GP Magazine maggio 2020

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world & economic

CEAN: dove nascono i supermercati del futuro di Roberto Ruggiero

Ripensare il Food Retail per adeguarlo ai cambiamenti dei consumi. Aiutare gli imprenditori a realizzare il proprio punto vendita e a progettare (o riprogettare) la propria Insegna o il proprio negozio. E’ questa la mission di Cean, un grande laboratorio italiano dedicato al food retail. Il quartier generale dell’azienda - 40 dipendenti con un’età media di 35 anni - è a Trofarello, alle porte di Torino, dove nascono e si sviluppano i progetti che, in quasi 40 anni, hanno fatto di Cean un punto di riferimento per le più importanti catene e per tanti imprenditori del Food, italiani e stranieri. Il commercio si evolve rapidamente e bisogna saper leggere il cambiamento, studiare le abitudini di consumo e trovare nuove soluzioni; è questo il lavoro di Cean, impegnata a offrire ai clienti una visione progettuale a 360°, ad unire creatività, professionalità e operatività per raggiungere sempre il miglior risultato. Tutto è nato nel 1980 in un ufficio che si occupava di progettazione e allestimento di negozi. Negli anni le esigenze degli imprenditori sono aumentate e in Cean si è cercato di offrire un servizio sempre più completo. Così, attorno al nucleo della progettazione si sono sviluppati gli altri servizi, unendo l’anima operativa a quella creativa, ed oggi Cean è in grado di seguire il cliente in tutto: dall’analisi dei trend alla realizzazione dei concept, dallo studio del layout alla ricerca location, dall’allestimento del punto vendita all’assistenza day by day. Ascolto, esperienza e professionalità sono gli asset attorno ai quali è costruito il modello di business di Cean, la completezza di un servizio a 360° è ciò che differenzia Cean da qualsiasi altra società che si occupa di Food Retail in Italia. Cosa faranno i consumatori di domani? Come si trasformeranno i punti vendita per soddisfare le esigenze e le abitudini al consumo dei prossimi anni? In Cean le idee sono chiare. Basta visitare Cean Lab, 500 m² di laboratorio dove

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scoprire ciò che saranno i negozi del futuro. I punti vendita saranno sostenibili, consapevoli, esperienziali. Ci sarà sempre più attenzione all’ambiente e alla salute delle persone, crescerà l’impatto delle tecnologie ma senza dimenticare l’aspetto umano perché in una società che vive una vita sempre più virtuale negozi e supermercati saranno e rimarranno luoghi sociali. La tecnologia cambierà l’abitudine al consumo? Lo sta già facendo. E allora ecco una playlist di canzoni da accompagnare al vino, i suggerimenti del food coach che puoi visualizzare con attraverso un qr code e tanto altro per avvicinare i clienti al punto vendita. Enjoy for selling: è questo suggerimento di Cean. Ogni scelta è legata ad una ricerca mirata e approfondita: Cean Color è un dipartimento creativo formato da 11 giovani italiani e stranieri specialisti in interior e graphic design, web and marketing specialist che analizza quotidianamente le tendenze del food retail per ideare concept e soluzioni profittevoli e coinvolgenti. Guidare un punto vendita nel business del futuro significa formare le persone e continuare a formarle, adeguando gli stili, i linguaggi, l’approccio ad un mercato che si evolve rapidamente. Sapendo che la formazione è tutto, nel 2007 è nata Cean Academy Market. E’ qui, in una delle modernissime sale auditorium e nei laboratori che possono riprodurre il reparto di un supermercato, che studiano e si preparano gli addetti di domani (e di oggi). Formazione a tutti i livelli studiata su misura di imprenditori ed insegne che scelgono di investire sulle persone. Oggi Cean lavora con le più importanti aziende della grande distribuzione italiane e da anni è attiva anche in Cina dove ha realizzato nuovi concept per prestigiose insegne della GDO cinese. www.cean.it





cover story

Ettore Belmondo “Quel giorno in cui ho scelto di voler fare l'attore” di Lorella Lombardo

Siamo in videocall, ci siamo adattati, ma non arresi, in periodi di grandi restrizioni. Belmondo è sorridente e ha voglia di raccontarsi a cuore aperto. Lui è un bravissimo attore e ha una storia bellissima da raccont a r e . D i q u a n d o p a r t ì d a To r i n o , d i r e z i o n e Roma, con due lire, un sogno nel cassetto e un futuro tutto da scrivere ma incerto. Ce l'ha fatta e ha avuto ragione lui. Lo vedremo nei prossimi giorni su Rai 1 con la fiction “Io ti cercherò”. Ettore benvenuto, come stai? “Ciao! Sto molto bene, fortunatamente ho molte cose da fare e restare chiuso in casa non mi pesa affatto.Mi manca solo la frequentazione di alcune persone, ad esempio mio figlio”. Nasci in Piemonte e ti trasferisci a Roma, raccontaci di te e dei luoghi dove hai vissuto. “Sono nato a Torino nell'ospedale Sant'Anna e ho passato l'infanzia a Venaria un grande quartiere attaccato alla città. Successivamente con la mia famiglia ci siamo trasferiti a Torino dove ho studiato per diventare un perito elettrotecnico. Ho frequentato per un anno la facoltà di Agraria, indirizzo in Scienze Forestali e parallelamente un corso di recitazione al Teatro Nuovo di Torino. Capii presto però che frequentando entrambi non avrei fatto bene nè l'uno nè l'altro per cui scelsi di percorrere la strada della recitazione con la piena consapevolezza di dover andare via di casa perché i miei genitori non furono d'accordo con questa scelta. Andai a lavorare come cameriere in un ristorante fuori Torino ben frequentato all'epoca. Ero un cameriere particolare, recitavo mentre servivo ai tavoli! Successivamente arrivò la chiamata per il militare e una volta finita questa esperienza partii alla volta di Roma”. A Roma cos'è successo? “Partii per Roma con sole 50 mila lire in tasca e il biglietto

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cover story del treno ne costava 34.400. Ho vissuto per una settimana nella metro e suonavo la chitarra. Trovai poi lavoro in una birreria vicino Piazza Mancini e nel frattempo andavo a seguire le lezioni al centro sperimentale di cinematografia di Roma. Il tutto durò tre mesi finché non si accorsero che mi ero imbucato! Tentai la stessa cosa all'Accademia Silvio D'amico dove frequentai per sole tre settimane. Successivamente mi trasferii a Trastevere dove andai a lavorare in un altro locale e venni scelto per un corso di recitazione al Teatro Argentina”. Da piccolo cosa sognavi di fare da grande? “Tutto, era proprio questo il problema. Fare l'attore infatti mi ha permesso di poter entrare in contatto con tante realtà”. Qual è stata la tua prima esperienza lavorativa? “Il primo spettacolo in teatro fu 'Il Martirio di San Bartolomeo' con la regia di Salvatore Tomai. Eravamo solo due in scena al ridotto del Teatro Colosseo. Fu una bella esperienza”. Qual è stata l'esperienza lavorativa più bella e quella più imbarazzante? “Definirei tutte le mie esperienze lavorative molto belle, forse quella più intensa fu la prima fiction girata per la Rai. Quella più imbarazzante fu nel primo film indipendente che girammo a Torino dove interpretavo il protagonista. Iniziavo con una scena seduto sul water e dovevo alzarmi di scatto cercando la carta igienica. Decisi di tenere le mutande perché era molto imbarazzante Peccato che questo film non uscì mai”. Hai detto di avere un figlio, che tipo di padre sei? “Sì, ho un figlio e si chiama Michele. Con lui sono un padre molto liberista, non gli impongo come lui dovrebbe essere, ma voglio che sia ui a mostrarmi come vuole essere”. Superata la soglia dei cinquanta hai rimorsi o rimpianti? “Assolutamente no, solo magari piccole cose che avrei fatto diversamente. Per il resto ho fatto tutto ciò che ho desiderato e lo rifarei di nuovo”. Credi che sia cambiato il mondo del Cinema negli anni? “Credo che si sia un po' persa quella parte di mercato di distribuzione all'estero”. Sarai presto in onda su Rai 1 da poco con la fiction "Io ti cercherò". Raccontaci un po' del tuo personaggio. “Il mio personaggio transita nella vita del protagonista che è Alessandro Gassman. La fiction è prodotta da Publispei con la regia di

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Gianluca Tavarelli”. Quale progetto pensi che ti abbia dato una grande visibilità? “In realtà sono tre, tutti nello stesso periodo, tra il 1998 e il 1999. Uno fu un film con Gigi Proietti che fece 13 milioni di ascolto, un altro fu un film con la regia di Alessandro Benvenuti e poi la prima soap opera italiana dal titolo 'Ricominciare' nella quale avevo il ruolo fisso del commissario”. In quarantena hai creato una web series dal titolo "The zoomroom". Come è nata? “Sì! L'idea mi è venuta un giorno durante una riunione su Zoom e ho pensato che quello era l'unico mezzo che avevamo a disposizione. La storia parla di una redazione web che a causa del Covid-19 non può iniziare con le riprese del suo primo film indipendente. E' interamente girata e prodotta online”. Progetti futuri? “Uscire di casa e dare un futuro concreto a 'The ZoomRoom'. Per il resto aspetteremo e capiremo come e quando ricomincerà il lavoro”. Ettore grazie per esserti raccontato a noi. “Grazie a voi, un saluto a tutti i lettori di GP Magazine”.



storie & personaggi

“Mio fratello Cesare stava morendo, l’ossigeno ozono terapia lo ha salvato” La storia a lieto fine di un paziente Covid 19

«Intubato e in terapia intensiva da 12 giorni, mio fratello stava morendo. Poi gli è stato praticato l’ossigeno ozono come da protocollo SIOOT (Società Scientifica di O s s i g e n o O z o n o Te r a p i a ) e a d e s s o è v i v o e s t a g u a r e n d o » . C h i p a r l a c o s ì è S e r g i o M a c c a r i n e l l i , n a t o a Tr e v i g l i o n e l 1 9 5 7 , p e r m o l t i a n n i i m p e g n a t o a l l ’ e s t e r o c o m e operatore aziendale. Maccarinelli ha collaborato, tra l’altro, anche alla gestione degli aiuti umanitari nell’Europa dell’Est. Tornato in pianta stabile in Italia, è rimasto esterrefatto dalla violenza della pandemia che sta ancora infierendo soprattutto in terra bergamasca. Lo abbiamo intervistato e ci ha raccontato una storia incredibile. A metà marzo il Covid-19 è apparso nella famiglia di Sergio. Suo fratello Cesare, classe 1961, è risultato positivo al virus. Sergio ha iniziato ad assisterlo in ambito domiciliare, con i farmaci prescritti dal medico di base. Il 19 marzo Cesare aveva difficoltà respiratorie e i valori di saturazione dell’ossigeno si stavano abbassando velocemente. Il 20 marzo è stato chiamato il 118 per effettuare il ricovero. In zona non c’erano posti letto disponibili, per cui Cesare è stato trasportato in un ospedale in provincia di Lecco. Le condizioni di Cesare si facevano ogni giorno più gravi. Gli è stata prima applicata la mascherina per l’ossigeno, poi il Casco Cpap connesso a un respiratore, e infine si è reso necessario ricoverarlo in terapia intensiva, dove è stato sedato e intubato. Sergio

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In compenso, di lì a poco, si sarebbe aperto un “nuovo mondo”. “Proprio così… quello del body building. L'avventura iniziò circa cinque anni fa. Decisi di andare in palestra per dimagrire, volevo diventare come Belen! Ben presto iniziai ad innamorarmi della pesistica; so che è successo, ed è una passione che arde da dentro. La palestra mi ha cambiata sotto molti punti, dall'aspetto fisico a quello mentale e di autostima”. Il Body-Building è una disciplina che aiuta a crescere? “Il BB mi ha resa più sicura di me stessa, mi ha insegnato il mio limite massimo fisico di dolore ed a rispettare i segnali del proprio corpo. Mi ha istruita meglio su come bisogna mangiare, in maniera sana e salutare. Mi ha cambiato la vita in positivo. Il Body Building è mente unita in maniera inscindibile al corpo; è anima, è cuore ed amore per se stessi”. Nel tuo percorso c’è anche uno spazio per le competizioni. “Ho raggiunto vette che non pensavo possibili: nel 2018 feci due gare con piazzamenti spettacolari, la Olympia Amateur e la Venice Cup, entrambe a Padova. Come per le sfilate normali, per gareggiare non solo bisogna essere fisicamente preparate, ma bisogna anche essere sensuali, camminare molto bene su tacchi altissimi, e riuscire ad essere estremamente eleganti e sorridenti, nonché decise. Non una cosa facile”. Valentina Zamperoni ha varcato anche il mondo della fotografia. “Ho effettuato alcuni shooting, esperienze fantastiche. A me la fotografia ha solo arricchito. Ritengo che essa, come la musica e la scrittura, sia una delle forme di arte più espressive e profonde per riuscire a trasmettere ciò che le parole non renderebbero. La fotografia è emozione: guardando uno scatto si sente il dolore, si vede la gioia, si intravedono le emozioni, positive o negative”. Hai anche vissuto il mondo delle passerelle. “Ho partecipato a sfilate e concorsi di bellezza, ma non avevo certo l'autostima di oggi. E nel mondo dello spettacolo, oltre a queste esperienze, non ho mai avuto modo di partecipare attivamente ad altre iniziative. Ma, lasciatemelo dire, ne avrei una voglia matta!”. Per il momento, comunque, la tua platea è sui social… “Ho una predilezione per Instagram, lo amo perché basta la foto per esprimere pienamente il concetto. Ho anche avuto riscontri positivi da parte di ragazze e ragazzi, che mi hanno vista come un modello da seguire e me lo hanno scritto. Questa è una delle gioie di questo sport”. Anche in questo caso, bisogna saper guardare oltre le curve. “L'immagine che vorrei riuscire a veicolare sui social è quella di una atleta di fitness salutare, naturale e determinata. 'Work for it, and make it on your own. You are your own success'. Perseveranza e costanza fanno la differenza, tanto nello sport quanto nella vita”. Cos’altro bisogna sapere di te?

“Adoro leggere libri ed andare in altalena: lo trovo liberatorio e spensierato. Sembra di volare e solitamente mentre mi dondolo canticchio ed ascolto musica. Il mio hobby preferito è camminare in montagna. Salite, discese, corse, camminate. Chi ama la montagna ha un animo diverso”. Pensiamo al futuro: dove ti vedi? “Il mio sogno è di riuscire a fare carriera al di fuori della ditta di famiglia. Ma non solo. Mi piacerebbe entrare nel mondo dello spettacolo e nel mondo del fitness come fitness model, e dare il meglio di me in questi settori”. CONTATTI SOCIAL: @vale_zampe

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Caro Stato questo sp

Dove sono gli aiuti “veri� alle piccole

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pazio ce lo paghi tu?

e imprese e alle attivitĂ commerciali?

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Dal 2005 lavori al TGR Lazio, attualmente con la qualifica di capo servizio, e hai condotto nella tua carriera numerose ed importanti dirette, tra cui quella della consegna della cittadinanza onoraria di Roma a Papa Benedetto XVI e per la visita – nel 2009 - di Muammar Gheddafi nella Capitale. Da settembre 2010 sei anche uno dei volti di “Buongiorno Regione Lazio”. Cosa ti manca per essere soddisfatta, adesso? Il tuo prossimo step? “Noi 'cresciamo' con gli anni e si modificano anche le nostre preferenze. Il bagaglio di esperienze che mi ha dato la Rai ha un valore inestimabile per me. Qui ho imparato tante cose e continuo a farlo. Non ho obiettivi, non miro a posti o a programmi particolari. Sarà quel che sarà, sono fatalista! Spero però di continuare a divertirmi così come ho fatto finora col mio lavoro. Le lunghe ore di impegno non mi sono mai pesate proprio perché ho scelto la professione che amo”. Ami tanto i viaggi ed il mondo del Fashion. Come li concili con la tua professione, e quanto spazio occupano nella tua vita? “Ogni anno un paio di viaggi li devo fare. Io ho sempre viaggiato tanto anche con la fantasia. Ma quando posso lo faccio davvero… E’ un modo di confrontarsi, di allargare i propri orizzonti e anche di imparare tante cose nuove delle persone e di se

M ariel la Anz iano in te rvis ta Littl e Ste ve n, braccio des tro di Bruce Springs te en

stessi. Il fashion? (n.d.r. una risata allegra di Mariella riecheggia nell’aria) Devo fare outing: sono una fashion victim! Adoro la moda, gli accessori trendy, tutto quello che è patinato, le fashion week da Milano a New York e ritorno. E’ un mondo che mi attira perché amo il bello, così come mi piace andare ai musei e restare incantata dalle opere d’arte. E poi smettiamolo di dire che è un settore frivolo. Muove migliaia di milioni e dà la possibilità di esprimere la propria originalità. Io acquisto capi firmati così come quelli al mercato. Mi piace creare outfit, mixando stili diversi e seguendo delle regole inossidabili nel tempo: no agli eccessi prima di tutto”. Un saluto ai lettori di GP Magazine. “Vi auguro il meglio!”.

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libri

Federico Pini e gli angeli “Una finestra sul cielo” di Roberto Ruggiero

Gli angeli esistono e si manifestano quotidianam e n t e : è q u e s t a l a c e r t e z z a c h e a c c o m p a g n a i l cammino di Federico Pini. Giornalista televisivo, sposato, due figli – Federico traccia il suo percorso di fede, senza fronzoli e retorica, e senza voler “convincere” il lettore a credere. Ma testim o n i a , c o n l u m i n o s a p o s i t i v i t à , l a s u a e s p e r i e n z a di vita e gli incontri “angelici” – anche quando non si tratta esattamente di angeli con le ali, ma di esseri in carne e ossa, che sono arrivati nella sua vita per un motivo preciso. Perché è così che gli angeli si comportano: arrivano, silenziosi ma efficaci nella loro azione, attraverso un profumo – una luce – un incontro – un’apparente coincidenza. Una storia di vita e di fede, che può essere di esempio non soltanto per chi crede: abbiamo tutti bisogno di un angelo, di una preghiera, di una persona che arriva a sostenerti! Una testimonianza semplice, raccontata con apparente leggerezza, luminosa e confortante. Federico Pini nasce a Livorno il 23 giugno nel 1971. Dopo le prime esperienze di giornalismo televisivo, a diciotto anni presso l'emittente toscana Telegranducato, si laurea in Lettere con il massimo dei voti all'università di Pisa. Frequenta, poi, l’Istituto di Formazione al Giornalismo di Urbino, dove ottiene il praticantato e l'iscrizione all'albo professionale. Nel 2001 viene assunto a Mediaset e lavora a Milano per il sito Internet Tgcom, occupandosi di cultura e spettacoli. Nel 2009 si trasferisce a Roma, realizzando servizi per programmi come Verissimo e Matrix - in giro per l'Italia. Due anni dopo, il passaggio alla testata Newsmediaset. Segue la cronaca, eventi di costume e attualità per i telegiornali Tg5, Studio aperto, Tg4 e per Tgcom24. Nel 2016 si è occupato del terremoto che ha colpito il centro Italia, con dirette e reportage. Federico Pini ama raccontare storie positive e regalare ai telespettatori un sorriso di speranza. Vive a Rieti, sposato, ha due figli.

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libri

“Le Assassine” una boutique editoriale Per gli amanti del Giallo di Francesca Ghezzani

Un piccolo gruppo di appassionate e appassionati di crime che da anni lavora nel mondo editoriale, occupandosi di scelta dei libri, traduzioni, editing e com u n i c a z i o n e . Vo g l i a m o d a r e e s p r e s s i o n e a questa passione per la letteratura gialla, proponendola nelle sue svariate sfaccettature – giallo a suspence, deduttivo, hard boiled, psicologico, noir –, negli stili più diversi – fantasiosi, essenziali, sofisticati, semplici, d’antan – e nei contesti geografici più vari – Marocco, Malesia, Canada, ma anche Germania, Francia… solo un piccolo esempio dei Paesi da cui vengono le nostre scrittrici. Queste sono le parole con cui “Le Assassine” e l’editrice Tiziana Elsa Prina si descrivono. Tiziana, credo che la tua sia stata una vera e propria sfida mossa dalla passione e dall’amore per la cultura. Come ti è venuta l’idea di fondare una casa editrice cosi particolare nel suo genere tanto da essere stata definita “una boutique editoriale” e da aver attirato l’attenzione di alcune tra le più prestigiose testate giornalistiche? “Ho sempre sentito il bisogno di viaggiare, di conoscere altre lingue, e questo mi ha portato prima a lavorare all’estero e poi, dopo la laurea in lingue, a scegliere come lavoro il mondo della traduzione e in seguito dello scouting letterario (ho portato in Italia alcuni libri per bambini di un editore serbo e di un editore vietnamita e il romanzo di una scrittrice saudita). Girando poi per le fiere internazionali del libro, mi è cresciuta la voglia di non lavorare più per altri, ma di essere indipendente e di poter scegliere i libri secondo i miei gusti (naturalmente non sono sola a decidere!). Il fatto di dedicarsi a un genere preciso deriva da una passione che ho sempre avuto per la letteratura gialla, declinata nei diversi sottogeneri che vanno dall’enigma della camera chiusa al thriller psicologico, al noir, e che considero una specie

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di intrattenimento nobile di cui tutti abbiamo bisogno”. Lo staff come si compone? È tutto al femminile come le autrici pubblicate? “Sì, siamo tutte donne, tranne chi si occupa dell’impaginazione e della parte grafica”. Ci spieghi meglio qual è la proposta editoriale de “Le Assassine” attraverso le sue collane? “La proposta editoriale è riassumibile in poche parole chiave: letteratura gialla nei diversi sottogeneri, scrittrici straniere contemporanee e del passato. Insomma abbiamo deciso di avere un focus ben preciso che si realizza nelle due collane: una Vintage con le scrittrici che hanno preceduto o sono state contemporanee delle regine del giallo, mi riferisco alla Christie, alla Sayers, alla Marsh e alla Allingham. Vi sono infatti coraggiose pioniere del genere che sono misconosciute e che invece andrebbero scoperte per l’ingegnosità delle trame e per la loro bella scrittura. Leggendo i loro romanzi che a tratti potrebbero essere lontani dal nostro gusto e modo di sentire ma che sono sempre intriganti se ci si lascia trasportare nel loro tempo e non ci si sofferma su certe convenzioni letterarie e sociali, ormai superate riusciamo anche a ripercorrere i cambiamenti di costume e del ruolo delle donne. L’altra collana che abbiamo chiamato Oltreconfine propone scrittrici contemporanee; la scelta delle pubblicazioni avviene sui libri che sono stati raccolti visitando diverse fiere internazionali. Le nostre autrici provengono infatti dai luoghi più diversi della Terra: Francia, Germania, Canada, Malesia, Marocco, Botswana e sono unite dalla stessa passione per il genere giallo, che interpretano in modo diverso. Il nostro intento è quello naturalmente di intrattenere, ma nella scelta cerchiamo di entrare in


altre realtà e di scrutare lo sfondo sociale e culturale in cui le autrici fanno agire i loro personaggi. Insomma l’ispettore che risolve il delitto non ci basta, vogliamo di più da una storia”. Chi ama la letteratura gialla solitamente apprezza tanto il vintage quanto le penne contemporanee? Che tipo di lettore è l’appassionato medio? 2Chi apprezza il romanzo Vintage, di solito ama il genere giallo classico deduttivo, dove il lettore viene coinvolto nella soluzione del caso. Per la collana Oltreconfine, dedicato alle scrittrici contemporanee, l’accento è posto più sul noir e sul thriller, quindi chi li legge cerca più la suspense, una lettura che poTiz iana Els a Prina tremmo definire adrenalinica”. Ci parli delle ultime vostre uscite e ci anticipi qualcosa sulle prossime? “Per la collana Vintage abbiamo pubblicato Il mistero della vetreria, un giallo in cui la protagonista ricorda molto miss Marple, anzi pare che la regina del giallo lo abbia letto e apprezzato. Si svolge negli anni Trenta del secolo scorso a New York e ci offre anche uno spaccato di una società, potremmo dire della high society, in cui la nostra protagonista si muove con agio e una disinvoltura che già accenna alla futura emancipazione delle donne. L’urlo dell’innocente è invece stato scritto da Unity Dow, attualmente ministro del Botswana e in precedenza prima donna giudice dell’Alta Corte di quel Paese. Qui siamo su un altro pianeta rispetto al romanzo di cui ho parlato in precedenza: siamo di fronte a un omicidio rituale, tra l’altro basato su fatti effettivamente accaduti; attraverso il racconto veniamo catapultati in un mondo a noi del tutto sconosciuto, caratterizzato da uno scontro tra la cultura locale basata ancora sugli sciamani e quella delle leggi e dei costumi importata dagli occidentali. Per quanto riguarda le prossime uscite: il primo sarà un vintage del 1916 scritto da Gertrude Atherton, personaggio dal carattere forte e contradditorio, come potrà vedere chi leggerà il suo romanzo 'Il divorzio non si addice a Enid Balfame', dove oltre a un omicidio si racconta di un’America in cui la donna muove, appunto in maniera contradditoria, i primi passi verso l’emancipazione. Dal libro è stato tratto nel 1917 un film diretto da Frank Powell. Già in lavorazione vi sono: un giallo contemporaneo di una talentuosa giovane scrittrice algerina che ha ricevuto diversi premi; un romanzo di una scrittrice della Repubblica ceca, molto popolare nel suo Paese, e ancora un’autrice spagnola, pluripremiata per i suoi noir e una scrittrice olandese dal tocco divertente e insolito. Nella collana Vintage abbiamo invece programmato una storia che per atmosfere ricorda molto il Titanic”. Un’ultima domanda… dopo l’arrivo del Covid-19 che ha colpito un settore già particolarmente in difficoltà quale quello dell’editoria quale scenario futuro prevedi possa aprirsi? “Non vorrei essere pessimista, ma del resto non sono l’unica a fare previsioni negative: persino i grandi editori hanno bloccato l’uscita delle novità e l’AIE ha prospettato diminuzioni impressionanti nelle vendite. Tra librerie chiuse e difficoltà di consegna dei libri cartacei, la parte più tradizionale del settore viene a mancare. A differenza di altri Paesi, in cui l’ebook ha visto una spinta, qui purtroppo non c’è stata, dico purtroppo, perché avrebbe potuto dare una mano in questo periodo di difficoltà ancora maggiori rispetto al pre Covid -19”.

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libri

Roberto Liberatori

“Vi racconto Lucia Bosè” di Mara Fux

Lo scrittore italiano narra in un romanzo biografico pubblicato da Edizioni Sabinae, la vita di una delle più grandi attrici del cinema del ‘900. Tra tanti personaggi dello spettacolo dalla vita controversa sei andato a scegliere Lucia Bosé! “Sì, Lucia Bosè e sottolineo Bosè perché questo era il suo vero cognome, non Borloni che era invece il cognome della madre ma che praticamente tutti, compresa la Treccani, le attribuiscono probabilmente per un errore che gira dagli anni ’50 iniziato, io credo, quando si trasferisce in Spagna dove sappiamo che si usano ambo i cognomi dei genitori per cui, per qualche ragione che non sappiamo, in qualche trascrizione debbono aver messo Borloni credendolo cognome del padre mentre si trattava del cognome materno”. Ma quando ti è venuta l’idea di scrivere la biografia di Lucia Bosè? “Più o meno subito dopo l’uscita del mio libro su Massimo Girotti mentre stavo guardandomi attorno alla ricerca di un nuovo personaggio da trattare. L’avevo sentita tempo addietro per un lavoro che stavo completando su Liliana Cavani, perché avevano fatto assieme 'Cronaca di un Amore' e poi al di là del rapporto professionale erano rimaste amiche; durante l’intervista ero rimasto colpito dalla sua energia, dalle forti vibrazioni positive che mi aveva trasmesso finanche ringraziandomi con gentilezza, cosa abbastanza anomala in personaggi di quel calibro che di solito sono abbastanza altezzosi. Lei invece mi aveva ringraziato e di questo ne avevo parlato con un amico comune, Nicola Turcato, che mi aveva confermato come lei amasse profondamente parlare di cinema. Questa emozione mi era sempre rimasta dentro per cui quando mi son trovato davanti alla scelta mi son detto: è il personaggio giusto”. Non l’ aveva mai trattata nessuno? “Su di lei esistevano solo un paio di saggi ed un libro intervista, testi ben diversi da quello che avevo in mente io che volevo scrivere qualcosa che fosse un po’ come un romanzo, la storia di una donna del ‘900 filtrata attraverso le immagini dei suoi film. Da subito però mi sono reso conto che era impossibile narrare la sua carriera professionale senza raccontare anche la sua vita privata perché le due coincidevano su tre punti che ritenevo assoluti ovvero il suo esser eletta Miss Italia, il matrimonio con il torero che pure aveva fatto sognare parecchio e l’aver un figlio famoso, Miguel, che aveva raggiunto una notorietà pari se non superiore ad ambi i genitori. Per cui queste tre cose per me importantissime le ho inserite tutte e tre come cardini del mio libro cercando di trattarle con obiettività senza pettegolezzi, lasciando il racconto asciutto dei

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madre – e delle altre donne della famiglia – che con il cibo si potessero curare anche le afflizioni dell’anima”. Il libro è un vibrare di prosa a volte crepitante, spassosa, altre volte amara, malinconica. Com’è avvenuta questa conversione alla narrativa? “E’ stata dettata dall’urgenza di narrare gli aspetti quotidiani della realtà, per coglierne il senso e descriverne le ambivalenze. La forma racconto si prestava a delineare microcosmi in sé conclusi ma anche aperti sull’insondabile e sul grottesco. La scrittura è lo strumento per dipingere questi microcosmi popolati da un’umanità sempre in bilico fra ascesa e caduta”. Sono racconti autobiografici? “Gli spunti sono offerti dalla vita che ogni giorno amo osservare, cogliere nelle molteplici sfumature. L’esperienza personale mi aiuta a decodificare ciò che si agita nella realtà, ma non vuole essere la fonte esclusiva dell’ispirazione. Ci sono storie che chiedono loro stesse di essere raccontate – come 'L’ultimo giorno di felicità,' dedicato alle giovani vittime del Bataclan”. Citandoti, ti chiedo: La condivisione dei sapori origina nuovi saperi? “Questo slogan nasce come inno alla libertà e alla creatività – che sono intimamente correlate. Nel racconto 'Erogazione' parlo di una società distopica in cui il cibo è stato sostituito da sostanze create in laboratorio ed erogate dallo Stato a ogni cittadino, per esercitare il controllo sociale. Ma cova la rivolta. La riappropriazione dei sapori dà vita a nuovi saperi. Perché i saperi, come i sapori, nascono solo nella sperimentazione e nella libertà di creare”. Quando hai scoperto la tua vena artistica? “E’ venuta fuori quand’ero bambina. La scrittura mi dava la possibilità di dar vita ad altri mondi – reali o fiabeschi; mi ha fornito la possibilità di dare forme – sia pure provvisorie – all’insondabilità e al relativismo dell’esistenza, di esercitare quella distanza dalle emozioni che, se vissute in prima persona, divengono spesso deflagranti o incontrollabili”. Dialoghi sferzanti, sagaci, che sembrano sceneggiature cinematografiche. Hai mai pensato di scrivere per il cinema o per la televisione?

“Sarebbe una sfida nuova e stimolante, che richiederebbe studio e competenze specifiche. Certo mi appassionerebbe molto, perché il substrato di molte mie storie si nutre da sempre della passione per il cinema e il teatro, dalla mia fame insaziabile da adolescente, a quando realizzavo, per la scuola, sceneggiature per filmati e rappresentazioni teatrali con i miei allievi”. In una recente intervista hai detto che l’incontro con la scrittrice Cinzia Tani ha rivoluzionato la tua vita. Vuoi spiegarci in che senso? “Nel 2011 sono entrata a far parte del laboratorio di scrittura diretto da Cinzia Tani. A quel tempo mi dedicavo soprattutto alla poesia. E’ stata Cinzia a stimolare la mia passione per la prosa. Da lei ho appreso le tecniche di scrittura, perfezionandole, ho imparato a gestire la mia ispirazione e ad acquisire la disciplina dello scrittore. Quello con Cinzia Tani – per la quale provo non solo grande stima ma anche tanto affetto – è stato un incontro che ha cambiato la mia vita, perché scrivere è ciò che più placa la mia ansia di vivere e che mi consente di esplorare e scoprire senza limiti”. La tragedia che stiamo vivendo rischia di trasformare la realtà in un universo distopico. Pensi che tutto questo possa essere l'avvio d’un cambiamento epocale che modificherà la natura umana, e se sì, come? “La pandemia che sta flagellando il mondo intero è una tragedia di portata epocale, non abbiamo termini di paragone. Si fatica a pensare a come riemergere dalla palude in cui annaspiamo. Fatico anche a leggere in questi giorni: è come se paralizzasse la capacità di abbandonarsi al piacere dell’evasione. Spero che il mondo che nascerà dal superamento di questa prova capisca l’importanza di imparare, ragionare, calcolare, prevenire e soprattutto amare veramente… e rispettare la Natura che rende speciale la nostra vita su questo pianeta”. Quali i tuoi progetti futuri? “Vivere… leggere… sorridere… e scrivere scrivere scrivere in prosa e in versi di tutto ciò che di nuovo e sorprendente la memoria e la vita serviranno in tavola”.

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lbri

Federico Moccia

“Mi piace pensare che l’amore sia una magia, qualcosa di incalcolabile” di Giulia Bertollini

Ha segnato un’intera generazione raccontando i giovani, le loro emozioni e le loro prime delusioni. E ora è tornato nelle librerie con il suo nuovo romanzo “La ragazza di Roma Nord“. Una storia d’amore il cui il destino bussa alle porte di due sconosciuti facendoli incontrare su un treno. Stiamo parlando dello scrittore Feder i c o M o c c i a c h e a d i s t a n z a d i s e d i c i a n n i d a l s u c c e s s o d e l f i l m “ Tr e m e t r i s o p r a i l cielo” ha deciso di lanciare un nuovo esperimento narrativo arricchendo il suo ultimo romanzo con poesie e racconti di giovani aspiranti scrittori. In questa intervista, Federico ci ha rivelato che sta scrivendo la sceneggiatura di un film “Innamorarsi in chat” in cui affronta la tematica dell’amore ai tempi di Tinder e delle app di incontri. E a proposito della nuova coppia formata da Riccardo Scamarcio e Kate Louise Saunders di cui sono circolate in queste settimane delle foto che li ritraggono in atteggiamenti complici Federico ci ha confessato di fare il tifo per loro tanto che quando lo definiamo “Cupido” lui la prende a ridere. Una chiacchierata che è stata l’occasione per parlare anche di televisione e di reality rispetto ai quali lo scrittore ha ammesso di aver ricevuto delle proposte ma di aver rifiutato per il suo carattere riservato e amante del privato. Federico, in questi giorni stiamo vivendo l’emergenza Coronavirus. E sui social impazzano divertenti immagini create ad hoc in cui sono state modificate alcune famose frasi tratte dai suoi libri. Che effetto le ha fatto? Come sono cambiati i rapporti tra i giovani in tempo di Coronavirus? “Credo che inevitabilmente l’italiano di qualunque età abbia come base l’ironia e l’umorismo. Chi ha queste doti affronta la vita in modo migliore. Su 'Tre metri sopra il cielo' mi sono arrivate migliaia di immagini sui social come lo slogan 'Io e te ad un metro di distanza'. Penso che i giovanissimi nella loro sensazione di onnipotenza dettata dal

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libri

tengo sia inutile parlarne. Sono persone che è meglio perdere che trovare e che non meritano neanche la considerazione eccessiva che a volte diamo loro. La rabbia e il fastidio che ci procurano deve essere canalizzato in qualcosa di positivo”. Le hanno mai proposto di partecipare a qualche reality o a qualche programma televisivo? “Mi hanno proposto di partecipare a dei reality e ho rifiutato. Credo che è quello che la gente non si aspetta da me e mi sarei trovato fuori luogo. Mi piace il mio privato e non mi va di essere raccontato giorno per giorno in una casa o su un’isola. Mi diverte quello che faccio e penso che la vita sia talmente preziosa da pensare che ogni giorno mi appartenga e che possa riservarmi delle sorprese. Sto cercando di portare avanti un progetto televisivo in cui si possa parlare di sentimenti e spero prima o poi di riuscire a sorprendervi. Mi auguro che possa andare avanti perché ci possono essere degli spunti interessanti”. Netflix ha deciso di produrre una serie ispirata al libro e al film cult “Tre metri sopra il cielo”. Sta collaborando alla sceneggiatura? Un articolo di qualche tempo evidenziava il ritorno del moccianesimo nella serie Netflix Baby. Cosa vuole replicare? Quali sono le serie che l’hanno maggiormente colpita in questi anni? “Non ho collaborato alla sceneggiatura. Ho visto però le prime puntate e mi sono piaciute. E’ un bellissimo racconto che rispetta le atmosfere del film. Spero che possa piacere. Trovo che questa definizione del moccianesimo nella serie 'Baby' sia corretta. Hanno riprodotto alcune atmosfere presenti in 'Tre metri sopra il cielo' tanto che molte persone avevano accusato gli autori di aver copiato. Penso che ci sono stati degli ottimi spunti che hanno facilitato la capacità di racconto e sono felice che la serie abbia avuto successo. Conosco i produttori per-

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ché è con loro che ho fatto il film 'Non c’è campo'. Mi è piaciuta molto la serie spagnola 'Vis a Vis'. E’ la storia di una donna innamorata che ingenuamente finisce in un carcere femminile in cui si ritroverà a fare i conti con una vita ben diversa. L’ho trovata molto riuscita”. A proposito di “Tre metri sopra il cielo” qualche settimana fa ha fatto entusiasmare i fan la notizia che Riccardo Scamarcio sia stato paparazzato assieme a Kate Louise Saunders in atteggiamenti complici. Anche lei fai il tifo per questa coppia? “Non sapevo nulla e non ho seguito questa vicenda. Che il film dopo 16 anni possa essere galeotto mi fa piacere. D’altronde di Riccardo Scamarcio alcune cose le scopro in ritardo ma poi le vengo a sapere”. (ride) Oggi i giovani utilizzano non solo i social ma anche le app di incontro. Secondo lei queste tecnologie non deturpano la genuinità del sentimento? Come lo vede l’amore ai tempi di Tinder? “Sto scrivendo ora proprio un film su questo tema e si intitolerà 'Innamorarsi in chat'. Credo che anche questo sia un modo come tanti altri di potersi incontrare e conoscere. L’unico limite è che quando si vive nel virtuale tutto funziona perdendo di vista ciò che potrebbe avvenire nel reale. E’ la realtà che determina un po’ tutto. Capita di incontrare persone che manifestano interesse a divertirsi senza aver voglia di costruire qualcosa ma questo succede anche nella vita di tutti i giorni”. In una recente intervista ha parlato anche del movimento delle sardine. In molti si sono scagliati contro la loro partecipazione al programma “Amici” di Maria De Filippi. Come valuta questa scelta? “Sono dell’idea che ogni forma di comunicazione possa essere utile e non vado ad essere condizionato da una rete meno importante rispetto alle altre. L’importante è la coerenza con ciò che si porta avanti. Questa sarebbe una delusione più grande per chi ha investito e creduto in loro”. E’ di fronte ad un telefono e può chiamare uno scrittore, vivo o morto, per una chiacchierata amichevole. Chi e perché? “Chiamerei Jack London. E’ stato per me fondamentale perché mi ha accompagnato nel periodo della mia formazione. Mi è piaciuto molto 'Il richiamo della foresta' e 'Martin Eden' è stato un esempio di come e perché si scrive. Nella sua vita Jack si è sempre saputo reinventare. Pensa che ha fatto il coltivatore e il cercatore d’oro. Era un uomo che aveva sofferto perché era stato abbandonato dal padre”. Quale sarà il suo prossimo obiettivo? “In questo periodo di fermo invito tutti a fare delle riflessioni. A me piace molto osservare per poter carpire ciò che merita di essere raccontato. Sto pensando a quale potrà essere il tema del mio prossimo romanzo. Passeggio con le mani in tasca pensando a questo”.




Dopo aver fatto divertire i telespettatori nei panni dell’intervistatrice pazza nella trasmissione “Enjoy – Ridere fa bene” la comica Barbara Foria è pronta a tornare a “Colorado“. E proprio per l’occasione Barbara sta per lanciare una nuova parodia. Si tratta di Donna Imma Polese del “Castello delle Cerimonie” da lei rinominata “La regina del castello“. Barbara ci ha assicurato che ci sarà da divertirsi e noi le crediamo. In questa intervista Barbara ci ha parlato della sua esperienza ad “Enjoy” e delle interviste che avrebbe voluto © Le foto di Barbar a Foria sono di Luc ia Iuor io fare, politici compresi. E a proposito di reality ci ha confessato di essere stata ad un passo dalla partecipazione a “Pechino Express” e a “Ballando con le stelle“. Una chiacchierata in cui la comica partendo da alcune dichiarazioni rilasciate dalla sua collega Lucia Ocone ha parlato anche di matrimonio e maternità con una vena polemica. Barbara, tra qualche mese ripartirà “Colorado”. Cosa ci puoi anticipare al riguardo? “Finalmente torno con i miei monologhi e sono pronta a lanciare la parodia di un nuovo personaggio. Si tratta della regina del castello perché farò Donna Imma Polese del 'Castello delle Cerimonie'. Da buona napoletana mi sono appassionata al programma e molti amici me l’hanno suggerita. Mi sono divertita a studiare Imma e il suo Matteo che assomigliano alla Regina Elisabetta e a suo marito”. Nella trasmissione “Enjoy – ridere fa bene” ti sei divertita nel ruolo di intervistatrice. C’è qualcuno in particolare che avresti voluto “tartassare” di domande? “Ce ne sono tanti anche tra i politici. Mi sarebbe piaciuto intervistare Barbara D’Urso e Giorgia Meloni tra le donne. Avrei voluto fare un sacco di domande anche a Maria De Filippi. Le mie interviste non sono politically correct. L’ho volute rendere simpatiche ed essendo previste in un programma televisivo mi sono dovuta contenere. Se avessi avuto davanti a me Salvini gli avrei fatto delle domande scomode. Gli avrei chiesto in primis se c’è o ci fa”. La trasmissione è stata poi traslocata in seconda serata per i bassi ascolti. Secondo te cosa non ha funzionato? “Non so cosa non abbia funzionato. Il cast era formato da ottimi professionisti e le gag erano divertenti. Io mi sono divertita a farlo e anche a rivederlo. E’ stato un peccato perché ci hanno lavorato in tanti. Forse la scelta di mandarlo in onda la domenica sera non è stata la più corretta considerando la concorrenza”. Ti piacerebbe condurre un programma tutto tuo? A proposito di cose che fanno ridere, guardi programmi comici in tv? “Sì tantissimo. Mi piacerebbe fare delle interviste un po’ scomode in una chiave ironica oppure condurre un programma itinerante in cui poter raccontare cose stravaganti. In questo caso avrei la possibilità di portare la mia napoletanità in giro per il mondo. In generale vado molto a teatro a vedere spettacoli comici. Sono molto curiosa. Molti miei colleghi mi chiedono come faccio. Il teatro lo amo tutto e ogni volta che posso ci vado”. In questi anni hai mai ricevuto proposte per partecipare ai reality? Se te li proponessero accetteresti? “Un paio di anni fa ho ricevuto la proposta di partecipare al Grande Fratello Vip e andai anche a fare un colloquio. Un’altra volta mi proposero di partecipare all’Isola dei Famosi ma rifiutai perché mi piace troppo mangiare. Ero

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spettacolo

ad un passo da “Pechino Express” ma purtroppo non è andata. Mi piacerebbe molto partecipare a 'Ballando con le stelle' perché sarebbe un ottimo modo per dimagrire. Sono stata contattata qualche volta ma non ero interessata. Spero ci saranno però altre occasioni”. Assieme a Valeria Graci hai fatto da imbucata a Sanremo. Qual è il tuo giudizio su questa edizione? Il momento che ti ha emozionato di più? E sulla diatriba Morgan - Bugo cosa pensi? “Ero in sala stampa quando ho visto la scena di Bugo che lasciava il palco. E’ stata una scena divertente. Alcuni dicono che era costruita a tavolino, altri sostengono che si sia trattato di un’operazione mediatica. Secondo me, il Festival l’hanno vinto loro perché sono riusciti a far parlare di sé a dispetto della gara e delle

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altre canzoni, compresa quella di Diodato. E’ stato un bellissimo festival. Per me poi che sono andata la prima volta al Festival è stata una giostra. Mi sono divertita come una pazza assieme a Valeria. Siamo salite anche sul palco dell’Ariston scendendo le scale e ci siamo anche imbucate ad una festa di giornalisti. Pensa che ci siamo anche vestite da trapper e neomelodiche. La gente in giro ci avrà preso per matte. Con Valeria ridendo ci siamo dette che siamo pronte per una futura conduzione. Il momento più emozionante è stata la proclamazione della vittoria di Diodato. Facevo il tifo per Elodie, Gabbani, Diodato, Levante e Le Vibrazioni”. In un’intervista la tua collega Lucia Ocone ha rotto un tabù parlando di maternità dichiarando che a 40 anni sia svilente il fatto che la prima domanda che gli venga posta riguardi il matrimonio e la maternità. Come la pensi al riguardo? Riscontri una forma di “violenza” in quella domanda? “La penso come lei perché secondo me in quella domanda è insita una forma di violenza psicologica. Dietro una non maternità a volte c’è una scelta e ancora oggi questo non viene compreso. Anche nella scelta di non avere un compagno o un fidanzato ci potrebbe essere la volontà libera di non condividere il quotidiano con una persona. La frase più brutta che si possa dire è “tu non puoi capire perché non sei madre”. Immagino che portare avanti una gravidanza sia un evento stupendo ma io non mi sento manchevole per il fatto di non averla avuta. La bellezza di ogni forma di libertà e di amore è per se stessi. Il più delle volte i peggiori giudizi vengono dalle donne e le peggiori domande vengono fatte dalle intervistatrici che spesso sono noiose. A 20 anni ti chiedono se vuoi avere figli o ti vuoi sposare, a 30 anni ti dicono 'perché non sei ancora sposata?', a 40 anni esclamano 'ormai manca poco' e a 45 anni ti dicono 'ormai'. I figli si possono fare anche a 50 anni. Per me è madre anche chi adotta un figlio. Gli uomini hanno l’istinto di procreazione e le donne hanno l’istinto di maternità”. Tanto per prendersi in giro, l’uomo che vorresti ci provasse con te? “Matthew Mcconaughey ma anche Benicio del Toro, Johnny Depp e Brad Pitt. In Italia penso ad un musicista o ad un artista perché sono i più creativi ma al momento i nomi che mi vengono in mente sono di persone sposate”. C’è un ruolo che ti piacerebbe interpretare in un film o una fiction? “Mi piacerebbe cimentarmi in un ruolo più impegnato. Volevo fare il provino per la serie 'Gomorra' ma non me lo fecero fare perché cercavano attori bravi di teatro. Mi sono rifatta però facendo la parodia di Chanel che è rimasta ancora oggi nel cuore delle persone”.




spettacolo

Grazia Scuccimarra Da più di trent’anni

nessuno racconta gli anni ‘60 come lei di Paolo Paolacci

Gli strepitosi anni '60 di Grazia Scuccimarra ancora in scena dopo più di 30 anni. Siamo riusciti ad incontrarla per saperne di più in una bella intervista semplice e diretta dove si scopre perché dopo più di 30 anni, lo spettacolo va ancora in scena. L'intervista è stata realizzata prima dell'inizio dell'emergenza coronavirus. Grazia, com'è nato "Noi le ragazze degli anni '60"? “Sentivo sempre dire da Gianni Minà quanto fossero stati meravigliosi gli anni ‘60, ho sentito una sorta di ribellione, ma quali anni meravigliosi. Ve la racconto io questa meraviglia… ed è partita la favola interminabile che dura ancora”. Lo spettacolo ha più di trent'anni. Cosa ti resta e soprattutto cosa ha ancora da dare a te che l'hai scritto? “Resta la soddisfazione dell’autrice per aver letto con così tanto anticipo la realtà sociale, accompagnata però dalla preoccupazione che l’attualità del testo dopo quarant'anni attesti che tanti passi avanti dopotutto non li abbiamo fatti”. Perché ancora piace così tanto? “La nostalgia è il sentimento che più ci prende, ma anche la curiosità dei giovani concorre a che i teatri siano sempre pieni”.

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spettacolo

Com'è cambiato il pubblico delle prime serate a quello di oggi? “Per fortuna il pubblico sta tornando ad essere quello di un tempo, dopo un periodo di appannamento, come se il cervello fosse stato messo a dormire per un po’. Soprattutto è tornato ad essere affamato di verità, intelligenza e onestà intellettuale”. Che cosa ne deduci? Eri davvero così avanti? “Ne deduco che il pubblico premia sempre chi lavora bene, e poi sì, ero e sono sempre un po’ più avanti, è questo che mi fa durare da quarant’anni”. Quanta umanità accompagna uno spettacolo così duraturo e quanta ne trasmette? “Non bastano argomenti buoni e validi, vale come li racconti al pubblico. Ci vuole amore, ci vuole corrispondenza di quei famosi amorosi sensi, e io e il pubblico corrispondiamo alla grande”. L'idea di recuperare quegli anni passati è poi seguitata con gli anni '70, '80, ecc..: è un ritorno al futuro necessario oppure la certezza che qualcosa aveva funzionato bene? “Oggi comincio io a pensare che tutto sommato quegli anni funzionassero meglio dei tempi attuali”. Cosa abbiamo perso oggi di quegli anni? “Penso che ad aver perso di più sia stata la donna, che sicuramente ha conquistato posizioni in campo lavorativo rimanendo sempre un passo indietro all’uomo ma è meno autonoma e creativa nella vita privata”. La battuta più bella che ogni sera fa sganasciare tutti? “Difficile scegliere ma il racconto del lenzuolo al posto degli assorbenti di oggi è uno dei momenti più divertenti”. Sei contenta di far ridere oppure avresti voluto fare altro? “E’ bello regalare due ore di leggerezza in tempi in cui tutto è troppo pesante, a cominciare dall’aria”. Il successo dopo tanti anni di questo spettacolo significa che il tempo è finito o che qualcosa va rivisto? “Il tempo è sempre là che sta per finire e c’è sempre qualcosa da rivedere”.

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spettacolo

Giacomo Giorgio Il giovane attore

che ha esordito con Rupert Everett di Francesco Fusco

Giovane attore di cinema e fiction. I suoi inizi sono stati contraddistinti dal teatro. Ha lavorato con Rupert Everett e ha preso parte nel film “Non c'è campo” di Federico Moccia. In tv ha recitato nelle serie “I bastardi di Pizzofalcone” e “Mare fuori”. Quando hai capito di voler fare l'attore? “Ho capito di voler fare l'attore fin da quando ero piccolo. Avevo 6 anni e interpretai un piccolo Pulcinella che apriva e chiudeva uno spettacolo. Uscito dal teatro sentì quella adrenalina, quel brivido di divertimento (che mi accompagna tutt'ora) e capì che era la mia strada”. Hai preso parte ad un ruolo nel film "The Happy Prince" diretto da Rupert Everett. Come è stato lavorare per un film americano? “Ho preso parte al film 'The Happy Prince' grazie alla possibilità datami da Rupert Everett. È stato il mio esordio nel cinema girando per due settimane tra Germania e Italia, giornate che non dimenticherò più. È stato incredibile capire, anche se per poco tempo,

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spettacolo L’ inte r vis ta è st at a re alizzat a prima del l’ in iz io de ll ’e mer ge nza cor onavirus

Sabrina Brazzo La “regina” della danza classica, Ètoile della Scala di Milano di Giulia Bertollini

Prima di uscire di casa, metto in borsa il © Foto di Cris tina Pica dvd del “Bolle and friends” da far autografare. Ci sono occasioni che nella vita non si possono perdere e questa è proprio una di quelle. La danza classica è sempre stata la mia più grande passione e sapere di dover incontrare una stella del balletto come Sabrina Brazzo mi sembra un regalo del destino. Quando arrivo al Molinari Art Center sento la musica vibrare tra le pareti. Mi affaccio alla sala e assisto alle prove dei giovani allievi della compagnia J A S A r t B a l l e t . Ve n g o r a p i t a d a i l o r o m o vimenti come se ogni gesto servisse a disegnare una ragnatela nella quale rimanere avvinghiata. Lei è seduta a terra e quando mi vede mi fa segno di entrare. Rimaniamo l’una accanto all’altra fino all’applauso finale. Étoile del Teatro Alla Scala di Milano e Prima Ballerina al Covent Garden di Londra, Sabrina Brazzo ha ricevuto lo scorso anno l’onorificenza come Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana. Un riconoscimento importante per un’artista che nonostante le difficoltà è riuscita a fare della danza il suo mestiere. In questa piacevole chiacchierata, oltre a rivelarci inediti dettagli sulla sua carriera, Sabrina ci parla anche degli incontri che le hanno cambiato la vita. Come si è accostata al mondo coreutico? “Essendo nata con doti particolarmente inconfondibili per la danza (piedi e gambe arcuati, schiena estremamente flessibile, ed una grande elasticità muscolare), ho sentito sin da piccola l’emozione al suono del violino e del pianoforte. Ho capito così che la danza o meglio il balletto era il mio destino. Ho fatto sacrifici, e continuo ad

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S abrina Brazz o e Rober to B oll e

ventata prima ballerina con Sylvie Guillem, che tra tante candidate mi scelse per la sua 'Giselle'. E poi un’altra emozione forte è quella che ho provato quando mi strappai il polpaccio. In ospedale mi dissero che probabilmente non avrei più ballato. L’unica cosa che so fare è ballare e mi ritrovai a chiedermi: E adesso cosa faccio?. Ma poi arrivò la telefonata di Roberto Bolle che mi diceva di mettermi in sesto perché aveva bisogno di me per Bolle and Friends. Nel giro di un mese e mezzo ero già in prova e ho ballato per 5-6 anni con lui in giro per il mondo”. Conosciamo molto il Roberto ballerino e poco il Roberto di tutti i giorni. Cosa apprezza maggiormente di lui? “Siamo cresciuti e siamo diventati grandi insieme. Oltre alla bravura e al talento apprezzo il suo rigore. E’ molto schematico. Lui prende una direzione e prosegue fino alla fine senza guardarsi né a destra né a sinistra. Non si perde mai nel pettegolezzo ma dimostra molta serietà. Pur sembrando un robot, è sempre alla ricerca di una parte spirituale”. Nel 2012 ha fondato assieme al suo compagno An-

drea Volpintesta la compagnia JAS Art Ballet. Com’è nata questa idea? E quali sono i pro e i contro di condividere il palco con il proprio compagno? “Andrea è un partner incredibile. La danza ci ha unito ed è diventata il nostro stile di vita. Si nasce ballerini e lo si resta per tutta la vita. Credo che ci siano più pro che contro. La danza è un arte prima ancora che un mestiere. In questi anni, abbiamo condiviso il palco anche con altri grandi ballerini e sicuramente l’esperienza presso l’Accademia del Teatro alla Scala ci ha aiutato molto. Abbiamo pensato di creare questa compagnia con l’obiettivo di dare una possibilità a quei giovani che non hanno avuto la nostra stessa fortuna. Siamo partiti da una palestra adibita a sala ballo all’interno di un oratorio. Abbiamo sudato, lottato e fatto enormi investimenti personali senza ricevere sovvenzioni dal ministero. Dopo 5 anni di duro lavoro e produzioni autonome siamo fieri di essere residenti artisticamente al Teatro Carcano di Milano”. Nella sua carriera ha sperimentato trionfi e successi in tutto il mondo. Ma la gioia che deriva dalla nascita di un figlio forse non ha paragoni. “E’ vero. Peccato che mia figlio non abbia intrapreso la stessa carriera pur avendo il fisico adatto. Viene a vedermi agli spettacoli e mi critica anche. Con mio marito siamo un grande esempio. Nostro figlio Joseph ha anche contribuito a dare il nome alla compagnia visto che abbiamo unito le iniziali dei nostri nomi”. Credo che in qualche modo la gente abbia una percezione distorta della danza anche in base a ciò che vedono in tv. Mi riferisco ai talent. “Quella è proprio una mazzata. Chi ha la predisposizione come ballerino a fare un talent non ha una disciplina tale da capire che deve tenersi fino alla fine del proprio percorso. Questi giovani finiscono per bruciarsi in un nanosecondo senza sapere che la danza implica una ricerca continua che va poi di pari passo con la maturazione personale”. Viviamo giorni difficili, segnati da intolleranza e razzismi. La danza può insegnare qualcosa ai nostri tempi? “Assolutamente. Nella nostra compagnia abbiamo due ragazzi dislessici e un ragazzo di colore. Con la danza non ci si deve mai fermare all’ovvio. La danza è un’arte che non può essere né di destra né di sinistra”.

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spettacolo

Antonio Desiderio Il manager dell’Opera Lirica di Silvia Giansanti

Lavora da oltre quindici anni come manager internazionale di opera lirica e balletto e il suo è un grande impegno svolto con dedizione e passione in giro per il mondo Il suo nome rimane impresso facilmente e da molto tempo ed è oramai un veterano nel settore dell'opera lirica e del balletto. E' nato a Roma nel 1976 e oggi è una figura consolidata a livello internazionale per via del suo lavoro che prevede molti spostamenti, a contatto con grandi nomi. Sono molti i progetti a cui vorrebbe dar vita in questo 2020 (l'intervista è tata realizzata prima dell'esplosione dell'emergenza coronavirus ndr). Conosciamo meglio Antonio Desiderio.

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musica

Clara Moroni Dal punk rock di The Kubrix ai tour con Vasco Rossi di Mara Fux

Cantante, autrice, musicista e discografica, la regina dell’underground milanese racconta i suoi primi passi a tempo di rock, dagli arrangiamenti vocali per F o r t i s a M o d e n a P a r k c o n Va s c o . Il tuo cv musicale coincide pressappoco con la tua età. Sei nata cantando? “Ride. Non lo ricordo ma credo proprio di sì: considera che a tre anni giravo per casa cantando 'Nessuno Mi Può Giudicare'. Però allora non pensavo che si potesse fare del canto una professione, mi piaceva cantare e cantavo, cantavo a scuola o con gli amici senza pensare che il canto potesse essere un lavoro. E cantavo di tutto, riproducevo con la voce quello che mi piaceva. Poi attorno ai 16 anni ascoltando i Sex Pistols, ho avuto una folgorazione e mi sono messa in testa di avere anche io una band tutta mia”.

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E che hai fatto? “Mi sono messa in giro a cercare i possibili componenti, incontrando altri ragazzi che facevano musica finché, mentre ero in vacanza, ho conosciuto una band di quattro punk e da lì è iniziata tutta un’altra storia. I giornalisti ci cercavano perché facevamo parte di quel genere che si discostava dalla musica italiana degli anni ’80, piena di cantanti melodici con cui il nostro rock non aveva niente a che fare”. Come vi chiamavate? “The Kubricks perché eravamo tutti innamorati di questo grande regista; poi siccome il cks del finale era difficile da pronunciare, abbiamo modificato il nome in Kubrix”. E’ allora che è partita la tua avventura musicale? “Diciamo che è iniziata da lì a poco, frequentando lo studio di registrazione dove preparavamo la nostra prima compilation. I proprietari dello studio mi hanno


proposto di registrare per loro dei lavori, ovviamente pagata, e lì mi si è aperto un mondo perché ho capito che con la mia voce potevo far denaro”. Fantastico! “Fantastico, soprattutto se consideri che cantare era la cosa che mi piaceva di più e che fino a quel momento cercavo di barcamenarmi tra un lavoretto e l’altro come tutti i ragazzi di quell’età. Invece da lì è iniziato il tam tam tra i produttori fino a che la voce non è giunta a Luca Orioli il quale assieme a Guido Elmi stava arrangiando il nuovo disco di Alberto Fortis, al quale mi affiancarono come arrangiatrice musicale, permettendomi di intervenire con la voce dove lo ritenevo opportuno”. E’ stato il primo contratto? “Sì, con la Emi che mi affiancò come produttore proprio Guido Elmi che produsse i miei primi due album 'Chi ha paura di chi' nel ‘90 e nel ‘92 'Spiriti'”. Una collaborazione che dura? “Come mio produttore no, ma c’è una gran stima tanto che nel ’93 mi volle per il disco di Vasco 'Gli spari sopra'. Io poi, già allora, avevo aperto una mia prima etichetta, quella che oggi è la DMI, cosciente di conoscere l’ambiente della musica a tutto tondo, ovvero come cantante, arrangiatrice, musicista, autrice ma anche come produttrice e discografica. E così andai avanti da una parte cantando dall’altra producendo dischi finché nel ’95 Guido, come finimmo di registrare con Vasco 'Nessun pericolo per te', mi propose di fare con Vasco anche i tour”. Ovviamente non ci hai pensato due volte. “Beh mi son detta 'ma quando mi ricapita!'. E così è iniziata una collaborazione durata dal ’96 al 2017 in cui però non ho mai smesso di produrre e distribuire cantanti eurobeat nel mercato giapponese o americano. Lavorare con Vasco mi ha permesso di imparare tanto attraverso un’esperienza che ho condiviso con tour come 'Bambina Brava' o 'Sono quello che sono' fino alla grandiosa esperienza di 'Modena Park', un evento che ha segnato per me un punto di svolta sia musicale che personale per via di alcune vicende che mi avevano colpita fortemente, facendomi anche capire che era giunto il momento di tirare delle conclusioni: era stata un’esperienza stupenda ma della mia vita dovevo fare altro”. Quindi cosa hai fatto? “Mi vengono ancora i brividi a ricordarlo. Ero nella camera d’albergo a Tokio per alcuni incontri che riguardavano la mia etichetta molto legata al mercato giapponese; mi stavo chiedendo chi potesse essere un produttore per il mio nuovo album quando mi è arrivato un messaggino di whatsapp di Cristian Piccinelli che si rallegrava del sapermi in Giappone. E’ stata una folgorazione, poiché come me anche lui sentiva forte l’esigenza di far musica senza scopo diverso dal farla perché si ama quel che si fa. Così è nato l’album “Unica” che ha aperto tutti i concerti di Vasco del tour 2018. “ALL OVER”, tuo nuovo singolo, è figlio di questa esperienza? “Certamente, in qualche modo è da lì che derivato prima l’incontro con Roberto Vernetti, uno che viene dall’ambiente rock un po’ panchettone proprio come me, e poi con Michele Clivati, suo stretto collaboratore, un autentico cervellone che sa tutto della musica di tendenza”. Cosa succederà adesso? “Con precisione non so dirtelo ma so per certo che si sta aprendo una nuova porta e chissà dietro cosa ci sta”. Cl ara M or oni con Vas co Ros si

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