altri grandi nomi. Per me è stata un'immensa gioia, ero talmente felice che non ho sentito i morsi della fame. Questo mi ha permesso di fare il salto nazionale. Invece non mi ha dato soddisfazioni un programma di nicchia che andava in tardo orario”.
Nel 2013 hai pubblicato anche un libro, svelando i retroscena dell'Isola. Come mai questa scelta?
“Perché la gente mi chiedeva curiosità riguardante 'L'Isola dei Famosi' e quindi ho trattato il tutto con ironia”. Andiamo due anni dopo quando hai avuto un incidente in tv a causa di un tacco. Ancora hai il coraggio di indossare i tacchi dopo quell'episodio?
“Assolutamente sì. I tacchi fanno parte di me, sono un prolungamento della gamba e mi donano venti centimetri in più. Ogni volta che li indosso avverto un'armonia in tutto il corpo. Quella volta mi sono fratturata il gomito”. Quanto è importante per te il rapporto diretto con il pubblico?
“Quando faccio uno spettacolo dove c'è la folla, chiedo sempre di accendere le luci. Vado in panico quando non vedo il pubblico, amo guardare in faccia. Mettere i miei amici seduti nelle prime file, mi ricorda quando ero piccola e loro erano seduti in mezzo alle scale del palazzo mentre io mi esibivo. I pubblico è amico mio. Ho sempre avuto la fortuna di essere applaudita e mai fischiata”.
Deduciamo che la tua storia artistica sia iniziata da giovanissima.
“Il talento è venuto fuori a due anni di età. Ricordo che nelle pagelle mi si scriveva sempre 'spiccate doti artistiche'. Io dipingo, faccio quadri e scrivo poesie. Le mie canzoni le ho scritte sempre io. Svelo un segreto, non mai frequentato scuole di canto e di recitazione. Sono stata autodidatta. Non ho frequentato scuole, perché il talento è qualcosa che
si ha dentro e al limite lo si può solo modellare e non costruire. Mi ritengo fortunata perché immagazzino rapidamente quando voglio fare un qualcosa. Imparo e riproduco in fretta tutto. E' come se sentissi le vibrazioni. Ad esempio, pur non conoscendo bene l'inglese, riesco ugualmente a capire quella canzone di che cosa tratta. Ho un dono del tutto naturale. Nessuno mi ha mai regalato niente, ho fatto tutto da sola e mi è andata bene”.
A proposito di musica, chi ascolti di più?
“La grande Mina, sono fissata. Il caso ha voluto che incontrassi sull'Isola Cristiano Malgioglio, che ha firmato alcuni dei suoi successi più famosi. Adoro anche lui. Ho avuto l'occasione di fare esperienza al pianobar, dove davo vita a macchiette napoletane e cantavo le canzoni di Mina”.
In quale epoca ti sarebbe piaciuto lavorare?
“Mi piacciono molto il 1700 e il 1800, ma avrei fatto la Regina”.
Adesso c'è in uscita un cd. Parliamone.
“Di solito, quando si parla di me, si pensa soltanto alla spaccata. Invece sono anche una cantante partenopea ironica. Per la prima volta ho inciso un disco di cover voluto fortemente dal discografico Ciro Imperato per una casa discografica di Londra, la Tilt Corporate. Sono dodici brani completamente differenti dal genere che ho sempre fatto. Era il mio sogno cantare delle cover come 'Mambo Italiano', celebre nel film di Sophia Loren o come 'Ti parlerò d'amor' della splendida Wanda Osiris. Sono canzoni che non si ascoltano più ma che sono intramontabili. E magari tutti i fan che mi seguono potranno conoscerli perché non sono mai stati ripresi da altri artisti recenti. Il cd ha il titolo di 'Cover Lisa' e lo si può trovare su tutti i Digital Store e social o acquistare in un'edizione limitata in vinile”.
cHiè liSa FUSco
lisa è nata a napoli il 9 novembre sotto il segno dello Scorpione con ascendente vergine. caratterialmente si definisce simpatica, solare e ironica. Ha l'hobby del disegno, ama gli gnocchi alla sorrentina e tifa napoli. le piacerebbe vivere a Milano. non possiede animali domestici ed è single. il 2000 è stato l'anno fortunato della sua vita. Fin da bambina ha dimostrato il suo grande talento. Si definisce autodidatta. i suoi inizi risalgono al 1999 quando cantava al pianobar con il maestro alfredo calfizzi. nel 2000 ha esordito nella tv campana e da subito il personaggio della soubrettina ha preso piede. cantava canzoni ironiche e ballava in studio, ricordando il teatro di rivista napoletano di un tempo. Ha recitato anche in un film di nino d'angelo. nel 2001 è stata ospite in una puntata del 'Maurizio costanzo Show', dedicando spaccate al pubblico. in seguito ha partecipato a numerosi programmi televisivi, non solo campani. ricordiamo “Settima dimensione” su la7 e“tintoria Show” di rai 3. nel 2007 è arrivata la svolta con la partecipazione al reality show “l'isola dei Famosi”. a seguire svariate ospitate televisive. e' entrata a far parte ella soap opera napoletana “Un posto al sole d'estate”. nel 2011 è stata nel cast di “101 modi di perdere un gameshow” condotto da Francesco Facchinetti. nel 2013 ha pubblicato il libro autobiografico ironico “da telegaribaldi all'isola”, nel quale ha svelato retroscena del noto reality. e' stata ospite fissa nei programmi di piero chiambretti “Grand Hotel chiambretti” e “pomeriggio 5”. adesso è uscito un cd intitolato “cover lisa ”.
COVER STORY 12
sempre voluto trasmettere femminilità senza mai scadere nella volgarità o nella mera ostentazione del mio corpo. Al contrario, penso che raccontarsi in tutta la propria semplicità, sia al giorno d’oggi un modo per stupire chi ci incrocia nel nostro percorso”.
Campagne pubblicitarie social, fotografie d’alta moda, cartellonistica e via discorrendo. Che effetto fa rivedersi?
“Fa sempre una grande emozione: che sia un cartellone o un video pubblicitario, ci si riguarda sempre per migliorare ma si apprezza anche ciò che si è fatto perché è uno stimolo a proseguire nella propria carriera”.
La tua carriera ha avuto una ulteriore aggiunta e ti ha portata alla presentazione di eventi di piazza… “Diciamo che la parlantina non mi manca… ed allora ecco che generosamente mi è stata proposta questa possibilità, a cui non ho potuto rinunciare! La scorsa estate ho avuto l’onore di presentare importanti iniziative nelle Marche, pare che nei prossimi mesi possa ripetersi questa splendida esperienza. Sarebbe davvero fantastico!”.
Questa tua carriera ti porta a girare e scoprire luoghi magici della nostra Italia.
“Proprio così: mi capita di posare in luoghi magici, di vivere esperienze da favola con al fianco persone dall’incredibile bagaglio culturale, di scoprire imprese che curano il dettaglio con straordinaria precisione per trarne un prodotto pressoché perfetto”.
Questo desiderio di conoscenza ti accompagna nel quotidiano.
“Proprio così! Cosa c’è di più bello della cultura? Ecco, una donna come me che lavora con l’immagine, adora la cura della mente e la valorizzazione di chi siamo, prima ancora di quello che siamo”.
Contatti social https://www.instagram.com/emma_dalla_benetta
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Ph. Simone Fassanelli
Ph. Alessandro Judo
Ph. Luca Masarà
by Giulia Bertollini
MicHela BraMBilla
Da alcuni anni è alla conduzione del programma “Da parte degli animali”. L’Onorevole Michela Brambilla ha studiato questo format per trovar casa agli animali abbandonati. Attraverso la televisione, il programma arriva nelle case di tutti gli italiani per promuovere le adozioni, combattere la vergognosa piaga del randagismo e diffondere tra gli italiani la cultura del possesso responsabile. In questa intervista, oltre a parlare del programma, abbiamo affrontato con Michela Brambilla il tema del randagismo e il problema dei cinghiali a Roma.
Michela, come si è evoluto negli anni il programma “Dalla parte degli animali”?
“L’obiettivo iniziale, al quale siamo rimasti fedeli, era quello di “trovare casa” agli animali abbandonati: prevalentemente cani e gatti, ma anche animali non convenzionali. Da subito abbiamo arricchito il programma con servizi giornalistici e rubriche soprattutto di servizio, che nel tempo sono cambiate. Dal 2020, in collaborazione con il CRAS “stella del Nord” di LEIDAA, abbiamo dato moltissimo spazio agli animali selvatici, quelli che io chiamo “gli animali di nessuno”, non perché qualcuno li abbia abbandonati, ma perché generalmente non sono considerati”. In televisione si parla troppo o troppo poco di animali?
“Non mi preoccupa la quantità ma la qualità. In tv se ne parla, e molto, ma non tanto per evidenziare che gli animali hanno anche loro dei diritti, come quello alla vita e al benessere (sfuggire alla sofferenza, alla fame, alla paura) e ancora poco per educare al rispetto del mondo animale”. Sua figlia è diventata co-conduttrice accanto a lei. E’ contenta? Cosa ha imparato?
“Stella si diverte e impara. Cose nuove sugli animali, ma anche ad esprimersi meglio e a essere più spigliata. E’
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MONDO PET
“SUlBonUSperGlianiMalidoMeStici nondeMordoeloriproporreMo”
un’esperienza che le fa bene, la fa crescere”. Gli affezionati del programma le scrivono sui social? Cosa le dicono?
“Riceviamo moltissime mail e messaggi di ogni genere, per lo più di persone che vorrebbero adottare gli animali, ma anche complimenti per la trasmissione e richiesta di intervento in situazioni particolari”.
I numeri del randagismo in Italia sono elevatissimi. Com’è oggi la situazione dei canili in Italia?
“Secondo stime attendibili, nel nostro paese ci sono circa 700 mila cani vaganti o 2,4 milioni d gatti liberi. I canili sono sempre troppo pieni, di gattili ce ne sono pochi. Nel complesso sarebbe bello se un numero sempre maggiore di italiani prendesse l’abitudine di cercare nei canili o nei gattili il nuovo amico da portarsi in casa”.
Intanto è stato bocciato il bonus animali domestici che lei stessa aveva avanzato. Un duro colpo per i proprietari che si trovano a sostenere ogni anno le spese per i loro amici a quattro zampe. Cosa è andato storto? Ha in mente altre proposte?
“Purtroppo il bonus animali domestici ha fatto la fine di altre proposte di politica sociale, non prese in considerazione perché le risorse a disposizione non erano sufficienti. Ma io non demordo. Lo riproporremo, come riproporremo il tema dell’Iva sugli alimenti
per animali e sulle cure veterinarie e quello delle agevolazioni per gli anziani che vivono con animali d’affezione”.
Ha scosso molto il caso di Juan Carrito, l’orso investito e ucciso in Abruzzo. E’ possibile alfabetizzare la popolazione a una convivenza “civile” con l’orso sulle montagne?
“In realtà quello adottato dalle persone che vivono sul territorio del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise è un buon modello di convivenza. Basta confrontare, per contro, ciò che accade nel Trentino. Semmai la tragica fatalità che ha coinvolto Juan Carrito, orso amato dalla popolazione e dai visitatori del Parco, mette in evidenza un altro aspetto del problema: l’assenza, o quantomeno la carenza di politiche nazionali efficaci per la tutela della fauna selvatica. Se non si investe in corridoi ecologici, sottopassi o sovrappassi che consentano gli attraversamenti degli animali (come avevo proposto di fare con la legge di bilancio), in catarifrangenti che li tengono lontani mentre passano le auto, in segnaletica e in educazione stradale per i percorsi a rischio, dovremo fare ancora i conti con incidenti del genere”. Cosa pensa invece della situazione cinghiali a Roma? La situazione è sotto controllo? Ormai se ne parla da mesi.
“La situazione è completamente fuori controllo. D’altra parte è ridicolo pretendere di riparare in breve tempo gli effetti di decenni di errori. Roma – dispiace dirlo ma è così – sembra una discarica a cielo aperto, con ristoranti perpetuamente imbanditi per i cinghiali, gabbiani, topi. Nessun animale selvatico ama avvicinarsi all’uomo. I cinghiali vengono perché c’è cibo, ci sono rifiuti organici a terra o facilmente accessibili in cassonetti aperti. E i cinghiali tornano perché sanno di trovarne. Dovunque, ma specialmente in ambito urbano, la caccia è inutile e pericolosa. Finché non si prenderanno misure serie per far sparire i rifiuti dalle strade e per sterilizzare la popolazione di cinghiali, il problema non si risolverà”.
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Van Gogh, Mondrian, Sluijters, Gestel, Dali, De Lempicka e probabilmente ne dimenticherò molti altri. Le correnti a cui mi ispiro principalmente sono l'impressionismo (da qui la ricerca della luce), il puntinismo, il cubismo (ovviamente), il surrealismo, un po' di buon vecchio realismo seicentesco. In effetti il mio stile personale di Roundism è una combinazione eclettica di cubismo e impressionismo”.
Nelle arti, e quindi anche in pittura, è possibile prescindere dallo studio dei classici?
“In effetti non lo è. Paul McCartney affermava che la sua canzone "Blackbird" era basata su una Bourrée (ndr. Composizione) di Bach interpretata in modo errato. John Lennon ha derivato molti dei suoi brani da vecchie canzoni dei pescatori di Liverpool. Così Picasso si ispirò alle maschere africane quando realizzò Demoiselles d'Avignon e lo trasformò nella prima vera opera d'arte cubista. Monet ha visto Vermeer al Mauritshuis, presso L'Aia. La lista potrebbe continuare all'infinito. Siamo tutti sulle spalle di artisti che ci hanno preceduto”.
Qual è l'importanza del design?
“Nello stile Roundism il design gioca un ruolo importante. Infatti i nudi che abbozzo sono solo il motivo iniziale per creare disegni decorativi. Quando il disegno è riuscito lo lavoro a olio, scegliendo con cura i colori. Spero che le mie opere, costituite da turbinii e colori tipici, siano più riconoscibili del nudo stesso”. La tecnica pittorica è cambiata nel tempo?
“Sì, e la colpa è di mio padre. Ho iniziato a disegnare ritratti e nudi negli anni '80, ispirato com'ero dai disegni di Degas che ho visto al Musée d'Orsay, a Parigi. Mio padre mi ha sfidato a trovare un nuovo stile e ad approfondire l'astrazione, il suo modo preferito di vedere l'arte. All’inizio ho resistito, pensando che il mio stile impressionista fosse abbastanza buono e l'unica cosa di cui avevo bisogno. Ma più tardi ci ho ripensato. Noi artisti corriamo il rischio di ripeterci, generando un “manierismo” di qualità inferiore. Il cubismo, che ho sempre amato, è venuto in mio aiuto. Al giorno d'oggi utilizzo una gamma completa di stili diversi. Insomma vario, passo dal dipingere in modo molto dettagliato, per fare poi il dipinto successivo con macchie spesse di vernice. Quindi le mie tecniche più che cambiate, sono aumentate di numero. L'unica cosa che è veramente cambiata è il tempo dedicato a un dipinto. Attraverso l'esperienza riservo drasticamente meno tempo a un'opera d'arte rispetto a venti anni fa, permettendomi di fare e sperimentare ancora di più”.
L’arte contemporanea è in buona salute? In cosa difetta, eventualmente?
“Penso che nell'arte contemporanea sia assente l'amore per l'artigianato. Agli studenti delle accademie d'arte insegno come addestrarsi a disegnare modelli. Studi tonali, conoscenza della ruota dei colori, è ormai tutto considerato obsoleto, antiquato, mentre i prodotti di molti giovani artisti non hanno la capacità di attirare l'attenzione. L'arte riflette la mancanza di nuove idee. Penso che ciò sia dovuto al fatto che molti copiano artisti famosi impiegando un certo stile che si è dimostrato commerciale e di successo. Quindi vedi l'arte diventare un franchising di se stessa: una giungla di ripetitivi mumbojumbo (idoli e feticci incomprensibili ndr) artistici”. Dove possiamo ammirare le tue creazioni?
“Ho opere incluse nelle fiere d'arte in Cina, inoltre espongo online. Ricevo decine di mail al giorno per offerte di mostre d’arte per le quali però dovrei pagare in anticipo le commissioni. Sono sempre aperto alle mostre, e spero di trovare galleristi disposti a fare affari nel modo più opportuno. Intanto, lavoro esclusivamente su commissione”.
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by Paolo Paolacci
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Da Proust, allo sguardo sulla società attuale “per veicolare emozioni, arte e cultura”, ci dice in questa intervista la scrittrice Alma Daddario.
Chi è Alma Daddario?
“Mi potrei definire nell’ordine: scrittrice, drammaturga, giornalista”.
Alma perché Proust oggi?
“Marcel Proust è uno dei grandi classici della letteratura moderna, uno di quelli, come James Joyce, che ha dato una svolta alla narrativa tradizionale, portando alla luce temi estremamente all’avanguardia per i suoi tempi, come per esempio la profonda introspezione psicologica dei personaggi, malgrado non avesse mai letto Freud. Anche per questo motivo i contemporanei stentarono a capirlo. Basti pensare che quando chiese di pubblicare i suoi primi scritti che avrebbero in seguito fatto parte dei sette volumi della Recherche, fu rifiutato da vari editori, compreso Gallimard. Fu anche criticato dal grande scrittore Andrè Gide, che in seguito si sarebbe pentito e avrebbe fatto pubblica ammenda sul suo rifiuto”.
Com’è nata l’idea di questo spettacolo “Albertine o della gelosia”?
“Mettere in scena l’opera proustiana per intero è un’impresa pressoché impossibile, sia per la vastità delle vicende sia per le tematiche trattate. Ho pensato per questo che bisognava concentrarsi su qualcuno tra gli elementi portanti di tutta l’opera. E il tema della gelosia mi è sembrato tra i principali. La gelosia è presente sin dall’inizio dell’opera, dall’inizio della vita del narratore, che non è altri che Proust anche se non viene mai nominato. La gelosia che inizia con il rapporto simbiotico che il narratore bambino ha con la madre, ridicolizzato da un padre duro e anaffettivo, che si rifletterà inevitabilmente in tutti i rapporti che il protagonista intratterrà con le persone amate, uomini o donne. L’esempio più eclatante è dato proprio con l’incontro con Albertine, nel periodo dell’adolescenza. Albertine infatti sarà presente in diversi tra i volumi della Recherche: 'All’ombra delle fanciulle in fiore', 'La prigioniera', 'La fuggitiva', 'Sodoma e Gomorra'. Sarà addirittura presente nei pensieri del protagonista anche da morta, e il sentimento della gelosia nei confronti di questo personaggio simbolicamente sfuggente non si sopirà mai”. Quale intento o messaggio ha voluto veicolare con questo
spettacolo?
“Più che veicolare un messaggio ho tentato di veicolare emozioni. Per me il teatro è innanzitutto emozione, che può anche sorprenderci, e di conseguenza farci riflettere, ma soprattutto risvegliare stati d’animo che nel quotidiano, volutamente o in maniera indotta, ci rifiutiamo di accogliere, ma che fanno parte del nostro lato umano”.
Cosa pensa della cultura e di come viene proposta?
“Domanda di riserva? Scherzi a parte, trovo che paradossalmente la cultura, in tutte le sue espressioni, nel nostro paese non è né valutata né supportata come dovrebbe. Innanzitutto non è vero che con la cultura non si mangia, perché ogni espressione culturale genera un indotto attraverso un gruppo di lavoro che si forma, per esempio per il teatro non solo gli attori e il regista, ma i tecnici, gli amministratori, sarte, truccatori, eccetera. Inoltre gioverebbe non poco alle nuove generazioni che venisse introdotto come materia scolastica. Poi non parliamo della trascuratezza con cui vengono trattati i siti archeologici, alcuni addirittura seppelliti da immondizie e comunque neanche segnalati, e la marea di reperti che giacciono negli scantinati perché non c’è nessuno che li cataloghi. I problemi sono tanti, e i politici si fanno belli parlando solo di siti molto famosi nel mondo, come Pompei o la Reggia di Caserta, ma in Italia c’è molto di più da valorizzare, eppure non esiste neanche un catalogo
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CULTURA
by Silvia Giansanti
aWanaGana UnnoMe, UnMitodellaradio
Prosegue la nostra rubrica sulla storia della radiofonia in Italia attraverso i personaggi che ne hanno fatto parte sin dagli albori. Vi presentiamo uno dei protagonisti più “mitici” di questo mondo...
Il nostro affascinante viaggio nella storia della radio prosegue, attraverso i racconti di chi l'ha fatta per primo, lasciando un segno indelebile. Chi svolge oggi questo meraviglioso mestiere deve in un certo senso ringraziare chi ha spianato la strada. Tutti mostri sacri che si sono ritrovati casualmente coinvolti in questa esperienza che da quasi 50 anni li accompagna. Un nome in assoluto, Awanagana. Subito ci viene in mente il suo look con il cappello di lana che gli donava un'aria da pirata. Un personaggio davvero singolare che ha spaziato anche nel cinema, in teatro e in tv. Un pozzo infinito, è anche cantante e poeta latino-americano. Tutto impresso nel suo dna e scritto naturalmente nel suo destino. “Quando firmo dal notaio, invidio chi si chiama Mario Rossi. Sono Antonio Awanagana Costantini Picardi”.
Chi di voi ricorda quando si presentò in Rai con l'orecchino? In quell'epoca era guardato con sospetto, come fosse un alieno. Oggi siamo passati da un eccesso all'altro. Se qualcuno avesse ancora dubbi sulla sua provenienza per via del nome, ribadiamo che è nato a Venezia nel 1949.
Awanagana, sei contento di essere stato coinvolto nella nuova esperienza di Rtl Best?
“Molto, sono contornato da professionisti e quindi sono in ottima compagnia”.
Ci accompagni da ormai mezzo secolo. Ricordi la data in cui hai iniziato in radio?
“Il primo di novembre del 1972”.
Dove?
“A Radio Montecarlo con contratti mensili. Alla fine del mese quando si ritirava lo stipendio, ci poteva essere il contratto del mese successivo oppure no. E sono andato avanti così. Dopo qualche anno di lotte intestine alla direzione che stava a Parigi, ci hanno concesso il contratto annuo”.
Com'era lo stipendio all'epoca?
“Uno stipendio di cui metà, diciamo meglio, quasi un terzo andava via per la pizza. Oggi due terzi vanno per la casa e un terzo per tutto il resto. Altri momenti storici”.
Guardando il tuo curriculum, ci rendiamo conto che hai lavorato parecchio nel campo dello spettacolo.
“Sì, ma la radio è nel sangue, non c'è niente da fare. La radio arriva dove non arriva spesso la tv, è un ottimo veicolo sia per l'informazione che per la pubblicità”.
Com'è avvenuto il tuo approccio con questo affascinante mezzo?
“Ricordo che ero in Val D'Aosta e avevo dodici anni e una sera un gruppo mi propose di fare un po' di teatro a livello amatoriale. Così accettai e dopo due sere di rappresentazione, capii che c'era in me una vena artistica. Ebbi la sensazione che la gente mi notasse. In seguito, crescendo, ho studiato, ho viaggiato e sono diventato capo animatore nei villaggi, aprendo il primo villaggio Valtour ad Ostuni Marina”.
E poi?
“Tornando una volta dal Medio Oriente, precisamente dalla Turchia, sono passato a Venezia a salutare i miei. All'epoca non esistevano i villaggi invernali o caraibici e quindi lavoravo solo nei sei mesi estivi. Il primo maggio avrei dovuto
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anche nel sound è sempre stato un chiodo fisso per me”.
Il vostro nuovo album s'intitola “Habitat cielo”, e già dalla cover è molto significativo. come nasce l'idea del titolo e dell'intero progetto in musica? come hai lavorato al processo creativo di questo nuovo disco?
“Allora il titolo nasce perché sono sempre stato metereopatico come persona e quando mi sono messo a scrivere le prime cose del disco nuovo ero in un momento di fragilità molto forte ed è come se in base al tipo di tempo che c’era fuori il mio mood cambiasse. Questo disco penso sia stato modellato dal cielo e dalle sue sfumature. Le prime tre canzoni avevano dei riferimenti al cielo tutti diversi ma che appunto si incontravano a livello di tematica. Quindi ho sviluppato il titolo come se il cielo cambiasse il mio modo di pensare e di prendere decisioni come un qualsiasi habitat naturale. Non c’è una o due canzoni che mi rappresentano di più so che sembra banale ma tutto il disco mi rappresenta a pieno ho quasi studiato in modo maniacale la tipologia di tracce che volevo fare quindi una non potrebbe esserci senza l’altra è per me tutto il filone del disco mi rappresenta al cento per cento”.
All'interno del disco che si compone di dodici brani quale anime di Silent Bob troviamo convivere insieme? Tu hai una scrittura molto spontanea ma anche molto riflessiva a tratti nostalgica e che rimanda sempre a delle tematiche che fanno riflettere. pensi che la musica possa essere anche terapeutica in questo senso?
“Sicuramente si divide un po’ in due a livello di sound. Ci sono tracce più aperte e brani che possono risultare più cupi, che è appunto un po’ il mio modo di essere. So che dentro di me ci sono queste due anime che combattono da sempre. Quella del “chi se ne frega stai sereno” e quella più pessimista. Ho scritto questo disco mentre provavo forte ansia con attacchi di panico e cose poco piacevoli. Mettermi a scrivere mi faceva togliere la testa da tutti i pensieri che avevo e quasi mi dava sollievo. Per me la musica deve essere terapeutica poi capisco chi la fa per moda o per far ballare in discoteca e li rispetto ma non è mai stato quello il tipo di roba che mi faceva vibrare. Quando sento qualcuno che parla in maniera forte, diretta e vera allora è lì che mi affeziono a un’artista e questo è appunto l’artista che anche io voglio essere per gli altri”. Ormai con Sick Budd siete una coppia di fatto. Siete
riusciti a trovare il vostro posto nella musica partendo da zero conquistando sempre maggior pubblico e disegnando un'identità musicale molto particolare ed innovativa, praticamente unica. Dove sta a tuo avviso la forza di questo sodalizio?
“Penso che ci siamo scoperti poco a poco. Come in una relazione diciamo. Non siamo molto espansivi come persone e questo ci ha dato modo di dover dare il massimo per tirare fuori il meglio l’uno dall’altro sia musicalmente che come persone. Ad oggi penso che siamo davvero fratelli più che semplici “colleghi” e questo ci ha dato modo di essere noi stessi anche più di prima”.
La dimensione live è una delle tue preferite e già lo scorso anno con il tour di “Piove ancora” avevi collezionato molti sold out. Da maggio porterai il nuovo disco in tour con due prime date evento una a Milano e l’altra a Roma. Cosa dovrà aspettarsi il pubblico e che tipo di show stai preparando?
“Sicuramente un coinvolgimento maggiore. Voglio dare il massimo sia io vocalmente sia come impatto visivo e sonoro. non vedo ora di suonare al Fabrique di Milano e all’Orion di Roma.. Ho in mente delle cose particolari che spero possano affascinare ancora di più chi viene ai live. Penso oltretutto che un live di musica come la mia sia bello anche perché semplice. Insomma non aspettatevi coreografie da venti ballerini o scenografie cinematografiche. Per me è importante che un mio concerto rimanga soprattutto per la forza della musica fatta dal vivo e per l’energia che si crea nel pubblico”.
Crediti fotografici: Bluechips
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siero qualche tempo fa. Ne sono felice. Avrei voluto parlare con lui in questi giorni, ma purtroppo non sarà più possibile”.
Il suo atteggiamento estetico è stato definito come “rivoluzionario”, una sorta di poetica dell’attraversamento: ce ne può parlare?
“Nella mia musica l’uso di archetipi storici è funzionale al tentativo di inquadrare da diverse angolazioni/prospettive un unico gesto musicale, come accennavo. Ne conseguono una serie di configurazioni apparentemente diverse se non contrastanti fra loro: attraverso, nel mio comporre, delle vere e proprie configurazioni diverse di scrittura che apparentemente sono contrastanti fra loro, ma in realtà complementari perché informate dalla stessa radice. I titoli dei miei brani, come 'Confronto, Confini, Porte', sono fortemente espressivi di questa poetica. In un certo senso cerco di assecondare le possibilità che la musica offre/chiede, con apertura, dunque senza escludere. Sono molto interessato all’esistenzialismo di Abbagnano, alla possibilità trascendentale di cui lui parla (che io amo pensare come trascendente). La possibilità di inquadrare da un’altra prospettiva un pensiero dichiaratamente negativo come quello esistenzialista, e renderlo positivo, è stata per me uno stimolo intellettuale notevole. Penso che più che mai il concetto di possibilità e quello di necessità, oggi, musicalmente, possano coincidere. Essere musicisti, vuol dire confrontarsi con una molteplicità di mondi sonori in un nuovo riconfigurarsi dei confini abituali; essere aperti: all’improvvisazione; ai vari modi di fare musica; ai vari, cosiddetti 'generi'. Un oggetto sonoro può essere inquadrato dalle più diverse prospettive ed assumere diversi significati”. Ricordo che in un suo brano intitolato “Metamorfosi d’amore” ci sono riferimenti alla guarigione della psiche proprio in relazione alla situazione dell’uomo nella società di oggi. Un lavoro importante che le fu commissionato dalla Mitteleuropa Orchestra di Udine e dall’Orchestre National de Bretagne di Rennes in Francia. Ce ne può parlare?
“'Metamorfosi d’amore' è un doppio concerto per flauto, violoncello e orchestra preceduto da un monologo o, meglio da un dialogo fra la componente maschile e femminile della psiche. Alla base della creazione del brano si trova, dunque, la riflessione sulla necessità d’amore nell’equilibrio fra le componenti fondanti della psiche umana. Tuttavia, diverse suggestioni e stimoli sono confluiti nella realizzazione di 'Metamorfosi d’amore'. Da un lato, il bimillenario della morte del poeta latino Ovidio, autore delle 'Metamorfosi e dell’Ars Amandi', capace di stilizzare miti e leggende della tradizione classica
in un virtuoso cadenzare metrico che si apre ad intuizioni archetipiche ed a significazioni suscettibili di molteplici interpretazioni. D’altro lato, il concetto contemporaneo di mutazione come metamorfosi interiore e del corpo, come pure della dimensione maschile e femminile della psiche umana. Tale dualismo e conflitto nel cuore stesso dell’uomo lo aveva denunciato il poeta latino in tempi remoti: 'Video meliora proboque, deteriora sequor'. Dunque, nell’imperfezione umana si realizza la manifestazione di amore”. Un’ultima domanda: la musica consente di offrire sollievo quando a ciò che ci circonda, non siamo più in grado di trovare una reale spiegazione logica, come nel caso della guerra. La musica, è risaputo, che in tempi di guerra, può donare "speranza" e aiutare le persone, che vivono questo momento difficile e che ne sono terrorizzate, a non sentirsi sole. Secondo Lei quanto la Musica è utile in questi contesti?
“La guerra è il risultato di una perdita di sapienza dell'umanità, quando interessi egoistici invadono - alterandolo - l'equilibrio, l'aura (uso questo termine in senso poetico) che attraversa e caratterizza un determinato momento storico. È chiaro che la ricerca di un artista, che crea nel confronto con la contingenza che lo accoglie (distinguendo un reale effettuale, come generato dal complesso delle sovrastrutture sociali, e un reale inteso come Verità, sempre più nascosta dietro le "cose" - intese in senso filosofico), restituisce una sonorità capace di “tradurre” il divenire della dinamica sociale. L'intenzionamento della produzione e creazione del suono ne genera la sua "collocazione spirituale" nel rapporto con la sua ricezione (quindi con la nostra interiorità). Quanto detto si riferisce al processo poietico, vale a dire creativo, demiurgico. Sul piano estesico, in riferimento al processo di ricezione dell'opera, l'oggetto neutro, come oggetto sonoro tout court, si carica delle più varie dinamiche del percepito. La guerra distrugge, l'umanità e l'uomo attraversano, nel confronto col reale, un processo di modificazioni tali da rendere difficile una generalizzazione dell'effetto spirituale o interiore/psicologico nella ricezione. Credo fermamente a quanto descrive Hanslick nel Del bello in musica [Vom Musikalisch-Schönen], vale a dire che la dinamica e il movimento siano le caratteristiche del suono come pure delle emozioni. Ed è quindi grazie ad un collegamento inconscio che possiamo emozionarci all’ascolto organizzato dei suoni. In generale, possiamo dire che la musica/il suono è sempre suscettibile di caricarsi di un potere consolatorio e benefico, anche nello stimolare il ricordo di eventi del nostro vissuto”.
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MUSICA
by Alessio Certosa
Freeda HanaMi
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Freeda Hanami, al secolo Fabiana Cogliandro, è un'artista barese sorprendente e ricca di talento. E' cantante e autrice. Il suo singolo “Next to Venus” ha avuto un ottimo successo e ha colpito anche la nostra redazione di GP Magazine. Classe '81, Fabiana - Freeda Hanami arriva nel 2019 - inizia il suo percorso musicale nel 2010, dopo aver lavorato in numerosi club della movida pugliese. Nel 2011 pubblica il suo primo ep di inediti “Virgin”, con la produzione di Stefano Romano (Colore Suono), loro sono i Face. Arrivano i primi consensi e poi iniziano tante collaborazioni con producer e musicisti locali. Nel 2015 nasce il progetto “Mo/o” con la produzione di Fabrizio Santarelli per la 12Label Roma, registrando un inedito di grande valore emotivo “Feel so Easy”.
Continuando gli studi, nel 2020 partecipa a numerosi contest arrivando all’Ariston, per SANREMO ROCK, in finale nazionale. Pubblica ad ottobre dello stesso anno una compilation di brani cover Lana del Ray, The XX, Dotan. A dicembre 2021 vede la luce il nuovo lavoro “Next to Venus”: cinque brani inediti che abbracciano sonorità dance, chill e jazz. Vince il premio compilation con “Promuovi la tua musica” e viene invitata per “Innovation Music Contest” a Varese a presentare il suo inedito pubblicato il 22 dicembre 2021 'Nex to Venus' con la Maffucci Music. Il 9 aprile dello scorso anno Freeda Hanami ha aperto il concerto di Erika Mou presso lo SpazioPorto a Taranto e continua ad esibirsi in piccole tappe e piazze in giro in italia. Partecipa poi all’Openstage di Milano e fa tappa in Spagna. A settembre scorso inizia la scrittura dei nuovi brani e continua i suoi studi.
Fabiana, perché Freeda Hanami?
“Freeda Hanami nasce nel 2019 dalla voglia di trovare finalmente il mio alter ego e non cambiare più identità. Ho
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cinque cani e la mia pincherina si chiama Freeda, oltre all'amore per la nota pittrice e a tutti gli insegnamenti di vita che mi ha dato e poi mi mancava il cognome, che ho trovato per caso mentre leggevo una rivista. Vidi Hanami e pensai come suona bene, oltre a rappresentare il momento davvero suggestivo della fioritura degli alberi di ciliegio in Giappone”.
La musica ti scorre praticamente nelle vene; se dovessero farti un prelievo per analizzare il tuo sangue, cosa pensi ci possano trovare?
“Beh, tanto amore, tanta passione e tanta perseveranza. La musica va oltre la nostra volontà e ho deciso di combattere tanti anni fa e cosi sarà per sempre”. Come nasce il tuo amore per la musica?
“Nasce dalla mia famiglia, da mia madre e da i miei zii. Mia madre ascoltava i Depeche Mode, Madonna, Mango, Zucchero e pranzavamo la domenica con la compilation dei Buddha Bar a tutto volume”. (sorride) Quali generi e quali artisti ti hanno ispirato?
“Sono una 'poppettara' al 100 per cento ma amo moltissimo la wave degli anni '90. Sicuramente le miei influenze sono legate alle grandi sonorità pop di Michael Jackson, George Michael, Bruno Mars”.
Chi ti ascolta per la prima volta nota un talento particolare. Qual è l'osservazione o il complimento più bello che ti hanno fatto?
“Grazie per questo complimento. Sicuramente è legato alla mia voce. Una signora mi disse 'riesci a trasportarmi in una dimensione meravigliosa e li non penso più”. La musica, come l'arte, non ha età. Tu da quarantenne a cosa ambisci in particolare?
“Da quarantenne ambisco a rimanere e a creare canzoni sempre più belle”.
Hai iniziato il tuo percorso musicale nel 2010 e prima lavoravi nei locali della movida pugliese; ti ha soddisfatto questa esperienza?
“Sì, indubbiamente. E' lì che sono cresciuta davvero. Anni difficili che mi hanno fatto capire chi volevo essere”.
Quali sono state finora le tappe salienti del tuo percorso musicale?
“Il mio primo primo album di inediti nel 2012; ero felicissima. E poi 'Feel so Eas' nel 2017. 'Next to Venus' mi ha cambiato la vita”.
Cosa c'è della vita di Fabiana in Freeda Hanami?
“Beh, Fabiana e Freeda sono complici, amiche e Freeda ha sconfitto tutte le inutili paura che Fabiana si portava dietro”.
Parliamo del tuo singolo "Next to Venus", molto bello. Cosa racconta?
“'Next to Venus' è una storia di autoconsapevolezza, di ritorno per rimanere e di trovare il proprio centro”. Cosa c'è di nuovo, secondo te, nel panorama musicale italiano?
“La scena musicale italiana strizza l'occhio alla musica dance, al sound americano ed è proiettata al futuro. Io sono fan di Elodie, di Madame e del bel canto di Mengoni”.
Progetti futuri?
“Sì, ci sono i miei nuovi brani da far uscire, nuovi concerti con la nuova band, nuova formazione. Non vedo l'ora!”.
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scrivere un libro dal titolo 'Sì ma...il lavoro vero?'. Domanda che ci fanno quando diciamo di essere musicisti”. Dove vi esibite di solito?
“Suoniamo molto in Campania, ma, essendo il nostro un repertorio dal respiro internazionale, siamo spesso in viaggio, in Italia e all'estero”.
Qual è la sodisfazione più bella che avete ottenuto?
“Ogni volta che ci esibiamo è una gioia per noi, non misuriamo la soddisfazione dall'importanza del palcoscenico, ma dall'emozione che diamo e riceviamo. Abbiamo avuto il privilegio di calcare palchi davvero prestigiosi, ma il ricordo più commovente rimane uno spettacolo fatto a casa di una signora che viveva le sue ultime ore di vita: niente può dare più soddisfazione della spensieratezza con cui ha trascorso una delle sue ultime ore di vita”.
Il posto più originale o particolare in cui avete cantato?
“Ve ne diciamo uno recente perché è stato davvero romantico, originale, particolare: abbiamo dedicato una serenata alla futura moglie del campione Vincenzo Abbagnale sulla scalinata del Duomo di Amalfi. Davvero una serata emozionante”.
Che coppia vi definite nella vita di tutti i giorni?
“Nella vita di tutti i giorni siamo una coppia molto 'bizzarra' che si diverte molto... e fa divertire. Tanto che spesso, lusingandoci immensamente, ci accostano a Sandra e Raimondo e sulla scorta di questo, abbiamo dato vita ad una sit-comedy, con episodi di circa un minuto, in cui ci raccontiamo nella nostra vita privata e professionale 'Casa Claudio e Diana'”.
Qual è il vostro repertorio musicale?
“Noi siamo nati come duo di Pianobar. Dopo una decina di anni dai nostri inizi abbiamo scoperto un repertorio musicale che ci ha letteralmente rapiti:la Posteggia Napoletana. Ce ne siamo innamorati e da allora proponiamo serenate, con un repertorio che va dal '700 ai giorni nostri fatto di perle del repertorio classico napoletano, come Era de maggio, Reginella, Anema e core, ma anche brani di Pino Daniele, Renato Carosone e altri autori più recenti”.
Un brano che non manca mai nelle vostre esibizioni?
“Capita spessissimo che ci chiedano di fare il brano più bello che abbiamo e noi, senza consultarci, proponiamo 'Era de maggio'. Ma quasi sempre, nelle nostre serate, arriva la richiesta di un brano di Pino Daniele e noi ne siamo immensamente felici”.
Qual è la colonna sonora della vostra vita?
“Quando ci siamo conosciuti, le rare volte in cui uscivamo, facendo lunghe passeggiate sul Lungomare di Salerno, Claudio chiedeva a Diana di cantare 'Cammina cammina', un meraviglioso brano di Pino Daniele. Dunque quello è il nostro brano. Un posto speciale occupano anche, oltre a Pino Daniele, Gianni Togni e Claudio Baglioni, che ascoltavamo ed ascoltiamo spesso”.
Progetti futuri?
“Ci piace ogni tanto, dedicare un video a temi sociali che ci stanno particolarmente a cuore e così ci siamo occupati della Terra dei fuochi, della Pizza, dei Musei, del femminicidio e della pace, con un video che ha girato per noi il grande Duccio Forzano. Tra un mesetto uscirà un nuovo video nel quale ci siamo occupati del tema dell'emigrazione, dai nostri nonni ai giorni nostri, con un brano che è una colonna del repertorio classico napoletano”.
Sogni da realizzare e sogni irrealizzabili ma che cercherete in ogni modo di concretizzare?
“Nella nostra vita sia privata che professionale, abbiamo sempre avuto una cosa che ci ha accomunato: sognare. Siamo dei grandi sognatori, che poi si svegliano e mettono in campo il possibile e l'impossibile perché quel sogno si realizzi. Siamo stati talmente fortunati, ma anche caparbi ed ostinati, che si sono realizzati anche sogni che non avevamo avuto il coraggio di sognare. Tanti ne abbiamo ancora nel cassetto, ma il primo che vale sempre e per tutti, è quello di essere riusciti a vivere di musica. E poi noi abbiamo un motto sempre a mente 'E non abbiamo ancora iniziato!'”.
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