumidite con acqua e aceto, su cui a strati, si ponevano pesci e ortaggi lessi alternati a della salsa verde. Il tutto poi decorato con una crema al burro, pistacchi e olive. Questo piatto era nato in casa di nobili ed abbienti, creati dagli abili cuochi al loro servizio, nel periodo della quaresima. Infatti, secondo le allora severe norme eccle-

siastiche, invece del grasso cappone lesso sul desco degli atei golosi, era preferibile un piatto altrettanto buono ma preparato con pesci e ed ortaggi. La versione poco accreditata, sostiene che il nome gli derivi dal pesce cappone. Una sorta di simile ma più semplice e meno elaborato è l’antica “capponadda”: un veloce piatto freddo, fatto dal cuoco di bordo, quando per il rollio

Il Cappon Magro

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ValleLiguria d'Aosta

speciale speciale

Dosi e ingredienti: fette di pane biscottato; 1500 gr di pesce cappone; 400 gr di gamberetti; 400 gr di scampi; 1 aragosta; 16 ostriche; 50 gr di mosciamme; 4 acciughe diliscate e dissalate; 250 gr di patate; 250 gr di fagiolini; 1 piccolo cavolfiore; 2 barbabietole; 8 carciofi; 24 olive grosse; 1 gambo di sedano; 180 gr di funghetti sott’olio; 6 uova sode; 2 carote; 1 radice di scorzonera; 3 spicchi d’aglio; olio extravergine d’oliva ligure; aceto di vino bianco; succo di limone; sale e pepe. Per la salsa: 1 mazzetto di prezzemolo; 50 gr di pinoli; 20 gr di capperi; 2 acciughe salate; la mollica di 2 panini bagnata nell’acqua e aceto; 2 uova sode; la polpa di 8 olive verdi; un poco di sale grosso; 6 cl di olio extravergine d’oliva; 2 cl d’aceto. Preparazione: lessare il pesce e l’aragosta, sbollentare i gamberi e gli scampi. Diliscare il pesce, togliere la testa, la coda, la pelle e tagliarlo a pezzi. Sgusciare l’aragosta, i gamberi e gli scampi; tagliare a rondelle l’aragosta e gli scampi e condirle con olio, limone e sale. Lavare, lessare e tagliare a pezzetti gli ortaggi, e condirli con l’olio, un poco d’aceto, pepe e sale. Pestare nel mortaio col sale, 1 spicchio d’aglio, i pinoli, i capperi, le acciughe, le olive e il prezzemolo. Passare al setaccio solo i tuorli e la mollica di pane e porre nel mortaio. Diluire, mescolando, con l’olio e poco aceto. Fregare con l’aglio le fette di pane biscotto, porle su un grande piatto di portata e inumidirle con acqua e aceto. Disporvi sopra il mosciamme e a strati, il pesce, le verdure, 3 uova affettate (tranne una carota tagliata a fette), cospargere ogni strato di salsa verde e continuare così sino ad esaurire gli ingredienti. Spalmare uniformemente la salsa verde sul cono e decorarne la superficie partendo dal basso con rondelle di carota e d’aragosta, uova a fette, funghetti, filetti d’acciuga e olive, gamberetti posti sulla sommità del cappon magro e le ostriche aperte sul bordo per cornice. Sposare questo composito e prelibato piatto ad uno spumante classico Talento brut, servito a 7°c in slanciate flutes.

della nave non si potevano

sato recente, venne guarnito

nenti cotti separatamente. A

mettere pentole e tegami sul

con scampi e gamberi. Quello

Genova, da circa un secolo,

fuoco. Nella sua composizio-

che fa bella mostra in vetrina,

ne c’erano fettine di moscia-

spesso è tenuto insieme dalla

me (filetto di delfino essiccato,

gelatina (sic!). Per dargli una

oggi di tonno), ortaggi, olio

forma conica, bisogna usare

otto persone, la ricetta più

d’oliva, aceto e sale. Il cap-

un piano tondo di legno con al

curiosa e golosa, tratta dal

pon magro era un cono fatto

centro un’asta, simile alla torta

libro “Cucina di strettissimo

con strati alternati di pesci ed

nuziale francese. Oggi diversi

ortaggi, legati con della salsa

ristoranti genovesi e non, lo

verde e posto su delle gallette

presentano in diverse versioni

da marinaio bagnate d’acqua

o già impiattato, assemblando

frati Minimi di San Francesco

e aceto. Più tardi, in un pas-

al momento i diversi compo-

da Paola.

fa parte dei menues per le festività di fine anno. Ecco per

magro”, redatto nel 1880, da padre Gaspare Dellepiane dei

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4

65


speciale speciale

Liguria Sardegna

La Sardegna dei vini di Gilberto Arru

La storia della vitivinicoltura sarda ha radici molto profonde ed è quasi impossibile stabilire date e periodi.

È

certo che la vita era presente in epoca nuragica ed è altrettanto vero che i popoli che si sono avvicendati nell’isola, con intenti non sempre pacifici, hanno lasciato tracce del loro passaggio anche in agricoltura. Molte tecniche di allevamento, come l’alberello descritto anche dal Columella, e la lavorazione dei campi con l’aratro in legno trainato dai

buoi o dal cavallo, sono abbastanza comuni ancora oggi in molte zone dell’isola. Questo conferma quanto sia stata importante la vitivinicoltura per la Sardegna, seppur con alterne vicende. Molte le testimonianze grazie ai reperti archeologici risalente sin dall’epoca fenicia. Ma abbastanza significative sono state le leggi promulgate da Eleonara d’Arborea, con la “Carta de logu” alla fine del

1300, dove regolamentava l’attività agricola, imponendo la coltivazione e la cura dei fondi, la loro recinzione per evitare l’ingresso degli animali al pascolo previa confisca ed affidamento ad altri; inoltre, il rispetto della proprietà altrui, per evitare furti e saccheggi, con pene abbastanza severe, sia pecuniarie sia corporali come l’amputazione della mano. È nella seconda metà

Vigneti nel Campidano di Cagliari

66

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4


produttive e creare una unica forza, pur mantenendo ognuno la propria individualità. Non sempre i mercati importanti si conquistano con le quantità, ma oggi è sempre più ricercata la specificità qualitativa, e la Sardegna ha veramente molto da raccontare su storia e tradizione di vini unici al mondo. L’importante è avere la capacità di mantenere alto il nome di molti vini, oggi considerati di “nicchia”, prima che diventino vini da “loculi”.

Sardegna

produttive furono abbandonate su suggerimenti degli enologi, ed anche quelle varietà “difficili” da vinificare, aprendo le porte ai vitigni internazionali che già si diffondevano in tutto il territorio nazionale. Questi errori hanno avuto un peso importante, non solo nell’economia ma anche nell’immagine del vino sardo. Con le sovrapproduzioni la Sardegna superò la soglia di oltre 80 mila ettari, con il grande rischio di snaturare le caratteristiche dei vini; successivamente, con gli spianti agevolati la superficie vitata è calata drasticamente et attualmente è calcolata intorno ai 30 mila ettari. Questo ha causato la chiusura di molte cantine sociali ma ha favorito la crescita smisurata di piccole cantine private. Negli anni 80 le produzioni erano affidate a una sessantina di aziende tra sociali e private, oggi sono oltre 120, soprattutto private. È un segnale che può avere diversi risvolti. Se da una parte deve essere incoraggiato l’interesse a non abbandonare la viticoltura, dall’altro si rischia una eccessiva frammentazione delle produzioni che possono andare bene, anche per le dimensioni delle singole aziende, a patto che si producano vini di altissimo pregio e con particolari specificità. Ma questo non sempre è possibile e gli enti di valorizzazione e promozione potrebbero unire le piccole realtà

speciale

dell’800 si incomincia ad avere un quadro più chiaro della viticoltura e dell’enologia sarda. Molti autori sono convinti che la maggior parte dei vitigni coltivati nell’isola siano stati importati dalle diverse aree del Mediterraneo, in epoche differenti, ma non esiste alcuna certezza e non è azzardato dire che la maggior parte dei vitigni, ancora oggi coltivati nell’isola siano autoctoni, seppur con qualche modificazione genetica avvenuta nel corso degli anni. Sin dall’epoca i vini sardi erano apprezzati soprattutto nei mercati nazionali ed esteri per la corposità e soprattutto per la dolcezza. Anche la Sardegna dovette affrontare il grande dramma della fillossera, che distrusse la maggior parte dei vigneti. Resistettero alcune varietà, a macchia di leopardo e soprattutto nei terreni sabbiosi, un po’ in tutta l’isola. La ricostruzione del patrimonio viticolo avvenne in modo lento ma graduale fino agli anni ’50 – 60 quando il settore ebbe un forte scossone e iniziarono radicali trasformazioni, soprattutto con i nuovi sistemi di allevamento espansi. Si moltiplicarono gli enopoli sociali per le sovrapproduzioni, grazie agli incentivi pubblici, gli stessi che furono elargiti successivamente per spiantare. Questi mutamenti trovarono impreparati i produttori, tant’è che molte varietà autoctone poco

I principali vini della Sardegna Alghero È tra le doc più giovani e comprende, oltre a numerosi vitigni autoctoni come il torbato, molti vitigni internazionali quali cabernet, chardonnay, sauvignon ed altri prodotti anche in purezza. L’area interessata riguarda la parte occidentale della provincia di Sassari, con Alghero dove si concentra la maggior produzione. Altrettanto numerose sono le tipologie, ma il rosso Marchese di Villamarina – Cabernet resta la punta di diamante. Di grande corpo e struttura, dopo un lungo passaggio in barrique, rispecchia i caratteri del vino internazionale; dai profumi intensi di mora e marasca e dal sapore asciutto caldo e pieno. Ottimo su carni grigliate e formaggi stagionati. Si apprezza meglio alla temperatura di 16 – 18°.

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4

67


Liguria Sardegna speciale speciale

Arborea Sono tre i vitigni interessati a questa doc, sangiovese, trebbiano romagnolo e trebbiano toscano, introdotti nell’isola intorno agli anni trenta dai coloni veneti e romagnoli, giunti nell’isola per bonificare il Basso oristanese, dove è poi sorta l’attuale Arborea. In Sardegna non hanno particolari sinonimi. Oltre all’area delimitata dalla doc i vitigni si sono diffusi in quasi tutta la provincia di Cagliari e in alcune aree di quella di Sassari e di Nuoro, dove le uve sono utilizzate principalmente in uvaggio. È tra le doc meno diffuse, soprattutto dopo l’espianto dei vigneti. Con la denominazione Arborea possono essere prodotti il “Sangiovese” e il “Trebbiano”. Il Sangiovese anche nel tipo rosato, con tenore alcolico minimo di 11 gradi e le uve devono essere sangiovese per almeno 85%. Il Sangiovese di medio corpo, gradevole consigliato su primi piatti anche saporosi, servito a 14 – 16°; il Trebbiano fresco e corretto, si abbina gradevolmente a piatti della cucina marinara, servito a 10- 11°. Cannonau Per molti anni si è detto che l’origine probabilmente è spagnola per la somiglianza al canonazu di Siviglia a al grenache francese. C’è chi ritie-

68

Vigneti di Isalle in Baronia

ne possa essere una varietà di Alicante, per altri ancora il Tocai rosso. Oggi, dopo i numerosi reperti ritrovati nei nuraghi, non è azzardato dire che con molte probabilità è un vitigno autoctono.Tra i sinonimi più comuni: cannonau, cannonadu, nannonatu, retagliadu o revagliadu nieddu. La maggior diffusione è accentrata nelle zone più vocate della provincia di Nuoro (Ogliastra, Baronia, Barbagia), di Sassari (Nurra, Anglona) e Campidano. Può essere prodotto come Cannonau di Sardegna anche con le sottodenominazioni di Oliena, o Nepente, di Oliena, di Capo Ferrato e Jerzu, nelle versioni rosso e rosato e nei tipi secco, amabile, dolce, liquoroso secco, liquoroso dolce, “superiore” e “riserva”. L’invecchiamento minimo è di un anno, due per il tipo riserva

di cui sei in botti di legno, con tenore alcolico minimo di 13% vol. Cannonau di Sardegna secco (doc) Ha colore rosso rubino intenso; profumo ampio e continuo con sentori di mallo di noce, caratteristico; sapore asciutto e generoso. Ottimo su carni rosse alla brace, cacciagione e formaggi stagionati. La gradazione alcolica minima è di 12,5% vol. Può invecchiare bene alcuni anni. Temperatura consigliata 18-20°C. Note: sono numerosi i Cannonau a denominazione geografica, o con nomi di fantasia ottenuti anche da altre uve rosse e/o bianche in percentuali diverse. I prezzi del Cannonau sono molto differenti. Se all’alto costo non sempre

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4


speciale speciale

Campidano di Terralba I vitigni per almeno 80% sono bovale sardo e bovale di Spagna; sono ammesse piccole aggiunte, in percentuali variabili, di Pascale di Cagliari. La zona di produzione comprende i territori della parte meridionale della provincia di Oristano a quella settentrionale di Cagliari. Prima del riconoscimento a doc, era considerato il vino comune del Basso Campidano di Oristano.

ValleSardegna d'Aosta

corrisponde una qualità eccellente, è pur vero che al basso costo corrisponde una qualità mediocre. Non è difficile trovare Cannonau di Sardegna (doc) anche a meno di 2 euro oppure a 30 – 40 euro. In quest’ultimo caso il prezzo tende sempre a lievitare, grazie ai riconoscimenti che vengono attribuiti dalle varie guide, ma non sempre giustificato dalla qualità. Il Carignano del Sulcis

un moderato invecchiamento (3-4 anni). Temperatura consigliata 16-18°C. Carignano Di probabile origine spagnola è molto simile al mazuela coltivato nella penisola iberica e al carignan francese. In Sardegna è conosciuto come “ua” o “axina de Ispagna”, oppure “nieddu de Ispagna”.

È maggiormente diffuso nel basso Sulcis; ma è presente anche nel Campidano di Cagliari e in parte in quello di Oristano. Il vino è stato per lungo tempo considerato “vino da taglio”, pertanto molto richiesto dai mercati continentali ed esteri. In questi ultimi anni, modificando le tecniche colturali e di vinificazione, si sta affermando

Campidano di Terralba (doc) Può essere prodotto anche con la denominazione “Terralba”, con tenore alcolico minimo di 11.5 gradi. Ha colore rubino carico; profumo leggero e un po’ vinoso, sapore asciutto e sapido. Si abbina a carni rosse e bianche alla griglia, stufati e formaggi di media stagionatura. È vino da bersi preferibilmente giovane (1 – 2 anni), tuttavia qualche annata sopporta Vigneto nella zona del Sulcis Iglesiente

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4

69


Liguria Sardegna speciale speciale

come grande vino anche nei

produce un Girò particolare,

documentazioni precise. Tra

mercati importanti. Tra le più

molto dolce, alcolico e ricco

i sinonimi più comuni: malma-

alte espressioni i Carignano

di profumi caratteristici del vi-

sia, malmazia, mamusia, mar-

del Sulcis riserva Terre Brune

tigno

maxia, alvarega e uva greca.

e Kanai. Il Carignano del Sulcis

Per le particolari caratteristi-

È coltivato un po’ ovunque; ma

è prodotto nella versione ros-

che organolettiche era molto

solamente in alcune zone ben

so e rosato.

richiesto, sin dal secolo scor-

distinte riesce a dare vini di ele-

so, nelle regioni centro-set-

vato pregio. Nel Campidano di

Carignano del Sulcis

tentrionali ed anche in Austria,

Cagliari, parte della Marmilla e

rosso (doc)

Francia ed Ungheria. L’attuale

del Parteolla, ma soprattutto

Il colore è un rubino brillante

disciplinare consente di pro-

nella Planargia dove la super-

con riflessi granato; i profumi

durre un vino con la denomi-

ficie vitata è molto frazionata

sono ampi con note di frutto

nazione Girò di Cagliari, nei

ed affidata a piccoli produttori

maturo e di prugna secca.

tipi: secco, dolce, liquoroso

che non riescono ad unire le

Al palato è caldo, rotondo con

dolce e liquoroso secco o dry.

forze per promuoverlo e valo-

tannini morbidi e lunga per-

Nella tipologia dolce, ha co-

rizzarlo.

sistenza gustativa, con finale

lore rosso rubino con riflessi

Per la diversità di clima, si

leggermente amarognolo Si

aranciati, che si accentuano

composizione del terreno, dei

abbina a: brasati, cinghiale in

con l’invecchiamento; profu-

sistemi di allevamento e di

umido e formaggi stagionati.

mo delicato e fragrante; sa-

trasformazione, si ottengono

Servire alla temperatura di 16

pore dolce, morbido e caldo,

vini diversi. Quello prodotto

– 18°C. Ha tutte le caratteristi-

con fin di bocca leggermente

in Planargia è delicato e soa-

che per resistere bene 2 – 3

amarognolo. Servire a 12-

ve; più generoso e dal gusto

anni ancora; bottiglia coricata.

14°C. Ottimo con i formaggi

deciso quello delle altre zone.

piccanti ed anche a fine pasto

Attualmente sono prodotti vini

e con i dolci. Può invecchiare

con la denominazione di ori-

Girò Di origine incerta, quindi probabilmente autoctono e nulla lo accomuna al Cirò calabre-

70

anche diversi anni, ma è straordinario anche da giovane.

gine controllata di Malvasia di Cagliari, Malvasia di Bosa e

se; ha un’infinità di sinonimi,

Malvasia

con la denominazione geogra-

talvolta anche impropri; ziro-

I vitigni che portano il nome

fica Planargia per il tipo giova-

ne, girone, zirone de Ispagna,

malvasia sono numerosissimi

ne; quest’ultimo anche nella

zirone bianco, aghina barja,

e assai differenti tra loro; sono

versione spumante demi-sec.

nieddu addosu, nieddu alzu.

a frutto bianco e nero, a sapore

Entrambe le tipologie dovreb-

Era diffuso in tutta la Sardegna,

semplice o aromatico. Ci sono

bero rientrare nel nuovo disci-

ma è stato un po’ abbando-

anche vini che portano impro-

plinare in via di approvazione.

nato per l’incostanza produtti-

priamente il nome Malvasia,

va, soprattutto se non allevato

pur essendo prodotti con altre

Malvasia di Bosa secco (doc)

ad alberello, e per la scarsa

uve. In Sardegna è conosciu-

Ha colore paglierino carico,

resistenza alle malattie critto-

to il vitigno a frutto bianco non

tendente al dorato profumo

game. Attualmente è coltiva-

aromatico. L’origine è proba-

ampio e persistente, caratte-

to nel circondario di Cagliari,

bilmente greca e si presume

ristico; sapore delicato, mor-

dove si è sempre concentrata

sia arrivato nell’isola intorno al

bido, con lunga persistenza

la maggior produzione, ma

5° secolo con la presenza dei

gusto-olfattiva.

anche nella Planargia, dove si

Bizantini; non si hanno però

egregiamente alla pasticceria

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4

Si

abbina


di. È vino da “cogliere” nei pri-

di qualche anno con i formag-

bene ad alcuni piatti di pesce.

mi due anni..

gi erboranti e patè di fegato

Temperatura consigliata 10-

d’oca.

consi-

12°C. Il tenore alcolico mi-

gliata 12 °C. Può invecchiare

nimo è di 12 gradi per il tipo

molti anni ma è da preferirsi

secco; può essere prodotto

giovane, anche se il disciplina-

anche nei tipi: liquoroso secco

re di produzione prevede un

e liquoroso dolce con tenore

invecchiamento minimo di due

alcolico minimo di 14 gradi.

Temperatura

anni. Con l’eccessivo invec-

Mandrolisai Concorrono diversi i vitigni soprattutto tra i più antichi dell’isola: muristellu, cannonau e monica sono i principali; in piccole percentuali anche girò, malaga, barbera ed altre

Planargia bianco

locali. La zona di produzione

È la vera espressione del

è tra le sub-regioni viticole

Malvasia di questa zona, pro-

più interessanti e suggestive

dotto anche nella versione

della Sardegna; le vigne sono

spumante. Ha colore paglie-

coltivate anche a 600 metri

rino, da giovane anche con

sul livello del mare, su terreni

so secco, liquoroso dolce con

riflessi citrini; profumo ampio

da disfacimento granitico. Il

tenore alcolico minimo di 15

ed intenso di fruttato, molto

vino prende il nome dall’area

gradi.

personale; sapore “dolce non

di produzione e può essere

dolce” per la particolare armo-

prodotto nei tipi rosso e ro-

Malvasia di Cagliari (doc)

nia tra gli zuccheri e la glice-

sato con tenore alcolico mi-

Ha colore giallo oro che ten-

rina, fine ed elegante. Ottimo

nimo di 11,5 gradi. Presso i

de all’ambrato, con l’invec-

come aperitivo, da fine pasto

piccoli produttori, soprattutto

chiamento; profumo intenso

con la pasticceria secca e “ da

di Atzara, si può assaggiare

e continuo; sapore morbido e

conversazione”. Temperatura

il caratteristico vino di queste

deciso dal fondo leggermen-

consigliata 12-14°C. Il tenore

zone, pieno e robusto con

te ammandorlato. È vino da

alcolico minimo è di 13,5 gra-

leggeri residui zuccherini.

chiamento le caratteristiche tendono a modificarsi, fino a renderle molto simili a quelle della Vernaccia di Oristano. Può essere prodotto anche nei tipi dolce, secco, liquoro-

Sardegna

fine pasto, ma si abbina molto

speciale

secca; ottimo se invecchiato

Vigneto del Mandrolisai

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4

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Sardegna speciale

Mandrolisai rosso (doc)

Monica di Cagliari secco (doc)

prodotto anche nei tipi ama-

Ha colore rubino carico; profu-

Ha colore rubino, anche in-

bile, “fermo” e frizzante. Il te-

mo intenso con bouquet am-

tenso; profumo etereo; sa-

nore alcolico minimo è di 11

pio e vinoso; sapore asciutto;

pore secco, caldo e pieno. Si

gradi; se invecchiato almeno

sapido, caldo ed equilibrato.

sposa bene con carni rosse

un anno, con tenore alcoli-

Si abbina a carni rosse allo

alla brace formaggi stagio-

co minimo di 12,5 gradi, può

spiedo e formaggi stagionati.

nati. Temperatura consigliata

qualificarsi “superiore”.

Temperatura consigliata 18-

16-18°C per il tipo secco; 12-

20°C. È vino da medio invec-

13°C per quello dolce. Può

Moscato

chiamento (2-4 anni).

essere prodotto anche nei tipi

Monica

liquoroso secco e liquoroso

Il vitigno potrebbe essere di

dolce. Se invecchiato almeno

È probabile che provenga dall’area dell’Egeo, ma non si quando e come. La famiglia del moscato è certamente tra

origine iberica e non è pre-

due anni, di cui uno in botte

le più numerose, perché sono

sente in altre regioni italiane.

di legno, può qualificarsi “ri-

diversi i vitigni e diversi anche

Tra i sinonimi più diffusi: nied-

serva”.

i vini prodotti nelle varie zone; ma è il particolare aroma l’ele-

da mora, niedda de Ispagna, monaca.

Monica di Sardegna

mento che li accomuna e li ca-

È diffuso un po’ ovunque,

secco (doc)

ratterizza. I sinonimi sono tanti

ma ha rilevante importanza

Ha colore rubino chiaro, pro-

e talvolta impropri. In Sardegna

solamente nel Campidano di

fumo tenue e un po’ vinoso,

i più comuni sono: muscadellu

Cagliari, nell’Oristanese, nel-

fresco; sapore secco e sa-

de Ispagna, muscadellu sardu

la Marmilla, nella Trexenta,

pido. Trova il miglior abbi-

o muscadelleddu, muscadellu

nel Parteolla e nel Sulcis

namento con i salumi, primi

nieddu, muscadeddu, mussa-

Iglesiente.

piatti dai condimenti saporo-

deddu.

prodotto

si e carni bianche alla brace.

Non è difficile trovare vigneti,

solo ad alberello e le uve fat-

Temperatura consigliata 14-

seppur piccoli, ove non sia

te appassire sulla pianta o su

16 °C per il tipo secco; 12°C

presente questo vitigno; ma

graticci. Si otteneva un vino,

per il tipo amabile.Può essere

le aree di maggior diffusione

Anticamente

era

dolce o secco, di grande corpo e struttura. Con

l’evento

delle

forme

espanse, e le alte rese per ettaro consentite dal disciplinare, aveva perso le caratteristiche originarie. Attualmente è prodotto con le denominazioni di origine controllata Monica di Sardegna e Monica di Cagliari, nelle versioni rosso e rosato. Non mancano le denominazioni geografiche e di fantasia dove concorrono altre uve in percentuali diverse. Grappoli di Vernaccia di Oristano

72

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4


L’area

la Marmilla, il Parteolla, la

ampio ed aromatico dell’uva;

ressata

Gallura e la Romangia. Nella

sapore dolce, fine, fragrante

la pianura del Campidano

provincia di Nuoro è coltivato

e persistente. Per la grade-

di Cagliari e le colline della

nell’area del Mandrolisai, dove

volezza si presta ad essere

Marmilla e del Parteolla; ma è

è presente anche la rara varie-

consumato in diversi momenti

coltivato anche nell’Oristanese

tà a frutto nero.

delloa giornata, ma anche con

e nel Mandrolisai. In quest’ul-

Attualmente i vini moscato

i dolci. Temperatura consiglia-

tima zona si ottiene un ottimo

prodotti con denominazioni

ta 9 - 11°C.

Nasco molto fine ed elegante,

geografiche e a doc sono tan-

maggiormente alla

inte-

produzione

è

ma anche a maggior rischio di

ti, tutti comunque ottimi vini

Moscato di

estinzione.

da dessert e da fine pasto. È

Sorso-Sennori dolce (doc)

Il vino già nella metà del seco-

prodotto anche nella versione

È prodotto negli omonimi terri-

lo corso era apprezzato nelle

spumante dolce e demi-sec.

tori. Ha colore giallo oro, quasi

migliori manifestazioni enolo-

Moscato di Cagliari

ambrato; profumo intenso e

giche nazionali ed estere. È

dolce (doc)

caratteristico; sapore dolce,

da ritenersi tra i migliori vini da

L’area di produzione com-

pieno e vellutato che ricorda

dessert italiani. Attualmente

prende le province di Cagliari

l’uva omonima molto matura.

è prodotto con la denomina-

e di Oristano. Ha colore giallo

Ottimo sui dolci e a fine pa-

zione Nasco di Cagliari (doc)

carico; profumo ampio e per-

sto. Temperatura consigliata

e con alcuni nomi di fantasia

sistente, tipico; sapore dolce

9-10°C.Il tenore alcolico mi-

come il Monteluce e l’Angia-

ma non stucchevole. Si ab-

nimo è di 13 gradi ed è pro-

lis; in quest’ultimo con piccole

bina molto bene a molte spe-

dotto anche nel tipo liquoroso

percentuali di malvasia.

cialità dolciarie. Temperatura

dolce. Può invecchiare bene

consigliata 10-12°C.

qualche anno, ma è da prefe-

Nasco di Cagliari secco (doc)

È prodotto anche nel tipo li-

rirsi giovane.

quoroso dolce che, se invec-

Nasco

che si fa dorato con l’invec-

chiato almeno un anno, può

L’origine è ignota, quindi pro-

chiamento; profumo sottile e

qualificarsi “riserva”. Il tenore

babilmente è un altro autocto-

delicato con sentori di sotto-

alcolico minimo è di 12 gradi.

no perché è conosciuto sola-

bosco e piccoli fiori; sapore

È da preferirsi giovane anche

mente in Sardegna da oltre 2

secco, morbido, con stoffa

se alcune annate resistono

secoli. Il vitigno è stato abban-

lunga e setosa, dal fondo leg-

bene qualche anno.

donato dai vignaioli perché

germente amarognolo. Si spo-

poco produttivo e, se non si

sa bene con i dolcetti di man-

Moscato di Sardegna

incrementeranno le produzio-

dorle, tipici del Campidano.

spumante (doc)

ni, nell’arco di pochi anni po-

Temperatura consigliata 12-

Questa denominazione è ri-

trebbe scomparire dal pano-

14°C. Può essere prodotto

servata allo spumante prodot-

rama vitivinicolo ed enologico

nei tipi secco, dolce, liquoroso

to nell’intero territorio regiona-

regionale. Non ha particolari

secco, liquoroso dolce, con

le. È consentita anche la sotto

sinonimi, solamente nascu,

tenore alcolico minimo di 13

denominazione

Tempio

nascu buancu e nuscu, che

gradi. Questi ultimi, se invec-

Pausania, tempio o Gallura.

deriverebbero da muschio per

chiati almeno due anni, pos-

Il tenore alcolico minimo è di

la particolare sensazione di

sono qualificarsi “riserva”. Può

11,5 gradi. Ha colore paglie-

vellutatezza conferita al vino.

resistere bene diversi anni, ma

di

Sardegna

rino anche carico; profumo

speciale

sono il Campidano di Cagliari,

Ha colore paglierino carico

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4

73


speciale speciale

Liguria Sardegna

è da preferirsi mediamente invecchiato..

Nebbiolo di Luras Ha colore rubino intenso; pro-

Nebbiolo Probabilmente l’origine è piemontese; introdotto nell’isola alla fine del secolo scorso; in Sardegna non ha particolari sinonimi; tantissimi invece nelle regioni settentrionali. L’area di produzione è limitata al circondario di Tempio, Calangianus

ottenere altri rossi.

e

Luras,

in

Gallura; recentemente anche in altre zone dell’isola ma in

fumo ampio e persistente; sapore asciutto, morbido ed equilibrato. Il tenore alcolico si aggira intorno ai 12-12,5 gradi. Resiste bene qualche anno di invecchiamento, ma è da preferirsi sui 2 anni. Trova il miglior abbinamento con carni rosse alla griglia e formaggi stagionati. Temperatura consigliata 18°C.

Valle del Tirso nell’Oristanese, ma soprattutto nel circondario di Cabras. Si alleva ancora ad alberello ed i risultati sono evidenti perché il vino è corposo e pieno. In annate particolari, per l’incostanza produttiva, è utilizzato in uvaggio, ma anche spinto alcuni produttori ad abbandonarlo, con grandi rischi di estinzione. Con le forme espanse si sono diversificate anche le tipologie, dal rosso comune al rosato fresco e vivace. Attualmente

piccole quantità.

Nieddera

riproposto nel tipo tradiziona-

Il vino è ottenuto da uve pro-

L’origine è incerta, ma è cono-

le, con attenta selezione delle

venienti da allevamento ad

sciuto solo nell’isola da tanti

vigne per vocatura e delle uve

alberello a guyot, con rese ab-

anni, probabilmente da anno-

per sanità. Il tenore alcolico si

bastanza limitate. È prodotto

verare anche questo tra gli au-

aggira intorno ai 12,5 gradi.

con la denominazione geo-

toctoni. La zona di produzione

Ha colore rosso rubino carico

grafica di Nebbiolo di Luras o

è un po’ incostante ed è circo-

con riflessi granata, profumo

concorre anche in uvaggio per

scritta nei comuni della Bassa

intenso e fruttato con sentori

Vigneti nella Valle di Isalle (Dorgali)

74

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4


denominazione di origine con-

Proprio per la scarsa produtti-

caldo e pieno con piacevole

trollata di Nuragus di Cagliari.

vità, le uve venivano utilizzate

armonia gusto-olfattiva. Si ab-

con altre locali per ottenere Nuragus di Cagliari (doc)

bianchi di buon corpo. In que-

di carne, arrosti e cacciagione.

Ha colore paglierino chiaro

sti ultimi decenni si sono fatte

Temperatura consigliata 18-

con riflessi verdolini; profu-

prove di vinificazione singola,

20°C. Può invecchiare bene

mo tenue e un po’ fruttato;

con uve provenienti da alle-

in 2-3 anni; particolari annate

sapore secco piacevolmen-

vamenti ad alberello e guyot

anche di più.

te acidulo e fresco. Oltre ad

con risultati molto incorag-

essere un buon aperitivo, si

gianti, soprattutto come vino

abbina egregiamente ad anti-

da dessert, fine ed elegante,

pasti magri a base di pesce,

con tenore alcolico sui 14 gra-

minestre in brodo e pesci dal-

di, che nella versione da tutto

la carne delicata. Temperatura

pasto. È prodotto nella deno-

consigliata 9 - 11°C. È vino da

minazione di origine control-

bersi giovane e il tenore alco-

lata di Sardegna Semidano e

lico si aggira sugli 11 gradi.

Semidano di Mogoro.

Nuragus Non si hanno testimonianze che accertino con sicurezza la sua origine; molto probabilmente è autoctono. Di sicuro era il vitigno quantitativamente più rappresentativo e più produttivo della Sardegna. È noto, infatti, con i sinonimi “prentitineddus” (riempi tini), “pagadepigus” e “ua de is poberus” (uva dei poveri); a Cagliari era conosciuto come “binu de

Note: le uve nuragus, solo o congiuntamente, concorrono

Semidano di Mogoro

nella produzione di alcuni vini

Ha colore paglierino con riflessi

freschi e vivaci ed anche spu-

verdolini; profumo sottile, deli-

manti.

cato, fresco e fruttato; sapore

Nuragus”, perché proveniva

Semidano

dal comune di Nuragus nelle

Sull’origine del vitigno non si

Trexenta.

hanno notizie precise; non è

Inizialmente

si

Sardegna

bina egregiamente a pietanze

speciale

di amarena; sapore asciutto,

secco, sapido e pulito, con buona persistenza d’aroma. Trova il miglior abbinamento con Taffettati, stufati di verdu-

produceva

presente in altre regioni italia-

nell’alta Marmilla e poi si è

ne e poco anche nell’isola; è

diffuso nelle sub regioni del

da ritenersi, dunque, un vitigno

Campidano di Cagliari della

tutto sardo. Era molto diffuso

Trexenta, del Parteolla, del

alla fine del secolo scorso ma,

Sulcis Iglesiente e del basso

con la ricostruzione dei vigneti

Oristanese.

dopo la fillossera, è stato ab-

Era il vino senza grandi pro-

bandonato dai vignaioli per la

fumi molto alcolico, disarmo-

scarsa produttività. Semidanu

nico e sgraziato. Oggi grazie

e seminanu sono i sinonimi più

alle moderne tecniche di tra-

comuni.

sformazione è notevolmente

La zona di produzione è limi-

migliorato, anche con l’ausi-

tata al Basso Oristanese e ad

lio di piccole aggiunte di altre

alcune aree del Campidano di

Torbato

varietà miglioratrici, compresi

Cagliari. Solo in questi ultimi

L’origine è iberica e l’introdu-

pinot, chardonnay e malvasia.

anni si sta cercando di incre-

zione nell’isola risale al pe-

È prodotto anche con nomi di

mentare la superficie, alla luce

riodo

fantasia sotto varie denomi-

dei risultati ottenuti sia in vinifi-

spagnola. Non ha particolari

nazioni geografiche e con la

cazione singola che associata.

sinonimi; torbato, trubou e

ra, minestre in salse delicate a base di pesce. Temperatura consigliata 10- 11°C. Prezzo in enoteca da: 6 a 14 euro. Note:

Anche

nell’area

di

San Vero Milis, più a nord di Oristano, si è tentato di produrre un Semidano da dessert, fa bere giovane, ma molto interessante per finezza ed eleganza.

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4

della

denominazione

75


Liguria Sardegna speciale speciale

trubat, sono i più comuni. Si

continuo, fresco e vivace con

co. Si sposa bene con pietan-

pensa appartenga alla “fami-

sentori di limoncella; sapore

ze a base di pesce e formaggi

glia” delle Malvasie, più vicina

secco, sapido con buona sen-

poco stagionati. Temperatura

alla Malvasia di Rousillon.

sazione gusto-olfattiva. Ideale

consigliata 8-10°C. Non è da

L’are di produzione è limitata

su pietanze a base di pesce,

invecchiamento, ma particolari

ai comprensori di Alghero e ad

minestre dai condimenti leg-

annate resistono bene anche

alcune zone del Sassarese.

geri, crostacei. Non è vino da

2-3 anni e più. Deve avere un

Originariamente dalle sue uve

invecchiamento. Temperatura

tenore alcolico minimo di 12

si otteneva anche il tipo passi-

consigliata 9-10°C.

gradi, se raggiunge i 14 può

to, un’ottimo vino da dessert.

Vermentino

Oggi, con uve provenienti da forme espanse, si ottengono vini diversi e molto equilibra-

Non si hanno notizie certe sulla sua origine, ma si pensa sia stato introdotto in Sardegna

ti come il Torbato di Alghero

dalla vicina Corsica alla fine

e il Torbato – Terre Bianche,

del secolo scorso. È diffuso

frutto di una attenta selezione;

in Spagna e nel Midì francese;

ha dato ottimi risultati anche

in Italia soprattutto in Liguria e

nella versione spumante. Il te-

in Toscana. Non ha particolari

nore alcolico varia dagli 11 ai

sinonimi.

12,5 gradi. Tutti sono prodotti

Oggi è il vino bianco quantita-

con la denominazione Alghero

tivamente più rappresentativo

doc.

della Sardegna. La Gallura è

Terre Bianche

da considerarsi “zona classi-

È certamente la più alta espressione finora data dal Torbato, considerato tra i migliori bianchi “da tavola” prodotti in Sardegna. Ha colore paglierino chiaro con riflessi citrini; profumo di buona intensità e persistenza, con bouquet ampio e fruttato; sapore secco, sapido, con lunga e piacevole sensazione di gusto-olfattiva. Ottimo come aperitivo, con i

ca” e da dove è partita la diffusione che oggi copre quasi

Prezzo in enoteca da: 6 a 20 euro Vermentino di Sardegna (doc) Può essere prodotto su tutto il territorio regionale. Ha colore paglierino chiaro con riflessi citrini; profumo delicato e fruttato, sapore secco, fresco e vivace. Ottimo come aperitivo e pietanze delicate; da bersi giovane. Temperatura consigliata 9-11°C La gradazione alcolica minima deve essere 9,5 gradi.

tutte le zone vitivinicole più im-

Vernaccia

portanti dell’isola.

L’origine è antica ed incerta;

Per la sua diffusione i vini

il nome deriverebbe da “ver-

Vermentino attualmente pro-

nacula”, cioè del luogo. Con

dotti in Sardegna, hanno ca-

questo termine anticamente

ratteristiche

diverse.

si indicavano i vitigni non bene

Sono prodotti con la docg

identificabili. Tutto fa ritenere

Vermentino di Gallura (l’uni-

che sia un vitigno autoctono,

co della Sardegna) e la doc

anche alla luce dei recenti ritro-

Vermentino di Sardegna.

vamenti di vinaccioli di epoca

molto

nuragica nell’area di produzioVermentino di Gallura (docg)

ne. Esistono anche documen-

La produzione è circoscritta

ti che attestano un fiorente

alla sola Gallura, con la nuo-

commercio tra la Sardegna e

va provincia di Olbia - Tempio.

la penisola iberica sin dagli inizi

Ha colore paglierino anche

del primo millennio d.c. I sino-

Torbato di Alghero

carico; profumo floreale e am-

nimi più comuni sono: granata

Ha colore paglierino con riflessi

mandorlato, sapore secco ma

e garnaccia. L’area di produ-

verdolini; profumo delicato ma

morbido, caldo e caratteristi-

zione è la Bassa Valle del Tirso,

conchigliacei crudi, pesci dalla carne delicata e crostacei. Servire all alla temperatura di 9-11°C.

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qualificarsi “superiore”.

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4


se giovane si sposa bene anche con la bottarga di muggine; invecchiato è un eccellente vino “da conversazione”. Temperatura consigliata 1213°C. Può essere prodotto nei tipi superiore, liquoroso secco o dry con tenore alcolico minimo di 15 °C. Se invecchiato almeno 4 anni può qualificarsi “riserva”. È l’unico vino sardo, e tra i pochi al mondo, che può invecchiare per lunghissimi anni, anche 70 – 80 ed oltre, sempre migliorando.

ValleSardegna d'Aosta

Vernaccia di Oristano (doc) È un vino stranissimo che va contro le più comuni regole enologiche. Infatti, contrariamente a quanto succede con gli altri vini, la vernaccia di

Oristano sopporta i forti sbalzi di temperatura in cantine anche esposte al sole. Le botti per l’affinamento e l’invecchiamento sono tenute scolme, affinché la presenza dell’aria favorisca la formazione del velo (flor) sulla superficie del vino, che contribuisce a tipicizzare i caratteri organolettici. Ha colore giallo oro che si fa ambrato con l’invecchiamento; profumo intenso e persistente; sapore secco, caldo, con fondo leggermente amarognolo che ricorda le mandorle e le nocciole tostate. Ottimo con gli amaretti;

speciale speciale

fiume dove si identificavano le zone del bennaxi (una volta paludose) e quelle dei gregori (più alte ed asciutte). Il vino non ha alcuna affinità con gli omonimi prodotti in altre regioni italiane, sia bianchi sia rossi. È il primo vino della Sardegna ad ottenere la denominazione di origine controllata.

Speciale Sardegna a cura della redazione di Quality ADV

Azienda Vitivinicola Chessa

Vigne Surrau

Da diverse generazioni la famiglia Chessa ha fatto della viticoltura il proprio lavoro quotidiano, preservando nel tempo vecchi sapori e la purezza dei vitigni tipici della zona. Oggi, grazie alla passione e dedizione delle nuove leve, l’azienda riesce a fondere tecnologia e antiche tecniche enologiche proponendo vini di gran pregio, prodotti in limitata quantità. L’azienda si estende in una zona collinare posta a circa 250 metri sul livello del mare dove, in un terreno calcareo, i vigneti si alternano agli oliveti e alla macchia mediterranea. Le produzioni sono limitate, non superano infatti i 60 quintali ad ettaro e lo straordinario equilibrio creatosi tra pianta e terreno garantisce uve sane e di altissima qualità senza ricorrere a particolari tecniche agronomiche. Le varietà coltivate sono Vermentino, Moscato e Cagnulari. Da queste uve, selezionate manualmente in campagna durante la vendemmia e all’ingresso in cantina, vengono prodotti quattro vini in quantità molto limitata: Mattariga, Cagnulari, Kentàles e Lugherra.

La cantina Surrau nasce dall’entusiasmo di una famiglia: i fratelli Demuro di Arzachena. Un’impresa giovane figlia di un territorio dalla grande tradizione enologica, che in pochi anni si è imposta per la qualità dei vini e dell’accoglienza. Il Vermentino qui trova la sua massima espressione, vinificato sempre in purezza: lo Sciala, Vermentino di Gallura DOCG Superiore, avvolgente ed elegante; il Sole di Surrau, da uve Vermentino stramature e il Surrau Brut, spumante metodo classico. La cantina è immersa in mezzo al vigneto cui fanno da cornice i monti granitici di San Pantaleo, a pochi passi dalle spiagge incantevoli della Costa Smeralda, sulla strada che conduce da Arzachena a Porto Cervo. Il progetto nasce da una ricerca armoniosa tra costruzione e natura: una sequenza di facciate trasparenti e muri di pietra locale che si fondono con la terra. All’interno, l’ospite viene guidato nelle degustazioni di tutti i vini, accompagnati da prodotti tipici di altissima qualità. Nella cantina è sempre visitabile la galleria che accoglie mostre temporanee d’arte contemporanea. VIGNE SURRAU • Loc. Chilvagghja, s.p. Arzachena-Porto Cervo - 07021 Arzachena Tel. + 39 0789 82933 - Fax +39 0789 81096 info@vignesurrau.it - www.vignesurrau.it

AZIENDA VITIVINICOLA CHESSA Via San Giorgio - 07049 Usini (SS) Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 Cell. 328 3747069 - Fax 079 380151 www.cantinechessa.it info@cantinechessa.it

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speciale

Sardegna

Ristorante Su Gologone di Gilberto Arru

Charme e tradizione in Barbagia con ampie e calde sale, non solo perché il camino è sempre acceso anche d’estate, ma anche per gli arredi rustici ed eleganti che raccontano la storia di questo territorio.

L

Su

cora oggi grazie alla passione

avvertimento: attenzione nel

Gologone sono tra

e perseveranza della moglie

gestire le innumerevoli portate

e

78

sorgenti

di

le mete preferite dai

Pasqua e della figlia Giovanna.

che vi arriveranno senza sosta

turisti che possono ammirare

L’originalità degli arredi con

e soprattutto all’ottimo pane

le strette gole, attraversate da

pezzi di antiquariato locale e

carasu. Da sa vrughe, la ca-

acque cristalline, che alimen-

la cucina che ripropone i piatti

gliata acida da assaporare al

tano il fiume Cedrino, in una

di una volta, quelli che ancora

naturale a sa merca la caglia-

cornice di oleandri e il mas-

oggi si possono trovare nel-

ta secca e salata servita con

siccio carsico del Corrasi. È

le famiglie olianesi. Ampie e

pomodori maturi. Visto che

qui che Giuseppe (Peppeddu)

calde sale, non solo perché il

la cucina segue le stagioni,

Palimodde, incominciò a fare

camino è sempre acceso an-

in primavera non perdetevi le

ristorazione, in un piccolo lo-

che d’estate, ma anche per gli

favette fresche con il lardo. Si

cale adiacente alla sorgente.

arredi rustici ed eleganti che

può continuare con i funghi tri-

Uomo di grandi vedute, e so-

raccontano la storia di que-

folati, il delicato tortino di ricot-

prattutto di capacità impren-

sto territorio. Calorosa quanto

ta e melanzane e le deliziose le

ditoriali non comuni per que-

discreta l’accoglienza, dove

polpettine di formaggio servite

gli anni, non tardò a costruire

l’ospite è coccolato, guidato

con cicorietta selvatica. Sui

quello che nell’arco di pochi

con gentilezza a immergersi

primi la scelta diventa imba-

decenni è diventato il simbo-

tra profumi e sapori di una vol-

razzante, perché si è di fronte

lo della tradizione, sia per la

ta. D’estate si può mangiare

a piccoli capolavori d’arte. Qui

ristorazione sia per l’hotelle-

in veranda con vista sulla pi-

si capisce il valore del grano,

ria. Per lui, “prima s’istrangiu”,

scina, ma i colori della sera lo

delle farine e suoi derivati. La

prima l’ospite, è stato, il suo

rendono ancor più romantico e

continua ricerca della tradizio-

cavallo di battaglia. Lo è an-

tutto ha un altro sapore. Unico

ne, ha consentito alla signora

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4



Sardegna speciale Bertulas

Pasqua di recuperare una straordinaria pasta, su filindeu, quasi un tessuto intrecciato con fili sottili tirati a mano. Va cucinata in brodo di carni miste e condita con formaggio fresco filante. Altri piccoli capolavori d’arte plastica sono opera di Giovanna; sa bertula – la bisaccia, un pasta sottile con un fagottino ripieno di ricotta o formaggio ed erbe di campo e sas pupusas simili a piccoli fiorellini, proposte con salse delicate. Condimenti saporosi invece per i maccharrones de busa, preparati con un ferro sottile e su bocciu, anche questi tirati a mano molto simili agli gnocchetti. La tradizione continua con le carni; agnelli, porcetti e capretti infilzati negli spiedi rosolano per ore, sotto l’occhio attento dell’arrostitore, che rende croccanti sciogliendo il lardo al calore della fiamma. Bocciu

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Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4


Speciale Sardegna a cura della redazione di Quality ADV

Azienda Fratelli Puddu Oliena è un antico paese della provincia di Nuoro dove si produce un ottimo vino Doc, il Nepente di Oliena. L’Azienda dei F.lli Puddu, situata in Loc. Orbuddai, si estende su 50 ettari, di cui 30 coltivati a vigneto. Qui, a farla da padrone è il rosso Cannonau, il “re di Sardegna”, un vitigno autoctono presente sull’isola già più di 3000 anni fa e considerato il più antico del Mediterraneo. Diffuso in tutta la regione, ha trovato nella zona di Oliena il suo habitat naturale, tanto da meritarsi nei secoli le lodi di numerosi artisti. Su tutti, Gabriele D’Annunzio, che riservò a questo vino il nome che gli antichi greci davano a un’erba simile all’oppio e dagli effetti allucinogeni: il Nepente, citato anche da Omero nel IV canto dell’Odissea. Produciamo: Nepente di Oliena Cannonau di Sardegna DOC, “Pro Vois” Nepente di Oliena Riserva Cannonau di Sardegna DOC, “Papalope” Rosso Igt Vendemmia Tardiva, “Papalope” Bianco Vendemmia Tardiva, “Tiscali” Cannonau di Sardegna DOC Rosato. AZIENDA FRATELLI PUDDU Loc. Orbuddai - 08025 OLIENA (NU) Tel. 0784 288457 Fax 0784 287057 www.aziendapuddu.it - info@aziendapuddu.it

AJANA - Isola dei Nuraghi I.G.T. rosso Rosso di grandi struttura e carattere, ottenuto dal connubio fra le varietà Cannonau, Carignano e Bovale tipici vitigni sardi, l’Ajana - Isola dei Nuraghi I.G.T. rosso – è una riuscita unione di Cannonau (50%) Carignano (30%) Bovale (20%). Di colore rosso rubino tendente al granato, l’affinamento per 18 mesi in barriques di rovere da 225 litri e 6 mesi in bottiglia permette lo sviluppo di profumi intensi di frutti maturi e note speziate, gusto morbido, pieno, con tannini eleganti e di struttura robusta, sapido, armonico e avvolgente. Sicuramente indicato per arrosti importanti di carni rosse, cacciagione, formaggi stagionati e piccanti, è anche un importante e piacevolissimo vino da meditazione.

AZIENDA VITIVINICOLA FERRUCCIO DEIANA & C. s.a.s Loc. Su Leunaxi - 09040 Settimo S.Pietro (CA) Tel. e Fax 070 749117 www.ferrucciodeiana.it - deiana.ferruccio@tiscali.it

Sardus Pater La Cantina Sardus Pater fondata nel 1949 si trova nell’isola di Sant’Antioco, parte sud occidentale della Sardegna. Nel corso degli anni, la produzione dei vini si è affinata e ha puntato soprattutto alla valorizzazione del Carignano e Vermentino. Le uve, conferite dai 280 soci, provengono da un’area vitata di 300 ettari. La maggior parte dei vigneti sono di Carignano e i più antichi di questi si trovano nell’isola di Sant’Antioco; sono vigneti di almeno 80 anni, impiantati su terreni sabbiosi con basse rese per ettaro, che producono uve di assoluta qualità. È da questi vigneti che la Cantina produce i suoi vini rossi più pregiati, come l’Is Arenas riserva 2007. Dal 2005, la cantina si avvale della consulenza dell’enologo Riccardo Cotarella, e anche grazie a questa collaborazione che quest’anno è stato messo in commercio AD49 un vermentino spumante metodo classico interamente prodotto da Sardus Pater. Da noi troverete un ambiente accogliente dove degustare tutti i nostri vini. SARDUS PATER Via Rinascita, 46 - 09017 Sant’Antioco Tel +390781800274 fax 078183092 info@cantinesarduspater.it www.cantinesarduspater.it Vendita diretta: Via Rinascita, 46 - 09017 Sant’Antioco Tel +39078183937 - albertomassa@cantinesarduspater.it

Cantina Gallura La Cantina “Gallura”, fondata nel 1956, raccoglie dai 132 soci esclusivamente uve d’alto pregio, Vermentino in particolare ma anche Moscato e Nebbiolo. I vini di punta sono il Vermentino di Gallura, unico vino sardo a DOCG, il Moscato di Sardegna Doc, il Cannonau di Sardegna Doc, il Nebbiolo, il Rosato da uve autoctone e un vino da uve stramature ed una produzione totale di ca 1.300.000 bottiglie. Il vino più pregiato è il “Canayli”, Vermentino di Gallura Superiore DOCG ottenuto in quantità limitata da uve Vermentino nei vigneti dell’alta Gallura, in terreni magri, grossolani e di origine granitica. Da queste particolari condizioni si ottiene un vino di eccellenza, giallo paglierino, ricco di profumi e aromi, pieno e caldo, delicatamente aromatico con il tipico retrogusto amarognolo. Si abbina a primi piatti dai condimenti leggeri e non eccessivamente saporosi come risotti ai frutti di mare. Ottimo con pesci in salsa ed arrosto e formaggi freschi a pasta molle. CANTINA “GALLURA” SOC. COOP. AGRICOLA Via Val di Cossu, 9 - 07029 Tempio Pausania (SS) Italia Tel. 079 631241 - Fax 079 671257 www.cantinagallura.com - info@cantinagallura.com


Sardegna speciale

Porcetto allo spiedo, specialità tradizionale isolana

E non mancano le saporite salsicce, la polpa di vitella e sa cordedda (budelline d’agnello o di capretto intrecciate), proposte anche in tegame con i piselli. Finalmente si ritrova la pecora, un po’ bistrata dai ristorati, ma rivalutata in questo ristorante con numerose versioni; dalla cossa prena, il cosciotto ripieno oppure, in base all’età, arrosto, in tega-

82

me o bollita. Numerosi anche i formaggi, in particolare ovini e caprini, di diversa stagionatura e prodotti direttamente dai pastori, in particolare il Fiore Sardo, il “re” di tutti i formaggi. Per gli appassionati di questa specialità, consigliamo anche il pecorino arrosto. Dimenticate per un giorno l’apporto calorico e lasciatevi tentare dalla bontà dei dolci; da “su pistid-

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4

du”, ripieno di sapa o miele ai soffici biscotti con la glassa e poi tiriccas, pabassinos, amaretti e l’immancabile sevada o seadas, proposta anche nella versione “gigante”, come si usava nelle famiglie da dividere con i commensali. La carta dei vini e degli oli, comprende il meglio della produzione regionale, ma con occhio attento alle produzioni locali.


ValleSardegna d'Aosta

speciale speciale

I rossi prevalgono e i Cannonau sono tra i più richiesti. Il servizio, tutto al femminile, è gentile e professionale; anche per questo si cede facilmente alle lusinghe gastronomiche. Tra le innumerevoli attività, va segnalata la giornata tutta dedicata alla tradizione, dove gli ospiti possono assaporare numerose specialità e servirsi da soli, in un angolo rustico, dove si cucina tutto sul fuoco e si mangia su piatti ricavati dal sughero. Ma “Su Gologone” non è solo il luogo incantevole dove trascorrere una vacanza tranquilla e magiare straordinarie specialità gastronomiche. Qui si “assapora” anche la cultura attraverso l’artigianato, con le “botteghe” di Giovanna dove

Pupusas

si alternano numeri artisti, dal ferro battuto alle ceramiche e le preziose ricamatrici degli scialli olianesi. È un piccolo laboratoriomuseo, dove è possibile trascorre qualche ora assaporando gradevoli tisane, preparate con le erbe spontanee del circondario e qualche sfizioso bocconcino.

Filindeu, uno straordinario piatto della tradizione barbaricina

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4

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speciale speciale

Liguria Sardegna

Il Cannonau di Gilberto Arru

100% sardo, ma si insiste, senza prova alcuna, nel considerarlo di origine iberica o francese

S

enza dover scomodare poeti con citazioni famose, il vino simbolo della Sardegna, da sempre, è il Cannonau. Spesso si ricorda per la probabile origine della penisola iberica e per la similitudine al grenache francese e al tocai rosso. Iniziamo a sgomberare il campo e diciamo subito che non esistono prove scientifiche ad avvalorarne la certezza. Non si sà con quale clone è stato fatto il confronto, visto che il vitigno è diffuso in tutta l’isola e da caratteristiche differenti da zona a zona. Poi, quali ricerche sono state fatte con altri vitigni autoctoni come caddiu, bovale, cagnulari, caricagiola, ed altri ancora? Ma anche nella remota ipotesi che coincidessero queste affinità, bisogna chiedersi chi, e quando, avrebbe importato il vitigno cannonau in Sardegna? Pertanto, fino a prova contraria documentata, è da ritenersi autoctono. Lo avvalora le ricerche fatte dall’Agris, il dipartimento per la ricerca nell’arboricoltu-

ra regionale. Nella Baronia, più esattamente nella valle di Oddoene, sono stati ritrovati ceppi di cannonau su piede franco, quindi epoca prefilosserica, ma sono diffusi a macchia di leopardi anche in altre parti dell’isola. Mentre risalgono al 1200 a.c. circa i vinacciolo ritrovati in alcuni scavi archeologici, a conferma che la viticoltura è presente nell’isola da ben 3200 anni; molto prima dell’arrivo dei numerosi popoli dominatori. Come non è da escludere che i vinaccioli possano essere di cannonau, modificatisi nel tempo. Al mo-

mento l’unica certezza sta nella sua diffusione in quasi tutto l’ambito regionale, con aree ritenute storicamente più vocate e concentrate nei declini impervi dell’interno, dove si produce circa il 70 % di tutto il Cannonau. Anche in questo caso la simbiosi tra uomo, territorio e vino è straordinaria. Per gli enologi delle generazioni precedenti è sempre stato un vino ostico, soprattutto perché prodotto in forme espanse. A ciò va aggiunto che l’eccesso di tecnologia talvolta ha portato a snaturarlo, come è successo

Cannonau

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Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4


costa orientale oggi provincia di Ogliastra, dove le terre sono spesso terrazzate, alte e difficili, pur essendo vicino al mare, con buona prevalenza di allevamento ad alberello. Più facili ed anche più fertili le zone di fondo valle, dove si producono sempre vini molto importanti. In quest’area è stata recentemente realizzata la prima zonazione per dare un quadro ancora più completo sulle differenziazioni del vitigno nelle microzone diverse per esposizione, composizione dei suoli e microclima. Oliena o Nepente di Oliena, nel cuore della Barbagia, è un’area abbastanza limitata,

ValleSardegna d'Aosta

zi molto differenti, non sempre giustificati, sia quelli esagerati sia quelli svenduti a pochi euro. È auspicabile che il nascente Consorzio di Tutela del Cannonau e la Strada del Vino del Cannonau, riescano a dare una maggiore spinta nella valorizzazione di questo straordinario vino. Il disciplinare ha solo il compito di stabilire le aree di produzione e le regole di produzione, ma non è garante della qualità, compito demandato alla serietà e correttezza del produttore. La denominazione d’origine riguarda il Cannonau di Sardegna con alcune sottodenominazioni. Jerzu, sulla

speciale speciale

con il Monica ed altri vini sardi, tentando la strada del vino più leggero e “beverino” con macerazioni più brevi. Il suolo dovrebbe essere un fattore caratterizzante, nell’identificazione del vino, ma diventa difficile quando l’intervento della tecnica ne modifica struttura e profumi. Ora si ritorna all’antico, al tradizionale alberello con basse rese per ettaro e macerazioni più spinte, anche 15 – 20 giorni e più. I vini sono maggiormente identificabili da zona a zona, ma il cammino è ancora lungo e non facile, perché sul mercato si trovano vini con la stessa denominazione a prez-


Liguria Sardegna speciale speciale

con terreni sciolti e granitici a quote anche superiori ai 600 metri. Ma è anche circondata da due aree storiche, Mamoiada che sta rivalutando la viticoltura tradizionale ad alberello e Dorgali, dove la superficie vitata è stata incrementata, tanto da essere una delle voci più importanti dell’economia della zona. Soprattutto in quest’area si è registrata una crescita qualitativa molto importante, con

Vigneti ad alberello a Oddoene (Dorgali) terra di Cannonau

l’identificazione di “terroir” ad alta vocazione, con caratteristiche pedo-climatiche molto differenti. Capo Ferrato è la

sub-regione, sulla costa orientale, più meridionale dell’isola. Terre basse, sabbiose e vini di buona struttura. La denominazione “Cannonau di Sardegna” prevede la produzione in tutto l’ambito regionale e, oltre alle sottodenominazioni e sub regioni già citate, comprende altre zone non meno importanti. La Romangia nel nord dell’isola, con ampie vallate che si affacciano sul mare, terreni sciolti e sabbiosi dove alligna la vite anche a 400 metri di quota. In molti casi gli allevamenti sono ad alberello e si ottengono vini pieni e corposi. Più freschi e giovani i Cannonau prodotti nella zone basse della Nurra e dei Piani, tra Sassari ed Alghero. Altrettanto gradevoli ed equilibrati quelli prodotti nei terreni di medio impasto delle colline che degradano dalla Trexenta al Parteolla, a nord di Cagliari.

Antico clone di Cannonau allevato ad alberello

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Speciale Sardegna a cura della redazione di Quality ADV

Azienda Vinicola Attilio Contini SpA

Cantina delle vigne di Piero Mancini s.r.l.

Fondata nel 1898, tra le più antiche e prestigiose case vinicole della Sardegna, l’Azienda Vinicola Contini da sempre conosciuta per le sue prestigiose Vernacce, annovera tra i vini più rappresentativi il Karmis, medaglia d’oro al Vinitaly 2009. Vino bianco I.G.T. Valle del Tirso, è un felice connubio tra uve vernaccia e vermentino. Karmis significa vite e con questo nome veniva storicamente indicata una delle aree più vocate per la produzione viticola, la valle del fiume Tirso tra Cabras e Baratili. Si ottiene dalla vinificazione di uve vernaccia e vermentino selezionate con cura negli impianti ad alberello di vigne adulte con rese per ettaro tra i 30 e i 40 quintali. Il vino si presenta di colore giallo paglierino intenso con riflessi verdognoli. Aromi di frutta e alla bocca fresco e dai sapori intensi. Una chiusura lunga e persistente e ben equilibrata. Si accompagna con piatti a base di pesce e carni bianche. Splendido come aperitivo.

Piero Mancini, odontoiatra di professione e viticoltore per passione, nel corso della sua vita sviluppò con fervore e tenacia i vigneti di famiglia e acquisì qualificate esperienze quando si ritrovò a dirigere alcune delle più importanti cantine dell’isola. Un grande amore che portò nel 1989 alla Cantina delle vigne di Piero Mancini. Una azienda moderna dove la tecnica enologica più avanzata si sposa magnificamente con la più valida tradizione. Oggi l'azienda, gestita con amore da moglie e figli, produce 1.500.000 di bottiglie in cui il Vermentino di Gallura unico docg della Sardegna spicca per le sua eccellente qualità ma anche Moscato di Gallura doc, Cannonau di Sardegna doc, Merlot, Cabernet, Pinot e Chardonnay. Mancini Primo così la famiglia ha battezzato questo magnifico Vermentino di Gallura docg. L'anima d'oro della Sardegna lo specchio dei suoi raffinati tesori.

AZIENDA VINICOLA ATTILIO CONTINI SPA Via Genova 48/50 - 09072 CABRAS (OR) Tel. 0783 290806 - Fax 0783 290182 www.vinicontini.it - vinicontini@tiscali.it

Cantine di Orgosolo La “Cantine di Orgosolo srl” coinvolge 19 piccoli produttori di Orgosolo. Costituita nel 2007, i soci vinificano da sempre le loro uve con sistemi tradizionali. La zona di produzione è rappresentata dalle vallate di Locoe e Sorasi nel comune di Orgosolo, dove il Cannonau si è acclimatato perfettamente e viene coltivato da sempre. L’età media dei vigneti si aggira sui 35 anni, mentre l’altitudine media è 400-500 metri s.l.m. Le uve vengono raccolte a mano tra la 3° decade di settembre e la 1° di ottobre e nell’arco di poche ore lavorate in cantina con l’ausilio di strumenti ed attrezzature artigianali ed un trattamento soft per ottenere di vini di alta qualità. Tutte le lavorazioni, compreso l’imbottigliamento, sono curate direttamente dai soci. Vini prodotti: Cannonau DOC Urùlu - matura in botti di rovere per 9 mesi, successivamente in bottiglia per 3 mesi; IGT Locoe - matura in botti di rovere per 6 mesi, successivamente in bottiglia per 3 mesi; DOC Riserva Soroi - matura in botti di rovere per 24 mesi. CANTINE DI ORGOSOLO SRL Via Ilole s.n. - 08027 Orgosolo (NU) Tel./Fax +39 0784 403096 - Cell. + 39 338 9203109 www.cantinediorgosolo.it - uruluinfo@tiscali.it

CANTINA DELLE VIGNE DI PIERO MANCINI S.R.L. Via Madagascar, 17 Z.I. - OLBIA (SS) - Tel. 0789 50717 www.pieromancini.it - piero.mancini@tiscali.it

Cantina Sociale Dorgali Soc. Coop. Cantina Dorgali viene fondata nel 1953 in un territorio caratterizzato da un suggestivo alternarsi di montagne, colline, alcuni antichi vulcani spenti, e la straordinaria vicinanza al mare. Grazie all’adozione di un nuovo rigoroso disciplinare di produzione, al supporto dei soci conferitori da esperti agronomi ed enologi, Cantina Dorgali valorizza la cultura, la storia e le tradizioni del territorio. Protagonista assoluto è il Cannonau, vitigno principe della vitivinicoltura regionale che in quest’area, per le sue peculiarità pedoclimatiche, riesce ad esprimere notevoli caratteri varietali ancora poco conosciuti ma molto apprezzati. Il Viniola, Cannonau di Sardegna Riserva dal carattere marcato, generoso e austero, ne è un fiero ambasciatore.

CANTINA SOCIALE DORGALI SOC. COOP. Via Piemonte, 11 - 08022 Dorgali (NU) Tel. 0784 96143 - Fax 0784 94537 www.cantinadorgali.com info@cantinadorgali.com


Vermentino il vitigno viaggiatore a cura della redazione di Quality ADV

La Sardegna del vino racconta una storia millenaria

e affascinante di cantine nuragiche e vitigni navigatori,

in un caleidoscopio di colori, profumi e sapori irripetibili.

A

nord-est per le vigne della Gallura,

al vino Vermentino di Gallura il riconoscimento

immerse tra monti di granito e macchia

più prestigioso: la DOCG.

mediterranea, ci sono le terre del

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Vermentino, un vitigno che ha viaggiato a lungo

La Sardegna è certamente terra d’elezione per

nel Mediterraneo, capace di regalarci un vino

questo vitigno, che insieme al Cannonau, rappre-

di grande personalità, aristocratico e raffinato,

senta l’espressione più tipica della produzione

dal naso sempre elegante di fiori di acacia e

enologica regionale. Arrivato in Sardegna attra-

fragranze di frutta matura, equilibrato, fresco

verso la Corsica alla fine del 1800, dai terreni di

e sapido, che ben si accosta alla tradizionale

disfacimento granitico della Gallura in cui ha tro-

“suppa cuata”, ai ravioli dolci e alla cucina

vato il suo habitat ideale, si è poi diffuso in tutta

di mare. È stato definito il Sauvignon italiano

l’isola, dove attualmente occupa una superficie

per la mineralità e l’eleganza che è in grado di

di quasi 3.000 ettari. Vitigno plastico dalle grandi

conferire ai vini che lo vedono protagonista;

foglie argentate, resistente alle malattie, dal grap-

forse originario delle “terre di Luni” al confine

polo medio, ora spargolo, ora mediamente com-

tra la Liguria e la Toscana, o più probabilmente

patto, con acini di media grandezza, color giallo

indigeno della terra di Sardegna, come sostiene

“biondo”, il Vermentino coltivato in Sardegna dà

il prof. P. Galet, più grande ampelografo vivente,

un vino di grande personalità che non trova ri-

questo vitigno italico è approdato sulle coste

scontro con altri vini italiani ed esteri che pure

provenzali (sinonimi locali “Rolle” e “Varlentin”), in

portano lo stesso nome. La sua presenza su tut-

Toscana, in Corsica (“Vermentinu” o “Garbesso”)

to il territorio isolano, caratterizzato da differenti

e naturalmente in Sardegna, trovando sulle colline

ambienti di coltivazione, fa si che i vini prodotti

della Gallura un “terroir” d’eccezione, che è valso

rivelino, insieme ai caratteri di qualità e tipicità del

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4


vitigno anche una forte e singolare personalità, espressione delle diverse zone di produzione. In quest’ultimi tre lustri il Vermentino ha conosciuto un trend di vendite in costante e forte crescita e sembra non conoscere crisi di consumo. Rappresenta il principale componente di 3 gran-

Assessorato dell'Agricoltura e riforma agro pastorale

di vini sardi a denominazione d’origine: la DOCG Vermentino

di

Gallura, vino floreale e fruttato di rara eleganza, a composizione

quasi monovarietale, la cui area di produzione ricade sul territorio storico della Gallura, caratterizzato da sabbioni granitici piuttosto poveri, si presenta con un colore giallo paglierino intenso e luminosi riflessi oro, intensi e raffinati profumi di frutta matura a polpa bianca, ginestra, erbe aromatiche, in bocca offre sensazioni di densa morbidezza e fresca acidità con finale di calde note minerali; la DOC Vermentino

di

Sardegna, la cui zona di produzione abbraccia l’intero territorio

regionale e infine la DOC Alghero - Vermentino frizzante, la cui estensione territoriale è limitata all’areale nord occidentale dell’Isola.

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le notizie di enogastronomia e turismo

DISTILLERIE RAU NON SOLO MIRTO Conosciuta ed apprezzata in tutta Europa, con una tradizione di oltre 75 anni la Distilleria Rau ha nella certificazione di qualità ISO 9000 la garanzia di “Qualità controllata” per il rigoroso rispetto del rigido disciplinare di produzione dell’Associazione Produttori Liquore Mirto di Sardegna Tradizionale. Nel corso del 2002 intraprende una nuova sfida: avviare alla distillazione le materie prime più caratteristiche della Sardegna (frutta, vinacce ed uva). I distillati in sostanza dovevano esprimere il patrimonio storico culturale del territorio, la piacevolezza sia del prodotto tal quale sia dell’immagine che rappresenta, con il richiamo al luogo di provenienza della materia prima. In tale contesto si inserisce il distillato di Corbezzolo, premiato con la medaglia d’Oro al Concorso Internazionale “Acquaviti d’Oro” 2010. I rossi frutti di questo arbusto tipico della macchia mediterranea, raccolti in giornata, vengono fatti fermentare in piccoli contenitori a temperatura controllata e distillati artigianalmente a vapore in alambicchi di rame. Con questo procedimento rimangono inalterati l’aroma intenso ed i sapori caratteristici del frutto e si ottiene così un’acquavite morbida, cristallina, al naso note balsamiche e aromatiche verso l’artemisia, al palato secca, fruttata, armonica con note aromatiche persistenti accentuate nella sensazione retro-olfattiva, gradevole, decisamente particolare. F.LLI RAU S.N.C. - www.rau.it

COCKTAIL SORPRENDENTI CON VECCHIOFLORIO Mediterraneo, 150 e Oriental, tre Cocktail freschi e facili da preparare che mixano uno dei vini italiani più amati, il Marsala VecchioFlorio, con i profumi e i sapori mediterranei della menta, del basilico, del sambuco e dello zenzero, per rendere ancora più speciali le calde serate estive. VecchioFlorio, un Marsala superiore secco che prende origine dalle uve Grillo e

a cura della redazione di

Catarratto e che affina per quasi tre anni nelle antiche botti di rovere di Slavonia, impreziosito dei sentori delle piante aromatiche di Sicilia, il basilico e la menta, diventa Mediterraneo, un Cocktail dai profumi familiari che richiamano immediatamente alla mente l’estate e le sue suggestioni. Suggestioni invece quasi esotiche per Oriental che sposa il Marsala con i profumi freschi dello zenzero e del lime, per regalare un gusto del tutto inaspettato. E infine 150, il cocktail che Florio dedica all’anniversario dell’Unità d’Italia con il Marsala che si accompagna alla menta e al Cordial Sambuco. I Cocktail Florio sono una delle molteplici declinazioni di un vino dalla personalità ricca e sfaccettata come il Marsala, un mix innovativo destinato anche a pubblico giovane che, pur non conoscendo benissimo il Marsala, comunque lo apprezza e lo consuma. Un mondo di profumi e sapori tutti da provare per dare un brivido all’estate 2011! DUCA DI SALAPARUTA S.P.A www.duca.it - www.vinicorvo.it - www.cantineflorio.it

PELLEGRINO: LE TORRI DELLA CUCINA - VOLUME 7 Il 9 maggio scorso, presso "Il cucchiaio di legno" in via Ponte Vetero, 13 a Milano, si è svolta la presentazione alla stampa de "Le Torri della Cucina" 7a edizione, curata anche quest'anno dal giornalista enogastronomico Martino Ragusa ed edita da Trenta Editore. In sala oltre ai giornalisti che hanno partecipato alla settima edizione del Pellegrino Cooking festival e ai festeggiamenti del 130° anniversario della fondazione delle Cantine Pellegrino, i “Cuochi di Lombardia” capitanati da Matteo Scibilia che hanno preparato per gli intervenuti alcuni dei piatti di concezione lombarda e ingredienti mediterranei le cui ricette sono state pubblicate sul libro riproponendone l’abbinamento con i vini della prestigiosa cantina siciliana. Carlo Pellegrino & C. S.p.A. - www.carlopellegrino.it

CRUDOO, LO SPUMANTE VELATO All’Azienda Giorgi di Canneto Pavese il merito del primo Spumante velato, un brevetto internazionale che è stato presentato a Milano presso il Capac Politecnico del


le notizie di enogastronomia e turismo Commercio in contemporanea con il Progetto Scuola, anch’esso dell’Azienda Giorgi, d’informazione e formazione sulla cultura del vino e dello Spumante rivolto agli studenti degli istituti professionali, operatori e consumatori. Una location qualificata, con laboratori ristrutturati e un’ampia aula didattica di american bar dove CRUDOO è stato servito dagli allievi del secondo e terzo anno, con le attenzioni richieste da questo particolare spumante la cui bottiglia va inclinata prima del servizio per riportare in sospensione i lieviti. L’idea di CRUDOO è semplice e si ispira al concetto delle birre tedesche di frumento che non vengono filtrate ed hanno i lieviti all’interno. Questo spumante si può quindi considerare senz’altro innovativo in quanto i lieviti vengono lasciati nella bottiglia, prolungando così la cessione degli aromi. Il procedimento di lavorazione di CRUDOO è molto particolare; nasce dall’assemblaggio di uve 80% Pinot Nero e 20% Chardonnay, riposa 12 mesi in autoclave e quindi viene imbottigliato naturalmente. I lieviti, fino a quando è presente lo zucchero, continuano a lavorare e riprodursi. Invece il brevetto Giorgi, avvalendosi della tecnica della “lisatura”, blocca l’attività dei lieviti, ancora in presenza di zuccheri, sottoponendo lo spumante ad alcune escursioni termiche. Il risultato è uno spumante dal colore giallo paglierino, torbido, perlage fine e persistente; bouquet ampio, elegante, persistente e spiccate note di frutta fresca. Il gusto, infine, è armonico e ottimo sia da aperitivo come a tutto pasto. Azienda Fratelli Giorgi - www.giorgi-wines.it

CAVEN CAMUNA, 26 ANNI DI LAVORO, IMPEGNO E SACRIFICIO L’Azienda Agricola Caven nasce nel 1982 ed è, con 31 ettari, la prima azienda agricola vitivinicola della Valtellina per quanto riguarda la superficie vitata, situata nelle classiche sottozone di produzione del Valtellina Superiore Docg, cioè Sassella, Inferno, Grumello e Valgella ed un totale di 6 ettari di Inferno corrispondenti, in termini di bottiglie, al 46% della produzione valtellinese proveniente da questa particolare sottozona. Grande attenzione è rivolta alla for-

mazione del personale mediante corsi specifici riguardanti la potatura, tenuti periodicamente in sede ma soprattutto in vigna. Massima cura anche per la vendemmia, scegliendo accuratamente le uve e mantenendole il più integre possibile sino al loro arrivo in cantina. Il risultato di questa attenzioni è un vino come il Valtellina Superiore DOCG Inferno “Al Carmine”, Medaglia d’Oro 2010 del Concorso Internazionale Vini di Montagna - Cervim, dal colore rubino brillante che vira al granato con l’invecchiamento, ampi profumi fruttati con sentore di lampone e leggere venature di violetta, bocca morbida, vellutata, sapida, di buona persistenza ed eleganza e dal potenziale invecchiamento di oltre dieci anni. Azienda Agricola Caven Camuna - www.cavencamuna.it

ATYS - DEGUSTAZIONE ALLA CIECA, VITTORIA CHIARA “È stata una gran bella soddisfazione per un’azienda giovane come la nostra! Uno stimolo per proseguire certamente sulle vinificazioni classiche per vini bianchi e rossi consolidati ma soprattutto sulle vinificazioni di ricerca: macerazioni fermentative di uve Vermentino, con l’uso esclusivo di lieviti indigeni, condotte sia in contenitori di acciaio inox sia in giare di terracotta, ricercando in questi vini l’aspetto più intimo e naturale del territorio d’origine.” Queste le prime parole di Olivia Lotti proprietaria della Tenuta La Ghiaia dopo che il suo DOC Colli di Luni Atys, Vermentino in purezza, è stato proclamato vincitore in una degustazione alla cieca di Vermentini svolta recentemente all’Urban Center di La Spezia. “È il vino bianco più rappresentativo dell’insieme della Tenuta” - prosegue Olivia Lotti - “viene prodotto unendo, come tessere di un mosaico, varie microvinificazioni del Vermentino, dove si vanno a sondare diversi aspetti dell’espressione del territorio”. I vini della Tenuta La Ghiaia nascono da vigneti autoctoni, coltivati con la tecnica della coltura biologica. Il Vermentino Atys si presenta di un colore giallo carico con riflessi dorati, al naso emergono note fresche di frutta tropicale e fiori bianchi, in bocca ha un ingresso molto morbido, elegante sapidità e mineralità. Le sensazioni di freschezza, regalano bevibilità e un finale piacevolmente persistente. Soc. Agr. Lotti s.r.l. - Tenuta la Ghiaia - www.tenutalaghiaia.it

a cura della redazione di


le notizie di enogastronomia e turismo

IL NUOVO VOLUME DI BAYER CROPSCIENCE SULLA PATATA

La prestigiosa collana “Coltura & Cultura” si arricchisce del 13° volume, dedicato alla memoria di Carlo Cannella, recentemente scomparso ed ispiratore dell’intera serie. Nato in Perù e apprezzato ad ogni latitudine, quarta coltura al mondo dopo grano, riso e mais, il tubero più amato al mondo è stato esaminato, presentato, descritto, illustrato e comunicato da una folta rappresentanza di autori del volume ad una attenta platea di giornalisti, imprenditori agricoli e produttori riuniti a Budrio (BO) il 16 e 17 maggio. L’Amministratore Delegato di Bayer CropScience in Italia, Frank Terhorst, ha espresso la sua soddisfazione per essere riuscito a coinvolgere la stampa con la filiera pataticola nazionale in un momento delicato per l’agricoltura italiana, settore sempre più interessante per lo sviluppo occupazionale giovanile. Importanti sono stati anche gli interventi di Paolo Bruni - Presidente di COGECA (Comitato Generale della Cooperazione Agricola dell’Unione Europea), di Tiberio Rabboni - Assessore Agricoltura della Regione Emilia Romagna ed anche dei due coordinatori del volume, Giancarlo Roversi - giornalista e scrittore e Luigi Frusciante – ricercatore dell’Università di Napoli Federico II intervallati dai contributi di personaggi del calibro di Luca Goldoni – scrittore sagace e amante incondizionato della patata “lessa” e del Professor Giovanni Ballarini – docente dell’Università di Parma e Presidente dell’Accademia Italiana della Cucina. La conclusione è stata affidata a Renzo Angelini, Technical Management & Communications Head di Bayer CropScience in Italia e coordinatore dell’intera collana, che ha incentrato il suo intervento sul positivo contributo dei 104 autori che “…hanno saputo dimostrare la centralità dell’agricoltura oltre l’aspetto produttivo e la reale possibilità di fare sistema tra i ricercatori, produttori e comunicatori, senza dimenticare la preziosa collaborazione della ristorazione, rappresentata dalle 50 ricette descritte da altrettanti chef italiani”. BAYER CROPSCIENCE S.r.l. - www.crop.bayercropscience.it

CANTINA SANCIO... VERMENTINO IN PUREZZA Finale Ligure e Spotorno sono le due zone di provenienza delle uve per il Vermentino in purezza di questo giovane pro-

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duttore ligure che, prendendo spunto da Vittorio Emanuele II, “non è rimasto insensibile al grido di dolore”…che i vigneti hanno lanciato nei suoi confronti e lui, lasciando la città e un lavoro sicuro, ma evidentemente non appagante, ha deciso un giorno che avrebbe proseguito nella missione di suo padre e del padre di suo padre, in vigna! E i risultati non si sono fatti attendere: pluripremiato alle più svariate e importanti manifestazioni sia con il Pigato sia, soprattutto, con il Vermentino, ben quattro anni di seguito alla "Douja d'Or" di Asti. Prodotto in purezza, il segreto sta probabilmente nella gestione delle rese per ettaro: circa l’80 % del limite massimo, il che va a tutto beneficio della qualità per ottenere questo bianco di grande valore, giallino con lievi riflessi verdognoli, dagli ottimi profumi floreali, lungo in bocca e dalla spiccata acidità, che si abbina perfettamente alla cucina tipica locale, ricca di deliziosi intingoli, di delicati fritti, di saporiti secondi - di carne bianca nell’entroterra e di pesce sulla costa - e di verdure ripiene e sapientemente profumata da tutti quei “gusti” per cui la Liguria è giustamente famosa. CANTINA SANCIO - cantinasancio@libero.it

REDAELLI DE ZINIS VEDE ROSA: SUO IL TROFEO MOLMENTI La storica azienda Redaelli De Zinis di Calvagese trionfa con il Garda Classico Chiaretto Doc 2010 alla quarta edizione di “Italia in Rosa” che si è svolta ai primi di giugno a Moniga del Garda (BS) nella splendida cornice di Villa Bertanzi. La più qualificata vetrina enologica nazionale dedicata ai rosè ed all’autoctono Chiaretto ha assegnato il prestigioso Trofeo Pompeo Molmenti 2011 al miglior Chiaretto della vendemmia 2010. 24 i vini in concorso, tutti di ottimo livello e, dal ventaglio dei sei finalisti, è stato decretato vincitore il Chiaretto dell’azienda di Alessandro e Ugo Redaelli De Zinis. Sapiente assemblaggio delle quattro uve rosse legate alla DOC Garda Classico - Groppello, Marzemino, Sangiovese e Barbera lavorate in bianco, con i mosti che fermentano lungamente in acciaio a temperatura controllata, il cosiddetto “vino di una notte”, per la particolare tecnica di vinificazione, si presenta di un bel colore


le notizie di enogastronomia e turismo rosato brillante con riflessi ciliegia, al naso il profumo è intenso con bouquet fruttato, che richiama la rosa e la viola; in bocca è secco, delicatamente sapido, di vivace freschezza e spiccata acidità che lo fa apprezzare per una pronta e ripetuta beva. Si accompagna a paste alle verdure o a secondi di carni bianche, ideale con fritti di verdure e di pesce, frittate e pesce alla brace, stupisce con le crostate di frutta. Az. Agr. Redaelli De Zinis - www.dezinis.it

IL BASILICO GENOVESE D.O.P. PER UN PESTO A REGOLA D'ARTE L'azienda agricola Calcagno Paolo, a conduzione familiare, è impegnata dal 1984 nella coltivazione del tipico basilico genovese. Collocata sulle assolate colline Cellesi, dove il clima ligure regala una temperatura mite e grazie all’impegno e alla passione che dedicano da anni alla coltivazione, il loro basilico ha meritatamente ottenuto il marchio D.O.P. Pianta aromatica di origini asiatiche molto diffusa nei paesi dell’Europa del sud, è assurta a vera e propria istituzione in Italia e in particolare in Liguria, diventando un prodotto inimitabile e da tutelare rigorosamente. L’azienda Calcagno produce e commercializza il basilico in bouquet di più piantine raccolte manualmente una ad una prestando attenzione all'integrità delle radici al fine di prolungare la durata della piantina confezionandola con l'aggiunta di terriccio naturale all'estremità inferiore. Inoltre a causa della particolare sensibilità del basilico all'aria e al freddo, prima di arrivare sulle nostre tavole, viene avvolto nel cellophane e collocato in apposite cassette atte al trasporto senza traumi per mantenere integro questo indispensabile ingrediente per un pesto a regola d’arte. Az. Agr. Calcagno Paolo - www.calcagnopaolobasilico.it

LO SPIRITO D'ORIENTE SI CHIAMA MAZZETTI d'ALTAVILLA! La recente edizione 2011 di Vinexpo, il Salone Internazionale del Vino e dei Distillati, ha definitivamente sancito l'ingresso di Mazzetti d'Altavilla, storica casa di Distillazione piemontese, nel mercato dell'Asia Orientale. Centinaia i clienti giunti da

paesi come Cina, Giappone, Malaysia, Vietnam e India che si sono soffermati presso lo stand dei "Distillatori dal 1846", attratti dalla Collezione 2011 della Grapperia dei 165 anni di storia. Fra i prodotti che maggiormente hanno riscosso attenzione e sono stati oggetto di prime richieste commerciali figura Essentia Vitae®, una delle ultime novità di Casa Mazzetti che in modo sorprendentemente innovativo coniuga, in tre "spiriti aromatici", la distillazione di qualità e un packaging dirompente capace di evocare con eleganza e raffinatezza i profumi e gli aromi di 8,4 e 6, i tre "numeri" delle essenze di vita (nonché i numeri dell'anno di fondazione dell'azienda). Le valutazioni positive e i contatti concreti in ambito commerciale fanno dell'Estremo Oriente le nuove frontiere dei Distillati Mazzetti d'Altavilla, pronti a sbarcare nell'Asia Orientale come simbolo dell'originalità e della qualità del "Made in Italy". Mazzetti d'Altavilla - Distillatori dal 1846 - www.mazzetti.it

PIOGGIA DI MEDAGLIE PER LA BORTOLIN ANGELO SPUMANTI La Bortolin Angelo Spumanti è la cantina più premiata al Concorso della Primavera del Prosecco “ConeglianoValdobbiadene Selezione Spumante Superiore”. Non bastava la Gran Medaglia d’Oro al Concorso Internazionale Vinitaly 2011 per il Valdobbiadene DOCG Extra Dry, la Cantina di Guia sta facendo incetta di premi ad ogni concorso nazionale o internazionale. E pure a casa propria, dove il Prosecco lo conoscono bene! La commissione d’assaggio della Primavera del Prosecco, formata da esponenti dell’Assoenologi, ha assegnato il titolo di “CAMPIONE” a ben tre vini della cantina Bortolin Angelo Spumanti, evidenziandoli all’interno della selezione della migliore produzione enologica del territorio: il Valdobbiadene DOCG Brut, il Valdobbiadene DOCG Extra Dry e il Valdobbiadene DOCG Dry Superiore di Cartizze, e ha poi dato una menzione anche al Valdobbiadene DOCG Prosecco Frizzante “Prade”, confermando così l’eccellenza di questi prodotti e innalzandoli a simbolo di un territorio straordinario. Bortolin Angelo Spumanti s.a.s. - www.spumantibortolin.com

a cura della redazione di


di Luca Iacopini e Massimo Bracci

Le Marche: il Bianchello del Metauro

Alla scoperta di un piccolo prodotto di qualità in una delle regioni più verdi d’Italia.

“S

e si volesse stabilire qual è il paesaggio italiano più tipico bisognerebbe indicare le Marche”, così Piovene, famoso giornalista e scrittore dello scorso secolo, scriveva nel 1957. Le Marche è una regione legata ad alcune tradizioni rurali, tipiche del mondo mezzadrile, esprimibili nei concetti di prudenza, oculatezza, stretto rapporto con il territorio, l’ambiente d’origine, ricerca di tranquillità sociale ma senza bigottismi. Le Marche è molto spesso chiamata come la regione delle “cento città” o anche la regione “al plurale”. Vi siete mai chiesti perché è l’unica regione italiana con il nome al plurale? Ebbene nel tardo ‘700 era la Marca ed era divisa in tre dipartimenti i cui nomi erano presi dagli omonimi fiumi che la attraversavano: Metauro, Musone e Tronto. Tutto questo per sottolineare come in questa terra la varietà, la pluralità, è un segno distinti-

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vo non solo in ogni suo aspetto storico e culturale, ma anche nella sua componente enologica. A questo hanno contribuito molti fattori: l’influenza di molti popoli che hanno occupato la regione nei secoli, il fattore orografico: se guardate una cartina geografica delle Marche potrete rendervi conto che è divisa da rilievi montuosi disposti da ovest verso est e creano delle vallate le cui caratteristiche orografiche e climatiche sono molto diverse tra loro. Ecco quindi che la viticoltura è sempre stata fiorente e ha dato alla fine prodotti molto diversificati tra loro. Grande è la quantità dei vini prodotti dalla regione riscoperti in modo particolare negli ultimi anni: 16 vini doc e 4 vini docg. Se pensiamo al Verdicchio dei Castelli di Jesi, al suo omonimo di Matelica, alla Lacrima di Morro, alla Vernaccia di Serrapatrona, al Rosso Piceno: tutti prodotti abbastanza etero-

genei. In questo panorama variegato abbiamo posto la nostra attenzione su una zona posta a nord: la zona del Pesarese e del Metauro con il Bianchello, un vino molto interessante. Il Bianchello del Metauro prende il nome dall’omonimo vitigno autoctono Bianchello (o Biancame) con cui è prodotto e dal fiume Metauro, lungo le cui rive viene coltivato. È un vitigno tipico delle Marche, chiamato così per il suo colore scarico. Di questo vino se ne parla fin dall’antichità. Infatti già Tacito ne scrive dando la “colpa” della sconfitta dell’esercito di Asdrubale proprio al troppo vino bevuto. La DOC viene riconosciuta nel 1969 e modificata nel 2002. Il Bianchello concorre per il 95% e possono essere aggiunti alla sua produzione uve della varietà Malvasia Bianca fino ad un massimo del 5%. La zona di produzione interessa il bacino del fiume Metauro nella provin-

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cia di Pesaro-Urbino. Le pendici esposte a sud e sud-ovest, nelle medie e basse colline che dai contrafforti appenninici degradano al mare sono le più vocate alla coltivazione di questo vitigno e qui troviamo i produttori storici della denominazione. In totale sono interessati 18 comuni della provincia di Pesaro-Urbino con una superficie vitata di circa 500 ha. Le tipologie di produzione possono essere: secco, vin santo e spumante. Nonostante la zona nord delle Marche sia la meno vocata alla produzione di vino in quanto il terreno e il microclima non sono dei migliori, ciò non ha impedito ai produttori di ottenere ottimi risultati. È considerato il vino dei giovani e non solo, brioso, profumato accattivante, che genera amicizia. È difficile degustare queste piccole produzioni fuori regione, ma il Vinitaly ci ha favorito. Abbiamo degustato vari produttori, come Morelli, Lucarelli, Cignano, Bruscia, ecc. Nel bicchiere si presenta giallo paglierino, trasparente, di buona consistenza e con i suoi archetti ben definiti. Al naso libera sentori di frutta come la pera William e mela Golden insieme ad una nota sulfurea. In bocca si presenta fresco, secco e sapido, con un finale leggermente amarognolo. Esprime al meglio la sua fragranza e freschezza entro il primo anno ma regge benissimo, a seconda delle annate e selezioni, anche un moderato invecchiamento di 1 o 2 anni, acquistando in sapidità e maturità. La gradazione alcolica tipica del Bianchello non è molto alta e quindi invoglia a essere bevuto, specialmente come aperitivo o con molluschi, crostacei e pesci a tendenza dolce, crudi o in delicate cotture marinaresche. La versione più secca è ottimo e stimolante come aperitivo bevuto a 6/7°, il più strutturato accompagna un intero pasto e va servito normalmente a 9/10°. Questo vino, anche se sino ad oggi è sempre stato all’ombra dei “fratelli” più blasonati sta ottenendo il successo che merita, dove il rapporto qualità-prezzo ne fa un punto di forza insieme ad una piacevolezza gustativa veramente interessante. Bianchello del Metauro

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News d a ll 'I TA L IA

7a Edizione della “Valle del Gigante Bianco”

P

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rendendo spunto dal ricono-

simbolo della razza chianina in tutto

rispetto alle altre sia per la sua mole

scimento dell’UNESCO alla

il mondo, una tre giorni intensa con

che per i ritmi di accrescimento (oltre

“dieta

quale

convegni, incontri, dibattiti, esibizioni

18 mesi) e in definitiva per il suo gusto

patrimonio immateriale dell’umanità,

dei maestri macellai e chef; ciò per di-

e l’uso in cucina.

ci siamo trovati a parlare di carne e di

mostrare a tutti come lavorare questa

Questa razza, selezionata all’inizio

chianina, intesa come razza, nel suo

carne dal banco del macello fino alla

come animale da lavoro, con il pas-

territorio di origine: la VALDICHIANA

tavola, riscoprendo tradizioni ormai

sare degli anni è andata in semi-ab-

e nel luogo dove si è tenuta la prima

quasi scomparse e mestieri che solo

bandono a causa dello spopolamento

selezione genetica: Bettolle.

trent’anni fa erano il quotidiano ed

delle campagne e della meccaniz-

Questo ridente Borgo Senese dedi-

oggi sono nel libro dei ricordi.

zazione dell’agricoltura; ha passato

ca, da ormai sette anni, una manife-

Torniamo alla carne e alla “Chianina”,

momenti bui fino quasi a perdersi ma

stazione al Gigante Bianco, animale

una razza bovina molto particolare

poi, grazie ad alcuni appassionati e

Mediterranea”

Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4


News d a ll 'I TA L IA

suddetto circolo culturale Terrosi... al Dott. Luca Giavi, attuale direttore del Consorzio di tutela del Prosecco doc, il quale nella sua carriera si è distinto per la tutela e la valorizzazione di prodotti tipici dell’agricoltura Italiana. Compito che quotidianamente svolge a livello istituzionale e che lo vede impegnato in progetti di valorizzazione dell’agroalimentare Italico. Nel discorso di ringraziamento ha voluto lungimiranti agricoltori, ha ripreso il

ghe cotture e che oggi la vita frenetica

ricordare il suo mandato di Presidente

suo posto sia nel territorio che sulla

ci preclude. Ben vengano allora mani-

della Fisar che lo ha visto promotore

tavola. Sotto l’aspetto prettamente

festazioni come questa che valorizza

della figura professionale del somme-

culinario è una carne che ha bisogno

piatti poveri costituiti dai tagli poveri,

lier a difesa del vino Italiano; è stato

di una frollatura molto lunga a causa

dalle interiora quali fondamenta di una

bello tra l’altro sentire dalle sue parole

della struttura e della fibra molto com-

cucina regionale che rischia di essere

un riconoscimento al Comm. Leonar-

patta e questo determina e giustifica il

dimenticata. Questo è stato il compi-

do Nardi, indimenticato presidente

fattore costo, abbastanza elevato spe-

to affidato agli chef dell’Associazione

della Fisar, “dal quale” egli ha detto

cialmente per i tagli nobili rispetto alle

Cuochi Senesi che in collaborazione

“ho preso il timone del comando fi-

altre carni di produzione nazionale. Se

con i sommelier hanno organizza-

sariano insieme ad un bagaglio di

poi consideriamo che questo bovino

to con professionalità e competenza

umanità e comprensione che ancora

raggiunge anche i 600 chili di peso,

serate veramente interessanti sotto

oggi ricordo con piacere. A lui vanno

molte sono le parti meno nobili in ter-

il profilo enogastronomico, usando

i miei sinceri auguri di ogni bene rico-

mini quantitativi come quelle che van-

prodotti e vini del territorio. Durante

noscendolo guida fondamentale per

no a formare il quarto anteriore. Qui

una di queste serate il premio “Ezio

la crescita dell’Associazione”. Parole

entra in gioco la capacità di cucinare,

Marchi (primo selezionatore della raz-

degne di nota che hanno emozionato

la voglia di preparare i piatti della tra-

za chianina) per la comunicazione” è

i Sommelier in servizio ed i soci pre-

dizione che dalla loro parte hanno lun-

stato consegnato, dal Presidente del

senti in sala.

ri l’opportunità di avvicinarsi nel modo migliore al connubio del buon mangiare con il buon bere. Nell’occasione è stato allestito uno stand con la collaborazione dei Consorzi di Tutela dei vini del territorio: Vino Nobile, Brunello

di Montalcino, Vino Orcia, Vini Aretini e del Consorzio PROSECCO DOC. Ad essi va il nostro ringraziamento unitamente ai salumifici dei fratelli Fierli e Barbieri, alla PARIV ed Al Caseificio Coveri.

L

a Delegazione FISAR Valdichiana ha operato, all’interno della Manifestazione “La Valle del Gigante Bianco 2011” all’attività ITINERARI DIVINI con i suoi Sommelier che hanno offerto ai visitato-

Notizia inviata da Nicola Masiello

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Nuovi sommelier alla Delegazione storica di Volterra

ell’ottobre del 2009 ben ventisei allegri appassionati di vino e della buona cucina, si iscrissero al primo livello del corso per sommelier. Durante le fasi successive si andarono a consolidare sia le conoscenze nell’ambito del vino sia, e soprattutto, quelle di un rapporto di amicizia che è andato sempre più cementandosi. Poi il 12 aprile scorso, a conclusione del 3° livello, l’esame finale. Quello che una volta superato, avrebbe consentito a ciascuno di conquistare l’ambito diploma su pergamena ed il pendaglio a catena che già sul finire del ‘700 fu denominato testevin. I diciotto partecipanti al corso hanno tutti superato l’esame, molti con risultati davvero brillanti tanto che la commis-

sione tutta ha in più occasioni rivolto loro e alla delegazione i complimenti. La Delegazione di Volterra, sin da adesso, rivolge ai nuovi sommelier un sincero augurio per l’importante traguardo conseguito, nella certezza che essi rappresentino nuova linfa ai “rami” storici di questa delegazione. I nuovi 18 sommeliers sono: Pasquale Acquafredda, Anna Apicella, Simona Bruschi, Inge Bulens, Tina Castaldi, Luciano Fiaschi, Livio Gabellieri, Sonia Gallo, Paolo Gazzarri, Francesco Gronchi, Luca Nasuti, Renzo Nuti, Lucia Pedrini, Mauro Pisani, Rita Salvadorini, Valentina Santonicola, Antonio Senes e Michele Senesi. Un ringraziamento particolare al Direttore di Corso e consigliere Enrico Del Testa senza il quale sarebbe sta-

to impossibile portare a termine con questi risultati i corsi da sommelier, nonché ai sommelier Bartolini Renzo e Ceppatelli Pierluigi per la loro disponibilità. Un ringraziamento va anche ai locali affiliati che hanno consentito di realizzare le lezioni-degustazione che si sono tenute durante il corso: Caffè dei Fornelli, il ristorante Don Beta, il ristorante la Grotta, il ristorante Osteria dei Poeti, il Ristorante La Vecchia Lira, il Ristorante Albergo Villa Nencini, il Ristorante Albergo Vecchio Mulino e il ristorante “Ombra della sera”. Il 27 aprile, poi, presso il locale associato ristorante “da Beppino” di Senes Angelo, in occasione dell’assemblea ordinaria di delegazione, si è tenuta la cerimonia di consegna degli attestati e relativi tastevin ai neo sommeliers, alla presenza del Sindaco di Volterra Buselli Marco, che nell’elogiare le attività della nostra delegazione nelle molteplici iniziative enogastronomiche locali, fra cui Volterra Gusto e le Cene “Galeotte” al carcere, ha rivelato di avere partecipato in tempi passati al corso di I° livello e di voler alla prima occasione terminare gli altri livelli per conseguire l’ambito attestato di sommelier. Ai proprietari e chef del ristorante è stata infine consegnata la nostra bella targa di “locale associato”. Notizia inviata da Flavio Nuti della Delegazione di Volterra

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Organo Ufficiale della FISAR

Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori


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La FISAR di Roma al Quirinale

i è concluso giovedì 21 aprile il corso di primo livello che la delegazione di Roma e Castelli Romani ha tenuto presso la sede del Quirinale all’interno della prestigiosa residenza del Presidente della Repubblica. Il corso ha riscosso un successo al di sopra delle aspettative tanto che i partecipanti, tutti soci del circolo, hanno richiesto di continuare il secondo livello, che in base agli impegni particolarmente intensi legati ai festeggiamenti dei 150 anni dell’Unità d’Italia, avrà inizio giovedì 15 settem-

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bre, sempre presso il Quirinale. La delegazione ha ricevuto i complimenti del Presidente del Circolo Dipendenti Quirinale. Tutti i partecipanti hanno potuto visitare, in via eccezionale, alcuni luoghi del Quirinale generalmente non accessibili al pubblico. Siamo saliti dalla scala elicoidale del Mascherino ed abbiamo iniziato la visita dei bellissimi giardini. Quattro ettari pieni di storia connessa con l’evoluzione del complesso monumentale. Il Quirinale nasce all’inizio del

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500 e subisce cambiamenti ed abbellimenti da ogni suo nuovo illustre inquilino. È stata residenza di Papi sino al 1870 anno in cui diventa la residenza dei Sovrani d’Italia e, dopo il 1947, la residenza ufficiale del Presidente della Repubblica Italiana. Abbiamo ammirato la “fontana dell’organo” (1592) celebre per gli impianti musicali azionati dalla caduta delle acque e per i suoi apparati decorativi. Nel 1740, in un punto panoramico del giardino che domina tutta Roma, fu costruita una elegante “Coffee House” arricchita da 12 busti ed in una nicchia dal busto del Papa. Di fronte una fontana che include un gruppo scultoreo proveniente dalla Reggia di Caserta. Bellissime fontane sono disseminate nel giardino in mezzo ad una vegetazione ricca di piante pregiate, padiglioni ed antichi resti romani. Sulla via del ritorno ci è stato permesso entrare nel Cortile D’Onore, dove il Presidente della Repubblica riceve i Capi di Stato stranieri. Visto che stavamo sotto la famosa “Torretta dell’Orologio” altra foto di gruppo. La prima era stata scattata davanti alla vetrata della Coffee House. Entrambe le foto sono a cura dell’ufficio stampa. Nelle foto si distinguono tra i corsisti, il delegato Filippo Terenzi, il segretario Antonio Mazzitelli, la nostra preziosa collaboratrice e tesoriera Elisabetta Bucci. Giovedì 12 maggio si terrà la consegna degli attestati presso il prestigioso locale “Ketumbar” del cuoco 2 stelle Fabio Baldassarre, e sarà una ulteriore bella occasione per incontrare i nostri nuovi amici del Quirinale. Notizia inviata da Filippo Terenzi della Delegazione di Roma


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FISAR di Portogruaro Lison - Pramaggiore a Pesce e Cioccolato

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iovedì 17 Febbraio presso il “Ristorante IL CARRO” a Duna Verde di CAORLE, si è svolta l’ottava edizione della prestigiosa serata enogastronomica “Pesce e Cioccolato”. Organizzata dai titolari Luca e Luisa Faraon, assieme al Maestro cioccolatiere Danilo Freguja, Ambasciatore del Cioccolato e vincitore di numerose manifestazioni internazionali, più volte campione del Mondo, che ha deliziato gli ospiti con le sue dolci preparazioni. La cena è stata curata dalla Nazionale Italiana Cuochi, diretta dal General Manager Fabio Tacchella, in collaborazione con gli chef del ristorante “IL CARRO” Fabio Padovan e Manuel Faraon. Hanno presenziato alla serata: il presidente della Federazione italiana Cuochi Dott. Paolo Caldana e il presidente di Giuria dei recenti Campionati del mondo, Carlo Sauber, il comune di Caorle che patrocinava la serata, con l’assessore Massimo David. Ospite d’onore e mattatore della serata Moreno Morello, che è intervenuto a titolo gratuito, spendendosi moltissimo per far divertire i presenti, rendendo la festa ancora più piacevole e coinvolgente, con una disponibilità e generosità che ha piacevolmente colpito tutti. L’intero incasso è stato devoluto in Beneficienza in favore dei ragazzi orfani dell’istituto infantile Prem Nivasa,

a Moratuwa in Sri Lanka condotto dalle suore dell’ordine di Suor Teresa di Calcutta, e come ogni anno molti sponsor si sono offerti di contribuire al raggiungimento dell’obiettivo. Per la grande occasione è stato preparato il menù presentato agli ultimi Campionati Mondiali in Lussemburgo, e lo chef Marco Valleta, referente per la Nic lo ha introdotto agli ospiti della serata. L’azienda Vinicola “Santa Margherita” ha donato gli spumanti di Kettmeir per la cena. L’azienda Maschio Bonaventura ha offerto i distillati per la degustazione di praline e napolitaine. L’azienda “Cioccolateria Del Conte” ha regalato ai partecipanti un simpatico soggetto al cioccolato.

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Le materie prime sono state generosamente fornite da varie ditte locali in una vera e propria gara di solidarietà. Gli organizzatori sono felicissimi di vedere come questo evento raccolga sempre più adesioni ogni anno, e si stanno già muovendo per far sempre meglio nella prossima edizione. La FISAR di Portogruaro, come gli anni scorsi, ha partecipato a questo grande appuntamento, contribuendo al successo della serata, con una brigata di cinque Sommelier che hanno fornito ai commensali un servizio di grande qualità e prestigio. Notizia inviato da Celio Sartori della Delegazione di Portogruaro Lison - Pramaggiore

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Giornata del Sommelier Fisar Italia Nord Ovest 2011 a Varazze

i è svolta a Varazze, domenica il 12 giugno 2011, la giornata del Sommelier Fisar dell’Italia del Nord Ovest, organizzata da Brunello De Belath delegato di Varazze presso l’hotel “El Chico” di proprietà dell’associato Fisar Angelo De Gasperis. L’organizzazione dell’evento è stata davvero impeccabile. I lavori iniziano con il convegno dal titolo “Vino e turismo in Liguria”. Intervengono in qualità di relatori al Convegno: Luigi Terzago, Consigliere Nazionale Fisar che porta i saluti del Consiglio Nazionale, Brunello de Belath che ringrazia per il numero elevato dei partecipanti provenienti da tutte le delegazioni, alcune distanti più di 500 chilometri, l’Assessore Regionale al Turismo Angelo Berlangeri e il Sindaco di Varazze Giovanni Delfino che affermano l’importanza del connubio vino-turismo, enogastronomia e turismo, benchè la Liguria sia un piccolo territorio ha davvero delle eccellenze straordinarie come ad esempio il pesto, le olive o il Vermentino, l’Assessore ha poi portato una testimonianza che ha davvero lasciati esterefatti i presenti: riceve dalla Regione Campania una richiesta inviata dalla compagnia aerea Lufthansa che, dovendo pubblicare una brochure di ricette tipiche italiane, richiedeva proprio alla Campania quella del pesto, credendo che fosse un prodotto

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campano identificandolo nella pizza fatta di pomodoro mozzarella e basilico appunto. Analoga esperienza è capitata al giornalista Rabachino che testimonia un episodio avvenuto alla fiera di Shangai dove si pubblicizzava l’Italia con la scritta: ”Piemonte, la regione che si trova sotto la Francia”. Questo per dire che lo sforzo è quello di attuare una buona e corretta comunicazione, bisogna che all’estero si identifichi ad esempio la regione Liguria con la parola pesto o con la parola Vermentino o con le olive taggiasche che non sono toscane come credono gli stranieri perchè l’olio è per loro prodotto dalla regione Toscana, per questo l’importanza della “marca ombrello” che potenzierebbe il valore del nostro territorio. Moderatore del convegno il giornalista Roberto Rabachino, che ha sottolineato l’ importanza del comparto agroalimentare ed enogastronomico delineando l’enoturismo in percentuali: il 3% è vendita e produzione del vino, il 12% il turismo collegato alla vendita del vino e l’85% quello che ruota intorno all’enoturismo cioè quello che un turista spende di viaggio, di souvenir, o per un prodotto tipico recandosi in quel posto per acquistare o degustare un vino. Il vino è importante perché è il motore dell’economia di un territorio, l’82%

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dei turisti vengono in Italia perchè si mangia e si beve bene. Il connubio turismo e vino è sicuramente vincente, come abbiamo potuto constatare anche pochi giorni fa con la manifestazione “cantine aperte” che ha portato milioni di turisti nelle nostre aziende vitivinicole. Presente un produttore vinicolo di Spotorno, Riccardo Sancio, che ha lasciato 15 anni or sono il lavoro a Torino in un azienda metalmeccanica per dedicarsi all’azienda del padre, con 5 ettari e mezzo suddivisi in 7 appezzamenti a Celle Ligure, Spotorno e Finale, seguace dei vitigni autoctoni impiantati dal nonno produce due bianchi, Pigato e Vermentino, un rosso ovvero il Rossese e le Igt Mataosso, Lumassina e Granaccia. Il suo vino è la sua storia, il suo impegno, la sua fatica ed esprime il suo territorio. Dopo un ottimo pranzo degustando i vini della Cantina Sancio abbinati ai piatti tipici della riviera ligure, cima, formaggetta con olive taggiasche, trofie al pesto, coniglio alla ligure e canestrelli con moscato, inizia il concorso per eleggere il miglior sommelier Fisar Italia Nord-Ovest. La giuria era composta da: Silvio Dalla Torre, per il CTN, Antonio De Viitis Coordinatore dell’Italia del Nord-Est, Roberto Rabachino Coordinatore dell’Italia del Nord-Ovest e Pietro Milo


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Da sx il Sindaco di Varazze, Zinno Antonio, Turato Stefania e Pollini Selena

Commissario di Milano Duomo. 11 i partecipanti: per la Delegazione di Biella Carta Giuseppe, per la Delegazione di Monza e Brianza Turato Stefania, Sisti Valerio, Galli Lorenzo, per la Delegazione di Savona e Imperia Pollini Selene, Bertora Luca, Delegazione di Varazze Zinno Antonio e per la Delegazione di Vercelli Gagino Laura, Antonietti Simone, Mattivi Alessandro, Grassone Raffaella. La prova consisteva in 30 domande, nel riconoscimento del vino alla cieca, e la prova tecnica di servizio. Tre i sommelier che a pari merito arrivano in finale: Turato Stefania (Monza),

Pollini Selene (Imperia), Zinno Antonio (Varazze) che si contendevano il titolo di miglior Sommelier dell’anno. Su tutti il titolo di Miglior Sommelier dell’anno FISAR 2011 dell’Italia Nord ovest è andato a Zinno Antonio, 45 anni, delegazione di Varazze. Seconda classificata la rappresentante della delegazione di Monza e Brianza Turato Stefania e terzo posto per la sommelier Pollini Selene in rappresentanza della delegazione di Savona e Imperia. I tre finalisti parteciperanno di diritto alla finale nazionale nel prossimo autunno. La giornata si chiudeva con il rin-

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graziamento del Sindaco di Varazze entusiasta per aver assistito ad una giornata così ricca di emozioni complimentandosi per la preparazione e la professionalità dei sommelier Fisar che con grande maestria e poesia hanno descritto i vini presenti al concorso. La giornata del Sommelier FISAR 2012 è stata affidata alla Delegazione di Monza e Brianza.

Notizia invita da Raffaella Castellucci

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amiglia La FISAR Italia Nord Est protagonista alla presentazione del Raboso Piave Malanotte

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alanotte è il nome di un borgo medievale situato a Tezze di Vazzola, comune di 7000 abitanti, nel trevigiano. Il nome proviene da una famiglia nobile trentina che nel 1600 comperò tutto il borgo. Sembra che questo nome rievochi una leggenda in cui un “rampollo” si salvò dalla ferocia di un orso salendo su un albero di mele. Malanotte è ora minacciato da una escavazione. Per tutelarlo è stata costituita una associazione che vuole tenere “vivo” questo borgo che ha dato il nome al vino neo eletto a denominazione di origine controllata a garantita: il Raboso Piave Malanotte DOCG. In questo borgo è stato organizzato il 9 giugno scorso l’evento degustativo in onore al vino Raboso Piave Malanotte DOCG: questo per mantenere i segni della memoria nella Strada dei Vini del Piave (le avversità atmosferiche non hanno scoraggiato gli organizzatori a spostare la manifestazione, tenendola a Borgo Malanotte al coperto di una tensostruttura). È

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stato degustato questo re dei vini del Piave che sarà collocato nel mercato e bevuto a partire dal mese di novembre 2011, nel rispetto del disciplinare che, in vigore dal 2008, prevede in totale tre anni di affinamento. A organizzare l’evento è stato il Consorzio Tutela Vini Piave, presieduto da Antonio Bonotto che, ha assicurato, è solo l’inizio di un lungo e bellissimo percorso. Il Consorzio ha coinvolto la FISAR nella presentazione in anteprima del Raboso Piave Malanotte DOCG, sostenitore dell’iniziativa Antonio De Vitiis coordinatore delle delegazioni del Nord Est, presenti fra i vari dirigenti FISAR anche Luisella Rubin, consigliere nazionale e portavoce delle Donne del Vino. Rilevante la presenza della FISAR di Treviso presieduta da Flavio Casagrande che, oltre a “giocare in casa” è notoriamente la piu’ numerosa d’Italia con 400 soci; presenti altre delegazioni fra le quali Venezia Centro Storico, San Donà di Piave, Portogruaro. Gli oltre 80 fra sommelier, enologi, tecnici, consulenti, assaggiatori, enogastronomi hanno potuto gustare in anteprima assoluto, e per la prima volta, il Raboso Piave Malanotte. 10 campioni sono stati gustati e valutati “alla cieca”. Vanino Negro, docente FISAR e professore in degustazione alla Facoltà Agraria di Padova, sede di Conegliano (ma anche presidente della Cantina di Oderzo) ha guidato le degustazioni,

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coordinato da Deborah Franceschi, sempre dell’università patavina, responsabile del laboratorio di analisi vini. Il servizio è stato effettuato da 4 sommeliers della delegazione di Treviso, guidati da Roberto Donadini. Tra loro spiccava Karen Casagrande, l’ospite d’onore della serata, eletta “sommelier dell’anno 2010”. Il Consorzio Tutela Vini Piave raggruppa 62 comuni, quello di Vazzola diventa il “centro” del Raboso Piave Malanotte DOCG, sostenuto anche dal vicesindaco Giovanni Bonotto che intende avviare alcune iniziative conoscitive al fine di convogliare la gente alla scoperta del territorio e dei prodotti genuini bevendo il Raboso Piave Malanotte DOCG. Successo pieno dell’iniziativa: la strada per questo straordinario vino inizia adesso. Non resta che promuoverlo e farlo conoscere! Maurizio Drago: fonte ASA - www.asa-press.com


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A Pisa la consegna degli attestati

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antissimi giovani tra i corsisti che hanno superato l’esame conseguendo il diploma di I° livello, la cui consegna è avvenuta durante una conviviale tenuta al ristorante “La Buca”, di via D’Azeglio. La delegazione pisana ha organizzato la cerimonia nella storica ex-vetreria Saint Gobain, meravigliosamente ristrutturata e riadattata con maestria individuando soluzioni originali molto funzionali, i cui locali hanno suscitato emozioni e ricordi di gioventù, nei convenuti maggiormente datati, quando nei tempi passati rompevano involontariamente con pallonate o fionde i vetri delle finestre. Scapaccioni a gogò per quei giochi e passatempi di una volta che oggi non esistono più. Lo chef Carmine Jovine ha proposto un menù di mare aprendo il buffet con

stuzzichini di acciughe, crognoli e quenelles di pesce fritto con il tradizionale calice di benvenuto: Valdo Cuveè del Fondatore, Prosecco Valdobbiadene millesimato, ottenuto con un metodo particolare di spumantizzazione che comprende un parziale affinamento in barrique di rovere francese. Questa Cuveè è stata dedicata proprio al fondatore dell’azienda Sergio Bolla, colui che amò e credette più di ogni altro al futuro e alle potenzialità del Prosecco. Il successivo ventaglio di antipasti composto da gamberone gratinato, cozze ripiene, crostino di cacciucchino e Carpaccio di salmone fresco all’aceto balsamico ha visto servire il Zamò Bianco IGT della Venezia Giulia, derivato dall’assemblaggio di Ribolla gialla, Sauvignon, Tocai Friulano, Pinot grigio e Riesling. Naturalmente le uve

vengono raccolte e vinificate separatamente dal momento che le epoche di maturazione sono diverse. Il solito vino, gradevole, ma non impegnativo si è prestato anche per gli ottimi i primi: Risotto al nero di seppia e Paccheri al favollo. A seguire Orata al forno con verdure e fritto misto che sono stati abbinati al Shìroc di Pantelleria 100 % Zibibbo dall’aroma ampio con sentore di moscato. Innovativo il dessert: Gelato di Cantuccini, tipici della zona, veramente squisito, una novità assoluta che ha stimolato i palati e indotto a disquisizione i fisariani anche sull’abbinamento con Moscato Giallo amabile della Cantina Tramin. Ottimo il servizio vini espletato dal Sommelier Fisar Piero Ristori. La delegata Maria Cristina Messina, il direttore del corso Barbara Poli, il consigliere Tiziana Duè e la responsabile dei sommelier Liana Benini hanno provveduto alla consegna degli attestati ai seguenti allievi:Vincenzo Armenante, Stefania Bernardini, Vincenzo Bertini, Lucia Billeci, Daniela Bolelli, Giovanni Bonanni, Massimo Danti, Santa Elia, Gianluca Gallo, Maria Carmela Iaconis, Sergio Macchia, Patrizia Pioli, Silvia Puccinelli, Laura Ricciardi, Salvatore Tortorella, Luigi Vaglini e Vera Vismara. Meritati gli applausi finali alla brigata di cucina.

Notizia inviata da Tiziano Taccola della Delegazione di Pisa

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amiglia La Delegazione Valdichiana consegna i diplomi ai sommelier dell’Hotel Adler Thermae di Bagno Vignoni

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a FISAR è arrivata anche a Bagno Vignoni all’Hotel ADLER THERMAE che tra le dolci colline della Toscana, nel Comune di San Quirico d’Orcia, costituisce un’oasi speciale ed unica per “ricaricarsi” di nuove energie e dare al corpo e alla mente un meritevole benessere. Il tutto si è realizzato grazie all’interessamento del Direttore Anton Pichler e del maitre Raffaele Porceddu che, contando sulla professionalità e preparazione della nostra Associazione, ci hanno invitato ad una collaborazione sul luogo per lo svolgimento del nostro Corso formativo per Sommelier. Ciò ha ulteriormente arricchito le risorse della struttura ed ha offerto ai clienti delle terme l’opportunità di contare su personale qualificato in cucina ed in sala per la proposta e l’abbinamento dei vini.

Così, a coloro che del personale interno alle terme, avevano seguito con tenacia ed una buona dose di sacrificio il Corso, sono stati consegnati i diplomi che attestano a tutti gli effetti l’acquisizione della nuova competenza nel campo enogastronomico. Essi sono: Raffaele Porceddu, Melis Gianmarco, Rezi Kafazi, Marco Pianeselli, Silvia

Serranti, Desogus Cristiano, Nicola Pilia, Triolo Carlo, Deplano Daniele. La consegna è avvenuta nella suggestiva atmosfera della Cantina del Centro Benessere, ricavata da una antica cava di travertino, alla presenza del Vice Presidente Nicola Masiello, del Direttore di Corso e Consigliere Nazionale Franco Rossi, del Delegato Emma Lami, del segretario di Delegazione Leonardo Magi, del responsabile del CTN Paolo Trappolini, del Consigliere Sabrina Farfarini, del Tesoriere Amedeo Esposito e dei Sommelier più “anziani” della Delegazione a partire da Angiolo Pagliai, Pietro Nocciolini, Marcello e Giorgio Laurini. Notizia inviata dal Delegato Emma Lami

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La Delegazione di Portogruaro alla degustazione del “Lagunare Rosso” di Caorle

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on è probabilmente la prima volta che un vino matura in modo del tutto originale ma non c’è dubbio che il Lagunare Rosso ha una storia unica e affascinante. Innanzi tutto ha due genitori importanti: Alessandro Corbo, il suo ideatore e l’azienda vitivinicola Ornella Molon di Campo di Pietra (Treviso), una delle più premiate aziende delle Terre del Piave, i cui vini sono presenti in ogni parte del mondo. Ornella Molon ha dunque preparato una interessante cuvée di Cabernet e Merlot e ha posto successivamente il vino per l’affinamento in barrique di rovere francese da 235 litri. E qui è intervenuto Alessandro Corbo che, prese le barrique, le ha portate a Caorle (Venezia), antica e suggestiva cittadina di pescatori e da sempre località di villeggiatura privilegiata da una clientela cosmopolita, e le ha immerse nella laguna, lasciandovele per sei lunghi mesi, in un fondale sotto due metri d’acqua. L’area lagunare caorlotta è unica: un fondale sabbioso, regno di alghe, crostacei, molluschi e pesci di laguna, costantemente mosso dalle maree. Sei lunghi mesi di permanenza delle barrique in un simile ambiente poteva sembrare un azzardo e Alessandro Corbo attendeva impaziente il giudizio degli esperti, una volta che le barrique avessero terminato la loro lunga avventura sott’acqua, dove il tasso sali-

no è di molto inferiore a quello marino: 17/1000 in laguna rispetto al doppio in mare aperto. E, il 12 maggio scorso, è arrivato il giorno del giudizio. Ad assaggiare e valutare il vino maturato sott’acqua è intervenuta la delegazione Fisar di Portogruaro (Venezia), con il delegato Celio Sartori, il socio enogastronomo Romolo Cacciatori e con la presenza straordinaria della sommelier Fisar dell’anno Karen Casagrande della Delegazione di Treviso, che, durante gli attenti assaggi, ha illustrato ai numerosi intervenuti le caratteristiche di questo vino davvero unico.

Il “Lagunare Rosso” – ha affermato in sostanza Karen Casagrande – è d’uno straordinario colore rosso rubino profondo, caratterizzato da una trama molto fitta, tale da renderlo impenetrabile alla vista. Una volta aperto e lasciato ossigenare esprime le sue interessanti caratteristiche organolettiche, ottenute da un affinamento fuori dell’ordinario. Si

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sente dapprima come un fondale di stagno, poi note d’alghe marine, per chiudersi in un caldo e appagante sentore di torrefazione, senza tuttavia nascondere i profumi caratteristici delle uve di base, un sentore leggero d’aria marina, in un complesso che denota grande e matura personalità. Una tavolozza di sensazioni gustative ampia, complessa, ideale per chi cerca i virtuosismi enologici, la ricerca spinta, le possibilità anche estreme che offre il vino se prodotto e affinato con vera sapienza, ottimo comunque per chi ama il vino buono. Alla fine della degustazione il pubblico presente ha poi conosciuto una delle doti davvero straordinarie della nostra Sommelier dell’anno. Karen Casagrande, che, a conclusione della interessante degustazione, si è esibita da autentica professionista con un’orchestra interpretando con vera maestria alcune canzoni sottolineate da caldi applausi dei presenti. E che il Veneto, oltre a iscrivere una propria bravissima professionista nell’Albo d’Oro dei Sommelier dell’anno, abbia offerto alla Fisar anche una provetta cantante torna ad onore di tutte le delegazioni del NordEst. Notizia inviata da Celio Sartori della Delegazione di Portogruaro Lison-Pramaggiore

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La FISAR di Pavia con Javier Zanetti per la Fondazione P.U.P.I. Onlus

mercoledì 9 marzo 2011, ore 21 circa, la sala è strapiena, gremita in ogni ordine di posti, quando arriva l’ospite d’onore… ed immediatamente si alza, spontaneo, un lungo e caloroso applauso. L’ospite è lui, Javier Zanetti, il Capitano (ma la “C” non è maiuscola… è mastodontica…!) dell’Inter Campione del Mondo: una bandiera per i tifosi nerazzurri (tra cui, se non l’avete ancora capito, c’è anche chi scrive…), ma, soprattutto, un luminoso alfiere di professionalità e di correttezza sportiva, da citare ad esempio per tutti. Da dieci anni Javier Zanetti mette la propria immagine di integerrimo sportivo, nonché gran parte del proprio tempo libero, a sostegno dei bambini

argentini socialmente più svantaggiati, con la Fondazione P.U.P.I. Onlus, da lui fondata con la moglie Paula nel 2001, e che opera nel distretto di Lanus, in provincia di Buenos Aires, Argentina. Il progetto vuole permettere a questi bambini particolarmente bisognosi di ricevere le stesse opportunità di sviluppo, senza esclusioni o emarginazioni: tutti i programmi ed i progetti sono consultabili su www.fondazionepupi.org. L’occasione è una cena organizzata, presso gli splendidi locali del Ristorante Il Tastevin di Vigevano, dal Rotaract Club Vigevano-Lomellina, da trent’anni sul territorio al servizio della comunità. In mezzo a tanta festa ed a così importanti obbiettivi, FISAR non poteva certo mancare… e lo è stata con

la presenza del Delegato di FISAR Pavia, Roberto Pace, che ha avuto modo di “raccontare” ai convenuti i due vini del menu, gentilmente offerti dall’Azienda Bruno Verdi di Canneto Pavese (PV), non a caso una famiglia di interisti fino al midollo, e l’onore di servire Il Capitano e la Signora Paula. Quindi con il “Risotto con fagiolini dall’occhio, salsiccia e bonarda” è stata degustata la Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc 2010 “Possessione di Vergomberra”, fragrante di frutti rossi e giustamente vinosa; a seguire un “Filetto di maiale con pere caramellate e scaglie di pecorino” cui è stato abbinato l’eccellente Oltrepò Pavese Pinot nero Doc 2008, vellutato, carnoso, di misurata potenza. Due vini non casuali, a voler sottolineare questo connubio italo-argentino anche attraverso la scelta dell’oltrepadano vitigno Croatina, che sta ottenendo incredibili successi nell’enologia argentina in cuvée con il Malbec, e del Pinot Nero, vitigno internazionale che in Oltrepò ha trovato splendida casa, come è stato per Capitan Zanetti a Milano. Inutile simbologia? Suvvìa, il vino è fatto anche per questo!

Notizia inviata da Roberto Pace della Delegazione di Pavia da sx Paolo Verdi, titolare dell'Az. Agr. Bruno Verdi, Capitan Javier Zanetti e Roberto Pace, Delegato di Pavia

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VIII° Candiana Vinum con la Delegazione FISAR di Padova protagonista

D

all’1 al 14 maggio scorso, si è svolto a Candiana (PD), l’VIII rassegna dei “Vini dello

Stradon del Vin Friularo” e delle migliori Aziende Vinicole del Veneto. Alla rassegna hanno partecipato, oltre ai numerosi produttori locali, anche una ventina di produttori provenienti: dalla zona, dai Colli Euganei, Colli Berici e dalla zona di Valdobbiadene (TV). Sono stati presentati una quarantina di vini di varie tipologie oggetto del concorso, tra cui l’immancabile Vin Friularo, protagonista della rassegna, caratteristico vino del territorio Conselvano, area geografica situata a sud di Padova, che con ogni probabilità a breve conseguirà la DOCG. La FISAR Delegazione di Padova invitata per la prima volta da quando è stata istituita la manifestazione, nella

Sansovino, si sono svolte le degusta-

Sommelier.

sera del 29 aprile scorso si è distin-

zioni aperte al folto pubblico parteci-

La rassegna Candiana Vinum ogni

ta ed ha ben figurato con due suoi

pante alla rassegna, dove oltre ai pre-

anno amplia sempre più la gamma di

Sommelier, Andrea Zanardo e Paolo

giati vini e ai numerosi prodotti della

aziende e vini partecipanti, a riprova

Cosentino, facendo parte, assieme

ricca gastronomia padovana, hanno

dell’efficace gestione dell’evento e so-

ad assaggiatori di professione, della

potuto trovare anche un punto infor-

prattutto dell’interesse che il pubblico

commissione esaminatrice per giudi-

mativo della Delegazione di Padova,

dimostra verso questo evento divenu-

care i migliori vini della rassegna.

molto apprezzato dai presenti, gesti-

to immancabile e che in futuro, spe-

La

dell’1

to dal valente socio Silvano Bizzaro,

riamo anche grazie a FISAR Padova

maggio, nella bellissima scenogra-

che in quella occasione ha potuto

potrà sicuramente ampliare ulterior-

fia della Barchessa delle “Cantine

dare informazioni utili sulle numerose

mente i suoi orizzonti.

Renier” di Pontecasale adiacenti alla

attività FISAR e distribuire materiale

Villa

magnifica

informativo utile a chiarire le molte do-

Notizia inviata da Andrea Zampieri

opera del XVI secolo dell’Architetto

mande fatte dai presenti, sui corsi per

della Delegazione di Padova

domenica

pomeriggio

Garzoni-Carraretto,

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amiglia Consegna degli attestati di Primo Livello per la delegazione di Caserta

l 23 maggio 2011 presso l’Enoteca Il Torchio dei fratelli Giannini, una delle enoteche storiche e più apprezzate della città di Caserta, nonché sede prestigiosa del corso, la Fisar delegazione di Caserta ha consegnato gli attestati di Sommelier di primo livello. Nel corso della serata sono stati così consegnati i suddetti attestati ai seguenti discenti: Oriella Aceto, Domenico Bernardo, Orsola Campolattano, Claudio Casapulla, Enza Comune, Francesca De Lena, Antonietta Dell’Aquila, Clementina Dell’Aquila, Pasquale Dell’Aquila, Vincenzo Fierro, Massimiliano Fiorillo, Giuseppina Funaro, Egidio Gargiulo,

Francesca Giannini, Oreste Giannini, Anna Guadagno, Angelo Guida, Federica Landolfi, Giuseppe Lombardi, Andrea Manna, Donato Marotta, Giovanni Monaco, Donato Natale, Pierluigi Palumbo, Ugo Pascarella, Saverio Pennacchio, Giacomo Perretta, Giuseppe Ponticiello, Andrea Toti e Adele Vairo. A presiedere la serata sono stati Carlo Iacone, delegato Fisar di Caserta e Mario D’Anna, presidente di AscomConfcommercio di Caserta i quali hanno sottolineato come la sinergia e la collaborazione tra la Fisar delegazione di Caserta, le attività commerciali (con particolare riferimento a enoteche e

ristoranti) e la Camera di Commercio si sia man mano consolidata dando vita all’organizzazione di corsi di Sommelier su tutto il territorio di Caserta e provincia e di eventi studiati ad hoc per valorizzazione e promozione delle eccellenze di Terra di Lavoro (ricordiamo tra tutti “Borsa dei Vini”, “Rossi di Natale” e “Evento FAI”). Nel corso della serata inoltre la prof. ssa Adele Vairo, preside del liceo “Manzoni” di Caserta, ha esternato la volontà di creare, avvalendosi della professionalità della Fisar, dei corsi di Sommelier dedicati al corpo docente e a tutto l’entourage dell’istituto stesso, volendo coinvolgere anche la Scuola Media Statale “Giannone” ed altri istituti scolastici. Per l’occasione quindi il delegato Carlo Iacone ha anticipato che da settembre 2011 partiranno altri corsi di Primo livello a Caserta e Aversa e un corso di Secondo livello. Il delegato ha inoltre accennato che sono in itinere le stesure di più progetti la cui realizzazione è prevista per l’anno 2011 – 2012, progetti che avranno come obiettivo la messa a sistema del patrimonio enogastronomico, storico e artistico del territorio casertano. Notizia inviata da Mariano Penza della Delegazione di Caserta

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La Delegazione di Caserta consegna gli attestati da sommelier

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l 10 maggio 2011 in un’atmosfera suggestiva ed in una location d’eccezione, quale il ristorante “La Colombaia” di Aversa, la Fisar delegazione di Caserta ha consegnato gli attestati di sommelier con i tastevin ai neo Sommelier. L’evento è il risultato di un ciclo, i corsi di 1°, 2° e 3° livello, che ha visto nel terzo, fondere due realtà della provincia casertana molto importanti, quella aversana e quella capuana, a testimonianza che l’obiettivo della delegazione è quello di creare sinergia e senso di appartenenza all’intero territorio di Caserta e provincia. Nel corso della serata sono stati così consegnati i tanto “desiderati” attestati ai 29 neo sommelier: Autiero Ciro, Barchetti Michela, Buondonno Andrea, Chemi Dabiela, Conte Francesco, Cretella Mariarosaria, D’Angelo Sergio, Di Grazia Raffaele, Filippone Edoardo, Gagliardi Ferdinando, Graziano Gaetano, Iuliano Salvatore, Lauro Ornella, Marotta Sara, Morabito Simona, Pagliuca Enzo, Parente Angelo, Penza Mariano, Pisapia Michele, Ponticiello Angelo, Salzillo Filomena, Schiavone Sebastiano, Serrao Francesca, Solazzo Mario, Strazzullo Gennaro, Trasacco Fulvio, Uccella Angela, Vassallo Rita e Verde Mara, i quali con soddisfazione e anche un po’ di emozione, hanno avuto l’onore di essere premiati da rappresentanti istituzionali della città di Aversa: Gianpaolo Dello Vicario – Assessore alla pubblica istruzione e alle politiche giovanili del Comune di Aversa e consigliere provinciale di Caserta; Silvio Salzillo - Comandante della stazione dei Carabinieri di Aversa; dai giornalisti Vito Faenza e Vincenzo Sagliocco, unitamente al delegato Carlo Iacone. Hanno inviato i propri saluti ed auguri: la Fisar Nazionale, per la camera di Commercio di Caserta, Generoso Marrandino – Presidente di Agrisviluppo e Maurizio Pollini – Presidente di Asips, Franco Candia – Presidente dell’Ascom di Aversa e consigliere di Agrisviluppo, Pina Giordano – Presidente di Confesercenti di Aversa. Il delegato di Caserta, si è fatto interprete per la presentazione all’Assessore Dello Vicario, di un progetto, che abbia come obiettivo il coinvolgimento di

giovani aversani nella frequentazione dei corsi di sommelier Fisar, sottolineando l’importanza di creare in questo settore un valido sbocco professionale. La serata è stata anche l’occasione per Carlo Iacone di preannunciare la programmazione di altri corsi di sommelier di 1° livello ad Aversa in collaborazione con “l’Enotecailvino” e Caserta in collaborazione con l’Enoteca “Il Torchio”. Inoltre con l’interessamento della socia, dott.sa Adele Vairo dirigente scolastico del Liceo Manzoni è in programmazione un corso per i docenti dello stesso Liceo e della Scuola Media Statale “Giannone” di Caserta. Infine la Fisar di Caserta realizzerà in sinergia con l’Associazione Culturale NarteA, una serie di eventi teatralizzati, intesi a valorizzare e promuovere il patrimonio storico-culturale e le eccellenze enogastronomiche di Terra di Lavoro. Durante la serata i presenti hanno avuto la possibilità di degustare un menu sapientemente elaborato dal giovane chef Raffaele di Grazia (uno dei neo sommelier) e vini di produzione dell’azienda Feudi di San Gregorio come il “Dubl”, uno spumante metodo classico da uve Falanghina e il “Cutizzi”, un Greco di Tufo docg del 2010. Ancora complimenti a coloro che hanno arricchito la squadra dei Sommelier, formata finalmente da molte donne, adorabili quote rosa, come testimonia l’incarico assunto dalla sommelier Annalisa Russo di collaborare con il responsabile dei sommelier della delegazione di Caserta. +della Delegazione di Caserta

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Conclusi i Corsi di Primo Livello organizzati alla Delegazione Valdichiana a Massa Marittima ed a Castelnuovo Berardenga Organizzato nella città del vino Monteregio di Massa Marittima, un corso di Primo Livello, grazie alla preziosa collaborazione del fiduciario Slow Food Fausto Costagli ed alla disponibilità di alcune cantine tra cui Moris Farms e Azienda Agricola Le Sedici. È stato organizzato un Corso di qualità per presentare al meglio la nostra Federazione non ancora ben conosciuta in questo territorio. I partecipanti hanno frequentato con entusiasmo le dodici lezioni e ci hanno raggiunto oltre che da Massa anche dai Comuni limitrofi: Grosseto, Roccastrada, Chiusdino. La cena conclusiva si è svolta nel locale "Trattoria dei Cavalieri" a Massa Marittima presso il nostro nuovo socio e corsista Giovanni Falzone che ci ha deliziato con piatti di mare e di terra. Presenti oltre ai corsisti anche il delegato Emma Lami, il direttore del corso Franco Rossi, i sommelier Tina Furchì e Alberto Mazzarrini.

Analogo corso di Primo Livello si è svolto alle porte del Chianti Classico nel paese di Castelnuovo Berardenga, presso la sede della Società Filarmonica.

Gli attestati sono stati consegnati ai soci: Aiudi Letizia, Bacci Angela, Bassi Antonio, Bati Samantha, Boscaglia Stefano, Braun Daniela, Cigli Mauro, Di Stefano Giuseppe, Falzone Giovanni, Ferrari Fabrizio, Forgeschi Luciana, Gasperi Daniele, Mocellin Patrizia, Mugnaioli Giuseppe, Nelli Samuele e Panci Monica.

La consegna degli attestati è avvenuta alla presenza del delegato Emma Lami, del direttore del corso Franco Rossi, del segretario di delegazione Leonardo Magi, della responsabile dei servizi Luciana Palmerini e del sommelier Tina Furchì ai soci: Bruttini Massimiliano, Di Donato Daniele, Di Donato Roberta, Ficai Tommaso, Monciatti Francesca, Morbidelli Antonella, Nepi Giulia, Sacchetti Marco, Tiberi Mayla, Ulivieri Nicola, Von Ah Ruth. Il servizio vini è stato curato dal sommelier Roberto Senserini. Notizia inviata da Franco Rossi della Delegazione Valdichiana

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La Delegazione di Siena e Valdelsa ad Abbadia Isola

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n bicchiere per la vita è stato il sottotitolo ideale per festeggiare i 25 anni della manifestazione “C’ero anch’io ad Abbadia Isola”, famosa festa che si svolge ogni anno a fine Maggio ad Abbadia Isola nel comune di Monteriggioni per raccogliere fondi a favore della ricerca contro il cancro, a testimonianza della serietà e della competenza delle persone che con tanta energia ed impegno ogni anno rinnovano questo appuntamento con risultati ammirevoli, concreti, indiscutibili. La manifestazione conclusasi lo scorso 29 maggio, patrocinata dal Comune di Monteriggioni (SI) con la collaborazione dell’AIRC (Associazione Italiana Ricerca sul cancro) e dell’ABBI (Associazione di Beneficenza Badia Isola), ha visto per il secondo anno consecutivo la partecipazione e la collaborazione della F.I.S.A.R. Delegazione Siena e Valdelsa che con la sua presenza ha voluto sottolineare l’importanza di manifestazioni di questo genere che sono il vero valore aggiunto del terriorio Senese. Negli affascinanti quanto suggestivi locali della “TINAIA”, ristrutturato deposito dell’antica Abbazia di Abbadia Isola risalente all’anno Mille da qualche anno riportata agli antichi splendori proprio dal Comune Di Monteriggioni, erano stati organizzati, per l’intera durata della manifestazione, banchi d’assaggio permanenti, dove i Sommelier FISAR, con la loro competenza e professionalità, hanno accompagnato gli

intervenuti in questo piacevole quanto interessante viaggio nel mondo del vino carpendo la curiosità anche dei più scettici; Venticinque le aziende che hanno partecipato alla manifestazione in rappresentanza della Provincia di Siena e non solo, con più di sessanta etichette in degustazione, per un successo che è andato al di la di ogni più rosea aspettativa, di cui la Delegazione Siena e Valdelsa è fiera di aver contribuito. I Sommelier che per tutto l’arco della manifestazione hanno garantito il servizio, si sono contraddistinti per professionalità, serietà e gentilezza garantendo come sempre un altissimo livello di preparazione presentando e descrivendo ottimamente vini ed aziende che erano chiamati a rappresentare. Se tutto questo è stato possibile, oltre a ringraziare le tantissime persone Il Sommelier Luglio-Agosto 2011 • n. 4

che hanno visitato la manifetazione ed in particolare la nostra area di degustazione, un sincero rigraziamento va soprattutto ai produttori vinicoli, che sposando questa nobile causa, sono diventati parte integrante ed essenziale di questo meraviglioso risultato. Tutto ciò spingerà la Delegazione Siena Valdelsa a preparare con impegno, attenzione e dedizione, l’edizione del 2012, cercando di confermare e se possibile migliorare la qualità del nostro servizio e dei prodotti portati in degustazione che comunque, come già ripetuto più volte, sono stati molto apprezzati dal folto pubblico intervenuto, con l’unico intento di poter raccogliere più fondi possibili da destinare in beneficenza e quindi alla ricerca. Notizia inviata da Filippo Franchini della Delegazione di Siena Valdelsa

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Serate speciali nella prestigiosa Villa Ottolenghi con la Delegazione di Alessandria

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uattro serate dedicate al giusto abbinamento cibo-vino, dal 22 aprile e per altri tre Venerdì sera (29 aprile, 6 e 13 maggio) alle ore 20.00 nella prestigiosa Villa Ottolenghi di Acqui Terme. L’evento vede come protagonisti i sommelier Fisar nella persona di Brunello de Belath e del delegato di Alessandria Lorenzo Diotti, che in collaborazione di noti chef spiegheranno il giusto abbinamento cibo e bevande. La prima serata è dedicata al pesce, ostriche sogliola e capesante comparando lo Champagne al Rosé di Nebbiolo, al Gavi e addirittura al rosso Novello 2010. Una provocazione che dimostra come sfatare la tradizione che vuole le ostriche con lo champagne o il pesce solo con il vino bianco. La seconda serata, il 23 aprile è dedicata alla birra e all’acqua abbinate a caviale, cioccolato e cibi salati e vede la presenza di Teo Musso, mastro birraio. Venerdì 6 maggio è la volta dei formaggi i freschi con Dolcetto d’Acqui 2010, gli stagionati con Passito di Moscato e Moscato, i duri con Barbera Superiore. Ultima serata, il 13 maggio, con i dolci, zabaione con Moscato, ciambella con Spumante d’Asti Brachetto e Spumante Rosé, infine semifreddo con Brachetto d’Acqui. Quattro appuntamenti imperdibili in una location da sogno: Villa Ottolenghi,

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progettata e definita dal Piacentini come una “sinfonia architettonica”, situata nelle collina di Monterosso ad Acqui Terme per molti anni proprietà di Arturo Ottolenghi e della Contessa Herta von Wederkind zu Horst. Il maestoso cancello in ferro battuto ci viene aperto da Vittorio Invernizzi imprenditore milanese famoso per il formaggio, il gorgonzola, proprietario delle acque minerali Lurisia, 68 anni sposato con tre figli e tre nipoti, da pochi anni imprenditore nel settore agricolo con la società Vittoria che produce i vini provenienti dai vigneti che circondano la villa, i numeri che ci riferisce sono imponenti: 35 ettari di terreno, dei quali 10 vitati, 4000 metri quadri la villa, la presenza di un mausoleo situato in un

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parco di 100.000 metri quadri con una struttura architettonica di 3000 mc., 1500 mq di cantina più le sale degustazione, e poi ancora più fabbricati uno dei quali raccoglie le acque piovane di 2400 mq., due case coloniche, boschi giardini due piscine e campo da tennis, per visitare questa proprietà servono quasi tre ore di tempo. Alla morte di Arturo Ottolenghi nel 1951 e della contessa Herta avvenuta nel 1953, che avevano da sempre sognato di far diventare questa collina il terzo polo artistico del primo ‘900 dopo Milano e Roma, il figlio Astolfo cerca di portare a compimento la loro opera chiamando fabbri scultori architetti e pittori, sistemando anche il parco ed il giardino con Piero Porcinai


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e realizzando un impianto di illuminazione con Wladimir Todorowsky. La morte di Astolfo rappresentò per Monterosso l’interruzione di una magica utopia. Nel 1985 avvenne un asta che spogliò la residenza di moltissime testimonianze artistiche e per un ventennio tutto rimase sospeso fino all’arrivo del dott. Invernizzi che rimasto ammaliato da ciò che restava della villa l’ acquista nel 2006, ed inizia la sua opera di ristrutturazione lunga e faticosa, che ha portato però, a risultati eccellenti. Il suo sogno, ci spiega, è quello di trasformare questa villa in un polo di ricezione turistica come un Chateau

vitivinicolo alla francese con chef che realizzano una ristorazione di alta qualità, vorrebbe portare la sua cantina a vinificare 100 mila bottiglie da esportare in tutto il mondo (attualmente la tenuta produce Moscato, Cabernet Sauvignon, Barbera e Nebbiolo), visite guidate della villa e del mausoleo per gli studenti, creare eventi meeting e convegni, insomma aprire le porte a chi come lui è amante del bello e dell’arte in genere. Un impresa sicuramente difficile che solo un imprenditore di questo calibro può affrontare, e se la sua vita è stata costellata da molti successi anche quest’ impresa non sarà da meno.

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Camminiamo lungo immensi corridoi di glicini con il profumo della menta che ci accompagna, lasciamo il tempio di Herta, l’immenso portone di ferro rame e nichel alto 5 metri e del peso di due tonnellate realizzato in 6 anni da Ernesto e Mario Ferrari si chiude, e noi ci sentiamo onorati di avere la possibilità di accedere come sommelier a queste importanti serate contribuendo così, pur nel nostro piccolo, a realizzare parte del sogno dei Conti.

Notizia inviata da Raffaella Castellucci della Delegazione di Alessandria

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Nuovamente protagonista la FISAR a Slow Fish di Genova

La Segreteria Comunica a cura di Vincenzo Fragomeni

Negli ultimi mesi i nostri sommelier hanno dato prova della loro professionalità prestando servizio nelle più importanti manifestazioni di settore. La Segreteria comunica ospita in questo numero uno dei protagonisti oltre che uno dei nostri più validi collaboratori: Vincenzo Fragomeni.

I

n collaborazione con la Banca del vino di Pollenzo, l’Enoteca di Slow Fish è lo spazio dedicato al vino di qualità dove poter scegliere tra ottocento etichette, scoprire i vitigni meno conosciuti e sperimentare abbinamenti arditi consigliati dal personale qualificato. Vitigni autoctoni, vini quotidiani, nuove e più bla-

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sonate etichette affiancate da quelle più promettenti fanno dell’Enoteca una delle vetrine più importanti della vitivinicoltura nazionale ed estera. L’ingresso è gratuito; con i buoni degustazione si acquista anche il bicchiere e il pratico porta bicchiere per potersi aggirare tra le bancarelle del Mercato e assaggiare le proposte dei produttori,

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verificando i consigli dei nostri sommelier FISAR.

Pietro, D’Alba Pino, Tamagno Alberto, Favalli

Hanno attivamente partecipato svolgendo il

Donatella, Ferrazzano Nicola, Merloni Isabella,

compito assegnato con professionalità ed impe-

Giuso Rosita, Bersani Andrea, Perri Francesco,

gno le Delegazioni di Savona, Genova, Varazze e

venturini Noemi, Ricci Riccardo, Magnanego

Massa Carrara.

Francesco, Panazani Franco, Briganti Mattia,

Sommelier della Delegazione di Savona: Anselmo

Dall’Asta Paolo, Magnone Roberto, Ferrari Orietta

Nardo, Brunengo Filippo, Cavalli Mauro, Demoro

e Bianchetti Patrizia.

Franco, Merano Giampiero, Moretto Carla,

Sommelier della Delegazione di Varazze: De

Ragazzini Giovanni, Taccone Enrico, Basso

Belath Brunello, Pellegrin Alessandro, Zinno

Francesca, Cometto Francesca, Ferlaino Giovanni,

Antonio,

Mingolla Elisa, Pastor Giovanni, Rudasso Franca,

Marapodi Simona, Piaggesi Walter e Degasperis

Bertolino Daniele, Caria Pierpaolo, Del balzo

Angelo.

Giacomo, Mazza Renata, Morandi Fabio, Pollini

Sommelier della Delegazione di Massa Carrara:

Selene e Sapello Rodolfo.

Valerio della Tommasina, Stefano Grassi e

Sommelier della Delegazione di Genova: Gambari

Roberto Giuseppini.

Massimo, Panziera Lorenzina, Perri Francesco,

Prossimo appuntamento Cheese di Bra (16-19

Prette Stefania, Mammanello Giuseppe, Mosca

settembre 2011) dove nuovamente i nostri som-

Aniello,

melier saranno impiegati e nuovamente protago-

Ricci

Riccardo,

Tamagno

Alberto,

Salomoni Silvana, De Gaetano Paola, Rapetto

Freddini

Gloria,

Volpe

Massimo,

nisti con Slow Food.

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Stelline e sommelier di Giorgio Pennazzato Coordinatore Centro Tecnico Nazionale

Direttori di Corsi per Sommelier (DCSF) e Stelline? In quale scoop sono stati coinvolti? Sono state scattate foto compromettenti? C’è un resoconto attendibile di quanto è successo? Eccolo!

S

abato 7 e domenica 8 maggio si è tenuto a Milano, nel prestigioso Palazzo delle Stelline (di fronte al Cenacolo di Leonardo da Vinci), il Corso per DCSF, cui sono stati invitati i soci esclusi dal precedente corso di Desenzano (ottobre 2010) e a cui hanno partecipato

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sommelier dell’area Nord Ovest e Centro Nord. Alle 9 mattutine Giorgio Pennazzato, nominato di recente responsabile del CTN, ha aperto i lavori esponendo l’importanza vitale del Direttore di Corso, responsabile della qualità dei Corsi e quindi dei Sommelier che vi vengono formati; da

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®

cui la promozione positiva dell’immagine pubblica della FISAR. Il corso è poi proseguito con l’affrontare i problemi della comunicazione efficace (simpatica la storia del mattone, tramandata a tre corsisti, in sequenza, con resoconto finale ben difforme rispetto al racconto originario!), della gestione dell’aula, di come tenere un discorso, di come migliorare la memorizzazione, anche dei vini. Dopo la pausa del lunch, consumato in un accogliente self-service, ha preso voce il prof. Vanino Negro, docente di “Degustazione” al Corso di Enologia presso l’Università di Padova, che ha ripreso i temi della degustazione tecnica, passando a prove pratiche con diverse tipologie di vino. La serata è poi transitata nella cena tenutasi nell’esclusivo ristorante “Gli orti di Leonardo”, interno alle Stelline, che è servita a sviluppare quel clima di calda cordialità che si era instaurata tra i Soci, prima semplici sconosciuti. La ripresa domenicale è iniziata con Franco Jurassich, responsabile della squadra Sommelier della Delegazione di Venezia, che ha riepilogato le regole del servizio, rappresentandole dal vivo con alcune simulazioni proposte da due sommelier offerti cortesemente dal socio Piero Milo. È seguita infine l’illustrazione di Antonietta Turrin, insegnante e socia della Delegazione di Pordenone, che ha fatto vedere, passo passo, la procedura per aprire e gestire un corso per sommelier, sperimentando in tempo reale l’interconnessione con il sito della Segreteria Nazionale. Nel pomeriggio si sono svolti gli esami, per cui i candidati sono passati sotto le forche caudine di ogni docente (10 minuti d’esame per docente = 40 minuti d’esame per candidato!). I risultati sono stati positivi per tutti e 27 i corsisti, con delle punte di autentica eccellenza. Ad ognuno di loro pertanto la Segreteria Nazionale ha inviato il Diploma di DCSF, coronando ufficialmente l’impegno di due giornate intense e al contempo piacevoli.

NICOLA MASIELLO è il nuovo Presidente FISAR

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opo le dimissioni da Presidente Nazionale di Vittorio Cardaci Ama, il Consiglio Nazionale della FISAR ha rinnovato le sue cariche nazionali nel corso della riunione che si è tenuta a Firenze il 19 giugno scorso. È stato eletto per acclamazione Presidente Nazionale Nicola Masiello (già Vicepresidente), alla carica di Vicepresidente è stata eletta Graziella Cescon (già Tesoriere) e a quella di Tesoriere Luigi Terzago (già Consigliere di Giunta). Il Consigliere Nazionale Filippo Terrasini è il nuovo Consigliere di Giunta eletto quale quinto membro. Mario Del Debbio è stato confermato Segretario Nazionale. A Vittorio Cardaci Ama un sentito ringraziamento per quanto da lui svolto in 5 anni di Presidenza che hanno visto la FISAR attestarsi tra le grandi realtà dell’enogastronomia italiana, certi che continuerà a fornire il suo contributo alla crescita della nostra associazione. A Nicola Masiello, già Cavaliere FISAR e vincitore nel 2006 del premio FISARIANO DOC per la sua lunga militanza e per l’inesauribile passione con la quale ha sempre vissuto la vita associativa, vanno le nostre più sincere congratulazioni. I soci potranno festeggiarlo nel corso del prossimo congresso autunnale che si svolgerà a Siena dal 21 al 23 ottobre prossimi. Il programma dettagliato del congresso sarà presto disponibile on line e sarà inviato a tutte le delegazioni per la raccolta delle prenotazioni. Info: segreteria.nazionale@fisar.com

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Congresso Nazionale F.I.S.A.R. Hotel GARDEN • Siena

Venerdi 21 Ottobre 2011 presso Hotel Garden • Siena ore 18 INAUGURAZIONE e CENA di benvenuto presso l'Enoteca Italiana di Siena Hotel Garden Hotel Garden

Sabato 22 Ottobre 2011 Visita guidata alle Storiche e Nobili DOCG Italiane della Provincia di Siena • CONCORSO SOMMELIER DELL'ANNO 2011 • Serata di GALA Hotel Italia

Domenica 23 Ottobre 2011 TAVOLA ROTONDA sul tema: OGM vino • Riunione dei Delegati • Chiusura lavori - Buffet Hotel Italia

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