Copia omaggio
12/23 Anno 24 - Numero 268 www.gpmagazine.it
STEFANO ORADEI
LA FATICA E LA GIOIA DI VOLARE DANZANDO
EDITORIALE by Alessandro Cerreoni
GLI AUGURI 2.0 ANNO 24 - Numero 268 DICEMBRE 2023 Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 421/2000 del 6/10/2000
DIRETTORE EDITORIALE E RESPONSABILE Alessandro Cerreoni a.cerreoni@gpmagazine.it
REDAZIONE Info. 327 1757148 redazione@gpmagazine.it
TRA SMARTPHONE E APP Auguri sì, auguri no, auguri come. Siamo ormai giunti in prossimità delle feste natalizie e di fine anno e per incanto si apre la “sarabanda” degli auguri. Ovvero quell’insieme di parole che costituiscono un pensiero da mandare a qualcuno, vicino o lontano che sia, per ricordargli che è nei nostri pensieri soprattutto in questo periodo. Negli ultimi anni il modo di fare gli auguri di Natale è cambiato radicalmente con l’avvento degli smartphone e della tecnologia in genere. Al bando la classifica telefonata – che magari resiste per le persone di vecchia generazione – ecco che i social e le chat rappresentano lo strumento più gettonato per fare gli auguri, coadiuvati dalle varie gif, emoticon e le applicazioni più originali. La fantasia non manca. Quella che viene meno – e il rischio è concreto – è la fantasia nel scrivere un messaggio di auguri personalizzato o, come direbbe qualcuno, “scritto con il cuore”. Perché di auguri “pre confezionati” ne esiste una vasta gamma sul
IMPAGINAZIONE E GRAFICA
web e sui social. Quelli che basta fare “copia e incolla” per inviarli a più contatti, sperando
GP Spot
di fare bella figura e di non dimenticare nessuno. Tutto ciò è senz’altro molto meno dispendioso e più economico di una telefonata. Vogliamo mettere? In dieci minuti possiamo far
HANNO COLLABORATO Lisa Bernardini, Giulia Bertollini, Mariagrazia Cucchi, Mara Fux, Rosa Gargiulo, Francesca Ghezzani, Silvia Giansanti, Marisa Iacopino, Marialuisa Roscino, Roberto Ruggiero
recapitare i nostri auguri a dieci-venti-trenta persone, comprese quelle che ce le ricordiamo una volta l’anno. Una notifica sul cellulare e voilà ecco apparire gli auguri di chi avevamo dato per disperso ma ancora presente nella nostra rubrica. Poco importa che non siano auguri del tutto sentiti, l’importante è farli e ricevere. Come se si trattasse di un cliché a cui non si può fare a meno. Tanto che ci costa? Qualche parola messa in fila, un’immagine
SPECIAL THANKS
festosa da allegare e il gioco è fatto. E la faccia è salva.
Ai nostri inserzionisti, Antonio Desiderio, Dottor Antonio Gorini
Nel calderone degli auguri natalizi non possiamo non citare coloro che puntualmente ogni
EDITORE
“Auguri a te famiglia” firmando anche con il proprio nome e cognome. Ecco, questa è la
Punto a Capo Srl
tipologia di auguri più odiosa. Quella che ne faremmo volentieri a meno. Quella che non
anno – arrivano come i bagnoschiuma della Tesori d’Oriente – hanno l’abitudine di scrivere
meriterebbe risposta, trattandosi del classico augurio scritto e mandato simultaneamente a
PUBBLICITA’ Info spazi e costi: 327 1756829 redazione@gpmagazine.it Claudio Testi - c.testi@gpmagazine.it
STAMPA GMG Grafica Srl - Via Anagnina 361 - Roma
tutta la rubrica. Così in dieci secondi si risolve la faccenda degli auguri. Perché in fondo siamo un po’ tutti permalosi e vorremmo che i messaggi augurali siano personalizzati per ognuno di noi. Dimentichiamo che in una società che va a mille, anche scrivere un pensiero di auguri può essere di intralcio ai propri impegni, che in prossimità e durante le Feste si fanno più intensi. Lo sanno soprattutto quelli che si limitano ad un post sui social (Facebook e Instagram) convinti in questa maniera di fare gli auguri a tutto il mondo senza il rischio
Chiuso in redazione il 20/11/2023 Copie distribuite: 20.000 Contatti online: 4.500 giornalieri attraverso sito, web, social e App
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di dimenticare qualcuno. Come dargli torto? Buon Natale e Felice 2024 a tutti!
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Sommario 10 STEFANO ORADEI
18 DOTTOR ANTONIO GORINI GLI ANZIANI
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22 CLARA GUGGIARI
28 PAOLO CELLI
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34 PUJA BHAKOO
38 STEFANO TRABUCCHI
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41 MARIA PAOLA GUARINO
44 ENNIO MASNERI
49 ISABELLE ADRIANI
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52 MASSIMILIANO CAROLETTI
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54 STORIE DI RADIO ETTORE ANDENNA
56 GAIA TANI
58 IGOR RIGHETTI E IL MADAGASCAR
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EMANUELA AURELI
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PENSIERI & PAROLE by dottoressa Annarita Di Paolo (*)
“ABRACADABRA” LA MAGIA DELLE PAROLE “In principio parole e magia erano una cosa sola, e perfino oggi le parole conservano molto del loro potere magico. Attraverso le parole ognuno di noi può dare a qualcun altro la massima felicità oppure portarlo alla totale disperazione. Attraverso le parole l’oratore trascina il pubblico e ne determina giudizi e decisioni. Le parole suscitano emozioni e sono il mezzo con cui generalmente influenziamo i nostri simili”. Con questa riflessione Sigmund Freud, noto psicoanalista del ‘900, ci invita a prestare attenzione alle nostre parole e al loro potere evocativo. La parola è energia ed è generatrice di pensieri, di immagini mentali e di stati d’animo. Mediante l’uso del linguaggio possiamo rappresentare il mondo esteriore e modificare la percezione della realtà. Il potere delle parole è infinito ed è conosciuto sin dalla notte dei tempi. Una parola può cambiare un evento, una relazione, ma anche la nostra vita. Può ampliare il nostro orizzonte conoscitivo oppure può limitare le nostre scelte e possibilità. Da bambini ci hanno raccontato molte fiabe in cui vi era un mago che, in situazioni impreviste, faceva degli incantesimi semplicemente dicendo ad alta voce “Abracadabra”. Una parola di cui non capivamo il significato ma che era capace di attirare la nostra attenzione. All’improvviso accadeva qualcosa di fantastico e di straordinario che cambiava gli avvenimenti e lo scenario in cui erano immersi i protagonisti. Ancora oggi nei film della Disney ci sono spesso dei personaggi che pronunciano questa celebre formula magica per aprire una porta chiusa, per attirare circostanze favorevoli o per conferire dei super poteri a chi si trova in difficoltà.
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Ma cosa significa “Abracadabra”? “Abracadabra” ha un’origine remota ed affascinante: deriva dall’aramaico “Avrah Ka Dabra” e significa “Io creo con la parola”. Questa espressione veniva pronunciata dagli antichi mistici quando dovevano curare i dolori del corpo e dell’anima. Ci ricorda che con le parole possiamo creare opere d’arte, possiamo persuadere le persone a fare ciò che desideriamo, possiamo aiutare gli altri a sviluppare le loro potenzialità e a vivere meglio. Le parole hanno il grande potere di trasformare la realtà, i nostri pensieri e la chimica del nostro corpo: per questo possiamo parlare di “alchimia linguistica”, un’arte antica che è in continua evoluzione. Le parole sono molto importanti in quanto hanno un effetto sul nostro cervello e sulla nostra fisiologia: esse sono in grado di attivare sostanze benefiche per la nostra salute psico-fisica, come le endorfine e l’ossitocina, e farci vivere sensazioni più o meno piacevoli. Esse possono rafforzare il nostro sistema immunitario, modificare la struttura del DNA e alterare quella delle molecole dell’acqua, come ha dimostrato il grande ricercatore giapponese Masaru Emoto. Alcuni anni fa egli ha effettuato numerosi esperimenti con l’acqua sottoponendola sia alle vibrazioni di parole che hanno dei suoni armonici quali “amore”, “gratitudine”, “grazie”, sia alle vibrazioni delle parole cariche di negatività quali “odio”, “guerra”, “cattiveria”. Dopo aver inviato questi messaggi all’acqua, sia attraverso la voce che mediante il pensiero, Masaru Emoto ne ha effettuato il congelamento per ottenere dei cristalli e studiarne la peculiare struttura. Lo scienziato ha dimostrato che l’acqua che riceve parole cariche di positività è in
grado di generare dei cristalli meravigliosi, con una struttura armoniosa come quella dei fiocchi di neve. Al contrario, le parole che hanno una connotazione negativa danno vita a dei cristalli con delle strutture asimmetriche e amorfe. Questi esperimenti stimolano una profonda riflessione sul linguaggio e sul potere che le parole hanno su di noi. Considerando che il nostro organismo è costituito da una grande quantità d’acqua, e che le parole possono influenzare la struttura delle sue molecole, immagina qual è l’effetto che possono avere su di te e sugli altri le frasi che ascolti o che pronunci ogni giorno! Prima di parlare e di rispondere in maniera istintiva pensa sempre alle conseguenze che posso avere le tue parole, sia a livello emotivo sia a livello chimico e fisiologico. Il linguaggio che usiamo è l’epifania del nostro stato fisico e psichico ed è il riflesso della nostra visione o rappresentazione del mondo. Una visione che è sempre soggettiva in quanto ognuno di noi ha la sua storia personale, il suo vissuto emozionale ed ha un’esperienza originale della vita. Ogni termine che utilizzi rivela il modo in cui strutturi e vivi a livello mentale, emotivo e corporeo la realtà che ti circonda. Le parole svelano le nostre intenzioni, le nostre finalità e il nostro stato d’animo. Le parole hanno un potere straordinario. Con le giuste parole un medico può dare la speranza ad un paziente, un’insegnante può condividere le sue conoscenze con i suoi allievi, un poeta può far sognare gli amanti della letteratura. E tu puoi vivere serenamente e puoi far star meglio le persone che ami. Le parole che utilizziamo più spesso durante la giornata sono dei veri e propri mantra che agiscono su di noi in modi diversi, facendoci sentire poco vitali o aiutandoci a riequilibrare le nostre emozioni. Se ogni giorno ripeti a te stesso e agli altri frasi come: “Mi sento inutile”, “Non ce la faccio”, “Sto giù di morale”, finirai per sentirti davvero poco energico e poco motivato. Se, invece, ogni giorno utilizzi frasi come “Ho delle grandi potenzialità”, “Ce la faccio sicuramente”, “Mi sento bene”, proverai sensazioni ed emozioni che ti faranno sentire pieno di vitalità. A te la scelta. Ovviamente non basata dire solo “Sono al massimo” per stare in forma, ma è necessario anche uno stile di vita sano ed equilibrato. Le parole creano istantaneamente delle risposte emotive in chi le legge e in chi le ascolta, per questo è essenziale riflettere sul nostro dialogo interiore e sulle parole che scriviamo quotidianamente su Facebook e sugli altri social network. Esiste una stretta relazione tra pensiero, parole e azioni. Il pensiero implica l’uso delle parole, e le parole possono essere trasformate in azioni utili o meno utili a noi stessi e alla comunità in cui viviamo. Con le parole, infatti, si può anche manipolare il pensiero della maggior parte delle persone e orientare il loro comportamento in modo più o meno funzionale all’evoluzione della società. Lo sapevano bene i Sofisti, veri e propri maestri nell’arte del linguaggio vissuti nel V se-
colo a.C., che focalizzarono la loro attenzione sul potere delle parole tanto da scrivere per i politici del loro tempo dei discorsi da declamare nei tribunali. Essi furono i primi speech writers della storia occidentale e i primi “maghi” della comunicazione. Le parole possono stimolare la fantasia, descrivere scenari incantevoli e farci vivere sensazioni diverse. In questo momento immagina di essere davanti a una finestra e di guardare il mare in tempesta in un freddo pomeriggio d’ inverno. Il plumbeo cielo riempie il tuo sguardo, il suono della poggia battente rimbomba nella tua stanza mentre sei seduto sul divano. All’improvviso un lampo illumina tutto ciò che ti circonda e dopo pochi secondi senti il forte rombo di un tuono. Un brivido gelido percorre tutta la tua schiena e il tuo corpo si irrigidisce come se fosse un pezzo di legno. Ora immagina un altro scenario. Sei davanti alla finestra in una splendida giornata d’estate e i raggi di sole scaldano il tuo corpo. Dinanzi a te puoi osservare il limpido cielo ove volano aquiloni colorati che divertono i bambini. Ascolti il suono delle onde che avvolge il tuo essere mentre senti un soave profumo espandersi nella tua stanza. Sei seduto sul divano e sei leggero come una piuma che danza dolcemente nell’aria. Quale spettacolo ti comunica un maggiore sensazione di benessere? Sicuramente il secondo! E sai perché? Perché ho utilizzato parole “magiche” che evocano immagini che fanno letteralmente bene alla tua mente, al tuo corpo e alla tua anima. Scegliere con cura ed eleganza le parole che diciamo a noi stessi e agli altri è una vera e propria arte che richiede un’accurata conoscenza e consapevolezza dell’effetto che esse producono sul nostro straordinario cervello. Saper utilizzare in modo eccellente la linguistica richiede impegno e dedizione: per prima cosa bisogna studiare testi che trattano di questo argomento, poi è utile fare numerose esercitazioni e frequentare un corso per acquisire nuove ed efficaci tecniche di comunicazione. La parola è un prezioso dono che ci ha fatto l’Universo. Uno straordinario “potere” che ci è stato conferito per migliorare il mondo e la nostra esistenza. Ognuno di noi può diventare un “mago” e pronunciare “Abracadabra”. Ognuno di noi può creare sublimi realtà e incantesimi con parole sincere e gentili. (*)Trainer in Comunicazione Life & Business Coach
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COVER STORY by Rosa Gargiulo
Stefano Oradei insieme alla sua compagna Manila Nazzaro
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STEFANO ORADEI LA FATICA E LA GIOIA DI VOLARE DANZANDO A quattordici anni capisce che, tra danza e calcio, preferisce la danza. E non soltanto perché – come dice lui – “a ballare sono sempre stato più bravo”, ma perché la danza gli consente di esprimersi al massimo. Stiamo parlando di Stefano Oradei, ballerino professionista di fama internazionale, campione del mondo, e oggi affermato giudice di competizioni a livello mondiale. Il grande pubblico lo ha conosciuto grazie a Ballando con le Stelle, show storico di Rai Uno – ideato e condotto da Milly Carlucci. “Ma io sono arrivato a Ballando quando la mia carriera a livello internazionale era all’apice. Dopo la vittoria ai campionati mondiali, a Los Angeles, fui contattato da Milly, che mi volle nel programma”. Otto sono le edizioni a cui hai partecipato. Qual è la caratteristica di Ballando che ti ha appassionato di più? “A differenza delle gare tra ballerini professionisti, vincere non è la cosa più importante. I nostri allievi passavano molte ore in sala, con noi, ma i loro racconti di vita e di esperienze era un momento di grande interesse. In realtà, ci siamo raccontati tutti, non abbiamo mai pensato a preparare soltanto la performance”. A proposito del tuo percorso di ballerino professionista, quale tipo di sinergia deve instaurarsi con la tua partner? “Quando danzi a livello professionale, soprattutto per il mio target di danza, è importante condividere una progettualità, stabilire gli obiettivi da raggiungere e lavorare in team. I risultati, soprattutto a livello internazionale, arrivano quando c’è una visione condivisa e uno sforzo congiunto”. Quante ore passi in sala? “Quando danzavo, mi allenavo sei, anche sette, ore al giorno. Sei giorni su sette. Da maestro, sto in sala altrettante ore. Praticamente, grandissima parte della giornata”. Dopo aver raggiunto importanti traguardi, sei anche diventato giudice internazionale. Non è un risultato scontato. “No, infatti. Quando diventi giudice internazionale sei praticamente arrivato
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COVER STORY
al top della carriera. Non sei soltanto un ballerino professionista, ma un maestro, un tecnico con competenze tali da poter guidare altri ballerini e valutare le performance. Un percorso di crescita continua”. Da maestro, quale messaggio trasmetti ai tuoi allievi? “I ragazzi, purtroppo, pensano che arrivare al successo, alla notorietà, sia facile. Un percorso lineare. Guardano troppo i social, dando ascolto a chi promette e racconta di una carriera facile. Nel mondo della danza, in maniera particolare, il percorso è faticoso, impegnativo. Dico sempre ai miei allievi che devono avere “fame” di arrivare al risultato, non devono mai dare per scontato il raggiungimento dell’obiettivo. Devono letteralmente faticare, perché nulla viene regalato. Ma mi rendo conto che è un messaggio impopolare, eppure è la verità. Se vuoi durare, devi impegnarti”. Chi sono gli artisti che rappresentano un modello per te? “Per quanto riguarda il mondo della danza, Mirko Gozzoli, che per noi è stato un pioniere e ha influenzato il percorso artistico e tecnico di tantissimi ballerini. In assoluto, credo che il genio di Michael Jackson resti insuperato”. I colleghi che stimi in maniera particolare e con cui vorresti ballare? “Senza ombra di dubbio Raimondo Todaro, che per me è come un fratello, e che stimo moltissimo a livello professionale. I nostri percorsi non si sono mai incrociati, nonostante ci conosciamo da piccolissimi. Quando sono arrivato a Ballando, lui era già nel cast, ma la nostra amicizia va ben oltre quell’esperienza. E poi, Francesca Tocca, che ha portato in televisione (ad Amici) una danza e uno stile di altissimo livello. Bravissima ed elegante, è una professionista straordinaria”. Hai sicuramente un sogno nel cassetto: ce lo racconti? “Quest’anno ho realizzato un grande sogno, quello di portare la danza internazionale a Roma, in un grande monumento. È successo, grazie a Volare, la gara a cui è seguito uno show dance e una cena di gala, che è stato molto faticoso organizzare, ma sono riuscito a creare un evento unico nel suo genere, nello scenario suggestivo dell’acquario romano. Nel cassetto c’è il sogno di fare radio, come sto già facendo, continuando a parlare di danza. Mi piacerebbe ampliare e strutturare un programma ancora più completo. E poi, magari, un programma televisivo”. E il calcio? “Ho sempre continuato a giocare, il calcio resta una grande passione. Da dieci anni faccio parte della Nazionale Attori, con cui abbiamo l’oppor-
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tunità di promuovere eventi e campagne di solidarietà”. Cosa ti rende felice, oltre la danza? “La mia compagna, Manila Nazzaro, con cui sto vivendo un sentimento bellissimo e profondo. Ci godiamo questo momento prezioso, giorno per giorno, che ci fa sentire completi”.
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ZOOM by Marialuisa Roscino
Stress da lavoro e aumento dei disturbi alimentari: colpiscono anche chi studia Ne parliamo con Adelia Lucattini, Psichiatra e Psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalytical Association
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Dottoressa Lucattini, quali sono i principali fattori che contribuiscono all'aumento di sindrome da burnout tra i lavoratori e giovani che studiano? “Alcune delle cause che portano allo stress da lavoro sono gli eccessivi carichi lavorativi e i problemi relazionali sul posto di lavoro che causano un inevitabile esaurimento psicofisico, poiché sono microtraumi quotidiani “cumulativi”. Nello specifico, le smisurate incombenze lavorative protratte nel tempo, la mancanza di controllo sul proprio lavoro soprattutto in presenza di mansioni non chiare, il distacco dall’ organizzazione a cui si appartiene, l’isolamento o il mancato inserimento in un gruppo di lavoro e un basso senso di appartenenza; un clima teso e rancoroso tra colleghi in assenza di un ambiente organizzativo normalmente supportivo, necessario per detendere le situazioni stressanti; l’insicurezza lavorativa che va dalla preoccupazione di perdere la propria posizione (demansionamento) alla paura di perdere il lavoro; e infine il mancato di riconoscimento del lavoro svolto, delle capacità e dell’impegno profuso, sono tutti fattori che generano disagio psicologico, stress e burnout”. Quanto incidono ambiente di lavoro e ruolo del datore di lavoro? “In questo, vi è sempre una responsabilità, anche se non sempre consapevole, del datore di lavoro e di coloro che sono incaricati della gestione dei lavoratori. A parte la personale tendenza al perfezionismo del lavoratore o la sua idealizzazione del lavoro, il non saper valorizzare l’impegno e indicare strategie alternative, ha un ruolo determinante. Alcuni studi riportano che talvolta, i motivi della cattiva gestione del personale può essere dettata da una conoscenza limitata delle situazioni che portano allo stress lavoro-correlato, delle sue dinamiche psicologiche individuali e gruppali. Altre volte invece, dettata da situazioni oggettive, sovraccarico di lavoro per mancanza di personale, ad esempio, che va oltre le capacità oggettive del datore di lavoro. Il burnout non esiste fuori dal lavoro, è una sindrome, una malattia lavorativa a causa delle difficili condizioni di lavoro e della mancanza di strategie preventive”. In che modo lo stress da lavoro e gli alti standard accademici influenzano nei giovani con il cibo e l'immagine corporea? “Lo stress da lavoro e la pressione psico-emotiva dovuta allo studio, oggi possono colpire a tutte le età. Questa crescente tensione ha un impatto diretto sulla salute mentale e fisica delle persone e può favorire l'insorgenza di disturbi alimentari. Infatti, lo stress intenso e prolungato, sul lavoro o nello studio, possono generare binge eating, anoressia e bulimia. Molte persone trovano nel cibo conforto e consolazione, soprattutto nei dolci che, com’è noto, per la presenza di zuccheri raffinati danno un flash, un benessere mentale, in parte assimilato a quello procurato da alcune droghe. Inoltre, l’introduzione eccessiva o insufficiente di cibo, è anche una forma di controllo delle ansie persecutorie (che vengono metaforicamente “divorate” nella bulimia) o tenute a distanza (nell’anoressia o scarsa alimentazione), aggravando ulteriormente il problema psicologico e depressivo, proprio per l’eccessivo aumento o drammatica perdita di peso, con un’inevitabile cambiamento della propria immagine corporea e della rappresentazione di sé”. Perché, a suo avviso, in queste situazioni è determinante una diagnosi precoce e l’intervento soprattutto all’interno delle equipe multidisciplinari? “Più difficilmente il burnout colpisce lavoratori autonomi, poiché una componente fondamentale nel suo instaurarsi, sono l'istituzione e il gruppo di lavoro. Inoltre, i lavoratori autonomi riescono a trovare una sorta di autoregolazione, mentre nel lavoro istituzionale, in gruppo o in equipe multidisciplinare, i lavoratori ricevono moltissime pressioni e poche gratificazioni. Per una buona attività di equipe, è necessario che i dirigenti si impegnino attivamente per favorire una comunicazione che apra al confronto e impedisca scontri improduttivi”. Quali sono i segnali precoci a cui i genitori e i giovani dovrebbero prestare attenzione per rico-
noscere l'insorgenza di un disturbo alimentare o l'aggravamento di uno già esistente? “I disturbi alimentari collegati allo stress da studio e lavorativo non sono quasi mai causati da disturbi psicologici preesistenti. Vi è una correlazione diretta tra tempi e ritmi di studio, cambiamento dello stile di vita, isolamento, sedentarietà e modificazione delle abitudini alimentari”. Può condividere qualche consiglio pratico su come genitori ed educatori possono supportare i giovani nell'affrontare lo stress e prevenire i disturbi alimentari? “Per prevenire i disturbi alimentari da burnout è necessario intercettare precocemente la depressione e prestare molta attenzione al cambiamento delle abitudini, anche in studenti che già abitualmente siano molto dediti e poco inclini ad uscire o a fare vita sociale. Si nota una esacerbazione di questa tendenza una ulteriore chiusura e soprattutto una progressiva difficoltà ad andare a studiare e a sostenere gli esami, più in là diviene evidente il ritardare la compilazione della tesi o rinviare le revisioni da parte del proprio professore”. Che ruolo può giocare lo sport in queste situazioni? “Lo sport può prevenire il burnout, sia perché vi è uno scarico della tensione sia perché è gratificante, mette inoltre in contatto con il proprio corpo e favorisce la produzione di endorfine endogene. Inoltre, aumenta la socialità al di fuori del posto di lavoro o dell'università. Una volta però che si sia instaurato il burnout, questo va curato con una terapia psicoanalitica, talvolta sono necessari anche farmaci prescritti dallo psichiatra. Solo quando la persona comincerà a rimettersi, comincerà o riprenderà a praticare sport. È noto che la depressione causa stanchezza fisica e mentale, per cui è complicato praticare uno sport quando si sta male, ma prima che questa si instauri o quando sta scomparendo certamente è un'attività consigliata, qualunque sport va bene, ciò che conta è che piaccia e lo si pratichi con piacere. Poiché chi soffre di burnout si sente insicuro ed è schiacciato da un senso di inadeguatezza, chiaramente lo sport non può essere imposto, può essere indicato ma poi deve essere scelto”. Qual è l'importanza di una comunicazione aperta e di un valido supporto psicoanalitico per coloro che stanno lottando con i disturbi alimentari causati dallo stress da lavoro e dagli studi? “È cruciale che le persone riconoscano i sintomi tempestivamente e cerchino aiuto sempre, affinché
la situazione non si cronicizzi. Gli effetti del burnout si instaurano lentamente, ma persistono a lungo, se non affrontati, compresi i disturbi alimentari che ne derivano andando ad aggravare la situazione. Il benessere psicologico e la salute mentale devono essere sempre una priorità, sia sul posto di lavoro, che nelle Università. Il sostegno psicoanalitico è un aiuto valido in ogni momento di difficoltà ma nel burnout, è indispensabile, poiché non è un disturbo che regredisce da solo, neppure in persone che precedentemente godevano di buona salute psicofisica. Una volta che i sintomi siano comparsi e i disturbi alimentari stabilizzati, è necessario ricorrere alla consulenza psicoanalitica per valutare un trattamento psicoanalitico breve (incentrato sul problema del burnout) o prolungato. Nella terapia psicoanalitica si lavora sul “qui et ora”, sui problemi e le difficoltà del momento e al tempo stesso, si affrontano gli aspetti inconsci del proprio disagio, in modo da conoscersi sempre meglio e col tempo affrontare autonomamente le proprie difficoltà”. Quali consigli si sente di dare in particolare ai giovani che si sentono sotto stress e che riversano il loro disagio attraverso un’alimentazione non equilibrata? “Chiedersi che cosa sta succedendo e quali siano le ragioni profonde dietro il disordine alimentare; Utilizzare le “crisi” (abbuffate, vomito e dieta estrema) per rendersi conto che i livelli di stress e disagio sono alti e fuori controllo; Comprendere che il cibo non è mai il problema, l’equilibrio interiore è la base di un’alimentazione equilibrata; Prestare attenzione ai ritmi di studio e di lavoro, est modus in rebus, mai eccedere rinunciando definitivamente a amicizie, sport e svago. Un conto sono “le chiuse” a tempo sotto esame, un altro conto chiudersi in se stessi e nella propria stanza; Nel lavoro come nello studio è necessaria passione, dedizione e impegno, quando però queste qualità vengono svalutate, ignorate o derise, è necessario parlarne subito con qualcuno di fidato, con i genitori, gli amici e i professionisti per non cadere nella trappola dell’aumentare l’impegno che giorno dopo giorno porta al burnout; Sapere che la prevenzione è l’arma migliore per il proprio benessere psicologico e fisico, intervenire pertanto, il prima possibile, alle prime avvisaglie di disagio o disordine alimentare. Consultare uno psicoanalista con cui definire la situazione che si sta vivendo e sciogliere la sofferenza, affrontando i nodi interiori per ritrovare efficienza e serenità”.
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SALUTE & BENESSERE by Alessandro Cerreoni
ANZIANI L’importanza di un sano “invecchiamento” Che cos’è l’invecchiamento? E’ possibile invecchiare con una buona salute? Cosa è necessario fare a livello di prevenzione? Come sono cambiate le condizioni psicofisiche degli anziani? Ne parliamo con il dottor Antonio Gorini (*) un medico che ha scelto la mission professionale di mettere al centro la persona nella sua complessità e trovare la cura che sia personalizzata e volta a ristabilire uno stato di salute prolungato L'Italia è una popolazione che come età media tende all'invecchiamento. A livello di salute e patologie quali criticità può determinare ciò? “L'invecchiamento è un processo fisiologico cioè naturale. Un invecchiamento accelerato può essere un problema e ciò è dovuto principalmente ad un aumentato stress ossidativo delle cellule che lavorano male perché intossicate da inquinamento, cibi scadenti, stress, alcol, fumo, ecc. Invecchiare in salute è, pertanto, possibile. Nella maggior parte dei casi si invecchia con qualche acciacco più o meno serio. Ciò che sta aumentando sono le malattie cronico-degenerative come quelle cardiovascolari, le demenze, le forme di Parkinson, le malattie metaboliche come diabete e ipotiroidismo, artrosi e disturbi osteomuscolari”. Essere anziani oggi, come ci si può mantenere in salute e in un equilibrio psicofisico ottimale? Soprattutto è possibile? “E' possibile! Bisogna iniziare a "trattarsi bene" prima di rendersi conto che siamo arrivati a 70 anni o più... La vera prevenzione di un sano invecchiamento inizia in gioventù, o comunque prima dei 60 anni. Per prima cosa bisogna avere consapevolezza di ciò che ci riempie di gioia le giornate, il nostro scopo di vita, le nostre passioni ed a queste dedicare più tempo possibile. Mantenere sempre un contatto con la natura. Passeggiare all'aperto, godersi boschi e montagne, il mare, gli animali, le piante... anche fare giardinaggio è una splendida attività... Recuperare un rapporto con l'Arte in tutte le sue forme, musica, teatro, pittura, scultura, ecc... Con il "bello", che l'arte rappresenta. Fare attività fisica: il movimento è vita! Prendersi del tempo per "essere" nel silenzio! Mangiare alimenti il più naturali possibili, cioè quelli meno manipolati dall'industria alimentare. Arricchire la dieta di alimenti antiossidanti. Potete trovare sul web l'elenco degli alimenti divisi per indice ORAC, che indica il potere antiossidante (più alto è il numero e maggiore è la capacità antiossidante di quel prodotto). Ossigenare bene i tessuti facendo esercizi di respirazione e bevendo sufficiente acqua. È l'acqua che trasporta l'ossigeno alle cellule. Compensare con intelligenza gli acciacchi facendo uso di rimedi naturali”. Ritiene che il sistema sanitario e i medici siano pronti a sostenere la salute della popolazione anziana andando anche oltre i protocolli standard? “La storia recente ha dimostrato la disorganizzazione nella maggior parte d'Italia del sistema sanitario. Afflitto da decenni di mala-politica, taglio finanziamenti e riduzione all'osso del personale è già un miracolo che riesca a fare fronte alla quotidianità. L’ultraottantenne viene poco considerato nel processo di cura perché oramai troppo anziano e viene gestito con sufficienza e superficialità nella maggior parte dei casi. Si procede con la iper-prescrizione di farmaci per contrastare gli effetti della vecchiaia e poco altro si fa. Già più di 10 anni fa una ASL di Torino creò un ambulatorio per ridurre le terapie mediche delle persone, per lo più anziane, che per vari motivi arrivano ad assumere in media 14-18 medicine al giorno, spesso con interazioni tra loro e assunte da anni senza verifica della loro utilità. In primis servirebbe una respon-
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sabilizzazione della popolazione che deve prepararsi all'invecchiamento prima di arrivarci. Se si arriva mal ridotti ad età avanzate è sicuramente più difficile correggere il tiro. In secundis bisognerebbe avere una classe medica preparata ad una visione d'insieme del paziente in modo da capire il fil rouge che lega diverse problematiche e curare, non solo con farmaci, la problematica di fondo. Infine, ma non per importanza, servirebbe un investimento dello stato su terapie occupazionali e riabilitative, educazione alimentare e sulla salute in generale, una rete di assistenza sul territorio per le fasce deboli. Se ne parla da decenni, ma avviene sempre il contrario”. E' ancora necessaria la figura predominante del geriatra o se oggi è importante affiancargli anche altri specialisti? “Il geriatra e l'internista sono le figure che dovrebbero avere una visione integrale della persona. A loro richiesta possono intervenire altre figure a seconda delle necessità. A mio avviso sarebbe prioritario l'utilizzo di nutrizionisti, fisioterapisti e preparatori atletici, oltre agli specialisti per patologia”. Quali sono le carenze che possono mettere a rischio la salute di un anziano? “Principalmente la carenza di movimento, di socialità e di malnutrizione. La solitudine è terribile per tutti figuriamoci per un anziano con limitate capacità di movimento. Spesso la dieta è carente e predilige i carboidrati, più economici e più facili da cucinare, quando in realtà l’anziano ha meno bisogno di questi e più di proteine, vitamine e minerali”. Il ruolo della medicina integrata e complementare nella formazione di uno stato di salute ottimale nella persona anziana qual è? “Fornisce i nutrienti mancanti, consiglia la giusta alimentazione e fornisce le terapie naturali migliori. L’anziano spesso è intossicato da molti farmaci chimici e ne soffre le interazioni e gli effetti avversi. Per non parlare di alcune categorie di pazienti che devono evitare alcuni farmaci per le loro condizioni di base. I rimedi naturali liberano dalle tossine e sono validi sostituti di numerosi farmaci chimici senza avere effetti indesiderati, se prescritti da un medico competente in materia. Ciò che è alla base dell’invecchiamento, l’infiammazione e lo stress ossidativo, viene, infine, contrastato da numerosi ed efficaci rimedi naturali”. Secondo lei sono cambiate le condizioni di salute media degli anziani in quest'ultimi 10-15 anni? In meglio o in peggio? “Soprattutto gli ultimi tre anni hanno dato una spinta certamente negativa sulla salute di tutta la popolazione e in particolare degli anziani, che si sono visti terribilmente isolati, minacciati da “morte imminente” per un virus respiratorio, che sembrava attenderli ovunque, fin sul corrimano delle scale o sul bancone del bar… Lo stato ansioso indotto e l’isolamento hanno creato un cocktail disastroso per la salute, unitamente a terapie spesso non idonee e spesso causa di squilibri generali come deficit del sistema immunitario, aumento dell’acidosi metabolica, della glicemia, una perdita di muscolatura, ecc, ecc. Questi squilibri non venivano/vengono corretti e alla lunga provocano enormi problemi alla popolazione anziana.
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SALUTE & BENESSERE
brio tra tutte le sue funzioni, si è adattato al suo lavoro, al suo stile di vita, ha trovato compenso ai piccoli disagi come un ginocchio malconcio o una digestione più lenta… Andare a toccare un equilibrio così delicato richiede esperienza e buon senso. Non si deve intervenire bruscamente e a gamba tesa per modificare questi equilibri. Non è mai vantaggioso. Per questo anche l’uso di farmaci chimici che bloccano vie di funzionamento biologico andrebbe valutato molto bene, considerando anche che l’anziano elimina più lentamente il farmaco, quindi, richiede, spesso dosi minori. La tossicità delle terapie con molti farmaci è frequente, pertanto, consiglio sempre, dove possibile, di sostituire la chimica industriale con farmaci naturali, molto più sicuri e tollerati. Ad esempio, invece dei classici antidolorifici/antinfiammatori, il cui uso è spesso abusato, possiamo utilizzare rimedi a base di curcumina, boswellia e arnica”. Agli anziani per aiutarli a stare meglio si consiglia di bere tanto ma loro il più delle volte si dimostrano riluttanti, perché questa fatica a bere e soprattutto quanto è importante per loro bere? “La nostra cultura insegna a bere quando sentiamo lo stimolo della (*) Il dottor Antonio Gorini è esperto di Nefrologia, Oncologia Integrata, Medicina sete. In realtà, dovremmo bere a Funzionale di Regolazione, Low Dose Medicine, Medicina Integrata, Fitoterapia, prescindere, all’incirca un bicchiere Omeopatia e Omotossicologia, Microimmunoterapia, Ossigeno Ozono Terapia, di acqua ogni ora. L’acqua è vita! Statistica della Ricerca e Pratica Clinica, Agopuntura. Trasporta l’ossigeno alle cellule e E’ docente presso l’International Academy of Physiological Regulating Medicine porta via le tossine, inoltre, è alla base della maggior parte delle reaQuello che osserviamo negli ultimi due anni sono zioni chimiche dell’organismo e costituisce la gran anziani con situazioni infiammatorie molto forti, pegparte del nostro volume corporeo. L’anziano in gegioramento delle situazioni cliniche precedentenere mangia meno e beve meno perché è più semente stabili, un invecchiamento accelerato. dentario, svolge una vita con minori consumi. Già Pertanto, a maggior ragione dovrebbe diventare beveva poco prima, figuriamoci ora… Serve un camprioritario per le politiche nazionali l’impegno per bio di cultura sulla corretta idratazione sin dalla migliorare lo stato di salute della popolazione”. giovane età, allora porteremo questa sana abitudine Spesso il rapporto anziani-medicine è un po' anche nell’età d’argento”. complesso, nel senso che si tende a seguire Via Archimede 138 - Roma stereotipi e luoghi comuni che negli anni sono Info. 06 64790556 (anche whatsapp) stati superati dalla presenza di integratori utili www.biofisimed.eu per il loro benessere. Perché questa comples- antonio.gorini@biofisimed.eu sità? www.miodottore.it/antonio-gorini/internista-ne“L’anziano negli anni ha trovato un delicato equilifrologo-omeopata/roma
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FASHION by Daniele Pacchiarotti
CLARA GUGGIARI “RICOMINCIA LA STAGIONE DELL’ALLENAMENTO INTENSO E DELLE LUNGHE PASSEGGIATE” Clara, bentornata su GP Magazine. Ti abbiamo lasciata in piena estate e ora siamo in autunno, cosa rappresenta questa stagione per te? "Come sapete tutti ormai mi conoscete, amo troppo l'estate e in autunno cerco di portarla un po' con me, cercando di essere il più possibile nei dettagli coloratissima". Ricomincia la stagione dell’allenamento intenso, cosa fai di particolare? "Come ho sempre detto uso l'autunno per allenarmi con movimenti aerobici, lavorando in una palestra mi alleno fortemente tutto l'inverno per sfoggiare la tonicità del mio corpo vedendone risultati in estate". Come ami trascorrere le tue giornate libere autunnali? "Abitando in campagna amo fare delle lunghe passeggiate tra la natura le foglie cadute a terra e stare al sole con il mio pony Gherta ed il mio cavallo Jhony". Che tipo di abbigliamento prediligi indossare? "Amo indossare giacche con pellicciotti (rigorosamente sintetici perché sono contro la vivisezione degli animali) jeans e stivali, per quanto riguarda i colori rigorosamente nero la gamma dei blu ma ritagliando dei particolari fortemente colorati". Cosa fai per non incappare nelle prime influenze? "Faccio molto allenamento riscaldando il mio corpo e delle docce calde con particolare attenzione agli
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sbalzi di temperatura e bevendo del tè verde e delle tisane la sera". Godiamoci per quel che si può le prossime stagioni fino ad aspettare tutti insieme la tua amata estate… "Ma sì... Ci saranno dei momenti magici in tutte le stagioni ma come sapete io aspetto di immergermi nuovamente nella mia amata calda solare estate un bacio a tutti i lettori di GP Magazine dalla vostra Clara!". © Foto di Melissa Fusari
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FASHION by Luca Dell’Oro
Ha iniziato il lavoro di fotomodella due anni fa, shooting dopo shooting Patrizia ha preso sempre più confidenza con la macchina fotografica fino a riuscire ad esprimere tutta sé stessa e tutte le sue emozioni. Origini peruviane ma nata e cresciuta a Roma, studentessa universitaria col sogno di far strada sotto i riflettori, Patrizia è una ragazza che grazie alla fotografia ha vinto la timidezza ed ha saputo esprimere tutta la sua femminilità. Bella, elegante e mai banale, il mondo della fotografia le ha spalancato le prime esperienze anche in campo televisivo cinematografico: piccole opportunità per capire che il futuro è ancora tutto da scrivere… Come mai ti sei avvicinata al mondo della fotografia? “Navigando sui social notavo sempre più di frequente persone che conoscevo con fotografie professionali: mi sono detta… devo provarci anche io! Così, due anni fa, quando avevo solo 21 anni, mi sono buttata. Ho realizzato il mio primo shooting con Flavia Castorina e ho iniziato a postare questi scatti sui social: a seguito di questo mi hanno iniziato a contattare diversi fotografi e da li è iniziato tutto, nuovi contatti e nuovi set”. Posare è diventato man mano sempre più naturale. “Proprio così: la fotografia mi ha aiutata a vincere la mia naturale insicurezza: prima ero molto timida, oggi sono più propensa a mettermi in gioco. Ho posato per numerosi fotografi, colgo l’occasione per ringraziare Emanuele Tetto, Fabrizio Cocci, Pino Amici, Michelangelo Giammetta, Omar Choudhry, Umberto Puiatti, Antonio Angelelli e Alessandro Gori per avermi dato la possibilità di
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PATRIZIA CASSA LA FOTOMODELLA ITALO-PERUVIANA
collaborare con loro. Esperienze belle, emozionanti e davvero appaganti. Lo confesso: davanti all’obbiettivo ormai mi sciolgo, sembro un’altra persona!”. Come ti vedi nelle tue fotografie? “In alcune foto dico… “wow, ma sono proprio io quella ragazza!”, altre in cui so che devo migliorarmi. Ma in generale sono soddisfatta del percorso intrapreso. In ogni mio scatto, voglio far emergere l’eleganza che, a mio modo di vedere, è la capacità di saper stare in ogni contesto nel modo giusto”. Non solo fotografia… “Ho fatto qualche comparsa per una seria tv che uscirà su Netflix nel 2024 e sono stata parte attiva in un programma televisivo. Ho mosso qualche passo fra cinema e tv, è un mondo che mi piace, dove vorrei crescere”. La tua immagine conquista anche i social. “Sui social mi piace mostrarmi sicura di me stessa, orgogliosa della mia immagine, condividere la mia solarità e postare poesie, frasi, aforismi. Oltre alla mia immagine, mi piace condividere contenuti che possano stimolare la riflessione personale”. Parliamo proprio di te… lontana dai riflettori. “Mi considero una ragazza socievole, altruista, generosa, gentile, dolce… ma se serve so di essere determinata e egoistica. Ogni tanto mi piace catturare l’attenzione, facendo emergere quel pizzico di vanità che mi caratterizza! Nel modo di vestire invece mi piace essere semplice, genuina, acqua e sapone: anche in questo caso, quando serve, so come mostrarmi elegante! In più, è impossibile chiedermi di stare ferma: ho praticato tanto sport, ho suonato batteria, chitarra e pianoforte, ho seguito corsi di recitazione… ho sempre cercato quel che mi piaceva fare”. Insomma, hai voglia di proseguire su questa strada. “Mettermi in gioco non è stato facile, ma ho anche avuto il sostegno delle mie amicizie che mi hanno sempre detto di proseguire in questa direzione. Apprezzo le critiche costruttive, so che devo impegnarmi molto per raggiungere gli obiettivi che mi sono prefissata. Con tanto impegno e costanza, una passione può trasformarsi poco per volta in un lavoro: basta solo crederci, non abbattersi e non mollare mai”. Dove ti immagini fra dieci anni? “Spero di aver realizzato i miei sogni, di essermi laureata, di avere un mio lavoro e di essermi sdebitata con i miei genitori che mi sono sempre stati molto vicini. Ma mi piacerebbe anche aiutare chi ha più bisogno di me e di aver scritto un libro, un altro mio sogno nel cassetto”. Contatti Social https://www.instagram.com/patrizia_cassa Crediti fotografici Ph. Fabrizio Cocci Ph. Alessandro Gori Ph. Pino Amici Ph. Umberto Pugliatti
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GUSTO by Fabio Campoli - prodigus.it
Natale: La tradizione del cottìo A Roma in passato la vigilia di Natale era caratterizzata dal fatto che sin dalle prime luci del 23 dicembre (antivigilia) e fino alla mezzanotte o quasi del 24 era tradizione recarsi al mercato del pesce (che si teneva al Portico d’Ottavia, in Piazza del Pantheon e in via del Panico), elemento cardine del cenone della vigilia di Natale, che doveva essere assolutamente di magro (come in tutti i territori della cristianità). Vi si andava per comprare anche altri alimenti, ma il re per quella giornata era senza dubbio il pesce: i venditori organizzavano una vendita all’asta per quello che arrivava fresco da Anzio, Nettuno e Civitavecchia, e questa occasione veniva chiamata dai romani cottìo (la parola deriverebbe dal latino medievale coctigium). Data la materia prima protagonista del giorno, i prezzi erano ovviamente piuttosto elevati, per cui di solito al cottìo (almeno nelle ore iniziali e centrali, quando la vendita era più attiva e frenetica) si recavano nobili e membri di classi più abbienti in prima persona (talvolta con tutta la famiglia ben vestita, in quanto il cottìo era ritenuto una vetrina sociale, in cui ostentare la propria ricchezza), oppure inviando i loro incaricati di cucina a relazionarsi con i cottiatori (così venivano chiamati i battitori dell’asta). I popolani erano sì presenti, ma più che altro assistevano allo spettacolo di un ambiente colorato, rumoroso e allegro (perché il cibo è allegria) mentre da tradizione cristiana attendevano il Natale digiunando, prima di affrontare tutti quei giorni in cui la tavola sarebbe stata diversa (ricca o povera che fosse) da quella della quotidianità di ciascuno. Nelle trattative con i cottiatori, esisteva un gergo noto solo a chi vendeva e a chi comprava, ma quasi sconosciuto ai non compratori o agli avventori occasionali. I meno abbienti si avvicinavano ai banchi per acquistare solo verso la fine dell’asta, per trovare il pesce che gli altri avevano disdegnato, e che veniva venduto a basso prezzo perché scadente o danneggiato. Tutto questo accadeva mentre nella vigilia di Natale si offriva un digiuno che durava fino a sera al Bambino Gesù che stava per nascere, quando veniva allestito il cenone vero e proprio della vigilia. Si trattava comunque delle ore finali di quel giorno particolare e, come indicato dal clero con specifiche disposizioni per i fedeli, il 24 dicembre si rinunciava a tutto ciò che in cucina prevedeva l’uso di carni e derivati, indirizzandosi sul pesce fresco e su quello conservato (come baccalà e aringhe, acciughe sott’olio o sotto sale, misture di novellame marinato o fritto e condito con aceto, olio e peperoncino, ed altre prelibatezze simili), sulle verdure di stagione (cavoli, broccoletti, erbe spontanee commestibili come cicoria, tarassaco, rucola, bietola selvatica, oltre a cardi, carciofi, patate per una ricca frittura tradizionale alla romana - e
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non solo), sulle olive conciate in vario modo (sotto sale secco o in una salamoia acquosa e aromatica grazie all’alloro e alla mortella aggiunte, o cotte al forno e appena raggrinzite) o ancora sulla frutta (servita a Roma anche fritta in pastella, come le mele). Ovviamente il cenone dei nobili e degli alti prelati era ben diverso: sulla tavola della vigilia di Natale non poteva mancare il pesce fresco pregiato e costoso (specialmente tonno, anguille e capitoni). Ma non solo, perché oltre al pesce nei loro banchetti si abbuffavano anche con funghi, olive grosse e dolci, frutta locale di prima scelta (mele, pere, melagrane), frutta secca, frutta candita presente nei dolci insieme a quella secca, nonché dolci ricchi di spezie e zucchero o miele (un tempo particolarmente costosi) e buon vino. Anche il buon olio d’oliva ovviamente non poteva essere assente (mentre le classi più povere utilizzavano prettamente pancetta, sugna, strutto e lardo), e sembra che non mancassero piatti di carne bianca, rifuggendo da ogni precetto religioso… nel tentativo di non sentirsi troppo in colpa. L’unica consolazione certa per coloro che si recavano al cottìo senza avere purtroppo la possibilità di acquistare (e non solo loro) era quella di poter mangiare gratis un cartoccio di pesciolini fritti, di tradizione offerto dagli stessi venditori del pesce. Oggi il cottìo vero e proprio a Roma non esiste più, ma resta un gran bel ricordo di una tradizione non di rado rievocata in sagre e manifestazioni del periodo nella Capitale e nei suoi dintorni.
La ricetta del mese: Fritto misto alla Romana Ingredienti per 6 persone: Carciofi, 4; Cavolfiore, 200 g; Broccolo romanesco, 200 g; Patate, 300 g; Cipolle, 150 g; Mela, 1; Olio per friggere Per la pastella: Farina 00, 250 g; Albumi, 2; Lievito di birra, 5 g; Acqua tiepida, 300 ml; Olio extravergine d’oliva, 2 cucchiai; Sale, 5 g Preparazione: Per ottenere la pastella, disciogliete il lievito nell’acqua tiepida, per poi incorporare la farina, lavorando il composto velocemente. In ultimo, aggiungete l’olio e il sale e lavorate ancora per il tempo minimo necessario all’assorbimento degli ingredienti. Coprite la pastella con pellicola per alimenti in superficie e lasciatela riposare a temperatura ambiente per 2 ore. A parte, preparate le verdure per la frittura: tagliate le cipolle a rondelle e la mela sbucciata a spicchi, conservando poi ciascun ingrediente separatamente immerso in acqua fredda in frigorifero (occorrerà scolare e asciugare bene il tutto prima di procedere alla frittura). Mondate poi cavolfiore e broccolo ricavando delle cimette, tagliate a fette le patate e ottenete i cuori dei carciofi tagliandoli poi in sesti. Sbollentate separatamente uno per volta questi ingredienti in una pentola con abbondante acqua salata, per poi lasciarli scolare, freddare e asciugare bene su una teglia. Quando la pastella sarà ben lievitata, montate gli albumi a neve e incorporateli delicatamente al suo interno. Infarinate leggermente le verdure, rimuovendo la farina in eccesso con l’aiuto di un setaccio. Quindi, immergete le verdure nella pastella e friggetele in immersione in abbondante olio bollente. Si consiglia di mettere in cottura prima le verdure dal sapore più delicato, come le mele e le patate, per poi procedere con i carciofi, cavolfiori e broccoli e infine le cipolle. Scolate il fritto su un foglio di carta assorbente, e servite come contorno o gustoso antipasto.
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STORIE DI GUSTO by Silvia Giansanti
Paolo Celli con Claudio Germanò
PAOLO CELLI DA CHEF DEI VIP AL PROGETTO DI DIFFONDERE IL MADE IN ITALY NEL MONDO Lui è il noto chef delle star. Ha trascorso una vita davanti ai fornelli deliziando palati famosi. Adesso il suo intento è quello di riportare in auge la cucina di una volta, quella semplice La sua storia è una sorta di favola, tutto è iniziato casualmente senza volerlo. Paolo Celli, classe 1941, è nato a Montecarlo, un paesino in provincia di Lucca. Il fatto di voler uscire a tutti i costi dal paese, gli ha permesso di avere qualcosa di inaspettato. A quattordici anni era già davanti ai fornelli a spadellare per Wanda Osiris. Oggi è una persona di altri tempi, educato, garbato e molto disponibile. Ha progetti interessanti, va avanti nonostante qualche annetto e qualche acciacco. Vorrebbe che i ristoranti riproponessero le prelibatezze di una volta. Ha fondato un ristorante e ha scritto un libro “Paolo Celli istrione e chef delle stelle”, uscito due anni fa. Paolo, quali sono le tue origini e dove nasce la tua passione per la cucina? “Sono nato in Toscana nel 1941 e più precisamente a Montecarlo in provincia di Lucca. Da piccolo avevo sempre voglia di uscire fuori dal paese perché mi stava stretto. La domenica lavoravo al cinema vendendo caramelle e gelati allo scopo di vedere i film gratis. Restavo affascinato da quei grandi attori che piacevano tanto alle donne. A scuola ero l'ultimo della classe e, venendo messo da parte, mi dovevo inventare qualcosa per emergere. Dopo la quinta elementare mi trasferii a Torino a lavare i piatti in un ristorante che era di proprietà di gente del mio paese d'origine. Dopo un anno mi suggerirono di rubare il mestiere di chef con gli occhi. All'epoca veniva fatto tutto in gran segreto. Così feci, e una sera casualmente il cuoco si ammalò. Il caso volle che doveva venire a cena per una settimana tutta la compagnia di Wanda Osiris che era in tour. Che fare? Mi feci avanti per cucinare ma la proprietà era titubante”. Come andò? “Benissimo. Addirittura si complimentarono tutti con me. Ma non sapevano che in cucina si celava un ragazzino di quattordici anni. L'ultima sera proprio la Osiris, dopo aver gustato i ravioli al barolo, le lumache alla parigina e la fonduta con tartufi, volle entrare in cucina. Rimase così sbalordita, tanto che mi volle al suo servizio. Esclamò 'Ma è un bambino!'. Da quel momento è scattato tutto”. Tu credi nel fatidico momento giusto?
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Paolo Celli (a sinistra) con Francis Ford Coppola nel 2004
Paolo Celli ospite da Maurizio Costanzo Show nel 1984
Paolo Celli chef supervisore di una catena di ristoranti in Russia nel 2018
Paolo Celli con l’attrice statunitense Talia Schire, Adriana nel film “Rocky”
“Assolutamente sì. Non volendo, con una pura casualità è andata alla grande”. Quanto guadagnavi? “Cinquemila lire al mese, che a quei tempi era una bella cifra”. Quando ti sei trasferito a Roma? “Nel 1955 andai a lavorare in un ristorante-pizzeria dove facevo sia il cuoco che il cameriere. Ho avuto la grande occasione di conoscere Frank Sinatra e Raffaella Carrà, che vennero a mangiare insieme. Con lui nacque un'amicizia, soprattutto perché apprezzò la cucina ligure e siciliana, viste le sue origini. Tanto che mi portò sul set di un film al confine con al Svizzera. Mi lasciò perfino l'indirizzo americano”. Oltre al cuoco hai svolto qualche altro mestiere? “Sì, mi dicevo che se non ne andava bene uno, almeno c'era l'altro pronto. Ho fatto i fotoromanzi e l'indossatore che all'epoca non era ben visto. Ho fatto le comparse nel cinema, le controfigure e lo stuntman nel film western”. Tornando alla cucina, perché è stata molto apprezzata dai vip? Quali erano gli ingredienti giusti per fare breccia nei loro palati? “Ho avuto tanto successo in tutto il mondo perché mi sono basato su una cucina povera e cioè semplice, quella che non si trovava nelle grandi catene come l'Hilton o l'Excelsior. Inoltre tanti vip americani erano imparentati con qualcuno in Italia e quindi conoscevano già i cibi casarecci che si facevano spedire. Impazzivano davanti ad una bruschetta con l'olio del contadino o davanti alla pizza calda con
la mortadella. Altro che caviale e champagne! Erano abituati ad altri sapori”. Hai portato la cucina italiana in giro per il mondo. Hai avuto anche modo di sperimentare qualche piatto estero? “Sì, il montone al curry, ma anche i gamberetti e il pollo”. Un piatto che ami mangiare e uno che ami cucinare. “Adoro la carbonara e spesso cucino l'agnello al curry”. Hai fondato anche un ristorante. “Nel 1972 ho aperto un ristorante a Trastevere chiamato 'Il Ciak'. Funzionò molto la formula della cucina povera toscana. Avevo una cacciagione che difficilmente si trovava negli altri ristoranti. In vetrina c'erano animali imbalsamati, ma poi negli anni Duemila, dopo qualche protesta, ho deciso di togliere quella vetrina. I tempi erano cambiati”. Continui ad essere molto attivo. “Sì tra progetti e ospitate televisive. Ultimamente con Claudio Germanò ho un progetto per portare alla gente la cucina povera che è sparita. L'intento è quello di diffondere la cultura del Made in Italy nel mondo, tra pietanze e cenni dei racconti delle star. Il progetto è noto come 'Lo chef e il Vagabondo'. Oggi gli chef hanno stravolto tutto. Perché non riproporre una trippa o un bel pollo con i peperoni? A Liz Taylor piaceva così tanto la coda alla vaccinara. Per non parlare della Callas che amava particolarmente la cucina semplice italiana. Inoltre con Claudio stiamo preparando un docufilm sulla mia vita, in cui lui è voce narrante".
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Amalia Mancini vince il Premio Zurigo Amalia Mancini (nota come Amelie nell’ambiente letterario) è una giornalista, ma anche una scrittrice. Una sceneggiatrice, ma anche un critico musicale. Negli ultimi tempi, si sta consolidando soprattutto la sua carriera di scrittrice, iniziata del resto giovanissima e che negli anni ha visto assegnarle, in questa specifica veste, numerosi premi. Il Premio Zurigo vinto recentemente dal suo “Emozioni Private – Lucio Battisti. Una biografia psicologica” (Arcana Editore) è solo l’ultimo riconoscimento, in ordine di tempo, alla sua penna abile, sempre più sapiente in occasione dell’uscita di ogni nuova creatura letteraria. L’evento conclusivo dello Switzerland Literary Price, svoltosi a Massagno – Lugano presso il Lux Art House, ha visto la partecipazione di numerosi personaggi del mondo della letteratura, del giornalismo, della televisione e dello spettacolo.
Federico Bianca: successo al premio Narrativa Saggio di Etnabook L’esordio narrativo di Federico Bianca con i racconti di “Riscatto” per i tipi di Felici Editore ha vinto non molto tempo fa il primo premio della sezione Narrativa Saggio di Etnabook. Federico Bianca appare destinato a far parlare gli ambienti letterari per potenza di racconti proposti al lettore e forte stile identitario del suo autore. Nel mondo che immagina e crea in questa prima prova, alberga una sofferenza che preannuncia il pareggio dei conti. Il riscatto finale, nella sua penna, si realizza con il compimento del proprio destino. Tutti coloro che abitano le storie raccontate nel volume sono dei falliti, che non cercano redenzione attraverso soluzioni vitali e vie di speranza. Sono personaggi sopraffatti, che vogliono semplicemente farla finita. Finora ha pubblicato tre monografie per Convivio Editore, dimostrando il suo spiccato interesse per un’ottica europea e internazionale e per la multidisciplinarietà: “Lolita, un mito euramericano tra romanzo e sceneggiatura”; “Carlo Alianello nella cultura italiana e europea”; “Giovanni Papini: la vita, le opere, la poetica”.
Successo a Roma per ANTIGONE di Andrea Anconetani Grande successo a Roma lo scorso mese (dal 7 al 12 novembre al Tordinona) per ANTIGONE, la tragedia con riscrittura contemporanea per la regia di Andrea Anconetani. "Antigone" è una tragedia per due attori frutto di uno sforzo produttivo internazionale. L'opera infatti è coprodotta in Italia da Andrea Anconetani e Nuovi Linguaggi - Ancona e in Spagna da Culturarte 41010 - Siviglia. Il testo, scritto da Alessandro Pertosa, ha debuttato nella versione italiana il 30 luglio scorso presso il Teatro Romano di Falerone (Fermo) con gli attori Melania Fiore (Antigone) e Giorgio Sebastianelli (Creonte) nell'ambito del T.A.U. (Teatri Antichi Uniti) organizzazione A.M.A.T. Marche. Questa rivisitazione di Antigone si svolge nei meandri della mente di Creonte. Ciò che accade è una proiezione degli incubi che perseguitano il Re di Tebe, dopo aver mandato a morte sua nipote, rea di non aver rispettato la legge della Città. Nuovi Linguaggi è nata nel 1995 per svolgere ricerche in campo teatrale e artistico. Per ulteriori informazioni: www.nuovilinguaggi.net
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ARTE by Marisa Iacopino
PUJA BHAKOO “TAPESTRY FOR CHARITY” GLI ARAZZI DELLA SPERANZA L’arazzo, forma d’arte tessile tra le più antiche. Prende il nome da Arras, città della Francia, importante centro di produzione fin dal medioevo. Oggi c’è chi ha fatto della tessitura arazziera la propria espressione artistica. Puja Bhakoo è tra le maggiori interpreti indiane. Le sue opere, una scoperta continua, tanto minuziose da non riuscire a fissarne in un solo sguardo i dettagli che le contraddistinguono. Quest’arte l’ha resa famosa a livello internazionale. “Sono una professionista della pubblicità per formazione, artista dell'arazzo per passione. E ancora, scrittrice creativa e poetessa. Sono cresciuta a Saharanpur, una piccola città nel nord dell’India, famosa nel mondo per i suoi lavori di intarsio del legno. Da adolescente mi sono dedicata a molteplici hobby come la pittura, il ricamo, l’uncinetto, il lavoro a maglia, il chiacchierino, la creazione di bambole e la tessitura di tappeti. Successivamente ho iniziato a concentrarmi maggiormente sul ricamo, perché c’è qualcosa di molto intimo nei fili, nei filati e nel tessuto che ti trascina in un vortice di comfort. Inoltre, un ricamo è comodo da portare in giro e può essere eseguito in qualsiasi momento, a differenza di un dipinto che ti confina nel tuo studio. Nel 2012 mi sono ritirata prematuramente dalla carriera pubblicitaria per perseguire altri interessi, tra cui la realizzazione di arazzi. Nel 2015, cercando opzioni di finanziamento per la mia attività di beneficenza, ho avuto un momento eureka. Essendo un'appassionata ricamatrice, ho deciso di utilizzare questa passione per finanziare la mia missione. Ho fondato ‘Tapestry-ForCharity’, un'iniziativa che utilizza i proventi della vendita degli arazzi per aiutare l'educazione e la riabilitazione di bambini svantaggiati”. Parlando dei soggetti, si tratta di fatti e personaggi reali o di scenari immaginari? “C’è una fusione di fatti e personaggi reali, che nel tempo si incastonano nella nostra psiche, con strati di scenari immaginari. Gli arazzi figurativi sono stati la mia passione fin dall'inizio del percorso creativo. Avevo vent'anni, i primi lavori erano influenzati dalla vibrante cultura dell’India occidentale, creavo ritratti giganti di uomini del Rajasthan con mascelle forti, barbe fluenti e turbanti colorati. Nel corso degli anni, il processo di pensiero si è evoluto, ho iniziato a interessarmi alle questioni sociali e culturali. Oggi, il mio sforzo attraverso la tecnica del ricamo è quello di diffondere ardore, entusiasmo ed emozioni su figure astratte, sfidando l’immaginazione e l’interpretazione
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severanza, ma anche un’educazione alla consapevolezza, che è uno stato di attenzione attiva, aperta e intenzionale sul presente. Sto lavorando a un progetto in cui intendo collaborare con i sopravvissuti alle cicatrici da acido, generare per loro un’opportunità di lavoro, rendendoli parte della mia iniziativa. La mia visione a lungo termine è quella di creare un ecosistema per mezzo del quale aiutare quante più persone possibile a raggiungere il proprio IKIGAI attraverso attività creative”.
di chi guarda”. Come è cambiata nel tempo la tua arte tessile? “Come artista, sono costantemente alla ricerca di ispirazione. I miei attuali arazzi sono più astratti e contemporanei. Spesso mi rivolgo a me stessa per trarre un tema da un'esperienza che monopolizza la mia mente. Dopo il pensionamento, la prima cosa che ho fatto è stata di spogliare la mia arte degli elementi tattili e dei simboli sartoriali. NUDE AESTHETICS, la linea di arazzi più venduta, è una storia creata dallo spettatore. Disillusa dall'onnipresente consumismo, ho messo ordine nella mia vita: il minimalismo è diventato l’idea base di MISTYC STROKES, concetto che mira a eliminare tutte le distrazioni non essenziali. Quando poi la pandemia ci ha lanciato sfide globali inaspettate, ho creato MINDSCAPE per celebrare la capacità della mente di creare nuove connessioni neurali e gettare i semi per un domani più sicuro... E ancora PANDEMIC per imparare l'arte di perdere e andare avanti a testa alta. La serie SOUND OF SILENCE, invece, attira l'attenzione sull'inutilità delle guerre e su come vengono lasciate soffrire in silenzio persone innocenti. Come note concettuali, di solito scrivo poesie per le diverse linee di arazzi”. C’è una parola giapponese che ti è molto cara: IKIGAI. Puoi spiegarci di cosa si tratta? “Un vantaggio significativo della pratica dell’arte è che ti dà uno scopo: il tuo ikigai, un concetto giapponese che è un punto d'incontro tra ciò che ami (la tua passione), ciò di cui il mondo ha bisogno (la tua missione), ciò in cui sei bravo (la tua vocazione) e ciò per cui vieni pagato (la tua professione). La vita è un dono prezioso, non possiamo permetterci di sprecare tempo in attività improduttive. Sviluppare un rapporto intimo con l'arte può mantenerci emotivamente in alto. Penso che ‘Tapestry-For-Charity’ mi dia il mio ikigai”. Uno scopo lodevole della tua attività creativa è quello di contribuire a sanare un po’ di sofferenza umana. Cosa ti aspetti ancora dal tuo lavoro per il futuro? “La lavorazione del filo è un'arte di passione e per-
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ARTE E NON SOLO by Mara Fux
G.R.A.GUIDA ROMANA ANOMALA CIBO, CINEMA E SORCETTI PER RACCONTARE ROMA “Dicembre, andiamo, è tempo di regali…” canterebbe probabilmente il Poeta e sicuramente canterebbe ancor di più divertendosi a sfogliare le pagine illustrate da Domizia Romano su “ G.R.A. Guida Romana Anomala ”, ultimo libro della food influencer Mimosa Mariotti e del regista Andrea Fantocci pubblicato da YouCanPrint, che si presenta ai lettori come un vademecum per la sopravvivenza all’interno dell’anello autostradale romano, chiamato per l’ appunto G.R.A., Grande Raccordo Anulare. Il simpatico volumetto è un autentico percorso tra storie vere, ricette e leggende ebraico -romanesche, aneddoti di vita vissuta, personaggi memorabili, film della commedia e non all’italiana, proverbi, modi di dire e di fare capitolini, stornelli e sonetti che insegnano a vivere dentro al caos del Grande Raccordo Anulare. Il filo portante del percorso è soprattutto il cibo, quello succulento e genuino: si racconta come è nata la Carbonara, per esempio, o perché esista il detto “non c’è trippa pe’ gatti”; si descrive il Cinema nostrano e il suo rapporto prolifico con la tavola, tanto che queste due sfere spesso e volentieri si confondono, si fondono nella terminologia e prendono l’una qualcosa dall’altra. E ancora: qual’ è l’identikit del romano DOC? Perché la minestra riscaldata non è mai buona? Cosa significa avere gli occhi foderati di prosciutto? Queste sono solo alcune delle domande che trovano risposta all’interno delle pagine di questa guida, grazie anche all’aiuto dei “sorci”, famosissimi abitanti del sottosuolo capitolino e da secoli grandi conoscitori del territorio romano. Dunque, chi meglio di loro può fare da Cicerone all’interno di questo anomalo viaggio romano? Questo è lo spirito con cui gli autori raccontano la vita all’interno del GRA,
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Domizia Romano, Mimosa Mariotti e Andrea Fantocci
dove ogni romano ha una sua storia da raccontare: Aldo Fabrizi con le sue poesie, Alberto Sordi e Carlo Verdone con i loro film, la Sora Lella con le sue ricette e molti altri personaggi della storia capitolina che hanno animato e ancora animano il folklore della Città Eterna. “G.R.A. Guida Romana Anomala” è un vero e proprio passo a tre: la food influencer Mimosa Mariotti emoziona con aneddoti, storie e leggende degli anni passati, svelando i segreti della cucina tradizionale come la pasta alla zozzona e la coratella coi carciofi… sapori decisi e romaneschi intensificati dal gusto di piacevoli ricordi personali. Il regista e sceneggiatore Andrea Fantacci ci mostra come il Cinema - e d’altronde tutte le arti - si poggi saldamente sulla società dell’epoca di appartenenza e ne diventi uno specchio, a volte impietoso a volte buonista, in grado di meravigliare con l’indelebile ricordo di ciò che fu. L’illustratrice e tatuatrice Domizia da una forma, certamente poco convenzionale ma significativa, ai personaggi descritti dagli autori attraverso vignette e fumetti che caratterizzano il libro esaltandone fantasiosamente l’originalità.
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COSE BELLE by Mariagrazia Cucchi
IL VIOLINO SVELATO DA STEFANO TRABUCCHI LA STORIA, LE TECNICHE E I SEGRETI DELLA LIUTERIA ITALIANA RACCONTATI DA UN GRANDE MAESTRO DEL MESTIERE Stefano Trabucchi, liutaio cremonese nonché eccellenza nel suo campo, ci racconta la storia e le origini di uno strumento musicale meraviglioso nel libro “Il violino svelato”, pubblicato da Academ Editore, attraverso un’approfondita intervista-conversazione ad opera del giornalista Roberto Messina. Il prezioso volume racconta tecniche e segreti della liuteria italiana e cremonese contemporanea, erede diretta e immediata di quella storica del XVI secolo, che Andrea Amati per primo seppe mettere a frutto e successivamente tramandare con perizia ai suoi discendenti che la fecero transitare nel secolo successivo, epoca dei grandi Guarneri e Bergonzi, fino ad arrivare all’insuperato Antonio Stradivari. “La mia passione – racconta Stefano – risale a quando avevo 8 anni e ho iniziato a suonare il violino. Mio padre era un medico, ma nutriva una grande passione per la musica che mi ha trasmesso e dalla quale è scaturita la mia voglia di imparare a suonare questo strumento. Intorno agli undici anni la mia curiosità mi ha spinto a informarmi su com’era stato costruito e come si poteva costruire un violino… e ho scoperto che a Cremona si trovava la scuola di liuteria internazionale. Così dalla Valtellina, mia zona di origine, mi sono trasferito giovanissimo a Cremona. Questa è la mia passione da sempre: da ragazzino disegnavo violini ovunque, sui quaderni, sui libri di scuola… e la passione si è trasformata poi in quello che considero uno dei più bei lavori al mondo”. E di quel “saper fare liutario della tradizione cremonese”, inserito dall’Unesco nel 2012 nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Immateriale dell’Umanità, Stefano Trabucchi è uno dei principali pro-
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#CoseBelle tagonisti con la sua bottega liutaria nel cuore del centro storico cittadino. Qui, con instancabile e costante pratica, ha perfezionato la sua arte, specializzandosi nella costruzione del quartetto classico, portando in alto e nella modernità il meglio di una tradizione senza pari al mondo. “L’idea di questo libro è nata per divulgare la liuteria, ovvero l’arte di costruire i violini. A Cremona attualmente ci sono più di 180 botteghe che li costruiscono, il che rende questo settore uno dei più importanti della città, un settore che guarda a una tradizione risalente a cinque secoli fa ormai, da quando il capostipite della liuteria cremonese Andrea Amati negli anni ‘30 del 1500 codificò la struttura del violino come attualmente tutti la conosciamo”. Oltre alla storia, in questo libro ci sono anche tante curiosità difficili da trovare sul settore della liuteria tradizionale, messe a disposizione dei lettori, soprattutto coloro che non hanno idea di come venga costruito un violino. “È un procedimento molto lungo che può richiedere addirittura duecento ore, poi logicamente molto dipende dalla velocità con cui lavora il liutaio. Ci sono più di settanta pezzi di legno diversi messi insieme. Vengono utilizzate le essenze tradizionali: l’acero marezzato, l’abete e l’ebano per la tastiera. Ma in questo volume troverete anche qualche curiosità su di me, sulla mia carriera, sul mio modo di interpretare la liuteria… Ho aperto il mio laboratorio nel 1992 e sono sempre rimasto qui, mi sono affezionato a questo posto”. (ride) ... E voi siete pronti a scoprire come nascono un violino e le struggenti note con cui ci accarezza l’anima?
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LIBRI
MARIA PAOLA GUARINO VIAGGIO DENTRO UN CARCERE PER RACCONTARE LA VITA DIETRO LE SBARRE Maria Paola Guarino, docente della Casa Circondariale di Livorno, è l’autrice di un romanzo particolare, unico nel suo genere. In quest’opera, intitolata “Il Tempo è la Sostanza di cui sono Fatto”, la scrittrice ci conduce all’interno del carcere nel quale lavora. Con l’occhio di una donna, di una docente, di un essere umano, capacissima di puntare dritto al cuore di chi legge e offrire tanti spunti di riflessione. Oltre a descrivere, con dovizia di particolari, qual è la vera vita dietro le sbarre con un linguaggio. Da cosa è scaturita l’esigenza di scrivere un libro così delicato? “Dopo poche settimane di lezione in carcere, quando ho iniziato a leggere particolari elaborati e quando il dialogo in classe, pur essendo formale, veniva sempre più improntato alla sincerità di opinione e valutazione sociale, mi sono resa conto che non l’anima dei detenuti, ma quella degli uomini, stava emergendo. Ho pensato allora che le percezioni che arricchivano la mia conoscenza non potevano rimanere nel chiuso del carcere, ma dovevano essere oggetto di considerazioni esterne. Chiaramente non è stato semplice, ma è stato più facile essere accolta dai detenuti che dissipare le perplessità di chi, prima di questa esperienza, mi diceva: ma chi te lo fa fare?”. Perché raccontare la vita dietro le sbarre del carcere? “Il mondo del carcere è per tutti noi misterioso, a volte magari crediamo di sapere che cosa vi accade, ma ascoltando le parole delle persone semplici che vivono nella Casa Circondariale, o di ideologi colti, o di coloro che cercano di rendere progettuale il tempo della prigionia acquisendo la cultura che da giovani non hanno conosciuto, possiamo molto avvicinarci alla vera vita dietro le sbarre”. Tra le righe del suo libro, si ben comprende che un detenuto è molto di più. Cosa? “Il mio alunno detenuto con cui da moltissimi anni ho una corrispondenza talvolta intensa, talvolta rarissima, è per me una persona che ho conosciuto pochissimo, ma che con le sue parole ed il suo comportamento, mi ha manifestato l’importanza e la valenza del mio lavoro di insegnante nella C.C.”.
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LIBRI Cosa vuole dimostrare con questo libro? “Evidentemente tutti noi abbiamo molte anime anche se poi, chi ha modo di conoscerci, ci cristallizza con l’immagine di un episodio che ha caratterizzato la nostra vita. Dobbiamo capire, invece, che la nostra personalità ha molte sfaccettature e valori diversi. A volte i nostri comportamenti sono determinati dal condizionamento sociale, dall’ambiente esistenziale, ma anche da una valida cultura e dalla ribellione verso una società ingiusta. Lo studio può essere davvero per un carcerato la possibilità, una volta scontata la pena, un reinserimento nella vita di tutti i giorni più completo”. È un messaggio anche per le istituzioni? “Non voglio avere la presunzione di dare un messaggio alle Istituzioni, ma penso che possa rappresentare uno spunto di riflessione per tutti coloro che leggeranno il libro”. Vista l’impronta, definisce il suo libro più un romanzo epistolare o d’informazione? “Anche se la II parte del libro è composta essenzialmente da lettere, preferisco definire il mio testo un romanzo di informazione, perché sia attraverso la corrispondenza epistolare che attraverso le riflessioni dei miei alunni detenuti si può ben capire quanto la presenza della scuola favorisca l’apertura del carcere, perché qui il tempo è prezioso e la progettualità e la cultura ci fanno emergere da una vita vuota e routinaria, permettendo al nostro spirito di ‘evadere’”.
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LIBRI by Francesca Ghezzani
ENNIO MASNERI “AUTOIRONIA, IMPEGNO E RISCATTO SONO GLI INGREDIENTI DEI LIBRI CHE SCRIVO E DELLA MIA ESISTENZA” 44
Ennio Masneri, nato a Crotone nel 1978 e oggi residente a Milano, è sordo oralista dall’età di due anni. Scrive per ricordare le parole e legge per entrare nel mondo, non per uscirvi, come spesso succede agli altri. Nel 2021 ha esordito con una raccolta di romanzi brevi noir e nel 2023 con l’opera L’ombra del ciliegio si è aggiudicato il primo premio in occasione della VII edizione del Premio Internazionale Castrovillari Città Cultura per la sezione Letteratura per bambini e ragazzi. “La misura dell’orizzonte” è il suo primo romanzo poliziesco con protagonista il commissario calabrese Corrado Perri. Ennio, questa volta sei tornato in libreria con un giallo pubblicato da Golem Edizioni, Collana Le Vespe n. 58. Possiamo descriverlo come un poliziesco che scandaglia l’animo umano e lo pone davanti all’interrogativo cosa siamo disposti a sacrificare per salvarci o per difendere il nostro ideale di giustizia? Alla fine, questa domanda trova una risposta? “Sì, perché, laddove non arriva la giustizia istituzionale, quella cioè di uno Stato di diritto, alle volte si è costretti ad agire da soli quando ci si scontra con una certa omertà e una mentalità tutt’oggi esistenti figlie d’un patriarcato asfissiante e incentrate sulla difesa arrogante dell’onore a tutti i costi. Solo il progresso può dare una mano pesante”. Passare dalla letteratura per ragazzi al poliziesco è un bel salto letterario. Hai mai pensato di scrivere un domani un giallo per i più giovani? “Chissà, forse un giorno mi sarà possibile scrivere un giallo per i più giovani. Al momento mi sto “allenando” con il poliziesco destinato a lettori adulti e il romanzo di formazione, poi… chissà!”. Tornando al concetto di giustizia, chi o cosa vuoi riscattare tramite queste pagine? “Il sogno del calabrese onesto che vuole ritornare nella sua terra natia a cambiare le cose ancora arrugginite da una mentalità piatta, da certe lobby che fermano il progresso per paura di perdere i propri interessi, anziché investire. Scrivere questo libro è come mostrare la nostra voglia di riscatto usando l’arma più potente che abbiamo: l’autoironia. Il vero problema della Calabria non è l’assenza dello Stato, ma il calabrese che rifiuta l’aiuto e preferisce lasciare le cose così come stanno. Solo riconoscendo quel male a cui abbiamo permesso di espandersi liberamente possiamo fermare tutto questo”. Per te scrittura e lettura hanno un valore enorme perché ti consentono di comunicare. Vorrei chiederti una precisazione volta ad abbattere ogni pregiudizio in materia. Oltre a sordo, essere oralista non è un’etichetta? “Sarò sincero, fino a pochi anni fa non sapevo che esistesse il termine “oralista”. L’ho appreso sui social e ci ho riflettuto sopra. Quando sono diventato sordo da piccolo a causa di una meningite (non dobbiamo aver paura di chiamare la malattia con il suo nome!) ho rischiato di diventare segnante Lis, ma grazie all’intervento di una grande logopedista come la dottoressa Adriana de Filippis siamo andati contro corrente: ho ripreso miracolosamente
a parlare grazie all’oralismo, agli esercizi linguistici, alla lettura, alla sottotitolazione in tv, a una migliore protesizzazione e ai sacrifici dei miei genitori. La parola intesa come mezzo di comunicazione è qualcosa da apprendere ogni giorno, non un qualcosa di innato: da qui la certezza che il mutismo non c’entra niente con la sordità. Tuttavia, ho appreso che esiste una misera “guerra” tra segnanti e oralisti, senza contare che quando qualcuno mi conosce vengo indicato come un possibile segnante solo perché porto le protesi acustiche. E questo è dovuto al fatto che vige ancora una mentalità, anche da parte dei media, secondo cui se uno è “sordo” (magari oralista, magari bilingue…) viene additato, anzi bollato, senza informarsi prima con l’interessato, con un termine obsoleto e abolito da una legge di alcuni anni fa: ‘sordomuto’”. Infine, non certo per importanza, su iniziativa personale hai chiesto udienza al Senatore Ernesto Rapani per sottoporre alla sua attenzione una tematica che ti sta particolarmente a cuore. Ce la vuoi raccontare? Quale iter legislativo si è avviato? “È partito tutto quando ho notato che, malgrado il progresso tecnologico e scientifico e una sensibilizzazione più incentrata sulla conoscenza della Lis che sull’oralismo, la mentalità attuale è praticamente rimasta uguale: siamo ancora tutti “sordomuti” e quindi, in un certo senso, da sottovalutare. Mi sono sentito, pertanto, in dovere di fare maggiore opera di informazione e sensibilizzazione, forte dell’idea secondo cui non tutti i sordi (anche quelli molto profondi) sono uguali tra di loro. Avvertendo che tale discriminazione è diventata insostenibile in molti ambiti, ho avuto la possibilità di parlarne con il senatore Ernesto Rapani (che ringrazio in questa intervista), trovando nella sua persona un interlocutore sinceramente interessato a tale tematica. Gli ho esposto i problemi che noi oralisti spesso incontriamo malgrado il nostro impegno a spiegare trovando in risposta muri di gomma. Gli ho fatto presente che abbiamo una nostra dignità, alla pari di quelli che sentono normalmente o dei segnanti, conosciamo i nostri diritti e i nostri doveri, ma non veniamo riconosciuti individualmente: siamo sottoposti a uno standard fisso che, il più delle volte, ci danneggia. Pertanto mi sono fatto portavoce di quella maggioranza di sordi oralisti e bilingui per chiedere il riconoscimento da parte del Governo dell’esistenza delle persone sorde oraliste, cioè di quelle persone che, una volta accertata la sordità, non si sono date per vinte e hanno intrapreso un duro cammino per riacquistare la parola. Il Senatore Rapani si è subito attivato e io stesso ho collaborato con lui alla creazione del ddl “Delega al governo in materia di politiche per l’inclusione delle persone con disabilità uditiva” in questi mesi depositato, in cui, senza ledere i diritti dei segnanti, vengono aggiunte nuove disposizioni e aggiornate le precedenti, incluso l’abbattimento di certe barriere mediatiche instaurando una campagna di sensibilizzazione sull’oralismo. In tal modo noi sordi oralisti potremo avere la possibilità di essere aiutati a dare anche il nostro contributo all’evoluzione della società attuale”.
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LIBRI by Rosa Gargiulo
Appetricchio Da una quasi incomprensibile conversazione con la figlia di diciotto mesi, nasce il nuovo romanzo di Fabienne Agliardi, “Appetricchio”. Una conversazione surreale, che fa riaffiorare il ricordo del dialetto lucano della madre. Appetricchio trova la sua radice in una parola tedesca, Heimat, intraducibile in italiano e che dovrebbe avere a che fare con il concetto di “casa” o “piccola patria”. Quello che l’autrice propone è un ritorno alle origini, un viaggio dal Nord al Sud dell’Italia, per ritrovare un luogo magico e ideale. Appetricchio potrebbe tradursi, quindi, come nostalgia. Un sentimento che Fabienne Agliardi racconta con un tono lieve, una scrittura sublime e brillante, in cui riconosciamo la sua vivace personalità. Situato sul fianco di una montagna, non lontano dal mare, separato dalla vallata da un ponte malfermo, ad Appetricchio è nata Rosa, madre dei gemelli bresciani Mapi e Lupo, che lì hanno trascorso le vacanze della loro infanzia. In paese vivono personaggi stravaganti: la maggior parte di loro si chiama Rocco, in onore del santo patrono, e parlano un dialetto strano e imprevedibile. Tornando ad Appetricchio, i protagonisti ricordano le avventure semplici e i rapporti genuini vissuti in quel posto che è sempre rimasto nei loro cuori, fino a svelare, con un colpo di scena, il motivo che li ha tenuti lontani così a lungo.
Preghiera in gennaio Viviamo in un momento storico in cui avere fede richiede coraggio, e testimoniarla ancora di più. Ma è proprio la forza della testimonianza che ne costituisce ossatura e fondamento, come viene sottolineato nella prefazione del libro di Rosaria Di Donato, “Preghiera in gennaio”. Chi parla di Dio, viene scelto senza esserne consapevole, la storia della cristianità – fin dai suoi albori – narra di profeti e santi apparentemente visionari, che invece erano stati visitati dallo Spirito Santo. Allo stesso modo, i “poeti di Dio” vengono chiamati a testimoniare con parole ispirate, che lo spogliano da ambizioni terrene, in questo caso letterarie, per dare voce al cammino di Cristo nel mondo. La silloge poetica dedicata dall’autrice alla storia terrena del Messia accoglie il grido sul Golgota per squarciare il velo del dolore e dall’abbandono apparente del Padre, per esaltare la gioia della resurrezione. La gloria dell’amore divino diventa un percorso condivisibile da tutti, e la Di Donato invita a prenderne parte, attraverso una poetica diretta ed efficace, scevra da retorica ma intrisa di speranza.
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Letti per Voi Nonna Calli e altri racconti Torna in libreria Floriana Naso, con una trilogia di racconti brevi, attraverso i quali conosceremo personaggi bizzarri, curiosi, interessanti. “Nonna Calli e altri racconti” ci trasporterà in set narrativi molto diversi tra loro, affrontando tematiche sociali e culturali, che l’autrice propone ai lettori più giovani, con uno stile brioso ed eleganti. Conosceremo Nonna Calli (diminutivo di Calliope) che distribuisce poesie in cambio di vecchi oggetti, attraverso una ruota degli esposti; voleremo da un chicco di caffè che racconta una storia di grande importanza – con leggerezza e positività; accompagneremo un giovane amico alla scoperta del telefonino, che avvicina e allontana allo stesso tempo, e non ha il potere di risolvere tutti i nostri problemi – a partire da quelli scolastici! Con stile vivace e arguto, Floriana Naso fotografa tre scenari molto diversi e ugualmente suggestivi, che – divertendo e appassionando i lettori – stimolano importanti riflessioni.
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IL TUO CINEMA DA SEMPRE.
Un autunno in prima fila. Proiezioni in digitale e in 3D dolby
Vi aspettiamo con le novità cinematografiche più attese
Si ricorda che la sala Adriana è munita di Palcoscenico e camerini ed è possibile averla in locazione per Saggi di danza, saggi di fine anno scolastico, spettacoli teatrali e conferenze. per info o preventivi inviare un fax al numero 0774/318466 e verrete ricontattati.
Tivoli CINEMA TEATRO GIUSEPPETTI - Info 0774335087
SPETTACOLO by Giulia Bertollini
ISABELLE ADRIANI “IL GIARDINO DELLE FATE È STATA UNA BELLA SFIDA. LA CENSURA SUI FILM DISNEY? UNA VERGOGNA SOCIALE E CULTURALE” Alla Mostra del Cinema di Venezia ha presentato il film “Il Giardino delle Fate” di cui è stata regista ma anche protagonista. Isabelle Adriani ha riscosso un grandissimo successo portando sullo schermo una storia intensa e struggente che dimostra quanto le fiabe possano avere un potere salvifico. In questa intervista, abbiamo parlato con Isabelle del film, dell’importanza oggi delle fiabe chiedendole anche un suo commento in merito alla censura che è intervenuta negli ultimi anni sui cartoni d’animazione della Disney. Isabelle, “Il Giardino delle Fat”e è il tuo nuovo film da regista. Come è venuta l’idea per questo film? “In realtà è una cosa strana...mi succede sempre cosi...al Festival di Cannes, due anni fa, ebbi una specie di folgorazione non so nemmeno io perché’, mi venne in mente il Film ‘Magic Dreams’ tutto quanto,
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SPETTACOLO proprio come se fosse già finito, oggi è su Amazon UK, mentre l’anno scorso a Venezia, immaginai tutto il Giardino delle Fate già in sala, addirittura con tutti i costumi, non ho dovuto far altro che seguire questa visione e farlo. Con tute le difficoltà del caso certo, ma lo vedevo già! Ed eccoci qua...il 24 Novembre usciamo in sala. Mi piace raccontare storie nelle quali un trauma viene superato grazie all’ Arte e all’Amicizia, ed ecco il film che narra di due bambini orfani che ritrovano la voglia di vivere grazie alle cose belle della vita: l’amicizia, l’arte, il linguaggio universale della Musica, un pizzico di Magia...e naturalmente l’amore!”. Luis Sepulveda diceva che scrivere fiabe è un altro modo di fare politica. Sei d’accordo? “Assolutamente sì, ora vi racconto qualcosa che non ho mai detto a nessuno, conobbi Sepulveda in Italia durante una sua conferenza, conservo ancora la sua bellissima dedica e il suo numero di telefono, forse era già malato ma non lo sapeva nessuno, rimase colpito dal mio entusiasmo e dalla mia emozione nel conoscerlo, ma soprattutto dal mio amore per le storie e le fiabe, parlammo per quasi due ore, mi dedico il suo libro ‘Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico, una storia che parla proprio di amicizia e diversità. Una persona straordinaria, quando seppi della sua morte, rimasi seduta per un’ora senza dire una parola, mi sembrò che si fosse spenta una luce nel cielo. Per quanto riguarda la sua frase sulla politica, si, sono convinta che sia vero, molte fiabe sono la storia della rivalsa dei reietti della società, Cenerentola stessa da schiava a regina ne è una prova, ma ce ne sono moltissime. Con le storie, si possono trasmettono principi e ideologie, come dicevo prima possono essere addirittura diventare strumenti di pace”. Da regista hai trattato i ragazzi come veri professionisti riuscendo anche a gestire l’intensità delle loro interpretazioni. E’ stato difficile? “Ho scelto i protagonisti e i co-protagonisti del film, fra gli allievi della mia Academy di recitazione cinematografica che ho aperto nel 2022 a Palazzo Palazzi Trivelli nel cuore di Reggio Emilia, e devo dire che sono stati bravi, alcuni sono davvero talenti, dunque difficile dirigerli direi di no, perché amo il mio mestiere e mi piace insegnarlo al meglio ai miei studenti, però in alcuni momenti è stato
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complesso si, soprattutto perché non essendo professionisti non avevano idea di tutto il lavoro che c’è dietro e davano tantissime cose per scontate, quest’anno ho introdotto degli short movies in Academy che dovranno fare in modo completamente autonomo, organizzando il piano di lavoro, essendo loro stessi sceneggiatori, registi, attori, DOP e scenografi, editor e produttori esecutivi, credo sia fondamentale sapere quanto lavoro fanno le maestranze prima durante e dopo il set e cosa significa girare un lungometraggio, per diventare bravi attori, imparare cioè il rispetto nei confronti di ogni maestranza e di ogni lavoro dietro la macchina da presa”. Oggi anche le fiabe sono diventate più inclusive. Alcune storie sono state riscritte in salsa politically correct. Cosa ne pensi? Sei d’accordo? “Assolutamente no, non sono d’accordo e trovo tutto questo profondamente ridicolo anzi direi una vergogna culturale e sociale. Certamente è giusto adeguare i linguaggi del cinema e della letteratura all’epoca attuale, ai cambiamenti sociali e culturali, ed è giusto creare e realizzare nuovi progetti con una nuova veste, ma senza distruggere la Storia della Letteratura o del Cinema, di cui ad esempio Biancaneve è un prezioso tassello. Esattamente come censurare Dostojevski a scuola o Gogol a Teatro, negare il premio ad Adania Shibli, o distruggere la statua di Gagarin, l’arte e la cultura sono nemici della guerra e come tali vanno onorati perché uniscono e non dividono, questo va compreso! Non si cancellano intere civiltà, compresa la letteratura, le avventure interspaziali, i grandi artisti o le tradizioni popolari che nulla hanno a che fare con Leader egocentrici e temporanei. Hanno censurato Biancaneve perché’ non era consenziente al bacio del Principe...ok... dunque doveva lasciarla morire avvelenata e sola in una bara nel bosco?! Evviva! Non so, mi sembrano falsi principi, ipocriti e in malafede”. Stai lavorando su altri progetti? Cosa ci puoi anticipare? “A breve inizierò la preparazione del nuovo film, che racconta una favola sociale moderna... pieno di cose belle e buone... posso dire solo il Titolo: Il Senso della Vita (The Meaning of Life) sto cercando i protagonisti”.
SPETTACOLO by Giulia Bertollini
MASSIMILIANO CAROLETTI “CON IL FILM ‘TIC TOC’ ABBIAMO GIOCATO D’AZZARDO PORTANDO SUL GRANDE SCHERMO ANCHE RAGAZZI ALLA LORO PRIMA ESPERIENZA”
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Non è solo il marito di Eva Henger ma anche un affermato produttore. Massimiliano Caroletti ha prodotto il film “Tic Toc” in cui hanno recitato anche la moglie e la figlia Jennifer. Un ritorno alla normalità dopo il grave incidente che li ha coinvolti un anno fa in Ungheria. In questa intervista, Massimiliano Caroletti ci ha parlato del film, delle difficoltà che ha incontrato nel suo mestiere e anche di reality. Massimiliano, hai prodotto il film “Tic Toc”. Com’è andata questa esperienza? “Difficile ma soddisfacente. In questa produzione abbiamo voluto giocare d’azzardo portando sul grande schermo, oltre a già noti attori, anche dei ragazzi alla loro prima esperienza, conosciuti dal pubblico dei social network ma che non si erano mai affacciati al mondo della recitazione. Questo ha reso le cose più difficili ma loro se la sono cavata alla grande, sono molto soddisfatto”. Cosa significa fare oggi il produttore in Italia? Quali sono le difficoltà che hai incontrato? “Oggi quello del produttore è un mestiere che ti mette molto alla prova, i mondi del grande e del piccolo schermo sono in continua evoluzione e giorno per giorno il trend sterza per prendere direzioni diverse, la vera difficolta è quella di non ristagnare su idee stantie ma di reinventarsi quotidianamente, avendo una mentalità aperta e, quando possibile, prendersi dei rischi per non deludere il pubblico”. Il titolo del film prende spunto dal social “Tik Tok”. Una presa in giro ironica del mondo del web in cui l’apparire predomina sull’essere. Cosa può insegnare questo film ai giovani? Qual è il messaggio che speri possa arrivare? “La nostra idea era proprio quella di girare un film che, con la sua leggerezza, andasse però a toccare argomenti critici come questo; le nuove generazioni stanno confondendo e di conseguenza sostituendo l’essere con l’apparire, e questo messaggio abbiamo cercato di trasmetterlo attraverso le voci di chi, proprio con i social, ci lavora”. Nel film, ci sono anche tua moglie Eva Henger e tua figlia Jennifer. Come se la sono cavata? “Eva è una grande professionista ormai da tanti anni, dire che se l’è cavata bene risulterebbe pleonastico. Per quanto riguarda Jennifer devo dirmi molto emozionato del lavoro da lei svolto, era alla sua prima esperienza ma questo non le ha impedito di lavorare per il film come se fosse una professionista del settore, sono molto fiero di entrambe”.
E’ vero che ci sarà un sequel? E’ stato difficile mettere su il cast? “Mettere su il cast è stato sotto alcuni punti di vista facile e sotto altri difficile; è stato facile trovare i personaggi che ci sembrava fossero adatti ai ruoli da noi scelti, meno facile è stato concretizzare il tutto, ma questo è un fattore da prendere in considerazione per qualsiasi produzione. Un sequel? Chissà, niente è da escludere, posso solo dire stay tuned”. Un progetto che segna il vostro ritorno alle scene dopo il terribile incidente che vi ha visto coinvolti lo scorso anno. C’è stato un momento in cui hai pensato che non ce l’avreste fatta? A cosa ti sei aggrappato? “Senza la minima esitazione posso affermare che la cosa che mi ha permesso di lottare con tutte le mie forze è stata la grande volontà di non lasciare mia figlia da sola, è stato un pensiero costante che mi ha guidato tutto il tempo”. Parteciperesti mai ad un reality da solo o in coppia con Eva? Ti è stato mai proposto? “Sì, in passato mi è stato proposto di partecipare al Grande Fratello VIP, in quel momento non volli partecipare perché venni a conoscenza del fatto che, all’interno della casa ci sarebbe stato anche Francesco Monte, e visto quello che successe all’Isola dei Famosi, ho preferito evitare. Non ho mai riflettuto sul fatto di fare un reality con Eva, il nostro reality ce lo viviamo quotidianamente, sul portone di casa nostra c’è scritto ‘suonare Carolhenger’”.
STORIE DI RADIO by Silvia Giansanti
ETTORE ANDENNA “TUTTO EBBE INIZIO GRAZIE A NOEL COUTISSON E A RADIO MONTECARLO” E’ una firma della radio, della tv e del giornalismo che non si può dimenticare. Oggi ha più di settant'anni e tanta nostalgia del mezzo radiofonico. Ha un primato in tv, è l'unico al mondo ad aver condotto 103 puntate di “Giochi senza Frontiere” Che piacere ritrovare Ettore Andenna, uno tosto, come si direbbe, che ha fatto la storia della radio e della televisione con programmi come “Giochi senza Frontiere”, “Giochi sotto l'albero” e tanti altri. E' davvero affascinante andare a scavare nel passato per incontrare a distanza di tanto tempo, professionisti che hanno dato il via a nuovi capitoli. E' partito tutto da Radio Montecarlo, in quegli anni in cui mamma Rai la faceva da padrona e stavano per nascere le prime radio private. Tempi irripetibili. Ettore, com'è avvenuto il tuo aggancio con la radio? “Noel Coutisson, noto genio della radio degli anni '50 e '60, venne a Milano poiché stava cercando voci nuove italiane, in quanto pensava di aumentare le ore della trasmissione italo-francese su Radio Montecarlo. Si presentò all'Accademia dei Filodrammatci che stavo frequentando con lo scopo di fare avviamento alla regia. Così Noel fece sostenere un provino alle voci maschili presenti, facendoci fare dei brevi annunci. Dopo circa venti giorni ricevetti una telefonata che mi invitò ad andare a Radio Montecarlo per un provino più approfondito. Così mi recai in sede e tutto partì da quel momento”. Quando è arrivata la televisione? “Dopo la radio. Mio zio era Felice Chiusano del Quartetto Cetra. Fu lui che mi spinse a fare televisione e mi portò a fare un provino a Milano. Stiamo parlando dell'aprile del 1972. Quattro mesi dopo arrivò la chiamata per 'La tv dei ragazzi'. Dopo qualche tempo mi sono ritrovato ad essere quello che ha condotto più puntate al mondo dei 'Giochi senza Frontiere', ben 103”. Hai qualche aneddoto da raccontarci riguardante la tv? “Durante le prime trasmissioni televisive, Cino Tortorella, grande maestro, mi riprese in quanto mi insegnò che in tv non dovevo dare spiegazioni, perché si vedeva tutto. Mentre in radio si deve far vivere il momento con un'accurata descrizione. Inoltre mi consigliò di rallentare i ritmi”. Tornando alla radio, hai ancora in mente come si svolse il tuo debutto radiofonico? “Ricordo che era il 12 dicembre del 1967, esattamente alle 16 e 45 mi sbatterono in uno studio radiofonico dove non avevo mai messo piede. In onda c'era Barbara Marchand che mi battezzò. Si trovò davanti un bel ragazzo di ventuno anni. Mi fece annunciare un disco. Fu un momento indimenticabile”. I primi colleghi che ricordi con affetto? “Oltre all'amicona Barbara Marchand, ricordo Sandra Bianchi, Marika Pitzalis e l'insegnante di lettere di
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Barbara dell'università. Tra i colleghi uomini, Gigi Salvadori, Roberto Arnaldi, noto come Robertino, e il grande Herbert Pagani. Mentre personaggi come Luisella Berrino e Awanagana sono arrivati dopo. Peccato che qualcuno che ho citato sia scomparso”. Come proseguì? “Dopo il mio debutto di quel 12 dicembre, la mattina successiva venni messo in diretta per un paio di ore al giorno. Dopo una settimana, Noel Coutisson con sarcasmo e ironia, disse qualcosa riguardo al mio francese, nonostante l'avessi studiato per otto anni e aver portato letteratura francese alla maturità scientifica. Ero imperfetto, ma nonostante ciò venni buttato in pista. Ho fatto radio fino al 1986. Con Radio Montecarlo ho lavorato fino al 1977 e poi ebbi altre esperienze radiofoniche di carattere sportivo su una syndication”. Quanto guadagnavi all'epoca a Radio Montecarlo? “Per un anno e mezzo durante la fine degli anni '70, arrivavo al venticinque del mese senza più soldi per mangiare. Guadagnavamo la metà dei francesi. Le monetine messe da parte nel barattolo della marmellata, dal venticinque al trentuno del mese, servi-
vano per sostenermi con quelle piccole cose che riuscivo a comprare". Hai nostalgia della radio? “Sì, mi manca più della tv e se qualcuno oggi mi dovesse fare una proposta valida, sarei pronto a rimettermi in gioco. Se la voce non invecchia, la si può fare anche fino a centodue anni. La radio mantiene giovani”. Perché ti manca più della tv? “Semplicemente perché la radio è immaginazione”. Cosa segui attualmente? “Sul mio smartphone ho programmata una radio americana che trasmette tutti i generi possibili ed immaginabili. La porto sempre con me. E' fatta di poche chiacchere e molta musica. Trovo che sia interessante concentrare le emozioni in poche parole come nelle radio
di flusso”. Conduttori radiofonici preferiti? “Max Venegoni e Kay Rush”. Possiamo sapere qual è il tuo orientamento musicale? “Rigorosamente fine anni '60 e inizio anni '70. Ascolto rhythm and blues classico e quello che mi dà soddisfazione è che i miei figli ascoltano in macchina la musica di papà”.
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MUSICA
GAIA TANI “LA PASSIONE PER LA MUSICA È NATA INSIEME A ME” Probabilmente la musica l’ha avvolta sin da quando era nel grembo materno. Da piccola ha cominciato a cimentarsi nel canto sognando di diventare una star. Lei è Gaia Tani e in questa intervista ci racconta del suo grande amore, ovvero la musica. Gaia, come e quando è nata la passione per la musica in particolare per il canto? “La passione per la musica è nata insieme a me. Dove c'era la musica c'ero io, in assoluto silenzio, perché ero terrorizzata all'idea di cantare davanti a qualcuno, anche se nella mia testa immaginavo di essere io la cantante di ogni canzone che ascoltavo. Negli anni quella timidezza è rimasta, ma la voglia di cantare mi ha portata ad affrontare quella paura iniziando a studiare canto”. Che studi hai fatto e/o stai facendo? “Alle superiori avrei voluto frequentare un liceo musicale, ma purtroppo non c'era. Così mi sono iscritta a moda e qualche anno dopo ho iniziato a studiare canto in un'accademia. Attualmente continuo a studiare canto, sostenendo anche degli esami e in più faccio parte di un coro gospel”. Il tipo di musica che ti piace "cantare" e a quale cantante ti ispiri? “Canto principalmente in inglese e la mia voce si adatta molto bene al genere pop, ma mi piace anche il jazz. Ad essere sincera non ho cantanti a cui mi ispiro, perché la musica che ascolto è diversa da quella che canto. Un artista che però apprezzo particolarmente per la sua scrittura è Michele Bravi”. Quali hobbies hai e cosa ti piace fare nel tempo libero al di fuori degli studi? “Amo l'arte in generale. Se avessi tempo illimitato probabilmente mi cimenterei in ogni disciplina, come
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ad esempio la recitazione, il musical e nonostante io sia negata proverei la danza. Ovviamente non dimentico le cose più semplici, come passare il tempo con gli amici, andare al cinema e tanto altro”. Hai in mente di realizzare degli inediti? “Assolutamente sì, anche se non sono una cantautrice. Avere degli inediti è fondamentale per far capire la vera identità di un artista”. Quali progetti hai in mente per il futuro? “Vorrei dar vita ad un mio primo album musicale. Per il resto tengo le porte aperte a qualsiasi opportunità che possa farmi crescere artisticamente”.
VIAGGI & VIAGGIATORI by Igor Righetti - Giornalista professionista, autore e conduttore radiotelevisivo Rai
NOSY BE, LA PERLA DEL MADAGASCAR IN UNO DEGLI ANGOLI PIÙ INCONTAMINATI DELL’ISOLA SI TROVA IL BRAVO PREMIUM ANDILANA BEACH, IL RESORT PIÙ PREMIATO DELL’OCEANO INDIANO Nosy Be in lingua malgascia significa “isola grande” in quanto è la maggiore di un arcipelago costituito da atolli e isolette, molte delle quali disabitate. Come si atterra si viene inglobati nella vegetazione lussureggiante con tante tonalità di verde. L’aeroporto è minuscolo, ha un solo nastro per il ritiro dei bagagli, niente aria condizionata ma pale sul soffitto, niente bar o duty free e il wi-fi è inesistente. Un tuffo nel passato che elettrizza. Visitare Nosy Be non è soltanto un viaggio ricco di emozioni e suggestioni, ma una vera e propria esperienza di vita. L’isola si trova a 8 chilometri dalla costa del Madagascar nel canale di Mozambico, ed è nota anche come “isola profumata” perché oltre alle coltivazioni di caffè, cacao, cannella e della pregiata vaniglia ce ne sono moltissime di ylang ylang, un fiore da cui si estrae l’essenza usata anche per lo Chanel N°5. Per raggiungerla dall’Italia ci sono comodi, anche negli orari, voli Neos con partenza da Roma Fiumicino e Verona (il lunedì) e da Milano Malpensa (il martedì). Neos Air, nata nel 2001, è la prima compagnia aerea italiana a essere stata certificata JAR OPS fin dalla sua fondazione. Eccellenti il servizio a bordo e l’intrattenimento, comodo e utile il wifi e di buona qualità i pasti. Chi sceglie di partire da Fiumicino non può lasciarsi sfuggire l’occasione per alcune esperienze gastronomiche di alta qualità nella capitale, come i ristoranti Fratelli La Bufala, che quest’anno hanno compiuto vent’anni, con antipasti, primi e pizze dell’autentica cucina campana. Per gli amanti del pesce fresco, dell’eccellenza delle materie e delle atmosfere eleganti sono imperdibili il ristorante Eleonora d’Arborea di Francesco Turnu (corso Trieste,
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23), che dal 1997 propone in modo impeccabile le tradizioni e i sapori della cucina della Sardegna, e Diandra, nel centro storico (via del Leoncino, 28) che prende il nome della proprietaria, anch’esso ispirato dai gusti mediterranei e dalla tradizione sarda. Giunti a Nosy Be si viene subito accolti dai sorrisi di tantissimi bambini dei quali abbiamo preferito non pubblicare le foto - e dalla grande ospitalità degli abitanti. Sono sereni nonostante l’evidente povertà e le mille difficoltà anche se Nosy Be, rispetto all’isola madre del Madagascar (la Grande terra), sembra Hollywood. È la dimostrazione che la felicità non si misura con la ricchezza economica. Ha una superficie di circa 320 chilometri quadrati e attualmente conta 65 mila persone (molti i bambini) in continuo aumento grazie allo sviluppo del turismo. La popolazione locale mostra la mescolanza di sangue indonesiano, africano, indiano e cinese. Tanti gli europei che si sono trasferiti sull’isola per aprire strutture turistiche come resort o ristoranti tra i quali diversi italiani. A Nosy Be la vita è scandita dai ritmi lenti della natura, “mora mora” che in malgascio significa piano piano. Una filosofia difficile da accettare per oltre una settimana da un occidentale abituato ai rimi frenetici. L’isola è di origine vulcanica, circondata da coste incontaminate. È il regno della biodiversità: qui vivono i camaleonti, le balene, le tartarughe, i lemuri e di continuo vengono scoperte nuove specie. Il punto più alto da cui si possono ammirare un panorama meraviglioso e tramonti infuocati difficili da dimenticare è il monte Lokobe, con un’altitudine di 450 metri, seguito dal Monte Passot con i sui 350 metri. Quest’ultimo
prende il nome dal capitano della Marina francese Pierre Passot che ha contribuito all’annessione di Nosy Be alla Francia avvenuta nel 1841. Da qui si vede l’isola a 360 gradi, l’Oceano Indiano, le isole dell’arcipelago e i laghi vulcanici. Con la fotografa Carla Pagliai (@supercarlarock) e l’influencer Lorenzo Castelluccio (@lorenzo.castelluccio) abbiamo documentato tutte le esperienze vissute. Il Bravo premium Andilana beach Alpitour propone una settimana con formula tutto incluso nel Bravo premium Andilana beach, il resort più premiato dell’Oceano Indiano in uno degli angoli più incontaminati. La struttura, perfettamente integrata nel paesaggio, è magistralmente diretta dal general manager Daniele D’Alò, attento ai minimi dettagli. Come si arriva, il biologo Luca Rosetti, che da vent’anni vive e lavora a Nosy Be, spiega ai turisti le norme comportamentali basilari da tenere con gli animali selvatici (non toccare le tartarughe o i lemuri per non alterare il loro ph e quindi condannarli a morte, non dare loro da mangiare ecc.) e il rispetto verso la flora e il mondo marino. Norme che purtroppo non sempre vengono recepite da chi pensa che in quella settimana possa fare qualunque cosa soltanto perché è in vacanza e ha pagato. La struttura, che realizza anche progetti di sostenibilità ambientale, sorge lungo l’omonima spiaggia bianca di Nosy Be, una delle più belle dell’isola. Andilana beach è uno degli ultimi paradisi terrestri: ha 204 camere suddivise in 4 blocchi a due piani, tutti a breve distanza dal mare, e al suo interno ha un meraviglioso giardino botanico con un’ampia varietà di fiori e piante. La gestione italiana è impeccabile e garantisce una cura particolare della cucina, del servizio e dell’igiene. Collocata in posizione strategica, si trova a circa 21 chilometri dall’aeroporto, raggiungibile con un trasferimento di circa 50 minuti, e a 29 chilometri dal capoluogo Hell-Ville. Nei 150 mila metri quadrati di giardino tropicale è presente un parco zoologico abitato da lemuri, camaleonti, coccodrilli, anatre, caprette, conigli e da “Carolina”, una tartaruga gigante (in effetti è un maschio, ma ormai il suo nome si è tramandato al femminile e pare che a lui piaccia) che si dice abbia oltre 150 anni. Ogni settimana viene organizzata una passeggiata naturalistica all’interno del parco accompagnati da una guida esperta. Un vero e proprio Eden. Inoltre, sempre nel giardino botanico, è stata realizzata, su un albero millenario, una casetta in legno, un rifugio eco sostenibile realizzato con materiali locali e rispettosi dell’ambiente, dove è possibile fare un pernottamento e vivere un’esperienza senza precedenti, con la colazione servita sul terrazzino in compagnia dei lemuri che girano liberamente. Il Bravo premium Andilana beach ha ottenuto la certificazione Gabbiani verdi di Alpitour World, un protocollo che fa riferimento ai 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile fissati dall’Onu nell’Agenda 2030 e che garantisce il rispetto di numerosi requisiti di sostenibilità. Tra questi, il
rispetto dei diritti umani e salari equi, il basso impatto ambientale il coinvolgimento e lo sviluppo della comunità locale. Tra i servizi della struttura ci sono il wi-fi gratuito nelle aree comuni e nelle camere, un parco giochi di oltre mille metri quadrati attrezzato con gonfiabili e scivoli, un centro diving che offre a tutti una prova d’immersione in piscina, una palestra ben attrezzata e climatizzata, un percorso running, una SPA diffusa, un salone di bellezza per trattamenti estetici e un parrucchiere. La cucina viene curata da uno chef italiano: è di ottima qualità, molto varia e con tantissimi piatti vegetariani. Si può scegliere tra il ristorante principale Ravinala, quello sulla spiaggia (aperto tutti i giorni per pranzo) e il ristorante tipico Pily Pily, arroccato su uno sperone di roccia che divide le due spiagge, con una vista panoramica mozzafiato sulla baia dove di giorno è servito il pranzo a buffet con una strepitosa e freschissima frittura di pesce mentre la sera ha un esclusivo menu a pagamento. Non manca la merenda e il tea time al tramonto con crepes e raffinata pasticceria sfornata al momento. Il bar Baobar è aperto 24 ore su 24. C’è poi il beach bar sulla spiaggia. Il servizio è impeccabile. La celebre vaniglia Bourbon Il turismo sta dando molto lavoro a tanti abitanti di Nosy Be e del Madagascar (chi lavora in questo settore sta meglio di altri) ma gran parte della popolazione vive soltanto di pesca, di allevamento di zebù utilizzati anche per i lavori agricoli, di coltivazione della manioca, riso (il principale prodotto alimentare dei malgasci), ylang ylang, cacao, caffè e spezie come lo zafferano, la celebre vaniglia, il pepe e la cannella. Per quanto riguarda la vaniglia, il Madagascar è il primo produttore al mondo con circa l’80 per cento del mercato e segue il procedimento di lavorazione lungo e complesso, metodo Bourbon, tutto manuale. Per questo motivo la vaniglia, dopo lo zafferano, è la spezia più costosa. Appartiene alla famiglia delle orchidee ed è originaria del Messico. Soltanto nel 1841 uno schiavo appena dodicenne di Réunion (allora conosciuta come Bourbon) escogitò un procedimento di impollinazione artificiale, metodo impiegato tuttora. Nel 1880 i coltivatori di Réunion esportarono la loro esperienza sulla vicina isola del Madagascar, esattamente a Nosy Be caratterizzata da un clima umido tropicale favorevole allo sviluppo di questa pianta. La visita dell’isola è ideale sia per concludere un viaggio alla scoperta del Madagascar, sia come destinazione esclusiva per un soggiorno balneare e alla scoperta della natura incontaminata grazie alla sicurezza di Nosy Be e all’ospitalità dei suoi abitanti. Tre le religioni presenti: animista (la più diffusa), cristiana e musulmana che coesistono senza conflitti. Gli abitanti dell’isola si spostano a piedi (molti sono scalzi), in bicicletta e non mancano le Renault 4 che testimoniano il passaggio francese. Unico neo è vedere per le strade e
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VIAGGI & VIAGGIATORI nei villaggi centinaia di cani randagi affamati ridotti a scheletri che camminano dato che a quanto pare la sterilizzazione non viene praticata e non esiste una sensibilità verso gli animali domestici. L’entroterra tra cascate e laghi vulcanici sacri L’entroterra di Nosy Be è molto significativo in termini di biodiversità. Sono ancora visibili i grandi crateri di 12 vulcani spenti che oggi ospitano laghi sacri con coccodrilli annessi (la balneazione è ovviamente vietata) e con intorno una vegetazione lussureggiante. La cascata di Ampasindava è un sito sacro per i Sakalava, una delle più importati tribù malgasce: è circondata da una rigogliosa vegetazione tropicale con tante sfumature di verde, piante di ylangylang e felci. Un luogo che trasmette grande serenità. Secondo la tradizione chi si bagna nelle acque del piccolo lago color smeraldo sotto la cascata riceve una benedizione. Per arrivarci si passa in mezzo a una delle più importanti coltivazioni di ylang ylang, dove ci sono ancora le rovine di una casa appartenuta a Coco Chanel. Quindi, a piedi, si scende per un sentiero che conduce alla cascata dove c’è anche un altro luogo sacro agli animisti avvolto dalle tradizionali stoffe rosse e bianche che individuano i fady, gli alberi sacri. L’albero di ylang ylang sarebbe molto alto ma per praticità viene tagliato in modo da facilitare la raccolta dei fiori. Occorrono 500 chilogrammi di fiori e 300 litri di acqua per avere 12 litri di olio essenziale. La pianta di ylang ylang, che significa “il fiore dei fiori”, non è endemica, proviene dall’Asia tropicale. Ovunque vengono vendute delle bottigliette di olio di questo fiore giallo che viene usato anche per i massaggi tradizionali malgasci. La riserva integrale di Lokobe La riserva, nei suoi 740 ettari, ospita decine di specie di lemuri (vivono soltanto in Madagascar e utilizzano grugniti nasali per comunicare tra loro), animali endemici del Madagascar considerati sacri e i primati più minacciati al mondo. Oltre il 90% delle specie che vivono sull’Isola rischiano l’estinzione a causa del disboscamento e della caccia. L’area protetta è una delle cinque riserve naturali integrali del Madagascar che protegge quanto
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rimane della foresta pluviale tropicale che un tempo ricopriva l’isola. Vi si accede dal villaggio di Ampasipohy, sulla costa meridionale di Nosy Be, ed è raggiungibile via mare con le tradizionali piroghe. Le maree cambiano di continuo il paesaggio. Nella foresta si avvistano boa, pitoni, il lemure del topo di Berthe di appena 10 centimetri di lunghezza, il primate più piccolo che sia mai stato trovato, il camaleonte più piccolo del mondo Brookesia nana, ancora più piccolo del Brookesia micra scoperto nel 2012 nelle stesse foreste pluviali del Madagascar: quest'ultimo raggiunge 30 millimetri di lunghezza, mentre il nuovo arrivato lo batte con 21,6. Nosy Tanikely “La piccola isola” circondata dalla barriera corallina che dal 2010 è diventata parco nazionale marino e dove già a pochi metri di profondità si possono ammirare stelle marine, tartarughe giganti e pesci colorati. Gli appassionati di snorkeling resteranno più che soddisfatti. Nosy Iranja Una lingua di sabbia bianca da sogno, lunga 1,2 chilometri con incantevoli acque azzurre su entrambi i lati, appare e scompare in base alla marea e unisce l’isola di Nosy Iranja Be (la grande) e Nosy Iranja Kely (la piccola). È una riserva naturale dove nidificano le tartarughe marine e i granchi da cocco. È conosciuta come l’ottava isola più bella del mondo. L’isola di Nosy Iranja Be ha un piccolo villaggio abitato dai pescatori locali. Palme, fiori, alberi tropicali e mare cristallino. Il capoluogo Hell-Ville dal passato coloniale Per vivere appieno l’atmosfera ed entrare in connessione con la vita reale della popolazione fuori dai lussuosi resort, non si può non visitare il capoluogo e centro amministrativo Hell-Ville (Andoany è il vero nome malgascio), una città coloniale tra le più antiche del Madagascar, il cuore pulsante dell’isola, con il porto principale di Nosy Be. Durante il tragitto per arrivare a Hell-Ville si percorre la strada “groviera” (in rifacimento) costeggiata da capanne di legno su terra rossa con il tetto in paglia o bancarelle improvvisate per la vendita di ricariche telefoniche
o frutta e verdura. L’isolamento geografico, la scarsità di comunicazioni interne e delle infrastrutture, lo sfruttamento indiscriminato operato in epoca coloniale prima dagli inglesi e poi dai francesi (come per il resto del Madagascar anche Nosy Be si rese indipendente dai francesi il 26 giugno 1960) sono alcuni degli elementi che concorrono a determinare l’arretratezza dell’economia malgascia. Le abitazioni dei villaggi sono costruite soprattutto in legno e lamiere, senza energia elettrica o acqua corrente. In alcuni centri sono presenti bagni pubblici con docce e servizi igienici. Tante le galline e le anatre vaganti che attraversano all’improvviso. Qui il carburante costa più o meno come in Italia, ma i sa- Igor Righetti con la fotografa Carla Pagliai lari sono ben diversi. Donne circon- e l’influencer Lorenzo Castelluccio date da eserciti di bambini vivono la vita quotidiana all’esterno facendo il bucato o cucinando il riso mentre i polli razzolano tra le pentole. Salutare il “turista bianco” diventa così un evento per uscire dalla monotonia. Qui le officine riparano di tutto (come accadeva in Italia fino a qualche decennio fa) e chiunque vende qualunque cosa tra carri trainati da zebù carichi di merci, motorini fatiscenti dal rumore assordante e decine di tuc-tuc (ape city Piaggio gialli a tre ruote che fungono da taxi). Mezzi da 3 o 4 persone ma sui quali i locali riescono a salire anche in otto. Un’esperienza da vivere. Il grande mercato coperto o “Bazar Be” sulla piazza principale, costruito nel 1954, è sempre affollato. Sui banchi si trova di tutto: dalla frutta tropicale alle spezie, dalle salse di mango fatte in casa e vendute in bottiglie d’acqua riciclate alla vaniglia, dal gustoso e raro pepe nero selvatico raccolto nelle foreste alle trecce di capelli, dal pesce essiccato ai granchi di palude ricoperti di terra fino a ortaggi e frutti non identificati.
finta di andarsene. A volte funziona anche qui. Per i malgasci gli italiani sono tutti molto ricchi, forse proprio perché non siamo abituati a contrattare. Dopo un viaggio a Nosy Be ci si sente più sereni, si apprezzano di più anche le piccole cose, si torna arricchiti a livello interiore, carichi di emozioni e di sorrisi sinceri, di colori, di tramonti spettacolari, dei profumi inebrianti della vaniglia e dell’ylang ylang, ammaliati dalla fauna e dalla vegetazione lussureggiante, dalle tante tradizioni di cui la popolazione va fiera. È quindi impossibile resistere al potere seduttivo di Nosy Be, dove il relax è assicurato in virtù dell’invidiabile stile di vita “mora mora”.
L’artigianato e le spezie A Nosy Be si possono acquistare maschere, sculture e oggetti vari di legno, tovaglie ricamate a mano da donne spesso con il viso cosparso di polveri d’argilla bianca e sandalo giallo per proteggersi dal sole (le nostre creme solari), sottopentole, vaniglia, olio di ylang ylang, spezie, parei coloratissimi, collane e bracciali di semi di frutti tropicali. E ancora: cestini, contenitori, cappelli e tovagliette in rafia, fibra vegetale ricavata da una specie di palma che cresce in Madagascar. Come souvenir sono molto originali le calamite da collezione che qui sono in legno a forma di lemure o dell’albero di baobab, il rhum alla vaniglia e le cioccolate al sale con cacao del Madagascar, considerato a livello mondiale di grande qualità: la sua coltivazione fu introdotta a metà dell’Ottocento dai coloni francesi. La valuta ufficiale è l’Ariary malgascio (il cambio si può fare nel resort) ma accettano molto volentieri l’euro. Sempre bene contrattare il prezzo anche se non esiste il rito della trattativa come nella cultura araba. Se il costo è eccessivo e il commerciante non scende, si può sempre far
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COVER STORY by Rosa Gargiulo
EMANUELA AURELI ASPETTA IL NATALE A FORIO D’ISCHIA Tra le artiste italiane che ti travolgono con la loro energia, con la passione per quello che fanno, e con un’inesauribile determinazione, c’è sicuramente Emanuela Aureli. Il suo dinamismo è probabilmente ineguagliabile, almeno quanto l’entusiasmo che emana, così come l’impegno quotidiano per tenere insieme lavoro e famiglia, caratteristiche che la rendono una donna di spettacolo davvero unica! Emanuela, ormai ci avviamo alla fine di questo 2023. Che anno è stato, professionalmente? “Sicuramente un anno carico di lavoro… come il 2022 e il 2021… ringrazio Dio per questi anni che sono stati davvero ricchi di impegni e soddisfazioni. E speriamo naturalmente di continuare così. È stato un anno davvero bello”. Sei un’artista che ha imparato a saper fare tutto, e farlo bene. Il concetto di “one woman show” non passa molto facilmente, almeno non in Italia. Come mai, secondo te? “Perché purtroppo è vero che noi donne dobbiamo sempre dimostrare di essere brave, di saper fare le cose. Soprattutto in ambito artistico. Si parla tanto di parità, pari opportunità, ma non è così. Gli uomini vogliono sempre controllarci, restare sul loro trono ad aspettare che gli portiamo la coppa di vino. Succede anche in questo mestiere, e dobbiamo dirlo in maniera chiara. Gli uomini continuano a fare i “tronisti” e le donne devono restare un passo indietro. Non c’è parità, resta ancora una conquista”. Una difficoltà nella difficoltà, quindi, perché il tuo non è un mestiere facile. “Questo è un mestiere strano, io lo paragono sempre a un aereo. Devi essere pronto a decollare, ma anche ad atterrare. Bisogna esserne consapevoli. Io sto volando da diversi anni, per fortuna, ma sono anche pronta all’atterraggio. Dobbiamo metterlo in preventivo. Per questo, durante il nostro volo, abbiamo il dovere di essere preparati, di stare sempre sul pezzo, e per noi donne diventa un impegno ancora
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maggiore. Ma noi ce la facciamo: viva le donne, sempre!”. Ormai nella tua agenda, da anni, non manca “Tale e Quale Show”. Qual è il valore aggiunto di un programma così longevo e amato? “Sicuramente quello di essere una vetrina, per i talenti che hanno fatto la storia dello spettacolo e della musica, e per quelli che si sono affacciati e non hanno ancora trovato – magari – la giusta occasione. Con Tale e Quale è possibile lanciare i nuovi artisti e rilanciare quelli che hanno vissuto un periodo d’oro – e che non è giusto mettere nel dimenticatoio. Lo scambio di esperienze e professionalità tra gli artisti che partecipano è davvero molto importante”. Stai dicendo che il talento non ha una data di scadenza… “Assolutamente no. Ci sono artisti che hanno davvero scritto pagine bellissime, e che non è giusto dimenticare. Poi ci sono
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COVER STORY
le nuove voci, che vanno valorizzate e aiutate a venire fuori. Tale e Quale dà la possibilità di continuare a farsi vedere, perché nel nostro mestiere è importante non sparire”. Sicuramente non è un problema tuo, che dalla televisione passi ai palcoscenici di tutta Italia, senza fermarti. Qual è stato il momento che ti ha dato maggiori soddisfazioni, quest’anno? “Ho lavorato tanto, ma il momento più bello e ricco di soddisfazioni è stato sicuramente questa estate. Non c’è stato un giorno che non lavorassi. In modo particolare, ad agosto siamo passati da una città
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all’altra, come le trottole. E per questo ringrazio tanto mio marito, che adesso è anche il mio manager, che ha fatto un lavoro immenso”. Adesso ti prepari a festeggiare il Natale con il tuo spettacolo, continuando ad andare in giro, e sarai anche a Forio, sull’isola d’Ischia. “Sì, e sono molto contenta. Forio è un posto straordinario e mi fa davvero molto piacere presentare il mio spettacolo, a pochi giorni dal Natale. Sono sicura che staremo benissimo e ci divertiremo, tutti insieme”. Stai già pensando agli impegni per il 2024? “Certo, mio marito mi ha avvisato che abbiamo in calendario già molte date – che dovrò incastrare con gli impegni televisivi. Ma sono felice, perché lavorare mi dà gioia, e poi penso che non bisogna mai fermarsi. Le cose non arrivano da sole, alla fortuna dobbiamo affiancare sempre la nostra capacità di costruire un percorso”. Cosa ti senti di dire ai giovani che si affacciano a questo mestiere? “Se davvero volete una cosa, è difficile che non si realizzi. Ma non si può contare soltanto sulla fortuna, che sicuramente è importante, ci vuole anche quella, ma va aiutata con l’impegno e la volontà. Se non costruiamo, non avremo futuro. Non ci sarà domani. Noi siamo quello che pensiamo, e se non facciamo pensieri positivi e costruttivi, guarderemo nel vuoto”. Emanuela guarda, invece, a un futuro ricco di impegni e soddisfazioni, con la solarità e la spontaneità che la caratterizza, unita a una grande professionalità. Instancabile ed entusiasta, come sempre!
Copia omaggio
12/23 Anno 24 - Numero 268 www.gpmagazine.it
EMANUELA AURELI
ASPETTA IL NATALE A FORIO D’ISCHIA