GP Magazine giugno 2023

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media ogni 50 km, con la collaborazione di altri cavalieri, parrocchie, associazioni e amministrazioni locali. Tutto il ricavato viene consegnato la sera stessa direttamente a chi è stato selezionato. La semplicità di Cristian e la regalità di Furia, hanno già conquistato tutta la Sardegna. Dovunque vadano, vengono accolti ed acclamati. Tutta l’isola sta rispondendo con grande generosità all’appello del cavaliere, che invita ad aiutare sempre il prossimo e a non lasciare indietro nessuno. Con il suo modo

e si caratterizza per attività sociali e ricreative rivolte a persone diversamente abili. Già nominato Socio onorario della Federazione Giubbe Verdi compagnia del Friuli Venezia Giulia, per collaborare per la salvaguardia dell'ambiente e della fauna sul territorio di Roccasecca dei Volsci e dei paesi limitrofi, Moroni è noto per il suo modo di rispettare la sua compagna di viaggio. Il cavaliere infatti, percorre buona parte del viaggio a piedi, soprattutto nei tratti più impervi ed in salita, montando Furia solo quando il percorso è meno faticoso per la cavalla. Cristian Moroni non si fermerà all’Italia, perché intende portare il suo messaggio di pace e solidarietà anche all’estero. Appena porterà a termine la missione italiana, partirà alla volta dell’America per percorrere la Route 66 a cavallo, da Chicago a Santa Monica, per incontrare i cavalieri nell'Illinois, nel Missouri, in Kansas in Oklahoma, in Texas, nel New Mexico, in Arizona e in California , per omaggiare e rafforzare il mito del colonello William Frederick Cody, detto Buffalo Bill. Sarà anche un modo per far conoscere i Butteri italiani, sconosciuti nel resto del mondo.

unico ed ecosostenibile di viaggiare, sta dimostrando al mondo che si può vivere felici, rinunciando al superfluo e al consumismo di massa. Virale sui social e sul suo canale Youtube, documenta tutti i suoi spostamenti attraverso foto e video realizzati da solo con uno Smartphone. Tra i sogni di Cristian, quello di creare un santuario degli animali sul Monte Curio, dove ha sede l’associazione, per accogliere bambini speciali e amanti della natura, ma anche ragazzi difficili che devono effettuare un percorso di reinserimento sociale. Cristian e Furia ODV, infatti è già pronta a gemellarsi con molte altre associazioni, tra cui la ODV GIUBBE

VERDI compagnia Salento di Gianluca Calò, che si occupa di Protezione Civile e Ambientale a cavallo

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VIncEnZo BoccIaREllI

“consIGlIoaIGIoVanI DIstoRDIRsIDIBEllEZZa”

Teatro, film e fiction sono i suoi cavalli di battaglia. Vincenzo è pronto a tornare in un cast internazionale nel film “The Race of Love”. Continua a portare in giro per l'Italia spettacoli degni di nota

I suoi continui richiami con il passato lo hanno fatto avvicinare al mondo della recitazione. Ha sempre sentito un grande bisogno di viaggiare sia a livello mentale che a livello fisico, per scoprire ed esplorare luoghi sconosciuti. Rimane incantato davanti alla storia degli Etruschi, un popolo misterioso che andava a caccia con gli strumenti musicali. Variare è il suo motto e nuotare nel mondo è in pratica il suo stile di vita. Vincenzo Bocciarelli è presente ovunque si respiri aria di mistero, di storia e di cultura. Raccontare ciò che ha compiuto in tutti questi anni di attività non è impresa facile. Ciò che colpisce dell'artista è la sua affabilità.

Vincenzo, il numero 2 è ricorrente nella tua data di nascita. Ti ha portato fortuna nella vita?

“Sì, molte volte è capitato il numero due nelle stanze degli alberghi per motivi importanti di lavoro”.

Qual è stato il gancio che hai avuto con il mondo dello spettacolo?

“Devo tutto al teatro, che è la mia formazione base. Ho frequentato il piccolo Teatro di Siena e ho vinto una borsa di studio in Accademia a Palmi in Calabria. Ho fatto anche i corsi al piccolo Teatro di Milano dal 1990 al 1993, anno in cui mi sono diplomato. Avendo validi studi alle spalle, mi sono così buttato in questo mondo”. Cosa rappresenta per te il teatro?

“Il feto dal quale sono uscito. Già da ragazzino ho sentito impellente in me il bisogno di dare corpo alle emozioni e alle parole”.

Quindi l'arte ha sempre albergato in te.

“Ricordo un episodio che risale ai tempi delle scuole. Studiavo la Divina Commedia nelle campagne senesi. Qui sono cresciuto a pochi metri dal torrente Arbia, dove mi bagnavo in quelle acque dantesche. Mi richiamano alla mente la sanguinosa battaglia di Montiaperti tra Guelfi e Ghibellini che colorò il torrente di rosso. Si narra che ogni 4 settembre, quando ricorre l'anniversario della battaglia, si odono nell'aria le urla dei combattenti. Ecco, tutto questo mondo magnifico appartenente al passato, ha stimolato in me il desiderio di dare corpo alle parole. Sentirmi protagonista di questi racconti. Sono cresciuto in una casa antica che sembrava proprio il set di un film storico. Tutto questo per dire che il primo approccio con il teatro classico è avvenuto studiando Dante. Il compito principale dell'interprete è quello di restituire al pubblico la chiave di accesso alla decodificazione dei testi, delle parole e del pensiero dell'autore. Ovviamente si aggiunge la propria anima, ci metti del tuo. Amo l'uso della voce e in questo settore mi muovo su più fronti. Il compito è quello di trasportare il pubblico in altri mondi. Tutto questo mi ha sempre affascinato”.

A proposito di gioventù, cosa vorresti dire ai giovani?

“Piuttosto che cercare l'assoluto in sostanze artificiali o in stordimenti distruttivi, dovrebbero stordirsi di bellezza. Visitare

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Un altro aspetto da non sottovalutare è che molti diventano i genitori a tarda età, spesso oltre i 40 anni. Quanto può essere difficile il divario di età tra i nuovi nati e i genitori? E soprattutto che tipo di conseguenze può comportare? “Dopo i quarant'anni, il problema è averli i figli, poiché si riduce la fertilità, sia negli uomini che nelle donne. Da un punto di vista psicologico, i genitori grandi hanno una maggiore capacità di occuparsi dei figli, hanno in parte realizzato i propri obiettivi professionali, sono in carriera e più stanchi, ma scelgono di averli. Il problema si pone quando non ci sono aiuti sufficienti come asili-nido e una rete sociale solida, per cui il carico dell'educazione e della crescita dei figli è esclusivamente sui genitori che sono nel pieno della propria realizzazione professionale e a cui non possono sottrarsi. Vale la pena ricordare che il carico maggiore è sempre delle donne e che dopo un figlio soltanto il 18% delle donne prosegue l'attività lavorativa proprio per la mancanza di asili nidi e del supporto dei nonni che ancora lavorano, oppure sono troppo anziani per occuparsi dei nipoti”.

Per restare in tema, un altro aspetto importante da non sottovalutare è che molti bambini spesso, proprio per il divario di età, non arrivano a conoscere neanche i propri nonni. Anche in questo caso, quando può incidere negativamente l’assenza della figura dei nonni? “Certamente, non essere cresciuti con i nonni, non avere questo contatto frequente con loro è una grande perdita per i bambini. I nonni hanno tutte quelle capacità dei genitori, ma sono molto più liberi, poiché non sentono la responsabilità educativa, che correttamente rimandano ai propri figli. Non avere i nonni è perdere anche la memoria storica della propria famiglia, l'esperienza transgenerazionale e la saggezza data dal tempo e dall'esperienza. Inoltre, i nonni sono i custodi della memoria familiare e delle tradizioni. Non poterli frequentare o non averli è senz'altro una fonte di tristezza per i bambini. C'è da tenere in conto che anche i genitori che a loro volta non possono contare sui propri genitori, sono più in affanno. Anche se possono avere elaborato il lutto della perdita, qualora non ci fossero più, si sentono comunque più soli. Se i genitori sono anziani, se ne devono occupare, il tempo e lo spazio mentale per occuparsi dei figli si ri-

duce. Tutti questi elementi rendono i nuclei familiari più isolati e la necessità di una rete sociale allargata si impone come necessaria”. Dal suo punto di vista, su quali aspetti bisognerebbe agire per arginare questo problema del calo delle nascite?

“Mettere un giovane in condizioni di scegliere. È necessaria un'informazione capillare, spiegando che la fertilità si riduce dopo i trentacinque anni, molti giovani non lo sanno. Incrementare la cultura della famiglia, avere dei figli è una delle cose più belle della vita nonostante la fatica fisica e l'impegno psicologico. Fare un'informazione psicoanalitica già alle scuole e all'università sull'essere genitori e sul funzionamento della propria mente e della mente infantile. L'istinto e il desiderio di maternità e paternità nascono in adolescenza, è quindi necessario un intervento dalle scuole superiori in poi. Istituire un “bonus psicoanalisi neonatale”, madrebambino e padre-bambino, in modo che i genitori si possano rivolgere ad uno psicoanalista durante la gravidanza e proseguire e l'analisi durante il primo anno di vita. Nei paesi in cui questo c'è, come la Svezia, aiuta molto le giovani coppie ed è una prevenzione rispetto alla depressione post partum e una prevenzione primaria rispetto ad ansia e depressione nel bambino. Fornire i giusti strumenti per affrontare la maternità, come puericultrici a domicilio, per esempio, per le neomamme e i neopapà. Introdurre il “bonus maternità”, in cui tutto l'essenziale per il neonato viene dato alle giovani coppie gratuitamente, dal passeggino, al lettino, ai pannolini, al latte artificiale, pappe, ecc. Creare asili nidi in un numero sufficiente e anche sul posto di lavoro. Poter avere un aiuto specializzato con i bambini è essenziale come è importante poter far visita ai propri figli nelle pause lavorative. Aumentare il periodo di maternità obbligatoria e facoltativa, sia per il papà che per la mamma, poiché durante tutto il primo anno di vita i bambini e i genitori hanno bisogno di stare insieme. Dare anche ai nonni che lavorano la possibilità di usufruire di un congedo parentale per la cura dei nipoti. Favorire la cura dei bambini fino a sei anni di vita con permessi ad hoc, è noto che i bambini in quella fascia di età si ammalano più spesso, quando iniziano la socializzazione nell'asilo nido e poi nella scuola dell'infanzia”.

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FASHION

antonElla fIoREtto

IlcoRaGGIoDIcREDEREnEIsoGnI

EcosìènatoIlsuoBRanD coRaJE

Da pochissimi anni è protagonista con il suo brand di costumi: “Coraje”. Un progetto iniziato in un periodo molto difficile, legato alla pandemia del 2020.

Ciao Antonella e benvenuta tra le pagine di GP Magazine. Sappiamo ad oggi che sei l'ideatrice del brand di costumi "Coraje". Raccontaci qualcosa delle tue origini...

“Sì sono la creatrice e ideatrice del brand Coraje. Voglio raccontarvi la mia storia! Sono nata ad Aversa in provincia di Caserta e ho vissuto 37 anni a Napoli, solo quattro anni fa sono tornata nella mia cittadina di nascita. I miei genitori mi hanno resa la donna che sono oggi, indipendente e libera anche di sognare. Qualche anno fa infatti ho deciso di realizzare uno dei miei sogni: laurearmi e creare il mio brand. Nonostante tutto, nonostante le difficoltà e il tempo, non ho mai smesso di impegnarmi e sognare. Non mollate mai!”.

La pandemia che ci ha coinvolto tutti e, i lunghi mesi rimasi rinchiusi dentro casa, sono stati un'opportunità di crescita per molti. Questo vale anche per te che hai saputo cogliere un lato positivo e dare sfogo alla tua fantasia di fashion designer, giusto?

“Nel 2019 inizio a fantasticare e immagino la mia linea di costumi, ma il tempo è poco e i sogni e i desideri vengono offuscati dalla routine quotidiana. Il tempo passa e nel 2020 ci si ferma per la pandemia. Il mondo è in ginocchio. Eh sì, proprio in quei momenti dove si è soli con se stessi, l’unica forza è sognare e rendere i sogni realtà. Così nasce Coraje!”.

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PROGETTI SOCIALI

fIoRI floREnsI

laRIVoluZIonEGIocosatRaEDucaZIonE, aRtE, GIocoEnatuRa

La loro è una storia di educazione, miscelanza e sguardo al gioco come mezzo di relazione e socialità. Nata appena dopo il periodo pandemico, l’associazione di promozione sociale Fiori Florensi è una delle belle realtà di San Giovanni in Fiore, realtà della Provincia di Cosenza. Da lì, però, l’energia di un gruppo di 17 persone, di Rosa, Mariangela, Maria Costanza e di tutte quelle che ne fanno attivamente parte, sta contagiando realtà limitrofe e sta rappresentando un’esperienza da custodire e promuovere.

Dal cuore del Sud dell’Italia, l’invito che l’associazione rivolge ai bambini, agli adolescenti e agli adulti è quello di giocare. Per divertirsi, per crescere, per imparare a stare insieme. E Fiori Florensi, nato grazie alle varie professionalità delle risorse che ne fanno parte, è un’occasione per pensare il ludus dal punto di vista sociale. In una zona aspra, arida e montagnosa, ecco sbocciata una realtà che scalda i cuori e riempie i vuoti. “Uno cresce solo se sognato” scriveva Danilo Dolci e infatti “Mettiamoci in gioco!” é l'invito di Fiori Florensi APS, e solo quando si dice SI' che può iniziare il gioco. Il format si rivolge a tutti: famiglie, scuole, comunità. In una terra dove non tutto fila liscio come l’olio, il gioco diventa il mezzo per promuovere benessere e prevenire la dispersione scolastica e il disagio. Insieme. L’associazione riprende l'articolo 6 del #ManifestodelGioco che cita testualmente: “Giocare è prendersi cura”. “Così, abbiamo scelto di curare il presente per un futuro migliore: la ludopedagogia è una

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pratica che utilizziamo con gli adolescenti e gli adulti: trasformare spazi quotidiani in spazi poetici attraverso il gioco” raccontano le promotrici dell’associazione. L'educazione emozionale diventa l’approccio per stare col corpo in naturale. Nel Parco Nazionale della Sila, il gioco diventa uno strumento per affrontare le difficoltà con la creatività. “Ma il gioco richiede il rispetto delle regole, quindi attraverso il gioco si vive l’esperienza del rispetto reciproco, dei limiti oltre i quali non si può andare. Perchè non portarci questo stesso coraggio nella vita quotidiana?” è la questione che le promotrici hanno deciso di porre a famiglie, enti, istituzioni. La risposta sta nei fatti: già in estate, un Centro Estivo verrà organizzato sulla scia della ludopedagogia teorizzata dal maestro Ariel Castelo Scelza di Montevideo, Uruguay e Lìscia. Un laboratorio di educazione emozionale è già stato sviluppato nell’ambito del CISP, il Centro internazionale per lo sviluppo dei popoli. Anche il mondo della scuola ha accolto come ossigeno idee e progetti: “Creiamo laboratori di arte e atelier di natura nelle scuole calabresi: ai primi posti in Europa per povertà educativa – spiegano - Educhiamo in Natura perchè crediamo in una Nuova Scuola”. Il gioco diventa strumento di educazione: alle parole, alla natura, alla cittadinanza. L’educazione emozionale diventa l’approccio che lega, nel contesto naturale, educatore e bambini. L'associazione organizza progetti di educazione in natura con minori, percorsi di ludopedagogia, progetti di cura e rispetto per la natura attraverso l'arte del teatro. Propone "Performance Party " feste di buon

compleanno dedicate alla cura del ricordo: festeggiare imparando a stare insieme, proponendo laboratori di teatro e laboratori Montessori. Inoltre, l’associazione organizza feste ludopedagogiche utilizzando l'arte di Munari e raccolte fondi per "AbbracciAperte" progetto Infanzia per la tutela dei diritti umani e per prevenire il disagio dell'attesa che si crea nei centri d'accoglienza. Di recente, l’associazione è attiva anche presso il C.A.R.A. di Cutro (Crotone), purtroppo salito tristemente alle cronache nazionali per il naufragio di profughi. Qui ha sviluppato un progetto rivolto all’infanzia e alle donne. Un modo, forse, per ritrovare serenità dopo un viaggio difficile da dimenticare.

CONTATTI SOCIAL

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zione “virtuale” limitata alle interazioni sui social. L’idea di ritrovarsi tutti insieme ai nostri bassotti è evidentemente piaciuta a molti, dato che ogni anno siamo sempre di più. E quando le persone ignare che, quel giorno visitano il parco, vedono migliaia di bassotti sfilare tutti l’uno a fianco all’altro, lo stupore e l’entusiasmo sui loro volti è qualcosa di realmente emozionate, credetemi”.

Ogni anno riesci a coinvolgere migliaia di partecipanti provenienti da tutta Italia. In cosa consiste questa manifestazione?

“Formalmente La StraBassotti è una marcia podistica non competitiva della durata di circa 3 Km all’interno del parco di Monza. Nella pratica, si tratta di una passeggiata immersi nel verde accompagnati dai nostri amici a quattro zampe dove i podisti familiarizzano tra loro partendo dalla base del nostro comune amore per i bassotti. Naturalmente capita che tra i partecipanti ci sia anche qualche cane 'meno basso', ma è ovvio che tutti gli amanti degli animali sono i benvenuti, perché fortunatamente gli animali sono migliori di noi 'umani' e non hanno pregiudizi tra di loro anche se appartengono a razze differenti”.

L’Associazione Cuor di Pelo Rescue Bassotti continua a crescere recuperando bassotti che necessitano di cure per disabilità più o meno gravi, che vivono in condizioni impietose. Cosa ne pensi dell'abbandono degli animali?

“Abbandonare un animale è chiaramente un gesto che per chi ha un minimo di sensibilità risulta incomprensibile. Abbandonereste mai un membro della vostra famiglia? a me viene da pensare che chi riesce a farlo con un cane, forse non avrebbe troppe riserve a farlo nemmeno con un umano. Purtroppo si tratta però di un fenomeno che capita di frequente, probabilmente dovuto anche alla leggerezza con cui le persone acquistano un cane, magari per moda o per capriccio. Fare entrare nella propria vita un cane o un animale in generale è una scelta che comporta responsabilità importanti. Nessuno ci impone di farlo, ma quando si compie questo tipo di scelta, è necessario rendersi conto che poi non è normale disfarsene come una scarpa vecchia nel momento in cui ci si rende conto di non essere disposti a prendersene cura… In particolare il bassotto è un’animale che sfortunatamente ha la tendenza a soffrire di ernia discale, una patologia che risulta impegnativa e costosa da affrontare quando si verifica. Davanti a questi problemi, tristemente capita spesso che le famiglie decidano che 'disfarsi' del 'problema' sia la scelta più semplice. Per questo Cuor di Pelo, spesso si trova a dover intervenire proprio

in queste situazioni, salvando letteralmente la vita di bassotti che altrimenti sarebbero destinati all’eutanasia per mano di proprietari che non vogliono più prendersene cura. L’associazione li accoglie e provvede a sue spese a farli operare e rimetterli in sesto con tutti i cicli necessari di fisioterapia prima di affidarli a una nuova famiglia che li amerà come meritano”.

Ci sarà anche una raccolta fondi a scopo benefico?

“Il ricavato de La StraBassotti va tutto a sostegno dei bassotti e permette a Cuor di Pelo di poter intervenire in vari modi soccorrendo, accogliendo, sfamando e, soprattutto, curando - come si diceva prima - tutti i bassotti che ne hanno bisogno. Cuor di Pelo esiste grazie al sostegno e alle donazioni dei nostri benefattori, e tutto quello che viene donato è interamente destinato al bene dei bassotti. Oltre a questo, durante La StraBassotti, Cuor di Pelo ospita gratuitamente altre associazioni benefiche dandogli visibilità in modo che anche loro possano raccogliere fondi per portare avanti le attività umanitarie di cui si occupano ogni giorno. Pensiamo che chi riceve del bene debba fare del bene. Le persone che ci sostengono con affetto ogni giorno fanno tanto per permetterci di fare del bene, e noi facciamo il possibile per fare del bene a nostra volta, non solo per i bassotti, ma aiutando come possiamo chiunque abbia una nobile causa da portare avanti”.

Ci sarà qualche novità quest'anno?

“Quest’anno la novità più importante sarà che l’Associazione Cuor di Pelo ONLUS perderà l’acronimo di ONLUS, trasformandosi in qualcos’altro. Ma ovviamente non possiamo ancora anticiparvi tutto, quindi continuate a seguirci per scoprirlo!”.

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RuDolf KosoW

laPIttuRacREanuoVaVIta

Presenze umane rimpicciolite che incontrano animali ingigantiti, tutti diventando soggetti allegorici di opere surreali. Così un coniglio smisurato, un enorme cane o le zampe gigantesche di un felino fanno il contrappunto a una miriade di esseri lillipuziani. Sullo sfondo, paesaggi onirici e inverosimili, cieli che incombono. L’autore di questa realtà reinventata è Rudolf Kosow, artista contemporaneo tedesco. Gli abbiamo chiesto di raccontarci del suo percorso artistico.

“Sono nato in Kazakistan, ma vivo in Germania da molti anni. Ho studiato pittura all'accademia d'arte di Stoccarda e insegno belle arti in una scuola superiore. Nel mio bagaglio di formazione mi sono ispirato ai più grandi pittori dei secoli passati, in particolare del Rinascimento italiano e della pittura barocca. Per quanto concerne la pittura del XIX e XX secolo, ne cito solo alcuni: Cezanne, Gauguin, Magritte, Modigliani, Morandi...”.

I tuoi dipinti sono intrisi di realtà, surrealtà e magia. Ci vuoi spiegare perché?

“Con il modo realistico di rappresentare gli oggetti si crea un'impressione comune. Pertanto ogni oggetto, non importa se oggetto o essere vivente, è del tutto ordinario e 'normale' per lo spettatore. Tuttavia, l'incontro –e l’azione - degli oggetti su un comune piano pittorico potrebbe risultare assurdo, e molto improbabile nella vita reale. Trovo che l'idea delle differenze di taglia sia molto espressiva. Come si sentirebbe, per esempio, il mio cane

se fosse di una taglia immensa?”.

In “Phänomen”, un gruppo di uomini posa davanti a due enormi zampe, forse di felino. E’ l’ipotesi che l’uomo perda la sua centralità e si ritrovi improvvisamente in una posizione di netta inferiorità rispetto alle altre creature?

“Esatto. Cosa succederebbe se gatti, cani o qualsiasi altra razza animale assumesse il dominio sul nostro pianeta e gli umani ricoprissero inaspettatamente un ruolo subordinato? Quest’idea si ripropone in molti dei miei dipinti, e mi affascina. A causa dell'immensa differenza di dimensioni tra umani e animali, tra loro sorgono relazioni completamente 'nuove'. C'è dunque un 'cambio di potere'. Così, all’improvviso, il sovrano non è più l'essere umano ma un simpatico cane! Un'idea di uguaglianza per tutta la

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ARTE

fauna, proprio quando si considera che gli esseri umani sono solo una specie tra le tante sulla terra. E ogni essere ha la propria anima, è parte indispensabile del tutto”. In una civiltà dell'immagine ed ipertecnologica, cosa spinge ancora un artista a creare “vita nuova” attraverso la pittura?

“Il dipinto rappresenta qualcosa che non esiste, un'immagine fittizia della realtà prodotta dalle mani dell'uomo. La base per la creazione dell'arte, e in particolare della pittura, è l'eterna sete dell'umanità per le immagini dell'inganno. L'uomo vuole essere ingannato e quindi incantato! Credo che soprattutto oggi, nell'era moderna di sovraccarico sensoriale, il dipinto creato da mani umane giochi un ruolo ancora più importante: le persone vogliono possedere qualcosa che non può essere riprodotto digitalmente innumerevoli volte. In un dipinto si combinano l'idea, l'esecuzione e l'effetto unico”.

In una tua tela, una donna viene a contatto con un gigantesco coniglio, in un’altra con un bruco anch'esso enorme. Un riferimento ad Alice nel Paese delle Meraviglie?

“Nella maggior parte dei casi, lo spettatore cerca immediatamente di interpretare ciò che è visibile nel dipinto, di trovare risposte e stabilire connessioni. All'inizio, mi preoccupo dell'effetto visivo della composizione; l'interpretazione tematica nasce spontaneamente. Credo che tutto quanto ho visto e assorbito sia inconsciamente riflesso nei miei lavori. Pertanto, il riferimento ad Alice nel Paese delle Meraviglie è possibilissimo!”.

Ancora un dipinto in cui è rappresentato un piede femminile dentro una scarpa décolleté, e ai suoi piedi un ometto minuscolo. La didascalia in tedesco recita: “Se non sei abbastanza grande, ogni tentativo è vano”. Si vuole forse affermare il primato della donna sull'uomo, o è il rimando a un oggetto di seduzione che rende l’uomo succube della figura femminile, pur nella propria presunta superiorità?

“Anche in questa serie di dipinti l'immensa differenza di dimensioni può essere vista come un tema centrale:

si vorrebbe avere il più possibile ciò che si desidera, un concetto molto umano. Ma allora sorge la domanda: se ciò che desideri è semplicemente troppo grande e non riesci più ad afferrarlo e raggiungerlo, che bene porta? C'è ancora da considerare un altro aspetto, l'impotenza degli uomini nei confronti delle donne: per quanto forte un uomo si creda, a un certo punto è inferiore alla donna”.

Le tue opere sono esposte in Germania e Francia. Hai mai avuto contatti con artisti italiani?

“Purtroppo non ho ancora avuto l’occasione di incontrare pittori italiani. Spero abbia un giorno quest’opportunità e possa esporre in Italia. Questo mi aiuterebbe a capire cosa muove e ispira il mondo artistico italiano. Inoltre, mi piacerebbe conversare in italiano, una lingua che sto imparando da due anni”. Tuoi piani per il futuro?

“Sono costantemente alla ricerca di nuovi modi di espressione, argomenti e ispirazione. Mi rendo conto con stupore che questa ricerca non finisce mai, c'è così tanto da scoprire e da provare. Il mio desiderio più caro è entrare in contatto con altre persone e mostrare le mie opere. Purtroppo non è stato possibile negli ultimi anni della pandemia di coronavirus. Sono però di umore molto ottimista riguardo al futuro”.

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EMMa saPonaRo lascRIttRIcEDallaPaRtE

Pubblicato da Les Flaneurs Edizioni, prefazione di Marina Pierri, copertina realizzata da Alessandro Arrigo, il romanzo “Se devo essere una mela” della scrittrice romana Emma Saponaro racconta in chiave ironica e divertente il percorso di liberazione di una giovane donna da un matrimonio rivelatosi solo una macchina capace di stritolare ogni possibilità di crescita personale.

Nel suo viaggio Rebecca, questo il nome della protagonista, incontrerà le grandi possibilità offerte dal web, diventando affermata e ricercata blogger di ricette che lei stessa inventa, soprattutto si avvarrà dei consigli e degli spunti di riflessione offerti da una divertente galleria di personaggi che altri non sono se non la reincarnazione dei principali filosofi della storia.

Emma, a una lettura superficiale potrebbe sembrare che si tratti di un libro leggero, il racconto di un percorso di liberazione di una donna da una relazione tossica, ma tutto sommato con un prevalente registro ironico. Ma a noi è sembrato che ci sia molto più di uno sguardo divertito sulla realtà.

“Ho voluto dare alla coppia che ritraggo nella mia storia il valore di uno dei riflessi della nostra società contemporanea, cioè una società che fatica ad abbandonare un sistema prevalentemente patriarcale e che inevitabilmente trascina con sé una discriminazione sessista. Rebecca riflette quindi la condizione femminile e le problematiche che ancora affliggono molte donne. Non abbiamo raggiunto, per esempio, la parità dei diritti. Nessun Paese europeo l’ha raggiunta. Le donne votano da meno di ottant’anni. Significa che prima non a noi donne era negato il diritto di esprimere una nostra opinione. E anche dopo, per esempio abbiamo dovuto aspettare altri trent’anni per avere una donna ministra. Devo aggiungere altro?”-

“Rebecca - La prima moglie (Rebecca)” è un celeberrimo film del 1940 diretto da Alfred Hitchcock, tratto dal romanzo “Rebecca, la prima moglie” di Daphne du Maurier. Hai mai pensato a questo

quando hai scelto il nome della tua protagonista?

“Assolutamente no. Fatico molto a trovare il nome dei miei personaggi e li cambio in continuazione fino a quando loro mi rispondono. Nel senso che mi rispondono quando li chiamo. Sì lo so, questo fa parte della follia dello scrittore”.

Ti sei occupata di situazioni delicate quali adozioni, abbandoni, violenza sulle donne. Questo libro è arrivato per aggiungere un tassello in più a questo tuo percorso?

“In un certo senso è vero che aggiunge un tassello, un tassello importante perché sto riscuotendo molto successo nel pubblico, soprattutto femminile. Segno che le riflessioni di Rebecca giungono a bersaglio e sono felice. Del resto, tutte le mie storie hanno come tema cen-

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DEllEDonnE

SPETTACOLO

DanIElE PoMPIlI

IlPRotaGonIstaDElfIlM

“allInonEDaY” uscItosu aMaZon PRIME VIDEo

E’ il protagonista del film “All in one day” uscito su Amazon Prime Video. Daniele Pompili ne ha fatta di strada e ora ha conquistato un ruolo importante nella nuova opera di Massimo Paolucci. Il film racconta la storia di Daniele manager di professione, pieno di vita e di energia, che vedrà sconvolgere i propri equilibri quando riceverà una notizia inaspettata destinata a trascinarlo in un incubo da cui dovrà uscire e dare fondo a tutte le sue forze. Nell’intervista, oltre a parlarci del suo personaggio, Daniele ci ha parlato del rapporto con il mondo del gossip e di reality.

Daniele, sei protagonista del film “All in one Day”. Cosa ci puoi raccontare del tuo personaggio? Avete degli aspetti in comune?

“E’ un bel giallo il mio personaggio parla di un manager in carriera pieno di vita e per certi versi qualcosa in comune c’è”.

Come a Daniele, c’è stato un momento nella tua vita in cui si è verificato un imprevisto che ha sconvolto la tua vita? Che rapporto hai con i cambiamenti? Ti fanno paura?

“La vita è sempre piena di sconvolgimenti a volte piacevoli a volte meno con i cambiamenti ho un rapporto un po’ particolare nel senso che mi piacciono molto ma allo stesso tempo sono abitudinario”.

Essere scelti come protagonisti è una bella soddisfazione ma anche una grande responsabilità. Hai avvertito un po’ di pressione? All’inizio hai accettato subito la proposta o ci hai riflettuto?

“Assolutamente si essere stato scelto come protagonista è il traguardo di ogni attore e quando mi è stato comu-

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nicato che ero stato appunto scelto come protagonista subito ho avvertito una grande emozione ed ho subito chiesto al regista se fossi stato all’altezza di questo ruolo ed in un batter d’occhio mi ha detto che non solo sarei stato all’altezza del ruolo da protagonista ma che sarebbe stata anche una grande prova di attore e devo dire che mi ha dato una grande carica abbinata alla preparazione per andare ad interpretare il ruolo. Certamente essere protagonista di un film è anche una grande responsabilità ma io sono abituato ad avere grandi responsabilità sulle spalle”.

Una volta finito il percorso universitario hai deciso di entrare

nel mondo dello spettacolo. Quando c’è stata la svolta?

“Dentro di me sentivo di fare l’attore la svolta l’ho sentita di getto quando mi sono detto è il momento e alla fine era vero che era il momento”.

Sei balzato agli onori della cronaca rosa per la tua storia con Floriana Secondi. Il gossip ti ha penalizzato?

“Il gossip fa parte di ogni personaggio e si ha la consapevolezza di avere i riflettori puntati”.

Dopo la sua intervista a “Belve”, vi siete chiariti?

“Quando ho visto che lei parlava di me a Belve vedevo molta contraddizione e infatti la Fagnani glie l’ha

fatto notare sono uno che non porta rancore la vita è troppo bella per dare spazio al rancore”.

Ti piacerebbe partecipare ad un reality? Grande Fratello Vip o Isola dei Famosi?

“Parteciperei con piacere al Grande Fratello perché credo che rapportarsi con altre persone nel quotidiano faccia uscire varie sfaccettature che contentiamo in altri ambiti, mentre L’Isola è una grande prova di condivisione con altre persone ed è un mettersi alla prova con se stesso visto il metodo del reality”.

Altri progetti?

“Mi sto preparando per un nuovo film”.

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SPETTACOLO

o meglio far evolvere”. Gran parte del merito di questo successo teatrale è di voi attori. Avete dato una vostra chiave di lettura personale totalmente distante da quella del film dove non nascono paragoni. Anche qui un lavoro delicato e complesso. Come avete lavorato perché bastava poco per far pensare agli interpreti del film?

“Abbiamo lavorato con Paolo Genovese come se non esistesse il film, abbiamo costruito, o meglio ricostruito le psicologie dei nostri personaggi partendo dal testo. Nessuno si sorprende o pensa a paragonare una nuova produzione di Amleto o Romeo e Giulietta con produzioni precedenti, nel nostro caso ovviamente si perché il film è un successo planetario, ma se ci fossimo lasciati intimidire non avremmo mai debuttato. Per quanto mi riguarda il lavoro personale sul mio personaggio era ancora più importante perché il mio precedente cinematografico è il mio migliore amico, Edoardo Leo. Per Cosimo tutti avrebbero fatto il confronto tra le due letture proprio per la nostra amicizia. Ne ho parlato anche con Edoardo durante le prove chiedendogli su cosa avesse lavorato lui e ho potuto così fare una scelta diversa. Il mio Cosimo si distacca da quello di Edoardo proprio sul punto debole del personaggio”.

I cellulari e i segreti nascosti sono al centro dello spettacolo. Oggi i telefonini sono diventati le nostre scatole nere. Pensi che siano stati i social a renderci così?

“Siamo sempre stati così, l'umanità vive di segreti, tradimenti e smascheramenti da sempre, la tecnologia ha solo reso tutto molto più facile e accessibile, rendendo noi tutti umani digitali molto più 'frangibili', come chiude il testo alla fine”.

Intanto in autunno tornerà in onda anche la serie Cuori. Cosa ci puoi anticipare sulla nuova stagione?

“Anche in 'Cuori' interpreto un maschio superficiale che però quest'anno cercherà di crescere. La maturazione maschile è per me un tema sociale molto importante che cerco di sviscerare sia come interprete che come autore. Anche in 'Cuori' ci saranno delle svolte importanti per il dottor Ferruccio Bonomo”.

Nel 2019 hai pubblicato il tuo primo libro: come ti sei scoperto scrittore? Cosa ti ha spinto a crederci e renderlo realtà?

“Un istinto strano di cercare un senso nella mia vita. La scrittura è un'ottima terapia. In più volevo dire la mia su certi temi e volevo dirla con un certo tono che avevo in testa ... e quindi me la sono dovuta “cantare e suonare” da solo”. Parteciperesti mai ad un programma come “Ballando con le Stelle”?

“E' un programma molto bello che seguo volentieri in TV e poi adoro ballare. Farei volentieri il guest per una sera, ma come concorrente sarei terribile, eviterei questa tortura agli spettatori”.

Progetti futuri?

“Ci sono diversi progetti in cantiere”.

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Dalle montagne sorga l’acqua, la vita: per me andare in montagna è come avvicinarmi all’essenza della vita, stendermi per terra è come appoggiare il capo sul ventre di una madre e come tutti spero ardentemente che finisca questa siccità che sta prosciugando le fonti, anche se probabilmente non andrà così. La Montagna è una delle tre grandi espressioni della potenza indomabile della Terra, con il Mare e i Deserti, che mi lascia muta; la loro imponenza è un preludio all’immensità dell’Universo, ci impone dei limiti, i nostri limiti”.

Hai partecipato a diverse serie televisive: da “Carabinieri” ad “Un posto al sole”. Cosa ti ha insegnato la lunga serialità?

“In realtà, per scelta, la mia permanenza nelle serie televisive non è mai stata molto lunga. Non sono stanziale ed ho sempre avuto bisogno di conservare una certa libertà di movimento che avrei perso con la lunga serialità. Detto questo, penso che il compito principale della TV generalista sia quello di dare conforto e compagnia a quella parte di pubblico che per certe condizioni di vita (geografiche, economiche, sociali, di salute, ecc…) non si può permettere altri svaghi. In questo contesto, per me la lunga serialità è un importante appuntamento, che non bisogna disattendere”.

Come ti sei avvicinata alla recitazione?

“Seguendo il suggerimento di frequentare i corsi di recitazione del Teatro Nuovo a Torino, datomi da alcuni attori conosciuti lavorando come presentatrice nelle prime TV private, In seguito, ho ottenuto piccoli ruoli in produzioni della RAI di Torino (ove allora si giravano tutti gli sceneggiati), mi sono appassionata e, continuando a fare la presentatrice e la modella per pagarmi i viaggi verso Roma per fare i provini, ho proseguito su questa strada fino a trasferirmi definitivamente nella Capitale”.

Avevi le idee chiare sul diventare attrice o volevi fare altro?

“Ho dovuto iniziare a recitare, per scoprire questo mestiere”.

Ti è mai capitato di mettere in discussione questa scelta?

“No, nemmeno quando sono scontenta o in difficoltà”. C’è un ruolo che ti piacerebbe interpretare in futuro?

“Tutti i personaggi hanno un potenziale interessante, quello che conta è la storia, come viene raccontata”. Hai preso parte anche alla serie “Germinal”. Che differenze hai riscontrato tra le produzioni internazionali e quelle italiane?

“Una volta il mondo era a compartimenti stagni e si sarebbe potuto far un paragone, oggi non più. Le esigenze assicurative, sindacali e la globalizzazione

hanno standardizzato tutto, per lo meno in Europa, oltre al fatto che le grosse produzioni sono basate in più Paesi, quindi producono lo stesso prodotto, anche se ha una cittadinanza diversa. Piuttosto direi che Le produzioni di fiction televisive sono differenti da quelle dei lungometraggi per il cinema, perché gli investimenti e gli obiettivi sono differenti. Anche se il Cinema è ormai coprodotto dalle piattaforme, rimane il fatto che il tempo al cinema si dilata, mentre in TV si restringe per cui lo sguardo del produttore, del regista, degli attori e, ovviamente, del pubblico è completamente diverso”.

Prossimamente dove ti vedremo?

“Aspetto trepidante l’uscita del cortometraggio divulgativo 'Le cose che amiamo di Ale', girato a settembre in Brianza, per la quale uscita non è ancora stata fissata una data. Poi ci sarebbe il film TV 'Moriah’s Lighthouse', girato in Bretagna un anno fa per il Network Hallmark, ma dato che non sono ancora stata chiamata a doppiarlo in Italiano, vuol dire che dovremo aspettare ancora un po’ prima di vederlo”.

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Maestro, come si può riassumere la Masterclass “Musiche per Film Storici”?

“Era da diverso tempo che avevo in mente di organizzare una masterclass su questo argomento. In passato ne ho tenuto altre, ma su musiche per film thriller. Credo che sia importante preparare i giovani compositori alla scrittura di musiche per film in costume. In particolare, credo che sia giusto farlo affrontando la musica applicata per film ambientati nei periodi del Rinascimento, Risorgimento e Seconda Guerra Mondiale”. Come mai proprio questi tre periodi?

“Perché li reputo adatti a stimolare l’immaginazione del compositore. A un certo punto, bisogna decidere se seguire lo stile musicale e gli strumenti dell’epoca o non tenerne conto (se non per la musica diegetica come, ad esempio, un ballo di corte), e poi invece scrivere un commento con un’orchestra tradizionale senza inserire nell’organico strumenti antichi”. Come si svolgeranno le sue lezioni?

“Studieremo le musiche di Miklos Rozsa, il primo compositore dallo stile personale, che a Hollywood si è dedicato ai kolossal in costume come ‘El Cid’ e ‘King of Kings’, ma anche quelle di Georges Delerue, il compositore francese più importante di musica applicata, che ha scritto le musiche di pellicole come ‘A Walk with love and Death’, ‘The Borgias’, ‘Anne of a thousand

days’. Il terzo autore su cui ci soffermeremo sarà Nino Rota, che invece ha scritto colonne sonore indimenticabili, come quelle per ‘Romeo e Giulietta’ e ‘Il Gattopardo’”.

E per quanto riguarda composizioni da lei scritte, quali verranno prese in considerazione?

“Alcune di quelle create per ‘Il Conte di Melissa’, ‘Amore e libertà, Masaniello’, ‘Anita, una vita per Garibaldi’ e il nuovo film ‘Goffredo, e l’Italia chiamò, che parla dell’eroe italiano Goffredo Mameli, autore del testo dell’Inno d’Italia”. Un regista, specializzato in questa tipologia di pellicole, infine, sceglierà le migliori composizioni scritte dai partecipanti, che riceveranno un diploma finale e parteciperanno ad un saggio conclusivo con le musiche preparate nel corso di questo Campus Internazionale di Alto Perfezionamento Artistico”.

Per un professionista affermato come lei, dà soddisfazione insegnare ai giovani?

“Decisamente. Sono loro, del resto, il futuro di questo mestiere. E con l’improvvisazione, senza basi, non si può andare lontano. Ecco perché avere insegnamenti sul campo di questo tipo resta molto utile nella definizione di qualsiasi talento”.

Per partecipare alla Masterclass, scrivere a M° Cristiana Pegoraro (narniaartsacademy@gmail.com) oppure al M° Marco Werba (marcowerba@gmail.com)

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MUSICA

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