GP Magazine ottobre 2020

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Carmen Russo “Tale e Quale Show” conferma

il talento e l’abnegazione di un’artista che sa quello che vuole di Silvia Giansanti

Da qualche settimana è protagonista nel programma di Carlo C o n t i “ Ta l e e Q u a l e S h o w ” , d o v e con impegno e determinazione dimostra di interpretare e “imitare” al meglio i personaggi che le vengono assegnati. Nella prima puntata ha imitato l'indimenticata Stefania Rotolo, riscuotendo apprezzamenti commossi dai giudici e dal pubblico. La sua è un'avventura fortunata che continua ancora nel tempo per Carmen Russo, una gran donna della tv. ha lanciato anche un brand nel campo della cosmesi. Tra lei ed Enzo Paolo Turchi nascono continuamente nuovi ed interessanti progetti Oltre ad essere una delle signore più in vista della tv che hanno fatto la storia, Carmen è nota per la sua resistenza. Vi ricordate che prova dette sull'Isola dei Famosi qualche anno fa? Davvero tosta come donna e adesso come mamma, visto che segue Maria in modo esemplare. Carmen ha una vita pienissima fatta di famiglia, di animali e di impegni lavorativi che la vedono spesso sul piccolo schermo, compresa la tv spagnola. E' stato un vero piacere poter scambiare qualche parola con lei, mentre sua figlia stava giocando a tennis al Foro Italico. Una bella soddisfazione per noi amanti degli anni '80 cresciuti con “Drive In”. Se vi capita leggete il suo secondo libro “Completamente io. Desideravo essere chiamata mamma”. Carmen, il segno della Bilancia è un po' nostalgico. Hai avuto l'occasione di fare la

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televisione ai tempi d'oro del “Drive In”. Cosa ti è rimasto nel cuore? “Mi porto dentro ancora tutto. Il contesto era fantastico, da Antonio Ricci al Bagaglino che ha segnato i miei inizi, per non parlare della prima cosa che ho fatto in teatro con il grande Walter Chiari. Sono davvero tanti i ricordi di lavoro con Federico Fellini e con Paolo Villaggio che ho conosciuto a Genova all'età di quindi anni. Mi aveva promesso di darmi una mano una volta finita la scuola e così è stato. Indimenticabile è rimasto l'incontro con Enzo Paolo, un grande coreografo che io mai potevo ambire ad avere in quanto eravamo su due pianeti diversi e che invece un bel giorno ha accettato di farmi le coreografie”. Poi ti sei innamorata strada facendo? “Direi di sì”. Che ricordo hai di un altro grande personaggio molto amato come Giorgio Faletti? “Ricordo anche lui al 'Drive In', ma sono stati momenti in cui non avevi il tempo di soffermarti e renderti conto di vivere delle emozioni forti, le vivevi e basta. Eravamo tutti molto presi dal lavoro, dalle prove e inghiottiti dall'entusiasmo”. Qual è il segreto di un amore così duraturo tra te ed Enzo Paolo visto che oggi, con i tempi che corrono, i legami lunghi fanno notizia? “Vero, ormai siamo noi la trasgressione. Il segreto è non cercare nulla per forza, essere sinceri, non accettare compromessi e gettare delle forti fondamenta sulle quali si può costruire una storia vera. Nessuno dei due ha mai avuto dei secondi fini”. Che tipo di rapporto hai con tua figlia?

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cover story “E' un rapporto meraviglioso al cento per cento. Mi dedico totalmente a lei dalla mattina alla sera, a parte durante le parentesi lavorative. Dopo averla ripresa da scuola, la accompagno a fare sport come nuoto e tennis. Lei mi sta insegnando ad essere mamma. Mi sento nei suoi confronti la persona più importante. Sono per lei un grande riferimento e quindi sono consapevole di questo e cerco di trasmetterle i valori facendola crescere. Deve capire fin da adesso quali sono le cose giuste”. In questi ultimi mesi la famiglia si è allargata? “Sì, è arrivato un cucciolone che abbiamo adottato in un rifugio a Palermo”. Il tuo rapporto con gli animali è stato sempre speciale. “Da quando mi sono trasferita a Roma all'età di diciotto anni ho adottato un cane, che per me è stato un bel compagno. Maria sta crescendo con i cani e sta sviluppando un rapporto importante. I bambini che crescono con un animale hanno una marcia in più”. Ce la faremo ad avere prima o poi pene più severe per chi maltratta gli animali o li uccide? “Qualche miglioramento lo abbiamo avuto ma la strada è ancora lunga. C'è troppa crudeltà e cattiveria da parte di gente che si accanisce sugli animali e per questo sono nate tante associazioni in difesa dei loro diritti, ma non basta. Speriamo bene”. Il personaggio che stimi? “Fiorello... e anche Amadeus per il suo stile educato di fare televisione”. Come vivi con la tecnologia, i social e quant'altro? “Trovo che oggi siano strumenti utili e quindi mi sono dovuta adeguare. Da qualche anno ci lavoro e ne faccio uso. Ho anche un bel seguito e a volte rispondo anche direttamente alla gente che mi scrive su Instagram. Non ho un commento brutto e questa è una bella soddisfazione. Mi hanno fatto bellissimi complimenti, specie quando mi hanno detto che Maria è la figlia d'Italia. Poi come in tutte le cose, ci sono i lati negativi. Ci sono quelli che non mettono la faccia e fanno i leoni da tastiera, ci sono quelli che si sfogano prendendo di mira qualcuno e quelli che vogliono apparire ad ogni costo”. A parte l'impegno principale con Maria, oltre a “Tale e Quale”, ci sono altri progetti in ballo? “Sì, insieme ad Enzo Paolo abbiamo alcuni validi progetti. Inoltre abbiamo un'accademia di danza e di arti a Palermo. Lavoro periodicamente per la televisione spagnola da vent'anni e in più ho creato un brand di creme e di cosmetici, la Carmen Russo Cosmetici che mi sta dando molte soddisfazioni. Quando le donne conoscono i miei prodotti, non ne possono fare più a meno”. Dove si possono trovare? “Prossimamente con un e-commerce o in prestigiosi centri estetici”.

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Se non sbaglio hai scritto anche un libro. “Il secondo precisamente ed è on line intitolato 'Completamente io. Desideravo essere chiamata mamma'. In questo libro racconto gli ultimi cinque anni della mia vita completamente cambiata. E' edito da Pathos Edizioni”. Rifaresti un reality? “Perché no? L'unica cosa è che adesso ho l'impegno con Maria e sarebbe difficile andare su un'isola o chissà dove”.



storie & personaggi

Renzo Mario De Ambrogi Le tante vite di un “numero uno” di Marisa Iacopino

Un uomo che con grande professionalità e slancio creativo ha contribuito all’affermazione del Made in Italy nel mondo. Natura poliedrica con la quale si è profuso in campi disparati, dal giornalismo al management, per approdare in anni più recenti all’ambito letterario, come scrittore e presidente di giurie. Insomma, un ‘numero uno’. Nel 2018 riceve il “Premio alla Carriera” per l’impegno profuso in ambito internazionale; a fine 2019, nel conferirgli il Premio Cinabro, in occasione del XXX anniversario della caduta del muro di Berlino, si parla di lui come di persona che ha sempre agito nel rispetto del diritto dei lavoratori e dell’impatto ambientale. Un suo assistente lo ricorda come capitano di nave, amato oltre che stimato da tutti i collaboratori e dalla famiglia Gucci, per la quale ha diretto il prestigioso marchio. Inizia la nostra chiacchierata con Renzo Mario De Ambrogi che si abbandona a un fiume di ricordi. Vuole parlarci degli esordi da giornalista? “Il giornalismo era la mia passione sin dall’infanzia. Negli anni cinquanta, ottenni il primo incarico di corrispondente della Stampa Internazionale, nella quale ho operato per due anni”. E l’avvio come manager nell’ambito dei cosmetici e profumi? “Per un caso fortuito, entrai alla direzione di un famoso gruppo che distribuiva profumi e cosmetici di lusso francesi. Mi si apriva una strada sconosciuta che in pochi anni mi portò a scoprire quel fascinoso mondo. Sette anni dopo, mi venne offerta la direzione generale di una multinazionale inglese di cosmesi, famosa in tutta Europa.

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Quattro anni più tardi, passai a un’altra multinazionale con sede a Zurigo”. Che può dirci di quello che di lì a poco sarebbe stato il grande incontro con la famiglia Gucci? “In Italia eravamo pochi, i conoscitori operanti nel mondo della profumeria, e fu per questo che venni chiamato dalla Gucci, sede centrale di Firenze, per sviluppare l’idea di creare una ‘Divisione Profumi’. Il primo contatto lo ebbi con Aldo, uomo carismatico che venne appositamente dagli Stati Uniti, dove abitualmente si trovava, per incontrarmi”. Capì subito l’importanza di quell’incontro nella Sua vita professionale? “Obiettivamente non posso dire che l’idea mi entusiasmò più di tanto. Abituato a trattare profumi di alto livello francesi, in un primo tempo pensai che un profumo italiano non avrebbe incontrato il favore del mondo femminile mondiale. Dopo alcune settimane di riflessione, decisi di accettare l’incarico e creare l’oggetto che mancava nella 'collana' delle creazioni della Casa. Mi ricordo l’espressione di Aldo: 'Le affidiamo un neonato, ce lo mandi all’Università'”. Insomma, una sua creatura, il profumo Gucci... “Iniziai l’opera di creazione della Gucci Parfums senza intromissioni da parte della famiglia Gucci, condizione da me richiesta prima di accettare. Venne rispettata per tutta la mia permanenza nel gruppo, sedici anni. Dopo circa quattro anni, il nostro profumo aveva conquistato i cinque continenti. Poi avvenne la cessione della linea Gucci Parfums a una multinazionale americana”. Dal profumo al settore moda della Gucci Accessory Collection, di cui Le viene affidata la direzione generale internazionale. Cosa accadde precisamente? “Ceduto il profumo, pensai fosse inutile la mia presenza, poiché veniva a mancare l’oggetto principale della mia esperienza. Non fu così. Lo stesso Aldo mi disse che non dovevo lasciare l’Azienda. Feci presente che, a parte il 'sapermi vestire', ero in erba per passare repentinamente in un settore così diverso. Battendomi una mano sulla spalla, Aldo ebbe una delle sue espressioni indimenticabili: 'Imparerà!'. Cosi iniziò il mio cammino verso l’affascinante mondo della moda. Nel 1983, la grande soddisfazione di ricevere una targa d’oro per la collaborazione e il successo ottenuto a livello globale dall’Accessory Collection”. Come è stata la lunga permanenza nel gruppo? “Ho condotto l’organizzazione come fosse la mia, creando uno spirito di corpo. Le molteplici persone che vi lavoravano erano collaboratori entusiasti, parte della grande famiglia con radici che si espandevano dall’Europa all’Africa, dalle Americhe a tutto l’emisfero asiatico. Credo che il successo di quegli anni sia impossibile da ripetere”. Il suo libro “Mille vite in una sola” la dice tutta sulla

sua capacità di voltare pagina, dopo aver raggiunto l’apice e il successo, e ricominciare da capo. Com’è approdato al mondo della scrittura? “Non vedevo la necessità di scrivere la storia della mia intensa vita. Ma dopo molte insistenze da parte di redattori di famosi giornali, mi sono lasciato convincere dai miei figli”. Quest’uomo dall’aria pacata ci accomiata con il garbo che lo contraddistingue. Una cortesia d’altri tempi. Non ci sfuggono in lui l’aplomb, la disinvoltura. Deve essere stato animato da forte determinazione oltre che da capacità manageriale. Doti indispensabili per chi certo non si è improvvisato nella vita per diventare il numero uno, ma ha saputo costruire la propria posizione con merito e intelligenza, elevandosi parimenti lungo la scala del successo e dei valori umani.

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Helena Galanti Il sensuale trionfo della semplicità di Alberto Terraneo

C a p e l l i n e r i , o c c h i c h i a r i e f i s i c o d a u r l o . D a R o v e r e t o , c i t t a d i n a d e l Tr e n t i n o A l t o Adige, Helena Galanti ha tutta l’intenzione di volersi far strada in giro per l’Italia. Fotomodella, ma non solo. I suoi scatti hanno iniziato a fare il giro dei social conquistando per fascino ed eleganza. D’altronde, per lei, la fotografia è un modo per raccontarsi, per colpire, per andare oltre l’apparenza. Dalla sua ha la giovane età – 19 anni appena compiuti – e tantissima voglia di emergere. Ma Helena è anche l’emblema della semplicità e della genuinità. “Sono una ragazza solare, simpatica, socievole, pulita, testarda e determinata – racconta - non mi piace mettermi in mostra credendomi chissà chi, sono una persona normale come tutti”. Detto questo, la sua femminilità non passa inosservata. Se ne sono accorti tanti fotografi che hanno iniziato a coinvolgerla in progetti sempre nuovi. Stare sotto la luce dei riflettori ti piace? “Sì, confesso che mi piace far vedere le mie forme, la mia sensualità e anche provocare”. Come inizia il tuo rapporto con questo mondo? “Ho iniziato a fare la fotomodella tre anni fa, poi però per un periodo sono dovuta stata in stand by; ho ripreso perché non posso vivere senza posare davanti a una macchina e stare senza la fotografia… è tutto quello che ho”. Insomma, gli scatti che fai hanno molto valore per te. “La fotografia mi ha aiutato veramente tanto; grazie alla fotografia e a posare davanti alla macchina, ho acquisito sicurezza in me stessa. Nella mia quotidianità la fotografia mi aiuta sempre a esprimere me stessa che sia per uno scatto divertente o elegante”. Insomma, vuoi puntare in alto. “Certo, perché porsi limiti! I miei sogni sono quelli di diventare una modella internazionale, di entrare nel mondo della tv e perché no… anche del cinema! Sono determinata e gli obbiettivi che ho li realizzerò. Oltre a essere una passione, la fotografia è anche un gioco; spero che un giorno diventi anche un lavoro stabile”. Diciamo che i tuoi scatti sono un crescendo di sensualità… “Il giorno del mio compleanno ho fatto uno shooting fantastico, dove ero super energica e carica come la maggior parte delle volte. Ho anche collaborato con un negozio di gioielli, spero di fare ancora collaborazioni magari un giorno più importanti. Quando pubblico le mie foto mi piace che gli uomini siano stuzzicati dai miei sguardi”. Che ragazza sei nel quotidiano? Mi piace viaggiare anche se non sempre è possibile, mi piacerebbe conoscere nuove terre, culture e piatti tipici della zona. Però sono anche una ragazza che odia le prese in giro, le promesse non mantenute, le bugie, le false amicizie per ottenere qualcosa e soprattutto i secondi fini. CONTATTI SOCIAL: @helena.galanti

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salute & benessere

Laura Bernato Naturopata per vocazione e per amore dell’individuo di Paolo Paolacci

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La naturalezza di un incontro, la semplicità di una conoscenza e la peculiarità delle risposte verso una vita moderna che sempre più evidenzia l’inadattabilità dell’uomo a qualsiasi tipo di meccanismo per raggiungere il suo equilibrio. Un piacere leggerla. Le cose che ha imparato le ha studiate o le sapeva già? “Ho da sempre manifestato un interesse verso le discipline di cui mi occupo, e da sempre ho approfondito da autodidatta. Nell’anno 2004 mi sono iscritta ad una Scuola di Naturopatia e sono diventata naturopata. Questo è un lavoro che prevede costante e incessante aggiornamento, si viene a contatto con nuovi sistemi di indagine e con nuove teorie, per cui la sperimentazione del nuovo si affianca a ciò che già sappiamo funzionare”. La relazione sensoriale e quella naturale sono la stessa cosa? “Il processo nel quale il sistema nervoso centrale riceve informazioni dai recettori di tutti i nostri sensi e successivamente attua una riorganizzazione per reagire e adattarsi all’ambiente, è automatico e si sviluppa secondo un ordine e una sequenza naturali. Alla nascita il nostro apparato sensoriale è incompleto, sopraggiungeranno stimoli esterni che attiveranno man mano movimenti già presenti nella vita intrauterina e che modificheranno o daranno luogo a nuovi schemi. Abbiamo quindi reazioni innate, ma che devono via via integrarsi. Nella mia professione cerco di coniugare e raccogliere quel che direttamente mi viene comunicato dai sensi, mediandolo e confrontandolo con quel che mi racconta di sé la persona che ho davanti”. Qual è il percorso di studi per un naturopata? “Purtroppo in Italia la figura professionale del naturopata non è ufficialmente riconosciuta ed è al momento, a mio parere, ancora troppo poco collocata e collocabile; le scuole più autorevoli si rifanno ad un percorso formativo con un iter ed un

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monte ore ben precisi, sulla falsariga di nazioni in cui invece la professione è riconosciuta. Si parla di un triennio di frequenza, con esami intermedi per ogni materia e discussione finale della tesi. Esistono scuole che seguono indirizzi diversi fra loro (ad esempio dando un taglio più 'iridologico' o 'kinesiologico'), così come esistono scuole che inglobano discipline non fondamentali e che sarebbero in realtà 'di contorno'. Cosi come esistono scuole on-line”. Esiste un Ordine o qualcosa del genere? “La prima Federazione nazionale di naturopati professionisti nasce nel 1993, con obiettivo di riconoscere e tutelare la categoria”. È più un mestiere o una vocazione? “Come per molte altre professioni, anche in questo caso ciò che fa abbracciare questo percorso richiede una 'vocazione' alla base, come la convinzione che noi esseri umani siamo tutti magnificamente diversi e che andiamo considerati a 360 gradi, con il nostro bagaglio pre e post natale ma anche immersi ciascuno nel suo personale contesto. La fede e fiducia in tutto ciò che la Natura ci offre gioca inoltre un grosso ruolo, così come l’empatia che deve necessariamente scattare per 'sintonizzarsi' con la persona che si ha davanti”. Qual è la filosofia di cura della naturopatia? “La naturopatia comprende le discipline che mirano a conservare l’equilibrio energetico della persona, facendo riferimento a metodiche naturali ed energetiche che prevedono una considerazione olistica dell’essere umano. Lo scopo più che curare le malattie, è la prevenzione che si attua promuovendo l’equilibrio e l’omeostasi. Basti pensare che in Cina da sempre si considera bravo il medico che non ha pazienti, perché significa che riesce a 'non far ammalare' i suoi 'clienti'”. Esperienze significative che possono essere illuminanti? “Mi occupo in questo senso di persone da 12 anni e di 'esperienze illuminanti' ne potrei raccontare eccome. A partire dall’inspiegabile (ero agli albori della mia attività!) ma palpabile passaggio di un semplice mal di stomaco o mal di testa dal cliente a me, al termine di un incontro. Risultato: il cliente se ne andava alleggerito, io decisamente il contrario. Ma le più grandi e sorprendenti esperienze riguardano sempre ciò che si scopre di una persona, solamente osservandola e toccandone i punti riflessi. O analizzandone le sue frequenze elettromagnetiche. Non ho ancora smesso di stupirmi”. Guardare fisso per un minuto un “disegno” e poi leggere il nostro stato di salute: come funziona e com'è possibile tutto ciò? “Il tipo di forza che tiene unite le nostre cellule, le emissioni frequenziali del nostro cervello, dei nostri organi ed apparati ci permettono di capire dove si trova l’alterazione energetica distonica, che può spesso rappresentare il punto dal quale partire per riportare in equilibrio il nostro organismo. L’analisi delle biofrequenze appare sullo schermo del pc, il mio compito è quello di individuare le aree di carenza e le

aree sovraccaricate, integrando ciò che appare sul grafico con il racconto che la persona fa di sé, del suo corpo, delle sue abitudini e delle sue emozioni e sensazioni. Un lavoro davvero affascinante!”. Qual è il rapporto della naturopatia con l'omeopatia e le altre medicine come quella ufficiale? “L’omeopatia è da sempre materia controversa. Basti pensare che in Italia è atto medico, bollato però da molti medici come acqua fresca. Pur essendo atto medico, chiunque però può andare in farmacia ed acquistare un rimedio omeopatico, magari solo perché lo ha letto consigliato in una rivista. Io non pratico l’omeopatia, pur conoscendola abbastanza e usandola talvolta su di me. Conosco persone preparatissime in materia, e che sono in grado di consigliare i rimedi azzeccati. Conosco omeopati non medici che hanno istruito medici. Il rimedio omeopatico si distingue dal fitoterapico per il fatto che chimicamente nell’omeopatico non vi è alcuna traccia della sostanza, ma solo un’ 'impronta energetica'. Si utilizza una sostanza di partenza che viene sempre più diluita, fino a… non esserci fisicamente più (nel globulino o nelle gocce). Ciò che ne resta è appunto una traccia informativa. Sembrerebbe ciarlataneria, lo so, eppure…”. Consigli naturali generali e quelli per avvicinarsi ad un naturopata? “Come sapere a chi rivolgersi non è sempre facile. E come amo dire e fare: chi cerca trova! Innanzitutto un buon inizio potrebbe essere quello di accertarsi di quali discipline si avvale il naturopata. Ha poco senso andare a farsi una riflessologia plantare se già solo l’idea ci infastidisce. Spesso chi giunge a noi è perché ha già perpetrato tentativi vari e non sa più che pesci pigliare, anche se questo approccio devo ammettere sta lentamente cambiando. Se simpatizziamo per la fitoterapia (curarsi utilizzando le piante), è in quella direzione che dobbiamo guardare. Fidiamoci ed affidiamoci. Sarà poi compito del naturopata serio indirizzare verso ciò che pare più adatto al caso in esame, così come azzardare proposte di nuove strategie di percorso, alle quali il cliente non aveva pensato o di cui ignorava l’esistenza”. Per contatti: www.naturopatabolzano.com

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libri

Manuela Chiarottino “Ognuno di noi possiede

una parte d'ombra e una di luce, occorre saperle accettare entrambe” di Lisa Bernardini

Manuela Chiarottino, piemontese, una penna fluida e apprezzata vincitrice del c o n c o r s o Ve r b a n i a f o r Wo m e n 2 0 1 9 e d e l premio Fondazione Marazza per la narrativa per l'infanzia, autrice di numerose pubblicazioni tra cui: La bambina che annusava i libri (More Stories), Fiori di l o t o ( B u e n d i a B o o k s ) , Te s o r o d ’ I r l a n d a (More Stories), La custode della seta ( B u e n d i a B o o k s ) , Tu t t i i c o l o r i d i B y r o n (Buendia Books), Il gioco dei desideri (Amarganta, 2018), Maga per caso (Le Mezzelane, 2018), Un amore a cinque s t e l l e ( Tr i s k e l l ) , C u o r i a l g a l o p p o ( R i z zoli 2016), Due passi avanti un passo indietro (Amarganta), Il mio perfetto vestito portafortuna (La Corte), Ancora prima di incontrarti (Rizzoli). È da poco uscita sul mercato editoriale con il suo ultimo romanzo dal titolo “La stessa rabbia negli occhi”. Manuela, nella scrittura ami notoriamente il genere rosa, declinato in diverse sfumature, anche quest’ultimo romanzo contiene una storia d’amore? “'La stessa rabbia negli occhi' è una storia sia di amicizia che di amore. I protagonisti hanno dai diciassette ai diciannove anni, ma nonostante la giovane età sono già stati feriti dalla vita e annaspano in un mare di paure e fragilità a volte rivestite da rabbia e indifferenza”. Perché hai scelto di raccontare la storia dal punto di vista di Luna, la giovane protagonista?

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“Perché volevo creare empatia col personaggio, mostrando i suoi pensieri, i suoi timori e il percorso di crescita che avrà durante il romanzo. Tutto è raccontato da lei e mostrato passo dopo passo, per spiegare poco alla volta il perché di certi suoi comportamenti. Una cosa che mi ha fatto un enorme piacere è stato ricevere un commento proprio da una giovane ragazza che mi ha confessato di essersi immedesimata in Luna e di aver apprezzato questo mio modo di far entrare il lettore nel suo mondo”. Qual è il messaggio che volevi dare con questa storia? “Ho voluto parlare di come ognuno di noi possegga una parte d’ombra e una di luce e come occorra saperle accettare entrambe. A volte ci si rifugia nella prima perché si ha paura di mostrare la propria luce, altre perché non si crede di possederla. La verità è che la perfezione non esiste e bisogna amarsi per come si è. Una cosa che credo valga per tutti, non solo per i ragazzi, anche se senz’altro il periodo in cui ci si affaccia al mondo 'adulto' spesso è irto di difficoltà”. Si parla di giovani, ma gli adulti sono presenti nella storia e, se sì, come ne escono? “Nel romanzo si parla della difficoltà di dialogo che a volte intercorre tra genitori e figli, perché anche gli adulti hanno le loro fragilità, nemmeno loro sono perfetti. A volte vedono il figlio sfocato all’interno di una bolla di indifferenza che non comprendono, d’altra parte spesso i figli hanno paura di parlare davvero con loro. Può essere per paura, vergogna o per protezione verso l’altro e non è detto che sia sempre il genitore a



libri

Pierluigi Califano

“Paso Doble”: Un nuovo caso per l’ispettore Fogli di Mara Fux

Laureato in Scienze Politiche e collaboratore per la r i v i s t a e c o n o m i c a Te r z i a r i a , P i e r l u i g i C a l i f a n o , c l a s s e 1962, ha sfornato nel corso dell’ultimo lustro la bellezza di ben tre thriller dal sapore squisitamente moderno, di quelli che gira e rigira prima o poi approdano sulla scrivania di qualche sceneggiatore, il quale in quattro balletti te li trasforma in serie televisiva. Ed è un po’ quello che in fondo il nostro autore desidera già da quando ne “Il lato nascosto della Luna”, suo secondo romanzo, ha plasmato per la prima volta i tratti di Gerardo Fogli, ispettore di polizia alle prese con un caso che segnerà per sempre la sua vita personale oltre che quella professionale, visto che nel successivo “Paso Doble” è promosso a commissario. “Gerardo Fogli è un uomo normale che si trova davanti a fatti straordinari, è un poliziotto sui generis, che usa la ragione più della pistola. Di lui, spe-

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libri

Rita Guardascione

“Il mio romanzo è un omaggio alla terra flegrea” di Francesca Ghezzani

Rita Guardascione, originaria di Monte di Procida, in provincia di Napoli, è l’autrice del romanzo "Donna con due ombre" pubblicato da Homoscrivens, l’ultimo suo libro dopo essere uscita anni prima sul mercato editoriale con Il lago rapito (Homoscrivens, 2003), la filastrocca “La particella Universale” (2005) e aver vinto, nel 2006, il concorso internazionale “Una poesia per l’Alzheimer” c o n i l r a c c o n t o L’ a s s e n z a . Rita, ami il teatro, la fiaba, la scrittura, la musica… in te prevale l’amore per un’arte in particolare o tutte concorrono a definire la tua personalità? “Sicuramente ci sono espressioni creative che amo più di altre. Gene-

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ralmente mi incanta leggere una bella storia, mi suggestiona l’armonia dei colori di un dipinto, quello che figura, oppure il testo di una canzone così come una melodia. Quando la voce di un attore e le sue parole vibrano nella mia pancia resto incollata alla poltrona del teatro e vorrei che quella rappresentazione riprendesse da capo. Se una storia è scritta male o un testo è banale non riesco ad apprezzarlo, mentre per la pittura è diverso, perché non avendo alcuna competenza tecnica mi guidano le emozioni. Allora capita che certi dipinti mi rapiscano e quando desidero rivederli mi piace ricercarli nelle gallerie virtuali. È lo stesso meccanismo che mi spinge a riguardare un film o rileggere un libro. Con la musica invece ho un rapporto più intimo. È sicuramente occorrente alla mia scrittura e, spesso, preferisco ascoltarla quando sono sola. Pensa che,

questo romanzo, ha avuto come costante sottofondo solo Mozart e Yuki kajiura. Sicuramente l’arte, in tutte le sue forme, è di tutti, ma non è da tutti. A riguardo ho un pensiero poco democratico, perché non amo quelle che definisco forzature, cioè il voler trovare o far emergere un concetto anche dove c’è semplicemente un caso e una circostanza e dove l’ideatore è semplicemente un creativo e non un artista. Io stessa mi definisco un’autrice e non scrittrice. Un racconto non fa di te uno scrittore così come un quadro non fa di te un pittore o una recita un attore”. Componi anche dei testi musicali: come nascono le tue strofe? “Da una circostanza. Una parola che leggo, la frase di un film che mi entra nella testa, una sensazione che provo mentre chiacchiero con un’amica. Un panorama nuovo. Elementi che guizzano dalla quoti-


dianità e mi servono, all’istante, la visione di una piccola storia”. Veniamo al tuo ultimo libro, "Donna con due ombre". La scelta del tema “della doppia vita” della protagonista Micol da dove deriva, da un tuo interesse o ha una storia più lunga? “Il titolo evidenzia, volutamente, il concetto di dualismo, il quale percorre l’intera storia e caratterizza soprattutto la protagonista simboleggiando una componente costante della sua esistenza, sin dalla nascita. La carica del dualismo sta nella sua stessa natura, nel suo essere complementare o contrapposto perciò l’ho ritenuto determinante per evolvere il personaggio Micol e, necessario, per descrivere gli scenari nei quali lei si muove. Gli elementi che riceviamo per educazione o indirettamente dall’esterno, quelli che poi diventano il nostro corredo intimo, li assorbiamo in tutte le loro forme, il loro essere eterogenei. Durante la nostra crescita ne scegliamo alcuni per caratterizzarci, mentre altri restano nel profondo e si manifestano attraverso il nostro istinto, oppure rimangono dormienti, quasi nulli, per sempre o fino a quando ci si imbatte in una particolare situazione che gli consente di emergere. Spesso possediamo anche connotazioni che nell’altro ci fanno orrore, ci affascinano o ci stupiscono senza però esserne coscienti e, fino a quando non si crea la condizione adeguata, queste possono rimanere sommerse”. Potresti definire il tuo libro un romanzo di formazione per l’evoluzione psicologica e la crescita che fai compiere ai tuoi personaggi, in particolare Micol e la giovane Jessica? “Anche se non contiene le canoniche caratteristiche del romanzo di formazione che vuole la temporale maturazione del protagonista attraverso il susseguirsi di incontri e esperienze, per poi giungere all’età adulta, direi che Donna con due ombre si inserisce in questo genere grazie all’aspetto intimo e psicologico nonché alle rispettive evoluzioni che rappresentano il vero corpo di questo romanzo. Infatti Micol, la protagonista, e Jessica, una giovane paziente, sono introdotte ciascuna con i propri anni. Non viene narrata una crescita in maniera cronologica, ma solo attraverso le ripetute incursioni nel passato si evincono il loro percorso di vita, gli stati d’animo e la tempesta intima che via via si evolve e giunge alla risoluzione”. Infine, non certo da ultimo, assume il ruolo di maincharacter, la terra in cui ambienti la storia, la tua terra, quella flegrea. Perché la scelta di conferirle tanta importanza? “Sì, agli scenari ho dato un ruolo capitale perché desideravo evidenziare le specifiche fisicità e le realtà contrapposte di questi territori. Ci sono scorci di Napoli e tratti della sua periferia, poi c’è Bacoli, cuore dei Campi Flegrei, dove io vivo. Le incursioni sono nell’ordito, inevitabili, quindi la mia attenzione l’ho suddivisa equamente tra l’intimità dei personaggi, la contemporaneità delle azioni e i contesti sociali perché risultassero scenari veritieri e solidi. Quando ho iniziato a scrivere questo romanzo c’era innanzitutto il desiderio di creare per dare corpo al personaggio, ma via via è subentrata anche la necessità di sottolineare un disagio che molti, come me, vivono ogni giorno, perché spettatori di realtà contrastanti, convivenze di bellezza e disarmonia. Pertanto gli scenari sono i coprotagonisti, la fisicità dei luoghi che descrivo è così com’è, senza alterazioni o menomazioni. Le contraddizioni della natura e quelle costruite dall’uomo, poche volte rispettoso e simmetrico, spesso abietto e speculatore, ci sono tutte. Nella contraddizione emerge soprattutto la bellezza della Terra dei Miti che la protagonista sente come la sua seconda casa. Micol, infatti, pur ignorando le sue origini attribuisce al fascino di questi posti il suo attaccamento. Quindi il mio obiettivo è stato quello di omaggiare la fisicità della terra flegrea, ma anche di enfatizzare come certi soggetti concorrano alla invivibilità di questi posti a discapito della popolazione che, abituata alla bellezza che le è stata regalata dalla storia, si è sentita legittimata a darla per scontata e per anni ha fatto finta di non vedere. Purtroppo questo immobilismo, quasi ancestrale, ci ha reso vittime e carnefici allo stesso tempo”.

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Con l’eleganza e la raffinatezza che la contraddistingue, ha sfilato sul red carpet della 77esima edizione della Mostra del C i n e m a d i Ve n e z i a la coreografa e regista Anna Cuocolo, fasciata da uno splendido abito Balmain Paris. È presente al Lido per parlare del progetto “Lettere a mia figlia” durante il meeting di Paradise Pictures presso lo Spazio Ente d e l l o S p e t t a c o l o a l l ' H o t e l E x c e l s i o r. “Ho imparato a guardare il cinema come un quadro – racconta Anna Cuocolo – anzi come una sequenza di opere pittoriche. Vedere un film per me, è come stare in una pinacoteca. Avverto la sensazione dei colori, delle patine, dei toni caldi e freddi e lo scorrere delle immagini mi fa pensare di percorrere i corridoi museali dove quadri diversi si susseguono per raccontare con la forza del segno e dei contrasti cromatici la loro storia”. E cosa accade quando la danza incontra il Cinema? “La danza insieme alla pittura, diventa un altro elemento naturale del cinema, come la dinamicità, la forza dell'espressione corporea, delle emozioni, del gesto che svela l'anima e può divenire un elemento naturale e coinvolgente che spazza via la parola trasformandola in un dialogo muto e assordante, o forse solo una carezza, un volo ineffabile”. In questo senso quale esperienza ti ha arricchito particolarmente? “L'incontro con il regista Eitan Pitigliani, straordinario, folle, sensibile geniale autore di 'InsaneLove' di cui ho creato le coreografie. Mi ha permesso di sperimentare e spaziare e attraverso la ricerca coreografica ho capito che può esserci interazione tra gesto e parola che si incardinano alla colonna sonora fino a fondersi insieme e tracciare a volte differenti percorsi narrativi'. Quand'è che la tua carriera ha incrociato la settima arte? 'Quando scrissi una lettera a Pupi Avati. Avevo visto il suo Film 'Magnificat' e volli esprimere tutte le mie emozioni per quel racconto così potente che mi aveva scosso dal profondo. Mi rispose con una bellissima lettera e ci incontrammo un anno dopo nello studio di registrazione dove ebbi l'opportunità di parlare con lui, un incontro straordinario. Ho approcciato al cinema per necessità di allargare i miei orizzonti per avere nuovi punti di vista e

nuove percezioni. Ho avuto in seguito l'opportunità di fare l'assistente alla regia in alcuni film di Pupi Avati che mi hanno aperto a nuove visioni dell'arte e indirizzato verso nuove discipline. Lo studio delle Pittura all'Accademia di Belle Arti, La Scuola del Nudo, il diploma all'Accademia nazionale di Danza, la Scuola di Sceneggiatura cinematografica mi hanno condotto verso un unico comune denominatore: la necessità di raccontare e di raccontarmi. Poi l'incontro con Ricky Tognazzi e Simona Izzo con la serie televisiva 'La vita Promessa'. Oggi ho il ruolo di docente di Arte Scenica presso il Conservatorio di Rovigo dove insegno anche 'Filmografia musicale'”. Dove sarai protagonista prossimamente? “Parma 2020, Capitale della Cultura, in giuria al 'Parma International Music Film Festival' e ringrazio il presidente del Festival Eddy Lovaglio e il presidente di giuria Riccardo Joshua Moretti per il prestigioso invito che mi vede insieme ad alcuni colleghi ed amici come Eitan Pitigliani e Arturo Cannistrà. Il cinema continua ad appassionarmi e a coinvolgermi fino a farmi leggere la vita che passo dopo passo percorro come un lungometraggio dell'anima”.

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Anthony Peth

“Chef in campo” con Rosolino e Panucci su Sportitalia TV di Silvana Giovannelli

Parte la nuova stagione televisiva e si avvia “Chef in campo” (dal 12 ottobre in prima serata), in esclusiva per Sportital i a T V. U n a s t a g i o n e , l a p r i m a , t a r g a t a A . F. P r o j e c t s r l . , r i c c a d i o s p i t i e s o r prese. “La cucina è da sempre un argomento che attrae. Chi di noi davanti ai fornelli non si è sentito almeno per una volta uno chef famoso? E gli sportivi sempre attenti all’alimentazione come se la cavano tra i fornelli? 'Chef in Campo' ha deciso di metterli alla prova. Attenzione: non saranno solo sportivi a cimentarsi ai fornelli, ma anche conduttori tv, showgirl e comici... tutti accumunati da una sola fede, il tifo”, afferma il presentatore Anthony Peth Affiancato dallo chef Andrea Palmieri, in ogni puntata l’ospite dovrà cimentarsi con la realizzazione di due piatti raccontandosi attraverso le curiose domande di Peth e qualche colpo di scena. Com'è strutturato il format e cosa devono cucinare gli ospiti? “La prima portata è legata alla loro infanzia: un ricordo di sapori, ingredienti, cotture che ci permetteranno di scoprire le radici dell’ospite: da dove viene e com’è nata la sua passione per lo sport. Ma tante altre curiosità, come per esempio quali erano e quali sono i rapporti con la sua famiglia e con gli amici, da dove è iniziata la sua carriera e tanto altro ancora... Andremo quindi a scoprirne le origini e gli aneddoti sconosciuti al pubblico. La seconda ricetta, invece, sarà legata a un momento di svolta nella vita del personaggio. Un punto di svolta c’è sempre: l’olimpiade, l’esordio in Champions, la prima telecronaca, la passione per la squadra del cuore e un piatto può portarci proprio in questa direzione: ripercorreremo la sua carriera partendo proprio da quel primo momento”. Un format ricco di ricette e curiosità, un mix esplosivo fra sport e buona cucina... “In questo format mi sono divertito tantissimo, l’ idea del regista Mario Maellaro è vincente, non mancherà davvero nulla infatti ogni piatto sarà poi completato da un ottimo vino scelto con cura dall’esperto Matteo Carreri e per terminare la puntata con dolcezza Dalodi pre-

parerà un dolce in diretta appositamente per l’ospite di puntata”. Chi saranno gli ospiti di questa prima edizione? “Il calciatore Christian Panucci, Massimiliano Rosolino, Andrew Oue, un tifoso fra i vari sportivi, Antonio Tajani, l’ex presidente dell’Unione Europea, e tanti altri. Non sveliamo troppo, vi aspetto tutti i lunedì per divertirci insieme attraverso i sentieri del gusto”. Da anni ormai conduci trasmissioni prettamente sulla cucina e il buon cibo, pensi sia la tua specializzazione professionale? “Credo che trovarsi per caso a raccontare le eccellenze del nostro bel Paese quando stavo a La7 mi ha permesso di prendere consapevolezza su uno spaccato reale della Tv. Sono sempre stato attratto dalla tv generalista, trovarmi a condurre trasmissioni di cucina mi rende felice. Questa nuova avventura per me è una sfida totalmente diversa, gli ospiti sono quasi tutti campioni olimpionici, conoscerli e scavare nel loro profondo non è stato semplice, ma davanti ad un buon piatto tutti ci lasciamo un po andare a delle confidenze”. Ph Mirko Sperlonga

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spettacolo

Kristian Cellini

Fare il coreografo è un lavoro stimolante ed emozionante di Mara Fux

Oltre trent’anni di carriera alle spalle con preziose collaborazioni a fianco di personaggi del calibro di Carla Fracci, Raffaele Paganini, Andrea Bocelli, Placido Domingo, per citarne alcuni. Lui è Kristian Cellini, professione coreografo, con la danza che praticamente occupa tutto il suo dna di artista. I tuoi esordi... raccontaci come ti sei avvicinato alla danza. “È stato per caso. Quando ero piccolo facevo arti marziali e un giorno accompagnai mia sorella ad una lezione di danza. Assistendo alla lezione le dissi: che ci vuole a fare quello che fate voi? Così il maestro quando sentì questa mia esclamazione mi disse: allora perché non provi a fare anche tu una lezione di danza? Fu così che dopo la prova tornai a casa e dissi ai miei genitori: io voglio fare il ballerino…negli anni seguenti capii che non era per facile come immaginavo da piccolo, anzi, e che la danza richiede tanto sacrificio, amore, passione, costanza e tanta disciplina”. Cosa serve e guarda un coreografo? “Sicuramente dipende dalla creazione che in quel momento si deve realizzare. Per quanto mi riguarda, nei danzatori cerco personalità e artisticità e soprattutto la predisposizione ad accogliere nuove proposte di movimento e coreografiche. Questo perché credo, che i risultati più interessanti in termini di movimento si ottengono mettendosi sempre in gioco, attraverso il lavoro in sala danza e la partecipazione attiva dei danzatori alla creazione coreografica. Dico sempre che è un 'dare e avere' in sala danza tra il ballerino e il coreografo. Prediligo i ballerini con una buona base tecnica di studio, perché grazie ad un maggiore controllo del proprio corpo riescono a portare i miei movimenti coreografici all’estremo delle loro potenzialità fisiche e tecniche”. Il lavoro a cui sei particolarmente affezionato? “Sono affezionato a tutti i miei lavori, ogni lavoro mi ha lasciato qualcosa dentro di buono o meno buono, come è na-

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Spero Bongiolatti

“Bel Canto”: il nuovo albulm del grande tenore di Roberto Ruggiero

E' uscito il 20 settembre “Bel Canto”, il nuovo album di Spero Bongiolatti. Un progetto dedicato al Bel Canto Italiano in un momento storico difficile. Un messaggio di bellezza dedicato al nostro paese. Un messaggio di speranza che, attraverso il B e l C a n t o , è s t r u m e n t o d i f o r z a e s e r e n i t à . Tu t t o q u e s t o g r a z i e a l l a v o c e d e l t e n o r e valtellinese. L’Album “Bel Canto”, contenente dieci brani della tradizione operistica, concertistica, sacra e popolare di compositori come Gioacchino Rossini e Gaetano Donizetti, è acquistabile negli store digitali Spotify - Itunes - Amazon. “Come Tenore ho sempre avuto lo stimolo alla ricerca del suono più bello, più rotondo e più dolce”, spiega Bongiolatti parlando della sua ultima fatica artistica. “Il Bel Canto italiano dell’Ottocento a mio avviso è il canto più moderno di sempre perché nasce dal soffio del Respiro e dà luce a suoni che non hanno età perché il loro spirito è eterno”. L’Album “Bel Canto” contiene dieci brani, ciascuno dei quali rappresenta un importante momento dell’inizio carriera operistica, concertistica e sacra e popolare del Tenore Spero Bongiolatti. I compositori scelti sono tra i più rappresentativi dell‘Ottocento. CREDITI ALBUM BEL CANTO: La Direzione Orchestrale è stata affidata al Maestro e compositore Gianfranco Messina. Gli arrangiati orchestrali sono curati da Franco Poggiali Berlinghieri a Firenze. La registrazione della voce e il mixaggio sono a cura del tecnico del Suono Luca Liviero, negli studio Bios Music di Milano. La grafica della copertina è curata da Tecnostampa di Mauro Colombera. Le fotografie e la copertina sono a cura di Andrea Bordignon. Prodotto dalla Casa Discografica iMD-HLSBProduction. Registrato negli studi Bios Music di Milano.

“Ancora una volta il Tenore Spero Bongiolatti sorprende con la sua preziosa voce di diamante, sempre alla ricerca dell'eleganza e della raffinatezza nei suoni. Interpreta il Bel Canto, come solo lui sa fare. Un canto donato per il mondo, che si tuffa nel cuore di chi lo ascolta e ci fa sperare in una imminente resurrezione. E’ un talento straordinario, un interprete di rara qualità”. (Professor Pietro Panebianco, scrittore e docente)

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musica

Giuliano Taviani Il talento è di famiglia di Lisa Bernardini

Nasce a Roma nel 1969. Alcune note biografiche: nei primi anni ’90 scrive le musiche per alcune compagnie teatrali romane; negli anni a seguire collaborerà con vari registi firmando fino a oggi più di 60 film usciti al cinema o in tv tra cui: “Boris” la seriet v e “ B o r i s – I l f i l m ” d i G i a c o m o C i a r r a p i c o , M a t t i a To r r e , L u c a Ve n d r u s c o l o , “ C e s a r e d e v e m o r i r e ” d i P a o l o e Vi t t o r i o Ta v i a n i , “ N e s s u n o m i p u ò g i u d i c a r e ” d i M a s s i m i l i a n o B r u n o , l a s e r i e - t v “ L a l i n e a Ve r t i c a l e ” , “ R o s s o I s t a n b u l ” d i F e r z a n Ö z p e t e k . N e l 2 0 1 5 firma le musiche del film “Anime nere” di Francesco Munzi per cui vince: il David di Donatello per il miglior compositore e il David di Donatello per la migliore canzone. Un cognome importante nel cinema e una eredità impegnativa: è figlio del celebre Vittorio Taviani. Incontro Giuliano a Roma, dove vive. Ci diamo appuntamento in un bar del centro, e davanti ad un caffè fumante, in un assolato pomeriggio di metà settembre, iniziamo una chiacchierata amichevole. Sei figlio d’arte; nella tua decisione di essere un compositore di Colonne Sonore da Cinema, quanto ha influito tuo padre, positivamente e meno? Raccontaci di come è nato il tuo amore per questa professione. “In famiglia il Cinema, inteso come la somma di tutte le arti che lo hanno preceduto, era sacro, lo si amava incondizionatamente. A casa si partecipava, si tifava durante le fasi della lavorazione dei film di nostro padre, che puntualmente ci metteva al corrente degli ultimi sviluppi. Dalla lettura del soggetto, poi della sceneggiatura, le riprese, il set, dove noi figli potevamo raramente entrare, e in punta di piedi (guai a fiatare! guai a sedersi sulle poche sedie! guai a disturbare questa macchina da guerra che è il set! ), il montaggio, i temi del film appena composti suonati al pianoforte da mio padre, la registrazione musiche, fino alla visione del film finito. Durante la visione, da bambino, nonostante il

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film lo conoscessi ormai già bene, l’emozione prendeva il sopravvento. Queste scene così forti erano spesso accompagnate dalla musica. Il sapiente utilizzo che i registi ne facevano e la musica in sé, scritta da grandissimi musicisti (Piovani, Morricone, Macchi, Fusco, Gelmetti, Crivelli, Ghiglia), rendevano quelle scene sublimi. C’è una scena in particolare che mi ha segnato e che ritengo responsabile della mia scelta di scrivere musica applicata. È tratta dal film ‘Allonsanfan’, con Marcello Mastroianni. Morricone scrisse una bellissima tarantella (musica che Tarantino ha utilizzato per i titoli di coda di ‘Inglorious Bastards’). L’idea, in sceneggiatura, consisteva nel fatto che durante un primissimo piano, la musica si sostituisse ‘violentemente’ alle parole. In primissimo piano l’attore parla con movimenti labiali evidenti ma non udiamo le sue parole. Sentiamo solo la musica a tutto volume di Morricone che meglio delle parole racconta il sentimento del personaggio!. Cinema e musica in epoca post Covid: come vedi questo settore e cosa ti auguri accada in un prossimo futuro per risollevare questa professione? “Il cinema, come la musica, lo si fa insieme. Come noto, il nostro settore e’ tra i più penalizzati dalla pandemia; confido nello spirito costruttivo di tutti i lavoratori dello spettacolo che sono pronti a ricominciare con forza nel rispetto delle regole”. Fai parte del direttivo dell ‘Associazione Compositori Musica per Film. Di che si tratta e quali sono i principali obiettivi che si propone di raggiungere? “Finalmente da qualche anno esiste un’associazione di compositori per il cinema. L’ACMF tutela la figura del compositore di musica applicata e svolge un lavoro di divulgazione e valorizzazione della sua arte. L’industria legata alle colonne sonore versa in pessime condizioni, a oggi, in attesa della legge, i diritti d’autore arrivano sempre meno, i colossi della rete non versano adeguati diritti bloccando di fatto la catena industriale. E’ fondamentale che ci sia una voce competente come quella dell’ACMF per uscire da questa pericolosa impasse”. Il tuo ricordo professionale finora più bello e ciò che ti auguri per il tuo futuro. “L’entrata nello studio di registrazione Forum per registrare la mia prima colonna sonora: ‘A domani’ di Gianni Zanasi, nel 1998. Lo studio Forum è il tempio della musica, lo studio storico in cui sono state registrate le mi-

gliori colonne sonore del cinema italiano. Ero stato lì a 13 anni a cantare ‘La mamma ‘un vole’ per la colonna di Nicola Piovani de La notte di San Lorenzo, avevo seguito le registrazioni di Morricone, di Crivelli per i film di mio padre e zio ma anche di Evan Lurie per il Piccolo Diavolo di Benigni: mia sorella che suonava il violoncello mi fece intrufolare di nascosto. Insomma, per me entrare alla Forum come Maestro era il sogno che diventava realtà. Per il futuro, auguro a me e a tutto il Cinema italiano di trovare nuove idee, nuove storie e nuovi percorsi”. Ennio Morricone: un tuo ricordo. “Durante la pausa della serata dei David di Donatello 2015 mi dirigo verso il Maestro che era seduto tra sua moglie e Quentin Tarantino. Lo saluto, mi presento come Giuliano Taviani e come candidato di quella edizione dei David e gli dico che se faccio questo mestiere è per colpa sua (la tarantella di Allonsanfan ecc..) Mi guarda negli occhi e mi chiede: ‘Tu hai scritto la musica per “Cesare deve morire” di tuo padre e tuo zio?’. ’Sì’, gli rispondo, ‘insieme a Carmelo Travia’. ‘Quella colonna sonora è eccellente! Forse tra le migliori colonne sonore dei film dei Taviani’. Rimango incredulo e scioccato! Sempre guardandomi fisso negli occhi: ‘Ma lo sai perché?’. ‘No’, dico io. ‘Perché vi hanno dato quella libertà che a me, loro, non hanno mai dato!’”. Prima di salutarci, quali sono i prossimi progetti lavorativi che ti riguardano? “In uscita a ottobre ‘Made in Italy’ per Mediaset, serie tv sulla moda. In lavorazione la seconda stagione di ‘Volevo fare la Rockstar’, serie tv per la Rai. Un buon caffè per incominciare una nuova amicizia professionale, quella con Giuliano; una sincera intervista, seppur breve, da regalare ai nostri lettori”.

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eventi

La model la Frida Aas en . N el la f oto a fianco, Fran ce sco Pan nof in o. In bas so, a de st ra, Tania Cagno tto

Bollicine Protagoniste a Venezia di Roberto Ruggiero

L e B o l l i c i n e d e l G a r d a p r o t a g o n i s t e a Ve n e z i a . C o n u n a s e r i e d i i n c o n t r i , p r e s e n tazioni, dibattiti e premi nei giorni scorsi l'Italian Pavillion dell'esclusivo Hotel Excelsior è diventato tappa obbligata per star italiane ed internazionali di passaggio al 77° Festival del Cinema. E lo spumante Maĩa Garda Doc, offerto anche ai dinner gala del St.Regis Hotel Venice è stato così il più gettonato dai vip per brindare al ritorno della normalità, in uno dei più importanti appuntamenti internazionali post Covid. A festeggiare la settima arte con il calice in mano sono stati, tra gli altri, Tania Cagnotto con suo marito Stefano Parolin, Lele Mora, l'influencer Ludovica Pagani, Francesco Pannofino e Frida Aasen, la supermodella norvegese famosa in tutto il mondo per aver sfilato per Victoria's Secret.

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tempo libero

The Fear Escape Room Un’esperienza da brivido di Mara Fux

Un’idea originale per festeggiare il compleanno? Una serata insolita all’insegna dell’emozione? Come rendere davvero allusivo un addio al celibato? Facile: 351 703 9298 e il vostro ingresso al THE FEAR ESCAPE ROOM di Roma è prenotato! “Quando si parla di “escape room”, spiega Simone Coletta, presidente della Associazione Culturale che in Via L.Mancinelli 35 gestisce ben 300 metri quadri di autentica follia e terrore assieme ai due soci Emanuele Casto e Carlo di Stefano, “si intende in realtà di un format americano ben preciso dove i partecipanti devono risolvere rebus ed enigmi all’interno di uno spazio ristretto dal quale altresì non possono uscire, per l’appunto una stanza; nel nostro caso è più appropriato parlare di “real horror experiences” poiché i partecipanti si muovono all’interno di un intero appartamento al cui interno si sviluppa sia la storia narrata che l’azione recitata, che nel nostro caso è il film Hostel, con tanto di motosega e strumenti di tortura.” Vuoi dire che i partecipanti al gioco vivono sulla propria pelle la vicenda del film HOSTEL? “Assolutamente sì e finché non trovano la soluzione non li facciamo uscire dall’albergo”. In sintesi diventano protagonisti della trama? “Certo, a cominciare dal loro ingresso nell’albergo che siamo stati molto attenti a riprodurre fedelmente, grazie anche alle immagini che ne hanno fatto un autentico cult del suo genere”. E chi non conosce il film? “Chi lo conosce apprezza di più il nostro impegno nel riproporlo. Chi non lo conosce sobbalza dall’inizio alla

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fine”. Immagino non sia stato facile replicare una struttura del genere. “Direi che ci abbiamo messo un po’ tra trovare il locale che si prestasse, far eseguire dei lavori di divisione degli ambienti, curare l’arredo in gran parte reperito nel circuito dei mercatini dell’usato e scegliere attori che collaborassero all’allestimento delle parti recitate. Ma il risultato è davvero soddisfacente”. Come hai deciso di intraprendere un’attività di questo genere? “Mi sono avvicinato a questa tipologia di giochi di ruolo dietro invito di un amico che ne aveva letto su un volantino e incuriosito mi ha chiesto di accompagnarlo. La cosa mi è piaciuta e quindi ho proseguito frequentandone anche altri. Poi lo scorso anno ho conosciuto uno dei miei attuali soci, all’epoca già titolare di un’attività, che accennava all’idea di aprire una seconda location e io gli ho manifestato il mio interesse. Dopo qualche mese mi ha richiamato ed eccoci qua!”. Quale è la fascia d’età dei giocatori? “Il gioco di ruolo inizialmente ha preso piede tra i più giovani ma poi ha diramato in tutte le fasce di età. Da noi vengono gruppi di amici, famiglie con figli in età adolescenziale, colleghi di lavoro. Di base per divertirsi davvero è importante essere in un gruppo, meglio se numeroso perché ci si carica l’un l’altro”. La paura incide sul comportamento dei partecipanti? “Quando sei dentro l’Albergo devi risolvere degli enigmi in un clima di pathos molto forte, che poi è quello che in fondo la gente cerca. In qualche maniera l’adrenalina è liberatoria. Per risolvere gli enigmi devono mantenere lucidità ma lasciarsi trasportare da quello che vedono: c’è chi urla, chi grida; alla fine nel corso del gioco si lasciano andare tutti, anche quelli che all’ingresso erano più scettici o titubanti. E’ un continuo sentir dire 'ma come? già finito?'. Si dispiacciono di dover andar via”. E tornano? “Parecchi sì e portano altri amici ignari di quelli che li aspetta. Si dice che la paura fa novanta: nel nostro caso, per fortuna, fa molto di più!”.

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