eventi & relax
“Tutti ar mare...” Sotto questo sole è bello sognare nonostante il Covid di Mara Fux
“ Tu t t i a r m a r e … . Tu t t i a r m a r e … a m o s t r à l e c h i a p p e c h i a r e , c o ’ l i p e s c i i n m e z z o all’onne, noi s’annamo a divertì!”: questo meraviglioso adagio di Gabriella Ferri sintetizza perfettamente quello che ci prospetta l’estate 2020. Niente crocchie di amici accatastati gli uni sugli altri per giocare a scopetta sotto gli ombrelloni, niente lettini ultra ravvicinati per non far pervenire ad orecchie indiscrete le novità sull’inquilina di pianerottolo, niente maschioni appollaiati sulle balaustre per la consueta valutazione della bagnante più sexy dello stabilimento e soprattutto niente balli di gruppo, niente strusci da rimorchio, niente “ti va una birretta” alle sconosciute e possibilmente niente “uomo in mare” perché con le nuove normative chi si affoga è perduto. Il Covid ha colpito anche qui: al mare in quell’isola felice, passatemi il gioco di parole, che la spiaggia rappresenta per noi tutti e cioè la vacanza. Magari ne sarà felice qualche estimatore della lettura ma la maggior parte degli italiani è stata letteralmente con il fiato sospeso finché non sono uscite le regole comportamentali che vigilano sulla nostra salute in questa anomala estate di un anno che vogliamo tutti strappare dal calendario. Da cui, vista l’imminenza dell’atteso momento delle ferie, ecco una piccola sintesi di quello che troveremo negli stabilimenti. Tanto per cominciare la figura di uno stuart all’ingresso che ci accoglierà consultando la lista delle prenotazioni (perché sottoliniamo che bisognerà prenotarsi a meno che non si sia titolari di un abbonamento fisso), verificherà rapidamente il nostro stato di salute con un termo skanner e ci indicherà la postazione da raggiungere. Il tutto ovviamente a dovuta distanza dal cliente successivo quindi, prima regola da tenere a mente, rispettare la distanza sociale. Sulla spiaggia avremo a disposizione del nostro nucleo famigliare (mamma, papà, figli e nonni/zii solo se coabitanti) ombrellone, lettini e sdraio assolutamente igienizzati ma occhio che i prodotti utilizzati non ledano i vostri teli e asciugamani, di questi danni lo stabilimento non può proprio esser ritenuto responsabile visto che trat-
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tasi di sistemi igienizzanti imposti dalla Cee. Sotto l’ombrellone non si starà male, avremo all’incirca una decina di metri in cui agire distanziati dal vicino per circa 3,5 metri e dalle altre file di almeno 4. E se degli amici volessero raggiungerci all’improvviso? Saranno ben accetti ma sarà l’esercente dovutamente contattato a dargli il via libera in virtù delle prenotazioni già ricevute e comunque non potranno esser inseriti sotto il medesimo ombrellone bensì su un’area appositamente corredata di lettini distanziati di un metro e mezzo l’uno dall’altro. Ma sarà quindi possibile trascorrere insieme la giornata? Si, certo, ma con la mascherina nelle aree comuni o a dovute distanze di binocolo sulla spiaggia. Naturalmente poi si potrà fare il bagno assieme ma l’acqua salata che tutto purifica vuole anche lei le dovute distanze quindi scordiamoci quei piccoli piacevoli assembramenti con le gambe in ammollo: il fischietto del bagnino ci richiamerà al rispetto delle normative. E per mangiare in spiaggia? Si potrà fare senza problemi ma utilizzando le vaschette monodose fatte categoricamente di quella plastica che solo un anno fa bandivamo a pieni polmoni; la parola d’ordine è: non si possono usare per servire aperitivi o pasti stoviglie di metallo, vetro o cera-
mica tranne che portandosele da casa e provvedendo personalmente poi alla pulitura. In sintesi: la tiella di lasagna da casa si, lo spaghetto alle vongole dell’esercente solo su piatto di plastica. E tutti quei passatempi anche romantici tipo canoe, canotti, serpentoni acquatici, balene e squali tigre che di solito si affittano? Li potete affittare ma ci andate da soli o con i vostri cari non senza che prima siano stati formalmente igienizzati. E se cado e mi affogo? Ecco qui abbiamo un piccolo dilemma perché il kit di salvataggio prevede maschere per il bagnino salvante e similari per il malcapitato che, tra l’altro dovrebbe pure prima esser abbracciato per esser tratto in salvo fuori dalle onde. Se scappa popò o mi serve la doccia per togliere il sale? Tutto possibile, ovviamente: i bagni verranno igienizzati dopo ogni uso: ogni stabilimento ha ingaggiato un plotone di addetti alla sanificazione pronti ad intervenire dovutamente tra un cliente e l’altro con varechina e spazzolone per garantirvi sole, salute e relax! Naturalmente tutto ciò avrà termine attorno alle 19 quando lo stabilimento chiuderà i battenti e i clienti dovranno volgere verso casa imboccando l’uscita per permettere la sanificazione di ogni granello di sabbia prima di ripetere l’operazione all’alba del giorno successivo. Ovvio che tutto ciò ci disarmi un pochino. Noi ci siamo permessi di giocarci un po’ raccontandovelo non per scoraggiarvi ma per tentare, con un po’ di spensierata ironia, che purtroppo non è finita e che le regole andranno comunque rispettate. Anche in vacanza.
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leghi, in ambito teatrale – cinematografico – musicale, senza dimenticare le maestranze, è ancora fermo e sta tentando in questi giorni di ripartire, non senza fatiche e interrogativi. La sua speranza è che possano essere date risposte e un sostegno concreto. Non dimentica chi è stato in trincea, perdendo anche la vita: i medici e gli infermieri. Anche a loro ha dedicato ampio spazio nelle puntate che sono andate in onda in piena emergenza. “Questa fase così difficile non va dimenticata. Non possiamo vanificare il sacrificio generoso di chi ha perso la vita sul lavoro, per curare gli ammalati, e la morte di tutte le persone che non hanno avuto il conforto dei propri cari”. La famiglia e le radici sono un punto di riferimento importante, per lui che da pochi giorni ha chiuso Linea Verde per aprire immediatamente una nuova avventura televisiva: dal 29 giugno, infatti, è in onda su Rai Uno con il nuovo programma estivo “C’è tempo”, presentato in tandem con Anna Falchi. “Una donna fantastica. Oltre a essere bella e amata dagli italiani, Anna è anche estremamente simpatica. Sarà divertente passare insieme l’estate su Rai Uno, a raccontare il terzo tempo della vita”. Sì, perché il nuovo programma è dedicato alla “terza età” che, come ci spiega Beppe “deve essere celebrata e valorizzata. La trasmissione vuole raccontare come si possa ancora sognare durante il nostro terzo tempo. Chiuse le esperienze lavorative, è importante far capire che c’è la possibilità di dare spazio ai propri interessi, alle passioni. Le persone continuano ad avere un’idea concreta del domani, delle tante cose che si possono ancora fare”. La terza età, protagonista della trasmissione, gli consente di regalarci alcuni suoi ricordi di famiglia: “Nel programma racconteremo dei nonni e delle nonne, che ritengo siano patrimonio dell’umanità! Ricordo quando da
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cover story
bambino aiutavo mio nonno durante la vendemmia, e pestavo l’uva coi piedi; oppure, quando salivo su uno sgabello e mia nonna mi dava il mestolo con cui avrei dovuto girare la salsa di pomodoro. La sera, riuniti nel trullo, ci raccontavano aneddoti sulla loro vita, sull’infanzia, e noi stavamo tutti lì ad ascoltarli”. Nonni che rappresentano una solida base economica per le famiglie, non soltanto in questo particolare momento, ma da sempre, sostenendo concretamente figli e nipoti, oltre a trasmettere un bagaglio di amore, valori e cultura di inestimabile valore. “C’è tempo” racconterà per tutta l’estate tante storie positive, interessanti, curiose, contribuendo a creare un ponte generazionale necessario. “Vi faremo incontrare il bagnino ottantacinquenne che ancora dispensa consigli e raccomandazioni, o il nonno milanese - ottantenne - che costruisce cose strane nel suo laboratorio, o ancora la influencer di novantacinque anni! Credo che mantenere la mente allenata, nutrire degli interessi, avere cura del proprio corpo, intessere una vita sociale, aiuti a prevenire isolamento e declino fisico e neurologico”, spiega Beppe, che come al solito si è calato nel mood della trasmissione con passione. La sua professionalità e la capacità di creare sinergie con i compagni di lavoro e con le persone che incontra durante la lavorazione delle puntate, rappresenta sicuramente il valore aggiunto del suo successo. Gli chiediamo, a questo punto, se abbia dei progetti da realizzare, che ancora aspettano di esser tirati fuori: “Sono molto contento delle mie ultime esperienze. Naturalmente resto sempre aperto alle nuove sfide. Devo dire che mi mancano un po’ gli spettacoli dal vivo, con il pubblico intorno, che ti dà una carica incredibile”. C’è da scommettere che Beppe Convertini troverà sicuramente altro tempo, anche per tornare in modalità “live”!
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storie & personaggi
Azzurra Rinaldi Un’economista
che sa guardare oltre di Paolo Paolacci
Un'economista che sa leggere in profondità la società attuale, mettendo al centro del cambiamento, la donna. E' inoltre Presidentessa del Corso di Laurea in Econom i a d e l l e A z i e n d e Tu r i s t i c h e p r e s s o l ’ U n i v e r s i t à d e g l i S t u d i d i R o m a U n i t e l m a S a p i e n z a e t r a l e p r o m o t r i c i d e l l ' i n i z i a t i v a # D a t e c i Vo c e . Azzurra, economista per caso, perché? “Economista per caso nasce, in realtà, come titolo di un blog, nel momento di grande esplosione di questo canale di comunicazione. L’intento era quello di creare una commistione tra pillole di economia e spaccati di vita quotidiana. Un modo per prendersi un po’ meno sul serio e sfatare l’immagine dell’economista arido e triste”. Chi è Azzurra Rinaldi? “Sono, appunto, un’economista, con una passione per l’economia di genere, anche se, negli ultimi anni, mi sono occupata anche molto di economia del turismo e sono attualmente Presidentessa del Corso di Laurea in Economia delle Aziende Turistiche presso l’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza, per la quale lavoro. Sono la mamma di tre amatissime bambine e sono una viaggiatrice appassionata”. Quali prospettive hai per te e quali per l'Italia? “A seguito del lockdown, nel nostro Paese abbiamo assistito ad un’apertura senza precedenti rispetto ai temi legati alla condizione femminile ed all’empowerment delle donne. Io mi auguro che questo possa guidare tanto le mie prospettive di carriera personale che una fase di reale rinascita del paese: senza coinvolgere il 51 per cento della popolazione non si va da nessuna parte. Lo abbiamo testimoniato con il grande successo dell’iniziativa #DateciVoce, con la quale abbiamo dato vita ad un flashmob che ha raggiunto come total potential impression un pubblico di 48 milioni di italiani, chiedendo equa rappresentanza di donne e uomini in tutti i luoghi in cui si prendono decisioni utili per il Paese”. Cosa significa essere mamma oggi e le differenze con ieri e con quelle di domani? “Per com’è attualmente configurata la distribuzione delle attività di cura, essere mamma oggi è un gesto eroico. Oltre il 76 per cento delle ore spese per prendersi cura della famiglia sono sulle spalle delle donne, che, se sommiamo il
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vivere & abitare
L’estate 2020 da Italtherm Le proposte di Pietro Lombardozzi In questo momento particolare del nostro tempo, siamo andati a salutare Pietro Lombardozzi, storico imprenditore della Italtherm, eccellenza della termoidraulica. Pietro Lombardozzi, assieme alla Italtherm, la sua azienda, come ha vissuto il periodo del lockdown dovuto al coronavirus? “Dopo la chiusura di 15 giorni, nel pieno rispetto delle norme per combattere il coronavirus, ci siamo preparati a sanificare tutti i nostri ambienti interni ed esterni. Alla riapertura, i nostri incassi non ci hanno permesso di coprire neanche una minima parte dei costi vivi di gestione giornaliera dell’azienda. Certo i tanti e numerosi proclami e promesse di alcuni nostri politici, secondo il mio parere, non stanno incoraggiando una vera e propria ripresa delle attività. E pensare che per far ripartire l’Italia, a mio giudizio, basterebbe utilizzare le risorse economiche già da tempo stanziate; ricominciando dall’edilizia attraverso l’apertura o la riapertura di molti cantieri, dai lavori pubblici: interventi ad esempio su molti ospedali, scuole oltre al rifacimento o alla manutenzione di strade e autostrade ecc., sarebbe un importante volano per tutta l’economia italiana”. Quali sono, tra le tante le proposte alcune che la Italtherm, oramai nel pieno dell’estate 2020, mette a disposizione per agevolare installatori e privati? “I nostri prodotti sono essenzialmente per così dire di prima necessità, dalla piccola caldaia che riscalda l’acqua per bambini ed anziani al condizionatore d’aria, sicuri e garantiti erogatori di “aria sana” all’interno dei nostri ambienti; lo dico specialmente in riferimento ad alcune recenti polemiche e agli ingiustificati allarmismi legati alla trasmissione del coronavirus. Così, come è importante la nostra igiene personale, la stessa cosa, naturalmente, vale per gli ambienti e gli oggetti che vi sono all’interno, questo, già da prima dell’avvento del Covid-19. Quest’ultimi, devono essere puliti e sanificati anche attraverso un ricambio costante dell’aria, la pulizia dei pavimenti assieme ad un controllo periodico e all’eventuale pulizia o sostituzione dei filtri nei condizionatori. Per quanto riguarda quest’ultimi, abbiamo una gamma importante di prodotti di qualità, per tutte le esigenze anche economiche, ad esempio, attualmente stiamo facendo una promozione: dai condizionatori d’aria più piccoli a partire da € 279,00 + iva, 'made in China', garantiti e assistiti come tutti i nostri prodotti, a quelli Vaillant, Mitsubishi, Daikin ed altre marche eccellenti per qualsiasi tipo di esigenza come Samsung che addirittura ha realizzato un condizionatore, la cui aria, prima di essere distribuita climatizzata nell’ambiente, viene filtrata attraverso “migliaia di forellini” in modo da rendere ancora più gradevole e dolce la distribuzione dell’aria fresca senza fastidi anche per le persone più sensibili. Altra possibilità per garantire ancora più sicurezza ai nostri clienti è rappresentata dallo spray sanificante Climasan per pulire i filtri interni dei condizionatori ed il Climanet per pulire quelli delle unità esterne”.
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fashion & glamour
Krizia Moretti L’atletica modella di Mara Fux
Bellissima diciottenne, vincitrice italiana e finalista a Malta di The Look of The Ye a r 2 0 1 9 g r a z i e a l f o r t e s e n s o d e l s a c r i f i c i o d e r i v a t o l e d a l l a d e c e n n a l e e s p e r i e n z a sportiva, sfila per celeberrime e prestigiose firme dell’alta moda. A quali sport ti dedichi? “Ho praticato per 10 anni il pentathlon mentre ora da tre faccio atletica e da cinque tiro con la pistola partecipando, in quest’ultima, a gare di livello nazionale. Attività che mi hanno insegnato cosa siano tenacia, impegno e sacrificio per poter raggiungere un obiettivo”. E quando ti sei avvicinata al mondo della moda? “Ho frequentato circa un anno e mezzo fa un corso di portamento all’Alpa Model Agency spinta dalla piccola passione che ho sempre avuto verso quel mondo. Mi son detta: 'se non lo faccio a questa età, non provo più' e ho deciso di fare un corso di portamento per potermi avvicinare alla moda”. Quindi il corso ti ha fatto da trampolino? “Diciamo che è stato il mio avvio perché mi ha fornito le prime basi. A farmele sviluppare, a farmi migliorare seguendomi passo passo nella formazione è stata Antonella Ferrari, mia fashion director che, notando in me un buon punto di partenza, mi ha seguita pedissequamente; mi ha in un certo qual senso 'plasmata' nell’immagine e con pazienza e metodo mi accompagna da allora, inserendomi in contest in cui possa accrescere d’esperienza ed emergere. Grazie a lei ho sfilato per Anton Giulio Grande, Piero Camello, Isabella Caposano, Giulietta Romeo, Paola Monachesi, Egon von Furstembergh, Nicola d’Errico, Amalia Pulcherrima, Alberto Terranova by Sarli, firme dell’alta moda”. Soddisfazioni particolari? “Direi tutte ma non posso nasconderne alcune che non mi sarei mai immaginata come l’esser scelta da Renato Balestra per la Celebration Blue che si è svolta a Palazzo Zeffirelli a Firenze o la qualificazione nazionale per l’Italia a The Look Of The Year 2019 che si è svolta a Malta e in ultimo il divenir protagonista di Green Fashion, un nuovo format dove tutto è dedicato alla Natura ed ad un nuovo stile di vita green che abbraccia i settori della moda e dell’arte. E’ un format promosso dalla Camera di Commercio di Roma, dalla ConfEsercenti del Lazio, Impresa Donna ideato proprio da Antonella Ferrari presidente della Associazione no profit FEEL che sarà protagonista delle passarelle di Altaroma previsto per il prossimo settembre”. La moda spesso apre le porte al cinema: nessuna esperienza in questo campo? “Per ora solo alcuni fotoromanzi su Grand Hotel ma sto già cercando per il prossimo anno un corso di recitazione perché mi rendo conto che anche in questo settore ci vuole una buona base di partenza. In realtà vorrei avviarmi ad una carriera di attrice pur senza lasciare la moda, portandoli avanti ambedue in modo da continuare a imparare
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per migliorare e magari accettando ogni tanto piccoli ruoli adatti al mio livello di preparazione e alla mia personalità”. Come fai a conciliare tutto questo con lo studio? “Conciliare è sempre stata per me una parola chiave. Praticando sport per cinque ore al giorno, ho dovuto sempre organizzarmi molto bene con i libri per poter stare al passo della classe”. La scuola ha agevolato un pochino le tue scelte? “Più che agevolato mi ha aiutato ad abbracciarle considerando anche che i voti che portavo anche dopo grossi impegni fisici come quando sono andata a Malta per il contest di moda, erano tutti voti positivi”. E la famiglia? “La mia famiglia mi è stata sempre molto vicina, due genitori meravigliosi che vivono tutte le mie emozioni e due fratelli che mi tengono con i piedi ben piantati per terra”. Sei tra gli studenti che hanno sostenuto gli esami di maturità al tempo del Covid: come sono andati i tuoi? “Come tutti ho portato avanti le lezioni da casa, una mole di lavoro maggiore perché anche i professori temevano di non riuscire a portare a termine i programmi; è stato difficile stare dietro a tutto. Poi chiaramente ho dovuto fare un ripasso totale”. E come si sono svolti gli esami? “Di base hanno integrato gli scritti agli orali. Io ho fatto lo scientifico per cui il mio elaborato d’indirizzo ha riguardato matematica e fisica mentre la prova d’italiano ha corrisposto ad un’analisi di un testo del programma. Dopodiché la prova orale l’ho sostenuta sull’intero programma con i miei stessi docenti e solo il commissario come membro esterno”. Lascerai lo studio per la carriera? “No, assolutamente, conto di iscrivermi a Biologia”. Come si rapportavano i professori con la tua scelta di fare moda? “Specialmente all’inizio si sono mostrati molto partecipi ed entusiasti, chiedevano ma non si sono mai allarmati avendo già vissuto le mie scelte sportive che mi hanno sempre impegnata parecchio”. E i compagni? “Per carattere ho sempre avuto un maggior rapporto coi ragazzi che con le ragazze, probabilmente anche perché ho due fratelli maschi; tuttavia anche con le ragazze son sempre andata d’accordo, forse perché non mi sono mai vantata dei miei risultati, li ho sempre vissuti con modestia”. Pensando al tuo obiettivo nel cinema: non temi che occorrano troppi sacrifici? “So bene cosa sia il sacrificio, l’ho imparato con lo sport. Credo che la moda o il cinema, se affrontati con la giusta serietà, alla fine siano dei lavori qualsiasi, non
più di un avvocato o un medico. Se poi hai dei valori veri, come quelli che penso di aver ricevuto dai miei genitori, non cadi in facili trabocchetti e scorciatoie ma questa regola vale nel cinema o nella moda come in qualsiasi altro campo professionale”.
© Le fot o di Kriz ia M ore tt i so no di Federico Mancus o
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fashion & glamour
GIULIA CIMA Una body-builder da ammirare di Alberto Terraneo
Il lungo lock-down, anziché fermare i suoi progetti, le ha permesso di svilupparne uno inedito. Un modo nuovo di pensare al suo ruolo di body-builder che, passo dopo passo, la avvicinerà allo stereotipo a stelle e strisce delle culturiste dal fisico perfetto e dai lineamenti dolci e graziosi che ottengono strage di consensi oltre Oceano. Per Giulia Cima, sta per arrivare il momento della svolta. “Molto presto darò un’impronta nuova di me stessa: ancora più femminile, ancora più aggraziata, ancora più dolce – racconta – il body-building si evolve e, così come il fisico di una culturista deve essere bello da guardare, così deve esserlo il volto”. Eppure, lei è la protagonista di una lunga carriera che dal Lazio le ha permesso di entrare nel mondo del professionismo e di affermarsi a livello italiano, diventando un esempio da seguire per tante donne che le invidiano muscolatura e tonicità. Impossibile non notarla, se non altro per il fisico perfetto e una naturale propensione a mettersi in gioco al momento di salire sul palco. Giulia Cima è uno di quei corpi scolpiti da anni di palestra e affinati grazie alla forza di volontà. Una donna di ferro, culturista nell’animo, plurimedagliata in Italia e in Europa, che ha compiuto innanzitutto una scelta di vita. Quella di puntare sui muscoli, senza dimenticare il cervello. Ed ora, ponendo al centro di tutto la voglia di sentirsi donna. Insomma, l’emergenza Coronavirus ha spalancato una nuova prospettiva. “Proprio così: non mi bastano mai i risultati che raggiungo, il mio ideale diventa ora quello delle mie colleghe americane. Non solo muscoli, ma tantissima sensualità. È il giusto mix per raccontare chi siamo noi culturiste”. Com’è nata questa tua avventura? “Ero poco più che adolescente, praticavo judo ed entrai per la prima volta in palestra. Fu amore a prima vista. Giorno dopo giorno, pesi ed esercizi hanno iniziato a far parte della mia quotidianità”. Da allora non hai più smesso. “Questo sport mi regala libertà e gioia infinita. Così ho scelto di migliorarmi sempre più, fino al punto di pensare ad una gara”. Un altro tassello tutt’altro che facile. “Ho iniziato da sola, non avrei mai pensato che sarei arrivata fino a quel punto, tanto da mettermi in gioco davanti ad una giuria. Mi prendo il merito di quelle scelte. Il podio conquistato all’esordio mi ha fatto capire che quella era davvero la mia strada”.
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E così, oggi, Giulia Cima gareggia si gode qualche trofeo già in bacheca… “Ho vinto due 'Universi', ed è stata davvero una grande emozione! Sono passata in pochissimo tempo dalla categoria bikini alla categoria hard, per poi tuffarmi nella categoria Women Physique. Ho vinto in tutte le Federazioni per poi passare al professionismo... Ho conquistato grandi vittorie anche all’estero dove il culturismo è realmente avvertito come una disciplina uguale a tutte le altre”. A proposito di vittorie… “Ho partecipato e salita sul podio ad almeno 15 Mondiali, ho vinto gare rappresentando la Nazionale Italiana e quasi mai sono scesa dal podio… Ma non solo: sono diventata giudice nazionale internazionale e giudice di panca, e sono stata premiata dal CONI come atleta oltre ad aver ricevuto attestati da molti sindaci ed associazioni”. Come cambierà il culturismo? “La ripresa delle gare è prevista in autunno, ma occorre attendere e agire con prudenza. Appena possibile io ci sarò, pronta a mettermi in gioco e desiderosa come non mai di farmi trovare pronta”. Nel frattempo. “Non sono una persona abituata a star ferma, così molto presto potreste vedermi alle prese con un servizio fotografico come brand-ambassador di una nuova linea di abbigliamento”. Nel mentre, sui social dispensi pillole di benessere e qualche… frecciata. “Con i social ho un ottimo rapporto, tanto del mio successo lo devo a loro da cui spesso ho tratto la forza per continuare a fare ciò che amo. Sono molto seguita, anche se la vita reale con le sue emozioni rimane il cuore pulsante della mia vita”. CONTATTI SOCIAL https://www.facebook.com/giulia.cima.1 https://www.instagram.com/cimagiulia/?hl=it
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gusto
Marco Quintili Il boss delle pizze di Giulia Bertollini
Ha trionfato nella prima edizione de “Il boss delle pizze”. Dopo aver trascorso anni a documentarsi e a rubare con gli occhi per imparare i segreti del mestiere, il pizzai o l o M a r c o Q u i n t i l i h a d e c i s o d i a p r i r e l a s u a a t t i v i t à n e l q u a r t i e r e To r B e l l a M o n a c a . Una scommessa vincente considerando che anche nella fase di ripartenza legata all’emergenza coronavirus la sua attività sta registrando sold out in termini di prenotazioni. In questa intervista, Marco ci ha parlato del suo percorso nel mondo della ristorazione svelandoci il suo sogno nel cassetto. Marco, l’emergenza legata al coronavirus ha colpito duramente la ristorazione. Come sta andando la ripartenza? “La ripartenza è andata abbastanza bene e devo dire che è stata positiva. Ero molto negativo al riguardo e invece mi sono dovuto ricredere. Pensa che il primo sabato dopo la riapertura ho registrato il sold out e anche in questi giorni
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burocratiche e amministrative che riguardano gli acquisti delle materie prime e il personale, seguendo con attenzione gli ordini, i pagamenti e i contributi. Io invece mi occupo degli impasti e della creazione delle nuove proposte”. La pizza più richiesta dalla clientela? “La clientela sta apprezzando tantissimo la pizza carbonara. Gli ingredienti sono la bufala, il guanciale croccante, la crema di pecorino, pepe cuvée e una grattata di tuorlo d’uovo”. Sei stato il vincitore della prima edizione de “Il boss delle pizze”. Che ricordo hai di quell’esperienza? “Non avevo mai partecipato fino a quel momento ad un programma televisivo. Quando ho girato le prime puntate mi sentivo un robot e riuscivo solo a fare la pizza. Per l’emozione stentavo a parlare. Poi successivamente ho preso confidenza e mi sono sciolto di più davanti alle telecamere. E’ stata una bellissima esperienza”. Un sogno nel cassetto che ti piacerebbe realizzare? “Mi piacerebbe tanto andare a 'La prova del cuoco'. E poi un altro dei miei sogni nel cassetto è di poter far assaggiare una delle mie creazioni al giornalista Piero Armenti”.
sto ricevendo molte prenotazioni. E poi nonostante la situazione sono riuscito anche ad assumere del personale. Questo mi ha fatto piacere anche perché altrimenti durante il lockdown non avrei potuto organizzarmi con il delivery. Ho chiamato quindici persone per effettuare le consegne a domicilio. Pensa che quando ho aperto il locale due anni fa ero alla ricerca di personale per il delivery ma ho dovuto rinunciare proprio perché non trovavo persone disposte a farlo”. Com’è iniziato il tuo percorso nel mondo della ristorazione e della pizza? “Mi sono avvicinato a questo mondo circa ventisei anni fa iniziando a lavorare in una pizzeria a Caserta. Il maestro pizzaiolo, Giuseppe, mi ha insegnato le prime tecniche e tutti i trucchi per sfornare un’ottima pizza. In questi anni mi sono dedicato allo studio cercando di apprendere anche tecniche nuove e approfondendo il mondo molitorio. Ad oggi ho una conoscenza molto buona della panificazione. Siccome ho un contratto con un’azienda molitoria e giro il mondo per fare delle presentazioni ora sto cercando di concentrarmi sulla cucina che era quello che mi mancava. Viaggiare mi permette anche di ricercare prodotti di qualità e approfondire la conoscenza delle materie prime”. Quando hai maturato l’idea di aprire una pizzeria? “Volevo dimostrare quello che sapevo fare così assieme a mia moglie Laura abbiamo deciso di aprire la pizzeria 'I Quintili' nel quartiere Tor Bella Monaca. Laura lavora alla Coldiretti e, in pizzeria, gestisce tutte le questioni
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di tempo riprenderà in mano quello stesso volume e si scoprirà cambiato. Ed ecco che un libro diviene uno specchio capace di restituirci un’immagine di noi nella quale sovente fatichiamo a riconoscerci. È memoria di com’eravamo allorché lo incontravamo per la prima volta. Infine, per tornare alla nostra fiducia, allo scrittore occorre anche poter credere nella volontà degli uomini in mezzo ai quali vive, i suoi contemporanei, di preservare la possibilità per le generazioni future di proseguire il raccolto. La parola «cultura» deriva appunto dal latino colĕre, coltivare. Ma come si può sperare di raccogliere frutti da una terra avvelenata? Sempre più spesso, da quando scrivo, mi domando che fine faranno la nostra civiltà e il nostro pianeta. Che aspetto avranno tra decine, centinaia o migliaia di anni? Esisteranno ancora? Un libro è come un figlio: costringe il padre a preoccuparsi del futuro. Se, poi, questo figlio è pura idea, non condannata al deperimento del corpo, allora l’orizzonte temporale da scrutare è potenzialmente infinito. Ma le idee, da un lato sottratte alle malattie del corpo, dall’altro sono minacciate dall’atrofia intellettuale e mi pare che, nella nostra società, al costante aumento della vita media del corpo, corrisponda un’allarmante regressione dello sviluppo intellettuale, sempre più frequentemente spinto in direzione di una cieca e sorda ultra-specializzazione. Questo almeno è l’uomo del presente e, temo, anche quello del futuro”. Perciò hai ambientato il tuo racconto nel passato? “Sì, esattamente. Per potergli dare un protagonista più
umano. Certo, non si tratta di secoli fa, ma nell’epoca iper-moderna pochi decenni producono trasformazioni che in precedenza sarebbero occorsi secoli a realizzare. Ammesso che ciò fosse possibile. Comunque, anche ne 'L’ombra del passato', attraverso la figura del commissario Lombardi, si profila la sagoma dell’uomomacchina, disumanamente specializzato, che contraddistingue i nostri giorni. Un uomo, ci sarebbe da giurarlo, che sa sempre, con precisione assoluta, quale giorno e quale ora sono. Il protagonista, al contrario, è un classico antieroe noir – o, meglio ancora, è classico punto: sente di vivere fuori dal tempo. Per lui sono i luoghi a contare. Luoghi come il Fortebraccio Jazz Club. Se dovessi scritturare un attore italiano per la parte del protagonista, a chi ti rivolgeresti? “Non mi sarebbe facile attribuire un volto a questo personaggio: egli narra la vicenda in prima persona e io l’ho conosciuto e raccontato sempre da dentro. Pertanto, avrei delle difficoltà a individuarne l’interprete semplicemente dal volto. Allo stesso tempo, però, il volto di una persona – persino quello di un attore! – può suggerire qualcosa della sua interiorità. Perciò, provando a indovinarne la sensibilità pur non conoscendolo di persona, sentirei di rivolgermi ad Alessandro Gassmann per sottoporgli il romanzo e chiedergli come potrebbe trovarsi nei panni di un uomo solo all’apparenza stanco di vivere e di sognare. Ma, in verità, molto vivo e anche un po’ sognatore. Un duro dotato di tanta tenerezza”.
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libri
I gor Righe tt i con l a cont es sa Patriz ia De Bl an ck e il fot ograf o de ll e s tar Ale ss an dr o Cane st rel li
Igor Righetti
L’Alberto Sordi che nessuno conosceva di Silvia Giansanti
E' stato pubblicato “Alberto Sordi segreto”, un affascinante libro rivelazione sull'amatissimo attore romano, in occasione del suo centenario. L'autore è suo nipote Igor Righetti. La prefazione è a cura di Gianni Canova e all'interno c'è anche un cd, “Alberto nostro”, la prima canzone dedicata a lui. Il libro sarà pubblicato anche in altre lingue, vista quanto il mondo adorava e adora Sordi. Ci voleva davvero un libro che scavasse a fondo sulla vita di uno dei più grandi attori dei nostri tempi, perché come diceva lui “Solo quando sarò in orizzontale, potrete raccontare la mia vita”. Prima d'allora il massimo riserbo per tenere fede al suo carattere schivo e molto riservato. Lui non ha mai raccontato nulla di sé a nessuno, tranne ai parenti. Suo nipote Igor Righetti ha scritto in tre anni questo libro che vuole raccontare la vita reale di Sordi, con lo scopo di tenere vivo il suo ricordo e farlo apprezzare e conoscere a fondo alle generazioni future, che mai s'immagineranno quanta magia c'è stata nel cinema di quegli anni. Igor si muove a 360 gradi nel mondo della comunicazione, ha un curriculum di tutto rispetto, degno di una famiglia come la sua (è bravissimo anche ad imitare Verdone). Nato a Grosseto nel 1969, è giornalista, ha valide esperienze nel campo radiotelevisivo, è docente universitario di comunicazione, saggista e chi più ne ha più ne metta. Tutto è partito negli anni '80 da Videomusic e il fatto che si è ritrovato in Maremma, è stato dovuto ad una scelta che hanno fatto i suoi genitori dopo aver subìto dei furti a Roma. Il legame di parentela con Alberto proviene da parte della mamma Maria Righetti. Un consiglio? Se volete rendere sereno anche in un'altra dimensione il mitico Sordi, non chiamatelo Albertone! Non ci teneva affatto e nel libro, insieme a tante altre perle, è spiegato il motivo. Alberto ha avuto un grande dispiacere nella sua vita professionale,
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quello di non essere stato mai candidato all'Oscar. Qualcuno diceva che era troppo popolare, grottesco! Inoltre sapevate che ha aiutato molta gente al contrario di quello che si vociferava? Igor puoi smentire queste voci di corridoio che lo hanno sempre dipinto come un avaro? “Assolutamente, basti pensare che Sordi voleva destinare la sua sontuosa villa ad un orfanotrofio. Disse 'In questa casa non c'è mai stato il sorriso di un bambino'. Quando era in piena attività e si ritrovava a girare più film contemporaneamente nello stesso periodo, preferiva dormire presto per ricaricare le batterie, piuttosto che condurre una vita mondana. Così in molti hanno pensato che lui non volesse spendere soldi. A volte si fa presto ad etichettare una persona”. Ecco, aggiungerei non chiamatelo neanche Albertone. “Non amava affatto questo modo di essere chiamato. Il tutto deriva dal destino che il terzogenito di Maria Righetti e Pietro Sordi morì dopo pochi giorni di vita e si chiamava Alberto. La mamma non ha mai superato quel lutto così doloroso. Il nome Alberto gli è stato dato in memoria di suo fratello scomparso e anche per questo motivo non voleva essere chiamato Albertone, considerando inoltre che non si vedeva grosso e massiccio”Parlando di te Igor, il fatto che lavori nel settore della comunicazione e dello spettacolo, è stato casuale o Alberto Sordi c'entra qualcosa? “Ho sempre vissuto di contaminazioni. Ho fatto varie cose nel campo artistico, tra cui suonare la tromba in quanto mio padre era appassionato di Louis Armstrong. All'epoca è capitato un provino a Videomusic che andava molto forte e l'ho superato. Ero contentissimo, ho chiamato subito Alberto per comunicarglielo, ma lui si è mostrato non molto entusiasta. Il motivo era semplicemente perché mi voleva indirizzare verso la radio che lui amava; ha un'impostazione diversa, misteriosa e fantasiosa”. Sei riuscito ad arrivare in radio? “Ho iniziato sempre da giovane a fare il giornalista della carta stampata, per Rai 3 e poi da lì sono nate molte valide esperienze di comunicazione. E' arrivata anche la radio su Radio Uno con un programma quotidiano di rilievo. Ho chiamato Alberto per avere consigli da lui. Inoltre tutt'ora insegno comunicazione in diverse università pubbliche e private”. Tornando alla pubblicazione, cosa racchiude? “Tutti i ricordi e situazioni familiari. Ho messo in evidenza tanti aspetti della sua vita privata che non si conoscevano. E' inoltre un libro che mette molti puntini sulle 'i', è chiarificatore. Ho rispettato le sue volontà, solo dopo la morte si sarebbero potute svelare alcune cose. C'è anche da aggiungere che lui ci ha sempre tenuti al riparo dalla stampa e in famiglia ci siamo sempre visti senza riflettori.Era molto riservato, basti pensare che preferiva non far entrare nessuno in casa e in quelle poche eccezioni teneva tutte le porte chiuse affinché l'ospite di turno non si mettesse a curiosare”. Sono raccontati anche i suoi amori? “Ho scritto di Katia Ricciarelli o di Patrizia De Blanck, ad esempio. Tutti amori che lui ci ha raccontato ma che nessuno
sapeva. A titolo di curiosità, quando Alberto doveva andare a qualche incontro, ci andava con la macchina privata o con il taxi ma mai con l'autista. Sono menzionati anche tanti suoi cari amici veri come Pippo Baudo, Rino Barillari, Rosanna Vaudetti, Sabrina Sammarini e altri”. Cos’è che non avrebbe mai voluto Alberto? “Che la sua villa divenisse un museo. Ma la sorella Aurelia, a 95 anni, quando già Alberto era scomparso, dispose diversamente, facendo nutrire dubbi sulla sua lucidità. Lui voleva assolutamente destinare la villa ad un orfanotrofio. Una lunga e strana storia che continua. In piedi c'è anche una querelle legale e un processo penale a carico dei domestici, di due avvocati e di un notaio. La magistratura vuole vederci chiaro su situazioni che si sono create dopo la sua morte e noi parenti siamo stati chiamati più volte”. In questo libro si parla anche dei rapporti con Nino Manfredi e con Carlo Verdone. “Ero convinto che ci fosse un grande rapporto con Verdone, invece quando nel 1986 girarono 'Troppo Forte', ci confessò che si trovò male a lavorare sul set con Carlo e che non avrebbe voluto fare più niente con quel giovane attore. Nel mondo del cinema lo sapevano tutti. Il famoso segreto di Pulcinella. Vi invito a leggere questo capitolo rivelazione. Un altro personaggio con il quale ci sono state incomprensioni e chiacchiere è stato Nino Manfredi. Alberto diceva su Manfredi: 'Se io sono avaro, lui è veramente tirchio'. Sordi chiuse i rapporti con Nino dopo il film girato in Angola, alla faccia di Luca Manfredi che aveva dichiarato che erano grandi amici. Con questo libro ho smentito tante menzogne”. Negli ultimi anni della sua vita ha provato un curioso fastidio, ovvero quando Max Tortora lo imitava con la copertina sulle ginocchia, come fosse un vecchio ridotto male. “Non l'ha mai mandata giù, al contrario di quello che si pensava”. Perché Alberto non è stato mai testimonial pubblicitario? “Perché non si voleva sputtanare con il suo pubblico. Non ha mai voluto fare uno spot pubblicitario”. Quando è stata l'ultima volta che lo hai sentito? “Qualche giorno prima del Natale del 2002, si percepiva che stava molto male, anche se non ha mai detto niente della sua situazione reale. Era diventato afono e spento, non era più lui. Nel febbraio poi arrivò la notizia della sua scomparsa...”. Igo r Rig het ti con Tiz iana Appe tito, figlia del cel ebre fo tografo di scen a e amico di Alber to S ordi, Enrico Appe tito
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libri
Laura Avalle La scrittrice del “bellessere” di Roberto Ruggiero
I n c o n t r i a m o L a u r a Av a l l e s c r i t t r i c e e giornalista, per parlare del suo nuovo romanzo, “Il mito dell’eterna giovinezza – Il conflitto tra desiderio e realtà” (Armando Curcio Editore). La protagonista della storia è Samantha, sposata con un manager di successo molto più grande di lei. Inizialmente, la differenza d’età non è un problema, ma quando lei ha 43 anni e il marito 61, quei 18 anni diventano una voragine pronta a inghiottirla. Samantha incontrerà Greg, figlio venticinquenne della sua cara amica Cristine. Mentre accanto al marito si sente una bambina, con il giovane Greg si percepisce vecchia. Nasce così la sua ossessione per la chirurgia plastica. Lo scorrere del tempo è diventato un'ossessione e un "pericolo" da scongiurare. Credi che la chirurgia plastica e i trattamenti estetici raggiungano pienamente l’obiettivo? «Mi sono occupata a lungo di questi argomenti, sia come giornalista sia come direttore di riviste a carattere medico scientifico. Credo fortemente che entrambi aiutino a vivere meglio la percezione di sé, per chi lo desidera e per chi sente questa necessità. Questo vale, naturalmente, anche con lo scorrere degli anni: “Quando il tempo solcherà il viso come un aratro e rivolterà come zolle le proprie sicurezze. Perché anche la primavera ha i giorni contati”. È una citazione contenuta all’interno del libro». Fermare gli anni che passano può rendere davvero felici? «Io credo che la soluzione sia vivere pienamente il tempo presente, rendendo immortali i ricordi con le persone che amiamo. Non dimentichiamoci che la felicità (vale anche per il suo contrario) è la conseguenza delle scelte che facciamo ogni giorno». Che rapporto credi ci sia, tra età anagrafica e comprensione della vita?
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«La vita è una grande maestra: ci sono allievi che imparano subito e altri che lo faranno dopo. L’età anagrafica conta fino a un certo punto. Sono altre le variabili che possono fare la differenza, soprattutto in tema di sopravvivenza». La protagonista del tuo romanzo vive in bilico tra due uomini, che in realtà sono un'evidente metafora: la giovinezza che non vorremmo perdere e una maturità che ci spaventa. Come si sente, lei, nell'età di mezzo? «Confusa, smarrita, frastornata, perché mentre fra le braccia di suo marito, che è molto più grande di lei, si sente ancora una bambina, con il suo giovane amante si percepisce vecchia. Nasce da qui il suo conflitto tra desiderio e realtà». Nei rapporti uomo/donna siamo legati ad alcuni stereotipi, in cui di solito è l'uomo ad uscirne vincente. La donna resta sempre "schiacciata" da sentimenti e pregiudizi. Succede anche a Samantha? «Samantha è una donna indipendente, libera e moderna che non teme giudizi e pregiudizi. Ma proprio in nome della libertà, si troverà a dover fare necessariamente una scelta… e non sarà facile per lei». Samantha come Dorian Gray 3.0? «Sì, con la complicità della modernissima tecnologia di cui disponiamo oggi, con qualcosa in più. Ma non voglio spoilerare troppo…».
libri
Rosy Shoshanna Bonfiglio
L’esordio letterario della poliedrica artista siciliana di Avola di Francesca Ghezzani
Rosy Shoshanna Bonfiglio è un’artista siciliana, nata ad Av o l a n e l 1 9 9 0 . D i p l o m a t a s i a l l ’ A c c a d e m i a N a z i o n a l e d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma, prende parte a importanti produzioni dirette da grandi firme del teatro i t a l i a n o . Vo c a l i s t p o l i e d r i c a p e r l a m u s i c a e p e r i l t e a t r o , ha realizzato spettacoli di cui è anche autrice e regista. Affianca alla recitazione, alla musica e alla scrittura, l’attività di Acting e Business Coaching. Vive oggi a Milano e da poco ha esordito sul mercato editoriale con l’opera “Nei Giardini dell'Erebo”. Rosy, qual è il percorso di ricerca artistica che ti sta accompagnando? “Se dovessi scegliere una parola per raccontarti il mio percorso di ricerca artistica, ti direi fioritura. È quella che meglio racconta il viaggio intrapreso nel 2016 portando in scena il mio primo lavoro come autrice in teatro, e che è proseguito in questi anni mettendo capo oggi alla pubblicazione della mia prima raccolta di poesie. Nel 2016 feci una scelta di lavoro, e probabilmente di vita anche se questo l’ho capito dopo - molto coraggiosa: scelsi di dare espressione a una voce interna che mi diceva di assumermi la responsabilità. Di cosa? Di essere tutta quanta, di mettere a frutto interamente le mie idee, i miei desideri, i miei sogni. Il sogno di allora era ‘Capinera’, uno spettacolo che parla di libertà e liberazione, di gabbie che hanno bisogno di essere spezzate, di ali che hanno bisogno di aprirsi. Per me rappresenta anche il senso più ampio di una visione che deve volare alto per farsi realtà, e di un sogno, che come tutti i sogni merita di uscire dal cassetto”. Parliamo del tuo esordio letterario: come è nata l’opera, che significato ha per te e quale messaggio vorresti dare ai tuoi lettori? “L’opera è nata non diversamente da altri scritti - tantissimi - che si accumulano serialmente da anni nel mio pc. Ci sono momenti in cui semplicemente la scrittura si fa più intensa, più costante, nelle mie giornate, e allora capisco che stia prendendo forma qualcosa di più importante. Dopo la stesura dei primi componimenti ho avuto la sensazione che non fossero cellule sparse ma atomi di una stessa molecola che piano piano tessevano i loro legami. Era il 2016 e mi trovavo a vivere un intenso terremoto professionale, emotivo, personale, sentimentale, direi esistenziale. Si sono verificate da quel momento in avanti delle vicende di vita complesse che hanno inciso un solco sempre più profondo nella mia serenità. La scrittura ha avuto il ruolo di concentrare dentro i componimenti le tappe di quel delicato passaggio. Non mi è semplice
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parlarne ma posso dirti che sia stata un’immersione sempre più profonda nella mia vita di donna e nella vita in generale, nell'eros della vita, fatto di sentimenti umani estremamente sfaccettati, di altezze e di bassezze, di slanci e di cadute, di amore e di mancanze. È stato come calarsi con una sonda in fondo alla terra, per poi riemergere, fino a ritrovare una luce, enorme, diversa, accecante, guaritrice. Come ho dichiarato in un'altra intervista infatti, il libro racconta una fioritura e una guarigione. Una liberazione direi, generata da una consapevolezza nuova. È stato quando ho scritto l’ultimo componimento che ho capito che la raccolta fosse terminata. Ho visto allora affiorare il giardino tra le parole: c’erano tutti i fiori (alcuni più belli altri molto meno) delle esperienze attraversate e di me stessa. C’era una luce, straordinaria, a illuminare quell’Erebo di oscurità, rendendolo una terra densa di vita.”. Oltre a calcare i palcoscenici in veste di attrice e anche aiuto regista non mancano all’attivo esperienze cinematografiche e televisive come interprete. Tra tutte queste forme di espressione artistica ce n’è una che porti particolarmente nel cuore? “Non ho mai fatto un mistero della mia preferenza indiscussa per il Teatro. Lo scrivo con la T maiuscola perché per me è stato un Maestro, una filosofia di vita, un modo di vedere le cose, di entrare nell’esistenza. Quello che il Teatro mi ha insegnato è ineguagliabile e per quanto mi riguarda sacro. Mi ha connesso al senso profondo dell’agire creativo e dell’essere creativo, delle stratificazioni che dal corpo ci conducono allo spirito, insegnandomi a far tesoro di quelle stratificazioni per essere canale, trasmettitore della vita, della riflessione, dell'emozione, della consapevolezza, della bellezza, della conoscenza. E poi, in maniera più semplice, mi ha insegnato a essere libera, a essere “scatenata”, cioè priva di catene, di vincoli, di formalismi. Mi ha insegnato la polvere, l’adattamento, la semplicità, l’umiltà del lavoro e dello studio, la curiosità, l’osservazione, l’interpretazione, che è un concetto ampio e complesso, è una lente con cui approcciarsi a un personaggio, a se stessi, agli altri, alla vita. E mi ha insegnato ad avere fede. In quello che non si vede ma c’è, fede in quello che si sente. In quello che potrebbe essere, in quello che si immagina”. Hai avuto esperienze musicali molto variegate, che hanno investito da sempre ogni tuo lavoro artistico, in teatro e non solo: qual è il tuo rapporto con la musica? “Il mio rapporto con la musica lo definirei inevitabile, in senso letterale: non posso proprio evitarlo, il più delle volte non è neanche una scelta, è parte integrante di ogni mio processo creativo, in maniera naturale. Lo scorso ottobre è uscito il mio primo singolo come cantautrice, dal titolo 'Inutilizzato', parte di un progetto discografico ancora inedito e più ampio, che per certi versi incrocia anche il libro: alcune canzoni sono proprio dei componimenti della raccolta, poi musicati. Questo incrocio ha dato vita all’idea delle poesie sonore, che sto realizzando in questo periodo sul mio canale Youtube: dei brevi video musicali su alcuni componimenti scelti. Poi c’è un’altra parola ed è viscera-
lità. Parlando sempre di fiori e natura è come se nella musica sentissi di toccare le corde del mio seme, quello che poi dà vita a tutto il resto. Per musica intendo il suono tutto, come anche il canto, la voce in generale. L’universo vocale è certamente quello a cui sono più legata nel mio percorso”. Se tu potessi esprimere un desiderio, con chi vorresti lavorare un domani? “Mi piacerebbe incontrare un grande Maestro. Sono stata fortunata perché ne ho avuti due molto presto: mi riferisco a Gabriele Lavia e Luca Ronconi. Questo ha alzato moltissimo la mia asticella. Ho incontrato persone molto in gamba dopo di loro, ma Maestri non più. Mi piacerebbe molto fare un altro Incontro, di quelli con la I maiuscola, che ti aprono la mente e ti cambiano la vita, ti allargano la visione. Non saprei farti un nome in tal senso, se non per il cinema: Tornatore rimane da sempre il regista del mio cuore, è davvero il sogno di una vita. Ci siamo anche conosciuti, in circostanze abbastanza incredibili, qualche anno fa. Quello sì che sarebbe un altro bel sogno fuori dal cassetto!”. Infine, nel presentarti abbiamo accennato che tieni seminari e workshop di formazione per professionisti e aspiranti attori, oltre a curare progetti laboratoriali in cui coniughi l’esperienza del teatro con le tecniche di comunicazione e Coaching. Qual è il consiglio che ti senti di dare a chi vuole intraprendere una professione artistica? “Di farsi le domande giuste. Questo è un grandissimo apprendimento mutuato soprattutto dal mondo del Coaching. Siamo sempre in cerca di risposte e invece il più delle volte ci stiamo facendo le domande sbagliate. O comunque non quelle necessarie. La parola artista può voler dire - oggi soprattutto - troppe cose. Ho lavorato moltissimo coi ragazzi e devo dire che probabilmente sono in assoluto i miei preferiti. La mia preoccupazione maggiore è sempre quella di renderli consapevoli: di cosa vogliono, dei loro perché, dei loro bisogni. Di cosa si aspettino da un settore così frainteso e di quale apporto vorrebbero dare, entrandone a far parte, alla vita, al mondo, alla società. C’è tanta casualità e approssimazione in certe professioni artistiche, penso soprattutto agli attori. Si sono create troppe figure nella nostra contemporaneità che sembrano somigliargli ma sono un’altra cosa. Questa chiarezza è quella che consiglierei. E poi di essere curiosi. E affamati. E di dedicarsi. Con cura, con gioia, con grande umiltà, con coraggio”.
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spettacolo Paolo Licata insie me ad un a de ll e pr otago nist e di “Picciridda” Ile ana Rigano (z ia Pina), scompars a di re ce nt e
Paolo Licata “Picciridda”: cronaca di un successo annunciato di Alessandro Cerreoni
Un film che tocca il cuore. Che arriva a commuovere profondamente. Che smuove i sentimenti. Una storia che non ti lascia indifferente. Chi ha avuto la fortuna di guardarlo, non può non aver amato Lucia e donna Maria, le due protagoniste di “Picciridda – Con i piedi nella sabbia”, l'opera prima del regista Paolo Licata destinata a far parlare di sé. Peccato che la sua uscita nelle sale, lo scorso 5 marzo, sia avvenuta solo pochissimi giorni prima dell'inizio del lockdown. Altrimenti il successo sarebbe lievitato fino a raggiungere livelli inimmaginabili. Perché chi ha visto il film non può non coinvolgere gli altri a vederlo. Dire che è un bel film è un eufemismo. Diciamo che è un capolavoro. Un'opera cinematografica che avrebbe tutte le carte in regola per ben figurare anche a Cannes e Venezia, le due kermesse dedicate al cinema più importanti nel nostro Continente. “Picciridda” è tratto dall'omonimo romanzo di Catena Fiorello. E' una storia ambientata nella Sicilia degli anni '60. Lucia, la bambina protagonista, si ritrova a dover vivere con sua nonna Maria, dopo che i suoi genitori sono costretti ad emigrare in Francia in cerca di fortuna. Lucia di fronte si trova una nonna burbera e austera, custode di un segreto che l'ha segnata per sempre. E' proprio questo il motivo per cui nonna Maria fa di tutto per tenere lontana Lucia dalla famiglia di sua sorella Pina e di suo cognato Saro. E non sempre ci riesce. Anzi, in tutto questo accade qualcosa che condizionerà la vita della piccola Lucia fino all'età adulta... Il film ha visto la partecipazione di un cast di bravissimi attori. Marta Castiglia (Lucia) e Lucia Sardo (donna Maria) sono le due protagoniste. Entrambe fenomenali e ricche di talento. E proprio Lucia Sardo ha avuto la nomination per i Nastri d'Argento come migliore attrice protagonista. Niente male per l'esordio assoluto in un lungometraggio di Paolo Licata. E
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inoltre, ci sono anche 5 nomination per i Globi d'Oro ed è ufficiosa la notizia dell'assegnazione d uno di questi premi come “miglior opera prima”. Il resto lo scopriremo a breve. Intanto “Picciridda” è visibile sulla piattaforma Chili e in alcune sale cinematografiche che, in concomitanza con la loro riapertura, hanno deciso di ri-mettere in programmazione il film. E a proposito di cast, non possiamo non ricordare una delle protagoniste di “Picciridda”, la bravissima attrice siciliana Ileana Rigano (zia Pina), che qualche settimana fa ci ha lasciato e alla quale Licata ha dedicato alcuni bellissimi pensieri sulla propria pagina Facebook. Oltre agli attori che hanno preso parte alle riprese, “Picciridda” deve la sua riuscita, oltre che alla magistrale regia, anche alle musiche, alla location (l'Isola di Favignana ndr), alla sceneggiatura, alla fotografia e a tutto il personale che ci ha lavorato. Con il regista Paolo Licata abbiamo scambiato due chiacchiere in attesa di quello che potrà accadere nelle prossime settimane. Paolo, il tuo film "Picciridda" è uscito al cinema il 5 marzo, è rimasto in sala pochi giorni prima del lockdown… Che riscontri ha avuto in quel poco tempo? “Ciò di cui posso ritenermi davvero soddisfatto in questa mia prima esperienza nel lungometraggio è proprio il riscontro e la risposta del pubblico. Nelle diverse proiezioni a cui ho preso parte, ho potuto constatare che il film piace molto alla gente, emoziona e commuove, e questo mi rende felice perché è sempre stato il mio obiettivo primario. Non ho mai avuto l’intenzione di realizzare un film per una nicchia ristretta, bensì per il grande pubblico; di certo un film con contenuti importanti e di rilevo sociale, ma che fosse apprezzato da molti anziché solo da pochi intenditori di cinema d'autore. Nei pochi giorni di programmazione al cinema, in proporzione alle copie in circolazione (circa 60) è stato uno dei film che ha incassato di più in quel weekend, nonostante i risultati fossero estremamente falsati e condizionati dalla paura del virus che già dilagava”. Nel frattempo è arrivata la candidatura al concorso ufficiale Globo d'Oro e ai Nastri d'Argento, con Lucia
Sardo come migliore attrice protagonista. Una bella soddisfazione, cosa provi? “Siamo tutti molto contenti della candidatura al Globo, totalmente inaspettata. I giornalisti della stampa estera hanno molto apprezzato il film ed io non posso che esserne onorato. Riguardo ai Nastri, siamo felicissimi per Lucia e fieri di lei. La sua meritatissima candidatura porta lustro al film e mi auguro fortemente che al di là di 'Picciridda', grandi interpreti del cinema italiano come lei (e come tutti gli attori di cui ho avuto il privilegio di avvalermi nel mio film) abbiano presto molto più spazio e più riconoscimenti. Iniziamo nuovamente a scritturare grandi attori-interpreti, che non sono necessariamente coloro che hanno grandi nomi o sono sempre sulle prime pagine delle riviste!”. Il film tratta temi delicati come il disagio sociale, la disgregazione famigliare e la violenza. Un esordio alla regia niente male. Quanto è stato impegnativo? “È stato un progetto in cui ogni singolo componente del cast artistico e tecnico, sin dalla scrittura della sceneggiatura, fino agli ultimi ritocchi di color correction, ha dato tutto se stesso e anche di più. Credo che le persone che hanno lavorato su questo film siano andate sempre molto oltre il livello di impegno minimo indispensabile che era richiesto dal loro ruolo. Ho sempre avvertito un grande coinvolgimento emotivo, non solo da parte dei grandi maestri con cui ho avuto onore di lavorare, ma anche da parte degli esordienti e dei tecnici. Non ho mai avuto l’impressione che qualcuno della troupe stesse semplicemente svolgendo l’ennesimo lavoro di routine. È stato un lavoro estremamente impegnativo mettere in piedi una produzione indipendente per un film drammatico, con grandissimi sforzi o rinunce da parte di tutti. Enorme impiego di energie, tempo, e risorse di ogni genere, così come per ogni film. Ma quando non si ha alle spalle una Major e bisogna fare tutto da soli, diventa ancora più faticoso. Mi auguro sempre che questi sforzi maggiori vengano premiati e riconosciuti. Sono le piccole produzioni che hanno bisogno di premi e aiuti. I grandi nomi e le grosse produzioni ce la fanno benissimo da soli. Anzi, ce l’hanno già fatta”. Il fllm è tratto dall'omonimo libro di Catena Fiorello. Per
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spettacolo chi ancora non ha visto il film ma ha letto il libro, ritieni che la trasposizione cinematografica sia stata fedele in tutto all'opera di Catena? “La linea narrativa principale è abbastanza fedele alla storia del libro. È una storia di cui mi sono innamorato e non c’era motivo di discostarsene troppo. Nella trasposizione in sceneggiatura sono stati effettuati i consueti e necessari interventi di selezione dei momenti più importanti, di scrematura dei personaggi fondamentali e di accorpamento di alcuni personaggi in altri. Posto che libro e film sono due linguaggi molto differenti fra loro, sia nei ritmi che nei tempi di assimilazione delle informazioni, a detta dei lettori che poi hanno visto il film, e anche della persona più autorevole che è Catena stessa, abbiamo fatto un buon lavoro nella trasposizione”. Catena Fiorello è stata presente sul set durante le riprese? “È stata una scelta di Catena quella di non venire sul set. Credo sia stato per scongiurare del tutto il rischio che io potessi sentirmi condizionato in qualche modo dalla sua presenza. Per evitarmi un po’ di ansia da prestazione magari! Ovviamente a me avrebbe fatto tanto piacere invece. È vero però che un regista che va incontro ad una trasposizione cinematografica, avverte questa grande responsabilità. Come dico sempre a Catena, il risultato più importante e più gratificante che un regista può ottenere nella trasposizione di un romanzo, è che il film piaccia allo scrittore del libro. È un po’ la stessa incognita a cui va incontro un direttore d’orchestra quando interpreta l’opera di un compositore: immagino si chieda costantemente se quest’ultimo l’aveva pensata in quel modo! Nei film è lo stesso, è quasi impossibile riprodurre sullo schermo le atmosfere che lo scrittore immaginava quando creava la storia. Nel nostro caso, Catena non fa che commuoversi ogni volta che vede il film, quindi suppongo di aver centrato l’obiettivo”. Che messaggio vuole dare "Picciridda”? “Ritengo che i messaggi di 'Picciridda' siano molteplici e che il film abbia diversi livelli di lettura. Riguardo alla storia, dico sempre che è un film per gli uomini, affinché prendano coscienza delle ripercussioni che uno sfogo momentaneo o un comportamento violento in generale, non necessariamente fisico ma anche psicologico, possa avere nella vita di una donna. Ma è anche una storia di affetti, di famiglie che si separavano allora come si separano oggi in tutto il mondo per riuscire a sopravvivere. Una storia di persone qualunque che poi giocano in positivo o in negativo un ruolo fondamentale nella nostra vita. Di affetti che davamo per scontati quando erano con noi, e di cui abbiamo capito l’importanza solo quando li abbiamo persi. Di nostri cari che riescono a salvarci anche se sono morti da tempo. Dell’attaccamento alla nostra terra e alle nostre radici che rende ancora più complesso e doloroso dover andar via per trovare lavoro. Al
di là della storia, mi piace pensare che la stessa realizzazione di questo film, il modo in cui è stato fatto, lanci un messaggio importante. È un film povero, senza ostentazioni, senza buonismi o facili stratagemmi per conquistare il favore del pubblico. È un film semplice, sincero, realizzato con passione da chi ci ha creduto e ci ha lavorato anche solo per farne parte. È un film meritocratico così come è stato il suo percorso fino ad ora, senza spinte di alcun tipo nella dura salita (e nel duro periodo in cui è incappato), ma fiducioso di potercela fare da solo, con le proprie forze, e far parlare di sé solo perché piace e basta. È la prova empirica che volere è potere, anche senza aiuti e sostegni. Ma se poi il film piace alla gente, forse valeva la pena aiutarlo e sostenerlo un po’ di più in fase di produzione”. Cosa ti ha colpito del libro di Catena? “Il libro mi ha colpito sin dalle prime pagine, ancor prima di finirlo e poter valutare la storia nella sua interezza. Racconta di persone, luoghi, colori, sapori, odori, che conosco bene perché sono quelli della mia terra. Mentre lo leggevo, il legame con esso cresceva di pagina in pagina. E dentro di me pensavo: 'sì, mi ricordo; è vero è così'. L’impeccabile capacità descrittiva di Catena ha reso facile visualizzare tutto il film già dalla prima lettura del libro”. Lo stato di salute del cinema italiano? Anche alla luce di questo blocco forzato… “Ciò che è capitato è un disastro per tutti. Così come quasi tutti i settori, il cinema è stato colpito senza pietà. Mi auguro solo che il governo intervenga in modo decisivo per far sì che il duro lavoro, gli investimenti, le energie che hanno impiegato le produzioni, soprattutto le più piccole che non potevano neanche permetterselo ma che lo hanno fatto solo perché credevano tanto nel loro film, non si disperdano nel nulla e non si dica 'pazienza'”. Hai già nel cassetto un progetto per un prossimo film? “Sì ci sono delle idee per prossimi progetti, ma per adesso sono ancora troppo coinvolto e impegnato nel percorso, spero ancora lungo, di 'Picciridda'”. Non si diventa registi per caso. C'è tutto un percorso da seguire. Il tuo qual è stato? “La passione per il cinema c’è sempre stata sin da piccolo (quando con gli amici realizzavo scenette e corti artigianali) ma non ho mai avuto il coraggio di farne la mia unica fonte di guadagno. Dopo la laurea in Giurisprudenza mi sono trasferito a Roma dove ho studiato regia. Nel frattempo, facevo la spola settimanale tra Roma e Palermo per ottemperare alla mia pratica legale. Nel tempo ho realizzato spot, corti, mediometraggi e poi infine il lungometraggio per il cinema, per la cui realizzazione mi ci sono voluti circa sette anni di vita. Spero almeno che, dopo questi sforzi, il mio film sviluppi una forte immunità al virus e riesca a raggiungere il maggior numero di persone possibile”.
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spettacolo
Beppe Cantore Fase 3
uscire dal letargo! di Mara Fux
Attore brillante di matrice fieramente partenopea protagonista del palcoscenico nazionale oltre che di popolari film e fiction, Beppe Cantore ha vissuto l’esperienza Covid come un vero e proprio cambio epocale delle sue abitudini. Come hai trascorso il tempo durante l’emergenza? “Sono andato in letargo, ho passato la fase 1 dormendo di giorno e guardando fino alle 6 di mattina serie televisive come 'La casa di carta' e vecchi film. Credo di esser uscito solo due volte, una per andare al supermercato e una per andare al bancomat per il resto brevi giri quotidiani dietro casa al parco dell’Insughereta dove non incontravo un’anima viva, solo il verde dei boschi e qualche uccelletto. E così, siccome non sono nemmeno abituato troppo a passeggiare, verso la fine della fase 1 mi sono strappato una gamba per cui il fisioterapista è diventato protagonista della mia fase 2 ed ho avuto un rigetto di qualsiasi serie a puntate”. Ti cucinavi da solo? “Ho cercato di non cucinare mai: ho sempre avuto ribrezzo per quegli uomini che dicono 'oggi mi sono cucinato un bel piatto di trofie all’indiana'. Io amo andare a mangiare al bar, sedermi e farmi un piatto di penne in bianco, quel contatto ti riempie la vita, scambi due chiacchiere e, se anche non conosci nessuno, ascolti le persone. Una volta Luigi de Filippo mi disse 'Mi piace stare da solo in mezzo agli altri': ecco a me questo 'stare da solo in mezzo agli altri' è sempre piaciuto molto. Mi piace cucinare ma per gli altri, non solo per me”. Quindi lunga vita ai tramezzini? “La prima settimana è stata l’era del salame, ho mangiato un salame al giorno, credo di avere l’uricemia a palla perché erano mesi che non ne mangiavo uno. Poi almeno una volta al giorno mi facevo portare fritti o pizza da un take away. Avrò toccato tre volte la pasta e mai il caffè: ho abolito il caffè dalla colazione. Chiusi i bar, niente caffè! Ho il frigo ancora pieno di vivande che credo dovrò buttare perché, pur essendo un mangiatore compulsivo, ho il frigo pieno di così tanta roba che non so nemmeno che farci. Credimi mi fa ribrezzo solo l’idea di fare la spesa ma pur di uscire quel quarto d’ora al giorno, ho avuto la necessità di giustificarmi acquistando cibo”. Non hai fatto altro? “Niente telefonate, nessun amico, niente flash mobe. L’unico appuntamento fisso è stato quello delle 18 per le conferenze della protezione civile, per il resto niente, non ho nemmeno più pubblicato niente su face book, ho avuto un blocco totale della vita. In questo periodo ho letto molti post di speranzisti e pessimisti: io sono stato at-
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spettacolo tendista. Con l’emergenza nella mia vita si è fermato tutto; avrei voluto dormire fino a che non finiva tutto; mio padre diceva sempre quando ero ragazzo che sono un dormitore seriale, è verissimo e in questo periodo sono stato capace di dormire anche 13/14 ore. Ho sentito tanti dire che stare a casa è stato bellissimo: per me é stato veramente terribile”. Quindi non hai dato sfogo alla creatività come molti tuoi colleghi? “Ma per carità: c’è stato uno che mi ha detto che ha scritto un racconto poi un romanzo poi un film per sé e pure uno per un altro collega. Io aspettavo solo la notizia che la trattoria Dante era aperta e che il mondo si fosse finalmente riacceso. Qualche sera prima della restrizione sono tornato a casa con l’intenzione di farmi una doccia, cambiarmi e riuscire invece non l’ho fatto; mi sono messo davanti la televisione e non sono uscito più. Poi è stata data la restrizione: non sai quante volte abbia rimpianto quella serata. Per me che sono napoletano, l’idea di poter girare la notte per Roma, godermela quando è deserta, è bellissima. E’ una cosa che ho iniziato a fare tanti anni fa quando mi sono trasferito: Roma ha una caratteristica unica e cioè che se ti sbagli con le strade perdi un tempo infinito, così quando avevo un provino, per arrivare puntuale, la notte prima con lo stradario alla mano mi studiavo il percorso per arrivarci. Per me la notte è stata legata soprattutto a Roma: non sai quante volte quando capitava che lavorassi al Teatro de’ Servi mi soffermavo alla fontana di Trevi solo per guardarla; è meravigliosa, è il mare dentro la città specie ora che è stata ripulita”. E non sei stato tentato nemmeno da un giretto notturno? “Sono stato tentato tante volte, me lo sono pure detto 'ma che male faccio se giro da solo di notte' ma poi non l’ho fatto, non tanto per le regole di per sé ma perché fosse giusto così. E’ stata dura perché io sono metà uomo e metà macchina e abitando sulla Cassia l’auto la
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prendo praticamente sempre, ma il pensiero di farlo mi procurava anche una certa ansia. 'E poi che gli dico?' mi chiedevo pensando a quelli che mi fermavano 'che ho bisogno di guidare?'. Quando nella fase 2 ho preso la macchina per andare dal fisioterapista ero felice come una donna diretta a fare shopping!”. Non hai nemmeno letto? “No, sono stato in cattività: voglio leggere al bar bevendo il caffè”. Come hai appreso la riapertura dei teatri? “Come una bella notizia; la teoria dell’evoluzione di Darwin è molto vicina a noi teatranti, l’adattamento è la logica dell’evoluzione; prima dell’auto c’era il calesse coi cavalli. Io preferisco oggi a ieri e preferisco domani ad oggi. La pandemia è un dato di fatto, qualcuno pensa che la fine del mondo sia la fine di sé e non quella degli altri. Io penso che sia la fine di tutti. Ci dobbiamo adattare: forse dovremo tornare a fare teatro per strada; siamo in una nuova era e se quello che è appena avvenuto si riproporrà sapremo già come comportarci. Vivendo con questa prospettiva saremo psicologicamente più pronti al futuro”. In cosa pensi di esser cambiato? “Forse in una cosa, che quando qualcuno dirà qualche sciocchezza gli dirò, ma con me credo molti altri 'basta, questa cosa non si può sentire!'”. Che ne pensi di fare teatro in tv? “Sul fatto che il teatro abbia bisogno del pubblico sono generalmente d’accordo ma se al momento la necessità lo impedisce, che facciamo? Non facciamo teatro perché il teatro si fa nelle sale? Edoardo, che era di una modernità unica, registrava le sue commedie senza pubblico e grazie a questo oggi tanti lo possono apprezzare pur non avendolo mai visto in sala. Oggi abbiamo la possibilità di conservare tanti lavori: ci dovrebbe essere un salto di qualità, il teatro deve aver memoria di quello che in teatro viene fatto. Dovrebbe aver memoria in un paese che la memoria mostra di non avercela. Tornando alla domanda: non si può esser né favorevoli né contrari. Sono contento per le opere rappresentate in tv, al di là che ci sia io o meno ma soprattutto per il pubblico che ha la possibilità di vederlo”.
musica
Savi Galdi “Ringrazio mia nonna
per avermi trasmesso la passione per la musica” di Giulia Bertollini
Una passione quella per la musica trasmessa dalla nonna che sin da giovane si dilettava a cantare. Ma si sa la musica è un’arte che come tale non sempre consente di portare il pane a casa. Eppure nonostante il parere contrario della sua famiglia, Savi Galdi ha voluto proseguire la sua strada e coronare il sogno di affermarsi nel mondo della musica. Sta cercando di farlo senza aiuti procedendo con le sue gambe. Proprio il suo singolo “Anime a metà” rappresenta il trionfo di questa indipendenza artistica considerando che è proprio lui ad essere autore del testo e della musica. Un brano intenso in cui Savi parla di due anime che si incontrato, che si amano ma che in questo conflitto non riescono a tendere alla felicità. In questa intervista, Savi ci parla di questo brano raccontandoci qualcosa in più sulla sua esperienza ad “Amici”. Savi, è da poco uscito il tuo singolo “Anime a metà”. Cosa ti ha ispirato questa canzone? La musica ti riappacifica con te stesso e con le tue fragilità? “Ho scritto sia musica che testo del singolo 'Anime a metà'. Un testo che mi rispecchia molto nelle fragilità, nelle paure ma anche nelle gioie. Mi ha ispirato a scrivere questo testo una situazione di amore e odio che stavo vivendo con una persona a cui voglio molto bene. 'Anime a metà' è la sintesi di questo conflitto. Parla di due persone che si amano e si vogliono ma che non riescono per un verso o per un altro a stare insieme”. Com’è nata la tua passione per la musica? “Avevo 9 anni quando ho iniziato a coltivare la passione per la musica. Mia nonna si dilettava a cantare nonostante non avesse potuto esprimere in pieno questa sua passione perché la famiglia le tarpava le ali. E’ stata lei a spingermi verso la musica perché da bambino cantavo con lei. A 12 anni ho iniziato a prendere lezioni di canto gospel ed è stato subito un colpo di fulmine”. C’è qualcuno che, inizialmente, ti ha supportato o ostacolato in questa avventura? “La mia famiglia era contraria perché abbracciava l’idea che con l’arte non si mangia. Mi incoraggiava ma relativamente. Io però non mi sono mai fatto condizionare da nessuno e sono andato sempre avanti per la mia strada. Con il tempo poi i miei genitori però si sono ricreduti”. Cosa ne pensi dell’attuale scena pop? Con chi ti piacerebbe collaborare o duettare? “La musica italiana è diventata purtroppo molto commerciale. Adoravo Alex Baroni e mi piacerebbe collaborare con Giorgia ma anche con Tiziano Ferro. Ho avuto la possibilità di incontrare Tiziano in occasione del videoclip di un
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suo brano. Non ho mai amato sgomitare ma sono contento perché quando mi guardo allo specchio sono a posto con me stesso. Non mi devo colpevolizzare di nulla”. Per quattro anni hai lavorato nel serale di Amici come professionista. Cosa ti ha regalato quella esperienza? Che ricordi hai? “E’ stata una delle esperienze più belle della mia vita. Ho fatto un provino perché cercavano ballerini professionisti per la sezione musical e fui scelto. Sono stati quattro anni intensi e bellissimi. Mi sono sentito come a casa. Avevo anche pensato di partecipare ad Amici come concorrente ma purtroppo non ho potuto farlo perché avevo lavorato al programma come professionista. 'Amici' ora sembra più un reality che una scuola vera e propria. Per questo molti hanno deciso di uscire da quel contesto perché quello che c’era prima non c’è più”. Qual è stato finora il momento più emozionante che hai vissuto? “L’esperienza come professionista ad 'Amici' mi ha fatto battere il cuore. Sono stato entusiasta anche dell’occasione che mi è stata data anni fa di fare da vocalist nel Festival di Napoli andato in onda su Retequattro. Lo ricordo con emozione”. La tua carriera dimostra come nella vita sia fondamentale studio, dedizione e costanza. Pensi che l’impegno ripaghi sempre? Hai mai pensato di mollare tutto? “Ho incontrato delle persone che nella vita hanno avuto
molta fortuna. Si sono trovate nel posto giusto al momento giusto. Io ho sempre creduto nella mia passione e penso che lo studio possa accrescere e migliorare le potenzialità che uno ha. Non ci si può improvvisare anche perché poi alla lunga si vede. Il pensiero di mollare tutto è un po’ nel quotidiano di chiunque. Una volta feci un provino per il musical di Massimo Ranieri 'Poveri ma belli' e arrivai tra i quattro finalisti. Purtroppo nonostante fossi il più adatto non mi hanno mai chiamato. Quando andai a vedere lo spettacolo mi resi conto che avevano preso persone che erano state eliminate ai casting. In quel momento ho pensato di mollare tutto”. A chi senti di dire grazie? “Sono una persona molto credente e la fede mi ha salvato in tante occasioni. Sai la depressione ti sfiora quando tenti con forza di aggrapparti a qualcosa che in realtà ti sfugge. Devo quindi rendere grazie a Dio per quello che sono e per quello che ho. Nella vita devo ringraziare mia nonna scomparsa l’anno scorso. Mi ha sempre supportato anche da lontano credendo in me e nella mia passione”. Il tuo sogno nel cassetto? “Il mio sogno nel cassetto è di riuscire a realizzare un album tutto mio e organizzare un tour nelle principali città italiane”. Hai qualche progetto in mente o in fase di lavorazione? In futuro pensi di esplorare generi differenti? “Sono una persona ambiziosa e curiosa. Mi piacerebbe esplorare generi diversi e l’idea non mi spaventerebbe. Mi piacerebbe anche tornare a fare musical in teatro”.
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musica
Al Bianchi La mia banda suona il Rock di Mara Fux
Fondatore storico oltre che “voce e sex symbol” della rock band FOUR VEGAS, Al Bianchi è pronto per incontrare nuovamente il suo pubblico e per dilettarlo con concerti e brillanti esibizioni che ne fanno una delle band più acclamate d’Italia... Come hai trascorso questo periodo di clausura forzata? “In tutta sincerità benissimo, ho potuto ascoltare musica che da tempo non riuscivo a sentire; l’ho ascoltata e riascoltata con un approccio anche diverso utilizzando le ore a disposizione per sviluppare idee. Il tempo mi è servito per pensare e creare. La distanza cui siamo stati obbligati mi ha anche fatto riflettere su nuove possibili collaborazioni; tutti abbiamo avuto più tempo per concentrarci ciascuno sulla propria arte anche per il futuro, un futuro che sarà tutto diverso: bisognerà pensare a nuove formule anche di esibizione, perché la situazione si è completamente stravolta. Nell’emergenza ho trovato ovunque un grande fermento; il web, in questo periodo, ha agevolato artisti di nicchia che abbiamo osservato e seguito avendo più tempo a disposizione per navigare: personaggi conosciuti solo di nome, hanno potuto mettersi in luce in modo estemporaneo. La rete è stata un punto d’osservazione che mi ha permesso di riscoprire o scoprire il lavoro di molti colleghi”. Tu hai sfruttato il periodo per creare? “Tutto questo tempo dilatato mi è servito tantissimo, ne ho approfittato anche per studiare, per migliorare altri ambiti negli ultimi tempi lasciati da parte. Trovo sia stato l’aspetto positivo della restrizione sociale che abbiamo vissuto: la quantità di tempo a disposizione unito alla solitudine credo sia stato più positivo che negativo per chi, come me, necessita di tempo”. Sei stato con la tua famiglia? “Sì, in Sabina dove vivo con moglie e figli. Fortunatamente abbiamo un giardino, per cui mi sono tenuto occupato cu-
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rando le piante o facendo quei lavoretti domestici che di solito si rimandano sempre e che invece nell’occasione son diventati una grande valvola di sfogo. La convivenza forzata spesso mette a rischio gli equilibri ma non è stato il mio caso; io mi sono subito calato in questa nuova dimensione che il lavoro quotidiano mi aveva fatto perdere. Ho trovato che questo nuovo tempo improvvisamente messomi a disposizione fosse un’opportunità”. Hai scoperto nuovi aspetti di te? “In un certo senso sì: ero convinto di essere dipendente della frequentazione, del contatto con la gente ma mi sono accorto che non è così; mi sono calato in una dimensione nuova. Ho ripreso la chitarra, testi lasciati là su cui non avevo più lavorato: io sto bene, vivo la mia situazione ideale e non ti nascondo che il pensiero di ricominciare a vedere persone un po’ mi destabilizza. E’ stato vero un cambiamento di mentalità, prima ero convinto di non poter vivere senza stare al centro dell’attenzione”. Passiamo ai Four Vegas: sbaglio o quest’anno festeggiate le 20 candeline? “Giusto, con il 2020 festeggiamo i 20 anni di attività; in realtà iniziammo questa grande avventura musicale nel 1999 ma il nome con cui uscivamo era The Menphis Flash, che era uno dei soprannomi di Elvis, ma lo cambiammo presto perché spesso sulla stampa veniva storpiato”. Per festeggiare i 20 anni avevate in mente progetti particolari? “Avevamo in programma un disco che il covid ha ovviamente rimandato”. La formazione è sempre stata la stessa? “Qualche sostituzione c’è stata ma da cinque anni la Band è quella di oggi: Fabio Taddeo, che con me ne è stato il fondatore, alla chitarra; Gino Ferrara che dopo me e Fabio è il più longevo del gruppo, alla batteria; Manuel Mele al basso e Valerio Bulzoni al piano. Poi naturalmente ci sono io: Al Bianchi, voce e sex symbol dei Four Vegas!”. Quale è il vostro genere? “Nasciamo come cover di Elvis ma col tempo il nostro repertorio ha vissuto un’evoluzione che ci ha portato ad un repertorio americano ed italiano degli anni ‘50/’60 condito da esilaranti gag e siparietti molto amati dal pubblico. Anzi ti dirò una cosa che mi colpisce tantissimo e cioè che mi son reso conto come il pubblico ami queste gag e ci segua aspettando il momento che nel concerto le si faccia”. Davvero? “Sì tante volte, pensandole ripetitive, mi è capitato di ometterne qualcuna e invece i fan al termine mi hanno chiesto perché non le avessi fatte. Questo vuol dire che non vengono solo per la musica ma anche per quel tocco di originalità con cui la rappresentiamo. E non si stancano assolutamente di sentirle: abbiamo fan che da 20 anni ci seguono e adesso vengono ai concerti con figli che hanno poco meno dell’ età in cui i genitori ci hanno sentiti le prime volte”.
Dove suonate? “D’inverno per lo più nei locali anche esibendoci più volte, come ad esempio nello storico Fonclea; d’estate nelle piazze all’aperto, in eventi privati ma anche in festival importanti come Umbria Jazz o il Summer Jamboree, il festival musicale più grande al mondo che per importanza ha superato anche quelli americani grazie ad una programmazione eccezionale di artisti esteri”. Vi siete mai esibiti all’estero? “No mai, tanti contatti ma partecipazioni mai”. Una grossa visibilità ve l’ha data il Maurizio Costanzo Show. “Sì il MCS è stato di grande impulso alla nostra carriera; ci chiamarono proponendoci di andare ospiti a Stella su canale 109 dove Costanzo aveva una sorta di Costanzo Show quotidiano e lì ci hanno testati. Dopodiché ci promossero al MCS che per noi è stato un vero trampolino nazionale”. Qual è l’esperienza che ti è rimasta nel cuore? “Senza dubbi Umbria Jazz, c’è il gotha della musica mondiale e 8000 persone che ti vedono tutte saltando e applaudendo. Ma la cosa più straordinaria era l’atmosfera che respiravi quando, a cena dopo lo spettacolo, gli stessi musicisti si avvicinavano per fare i complimenti. Periodi densi di emozione, avevi la percezione dell’apprezzamento. Ora non so proprio pensare a come si potrà rivivere questo genere di eventi: la nuova gestione degli spazi precluderà moltissimo il lavoro delle band più blasonate”. I tuoi figli ti seguono nei concerti? “Sì, ovunque sia possibile e mi fa tanto piacere che quando parlano del loro papà gli brillano gli occhi. Non so se da grandi seguiranno le mie orme: spero solo che facciano per lavoro quello che più gli piace, perché sarebbe davvero una gran fortuna e da padre non posso che augurargliela”.
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eventi
Bricofer Rocca Cencia Quarto anniversario tra emozioni e sorrisi Anche nell’anno del coronavirus, non poteva mancare l'appuntamento con l'anniversario di Bricofer Roma Rocca Cencia, il quarto. Il tutto nel rispetto delle regole anti contagio.
In questa occasione così importante, un grazie di vero cuore a tutti i clienti e a chi ogni giorno s’impegna per garantire il meglio: Roberto Delle Cese, Paola Monetti e le instancabili figliole e naturalmente Walter Pieretti, Marco D’Alessio, Simona Mancini, Matteo Testani e a tutto lo staff di questa grande famiglia che è un importante realtà della Capitale e dal dicembre 2019 anche di Fonte Nuova. Un particolare affettuoso abbraccio che arriva in cielo a raggiungere una cara amica che ora ci segue da li: Maria Gabriella Cecchetti che ha collaborato con questa grande famiglia.
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Sabato 27 e domenica 28 giugno straordinarie promozioni, Bricofer Roma Rocca Cencia e Fonte Nuova hanno proposto lo “sconto età”: per un minimo di 50 € di spesa, in un prodotto, lo sconto sarà della metà degli anni, mentre oltre i 100€, in collaborazione con Circuito Vacanze, Bricofer Rocca Cencia, regala un ticket per “Vacanze Italiane”, un buono da 100€ e uno da 250€. La festa di sabato 27 giugno, presentata da Claudio Testi, ha avuto due momenti importanti ed emozionanti, uno musicale con le note immortali del maestro Franco Califano, fatte rivivere da Sandro Presta, recentemente anche ospite del programma di Amadeus “I soliti ignoti”, a seguire, un appuntamento con l’attore e comico Fabrizio Gaetani, dedicato alla comicità e ai sorrisi di cui tutti noi abbiamo bisogno. Al termine, nel pieno rispetto del coronavirus (gel, distanziamento e mascherina), agli ospiti è stato servito un rinfresco monodose.
tempo libero
Cinecittà World Un ritorno in grande stile e nella massima sicurezza Da Cinecittà, la fabbrica dei sogni, a Cin e c i t t à Wo r l d : I l P a r c o d e l C i n e m a e d e l l a TV di Roma cresce, si espande e ci accompagna alla scoperta di nuovi mondi dove prendono vita esperienze immersive e nuove forme di intrattenimento. Negli ultimi tre anni Cinecittà World ha riprogettato il suo universo: oggi conta più di 40 attrazioni, 7 aree a tema e 6 spettacoli live al giorno. Una crescita record in Italia (+350% in tre anni) che ha consentito con 400mila presenze, di diventare il 1° parco di Roma per numero di visitatori, e passare da 30° a 5° in Italia. Primo parco di Roma ma anche primo Parco Digital in Italia con 16 attrazioni interattive (Media Based) e oltre il 70% degli acquisti effettuati online sul sito www.cinecittaworld.it Dal 2020 si apre una nuova fase: il Piano di Sviluppo del Resort. In tre anni Cinecittà World aprirà 2 nuovi parchi, 2 mondi (world) per arricchire l’offerta rivolta a un pubblico sempre più esigente, che ricerca esperienze da protagonista nel tempo libero e nel divertimento. Già da questa stagione aprirà Roma World, un parco che riporterà gli ospiti indietro nel tempo di 2000 anni per vivere un’esperienza unica. Tra le novità di Cinecittà World un nuovo layout con 4 attrazioni riposizionate: le Tazze e Saltarello nell’Area Roma, mentre Torre di Controllo e Bici Volanti si spostano a Spaceland. Si rinnova e si allarga l’Horror House, con 3 nuove sale, tra cui Saw e Hannibal Lecter. Il visitatore potrà godersi Volarium, primo e unico Cinema Volante esistente in Italia, premiato come miglior Attrazione dell’anno agli Oscar dei Parchi Divertimento, i Parksmania Awards, e divertirsi nel nuovissimo Regno del Ghiaccio, Playground con 4 attrazioni sulla neve, terminato a Dicembre e ad ingresso gratuito da quest’anno. “Dopo il rilancio di questi tre anni”, annuncia Stefano Cigarini, AD di Cinecittà World, ”il Parco è pronto per affrontre il futuro. Le due nuove aperture incrementeranno l’offerta turistica internazionale di Roma”. Attenzione alla natura e agli animali sono alla base dell’idea di Parco di Cinecittà World. Un Parco Eco, rispettoso dell’ambiente, grazie alla piantumazione di oltre 2.000 alberi in tre anni, al sistema di riciclo interno delle acque, all’utilizzo di piatti e bicchieri organici (in polpa di cellulosa e all’Ecoticket ovvero bi-
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glietto che permette di entrare al parco pagando con bottiglie di plastica usate. Un Parco Pet friendly che per primo ha aperto le porte agli animali domestici e che renderà disponibile, in collaborazione con Polivet, un presidio veterinario di primo soccorso per cani e gatti. Confermati i punti forti del Parco attuale come Altair, la montagna russa con 10 inversioni, il coaster indoor Inferno, Aktium, la montagna russa acquatica, l’Immersive tunnel Jurassic War – La battaglia dei Dinosauri, la torre di caduta Indiana Adventure, la realtà virtuale di Assassin’s Creed, il cinema interattivo in 6D InCubo, il mega playground per bambini Giocarena, celebrato nella trasmissione Eurogames di Canale 5. Cinecittà World ha cercato di trasformare l’emergenza in un’opportunità e in un miglioramento del servizio, cercando il più possibile di ridurre i contatti inutili (Parco “contactless”). Per ogni acquisto si potrà utilizzare il cellulare: sono, infatti, disponibili tutti i prodotti e i servizi online, come biglietti, cibo, parcheggio, navetta, saltacoda (accesso star), feste di compleanno, dispositivi di protezione, accessori vari. In questo modo si eviteranno anche molte interazioni con lo staff, le casse, i lettori bancomat e più in generale con le superfici comuni. Il distanziamento sociale sarà quasi naturale, perché il parco si estende su oltre 30 ettari. Quindi si potrà stare vicini agli amici e ai familiari ma mantenendo la distanza dagli altri ospiti. Il parco si riserva di allontanare eventuali clienti che non rispetteranno il regolamento. Cinecittà World, inoltre, sanificherà con regolarità, più volte al giorno, tutte le aree comuni, ristoranti e attrazioni. Nei punti di passaggio saranno installati distributori di igienizzante per le mani. Info, biglietti e calendario eventi su www.cinecittaworld.it Cinecittà World vi aspetta per la nuova stagione dal 25 giugno al 6 Gennaio 2021.