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La tv ha trovato lei e lei poi l'ha lasciata per dedicarsi ad altri progetti. A qualcuno potrebbe fare perfino rabbia, ma Mary ha sempre inseguito il sogno di diventare una brava psicoterapeuta e oggi con soddisfazione riceve i pazienti nel suo studio romano. La sua vita è completamente cambiata rispetto a quando aveva vent'anni. In quel periodo casualmente è stata una delle ragazze di “Non è la Rai” e aveva anche uno spazio tutto suo noto come “Indovina il nome di mia nonna”. Il suo fascino non è passato inosservato. Può una professionista svolgere anche un lavoro legato all'arte? La risposta è sì. La competizione tra ragazze è una cosa che non le è mai appartenuta. Che fine ha fatto Mary Patti?
“Ha portato a termine i suoi studi di psicologia e si è specializzata in psicoterapia per l'adolescenza. Dopo la specializzazione ha iniziato il percorso formativo e lavorativo. Dopodiché ha iniziato a lavorare”.
Quando è partita la tua esperienza televisiva?
“La mia prima esperienza è stata 'Domenica In'. Avevo quasi diciotto anni e si è svolto in modo del tutto casuale, in quanto ho fatto senza nessuna aspettativa un provino solo per accompagnare una mia amica. C'era Gianni Boncompagni che rimase colpito dalla mia risata solo dopo poche note di una canzone che avrei dovuto cantare. Il caso ha voluto che mentre ero a 'Domenica In' mi proposero di partecipare al concorso di Miss Italia con le selezioni regionali. All'epoca ero molto timida e tutto questo mi ha permesso di sciogliermi un po'. Ho accettato di partecipare solo perché volevo essere truccata e pettinata da professionisti. Invece ho passato la selezione, prendendo la fascia. Ma non è finita, ho vinto anche la fascia Miss Linea Sprint. Andai a Madonna di Campiglio dove sono passata di nuovo e poi a Salsomaggiore ho vinto la fascia di Miss in Gambissima Italia. All'epoca lo sponsor era Omsa e quindi mi fecero il contratto per un anno come modella. Nel frattempo Gianni Boncompagni era passato a Mediaset, portando con sé alcune ragazze tra cui me”.
Accettasti?
“Non subito, perché mi ero iscritta all'Università. Il secondo anno fui ricontattata per partecipare al programma e partii nella seconda edizione, riuscendo ad organizzarmi con gli studi. Presi parte alla seconda e alla terza, dopodiché ho lasciato per la laurea. Continuai a fare qualcosa in tv in una rubrica del Tg1 che non mi impegnava molto. Ho proseguito a lavorare come modella e a fare altre cose in maniera sporadica. Man mano mi sono buttata definitivamente in quello che svolgo tutt'oggi”.
Perché secondo te all'epoca Gianni Boncompagni ti scelse?
“Lui andava sulla particolarità. Credo che mi scelse per il fatto che scoppiai a ridere coprendomi il volto, come detto prima. Gli piaceva il mio leggero strabismo di Venere. Apprezzava il fatto che volevo proseguire con gli studi. Mi affidò il famoso gioco della nonna in cui si doveva indovinare il nome”.
Tua nonna portava davvero quel nome strano Mosqu?
“No, scelte d'autore. Così il gioco è andato avanti per un anno”.
Sei una nostalgica?
“Assolutamente sì con vena malinconica. Ripenso spesso con nostalgia e con malinconia a tutto quel periodo, quello dei vent'anni spensierati. Avere tanto tempo davanti, fare progetti è una cosa magnifica”.
Il pubblico ti ha dimenticata?
“Per tanti anni non ho pensato più all'esperienza in tv, visto che mi sono letteralmente catapultata sul lavoro e sulla
scenti lo smartphone è ormai un oggetto transizionale, la famosa “coperta di Linus”, un modo per sentire vicini i genitori, coltivare le amicizie, sentirsi affettivamente vicini quando sono fisicamente lontani, allora può essere utilmente proposto come strumento didattico. Anziché veicolare contenuti discutibili e trash che circolano sul web, gli smartphone possono essere uno strumento da cui attingere informazioni e veicolo di cultura, su argomenti indicati e scelti dagli insegnanti. In questo caso, i docenti hanno necessità di apprendere l’utilizzo efficace degli smartphone e della tecnologia a fini didattici e educativi. Poiché gli studenti sono altamente tecnologici, chiedere la loro collaborazione e partecipazione, valorizza competenze e qualità”.
Perché crede che lo Studio e la Formazione possano davvero aprire la mente ed essere una leva importante nella vita dei ragazzi per il loro futuro anche lavorativo?
“La scuola per i ragazzi è un’opportunità indispensabile di apprendimento, formazione e maturazione. Lo studio, la professionalizzazione e l’essere molto specializzati sono indispensabili per avere una buona collocazione lavorativa, durevole nel tempo. È inoltre indispensabile per ritagliarsi un proprio posto nel mondo, affermando se stessi, con le proprie specificità e la propria personalità. Lo studio è lo strumento più efficace per migliorare e consolidare la propria condizione sociale e personale ed è il migliore “ascensore sociale”, quello che dà più garanzie per il futuro dei giovani. È importante infondere fiducia nelle loro capacità, per recuperare il ritardo accumulato negli apprendimenti, stimolarli a riconoscere le proprie qualità e caratteristiche in modo da orientarsi negli studi superiori e soprattutto universitari che aprono al lavoro. La formula vincente è avere una buona istruzione e cultura personale, sostenuta dai propri desideri e orientata secondo le proprie inclinazioni. È dimostrato che la motivazione e la passione hanno la stessa rilevanza dell’applicazione nel portare al termine gli studi e farsi una solida formazione”.
La scuola può mettere in atto azioni per aiutare i ragazzi?
“I ragazzi hanno bisogno di vedere lo studio in un’ottica diversa, per vincere la noia e l’apatia. Bisogna incoraggiare gli studenti ad appassionarsi allo studio anche attraverso nuove modalità didattiche, puntando sui contenuti e significati, stimolando il confronto, il dialogo e il dibattito in classe, più che sulla memorizzazione arida di nozioni decontestualizzate. È indispensabile tenere presente il ritardo accumulato durante la pandemia e dare il tempo di recuperarlo. Inoltre, è necessario un intervento specialistico per
l’aumento dei disturbi emotivi e del disagio psicologico. Gli insegnanti, in questo, hanno un grande compito e allo stesso tempo una responsabilità. Sono preparati e formati, possono affrontare e vincere anche questa battaglia vitale per il futuro dei giovani, nonostante le difficoltà che, purtroppo, il sistema scuola vive ogni giorno. È senz’altro richiesto un grande esercizio di pazienza e ricettività attiva, associate ad autorevolezza e tenacia”.
Quanto conta a suo avviso, il riuscire ad acquisire un buon metodo di studio?
“È indispensabile. Il metodo di studio non è né intuitivo, né spontaneo e tantomeno naturale. È uno degli apprendimenti fondamentali che i docenti dovrebbero insegnare agli studenti e tramettere ai genitori, in modo che possano aiutare i figli a casa. Quando a scuola non viene fatto, le famiglie si trovano nella situazione di dover ricorrere a insegnanti privati che insegnino ai figli, anche in poche lezioni, il metodo di studio”.
Quali consigli si sente di dare ai genitori che hanno la responsabilità di guidare i propri figli nel loro “excursus vitae et studiorum”?
“Sostenere con pazienza i propri figli quando hanno necessità di prenderei un po’ tempo per scegliere, dando però loro “un tempo massimo” entro cui decidere; Far sentire i figli protagonisti delle proprie scelte, sapendo che lasciarli liberi di scegliere non significa lasciarli liberi affidarsi a mode, influencer e coetanei ma aiutarli a scoprire le proprie inclinazioni; Tenere presente che i figli non sono tutti uguali, stimolare ogni figlio a valutare a scoprire le proprie qualità, gli interessi, le capacità e limiti; Aiutare i figli a osservare il mondo intorno a sé e scegliere tra le opportunità che esistono nella realtà. L’esame di realtà aiuta a non abbandonare i progetti e gli studi perché non corrispondono alle proprie fantasie interne o aspettative idealizzate; Informarsi sulle scuole e non avere paura del nuovo, sapendo che esiste inconsciamente una resistenza al cambiamento e alcune preoccupazioni legate agli aspetti traumatici di tre anni di pandemia; Prestare attenzione a non proiettare nei figli le proprie delusioni scolastiche o aspirazioni non realizzate, i figli non possono risarcire i genitori delle delusioni, ognuno può riparare le proprie ferite interiori soltanto lavorando su se stessi con il proprio psicoanalista; Incentivare e organizzare le attività extrascolastiche e praticate nel tempo libero, poiché permettono a genitori e figli di scoprire e coltivare interessi, e individuare attitudini e capacità; Considerare per i figli test diagnostici di orientamento e una consulenza con uno psicoanalista, per aiutare e sostenere nella scelta degli studi”.
Era il suo sogno, quello attorno al quale per mesi ha concentrato energie, tempo, attenzioni. Se la fotografia è da sempre la sua passione, aprire un’attività tutta sua legata alla ristorazione locale era l’obiettivo che si era prefissata. Con lavoro e sacrificio – “queste sono le parole chiavi” racconta con un pizzico di orgoglio – ecco che si sono per davvero spalancate le porte. L’estate ha regalato una sorpresa graditissima a Martina Faravelli che dopo aver curato ogni dettaglio ha potuto aprire al pubblico il suo agriturismo a Montecalvo Versiggia, nell’Oltrepò Pavese, un luogo in cui le eccellenze enogastronomiche del luogo soddisfano anche i palati più raffinati. Tra sfilate e scatti da modella, Martina Faravelli è oggi a capo di un agriturismo a soli 25 anni, con mille sogni per la testa e altri traguardi da conquistare. “Non ho mai avuto paura a rimboccarmi le maniche, a faticare per ottenere quello che volevo – racconta - Ho sempre lavorato con tanta dedizione facendo moltissimi sacrifici, sacrifici che mi hanno portato ad ottenere ciò che sto realizzando ora”. La sua è la miglior risposta a chi non crede nelle capacità imprenditoriali dei giovani. Martina si è messa presto di buona lena, ha imparato il mestiere e si è messa in testa di aprire un agriturismo dove saranno serviti i prodotti dell’azienda agricola di famiglia. Una cucina artigianale e raffinata, arricchita dal sorriso di una ragazza che viaggia sempre umile, con i piedi ben piantati per terra, rispettosa degli altri e delle tradizioni: “So bene che di strada da fare ce n’è ancora molta, non mi sento assolutamente arrivata, anche se riconosco che questo primo traguardo mi riempie di felicità –racconta – Ma, soprattutto nel campo della ristorazione, non si smette mai di imparare”.
Così, fra sala, fornelli, fornitori e progetti, c’è ancora un pizzico di spazio per la fotografia, una passione che la accompagna da anni e che le ha permesso di farsi conoscere agli occhi di chi cerca fascino, eleganza, un tocco di sensualità mai banale e mai volgare. Anche in questo campo, Martina di strada ne ha fatta. Eccome. “Ho partecipato a numerosi shooting fotografici, ho sfilato per brand di abbigliamento e accessori, tutt’ora sponsorizzo un negozio di Piacenza – aggiunge – E a breve pubblicherò altri scatti di nuovi shooting fotografici realizzati col mio fotografo di fiducia, Giorgio Ricotti. La sua attenzione ad ogni minimo dettaglio me permette di far emergere lati di me che tendo spesso a nascondere. Sicuramente la fotografia mi ha dato visibilità, sia sui social sia nella vita reale. La ritengo una forma d’arte e di espressione”
Inutile dire che all’orizzonte ci sono tante altre novità: “Voglio concentrarmi sulla mia nuova attività, farla crescere e innovarla sempre più, ma voglio anche
proseguire nei miei progetti fotografici. Umiltà e determinazione restano sempre le mie parole salde, ma al tempo stesso non ho intenzione di fermarmi”.
CONTATTI SOCIAL
https://www.instagram.com/faravellina
CREDITS FOTOGRAFICI - Ph. Giorgio Ricotti
di dare e ritieni finora non sia stato divulgato?
“Quello che in tanti, forse troppi, fanno fatica a comprendere è che gli animali provano le nostre stesse emozioni e sensazioni, gioie e dolori, per questo la loro esistenza merita il medesimo rispetto e valore che viene dato alla nostra. In fondo, sono ospiti di questo pianeta tanto quanto noi. Noi uomini crediamo di poter disporre del pianeta nella maniera che riteniamo più opportuna, in virtù del nostro egoismo e a discapito della pelle di chi, al pari nostro, lo abita. Dovremmo imparare ad avere più rispetto per la vita, qualunque forma essa assuma. Solo così potremo prenderci cura di un mondo che, altrimenti, è destinato a scomparire”.
Qual è il tuo rapporto con gli animali?
“Sin da bambino ho vissuto con gli animali e questo mi ha insegnato non solo ad avere rispetto di loro, ma anche e soprattutto ad amarli. Oggi vivo con i miei sei gatti e due topolini, non potrei mai fare a meno di loro. Sono parte di me e non riuscirei a far loro del male neanche se lo volessi. Non sopporto chi preferisce scaricare le proprie frustrazioni su degli esseri indifesi il cui unico scopo è quello di dare amore. E credetemi, spesso e volentieri ci riescono molto meglio degli uomini. I miei animali sono la mia famiglia, credo che lo siano persino quelli che non vivono con me. Insomma, siamo tutti una grande famiglia che vive sotto lo stesso cielo e questo faremmo bene a ricordarcelo”.
Un paio di mesi fa è esplosa la questione dell’abbattimento dell’orsa JJ4 ha diviso l’opinione pubblica. Cosa ne pensi?
“Ritengo che la logica dello sterminio, specialmente se questo viene utilizzato come strumento di ritorsione, non abbia mai portato a niente di buono e lasciarsi sopraffare da essa può risultare estremamente pericoloso. Quello che ha malauguratamente visto protagonista Andrea Papi, il giovane runner che ha fatalmente incontrato l’Orsa JJ4 resta sicuramente un drammatico evento, ma prendersela con l’animale non lo riporterà di certo indietro. E poi, è giusto sacrificare la vita dell’esemplare, madre tra l’altro di tre cuccioli, in nome di quella dell’uomo? Se dovessimo ragionare in questi termini, visto che nel corso dei secoli l’uomo ha eliminato quasi completamente l’intera specie degli orsi, quest’ultimi avrebbero il diritto di ripagarci con la nostra stessa moneta!?! Dovremmo imparare a dar peso a ciò che conta realmente e a comprendere che se non ci adoperiamo per salvaguardare il Pianeta e chi lo abita, torno a ribadirlo, nessuno potrà più farlo”.
zando più di 200 abiti, cosa che avevo sempre desiderato ma che a causa della vita frenetica non ero mai riuscita a fare. Ho conosciuto tante belle persone attraverso i social, riuscendo così a trarre da un brutto periodo come la quarantena anche del buono”.
La passione di Letizia è stata fortunatamente recepita subito in modo molto positivo anche da tutta la sua famiglia, che è stata coinvolta al cento per cento in questa sua nuova avventura. Ma non solo: il mondo del Cosplay ha catapultato la nostra eroina sotto i riflettori di molti fotografi che l’hanno scelta come modella per i loro scatti, aumentando rapidamente la sua popolarità in rete.
“Nella mia vita ho avuto la fortuna di poter trasformare la mia passione in un lavoro: ho cominciato a fare l’animatrice contemporaneamente al cosplay, unendo le due cose, e ho coinvolto la mia famiglia creando musical insieme a mio marito, le mie due figlie, mio padre e mia madre, anche loro super appassionati di questo mondo. In questi anni da cosplayer tanti mi hanno chiesto di posare per loro e, dopo vari shooting, ho lavorato anche per numerosi studi e fotografi internazionali, realizzando foto veramente da sogno!”.
E dopo la carriera come modella e cosplayer, arriva anche il momento di “tirare fuori la voce”, grazie a un progetto che la catapulta in tv con il primo programma in assoluto interamente dedicato al Cosplay: “I Bon Bon di Lety”.
“Un giorno ricevo una chiamata da Dayana Rusciano, manager di tanti personaggi noti della tv e non solo, che mi domanda se volevo presentare il primo programma cosplay dedicato agli anni ’80-’90, sulle emittenti Supersix e Iunior Tv. Io rimango esterrefatta e accetto all’istante! Da lì la realizzazione della sigla per il programma “I Bon Bon di Lety”, pubblicata e promossa dall’etichetta discografica Latlantide. Leggendo il testo della canzone ho avuto l’ispirazione per il video, della durata di 3 minuti con ben 53 cambi d’abito! Nel mese di maggio 2023 la sigla è volata prima in classifica tra gli inediti indipendenti italiani, portandomi tanta fortuna e diventando un vero e proprio tormentone, soprattutto tra i bambini”.
In questo momento particolarmente felice, cosa desidera ancora Letizia per il suo futuro?
“Nella mia vita sono stata molta fortunata, ho già realizzato moltissimi desideri: il primo è sicuramente quello di avere sempre con me una bellissima famiglia unita, cosa per me fondamentale. Sicuramente vorrei realizzare un cd, perché una delle mie più grandi passioni è cantare. Un altro sogno nel cassetto è quello di poter presentare in tv un programma per bambini, perché ogni volta sono loro a ispirarmi e restituirmi la stessa gioia che cerco di donare a tutti”.
E allora alziamo le mani e balliamo sulle note della sigla di Lety, concedendoci per un attimo di tornare alla spensieratezza dell’infanzia… grazie al magico mondo del Cosplay!
L’urgenza di comporre e scomporre forme e figure, di riversare sulla tela la propria creatività per intessere la trama di un mondo che si appalesa attraverso la multiforme scomposizione dei soggetti. Così anche l’umano, disgiunto dalla concretezza, si sfaccetta in una pluralità di immagini che modellano la sua autenticità interiore.
Lei è Nazlı Arman Tatarer, artista turca di fama internazionale.
“Sono nata a Istanbul nel 1980.
Mi sono laureata alla Mimar Sinan University, facoltà di belle arti, Dipartimento di Graphic Design. Dopo la laurea, ho seguito graphic design per un po’. Più tardi, ho capito che quello che volevo era soprattutto dipingere”.
Come s’è generata in te la passione per l’arte?
“Sono stata incuriosita dall'arte fin dalla giovane età. Disegnavo a modo mio, osservando le cose che mi gravitavano attorno. Mi piaceva analizzare, dalla storia dell’arte, i libri degli artisti che più mi interessavano”.
Istanbul, la tua città di nascita, unica metropoli al mondo a estendersi su due continenti, ha ispirato le tue opere?
“Istanbul è una città magica che ti permette di fare un viaggio nel tempo. Ha una storia profonda e senti tutte le culture che qui sono esistite. La città è affollata e complicata, eppure questa complessità modella il mondo interiore delle persone in cui trovo molta ispirazione per la mia arte”. In un’epoca come la nostra, caratterizzata da una profonda crisi delle ideologie, dall’affermarsi di tante fragili democrazie, che ruolo gioca l’artista?
“L'artista è colui che osa dire ciò che la maggioranza a volte non può dire, e fa questo con diversi strumenti creativi e
umani. Certo, non è sempre facile nelle società in cui la democrazia non è pienamente stabilita. Ma questo è un processo. Credo che se l’arte si sviluppa, anche la condivisione aumenterà, e sicuramente emergeranno risultati positivi. Non solo gli artisti sono indispensabili alle democrazie odierne, ma è anche una necessità per l'umanità, per guarire le sue ferie attraverso l'arte”.
La scomposizione della figura umana, nelle tue opere, vuole mostrarci il passaggio dall’unità alla frammentazione, per permetterci di testare emotivamente tutte le facce della sua composizione?
“Uso soprattutto figure divise in forma fisica in modo da dare la percezione di quello che voglio creare. È insito nel cuore dello spettatore cercare l'anima umana, trovare i suoi guai, le emozioni, la disperazione e, nonostante tutto, continuare a vivere la propria vita”.
Tecnicamente, quali sono i tuoi attrezzi del mestiere?
“I materiali che utilizzo sono dipinti a olio su tela”.
Ci sono artisti del passato o dei nostri giorni che rappresentano per te delle stelle polari?
“Ce ne sono tanti, troppi. Gli artisti che mi vengono in mente e anche quelli che trovo più vicini a me sono Ferdinand Hodler, Klimt, Egon Schiele, Alphonse Mucha. Ci sono poi molti artisti dell'arte contemporanea che seguo e ammiro. Trovo anche abbastanza eccitante scoprire giovani talenti”.
Sei mai venuta a contatto con artisti italiani?
“Ricordo che quando ero piccola, un’artista italiano amica di mio padre era una musa ispiratrice per me. È stata la prima artista italiana che ho conosciuto da
l’artiStatUrcaDiFamainternaZionale cHemoDellal’eSSenZa
vicino. Seguo gli artisti italiani, ma non li conosco direttamente”.
Cosa diresti a un giovane che volesse intraprendere la tua stessa carriera artistica?
“Consiglierei loro di non perdere mai interesse, curiosità ed eccitazione, e che il duro lavoro è cruciale. Inoltre, lasciandosi ispirare dall'ambiente circostante, e visitando altrettante mostre, è possibile che qualcosa risvegli la creatività e migliori la visione di un artista”.
Vuoi parlarci dei tuoi progetti per il futuro?
“Nel futuro, mi vedo ancora creare, non arrendermi mai e aggiornarmi. Devo continuare ad alzare in me l’asticella dell’arte. Inoltre, il viaggiare è qualcosa che mi nutre molto. E poi mi piacerebbe partecipare a quante più mostre possibili in vari paesi”.
Ci congediamo dalla grazia di Nazlı Arman Tatarer, dalla sua creatività caratterizzata da un’incessante tensione artistica tra apparenza e sostanza. In questo processo di costruzione e decostruzione, è impossibile non vedere rappresentato l’essere umano, il suo viaggio interiore e l’esplorazione oltre i confini del proprio sé, alla ricerca costante d’un baricentro emotivo che lo connetti alla propria all’essenza.
“Nella mia vita, anche fino ad oggi, ho scritto più poesia che prosa, questo è certo. Nonostante ciò, non saprei dire quale delle due mi venga più naturale: non sono un processo istintivo, se non nel primo intento, nella sua forma più grezza. Dopo questo, sono lavoro e studio, architettura, struttura, artigianato, cesello, creazione. E io lavoro su entrambe con lo stesso metodo – quello descritto – dunque non credo di poter rispondere appieno alla domanda. Lascio la parola a chi vorrà leggermi”.
E, come lettore, prediligi un genere?
“Per molti anni ho fatto incetta di realismo e neo-realismo americano, Caldwell, Steinbeck, Faulkner per citarne alcuni. Non ho poi mai abbandonato il Novecento italiano, fonte di grande ispirazione, peraltro: lo sperimentalismo e l’elemento fantastico di Calvino, la narrativa surreale e tragica di Buzzati (ammetto che avrei voluto scrivere io Il Deserto dei Tartari), la neoavanguardia di Manganelli, il perturbante e il realismo magico di Ortese e Bontempelli. In breve: amo leggere dell’intensa battaglia dell’uomo contro sé stesso, il suo anelare una collocazione nel mondo e del tentativo di “ritrovarsi”, attraversando struggimenti, dilemmi e fantasmi – veri o presunti che siano”. Dal 2000 al 2002 sei stato caporedattore di un giornale indipendente romano sul quale scrivevi articoli di attualità, cultura e disegnavi vignette. Oggi, avresti fatto il giornalista?
“Ricordo che da giovanissimo – età delle scuole medie –immaginavo di fare lo scrittore o il giornalista. Poi scoprii che si potevano fare entrambe le cose. Infine mi resi conto che l’occhio esaminatore e puntuale del giornalista poteva
essere tradotto, in modo diverso e più libero, nella letteratura. Scandagliare, scrutare, osservare, esplorare, tutto con un registro e uno stile non irretito dai canoni giornalistici. Lo trovai irresistibile e virai completamente sulla scrittura letteraria. L’esperienza come caporedattore e come “aspirante giornalista” è stata breve ma intensa. Curare una redazione è estremamente difficile, tante anime da gestire, soddisfare, bistrattare a volte; l’aspetto giornalistico è qualcosa che avevo – ancora – nelle corde, ma è rimasta una parentesi del passato. La questione vignette è assai più semplice: ho sempre amato il fumetto e l’illustrazione, invidiando tutti i bravi disegnatori e guardando con profondo sdegno le loro fantastiche mani, il loro dono. Ho quindi sempre provato ad abbozzare ma, devo dirlo apertamente, disegno da cani”.
In chiusura, qual è la domanda che proprio un giornalista avresti voluto ti facesse e che, invece, non ti ha mai fatto finora?
“Forse non mi è stato mai espressamente chiesto come mai, in ogni racconto, ci sia sempre un elemento straniante, disturbante o irreale, quasi fantastico (anche se preferisco sempre “fantasioso”). Credo che intorno a noi ci siano sempre occasioni di catturare l’elemento anormale, atipico, quel qualcosa che “non torna”; fa parte del mondo delle percezioni, anche se ormai siamo abituati alla concretezza, alla noncuranza, ad uno stolido pragmatismo. Tutto ciò che non è “certo” o sia fuori fuoco, viene presto relegato alla fantasia, al déjà-vu, al “me lo sarò immaginato”. La letteratura asiatica, in particolare quella giapponese, è densa di esempi di questo tipo; l’intuizione e il sentore di vivere costantemente a cavallo tra due mondi, quello reale e quello degli spiriti - degli yokai1 e degli yurei2 - o delle creature misteriose e mitologiche della tradizione. Io ho chiaramente un approccio più occidentale e dunque mi diverto a rendere materiali tutte quelle entità che, in un mondo puramente onirico o immaginifico, resterebbero impalpabili, non percettibili, costrette in un limbo impenetrabile. Mi piace vedere cosa succede quando questi due dimensioni si accavallano, osservare l’ingrediente estraneo incontrare la vita di tutti i giorni, assaporarne poi gli effetti, generare scompiglio, confusione, inquietudine. Non me ne vorranno i lettori, ma anche questa è letteratura!”.
È uscito in tutte le librerie e negli store digitali “Ghiaccio Caldo” dell’imprenditrice di Bassano del Grappa
Margherita Iossa (Edizioni Tabula fati). Un romanzo di formazione, la storia di una donna e del suo mondo affettivo e sentimentale, i sapori e i profumi di una pasticceria, che non è soltanto luogo fisico, ma anche emozionale.
In ogni donna vivono forze potenti, un crogiolo di istinti e creatività. Capirlo e accettarlo consente di liberarle, manifestando l’identità e l’essenza di ciascuna. Una forza potente è quella che si occupa di provvedere e soddisfare un bisogno primario delle persone più care: nutrirsi. È quello che succede a Daisy, la protagonista di questo libro, che attraverso un percorso di crescita personale e di recupero delle proprie radici familiari e affettive, riuscirà a realizzare una vera “rivoluzione” intorno a sé stessa.
La cucina e, in maniera particolare, la pasticceria, sarà lo strumento - non solo gustoso ma soprattutto
Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte nei pazienti con diabete e un paziente con diabete ha un rischio doppio di incorrere in patologia coronarica, ictus e infarto. E’ questo un temi al centro di “Diabesità - Come prevenire e curare la malattia del terzo millennio” (Franco Angeli, collana Self-Help) è il nuovo libro di Francesco Morelli, Specialista in Scienza dell’Alimentazione, Cardiologia ed Endocrinologia, Morelli concentra la sua esperienza sul rapporto fra obesità e diabete, diventato “sempre più stretto e complesso, in parallelo a consumismo e sedentarietà" . Un circolo vizioso, per lo specialista, in cui "una malattia alimenta un’altra".
A spiegare il titolo è lo stesso autore che, nell’introduzione, spiega che “Obesità e diabete, sono entrambe malattie croniche e che, quasi sempre, vanno a “braccetto”, innescando un circolo vizioso, in cui l’insulino-resistenza fa aumentare l’obesità e, quest’ultima, l’insulino-resistenza, con un intreccio di quadri clinici, non facilmente districabili fra di loro”. L’eccessivo consumismo è alla base della diabesità.
La prefazione è firmata da Paolo Brunetti, Professore ordinario di Medicina interna all’Università di Perugia. Il libro è utile al lettore perché lo guida passo passo nella conoscenza delle problematiche relative a diabete e obesità, e nel contempo, fornisce tutte le indicazioni utili per tenere sotto controllo la propria “posizione” personale, come il peso e la composizione corporea, fornendo utili consigli sull’alimentazione da seguire. Inoltre, ogni capitolo, scritto con linguaggio semplice e chiaro, è corredato da vignette, schemi e quadricromia,
rendendolo così scorrevole anche per lettori non avvezzi a testi di medicina.
Del resto, il rischio di eventi cardiovascolari è maggiore nelle donne con diabete e nei pazienti di lunga durata e che presentano complicanze microvascolari, tra cui la malattia renale. Valori elevati di zuccheri e di insulina nel sangue, insieme alla presenza molto frequente di altri fattori di rischio, quali l'ipertensione e l’obesità, che a loro volta, sono responsabili dello sviluppo di alterazioni dell'endotelio, la superficie interna dei vasi sanguigni, e di aterosclerosi precoce a rapida evoluzione. Inoltre, si stima che tra il 15 e il 25% dei pazienti con scompenso cardiaco siano persone con diabete. Un'altra complicanza vascolare è l'arteriopatia agli arti inferiori, che può condurre ad ischemia, responsabile del cosiddetto piede diabetico, che può portare fino all'amputazione. Sul versante cerebrovascolare, invece, il diabete si associa ad un aumento rilevante del rischio di ictus ischemico e decadimento cognitivo.
Le complicanze cardiovascolari sono le più frequenti nel paziente affetto da diabete, sia di tipo 1, sia di tipo 2. L’autore spiega, come nonostante l'arrivo di farmaci sempre più efficaci e sicuri, l'incidenza di queste complicanze rimane superiore nei pazienti diabetici rispetto ai non diabetici.
“Una volta diagnosticato il diabete - sottolinea il dottor Francesco Morelli - un controllo adeguato dei valori glicemici, del colesterolo, della pressione arteriosa e, qualora si parta da situazioni di obesità o sovrappeso, una riduzione del peso, rappresentano gli obiettivi fondamentali per la prevenzione delle complicanze”.
cervello'. Grazie anche al sostegno di altri imprenditori, su tutti quello di Stefano Bacchiocchi, il progetto è decollato sin da subito in maniera crossmediale e ha registrato grandi successi sia sul web che sui media classici”. 100 milioni di visualizzazioni sul web, ottenute grazie ai divertenti e pungenti video di satira. Quando vi siete avvicinati al mondo del web?
“Come detto, Bera già 'bazzicava' il mondo del web da qualche anno, ma il nostro collettivo artistico ha avuto il suo battesimo di fuoco nell’aprile 2017 quando, nel il nostro video di esordio, abbiamo trasformato il tormentone estivo 'Descpacito' in 'Sei Sparito', una divertente parodia musicale dedicata a tutti quegli amici che dopo essersi fidanzati, spariscono dalla circolazione. La parodia, nel solo mese di aprile del 2017, realizzò più di 4 milioni di visualizzazioni, ma il record di visualizzazioni è stato raggiunto nel 2018 quando con il video 'Kiki challenge in Italy' abbiamo totalizzato ben 13,3 milioni di visualizzazioni con un solo video. Nel 2020 siamo arrivati al grande pubblico e ai media nazionali con la saga 'CovMorra', una parodia, in quattro episodi, della famosa serie tv 'Gomorra'. Nella nostra parodia Genny Savastano e Ciro di Marzio, non spacciano cocaina bensì Amuchina, che nei periodi di pandemia sembrava essere un bene introvabile, tanto da essere soprannominata l’oro trasparente. Il video è risultato essere uno dei più condivisi di sempre su WhatsApp e successivamente ripreso dalla stampa cartacea, web, nonché dai più noti programmi televisivi come: Propaganda Live, Striscia La Notizia, Studio Aperto, Tg1 e Tg3. Sempre nel 2020, abbiamo lanciato, quella che si può definire una vera e propria hit estiva, il 'Covid Jouer' una parodia della celebre canzone di Claudio Cecchetto 'Gioca
Jouer' ma con le istruzioni per ricordarsi le buone pratiche per evitare il contagio”.
Siete conduttori di un programma su Cusano Italia tv… preferite il mondo del web o della tv?
“Queste sono domande da non fare, è come chiedere ad un bambino se vuole più bene a mamma o papà. Noi comunque per non dover scegliere portiamo avanti entrambe le cose con il massimo entusiasmo, sul web realizziamo video comici ed i nostri fan possono seguirci su i canali 'The Cerebros', mentre su Cusano Italia Tv abbiamo condotto per le due passate stagioni il format 'Fattacci', un programma settimanale in cui affrontavamo, con ospiti e colleghi, le notizie ed i trend più discussi della settimana, mentre da settembre 2023, sempre su Cusano Italia TV, abbiamo lanciato un nuovo format, non più settimanale ma quotidiano che si chiama 'TG Hashtag' ed è un TG satirico leggero e divertente. Il programma è impreziosito dalla presenza della conduttrice radiotelevisiva Elena Tubertini e dell’opinionista e conduttore televisivo Moreno Amantini. Il programma è trasmesso, dal lunedì al venerdì dalle 21.00 alle 21.30 sul canale 264 del digitale terrestre”.
Secondo voi l'utilizzo eccessivo dei social può essere dannoso per la società?
“Ovviamente non possiamo parlare male dei social, ma ne promuoviamo sempre un utilizzo coscienzioso e consapevole, condannando chi invece incentiva modelli negativi o pericolosi, come coloro che partecipano a challenge estreme o utilizzano i social per fare body shaming, adescamento in rete, cyberbullism, sexting, revenge porn, phishing, fake news, ecc. Infatti, a settembre siamo stati testimonial di una campagna del Corecom Lazio per la sensibilizzazione al corretto utilizzo dei social e del web in generale”.
Quali saranno i vostri progetti futuri?
“Il nostro obiettivo è sempre quello di far divertire il pubblico, e speriamo di continuare a farlo con nuovi video virali sui social, con nuovi programmi radio-televisivi e perché no, magari anche con serate live e progetti cinematografici come le tanto amate serie tv. Come dicono quelli bravi, ma anche quelli scaramantici: 'finger crossed and stay tuned'”.
Conosciamo da vicino Natalia Simonova, attrice, cantante e regista teatrale e protagonista del progetto “Emanuela di Kaira” di Emanuela Del Zompo. Parlaci del tuo personaggio interpretato nello shooting fotografico previo calendario 2024 della “Leggenda di Kaira”.
“Faccio parte di questo progetto e ne sono orgogliosa. Il mio personaggio è molto affascinante e molto misterioso. Interpreto una guerriera banshee, fata della morte, una sacerdotessa che sente le voci dei defunti, il canto e l’urlo non udibile ad orecchio umano che porta i messaggi dall'aldilà. Io rendo questo personaggio ancora più magico e più misterioso avvolta nel mantello bianco, quasi sospesa tra il cielo e la terra e con lo sguardo proiettato oltre i tempi. Ringrazio Emanuela, regista e attrice, per questa opportunità di realizzare un personaggio nelle sue sfumature”.
Come e stato lavorare con una regista donna?
“Mi piace lavorare con Emanuela Del Zompo perché lei è una persona diretta e nello stesso tempo ha l'intuizione di capire le qualità dell'attore che ha davanti e lascia la libertà all'attore di esprimere le sfumature del personaggio. Sono riuscita ad entrare nel ruolo quasi sempre dal primo ciak, perché Emanuela sa predisporre il set in modo tale che tu entri nell'atmosfera con naturalezza”.
Con la stessa regista hai recitato nel cortometraggio
“The women's Angels”, parlaci di questa esperienza.
“Un altro progetto per me importante è stato 'The Woman’s Angels' con la bravissima e speciale Rosanna Gambone, la protagonista con l’anima luminosa. Ho in-
terpretato l’Angelo-Parrucchiera che appare alla protagonista per prepararla all’altare. Ho cercato di dare attraverso il mio personaggio una sensazione della protezione, dell’umanità e di cercare di accompagnare la protagonista verso la felicità nonostante il tema della violenza che affronta la nostra regista”.
Progetti futuri?
“Lo spettacolo inedito scritto diretto ed interpretato da me, 'Anna German. Eco d’amore', a Pesaro al Festival della cultura Uzbeka. E poi fare le foto per il calendario 'Leggenda di Kaira'. Poi c'è 'Le Donne di Don Giovanni', spettacolo musicale ideato da me. Un altro impegno sarà l’opera teatrale inedita 'Mata Hari' rappresentata nella scorsa stagione con grande successo sul palco del OFF/OFF Theatre di Roma. Infine, vorrei scrivere un nuovo progetto dedicato alle grandi donne”.
Obiettivi?
“Diversi, li riassumo: girare un film da protagonista, andare in tournée, proseguire con il progetto 'Leggenda di Kaira', recitare in inglese, fare un mini Musical, scrivere un libro”
© Foto di Claudio Martone
chiesto se necessitassi di aiuto per avviarmi all’uscita dopo colazione”, ricorda con certa soddisfazione l’attrice “Per prepararmi al ruolo ho lavorato molto sulla sottrazione che poi è l’esatto contrario di quello che solitamente fa un attore quando lavora su un personaggio che nasce dalla penna dell’autore con talune caratteristiche di base, sottolineate dalle direttive del regista ma viene poi elaborato dalla sensibilità dell’interprete. Nel caso di Anna ho reso più piatta la sua voce, l’ho resa pulita, priva di alcun accento, di colore e allo stesso modo ho lavorato sulla sua fisicità: ho deciso che avesse una gamba più sofferente portandola nei suoi movimenti a caricare maggiormente sull’altra anca e similarmente ho fatto con il braccio. A questo poi si è aggiunto il gran lavoro della truccatrice che ha deciso di non accentuare il fattore età attraverso la rugosità del volto ma mediante le macchie della pelle, palese caratteristica del tempo che passa. La cosa curiosa è che essendo fatte con tinture particolari, ovviamente nei momenti di pausa non te le vai a togliere per poi sottoporti nuovamente a ore di trucco, per cui passati i primi momenti mi sono abituata a vedermi invecchiata e senza badarci andavo in giro approfittando del tempo libero senza difficoltà ma scatenando anche una certa curiosità per via del contrasto tra l’agilità della mia età effettiva e la vecchiezza mostrata dalla pelle. Sono certa che più di qualcuno abbia mormorato tra sé 'speriamo che anche io ci arrivo così!'”.
Prodotto dalla FiFilm, la casa di produzione cinematografica nata nel 2017 dall’incontro di Caterina Francavilla e Stefano Usardi, e distribuito dalla Draka Distribution diretta da Corrado Azzolini “Senza Età” si qualifica senz’altro tra i film indipendenti meritori di certa attenzione.
Tra ricordi, aneddoti e presente, andiamo alla scoperta di un grande nome della radio e della tv
Affabile, ironico e naturalmente loquace, Mauro Micheloni ci ha riportato indietro nel tempo con i suoi aneddoti e racconti vari. La sua è stata una carriera brillante e lo è tutt'ora, visto che lo troviamo ben collocato nel palinsesto di RTL Best. In determinate situazioni, come ha affermato lui stesso, avrebbe potuto fare di più, ma sappiamo che il talento di un conduttore è nelle mani altrui.
A volte il successo è determinato da una serie di meccanismi che si mettono in moto. Mauro però ha lasciato il segno e continua a farlo nel migliore dei modi.
Chi era Mauro Micheloni prima di divenire noto al grande pubblico?
“Ho sempre avuto un'indole artistica perché all'età di cinque anni, mentre ascoltavo i dischi, prendevo la scopa in mano e simulavo la chitarra. Poi l'ho suonata davvero, stimolato dalla musica dei Deep Purple e di tanti altri gruppi rock dell'epoca. Ho imparato a suonare anche altri strumenti. Mi ricordo le balere con i complessi che si esibivano e la nascita delle prime radio libere. Così sono stato spinto ad iniziare a Verona, nella mia città intorno ai diciassette anni. In quel momento con i miei piccoli risparmi iniziavo anche a comprarmi i primi dischi”. In che anno è partita la tua avventura radiofonica?
“Nel 1976, ma la data esatta non la ricordo. Ho lavorato a Radio Sound e successivamente a Radio Globo che era una signora radio veronese. Il direttore era il maestro Claudio Cavallaro, un compositore di musica che ha firmato alcuni successi”.
Come sei approdato in tv?
“Quando avevo sui vent'anni durante un'intervista su L'Arena di Verona per il Festivalbar, con tanto di registratore a tracolla, mentre aspettavo Pino Daniele. il suo discografico fu incaricato da Antonello Caprino, lo storico produttore di 'Discoring', di dare un'occhiata in giro allo scopo di scoprire qualche nuovo presentatore. Tutto nacque da lì e un bel giorno mi arrivò la telefonata di Caprino che mi invitò a Roma per il provino. Ancora oggi mi fa sorridere il fatto che proprio la Rai mi chiamò a casa”.
Come andò?
“Ricordo che c'erano i miti delle radio italiane tra cui il compianto Leonardo Leopardo. Andai tranquillo a sostenere il provino e tornai a casa. Dopo una decina di giorni mi telefonò sempre Antonello Caprino per comunicarmi che avrei condotto 'Discoring' nell'edizione '81/'82. Diciamo che sono arrivato dopo la figura di Claudio Cecchetto, precursore del dj televisivo, però con meno responsabilità visto che il conduttore ufficiale era Jocelyn”.
Quanta emozione alla prima puntata?
“Tanta, era tutto troppo grande per un giovane come me. Da una radio locale di Verona, mi sono ritrovato a Roma in Viale Mazzini per porre la firma su un contratto Rai. Trovare intorno fotografi e pubblico che voleva autografi, mi sembrava tutto molto strano. Mi sono ritrovato anche in copertina su 'Sorrisi e Canzoni Tv' e quindi mi sono reso conto di quello che stavo
La radio è la sua terza figlia e lo dice con orgoglio e amore nei confronti di questo importante mezzo, che dopo quasi cinquant'anni resiste e si rafforza ancor di più. Lui è Nicola Caprera, editore di Radio Roma Sound, già New Sound Level, una realtà radiofonica che mira a differenziarsi nel panorama omogeneo delle radio. Parte da Roma, nel senso che i suoi studi si trovano nella Capitale, ma il suo messaggio arriva ovunque, attraverso l'etere e la Rete. Da circa un anno GP Magazine, attraverso una rubrica apposita (Storie di Radio ndr) racconta le storie e gli aneddoti dei personaggi che hanno fatto parte della radiofonica sin dagli albori. Radio Roma Sound tra le sue file, invece, vanta un nugolo di giovani che si stanno affacciando al mondo del lavoro facendo la radio. Dunque, la radio ieri e oggi come solo noi sappiamo raccontare.
Con Nicola Caprera cerchiamo di conoscere meglio la sua figura e quello che rappresenta Radio Roma Sound. Nicola, come, dove e quando nasce la tua passione per la radiofonia?
“Prima dei 10 anni, incantato a guardare una piccola radio in cucina, da dove usciva il resto del mondo, del mio mondo fatto di cose più piccole. L’idea di raccontare qualcosa è nata prima di pensare di fare radio”.
Editori si nasce o ci si diventa. Tu?
“Io sono nato logorroico, dovevo per forza di cose fare qualcosa che mi permettesse di esprimermi. Sono principalmente uno speaker che per realizzare il tipo di radio che aveva in testa doveva fare due cose: crearne una tutta mia e affiancarmi all’unico essere al mondo capace di capirmi anche senza bisogno di parlare e l’ho trovato in Gabriele Ziantoni, prima amico, poi collaboratore e ora socio e direttore ed anima della radio”.
New Sound Level prima, oggi si è trasformata in Radio Roma Sound... Perché questo cambiamento?
“New Sound Level è la Storia. La nostra storia. Non esisteremmo se non fosse esistita. Ma come accade anche nella vita di coppia, eravamo arrivati a un punto in cui pur amandoci non andavamo più bene l’uno per l’altra. Il nostro progetto era cresciuto, cambiato e aveva bisogno di una dimensione diversa. Roma Sound ci rispecchia di più: noi vogliamo essere la radio della nostra città. E in futuro, perché no, magari anche di altre città”.
Come vi collocate nel variegato panorama radiofonico romano?
“Non abbiamo una collocazione precisa. Almeno tenendo in considerazione l’idea che si ha di 'radio romana'. In questa città si pensa che si possa fare ascolti, e quindi soldi, solo parlando di calcio. Per noi è folle e anche sorpassato. Alla stessa maniera sarebbe stato inutile inserirsi nel mercato delle radio musicali. Ne esistono di più storiche di noi oltre alle varie app che ti consentono l’ascolto delle canzoni quando e come vuoi. Meglio produrre contenuti: il talk, come dimostra la grande richiesta attuale di podcast, è il futuro. La nostra è una radio di contenuti. Dal calcio alla politica, dai libri al teatro, dall’intrattenimento ai consigli del commercialista”.
Qual è il vostro obiettivo a breve, medio e lungo termine?
“Siamo come l’universo: in espansione! Vogliamo crescere ancora di più. Diventare un punto di riferimento per i cittadini di Roma. E vogliamo farlo dando spazio a tanti ragazzi: la nostra redazione ha un’età media di 19-20 anni. Se riusciremo nel nostro intento, far crescere i ragazzi, rendendoli uomini e donne stimabili prima che professionisti, avremo un successo assicurato per i prossimi 20 anni”.
Conduci anche un programma, ne vogliamo parlare?
“La radio è la mia terza figlia, ma la mia trasmissione forse lo è ancora di più perché è da lì che è nato tutto. Il mio secondo tempo radiofonico è nato il 22 febbraio
del 2016 con la prima puntata de 'Gli inascoltabili', titolo provocatorio perché alla fine penso che, a parte il mio, lo siano in realtà tutti gli altri programmi. L’unico programma locale a Roma che tutti i giorni finisce sulle testate nazionali e locali più importanti grazie al lavoro di altissimo livello che svolge la nostra giovane redazione, coordinata da un gigante come Alessio Di Francesco. E' la mia terapia, praticamente risparmio sullo psicoanalista”.
Grazie al web, oggi le emittenti radiofoniche escono fuori i confini della territorialità. Che messaggio portate al pubblico che non è quello di Roma e del Lazio?
“Noi facciamo il nostro lavoro come gli attori di teatro, non ci chiediamo chi siano gli ascoltatori o quanti ne siano. E' l’unica maniera di fare le cose senza farsi condizionare troppo, da una naturalezza nel farlo che arriva al pubblico ed è la cosa più importante. L’unico messaggio che vogliamo veicolare, dentro o fuori il raccordo anulare, è che si può parlare di tutto e ci si può pure confrontate a voce alta, ma alla fine ci si stringe la mano e si risolvono le cose...”.
Che sbocco professionale può dare ai giovani una radio come la vostra?
“Lavoriamo prettamente con i giovani ed è stata una scelta precisa ed un taglio con le metodologie degli altri. Quindi i nostri giovani devono prima di tutto imparare a stare al mondo in mezzo a tutti i tipi di persone, poi ognuno troverà la sua strada. E se pure dovesse essere al di fuori del mondo radiofonico, sicuramente avranno imparato la prima regola stando con noi: imparare ad ascoltare”.
Nicola Perilli, noto dj della Capitale, ha messo in standby il suo lavoro per provare un'emozione in solitaria in bici. Missione compiuta!
Birra, sacco a pelo e una bici Gravel, così il nostro amico Nicola Perilli ha deciso di spingersi fino a Istanbul partendo da Venezia. Sono stati ben diciannove giorni in sella e un mese totale fuori casa. La passione in questo caso ha superato le paure e i pregiudizi che si hanno nei confronti di altre popolazioni. E' proprio vero, la vita andrebbe vissuta fino in fondo e per fortuna c'è chi ha il coraggio di fare certe scelte. E' stato tutto pianificato nei minimi dettagli. “L'idea è nata di unire queste due città che nel passato sono state sia alleate che in competizione tra loro. Questa unione tra i due mondi attraverso i Balcani mi stuzzicava molto”.
L'avventura è partita da Venezia per poi toccare Trieste, Lubiana, Zagabria, Belgrado, arrivando in Bulgaria a Sofia e giungere successivamente a Istanbul. Un totale di 2.190 km in bici. “E' stato un viaggio alla conoscenza della gente, viaggiare da soli anche se può sembrare pericoloso, ti spinge a metterti in comunicazione con gli altri. Ad esempio ho conosciuto un ragazzo tedesco che come me ha mollato il lavoro per partire da Berlino alla scoperta del mondo in bici. Viaggiare in questo modo richiede fiducia nel prossimo, quella che oramai abbiamo perduto. Sei costretto spesso ad affidarti agli altri per chiedere sostegno. Sono stato anche ospitato, ho alloggiato in albergo solo un paio di volte. Per il resto ho dormito in tenda e in ostello”. L'esperienza con gli altri è stata fantastica per Nicola, ha potuto trovare persone gentili e tanti consigli utili per il viaggio. Abbiamo qualche stralcio significativo del suo racconto.
“Nelle parti basse della Croazia ho potuto vedere qualche segno della guerra nella ex Jugoslavia di trent'anni
Il nostro avventuriero ha fatto anche un pezzettino di Grecia per arrivare in Turchia, direzione Edirne, dove si trovano resti dell'Impero d'oriente e romano. “Varcare una frontiera in bici è un'emozione indescrivibile” . Per recuperare il tempo perduto a causa dell'imprevisto di salute, ha dovuto pedalare anche 180 km al giorno. Il premio per la faticosa impresa è stato godersi da turista una città come Istanbul parcheggiando la bici. Culture, persone che s'incontrano che si mischiano e che si parlano, questo è stato il succo di questo viaggio che si è arricchito chilometro dopo chilometro. In futuro sicuramente ce ne sarà un altro come questo che ha lasciato un segno.
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