Giroinfoto magazine 52

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N. 52 - 2020 | FEBBRAIO Gienneci Studios Editoriale. www.giroinfoto.com

N.52 - FEBBRAIO 2020

www.giroinfoto.com

SEQUOIA PARK

ALL AMERICAN REPORT A cura di Mariangela Boni

CASTELLO D'ALBERTIS GENOVA Band of Giroinfoto

LAGO DI VARESE GLI ANTICHI GIAZER Di Barbara Tonin

PALIO DI BUTI EROI DIETRO LE QUINTE Di Giacomo Bertini Photo cover by Giancarlo Nitti


WEL COME

52 www.giroinfoto.com FEBBRAIO 2020


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la redazione | Giroinfoto Magazine

Seattle skyline by Giancarlo Nitti

Benvenuti nel mondo di

Giroinfoto magazine

©

Novembre 2015,

da un lungo e vasto background professionale del fondatore, nasce l’idea di un progetto editoriale aggregativo, dove chiunque appassionato di fotografia e viaggi può esprimersi, condividendo le proprie esperienze con un pubblico interessato all’outdoor, alla cultura e alle curiosità che svelano le infinite locations del nostro pianeta. È così, che Giroinfoto magazine©, diventa una finestra sul mondo da un punto di vista privilegiato, quello fotografico, con cui ammirare e lasciarsi coinvolgere dalle bellezze del mondo e dalle esperienze offerte dai nostri Reporters professionisti e amatori del photo-reportage. Una lettura attuale ed innovativa, che svela i luoghi più interessanti e curiosi, gli itinerari più originali, le recensioni più vere e i viaggi più autentici, con l’obiettivo di essere un punto di riferimento per la promozione della cultura fotografica in viaggio e la valorizzazione del territorio. Uno strumento per diffondere e divulgare linguaggi, contrasti e visioni in chiave professionale o amatoriale, in una rassegna che guarda il mondo con occhi artistici e creativi, attraversando una varietà di soggetti, luoghi e situazioni, andando oltre a quella “fotografia” a cui ormai tutti ci siamo fossilizzati. Un largo spazio di sfogo, per chi ama fotografare e viaggiare, dove è possibile pubblicare le proprie esperienze di viaggio raccontate da fotografie e informazioni utili. Una raccolta di molteplici idee, uscite fotografiche e progetti di viaggio a cui partecipare con il puro spirito di aggregazione e condivisione, alimentando ancora quella che è oggi la più grande community di fotonauti. Director of Giroinfoto.com Giancarlo Nitti

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Giroifoto è

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Ogni mese un numero on-line con le storie più incredibili raccontate dal nostro pianeta e dai nostri reporters.

Con Band of Giroinfoto, centinaia di reporters uniti dalla passione per la fotografia e il viaggio.

Sviluppiamo le realtà turistiche promuovendo il territorio, gli eventi e i prodotti legati ad esso.

Editoria

Attività

Promozione

L E G G I L A G R AT U I TA M E N T E O N - L I N E www.giroinfoto.com Giroinfoto Magazine nr. 52


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LA RIVISTA DEI FOTONAUTI Progetto editoriale indipendente

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ANNO VI n. 52

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20 Febbraio 2020

giroinfoto magazine

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RESPONSABILI DELLE ATTIVITÀ Giancarlo Nitti Monica Gotta Adriana Oberto Barbara Lamboley Manuel Monaco Roberto Giancaterina CAPI SERVIZIO Giancarlo Nitti Redazione Mariangela Boni Redazione Monica Gotta Redazione Barbara Tonin Redazione Barbara Lamboley Redazione

LAYOUT E GRAFICHE Gienneci Studios PER LA PUBBLICITÀ: Gienneci Studios, hello@giroinfoto.com DISTRIBUZIONE: Gratuita, su pubblicazione web on-line di Giroinfoto.com e link collegati.

PARTNERS Instagram @Ig_piemonte, @Ig_valledaosta, @Ig_lombardia_, @Ig_veneto, @Ig_liguria @cookin_italia MAST Bologna SKIRA Editore Urbex Team Old Italy

CONTATTI email: redazione@giroinfoto.com Informazioni su Giroinfoto.com: www.giroinfoto.com hello@giroinfoto.com Questa pubblicazione è ideata e realizzata da Gienneci Studios Editoriale. Tutte le fotografie, informazioni, concetti, testi e le grafiche sono di proprietà intellettuale della Gienneci Studios © o di chi ne è fornitore diretto(info su www. gienneci.it) e sono tutelati dalla legge in tema di copyright. Di tutti i contenuti è fatto divieto riprodurli o modificarli anche solo in parte se non da espressa e comprovata autorizzazione del titolare dei diritti.

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GIROINFOTO MAGAZINE

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PALIO DI BUTI

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SEQUOIA PARK All American Report Di Mariangela Boni

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CASTELLO D'ALBERTIS Genova Band of Giroinfoto

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LA FABBRICA DELLE IDEE Urbex Urbex Team Old Italy

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PALIO DI BUTI Eroi dietro le quinte Di Giacomo Bertini

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LAGO DI VARESE Gli antichi Giazer Di Barbara Tonin

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KENRO IZU Requiem Skira Editore

URBEX

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LA FABBRICA DELLE IDEE

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LAGO DI VARESE

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CASTELLO D'ALBERTIS

IL GIARDINO DEI TAROCCHI Capalbio Di Maddalena Bitelli

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TORINO FILM FESTIVAL Istituto Des Ambrois di Oulx Di Claudia Lo Stimolo

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BANKSY la mostra di Genova Di Monica Gotta LE TUE FOTOEMOZIONI Questo mese con: Alessandro Dentella Matteo Pappadopoli Benedetto Restivo

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TORINO FILM FESTIVAL

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I NOSTRI

REPORTS Pubblicazione delle statistiche e i volumi relativi al report mensile di: Febbraio 2020

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SEQUOIA NATIONAL PARK

I GIGANTI BUONI

Boni

A cura di MARIANGELA

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Band of Giroinfoto Expedition Giroinfoto Magazine nr. 52

Barbara Tonin Chiara Borio Fabrizio Rossi Giancarlo Nitti


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SEQUOIA NATIONAL PARK

C ALIF O R N IA

6 AGOSTO 2019 La sveglia suona presto ma in questo caso l’accogliamo con gioia perché segna l’inizio del nostro viaggio on the road negli USA come Band of Giroinfoto. La prima tappa è il Sequoia National Park, uno dei più importanti parchi nazionali di tutta la catena montuosa della Sierra Nevada, in California: prima di partire ho fantasticato su quali sensazioni avrei potuto provare trovandomi in mezzo ai quei giganti e una volta arrivata ho pensato “Oh mio Dio, ora so come si sono sentiti i Lillipuziani di fronte a Gulliver!” Ma procediamo con calma e raccontiamo la giornata con ordine.

Sequoia National Park

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Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 52

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SEQUOIA NATIONAL PARK

Dicevo…è suonata la sveglia dopodiché, galvanizzati, ci prepariamo, carichiamo i van e facciamo colazione in un locale della catena Denny’s. Se mai doveste intraprendere un viaggio negli Stati Uniti e ne aveste l’occasione vi consiglio caldamente di provare almeno una volta la loro colazione: è strepitosa! Il locale è come se ne vedono tanti nei film americani, con le poltroncine in pelle, il lungo bancone, le vetrate e la cameriera che sorridente ti riempie la tazza di caffè tutte le volte che vuoi. Il menu è ricco e c’è l’imbarazzo della scelta: uova, pancake, frutta, bacon, salsicce e patate. Prendiamo un po’ di tutto. Certo, preparare la colazione per 17 persone ci va del tempo e per consumare tutto quel ben di Dio pure. Quindi, prima ancora di cominciare, siamo già in ritardo sulla tabella di marcia. “Presto che è tardi!” sarà un po’ il leitmotiv che ci accompagnerà per tutto il viaggio e ci sentiremo come il Bianconiglio di Alice, sempre di corsa eppur perennemente in ritardo.

Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 52


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SEQUOIA NATIONAL PARK

Finalmente arriviamo all’ingresso sud del Sequoia National Park, la Ash Mountain Entrance mentre se si proviene da nord si accederà dalla Big Stump Entrance. Acquistiamo due pass, uno per ciascun minivan. Al costo di 80 dollari avete accesso ai parchi nazionali per un anno: attenzione però che non sono inclusi quelli gestiti dai Nativi d’America, come Monument Valley, Antelope Canyon e Horse Shoe Bend.

Mariangela Boni Photography

Poco dopo l’ingresso ci troviamo sulla sinistra il Tunnel Rock: un grosso masso che poggia su un altro formando un tunnel per l’appunto. Ci arrampichiamo, scattiamo qualche foto di rito e poi riprendiamo il cammino alla volta della cosiddetta Giant Forest, la foresta di sequoie. Le sequoie furono scoperte durante la corsa all’oro e fu il botanico Endlicher che le classificò per la prima volta nel 1847. Scelse il nome di “sequoia” come tributo al nativo americano Cherokee Sequoyah (ca 1767-1843) che sviluppò un sistema di scrittura per il suo popolo per preservare la memoria della cultura Cherokee.

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SEQUOIA NATIONAL PARK

GENERAL SHERMAN Barbara Tonin Photography Giroinfoto Magazine nr. 52


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Ci fermiamo diverse volte, contemplando questi giganti, c’è chi assume posizioni da contorsionista cercando le angolazioni migliori per scattare delle foto e riuscire a includerli in un unico scatto, c’è chi prova ad arrampicarsi e chi ad abbracciare i tronchi. Abbiamo visto anche un albero curioso, soprannominato “trono di spade”: un albero caduto le cui radici scoperte ricordano appunto il trono della celebre serie “Game of Thrones”. Ma la vera star è il “General Sherman tree”: l’albero più grande del mondo. Altri alberi possono essere più alti o più larghi, ma nessuno eguaglia la combinazione di peso e ampiezza di questo colosso. Il suo volume stimato è intorno ai 1487m3: è alto quasi 84m, ha una circonferenza alla base di circa 31m e il diametro del ramo più grosso è di 2m. Si stima che questa magnifica sequoia abbia circa 2200 anni. Come ogni celebrità è presa d’assalto e per scattare una foto frontale vi è persino la fila.

Barbara Tonin Photography Giroinfoto Magazine nr. 52

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SEQUOIA NATIONAL PARK

Vi sono altri esemplari famosi, per citarne alcuni: "Washington", "General Grant", "President" e “Lincoln". Fino al 2003 "Washington" era uno dei più maestosi, quando in autunno fu colpito da un fulmine e prese fuoco per giorni prima che i guardia parchi se ne accorgessero. Nell’inverno del 2005 durante una tempesta collassò: di quello che una volta era un albero di 77m ne è rimasto solo un tronco ferito di 31m e non si sa per quanto tempo sopravvivrà. Il "General Grant" è il terzo albero più voluminoso al mondo. Fu così chiamato nel 1867 in onore di Ulysses Grant, generale dell'Esercito dell’Unione durante la Guerra di secessione americana e 18° Presidente degli Stati Uniti d’America. Nel 1956 il Presidente Dwight Eisenhower dichiarò quest'albero un memoriale ai caduti in guerra. Il “Presidente” è il secondo albero più grande al mondo e si stima che abbia 3200 anni. Pensate che i fotografi del National Geographic sono riusciti nell’impresa di fotografarlo per intero, ci sono voluti 32 giorni e 126 fotografie.

Barbara Tonin Photography

“Lincoln” infine è il quarto albero più grande al mondo. Oltre alla flora ci si può imbattere in esemplari di fauna interessanti: purtroppo noi non abbiamo avuto questa fortuna.

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SEQUOIA NATIONAL PARK

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Chiara Borio Photography A bassa quota, dove ci sono boschi di querce, sicomori, salici e pioppi si possono trovare la volpe grigia, il gatto selvatico, le moffette a strisce e maculate, l'orso nero, la quaglia della California, la ghiandaia, il cardellino e, tra i rettili, il serpente di gopher e il reale della California. Nella bassa e media montana sono presenti boschi misti di pini, cedri dell’incenso, abeti e boschi sparsi di sequoie giganti e ci si può imbattere nel cervo mulo, nell'orso nero o nel leone di montagna. Ad alta quota si può avere la fortuna di avvistare specie in via d’estinzione come la rana di montagna dalle zampe gialle o la pecora delle montagne rocciose. Trattandosi di animali selvatici ci sono delle regole a cui attenersi e comportamenti da adottare: potete trovare consigli utili sia nel materiale informativo che vi forniscono all’ingresso sia nei visitor center che al Giant Forest Museum. Al museo si possono apprendere nozioni interessanti sulla storia del parco e sulle sequoie. Ciò che mi ha colpito di più è la pratica degli incendi controllati proprio per prevenire gli incendi stessi. Volendo approfondire l’argomento ho effettuato delle ricerche ed ho trovato un interessante articolo de Il Post del 14 agosto 2019 di cui riporto qui di seguito una sintesi. Gli ambienti naturali che nel corso dell’anno sperimentano inverni umidi ed estati secche possono essere soggetti a incendi estivi: le precipitazioni dell’autunno e dell’inverno consentono la crescita di una ricca vegetazione in primavera, che si trasforma in buon combustibile secco durante l’estate. Tuttavia gli incendi sono indispensabili, in alcuni casi eliminano le specie infestanti, in altri addirittura sono necessari per la riproduzione. Come nel caso della Pinus contorta, un’altra GENERAL SHERMAN Barbara Tonin Photography Giroinfoto Magazine nr. 52

specie di alberi che cresce nell’ovest degli Stati Uniti: le scaglie delle sue pigne sono praticamente sigillate da una grande quantità di resina che solo temperature intorno ai 65°C riescono a liquefare, liberando i semi. In natura, incendi di questo genere si verificano ogni 80-200 anni: quando si sviluppano la maggior parte degli alberi muore, ma le pigne si aprono. Le ceneri degli alberi bruciati fanno da fertilizzante e in qualche decennio la foresta rinasce.


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Mariangela Boni Photography Giroinfoto Magazine nr. 52


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SEQUOIA NATIONAL PARK

Si ipotizza che spegnere gli incendi potrebbe aver causato dei danni alterando il ciclo naturale degli incendi. Il lavoro dei vigili del fuoco ha portato a una crescita senza precedenti della vegetazione del sottobosco, per questo ora quando ci sono degli incendi sono molto più intensi e molte specie non sono in grado di affrontarli. Aver spento troppi incendi potrebbe anche aver danneggiato le sequoie, più resistenti agli incendi delle altre specie di alberi loro concorrenti: la loro assenza le rende meno competitive nella “lotta” naturale tra specie. Alcuni esperti di scienze forestali nutrono dei dubbi sull’efficacia degli incendi controllati pensando che sia una pratica dannosa per gli animali e per l’emissione dei gas serra. Certo, passeggiando col naso all’insù, sentendosi come formiche al cospetto di questi giganti millenari si fatica a immaginare che possano essere in pericolo. Le ore trascorrono in fretta e tra foto e trail, purtroppo è giunto il momento di andarcene.

Chiara Borio Photography Giroinfoto Magazine nr. 52

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Rimontiamo sui mini van e ci dirigiamo verso la vicina città di Fresno. Decidiamo di andare a cenare al Sequoia Brewing Company (giusto per rimanere in tema) dove servono la birra artigianale locale: la Sequoia Pale Ale. Da profana quale sono l’unica cosa che posso dirvi è che è una birra bionda amarognola, poco gasata e dissetante. Satolli e stanchi al punto giusto ci rechiamo al motel…la nostra avventura è appena iniziata e le tappe che ci attendono sono molte: meglio abbandonarsi tra le braccia di Morfeo.

Fabrizio Rossi Photography

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SEQUOIA NATIONAL PARK

Il parco è aperto h24 tutti i giorni dell’anno, tuttavia a causa del maltempo non sempre le strade d’accesso sono percorribili: conviene sempre informarsi prima di mettersi in viaggio. Ci sono diversi trail e soluzioni che rendono accessibile il parco a persone diversamente abili. Gli animali domestici, ad eccezione dei cani guida, non sono ammessi tranne nelle aree campeggio e pic-nic. Al seguente link potete trovare tutte le informazioni per quanto riguarda il parco https://www.nps.gov/seki/index.htm

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Chiara Borio Photography Giroinfoto Magazine nr. 52


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CASTELLO D'ALBERTIS

A CURA DI MONICA GOTTA

GENOVA

What is sacred in your life?

Please, answer the photographer’s questions Queste due frasi, trovate in una delle sale di Castello D’Albertis, mi hanno fatto riflettere. Facendo un’associazione di idee, mi sono chiesta se la fotografia intesa come passione può essere considerata sacra … e intendo come passione. Di conseguenza mi sono chiesta perché fotografiamo? La risposta che posso dare, più vicina al sentire del nostro gruppo, è che fotografiamo per passione. Non solo, fotografiamo per sete di conoscenza, per tradurre ciò che i nostri occhi vedono attraverso il mirino della macchina fotografica in un modo diverso da chi non è uso utilizzare questo strumento esperienziale. Fotografare significa capire e conoscere ciò che si riprende e non si può prescindere da questo legame a doppio filo se si vuol essere un fotografo consapevole. Pertanto siamo entrati a visitare Castello D’Albertis per valorizzare il patrimonio culturale della città di Genova e presentarlo, attraverso le nostre immagini, ad un pubblico più vasto in modo da diffondere la conoscenza di una location ricca di storia, curiosità, cultura e scorci paesaggistici.

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| CASTELLO D'ALBERTIS

Isabella Nevoso Luca Barberis Monica Gotta Sara Morgia Stefano Zec

Orari di apertura: Da Ottobre a Marzo: dalle 10 alle 17 (Martedì-Venerdì), dalle 10 alle 18 (Sabato e Domenica). Da Aprile a Settembre: dalle 10 alle 18 (Martedì-Venerdì), dalle 10 alle 19 (Sabato e Domenica) Dal 23 Maggio al 12 Settembre: dalle ore 13 alle ore 22 (il Giovedì)

Stefano Zec Photography

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ituato in Corso Dogali, 18 in un quartiere centrale e sopraelevato rispetto al livello del mare, Castello D’Albertis gode di una vista panoramica sulla città senza eguali. Ma non è l’unico valore aggiunto del posto: essendo posizionato sulle alture si può assaporare il silenzio e la pace facendo del caos della città un ricordo lontano, come se la si guardasse da distante, dall’alto … ed è proprio così. Per raggiungerlo si possono utilizzare i mezzi pubblici oppure arrivare in macchina, benché nel quartiere i posti macchina non sono così facili da trovare. Diverse linee AMT Genova vi arrivano partendo dalle stazioni ferroviarie principali o dal centro cittadino. Si può anche utilizzare l’Ascensore Montegalletto, un impianto veramente speciale per la sua complessità tecnologica, che parte da Via Balbi (in centro e vicino all’area del Porto Antico) e arriva di fronte a Castello D’Albertis. Lo stesso ascensore vanta una storia che risale al 1929. Ad oggi la stazione inferiore è stata decorata dagli studenti del Liceo Artistico Nicolò Barabino con 4 temi: l’ascensore, il castello, il Capitano D’Albertis e la collina. La stazione superiore è rappresentata da un galletto in ferro battuto, elemento frequente anche nelle decorazioni di Castello D’Albertis, nonché richiama alla denominazione della collina dove sorge il castello, ossia Monte Galletto, attualmente più nota come Circonvallazione a Monte.

Sara Morgia Photography

La struttura è anche dotata di accessi fruibili ai portatori di disabilità che possono visitare il castello e i musei grazie a ascensore e rampe che collegano il percorso museale. Segnaliamo tra l’altro la possibilità di fruire di tablet e Ipod per LIS e un percorso audio per ciechi, peraltro anche per udenti in italiano ed in inglese, spagnolo e francese. Giroinfoto Magazine nr. 52

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Il restauro Il restauro del castello ha sollevato problemi tecnici per i progettisti incaricati del lavoro di ripristino edilizio. Porre attenzione all’architettura e alle decorazioni era un passo che andava intimamente connesso alla trasformazione di una dimora storica o casa-museo in un vero e proprio museo aperto al pubblico. Conservare e coniugare gli elementi intrinsechi di una sfarzosa abitazione di un eclettico personaggio dell’Ottocento con delle caratteristiche “alla moda” di genere assolutamente particolare con ciò che un museo contemporaneo dovrebbe proporre al pubblico, non è stato un lavoro di facile realizzazione. La sfida è stata fondere gli spazi necessari ad un museo moderno (spazi commerciali ed espositivi, biblioteca, servizi per il personale e il pubblico) mantenendo l’atmosfera e l’impianto della casa il più possibile nella sua forma originale. Il Museo delle Culture del Mondo è stato aperto al pubblico in occasione di Genova Capitale Europea della Cultura nel 2004.

Stefano Zec Photography

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astello D’Albertis, eretto tra il 1886 e il 1892 su idea del Capitano D’Albertis, domina la città di Genova dalla collina. Fu costruito su resti di fortificazioni cinquecentesche e tardomedievali con la collaborazione di Alfredo D’Andrade. Con il gusto del collage architettonico e del revival neogotico nasce questa struttura del tutto sui generis con il fine di ispirarsi a vecchie architetture medioevali genovesi. La Torre di Mattoni (foto a pag. 27) a sezione quadrata è il cardine della costruzione, nata dai resti basamentali di una torre tardomedievale e realizzata, si dice, secondo il modello della Torre Embriaci. Facciamo cenno al parco che si attraversa entrando al castello. Fa da corona al castello a compimento della struttura e lascia intravedere il castello in piccole porzioni prima di giungere davanti all’ingresso. Anch’esso è uno spazio incantevole, quasi idilliaco, diventato anche zona fruibile per le famiglie e ricco di specie botaniche esotiche. Nel tunnel creato dal Capitano D’Albertis ci si imbatte nel murales del maestro ecuadoriano Pavel Egüez che denuncia i maltrattamenti contro l’infanzia. Iniziamo la nostra visita incontrando il personale del castello

che si è reso disponibile al nostro gruppo per guidarci in un tour diverso rispetto a quelli solitamente disponibili al pubblico, proprio per permetterci di presentare il castello ai nostri lettori nel miglior modo possibile. Alla domanda … “da dove volete iniziare?” ... “dal percorso classico partendo dall’interno o dall’esterno?” Decidiamo di partire dall’esterno e ci dirigiamo verso la Torre Circolare denominata anche Torre del Vento che domina la città da una posizione privilegiata. Dall’alto si può contemplare un magnifico panorama, dal levante al centro storico cittadino e al Porto Antico fino a comprendere l’intero golfo genovese. Percorrendo un porticato, dove si trova anche il Bistrot utile per una sosta rilassante, si arriva alla terrazza sotto la torre dove ci si può accomodare ai tavolini e ammirare, tra i merli del castello, porzioni della veduta di Genova. Ci dividiamo in due gruppi in quanto l’accesso alla torre è piuttosto angusto e salire la scala a chiocciola in troppe persone ci viene sconsigliato per la nostra sicurezza.

Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 52


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a torre, di forma circolare, presenta al suo interno una scala su modello di quella di Porta Soprana. Saliamo e usciamo all’esterno da dove si vede, da un lato, la città nel suo complesso e, dall’altro, il corpo principale del castello. Qui si trova anche un camminamento che porta al castello. Proseguendo sul camminamento arriviamo ad un piccolo cancello che ci viene aperto appositamente per accedere al castello ed alla terrazza esterna. Notiamo la pavimentazione in bianco e nero, così come in altri palazzi genovesi, colori e pattern tipici della Superba. Volgendo lo sguardo verso il mare, si vede la Torre del Vento, i merli del castello e la cityscape genovese. Se si voltano le spalle al mare si resta colpiti dall’imponenza della dimora del Capitano D’Albertis. Entriamo ora nei locali del castello, nella prima stanza che si trova alla nostra destra. Da qui si può sempre osservare la Torre del Vento, la terrazza e i merli ottocenteschi del castello. E’ la sala da pranzo estiva. Presenta un soffitto di colore blu riccamente decorato. Sopra le numerose finestre sono presenti lunette di vetro smerigliato dai colori brillanti che permettono alla luce di entrare e creare particolari giochi di luce. Contornano le finestre, rispettivamente sulle due pareti, due archi bianchi e neri. Sotto le finestre il muro è decorato da altre piastrelle colorate con un disegno a stelle che forma un effetto ottico particolare e di colore intonato al soffitto e alle tende della stanza. Giroinfoto Magazine nr. 52

Sara Morgia Photography


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Il pavimento è costituito di piastrelle di forma esagonale in una sequenza mista di due colori. All’interno troviamo una fotografia del Capitano D’Albertis seduto alla sua tavola per un pasto. Questa ci permette di immaginare meglio il contesto del vissuto del nostro capitano. Proseguendo nel nostro tour del castello e, uscendo dalla sala da pranzo, saliamo una piccola scala che ci porta al loggiato superiore, una parte del castello molto famosa e dalla quale si gode nuovamente di un’impareggiabile vista della città. Decisamente fotogenico, il loggiato superiore si presta a riprese della città da un punto di vista unico e agevolato dall’essere al di sopra delle altre strutture. Nel mezzo delle colonne che lo delimitano e contornano appare la Torre del Vento, elemento preponderante sul panorama della città genovese. Pur essendo delimitato da una protezione, essere nel loggiato dà l’impressione di poter fare un passo e “mettere un piede” nell’infinito panorama al di sotto del castello. Qualcuno direbbe “spiccare il volo!” Pensate ai tempi del Capitano quando la protezione di vetro non era presente… “sembrava di essere al largo con la brezza del mare!”…citando le parole della Direttrice di Castello D’Albertis prima dei lavori di restauro.

Isabella Nevoso Photography

Luca Barberis Photography Giroinfoto Magazine nr. 52

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Monica Gotta Photography

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opo diverso tempo passato a riprendere il loggiato superiore, scendiamo la scala e proseguiamo nel breve corridoio finemente affrescato che ci porterà nella parte dedicata alla sezione permanente del paesaggio sacro nordamericano. Nel corridoio, parte della dimora, si può ammirare la parete dove è rappresentata la partenza delle caravelle da Palos. Ci sono anche altre riproduzioni sul muro intorno alle caravelle, colonne, scritti ed altre rappresentazioni che fanno di questa parete un oggetto da osservare con particolare attenzione. Anche nel corridoio la parte inferiore del muro è ornata da piastrelle finemente colorate e, sotto l’affresco delle caravelle, si trova un antico mobile da seduta riccamente intarsiato.

Luca Barberis Photography Giroinfoto Magazine nr. 52


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| CASTELLO D'ALBERTIS

Monica Gotta Photography

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roseguiamo oltre, attraversiamo la porta che ci porta alla sezione permanente del museo dedicata al paesaggio sacro nord americano. Entrando nella parte aperta della sala ci troviamo dinnanzi a una delle più particolari installazioni del museo. Dal 2010 sono esposte 11 fotografie di Douglas Beasley, scattate in Nord America, che hanno permesso di aprire questa nuova sezione museale. Il soggetto è il paesaggio sacro nordamericano. Sono immagini che fanno parte di un progetto più ampio denominato “Sacred Sites of the Lakota Indians in the Blackhills and Badlands of South Dakota”. La loro particolarità risiede nel fatto che ritraggono cose semplici: alberi, cielo, montagne, luoghi di preghiera, in sostanza luoghi sacri e, per questo motivo, lasciano aperta la strada per la loro interpretazione nel pensiero di ciascuno di noi. L’essere sospese nel vuoto, nello spazio che attraversa il bastione cinquecentesco, fa sì che riempiano l’ambiente ma, allo stesso tempo, restano separate dalla fisicità del visitatore che può scegliere come connetterle alle esposizioni del piano stesso, complice anche la luce che attraversa questo spazio. Le fotografie aiutano a contestualizzare le collezioni in un ambiente terreno fisico, forniscono uno strumento per connettere la “parte” al “contesto-terra”. Esprimono decisamente ciò che un fotografo si propone di trasmettere con le immagini che crea: un modo di connettere la propria visione espressiva con la realtà fisica e spirituale.

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Isabella Nevoso Photography Giroinfoto Magazine nr. 52

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l secondo piano presenta materiale archeologico del Perù precolombiano mentre, sempre in tema di popoli indiani nord americani, al piano inferiore sono presenti diverse teche contenenti materiale etnografico quali reperti, manufatti ed oggetti antichi facenti parte delle collezioni degli Indiani delle Pianure Nordamericane e degli Indiani Hopi dell’Arizona. Seguono altri reperti dall’Australia, Nuova Guinea e Polinesia che invitano il visitatore a riflettere su queste popolazioni e sulla loro cultura. Proseguiamo fino ad arrivare al Salotto Turco. È una sala riccamente arredata in stile orientaleggiante, dai colori forti, con infiniti pezzi di interesse storico e culturale. Gli arredi provengono da Cina, India, Giappone, Turchia e Persia. In questo salotto il Capitano ha ricostruito una visione occidentale di un mondo lontano a molti sconosciuto. Unendo pezzi provenienti da svariati paesi orientali ha creato una rappresentazione della sua visione di questi mondi esotici attraverso la raccolta in un unico spazio di oggetti come divani, pipe, armature, busti, armi e scimitarre fino a creare un ambiente curioso, eccentrico e stravagante. Una stanza che permette al visitatore di avvicinarsi alle idee e alle esperienze di Enrico D’Albertis. Muovendoci oltre non possiamo non notare elementi architettonici ricorrenti nel castello come gli archi bicolori sopra le finestre, le parti inferiori dei muri sempre adornati da piastrelle multicolori che cambiano motivo in ogni locale.

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Monica Gotta Photography

L’ingresso nella Sala delle Meridiane o Sala Gotica ci offre un’ulteriore visione della particolarità di Castello D’Albertis. Viene chiamata anche Sala del Camino, grazie al camino presente nella stanza: una struttura perfettamente integrata nella formazione della sala e di rara magnificenza. Situata al piano nobile, anche in questa stanza troviamo i muri rivestiti di piastrelle a partire dal pavimento fino ad una certa altezza. In questa sala gli Azulejos richiamano le decorazioni dei muri dell’Alhambra di Granada. La parte superiore del muro fino al soffitto è adornata da un motivo a rombi, ove ciascun rombo creato da un motivo a catena contiene una stella dorata a cinque punte. In questa sala il Capitano era uso progettare e creare le sue meridiane di cui si conservano ancora alcune fotografie come anche alcuni dei suoi strumenti utilizzati per creare gli orologi solari contenuti all’interno del baule del Capitano giunto fino a noi. Non si può non citare, in questo contesto, un ingrediente fondamentale: i motti da cui Enrico D’Albertis era ossessionato e che trascriveva nei suoi taccuini fitti di annotazioni, chiedendo a amici e parenti. Il Capitano D’Albertis costruiva meridiane per scandire il tempo nei suoi periodi di permanenza sulla terraferma. Alcune sono ancora presenti nel castello, altre si trovano in altri luoghi d’Italia e all’estero. La meridiana Cristoforo Colombo situata sulla facciata del castello è ben visibile insieme ad un’altra posta nelle vicinanze. Giroinfoto Magazine nr. 52

Tutti questi orologi solari sono scolpiti oppure dipinti finemente con rappresentazioni dei più diversi generi.


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Luca Barberis Photography Giroinfoto Magazine nr. 52

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Stefano Zec Photography Giroinfoto Magazine nr. 52

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scendo dalla Sala del Camino ci dirigiamo verso la Sala Colombiana. Essa prende il nome dalla scultura marmorea di Colombo Giovinetto eseguita da Giulio Monteverde. La statua si trova su una struttura terrazzata. Colombo, seduto, porta tra le mani un libro, o forse un diario, in un’espressione assorta con lo sguardo rivolto verso la città in lontananza. Questa sala era area di rappresentanza della dimora, testimone dei vari interessi del Capitano D’Albertis. Egli infatti si occupava di esplorazioni, marineria, cartografia, archeologia, scienze naturali e non solo. E la sua dimora testimonia in modo esaustivo l’essere eclettico che era il Capitano. Una delle cose che fa meravigliare è la collezione di volumi nella biblioteca. Alcuni di questi sono scritti dal Capitano stesso. Ci sono volumi di ogni genere rimarcando la sua natura eclettica. Storia, marineria, architettura, medicina, viaggi e altri che trattano nello specifico di Cristoforo Colombo e delle sue navi. Attualmente la biblioteca è accessibile su appuntamento per la consultazione dei volumi. Non mancate di sollevare lo sguardo al soffitto e guardare le pareti della sala, come sempre finemente adornati e dipinti.

Monica Gotta Photography

Non ci resta che dirigerci verso lo scalone marmoreo che ci riporterà al piano inferiore e all’ingresso del castello. In corrispondenza dell'apice geometrico del bastione è stata sostituita la copertura del tetto con una struttura in vetro che permette di vedere la Torre Quadrata dall’interno del castello. I muri che accompagnano lo scalone nel suo dipanarsi all’interno del castello sono decorati con trofei di armi africane, orientali ed europee.

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on è solo lo scalone marmoreo ad essere d’impatto, ma anche le decorazioni, gli archi i soffitti sempre finemente decorati ed intarsiati. Usciti dalla Sala delle Meridiane si ha già un primo scorcio degli archi, dello scalone e delle varie armi posizionate sui muri dello scalone stesso. In cima allo scalone, sporgendosi tra gli archi del piano a destra, si trova anche un rilievo di una caravella, la Santa Maria, con una nota del Capitano D’Albertis per ricordare la costruzione dei modelli delle caravelle avvenuta al castello su richiesta del Comune di Genova nel 1892. Ciò si ricollega alla passione del capitano per la storia di Colombo e delle sue navi. A castello sono presenti anche altre sezioni permanenti molto interessanti per chi ha curiosità in altri ambiti. Sono la sezione "Medicine tradizionali dei Popoli" e la sezione "Musiche dei Popoli". La prima a cura del CELSO - Istituto di Studi Orientali – esplora la filosofia, la storia e le tecniche delle medicine tradizionali dei popoli orientali, mentre la seconda mette in mostra strumenti musicali provenienti del mondo e … “ripercorre le rotte della musica nelle migrazioni, nelle esplorazioni, negli scontri e negli scambi commerciali e culturali dell’uomo” ... Luca Barberis Photography

La sezione delle Musiche dei Popoli propone anche workshop, stages e altri eventi come conferenze e convegni atti alla divulgazione della conoscenza della musica così come viene intesa da diverse popolazioni. Sostanzialmente i percorsi all’interno del castello sono due. Uno intimamente collegato alla figura del Capitano D’Albertis per far conoscere ai visitatori l’ideatore della dimora e l’avventuriero poliedrico che fu, l’altro percorso raccoglie le testimonianze dei popoli e dei luoghi che visitò unite ad altre acquisizioni e donazioni del Comune, in particolare le collezioni delle Missioni Cattoliche Americane donate nel 1893 dopo che furono esposte alle celebrazioni colombiane del 1892. Il nostro tour ha seguito un percorso inusuale e non tutte le aree da noi visitate sono accessibili al pubblico, così come altre non sono state accessibili al nostro gruppo ad esempio per restauri in corso e/o altri motivi istituzionali. Tuttavia potrete scegliere tra molti percorsi tematici e visite tradizionali oltre che eventi culturali organizzati a castello. E avrete così modo di immergervi in questo mondo meraviglioso!

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Manuela Albanese Photography Giroinfoto Magazine nr. 52

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Manuela Albanese Photography Giroinfoto Magazine nr. 52

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IL CAPITANO D'ALBERTIS Negativi su pellicola o su lastre di vetro che testimoniano ciò che vide attraverso il suo sguardo curioso. Montagne, deserti, paesaggi, persone, amici e famiglia, scorci di Genova e della Riviera di Ponente, fotografie di imbarcazioni così care al Capitano, un archivio di immagini che raccoglie la sua visione del mondo.

Fotografie dell'Archivio Castello D'Albertis Museo delle culture del mondo

Presentiamo il Capitano Enrico Alberto D’Albertis. Personaggio eterogeneo ed eclettico, è stato un globetrotter, esploratore e scrittore, denominato marinaio ma anche gentiluomo. Molteplici sono le sue opere scritte arrivate fino a noi. Si è occupato di storia, archeologia, navigazione, usi e costumi, commercio e tanti altri argomenti. Dotato di curiosità e di spirito avventuroso, e forse anche un po' romantico, ha viaggiato per mezzo secolo solcando i mari del nostro pianeta, dal Mediterraneo all’Atlantico seguendo le rotte di Cristoforo Colombo che tanto lo ha affascinato. Diventato Ufficiale della Marina Mercantile, a 25 anni, attraversa l’appena inaugurato Canale di Suez con la prima nave italiana a compiere questo viaggio, e lo farà a vela. Il Violante e il Corsaro, i suoi due cutter, sono le imbarcazioni che lo portarono, tra l’altro, sulle rotte di Colombo e, per questi viaggi, utilizzò gli strumenti da lui stesso costruiti su modelli di quelli del XV secolo, un quadrante, un astrolabio nautico e una balestriglia. Fece tre volte il giro del mondo e il periplo d’Africa utilizzando i più svariati mezzi di trasporto, dai cavalli alle navi, dai treni ai cammelli così come barche a vela e idrovolanti. Durante i suoi viaggi collezionò armi, arredi e qualsivoglia curiosità che riportò a Genova e che andarono ad adornare la sua dimora, Castello D’Albertis. Sempre viaggiando raccolse circa 21.000 fotografie che sono giunte a noi conservate nel suo baule di legno che si trovava nel castello.

Ciò che ha lasciato con queste immagini è una fotografia della vita del tardo Ottocento e inizio Novecento. Nei suoi scatti si trova l’evoluzione della società, della cultura, dell’economia, vediamo un mondo in espansione a cavallo tra i due secoli che maggiormente sperimentarono la voglia di avventura, il desiderio della scoperta di nuovi orizzonti e scoperte scientifiche. Tra le sue passioni annoveriamo la costruzione delle meridiane. In tutto furono più di 100 le meridiane ad essere progettate da Enrico D’Albertis. Undici di esse si trovano ancora a Castello D’Albertis mentre altre si trovano in altre città italiane o all’estero. Primeggiò anche negli sport arrivando a Torino in tempo record con il suo velocipede che ora è esposto in fondo allo scalone del castello. Ciò che anche gli permise di compiere tutte queste avventure fu il fatto di provenire da una famiglia ricca ed aristocratica ben introdotta a Genova, sia nella politica che nella vita culturale della città. È la sua grande passione per tutto lo scibile umano che gli permetterà di diventare un personaggio conosciuto e anche assolutamente unico. Affascinante è la descrizione del Capitano D’Albertis fatta da un cronista del Caffaro, giornale genovese molto venduto a Genova a fine Ottocento. L’ignoto cronista, che ebbe il privilegio di vistare il castello in anteprima e di intervistare il Capitano, lo dipinse come un taciturno navigatore in giacca di pelle di foca. Alla sua morte, nel 1932, Enrico D’Albertis dona il castello e le collezioni in esso contenute alla città di Genova. Non donò solo il castello e il suo contenuto inestimabile, ma anche un pezzo di storia di Genova avendo salvato e inglobato nella sua costruzione il basamento di una torre della precedente cinta muraria tardomedievale.

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TOMBA CELLA Isabella Nevoso Photography Monica Gotta Photography

Tra le varie iniziative avviate negli ultimi tempi per conservare la storia del castello e delle gesta del Capitano D’Albertis, c’è stata la raccolta fondi per il restauro del suo primo diario di viaggio (1877-1878). È stata organizzata dalla Cooperativa Solidarietà e Lavoro Onlus e da Rete del Dono. L’obiettivo era di fare una copia del diario originale, creare una teca per riporre l’originale e digitalizzare le pagine per avere una copia virtuale. Queste pagine raccolgono articoli di giornale, biglietti da visita, lettere, telegrammi e altre testimonianze a ricordo del viaggio. Questa non è l’unica iniziativa di crowdfunding. Attualmente è in atto un’altra raccolta fondi per il restauro della Venere. La statua, voluta dal Capitano per accogliere i visitatori del castello richiama alla Venere di Milo. La campagna, chiamata “Briciole di Venere”, avrà termine a Marzo 2020 e si spera di raggiungere un certo importo che permetterebbe di avere un bonus dalla stessa piattaforma che sostiene la raccolta fondi. L’invito è di partecipare per poter salvare un’opera di estremo valore storico. Il castello quindi offre occasioni di conoscenza e diversi spunti per le visite e percorsi tematici. Grazie ai musei e alle aree esterne è adatto anche alle famiglie e ai bambini. Si pone in veste di centro d’impulso per iniziative di vario genere tra cui diversi servizi didattici, l’inclusione sociale e la partecipazione alle comunità locali e Giroinfoto Magazine nr. 52

internazionali proprio grazie all’impianto creato dal Capitano D’Albertis. Castello D’Albertis si propone anche come location per attività di diverso genere: dagli aperitivi al chiaro di luna durante le serate estive, a incontri dedicati alla salute e al benessere nonché come location per matrimoni in cui organizzare un evento suggestivo, non solo per il ricevimento ma anche per officiare il rito civile come ad esempio nella Sala del Camino. Per restare informati sulle proposte visitate i siti istituzionali di Castello D’Albertis e della città di Genova, nonché i Social Network. Alla fine della visita del castello la sensazione che rimane è quella di essere tornati nel passato, in un passato simile a quello descritto nei libri di avventure ed esplorazioni come Il giro del mondo in 80 giorni di Giulio Verne oppure le avventure descritte in alcuni cicli romanzeschi di Emilio Salgari dove si respira un’atmosfera orientaleggiante ed affascinante.

RINGRAZIAMENTI Ringraziamo la Direttrice di Castello D’Albertis Maria Camilla De Palma e la Cooperativa Sociale Onlus Solidarietà e Lavoro che ci hanno aiutato a realizzare la nostra visita.


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Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 52

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Racconigi è forse il manicomio meglio conservato d’Italia e per questo probabilmente il più carico di emozioni… L'istituzione in Racconigi di una struttura destinata al ricovero dei malati psichiatrici affonda le radici nella volontà riformatrice di Vittorio Amedeo II di Savoia (1675-1730) il quale emanò il Regio Editto del 19 maggio 1717 stabilendo la costituzione da parte delle comunità di una rete di Ospizi di carità.

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Cominciò dunque in quegli anni a Racconigi, allora il principale centro sabaudo di produzione della seta, il lungo percorso che solo nel 1789 porterà all'inizio dei lavori di costruzione di un'imponente struttura, pensata come ricovero di mendicità. Nel frattempo, a Torino, venne aperto nel 1728 il primo nonché l'unico del Piemonte, "ospedale de' pazzarelli". Ben presto però si rivelerà insufficiente ad accogliere tutti i "mentecatti" inviati dalle diverse province. Nel 1866, a seguito alla Legge Comunale e provinciale n. 2248 del 20 marzo 1865, in virtù della quale la spesa per il mantenimento dei "maniaci poveri" fu posta a carico delle province, in Consiglio provinciale a Cuneo si parlava dell'opportunità di erigere un manicomio provinciale. Nel corso del 1868 si iniziò a parlare della possibilità di adattare a tale uso l'edificio dell'ex Collegio Militare di Racconigi, nato come Ricovero di mendicità e capace di ospitare fino a mille persone, ma rivelatosi fin dall'inizio troppo ampio rispetto alla sua funzione.

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Nei primi mesi dell'anno seguente, la Deputazione provinciale affidò ad una commissione apposita l'incarico di ottenere dal governo la cessione di tale fabbricato e di vagliare il progetto dell'istituzione del manicomio provinciale. Il 4 luglio 1870 fu così approvato il progetto presentato dalla Commissione: nell'estate, iniziarono i primi lavori di ristrutturazione e il 1° settembre 1871 avvenne il ricovero dei primi due mentecatti. Durante l'adunanza del Consiglio provinciale di Cuneo del 28 settembre 1886 venne deliberato lo "Statuto Organico" del Manicomio Provinciale di Racconigi. Dall'apertura dell'Ospedale Psichiatrico di Racconigi fino ai primi due decenni del Novecento, quando avvenne la prima organica riforma dell'assistenza psichiatrica, l'antico ricovero di Racconigi, diventato manicomio, visse quella che si può definire la fase del "grande internamento". A un anno dalla sua apertura, l'ospedale ospitava 234 pazienti, che portarono ben presto la struttura alle soglie della saturazione: questa fu raggiunta quando il numero delle presenze mensili si stabilizzò oltre le 250 unità (1874), diventate 400 negli anni '80 del XIX secolo, e che superarono le 800 unità alla vigilia del primo conflitto mondiale.

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Non era solo un luogo di internamento, ma anche un centro di studi di neurochirurgia, con una sala operatoria e molte attrezzature mediche dedicate esclusivamente a questo. Il dottor Oscar Giacchi, direttore dal 1880 al 1907, era convinto che la malattia mentale fosse dovuta a una sproporzione tra il volume del cervello e il cranio. Ritenendo che la natura del problema fosse esclusivamente meccanica, si eseguirono interventi chirurgici sperimentali per allargare il cranio e ottenere più spazio per il cervello. Nel manicomio era ospitata una gamma variegata di pazienti: dagli anziani dementi ai pazzi pericolosi, per i quali Lombroso invocava da anni la costruzione di manicomi criminali. Nel 1904, dopo decenni di tentativi infruttuosi, l'Italia si dotò di una legge sui manicomi (n. 36 del 14 febbraio) che separava con chiarezza le competenze dei Comuni da quelle della Provincia: ai primi spettava l’assistenza dei poveri dementi mentre alla Provincia il ricovero dei pazzi pericolosi. La crescita della popolazione ricoverata fece ben presto saltare le strutture edilizie dell'ospedale di Racconigi: il corpo centrale dell'ex Collegio Militare, già integrato del 1897 con le due casermette Umberto e Govean, ribattezzate

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Tardieu e Connolly, non era in grado di accogliere decorosamente i 600 ospiti. Venne elaborato un nuovo progetto di ampliamento dall'ingegnere capo Fornaseri, in base al quale furono acquistate due case adiacenti all'Ospedale. Alla vigilia della Grande Guerra, la Provincia si ritrovò senza disponibilità finanziarie e i lavori del manicomio furono di conseguenza ridimensionati, limitandosi all'edificazione di uno solo degli otto padiglioni previsti. Si optò per alleggerire la popolazione ospedaliera ricorrendo alle convenzioni per soggiorni di dementi cronici stipulate fin dal 1911 con la Congregazione di Carità e con l'ospedale Cottolengo di Cuneo. Con la legge n. 36 del 14 febbraio 1904 varata dal governo Giolitti e il successivo regolamento del 1909 (Regio Decreto n. 615 del 16 agosto), iniziò il cammino che regolamentò l'istituzione dell'ospedale psichiatrico con le modalità di assistenza e cura per i soggetti affetti da disturbo psichico.


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Lo statuto del 1886 venne modificato lievemente dal Regolamento Speciale del Manicomio Provinciale di Racconigi approvato dalla Deputazione Provinciale il 13 luglio 1925, in base all'art. 4 della legge n. 36 del 1904. Tale regolamento constava di 130 articoli suddivisi nei capitoli relativi al Servizio sanitario, Servizio di assistenza immediata e Materiale scientifico, con una particolare attenzione alla pianta organica. Una decisa riorganizzazione dell'Ospedale Neuropsichiatrico di Racconigi fu attuata tra il 1945 e il 1949, quando furono anche rimodernati diversi impianti e corpi di fabbrica. Non vi furono grandi innovazioni amministrative e legislative fino al 1958, anno in cui gli ospedali psichiatrici, dalle competenze del Ministero dell'Interno, passarono al Ministero della Sanità.

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l’ergoterapia, un laboratorio di ricerche cliniche, uno di anatomia patologica, uno di radiologia, uno di elettroterapia e una sala operatoria per gli interventi al sistema nervoso) per un totale di cinque padiglioni e otto reparti, quattro maschili e quattro femminili. Inoltre c’erano: le cucine, la panetteria, la casa delle suore, la centrale di riscaldamento e vari altri edifici, disseminati in un ampio e ancora oggi bellissimo parco. Un totale di 162.890 metri quadrati, 33.387 dei quali coperti ed era totalmente autosufficiente. Fra medici, impiegati, infermieri, addetti alla manutenzione e ai vari servizi, vi lavoravano circa 500 persone. Il picco massimo di ricoveri si ebbe tra gli anni 60 e 70 ed arrivò a 1.500 internati. Il manicomio fu cinicamente soprannominato “la fabbrica delle idee”, termine ancora utilizzato, per rimarcare la differenza tra una fabbrica di beni materiali e un luogo unicamente produttivo di idee folli.

Nel fabbricato che ospitava l'ospedale psichiatrico esistevano due reparti "Chiarugi", uno per gli uomini e l'altro per le donne; a questi si aggiunsero i nuovi padiglioni "Marro" (uomini "tranquilli"), "Tamburini" (donne "tranquille"), "Morselli" (uomini e donne "acuti", con celle di contenzione, una colonia agricola da usare per

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La vera rivoluzione dell'assistenza psichiatrica avvenne nel 1978 con l'entrata in vigore della legge n. 180 del 13 maggio, conglobata poi, nel dicembre dello stesso anno, nella legge n. 833 di riorganizzazione del sistema sanitario nazionale. Questa legge, conosciuta anche come 'legge Basaglia' per il ruolo che egli ebbe nella denuncia del sistema manicomiale italiano, ha introdotto nel nostro sistema politico, culturale e scientifico, degli elementi profondamente innovativi: 1. Decreta il superamento degli ospedali psichiatrici; 2. Abroga la legge del 1904 e il regolamento del 1909; 3. Inserisce il malato di mente e l'operatore psichiatrico nel pieno contesto della medicina generale, in unità intra ed extra-ospedaliere; 4. Fissa nuove regole per il ricovero obbligatorio (che non ha più alcun riferimento alla pericolosità), con la possibilità che sia il paziente che i parenti possano chiedere la revoca del provvedimento; 5. Prevede l'istituzione dei servizi di Diagnosi e Cura negli ospedali generali con un numero di letti non superiore a 15; 6. Il territorio viene riconosciuto come sede dell'intervento terapeutico e riabilitativo del paziente;

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7. I servizi psichiatrici devono essere ristrutturati su base dipartimentale (Centri di Igiene Mentale; strutture residenziali; comunità protette; casefamiglia; case-alloggio; ecc.) La legge 180 fu nei primi anni poco e male applicata: le difficoltà erano effettivamente molte e contro di essa agivano forti interessi consolidati. Fu necessario attendere sedici anni affinché il Ministero della sanità emanasse nel 1994 il primo Progetto obiettivo 'Tutela della salute mentale 94-96' che prescriveva la chiusura degli ospedali psichiatrici entro la fine del 1996, suggellando così, almeno in linea di principio, la fine dell'istituzione manicomiale. La legge quadro n° 104 del 1992 prevedeva la costituzione delle comunità-alloggio, delle casefamiglia, ecc.. Infine, la legge n° 724 (allegato alla Legge finanziaria del 23 dicembre 1994) disponeva


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la chiusura definitiva del 'residuo' degli ospedali psichiatrici entro il dicembre del 1996, termine poi prorogato al 31 gennaio del '97 e, successivamente, al 31 dicembre del '98: essa comportò tra il 1981 e il 1991 la dimissione dall'ospedale psichiatrico di Racconigi di 300 persone. La Regione Piemonte con la legge n. 61 del 1989 stabilì quale doveva essere l'organizzazione territoriale dei servizi psichiatrici e con il D.G.R. 356-1370 del 28 gennaio 1997 indicò i parametri strutturali e di personale minimi per i servizi psichiatrici. La Legge Finanziaria del 1994 indicava il 31 dicembre 1996 come termine di chiusura degli ospedali psichiatrici, lasciando un biennio di transizione utile a completare il programma di superamento, per cui tutti i pazienti dovevano essere dimessi ed inseriti nelle strutture sanitarie territoriali, individuate dalle commissioni di valutazione che avevano operato nel corso del 1996. Il 9 febbraio 2004 l'ultima ex degente, dimessa nel 1997, insieme con altre utenti del Dipartimento di Salute Mentale trasferì la propria abitazione fuori dalla cinta dell'ex ospedale psichiatrico, per vivere in un appartamento in centro.

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parenti, l’ora del bagno, luci spente per la notte. Luci spente negli occhi degli internati, notte impenetrabile sul loro destino. IL CHIARUGI Entrare nel manicomio non è semplice. Essendo pericolante, è circondato da una rete di protezione che corre davanti all'edificio principale e funge da zona di sicurezza. Il complesso è vastissimo. Molti dei padiglioni minori che si susseguono hanno gli accessi murati e sono comunque quasi vuoti. Meglio concentrarsi sul Chiarugi (dal famoso psichiatra toscano Vincenzo Chiarugi). Passeggiando per i suoi corridoi, ormai da decenni deserti, in molte aree puntellati, non ci si può non sentire inquieti. I tanti ricordi di un passato nemmeno tanto lontano, riaffiorano ovunque in modo confuso: una prescrizione medica, una macchina da scrivere, un camice, una confezione di medicinali. Sono come fotografie, attimi congelati di un passato doloroso. La connessione con l’epoca dei “matti” è forte ed è favorita dalla notevole conservazione del luogo. Ogni dettaglio, ogni stanza racconta di una vita scandita da rituali sempre uguali, alienanti: l’ora del pasto, l’ora della terapia, l’ora delle visite dei

È il primo piano che riserva alcune belle sorprese: una sala chirurgica ancora intatta, una sala di amministrazione, un archivio purtroppo parzialmente carbonizzato, alcune camerate ormai vuote, una probabile mensa. Qui è possibile entrare in uno stanzone e ammirare da dentro lo squarcio nella facciata che dà sul parco. L'ultimo piano è piuttosto pericoloso ed è sconsigliabile andarci; del resto non c'è molto. Stare all’interno della struttura non è molto rassicurante, si ha l’impressione che ti possa crollare in testa da un momento all’altro: meglio non trattenersi a lungo. Uscendo le sensazioni sono miste. Il peso della storia del luogo si fa sentire e siamo pervasi da una certa tristezza immaginando la sofferenza delle persone che ci hanno vissuto. Abbiamo potuto visualizzare una parte di quotidianità che ci sembra lontanissima, quasi arcaica eppure, riflettendoci bene, non è poi trascorso così tanto tempo…è bene ricordare, è bene non cancellare le tracce del passato: fa parte di un capitolo importante della storia d’Italia.

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È LEGALE L’URBEX? CHIARIAMOLO IN 10 PUNTI

Tratto da www.ascosilasciti.com

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Lo Stato in cui si trova l’immobile. Inteso come la nazione in cui si trova. Ognuna con le sue lingue, le sue culture e soprattutto… le sue regole! Esiste un’enorme differenza di conseguenze legali se la stessa azione viene svolta in Lituania o in Italia. Aldilà delle leggi che possono tutelare e condannare, ricordiamo bene che in alcuni Stati, prima di uscire vincitori da una causa legale e le pubbliche scuse dell’accusa, si rischia di passare da un bel “servizio educativo” della polizia locale. Non sempre negli Stati più monarchici avrete la detenzione assicurata e in quelli più democratici, la certezza di farla franca. Non avendo tempo nè risorse sufficienti per affrontare la questione di ogni singola Nazione, ci concentreremo a sviscerare il, già complesso, codice del nostro Bel Paese.

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Accessi aperti. Mancanza di recinzione, porte spalancate o inesistenti, grosse aperture nei muri perimetrali, insomma tutti i varchi aperti sono “amici dell’urbex”. Tutto cambia se per accedere a un luogo abbandonato, proverete ad aprire porte chiuse o scavalcare muri (la questione cambierebbe anche per ogni metro di altezza dei perimetri…), il che costituisce violazione di domicilio privato. Crearsi entrate con forza o manomettendo recinzioni, è sufficiente invece perchè l’accusa diventi una frizzantissima “effrazione con scasso”. Giroinfoto Magazine nr. 52

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Lo stato in cui versa l’immobile, ma questa volta intesa come condizione. Finestre rotte, muri crepati, tetti squarciati, muffa e vegetazione incontrollata, porte spalancate, sono tutti segni di chiaro abbandono che potrebbero tutelare l’esploratore. L’attenuante di “immobile in chiaro stato di abbandono” non è da sottovalutare, per quanto non vi sia nulla di codificato. In un’alta percentuale dei casi può però assolvere l’esploratore da accuse di violazione di domicilio.

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Cartelli e avvertimenti. Controllare l’eventuale presenza di cartelli di monito non sarebbe troppo sbagliato (proprietà privata o divieto di accesso). La loro assenza o illeggibilità (magari pioggia e vento hanno fatto arrugginire il ferro dell’affisso o marcire il legno del manifesto) potrebbero comportare buoni sgravi di responsabilità. Insomma, un’ulteriore attenuante, che male non fa’…


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Non toccare nulla. Per chi non lo conoscesse, il comandamento dell’Urbex “prendi solo foto, lascia solo impronte” è un promemoria anche di tutela legale. I souvenir, fosse anche un sasso del muro di un manicomio abbandonato, non sono contemplati come legali.

Strumenti che portate con voi. Conosciamo tutti, o almeno immaginiamo, il rischio di entrare in un edificio abbandonato, potenzialmente abitato da malviventi. Purtroppo no…non basta questo pretesto per portarsi un machete, nemmeno con l’altruistico fine di accettare l’incolto prato della magione. Ma attenzione, anche con un bastone da trekking, o altri strumenti apparentemente innocui, potrebbero scattare l’aggravante di “arma bianca”. Nessuna arma da difesa, all’infuori del cavalletto o di un ramo trovato sul posto, si può….accettare!

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Avvisi e permessi. Torniamo al tema clou. Anche a costo di passare come noiosi genitori apprensivi, sconsigliamo sempre di esplorare questi posti. Se proprio doveste sentirne l’irrefrenabile impulso, avvisate le autorità competenti, nel caso di edifici comunali/statali, o i proprietari/ guardiani per ottenere il permesso ad entrare. Anche a costo di creare allarmismi. Oppure rivolgetevi ad alcune associazioni che operano tramite quest’ultimi. Diffidate dalle organizzazioni che si disinteressano della questione legale e vi fanno clandestinamente introdurre in pericolosi edifici abbandonati.

Anzi, sarebbe meglio prendere solo foto (nel senso di scattarle, ovviamente, non di rubare gli album di famiglia sul comò impolverato) e non lasciare alcuna impronta. Come mai? Udite-udite, per creare il giusto setting alle proprie foto, basta solo spostare gli oggetti e gli arredi, ed essere colti sul fatto, per una bella “accusa di tentato furto”.

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Non scappare e collaborare sempre con le autorità. Se avete seguito i consigli sopra citati, potete sentirvi tranquilli. Motivo per cui, mostratevi per quello che siete e avete fatto. E’ sempre buona norma collaborare enunciando le proprie intenzioni. Così facendo sarete fuori dai guai nel 90% dei casi.

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Rispettare tutti gli 8 punti. La somma delle probabilità di non passare guai seri, che viene fuori rispettando gli 8 punti, vi assolve al 99,9%, parlando dal punto di vista penale. Più complessa diviene la questione civile, che dipende maggiormente dalla volontà del proprietario di volervi eventualmente punire, denunciandovi.

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Incertezza. L’incertezza, purtroppo, rimane l’unica certezza. Tranquilli al 100% non lo sarete mai. Unico modo per sentirvi realmente tutelati è di ascoltare il consiglio enunciato al punto 7. Odiate da molti, poiché danno in pasto alcuni luoghi abbandonati al grande pubblico, queste Associazioni (solo quelle che operano tramite mezzi legali) sono in realtà le uniche a tutelare i luoghi abbandonati in tre modi: si rivolgono ai proprietari ottenendo i permessi di visita; danno visibilità ad alcuni posti altrimenti destinati a marcire nell’indifferenza; scelgono come meta per i loro viaggi solitamente luoghi già devastati dal tempo e dai vandali, per non esporre al turismo di massa gli edifici ancora intatti, accelerandone il declino. Intanto, l’unica certezza è che, come scriveva il romantico François-René de Chateaubriand, tutti gli uomini hanno una segreta attrazione per le rovine. Giroinfoto Magazine nr. 52


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EROI DIETRO LE QUINTE A CURA DI GIACOMO BERTINI

IL VETERINARIO

Nel corso degli ultimi decenni la promozione dei territori, che non godono dello sviluppo tecnologico, avviene anche grazie allo svolgimento delle manifestazioni popolari tramite le quali si mantengono vecchie tradizioni e sono il motore dell’economia locale. Una delle manifestazioni diffusa sul territorio nazionale e principalmente nella regione Toscana, alla quale ne aderiscono 22 tra città e paesi, è il Palio, una gara tra rioni disputata con cavalli o altri animali. Affinché ciò si mantenga nel tempo, il buon esito dell'evento è fondamentale, quindi è necessario ridurre al minimo gli incidenti garantendo la sicurezza per il pubblico, i fantini e i cavalli. Ed è qui che entrano in gioco le figure professionali che operano durante la manifestazione.

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Dove i cavalli recitano la parte principale, quella del veterinario è una figura professionale necessaria e fondamentale, perché ha la completa responsabilità della salute dell'equipe e come vedremo sarà ben lontana dall'idea di una persona in camice bianco accompagnata da vari comfort. Lo scorso 19 gennaio in provincia di Pisa si è disputato il Palio di Buti, durante il quale è stata assegnata la vittoria alla contrada dell’Ascensione con Umatilla, una cavalla mezzosangue montata dal fantino Simone Fenu.

Giacomo Bertini Photography

Decidiamo di seguire Chiara, un veterinario del senese di provata esperienza ormai conosciuta nell'ambito equestre anche grazie ai molti articoli che la cronaca locale le ha riservato. I compiti che deve svolgere sono molti e applicati spesso nelle condizioni più difficili, accumulando la tensione sprigionata dai contradaioli, ignari di quanto accade dietro le quinte, degli organizzatori e responsabili per la sicurezza, senza dimenticare quella dei fantini. Giroinfoto Magazine nr. 52

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Giacomo Bertini Photography

EROI DIETRO LE QUINTE PALIO DI BUTI

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IL VETERINARIO


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I cavalli corrono su un percorso in salita di circa 700 metri ricoperto per l'occasione da quasi 40 cm di terra battuta composta da una miscela di tufo e sabbia, che viene accuratamente ispezionata dal veterinario per la ricerca di pietre e oggetti dannosi per l’animale o il pubblico circostante. Bisogna tenere conto che il passaggio in corsa avviene a oltre 50 km/h e che lo zoccolo può sollevare una pietra dal terreno mettendo in pericolo il cavallo o il fantino che lo precede. Per agire il veterinario deve mantenersi aggiornato sulle disposizioni citate nell’ordinanza emessa dal Ministero della Salute per il Cavallo, sui vari singoli regolamenti, contrastare l’azione irregolare del doping e in primis sviluppare un intuito utile ad anticipare un evento che potrebbe rendere nulla una batteria o qualsiasi altra azione che pregiudicherebbe la salute del cavallo o nella peggiore delle ipotesi cagionare la morte, come successo per ultimo durante il Palio del 2016.

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L’ora è giunta, l’ispezione preventiva è stata effettuata con il riconoscimento dei cavalli mediante un lettore di chip e il Palio ha inizio: la tensione va alle stelle e le preoccupazioni crescono attimo dopo attimo, facendo spazio al famoso peso sullo stomaco che lo accompagnerà fino alla fine, dettato dal timore che sia sfuggito qualcosa durante il controllo della pista, che il cavallo dietro al canape non abbia sintomi di emorragia visibili dalla bocca e dal naso o che le strutture rispettino le norme di legge oltre che non siano pericolose. Un altro motivo per cui la tensione seguirà il medico fino alla fine sono le grida delle migliaia di persone sopraffatte dallo spirito competitivo e desiderio di vittoria, che lo porta a caricarsi della consapevolezza di avere una folla contro nel caso debba prendere una decisione che metta il cavallo fuori dai giochi. L’attenzione e la capacità d’osservazione si percepisce quando il mossiere invita i fantini dal tondino alla mossa, dov'è necessario che mantengano l’ordine d’ingresso e il cavallo dritto. Spesso in quell'area i fantini decidono le sorti della corsa, proprio per quello è necessaria la massima attenzione, i cavalli sono vicini tra loro e carichi come molle pronte a liberare l’energia che le porta all'arrivo.

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Non mancano mai i problemi e le controversie tra contrade o capi contrada e il veterinario viene visto come figura di mediazione per ottenere quell'idea di ragione che ormai è andata perduta dalla sconfitta che si è portata via sogni e speranze di un anno. I controlli antidoping al termine di ogni batteria garantiscono che l’animo sportivo della competizione venga rispettato e per la tutela di ogni contrada è necessario che il veterinario rispetti un protocollo ferreo sulla campionatura delle prove che poi saranno consegnate ad appositi laboratori di analisi. La difficoltà di svolgere questi controlli spesso è legata alle strutture improvvisate per accogliere il personale medico. In questo caso è stata ricavata assemblando tubi innocenti e pannelli in legno fascettati a transenne in metallo, esponendo gli operatori al freddo di gennaio e quindi costretti ad operare con mano fredda e cappucci ingombranti. Anche i prelievi ematici, a causa della scarsità di luce, vengono effettuati in ambienti ostili con l’ausilio di torce a led dei cellulari su cavalli che hanno appena completato una corsa. Il Palio è terminato con un vincitore, ma soprattutto senza incidenti, così la tensione di Chiara è svanita e può concludere la giornata con un momento di ristoro e relax…fino alla prossima occasione.

Giacomo Bertini

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EROI DIETRO LE QUINTE PALIO DI BUTI

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GLI ANTICHI “GIAZER” DEL LAGO DI VARESE

GLI ANTICHI GIAZER DEL LAGO

A CURA DI BARBARA TONIN

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Si dice che nella botte piccola ci sia il vino buono. Difatti, il Lago di Varese poco ha da invidiare al vicino Lago Maggiore. Creatosi circa 15.000 anni fa dal ritiro del ghiacciaio del Verbano, il Lagh de Vares è uno tra i laghi italiani che meglio ha conservato nel tempo la ricca vegetazione e l’ampia varietà faunistica, tanto da essere nominato “Sito di Importanza Comunitaria” e “Zona di Protezione Speciale” (Progetto della Comunità Europea “Natura 2000, Direttiva Habitat").

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GLI ANTICHI “GIAZER” DEL LAGO DI VARESE

Contornato a nord dal massiccio del Campo dei Fiori, che digrada dolcemente nelle acque lacustri, e da numerose ville e graziose abitazioni che ben si armonizzano con il paesaggio, il Lago di Varese ospita aironi cenerini, nibbi bruni, folaghe e svassi, ma anche specie rare o minacciate quali il tarabusino, il falco di palude, la moretta tabaccata e l'airone rosso, che dalle paludi africane giunge ogni anno in primavera tra i canneti. Boschi umidi di ontani e salici e vasti canneti verdeggiano tra le sue rive, lasciando poi il posto a tappeti di ninfee e castagne d'acqua, tra i quali gli amanti del birdwatching possono addentrarsi a bordo della "Stramba" (nome dialettale dello Svasso maggiore), accompagnati da una guida naturalistica LIPU. Vicino alla riva occidentale del lago, separato da Biandronno da uno stretto canale chiamato Ticinello, una piccola isola di circa 17.000 mq si staglia sullo specchio lacustre. È l'Isolino Virginia, un tempo conosciuto come Isola Camilla e prima ancora come Isola di San Biagio. Minuscolo ma di grande importanza storica, l’isolino è sede di numerosi ritrovamenti archeologici risalenti al periodo preistorico. Nel corso del XIX° secolo, grazie alle ricerche dell’abate Stoppani, venne alla luce uno tra i più importanti insediamenti palafitticoli d'Europa. Rovine medievali furono scoperte anche a Castelseprio e Torba, che assieme all’Isolino Virginia nel 2011 divengono Patrimonio mondiale UNESCO. Barbara Tonin Photography Giroinfoto Magazine nr. 52

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GLI ANTICHI “GIAZER” DEL LAGO DI VARESE

Il Lago di Varese in passato era conosciuto in Europa anche per essere uno dei laghi più pescosi. Popolato da numerose specie quali il persico reale, il black bass, il luccio, l’anguilla, il cavedano, la carpa, la tinca, il siluro, il pesce gatto, l’alborella, la scardola, il triotto, il persico sole carassio e il gambero rosso della Louisiana, la ricchezza ittica permise alla gente del luogo di ampliare il commercio oltre i confini locali, fino a Milano e Torino e addirittura in Francia. Documenti storici rivelano che venivano venduti quintali di pesce ogni settimana e l’attività della pesca era addirittura affittata. Si manifestò a breve la necessità di dover conservare l’ingente quantità di pescato. Nel periodo invernale, quasi tutti gli anni, il lago gelava formando uno spesso strato di ghiaccio. I pescatori del luogo pertanto pensarono di costruire delle ghiacciaie per la conservazione del pesce, anche nella stagione estiva. Dalla documentazione rinvenuta, le ghiacciaie furono di proprietà della famiglia Quaglia di Cazzago Brabbia dal 1839, ma si pensa che siano state costruite nel 1700. Detentori esclusivi sul Lago di Varese del diritto di pesca e di commercio, i Quaglia cedono la proprietà delle ghiacciaie al Duca Litta nel 1849 e i loro diritti sull’attività alla famiglia Giorgetti nel 1855. Così scrive l’ing. Giuseppe Quaglia nel suo libro Laghi e Torbiere del Circondario di Varese:

località di buon esito dei pesci dei nostri laghi, che si vendono a diversi prezzi a norma della qualità, a seconda delle stagioni e della ricerca più o meno grande”. " ...allorché le acque gelano pei rigori del freddo, e cioè quasi ogni anno ad eccezione di invernate miti, che in allora la superficie d'acqua più elevata davanti a Biandronno rimane scoperta. Il ghiaccio dopo alcuni giorni si eleva a considerevole spessore e rimarchevoli furono quelli degli inverni 1829-30, da me misurato alla riva di Cazzago a quasi un metro, e 1879-80 riscontrato m. 0,63 di altezza: arrivato a pochi millimetri porta un uomo, quando raggiunge i dieci centimetri diviene capace di sostenere i leggeri carichi, comecché appoggiato alla sottostante massa acquea: in alcune invernate vidi servirsi del piano lacuale, non con barche, ma con carretti tirati da bestie al trasporto delle farine dai molini d'Oltrona ai Comuni di Bodio o di Cazzago, tanta era la solidità del ghiaccio...

"Fanno corona all'esteso bacino lacuale, coi loro territori i seguenti Comuni...CazzagoBrabbia in posizione elevata, antica sede dei fittabili alla pesca, e quindi con 4 ghiacciaie e vivaio pei pesci - Bodio a maggior distanza, con ghiacciaia e darsena per le barche di casa Bossi... Il prodotto della pesca nel lago di Varese... viene da tempo immemorabile dato in affitto ad imprenditori per un corrispettivo, che crebbe di volta in volta collo svilupparsi del commercio dei pesci... Ora (1884) il solo Varese paga d'affitto it. L. 10,000 colle ghiacciaie e vivaio pei pesci... Il pesce dei quattro laghi già Litta si esita sulle piazze di Arona al martedì, ceduto all'ingrosso ai mercanti una volta, di Novara, di Vercelli e di Torino, ora anche spedito in Francia: al venerdì sulla piazza Verzaro di Milano all'ingrosso ai subvenditori e parte al dettaglio; Saronno, Busto Arsizio, Gallarate, Varese, Gavirate ed altri vicini paesi, sono pure nel venerdì d'ogni settimana Giroinfoto Magazine nr. 52

Barbara Tonin Photography


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GLI ANTICHI “GIAZER” DEL LAGO DI VARESE

Allorché il bacino si è reso solido alla superficie, viene anche percorso da viandanti che si portano direttamente da un punto all'altro, massimo quando il ghiaccio da lucido e sdrucciolevole alla sua formazione è stato reso scabro da poca neve o dalle notturne brine. L'acqua nel solidificarsi in ghiaccio assumendo un maggior volume, fa sì, che l'immenso coperchio col crescere in spessore, sforzi contro sé stesso e sia spinto a sollevarsi dall'appoggio acqueo lasciando un vuoto: impotente a sostenersi, pel proprio peso vi ricade, gradatamente schiantandosi in fessure, da una riva all'altra, producendo continui e spaventevoli boati, tanto rumorosi da essere sentiti di notte ad alcuni chilometri di distanza. A tempo opportuno il ghiaccio viene raccolto e messo nelle ghiacciaie, tanto per la conservazione dei pesci e delle carni, quanto per altri usi, viene trasportato anche in Varese, quando in località vicine vi scarseggia."

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Fabrizio Rossi Photography

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Quando il ghiaccio raggiungeva uno spessore di 10 cm, veniva tagliato in lastre con pesanti scuri, posizionato su carri trainati da buoi per mezzo di grossi uncini e trasportato fino alle ghiacciaie. Le lastre, successivamente, venivano frantumate e gettate all’interno della struttura. Per compattarlo, il ghiaccio poi veniva ricoperto con cascame di trebbiatura dei cereali (la büla) e alti giunchi lacustri, per migliorare ulteriormente l’isolamento dell’ambiente interno da quello esterno. Tra le ghiacciaie c’era anche un lavatoio per mondare il pescato. Una volta lavato, il pesce veniva pesato e collocato in ceste ricoperte da felci, pronto per essere conservato e commercializzato.

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Percorrendo il sinuoso vialetto in salita, che conduce verso la Chiesa, possiamo ammirare la vasca in pietra del lavatoio che attualmente è stata posizionata nell’adiacente piazza. Altri manufatti recentemente recuperati e restaurati e di importanza storica per il luogo sono l’ultima barca “sopravvissuta” per la pesca collettiva, il Rierùn, e l’omonima rete a sacco (Realone) per la pesca della tinca, da cui l’imbarcazione prende il nome. Il Rierùn è una delle due barche (San Pietro e San Paolo) appositamente costruite con dimensioni molto più grandi rispetto agli altri barchetti. Si utilizzavano in coppia e, ai capi della rete, tendevano il Realone. Questo tipo di pesca richiedeva molti uomini, per l’ingente quantità di pesce che veniva pescato. È possibile vedere il Rierùn e il Realone presso la “Casa del pescatore” sul lungolago di Cazzago Brabbia, detto lago di piazza, poco distante dalle ghiacciaie.


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Barbara Tonin Photography Giroinfoto Magazine nr. 52

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Fabrizio Rossi Photography Il Lago di Varese, al quale fa da sfondo la catena delle Alpi con il Monte Rosa, è un piccolo gioiello la cui bellezza si può apprezzare percorrendo i quasi 30 km della pista ciclo-pedonale, che ne segue il periplo. Oppure remando sulle sue tranquille acque tra i canneti, le ninfee e gli aironi. O, ancora, dalle incantevoli terrazze del parco Morselli di Gavirate, dove lo sguardo può abbracciarlo in tutta la sua interezza, per poi perdersi verso i vicini laghetti e la rigogliosa campagna, paesaggio tanto amato da Stendhal: “… Le montagne grandiose. Insieme magnifico: al calar del sole, noi vedemmo sette laghi. Credetemi, cari amici, ho potuto girare in lungo e in largo Francia e Germania senza ricavare simili sensazioni”. Barbara Tonin

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Barbara Tonin Photography Giroinfoto Magazine nr. 52

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WORKING GROUP 2019

BAND OF GIROINFOTO La community dei fotonauti Giroinfoto.com project

PIEMONT

ITALIA

E

L OMBARDI

A

LAZIO

ORINO ALL AMERICAN

REPORT

Progetto editoriale indipendente che si fonda sul concetto di aggregazione e di sviluppo dell’attività foto-giornalistica. Giroinfoto Magazine nr. 52

LIGURIA

STORIES

GIROINFOTO MAGAZINE


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COME FUNZIONA Il magazine promuove l’identità territoriale delle locations trattate, attraverso un progetto finalizzato a coinvolgere chi è appassionato di fotografia con particolare attenzione all’aspetto caratteristico-territoriale, alla storia e al messaggio sociale. Da un’analisi delle aree geografiche, si individueranno i punti di forza e di unicità del patrimonio territoriale su cui si andranno a concentrare le numerose attività di location scouting, con riprese fotografiche in ogni stile e l’acquisizione delle informazioni necessarie per descrivere i luoghi. Ogni attività avrà infine uno sviluppo editoriale, con la raccolta del materiale acquisito editandolo in articoli per la successiva pubblicazione sulla rivista. Oltre alla valorizzazione del territorio e la conseguente promozione editoriale, il progetto “Band of giroinfoto” offre una funzione importantissima, cioè quella aggregante, costituendo gruppi uniti dalla passione fotografica e creando nuove conoscenze con le quali si potranno condividere esperienze professionali e sociali. Il progetto, inoltre, verrà gestito con un’ottica orientata al concetto di fotografia professionale come strumento utile a chi desidera imparare od evolversi nelle tecniche fotografiche, prevedendo la presenza di fotografi professionisti nel settore della scout location.

Impara Condividi Divertiti Pubblica

CHI PUÒ PARTECIPARE

Davvero Tutti. Chiunque abbia la voglia di mettersi in gioco in un progetto di interesse culturale e condividere esperienze. I partecipanti non hanno età, può aderire anche chi non possiede attrezzatura professionale o semi-professionale. Partecipare è semplice: Invia a events@giroinfoto.com una mail con una fototessera, i dati anagrafici, il numero di telefono mobile e il grado di preparazione in fotografia. L’organizzazione sarà felice di accoglierti.

PIANIFICAZIONE DEGLI INCONTRI PUBBLICAZIONE ARTICOLI Con il tuo numero di telefono parteciperai ad uno dei gruppi Watsapp, Ad ogni incontro si affronterà una tematica diversa utilizzando diverse dove gli incontri verranno comunicati con minimo dieci giorni di anticipo, tecniche di ripresa. tranne ovviamente le spedizioni complesse in Italia e all’estero. Tutto il materiale acquisito dai partecipanti, comprese le informazioni sui Gli incontri ufficiali avranno cadenza di circa uno al mese. luoghi e i testi redatti, comporranno uno o più articoli che verranno pubbliGli appuntamenti potranno variare di tematica secondo le esigenze cati sulla rivista menzionando gli autori nel rispetto del copyright. editoriali aderendo alle linee guida dei diversi progetti in corso come per esempio Street and Food, dove si andranno ad affrontare le tradizioni La pubblicazione avverrà anche mediante i canali web e socialnetwork gastronomiche nei contesti territoriali o Torino Stories, dove racconteremolegati al brand Giroinfoto magazine. le location di torino e provincia sotto un’ottica fotografia e culturale.

SEDE OPERATIVA La sede delle attività dei working group di Band of Giroinfoto si trova a Torino con sezioni a Genova, Milano e Roma. Per questo motivo la stragrande maggioranza degli incontri avranno origine nella città e nel circondario. Fatta eccezione delle spedizioni all’estero e altre attività su tutto il territorio italiano, ove sarà possibile organizzare e coordinare le partecipazioni da ogni posizione geografica, sarà preferibile accettare nei gruppi, persone che risiedono in provincia di Torino. Nel gruppo sono già presenti membri che appartengono ad altre regioni e che partecipano regolarmente alle attività di gruppo, per questo non negheremo la possibilità a coloro che sono fermamente interessati al progetto di partecipare, alla condizione di avere almeno una presenza ogni 6 mesi.

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SKIRA - REQUIEM - KENRO IZU

Le suggestive immagini del fotografo giapponese, tra spiritualitĂ e reperti archeologici Giroinfoto Magazine nr. 52


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SKIRA - REQUIEM - KENRO IZU

Requiem si distingue da altri lavori realizzati in siti archeologici, anche

dallo stesso Izu, specialmente per due ragioni: narra una storia e restituisce vita e dignità a quanti morirono per l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., incapaci di reagire di fronte a tanta improvvisa violenza. La caparbietà ostinata di Izu nell’allestire i corpi dei fuggitivi trasformati dalla lava incandescente in statue eterne, nelle varie case come negli esterni di Pompei ed Ercolano, sembra davvero restituire la vita a quei momenti. I corpi rattrappiti che scopriamo nelle stanze o lungo i corridoi lastricati ci colgono impreparati perché li vediamo dove, forse, l’eruzione li sorprese, inermi e abbandonati dopo aver cercato invano un rifugio. Quella di Izu non è una rilettura storica per immagini in chiave fiction né staged photography, piuttosto un omaggio alla gente di Pompei ed Ercolano. C’è, in questo approccio così trasparente e lucido, la medesima partecipazione che Izu da decenni riserva a tutti quei luoghi del mondo ancora puri e sacri; c’è, verso quegli umani e animali di pietra, un profondo rispetto e una grande discrezione.

Kenro Izu, Tempio di Apollo, Pompei, 2016 Stampa al platino 42,5x55 cm © Kenro Izu Courtesy Fondazione Cassa di Risparmio di Modena - Fondazione Modena Arti Visive.

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SKIRA - REQUIEM - KENRO IZU

Pubblicato contemporaneamente alla mostra realizzata a Modena da Fondazione Modena Arti Visive, il volume presenta i contributi di Malcolm Daniel (Una città fantasma, bella e malinconica), Massimo Osanna (Le “impronte” della morte. L’invenzione dei calchi dei pompeiani), Filippo Maggia (Ad perpetuam rei memoriam). Nato a Osaka nel 1949 e cresciuto ad Hiroshima, Kenro Izu inizia a fotografare negli anni settanta, completando la sua formazione presso la Nihon University di Tokyo. Nel 1970 si trasferisce a New York, dove tuttora vive e lavora. Ispirato dalle immagini del vittoriano Francis Frith e dalle antiche spedizioni fotografiche in Egitto, nel 1979 intraprende il suo primo viaggio nella terra delle Piramidi, dove resta fortemente impressionato dalla spiritualità del luogo e dal profondo senso di caducità ispirato dalla vista delle rovine.

Kenro Izu, Casa di Apollo, Pompei, 2016 Stampa ai pigmenti 61x76 cm © Kenro Izu Courtesy Fondazione Cassa di Risparmio di Modena - Fondazione Modena Arti Visive

Kenro Izu, Terme Stabiane, Pompei, 2016 Stampa al platino 42,5x55 cm © Kenro Izu Courtesy Fondazione Cassa di Risparmio di Modena - Fondazione Modena Arti Visive

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SKIRA - REQUIEM - KENRO IZU

Kenro Izu, Foro, Pompei, 2016 Stampa al platino 55x42,5 cm © Kenro Izu Courtesy Fondazione Cassa di Risparmio di Modena - Fondazione Modena Arti Visive Giroinfoto Magazine nr. 52

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Kenro Izu, Terme del Foro, Pompei, 2016 Stampa al platino 55x42,5 cm Š Kenro Izu Courtesy Fondazione Cassa di Risparmio di Modena - Fondazione Modena Arti Visive Giroinfoto Magazine nr. 52


Da questa esperienza e dalle fotografie realizzate in questo viaggio prende avvio Sacred Places, il lavoro che diventerà nel tempo uno dei cardini stessi della ricerca dell’autore: per oltre trent’anni, Izu si è spinto verso mete sempre più lontane fotografando i più suggestivi “luoghi sacri” del mondo, dalla Scozia al Messico, dalla Cambogia all’India e all’Indonesia, dalla Siria al Tibet.

KENRO

IZU

2019, edizione bilingue (italiano-inglese) 24 x 28 cm, 120 pagine, 72 bicromie cartonato ISBN 978-88-572-4316-0 € 35,00 Modena, Fondazione Modena Arti Visive 6 dicembre 2019 13 aprile 2020


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GIARDINO DEI TAROCCHI

A cura di Maddalena Bitelli Giroinfoto Magazine nr. 52

CAPALBIO


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GIARDINO DEI TAROCCHI

Il Giardino dei Tarocchi si trova a Capalbio, nella Maremma Toscana. È stato progettato e creato dall’artista francese Niki de Saint Phalle a partire dagli anni Settanta, e prende ispirazione dal Parc Güell a Barcellona e dalle opere di Antoni Gaudí. Al suo interno, infatti, si trovano enormi sculture in cemento armato, interamente ricoperte di frammenti colorati di vetro e ceramica che rappresentano i simboli delle carte dei tarocchi, da cui prende il nome il giardino. I Tarocchi sono un mazzo di carte da gioco, originarie dell’Italia settentrionale a partire dalla metà del XV secolo. Si suddividono in Arcani maggiori e minori. Gli Arcani Maggiori, detti anche Trionfi, sono numerati con i numeri da 1 e 21 e, secondo la tradizione, sono le carte più dense di significato esoterico. Le sculture del Giardino dei Tarocchi prendono spunto dalla simbologia degli Arcani Maggiori.

Maddalena Bitelli Photography Giroinfoto Magazine nr. 52

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GIARDINO DEI TAROCCHI

Il biglietto di ingresso costa 12€, ma ne vale assolutamente la pena. Per visitarlo consiglio di seguire la mappa interattiva sul sito ufficiale del parco (www.ilgiardinodeitarocchi. it), dove vengono spiegati la simbologia e il significato di ogni opera. Superati l’ingresso e la biglietteria, ci si immerge nella pace e nel silenzio del giardino e si arriva alla piazza centrale. Al centro si trova un’enorme fontana, costituita da tre simboli dei tarocchi: la Ruota della fortuna simbolo della vita, la Papessa e il Mago. La Papessa rappresenta l’irrazionalità, l’intuizione femminile, una delle chiavi della saggezza; si dice,

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infatti, che la logica e la razionalità permettono di guardare la realtà solamente in superficie, senza andare in profondità. Il Mago, invece, secondo Niki de Saint Phalle rappresenta Dio, che ha creato il mondo in cui viviamo. Sempre nella piazza c’è la rappresentazione della carta della Forza, in cui una fanciulla cerca di dominare un drago, che simboleggia i suoi demoni interiori: solo scoprendoli e conquistandoli, infatti, riusciamo a trovare la nostra forza. Infine, sulla destra si trova il Sole, simbolo dell’energia vitale.


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Procedendo nella visita, superando la scultura del Sole, si trova la carta della Morte, simbolo del grande mistero della vita e di rinnovamento e rappresentata da una falciatrice a cavallo: secondo l’artista, solo diventando consapevoli della morte, riusciamo a goderci la vita senza essere intrappolati nelle cose vane. Si arriva quindi alla scultura del Diavolo, simbolo delle dipendenze da sostanze e affettive e, di conseguenza, della perdita della libertà personale, per poi imbattersi nella rappresentazione del Mondo interiore. Intorno alla piazza principale si trovano altre sculture: il Papa, l’Impiccato e l’Imperatrice. Il primo può simboleggiare un maestro, un profeta e quindi la saggezza spirituale. L’Impiccato è rappresentato appeso per un piede, a testa in giù: l’intento di Niki de Saint Phalle era quello di simboleggiare un modo nuovo di guardare la realtà. L’Imperatrice, invece, è rappresentata come una sfinge, simbolo della madre, delle emozioni, della magia sacra e della civiltà; al suo interno l’artista ha creato una vera e propria casa, con sala da pranzo, camera da letto e bagno, nella quale durante la costruzione del parco si incontravano per bere un caffè in compagnia. All’interno della sfinge ci sono le sculture del Trionfo, simbolo della vittoria ma anche della vulnerabilità, e del Giudizio.

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In una sorta di cortile con una fontana al centro, troverete altri due tarocchi: l’Imperatore e la Torre di Babele. Il primo rappresenta il potere maschile in senso positivo e negativo, l’organizzazione e l’aggressività, la scienza e la guerra. La Torre di Babele, invece, simboleggia le costruzioni non fondate su basi solide, rappresenta le mura che costruiamo nella nostra mente, che non ci permettono di guardare oltre e che dobbiamo cercare di far crollare: per questo motivo è stata creata una torre, spaccata da un fulmine.

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Il giro del parco si conclude con le ultime cinque sculture, che rappresentano la Temperanza, la Giustizia, l’Eremita, la Stella e gli Innamorati. La Giustizia è rappresentata da una donna elegantemente vestita in bianco e nero, simbolo della conoscenza di sé stessi, che implica la capacità di autogiudicarsi e che permette di giudicare gli altri e le situazioni in modo obiettivo e compassionevole. L’Eremita ci insegna che le lezioni più importanti della vita si imparano solamente con il cuore, mentre la carta degli Innamorati, rappresentata da Adamo ed Eva, simboleggia le scelte che possono essere giuste o sbagliate, ma aiutano a crescere. Infine, la Stella rappresenta la natura e la sua abbondanza. Se l’intento dell’artista era quello di creare un luogo in cui i visitatori potessero fare una “pausa magica” dalla vita di tutti i giorni, l’obiettivo è stato raggiunto pienamente. Ciò che colpisce del giardino, oltre alla bellezza delle sue statue, è la sensazione di pace e serenità che si prova una volta varcata la soglia. E ciò avviene anche in pieno agosto, nonostante la miriade di turisti.

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A cura di Claudia Lo Simolo Hanno partecipato la 3AM e 3AD dell’Indirizzo Multimediale e di Design dell’Istituto Des Ambrois di Oulx. I docenti che hanno seguito e organizzato il progetto sono Claudia Lo Stimolo e Stefano Zicari.

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TORINO FILM FESTIVAL

I numeri della 37ma edizione del Torino Film Festival, che si è tenuta nel capoluogo piemontese dal 22 al 30 novembre 2019, parlano chiaro e delineano un successo per la celebre manifestazione cinematografica: 61.000 presenze, 2.090 accreditati (stampa e professionali/ industry), 26.165 biglietti singoli, 674 gli abbonamenti venduti e 234.000 euro di incasso.

Un bilancio positivo che evidenzia l’importanza di investire nell’ambito culturale, il Torino Film Festival resta un appuntamento che desta notevole interesse nel pubblico, e lo rende un evento di risonanza e rilevanza nel panorama nazionale ed internazionale posizionandosi ad un alto indice di gradimento rispetto a kermesse di analogo respiro. L’offerta svela, come ogni anno, un’ampia panoramica sul cinema d’autore e sulle cinematografie straniere, ed è un invito a tutti gli amanti della cinematografia e a quanti vogliano affacciarsi su questo interessante mondo visivo, che è una vera e propria porta che si spalanca sull’arte anche grazie Piazza TFF che, come la descrive il coordinatore Piero Valletto “è la lounge del Torino Film Festival, ovvero un posto dove gli autori, gli ospiti, gli accreditati, ma anche chiunque può passare per trascorrere un po' di tempo qui con noi.

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È soprattutto un luogo che abbiamo pensato come aggregatore di eventi collaterali. Fino all'anno scorso tutti gli eventi collaterali alle proiezioni si svolgevano sparsi nella città, quest'anno le abbiamo concentrate tutte alla Mole Antonelliana”. Il Torino Film Festival è stato considerato uno dei principali festival cinematografici italiani sin dagli esordi quando, nel lontano 1982, nasce come Festival internazionale Cinema giovani, dedicando la propria attenzione soprattutto al cinema indipendente. “Debutta domani il festival dei giovani”, recitava a caratteri cubitali il titolo pubblicato su “La Stampa” il 24 settembre di quell’anno.

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L'idea vincente infatti era stata di fondare un progetto, da tenersi annualmente in città, dedicato al cinema dei più giovani. Per assolvere a tale proposito, sin dalla sua prima edizione, è stato dato spazio alle innovative modalità espressive e all'immagine elettronica. Il progetto era teso a creare una rassegna capace di ricercare nuove forme di comunicazione e modalità avanguardistiche e sperimentali del cinema, per conquistare un pubblico giovane ed investire sul rinnovamento linguistico contrapposto alle forme consolidate di cinematografia.


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La sua natura fa sì che lo si potrebbe battezzare come un “festival metropolitano”, ma questa è stata la novità principale, la primigenia propulsione che ha permesso però alla manifestazione di volare in alto ricevendo consensi in ambito internazionale e spingendo la sua voce oltre Oceano. Nata con lo scopo di rispondere ad una domanda culturale, sempre più esigente, di una grande città è riuscita a convincere un sempre maggior numero di pubblico crescendo anno dopo anno facendo convivere una proposta culturale di qualità con l'esperienza che da realtà urbana si è estesa a livello globale. Il 1982 ha avuto come protagonista un periodo di intensa evoluzione tecnologica per quanto riguarda la realizzazione dei prodotti cinematografici. L’ondata di videomaker che si affacciava aveva richiamato non solo un riconoscimento da parte della critica e delle strutture produttive, ma maggiori occasioni di visibilità e discussione con il pubblico che il Festival Cinema Giovani ha saputo accogliere, decidendo di dedicare ampio spazio della propria programmazione a quella generazione di creativi e a quella di oggi. Caratteristica che si mantiene, plasmandosi sulle richieste del tempo, è il programma, che sin dagli esordi coniuga il cinema d'autore, quello di genere, le panoramiche sulle cinematografie straniere e le produzioni video. La proposta di un festival cinematografico sempre più ricco, che ha lo scopo di portare lo spettatore a sviluppare una sensibilità ed una coscienza sempre più critica sul cinema, grazie al quale viene percepito oltre che per una “lettura dell’immagine” anche come fenomeno culturale, espressione artistica, mezzo di comunicazione di massa. Nel corso degli anni Ottanta il Festival Cinema Giovani acquisisce prestigio sul piano internazionale e conquista la palma di secondo festival italiano, alle spalle del celebre appuntamento di Venezia.

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Pur mantenendo inalterata la sua identità iniziale che lo caratterizzava, col passare degli anni, il festival torinese procede ad una lenta ma sostanziale modifica della sua impostazione. La rassegna, in virtù della nuova collocazione nel panorama internazionale, giunge ad un ripensamento complessivo della formula. L’evoluzione si completa nel 1997, cambia il nome della rassegna, da Festival Cinema Giovani a Torino Film Festival. Una denominazione che ne evidenzia la transizione da rassegna tematica "locale" ad ambiziosa manifestazione di portata mondiale e la sua eco si espande nel mondo. Le classi 3AM e 3AD dell’indirizzo Multimediale e Design, dell’istituto Des Ambrois di Oulx, partecipando ad una delle giornate del Festival, hanno avuto l’occasione di assistere ad alcune delle conferenze proposte al pubblico, filmando e intervistando personalmente gli organizzatori dell’evento. Il materiale raccolto è stato infine utilizzato per creare un reportage sull’intera manifestazione, per poter essere aggiornati e coinvolti in quella che è considerata una delle principali rassegne riguardanti il settore cinematografico e multimediale, sul nostro territorio. Senza tradire l’anima “giovane e ribelle”, il Torino Film Festival arriva alla sua trentasettesima edizione, scegliendo come icona per la locandina l’attrice Barbara Steele, che ha impersonificato le tematiche dell’horror all’italiana degli anni Sessanta.

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Intervista a

Piero Valetto coordinatore di Piazza TFF.

Qual è il suo ruolo all'interno del Festival?

Io sono uno degli organizzatori del TFF. Siamo uno staff che si occupa di tutto quello che è il programma del Festival. Io nello specifico curo questa sezione, il contenitore di tutti gli eventi off. Tutto ciò che non è cinema da quest'anno si svolge alla Mole Antonelliana, a piazza TFF.

Cos'è esattamente piazza TFF?

<< Piazza TFF è la lounge del Torino Film Festival, ovvero un posto dove gli autori, gli ospiti, gli accreditati, ma anche chiunque può passare per trascorrere un po' di tempo qui con noi. È soprattutto un luogo che abbiamo pensato come aggregatore di eventi collaterali. Fino all'anno scorso tutti gli eventi collaterali alle proiezioni si svolgevano sparsi nella città, quest'anno le abbiamo concentrate tutte qui.

La manifestazione è iniziata da quattro giorni, ad oggi qual è il vostro riscontro?

Il riscontro è ottimo, il Festival è un evento molto apprezzato, molto conosciuto, molto amato dai torinesi. Se avrete occasione in questi giorni di passare anche solo all'esterno dei cinema, vedrete ovunque code, ressa, proiezioni che vanno completamente in sold out. Da questo punto di vista siamo assolutamente certi che è una manifestazione di successo che attrae curiosi, cinefili, appassionati di cinema e questo ci fa piacere.


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È immagine simbolica, che rievoca il legame con il passato ed al contempo racchiude l’essenza del contemporaneo: è netta, incisiva in quella sensualità incorniciata dall’arte del bianco e nero, in cui risalta l’espressione protesa verso l’oltre. Manuela Martini, direttore del festival, la presenta così: «Aveva esordito in Inghilterra. Dopo la prima sfortunata tappa hollywoodiana, era arrivata in Italia, dove aveva subito incontrato l’autore e il genere che l’avrebbero trasformata in una star: Mario Bava e il film horror La maschera del demonio. Alta, sinuosa viso ovale marcato da punte aguzze, occhi enormi. Riusciva a trasmettere sia i tormenti del Male che l’ambiguità del Bene. Era e rimane una delle creature più misteriose dello schermo. Ancora oggi è la vera “Signora della notte».

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LA MOSTRA AL PALAZZO DUCALE A CURA DI MONICA GOTTA

Monica Gotta Stefano Zec È stata denominata “Il secondo principio di un artista chiamato Bansky” la mostra inaugurata a Palazzo Ducale di Genova dedicata a uno dei più chiacchierati street artists. Dopo il nostro reportage sul progetto On The Wall, patrocinato dal Comune di Genova, che abbiamo seguito per tutto il suo svolgimento e sul quale trovate il reportage sul N. 46 di Agosto 2019, ci è sorto spontaneo approfondire l’argomento di questo genere di arte attraverso questo artista. Riprendo un paragrafo del precedente reportage per permetterci di capire come si è evoluta la Street Art e come ci siamo imbattuti in Banksy la prima volta.

La Street Art si è evoluta dalla Pop Art e dalla Graffiti Art sviluppando tematiche più profonde. Molti “writers”, raggiunta la maturità artistica, sono passati a questa fantastica arte di strada. Si potrebbe far risalire l’origine della Street Art agli anni ‘70 nella città di New York, denotata da alcuni eventi particolari. L’effettivo interesse pubblico per “l’arte urbana” si può dire sia esploso intorno al 2000, grazie anche agli stencil di Banksy. Ad oggi questo tipo di arte è diventato un fenomeno socio-culturale e ha ormai guadagnato, tramite le sue influenze sulle arti visive e sulla pubblicità, rilevanza nel panorama della creatività contemporanea. Stefano Zec Photography

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Stefano Zec Photography La dimensione di arte che conosceremo in questa mostra è molto diversa da quella che abbiamo vissuto e visto nel quartiere di Certosa a Genova. Questa mostra, a cura di Gianluca Marziani, Stefano Antonelli e Acoris Andipa prodotta da MetaMorfosi, raccoglie opere e oggetti originali dell’artista britannico. Dipinti a mano libera della primissima fase della sua carriera, numerosi stencil, serigrafie che Banksy considera vitali per diffondere i suoi messaggi, poster da collezione, t-shirt, progetti di copertine di vinili e oggetti installativi come altre opere provenienti da Dismaland (la scultura Mickey Snake con Giroinfoto Magazine nr. 52

Topolino inghiottito da un pitone), sono ciò che possiamo vedere e cercare di comprendere in questo spazio espositivo. Le opere provengono da collezioni private, in parte anche genovesi, e l’artista non è coinvolto nella mostra pur avendo realizzato circa 40 mostre tra il 2000 e il 2009. I curatori hanno fornito ogni opera di un testo didascalico che potesse spiegarla per dare di Banksy un’immagine di artista contemporaneo. In occasione della mostra è stato predisposto un catalogo di tutte le opere esposte corredato dai saggi critici dei curatori.


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Banksy lega la sua arte alla tecnica dello stencil di cui è uno degli interpreti contemporanei. Un genere molto utilizzato e apprezzato anche da altri street artists. Tuttavia l’impulso a far diventare questa tecnica popolare è stato dato proprio da Banksy che lo ha usato con tale creatività da diventarne anche un punto di riferimento per altri artisti. Cosa è uno stencil, vi chiederete? È una matrice in negativo dell’immagine che si vuole creare, solitamente ricavata con un supporto rigido. Appoggiando la matrice sulla superficie da dipingere, non resta che spruzzare i colori. Questo metodo consente anche di riprodurre la stessa immagine più volte e aiuta lo street

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artist nella velocità di esecuzione, spesso necessaria per non farsi vedere … specie dalle forze dell’ordine … Una delle opere più famose è “La ragazza col palloncino”, realizzata per la prima volta con la tecnica dello stencil su un muro a Londra nel 2004. La firma di Banksy appare su una cassetta elettrica sotto l’opera accompagnata dalla frase “C’è sempre speranza”. Quest’opera fu riprodotta su un altro muro di un altro quartiere londinese. Fu proposto di staccarla dal muro per venderla all’asta ma non fu mai fatto. Tuttavia 10 anni dopo fu rimossa, comparve nella mostra Stealing Banksy? e fu venduta poco dopo. La prima cosa che colpisce di Banksy è che nessuno lo hai mai visto, quindi non si conosce il suo viso, suppongo non esistano sue fotografie. Del resto non sarebbe l’unico. Tiler, uno degli artisti che ha partecipato a On The Wall, non mostra il viso in pubblico. Probabilmente anche Banksy conta sul mistero per poter stupire il pubblico che ammira le sue opere e lascia uno spazio di fantasia ad ognuno di noi per creare un’immagine che possa accordarsi con la nostra visione delle sue opere. Stefano Zec Photography

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Di lui si sa che è originario di Bristol, nato probabilmente intorno al 1974. Sono state fatte delle indagini, con tecnologie utilizzate anche dalle Forze dell’Ordine, che hanno portato a fare ipotesi sulla sua identità. Tuttavia esistono altre indiscrezioni e pertanto la vera identità dell’artista continua ad alimentare dibattiti e controversie. Come la sua arte del resto.

Dando sfogo al suo essere controverso e ribelle esibisce la sua intolleranza entrando in musei e rinomate gallerie e appendendo le sue opere di nascosto, opere che sono copie in stile perfetto ma contenenti dei dettagli del tutto dissonanti con l’opera originale.

Il suo lavoro si posiziona nella dimensione della pubblica strada e attraverso la sua arte documenta e denuncia la povertà umana. Con taglio ironico invece tratta temi di attualità quali l’inquinamento, la guerra, il maltrattamento degli animali e altro. Il tramite che dà vita alle opere sono soggetti come le scimmie, topi, gatti ma anche bambini. Stefano Zec Photography Giroinfoto Magazine nr. 52


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Nella sua carriera artistica molte sono le apparizioni di sue opere nate proprio per fare scalpore come i dipinti sul muro che separa la Cisgiordania dallo stato di Israele e la sua estate a Venezia durante la 58ª Biennale Internazionale d’Arte.

Palazzo Ducale. La permanenza di Banksy a Venezia porta ad altre performance dell’artista sempre rivolte a cause di impatto e a lui care. Troverete molte notizie sul web.

Da quest’incursione che colpisce Venezia, volta a sostenere la causa dei migranti bloccati in mare per la chiusura dei porti in Italia, nasce il Naufrago Bambino. Una riproduzione di quest’opera si trova nella mostra di

Entrando alla mostra la prima cosa che si vede è un self-portrait dell’artista con una frase di Banksy a lato che recita … “Se vuoi dire qualcosa e vuoi che la gente ti ascolti, allora indossa una maschera. Se vuoi dire la verità devi mentire”…e notiamo che il suo autoritratto ci fa vedere solo un occhio dall’espressione indagatrice che cela l’identità dietro ad uno schizzo di colore. Da questa frase nasce anche il titolo della mostra di Palazzo Ducale, frase in cui si potrebbero leggere o intuire i principi dell’artista. Sul muro opposto al self-portrait è stata allestita una grande lavagna, dove tutti i visitatori della mostra possono lasciare un graffito di loro pugno utilizzando dei gessi colorati. Da un lato la lavagna recita “SE IO FOSSI BANKSY”, dall’altro “LIBRO DEGLI OSPITI”. Un’installazione che attira notevolmente l’attenzione per l’intrico di parole e disegni che già ora presenta. Sarà conservata al termine della mostra?

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Il vivo della mostra inizia ad aprirsi con il Lab Rat, (foto pag.108) opera di grandi dimensioni. Proseguendo vediamo moltissime opere dei più svariati generi. Sono serigrafie su carta, stampe digitali, magliette, spray su acciaio forato, installazioni. Molte di queste opere sono rare e di grande valore. Ci affidiamo alle immagini della mostra che sicuramente vi daranno una dimensione più fruibile di ciò che andrete a vedere di persona. Tutte le opere esposte hanno qualcosa da trasmettere, qualcosa di profondo e ciascuno di noi le leggerà attraverso la propria sensibilità e cultura artistica. Successivamente troviamo due infografiche su Banksy realizzate da Stefano Antonelli molto interessanti per comprendere meglio l’artista. In una delle sale è anche possibile assistere alla proiezione di un video dedicato a Banksy.

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Arrivati in fondo possiamo finalmente vedere Mickey Snake, Topolino inghiottito dal serpente. Viene da Dismaland, ricostruzione di un’annoiata Disneyland che l’artista crea nel 2015.

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LE TAPPE DELLA CARRIERA ARTISTICA DI BANKSY La carriera artistica di Banksy è lunghissima. Si è fatto notare per svariati interventi come quelli di Israele e Venezia, ma non solo. La sua carriera inizia nel 1992 quando appaiono sui muri di Londra i primi graffiti di Banksy, a mano libera e stencil. Nel 1998, insieme a Inkie, altro writer di Bristol, organizza il festival Wall on Fire, ricordata tuttora come la più importante convention britannica di writers. Nel 1999, insieme a Inkie e Mode2 dipinge un murale dal titolo Take the money and run ancor oggi visibile a Bristol. Dello stesso anno è datata l’opera a cui si fa riferimento per l’inizio della sua attività di street artist, un orsacchiotto di peluche che lancia una molotov verso 3 agenti di polizia. Il lanciatore di molotov sarà ripreso per creare una delle sue opere più famose in cui il lanciatore avrà un mazzo di fiori al posto di una molotov. Tra il 2000 e il 2003 organizza diverse mostre. Nel 2000 a Bristol organizza una mostra al ristorante Severnshed dove espone opere fatte a mano libera e con lo stencil a spray dove vende quasi tutti i pezzi. Esporrà anche in un negozio di abbigliamento dove in 2 giorni venderà tutte le opere esposte.

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Il prezzo dei suoi lavori inizia a salire. Il 2001 è l’anno della sua prima mostra a Londra dal titolo Speak Softly, But Carry a Big Can of Paint. Una di queste opere, Tiger Economics, sarà riprodotta in edizione serigrafica e successivamente conosciuta come Barcode.

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Nel 2004, a Piccadilly Circus, l’artista libera un fantoccio con le sembianze di un bambino legato ad un pallone con sopra il logo di Mc Donald. Dopo ore il pallone si sgonfia e finisce sotto un autobus. Si introduce nel museo di storia naturale di Londra e vi colloca una sua opera, un topo imbalsamato con occhiali da sole, zainetto e catena al collo. Dello stesso anno è la stampa di un milione di sterline dove sostituisce l’immagine della Regina con quella di Lady Diana e si legge invece che Bank of England… Banksy of England. Il 2005 è l’anno dei musei. Colloca al Moma di New York un suo dipinto. Al British Museum incolla una sua opera, identica a quella del museo, sotto una statuetta con una didascalia. Sono incursioni non autorizzate ovviamente. Nel 2006 Banksy colloca a Soho – Londra una cabina telefonica piegata e colpita da un piccone, ancora piantato nella struttura. In quel momento la Telecom britannica stava sostituendo le cabine tanto amate e famose con una nuova versione.

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messaggio è che, un parco di tale genere, non è adatto alle famiglie. Una volta chiuso Banksy utilizzerà i materiali per costruire un villaggio non autorizzato per rifugiati a Calais (Francia). Per Dismaland l’artista creerà 10 nuove opere tra cui Mickey Snake. A Betlemme, nel marzo 2017 annuncia l’inaugurazione di Walled Off Hotel. Si tratta di una piccola pensione proprio davanti al muro che separa Israele dal territorio palestinese. L’hotel contiene le opere di Banksy ed altri artisti nonché stanze a tema. Nel 2018 una delle celebri Girl with Balloon è protagonista di un evento bizzarro a Londra. Battuta all’asta da Sotheby’s a Londra raggiunse la cifra di 1,04 milioni di sterline e, nel momento in cui fu assegnata la vendita, un tritadocumenti nascosto nella cornice ridusse in strisce l’opera. Il filmato fece ovviamente il giro del mondo.

Nel 2007 l’artista vince il premio Art’s Greatest Living Briton. Banksy non si presenta. Nel 2008 Banksy invita al Cans Festival i migliori stencilist del mondo per dipingere il tunnel di Leake Street. Pur essendo la sede del festival segreta, alla sua apertura vi si trovano 20.000 persone. Il 2009 è l’anno della prima e ultima mostra ufficiale di Banksy in un museo a Bristol. La curiosità sta nel fatto che la Direttrice del museo ha dovuto mettere in ferie il personale per un mese in modo che il progetto restasse segreto fino all’apertura della mostra. Exit Through The Gift Shop - così è intitolato il film di Banksy che viene proiettato a sorpresa al Sundance Film Festival nel 2010. Pur essendo candidato all’Oscar, Banksy non si presenta.

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Nel 2013 Banksy passa un mese a New York annunciando che produrrà un’opera al giorno. Quindi per tutto il mese segnala, attraverso il suo account Instagram, le opere che realizza. Il sindaco della città e la polizia cercano di intercettarlo senza successo. La pellicola Banksy does New York documenta la sua permanenza nella Grande Mela. Nel 2015, a Weston (Somerset), Banksy apre Dismaland di cui sarà curatore e in cui si proporrà anche artista insieme ad altri 58. È una ricostruzione annoiata di Disneyland il cui

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COME MAI FA PARLARE TANTO DI SE’? A dicembre 2019 Banksy si fa notare a Birmingham con un murales che pare abbia cambiato la vita al senzatetto Ryan e a chi ha visto quest’opera. “God bless Birmingham” così intitola l’opera che rappresenta due renne che spiccano il volo come quelle della slitta di Babbo Natale. In questo caso l’immaginaria slitta è la panchina sulla quale riposano spesso degli homeless. Banksy ha filmato ciò che è successo dopo che un uomo con la barba bianca si è accomodato sulla panchina. Ha ricevuto cibo e bevande senza chiedere nulla. Venti minuti di video che hanno emozionato e che sono diventati virali in pochissimo tempo e che hanno portato all’attenzione del mondo lo spirito natalizio, lo spirito di solidarietà tra esseri umani.

Sempre a dicembre 2019 il PD sceglie un’opera di Banksy per gli auguri di Natale. “L'opera, intitolata “La cicatrice di Betlemme” raffigura una mangiatoia sullo sfondo di pezzi di muro colpito da una granata, su cui figurano scritte che inneggiano all’amore e alla pace.” (Cit. Il Messaggero.it). Ciò ha causato non poche polemiche ed indignazione.

https://www.youtube.com/watch?v=QJzgFh76bu8 Giroinfoto Magazine nr. 52


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Sul web compaiono molte notizie su Banksy in questo periodo. Per i lettori che non risiedono vicino a Genova, riportiamo alcune di queste notizie. Dall’11 al 19 gennaio 2019 al BAF – Bergamo Arte Fiera - sono state esposte alcune opere di Banksy. Un evento che, insieme al IFA – Italian Fine Art, fa parlare di arte moderna e contemporanea insieme all’arte antica italiana. C’è la segnalazione di una mostra in corso al Museo PAN di Napoli chiamata Banksy e la (post) street art la collettiva dedicata al movimento artistico underground. Può sembrare stravagante ma al Franciacorta Outlet Village sono esposti 25 lavori dell’artista britannico. Il luogo, non convenzionale per una mostra d’arte, ripercorre il concetto che la street art sia fruibile a tutti senza pagare un biglietto d’ingresso. Da fine marzo troveremo un’altra mostra dedicata allo street artist al Chiostro del Bramante a Roma denominata “Banksy: a visual protest”. In tarda primavera sarà allestita una mostra a Ferrara a Palazzo dei Diamanti dal titolo “Un artista chiamato Banksy”. Sarà anche l’ultima esposizione prima della chiusura del palazzo per interventi di ristrutturazione. Cito un’ultima curiosità, per tornare a Genova, luogo della mostra che abbiamo visitato. Un disegno di una bambina che tiene in mano un palloncino, simile alla famosa Girl with Balloon appare su muro nel centro storico di Genova. Sotto al disegno una freccia indica il vicino locale dove pare si possano gustare “very good drinks” come recita la scritta. I proprietari del locale hanno postato l’immagine su Facebook ringraziando l’artista che, difficilmente, può essere Banksy in persona! Concludendo…Banksy è in grado di rapire l’immaginazione di chiunque si avvicini alle sue opere! Ritorno al reportage del N. 46 Inside On the Wall e mi chiedo nuovamente… Quale è la magia e l’alchimia che riesca a creare la street art semplicemente per il fatto di essere pubblica, a disposizione di tutti, fruibile nel modo più semplice che esiste al mondo?

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Ponte Gobbo

Autore: Alessandro Dentella Luogo: Bobbio (PC) Giroinfoto Magazine nr. 52


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Monteserico view Autore: Matteo Pappadopoli Luogo: Genzano di Lucania

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Oltre l'immagine, cromie crepuscolari Autore: Benedetto Restivo Luogo: Delta del Po Rosolina (RO)

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ARRIVEDERCI AL PROSSIMO NUMERO in uscita il 20 Marzo 2020

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