La fame perché?

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François de Ravignan

La fame: perché? Una sfida sempre aperta

Libreria Editrice Fiorentina


ISBN: 978-88-6500-069-4 Impaginazione e redazione di Elisa Grimaldi © 2012 Libreria Editrice Fiorentina Via de’ Pucci, 4 – 50122 Firenze Tel./Fax 055 2399342 www.lef.firenze.it editrice@lef.firenze.it Titolo originale: La faim pourquoi? © 2009 Éditions La Découverte & Syros 9 bis, rue Abel-Hovelacque 75013 Paris Traduzione di Daniele Zappalà Immagine di copertina: © Marsil - Dreamstime.com


Sommario

Presentazione

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Introduzione

p. 11

1. A che punto siamo con la fame nel mondo? Cosa dicono le statistiche? Carestia e miseria Si può sfamare la Terra? Perché la popolazione cresce così in fretta? Ma la fame degli altri ci riguarda davvero?

p. 15 p. 15 p. 18 p. 20 p. 22 p. 24

2. Da dove viene la fame? Quanto deve la fame alle cause naturali? Perché la produzione agricola non aumenta dappertutto e a sufficienza? È il denaro che manca? Le colture da esportazione fanno concorrenza alla produzione alimentare? Il «culo del mondo» Una triplice esclusione

p. 29 p. 29 p. 33

3. Quelli che non hanno fame Come ha fatto l’Europa a liberarsi dalle carestie? Qual è stato il ruolo della colonizzazione in questo processo? I paesi in cui regna la fame possono seguire il percorso che abbiamo fatto noi? Perché non accontentarsi di sviluppare ciò che si può? Ma esistono altre vie possibili?

p. 49 p. 49 p. 52 p. 55

4. Lottare contro la fame? «Fate meno figli, più scambi commerciali e vi aiuteremo»

p. 65 p. 65

p. 36 p. 38 p. 41 p. 44

p. 57 p. 61


E il «commercio equo»? Gli aiuti alimentari, perché no? Non resta che lasciar perdere! E se guardassimo la fame da qui?

p. 69 p. 72 p. 74 p. 75

5. Agire qui Vedere e comprendere per agire I protagonisti, in privato I protagonisti professionali e politici Le alternative

p. 79 p. 80 p. 82 p. 85 p. 87

Conclusione Una sfida sempre aperta Una causa determinante: l’esclusione La crescita della baraccopoli globale Trenta miliardi di dollari l’anno per sradicare la fame… Produrre di più? Favorire la concentrazione agraria? Liberare i mercati? La quantità o l’equità?

p. 93 p. 93 p. 93 p. 97 p. 98 p. 99 p. 102 p. 106 p. 107

Bibliografia

p. 111


Presentazione

Nel luglio 1979 si tenne a Roma alla Fao, in via delle Terme di Caracalla, un’importante Conferenza mondiale sulla riforma agraria e lo sviluppo rurale. In un edificio non lontano fu organizzata, da varie associazioni non governative che si opponevano alle politiche della Fao, una controconferenza a cui parteciparono alcune delle più intelligenti personalità del movimento internazionale per la difesa dei piccoli contadini e dell’ambiente, come Susan George, Frances Moore Lappé, Joseph Collins e altri. Fu in quell’occasione che incontrai per la prima volta François De Ravignan che insieme alla moglie Clothilde costituiva un punto di aggregazione e accoglienza anche per chi come me non conosceva nessuno. Nacque subito un’amicizia. Nelle riflessioni che si fecero in quella sede erano presenti già tutti gli argomenti sulle cause della fame e dell’espulsione dei contadini dalla terra, che nei decenni successivi sono diventati le bandiere e purtroppo anche le previsioni inascoltate del movimento ecologista contro la globalizzazione. Restai in contatto con François e 5 anni dopo venne a casa mia a Ontignano, insieme ad altri amici come Piero Binel e Bernadette Lizet, del Musée de l’Homme, esperta etnobotanica, per una settimana di ricerche territoriali applicando il metodo di analisi dell’economia rurale che aveva inventato e sperimentato in Africa. Fu un’esperienza pratica indimenticabile. Alla fine della settimana, insieme a François e a un suo giovane amico di Tolosa, postulante domenicano, partimmo per un pellegrinaggio a piedi per Assisi, Campello sul Clitumno, Cannara, sulle strade di San Francesco. Per la verità a piedi andavano solo loro perché le mie gambe in difficoltà erano egregiamente sostituite da quelle di Lucciola, un’asinella sarda. 5


Gli imperativi del suo impegno per la dignità umana e contro le cause industriali della fame nel mondo, François li ricavava dalla fede cristiana che lo ha accompagnato fino alla conclusione della sua vita, per un male incurabile, nel 2011. Uno dei suoi ultimi desideri è stato che questo libro fosse pubblicato in italiano. Ma non è un debito di amicizia e riconoscenza che mi ha spinto ad accontentarlo bensì la straordinaria qualità, completezza e propositività di questo lavoro che riunisce il meglio delle analisi degli ultimi cinquant’anni sull’argomento della fame, dell’agricoltura, della guerra di sterminio dei contadini da parte dei paesi più industrializzati e delle corporazioni transnazionali che li dominano. Uno dei caratteri che rendono questo libro così completo è la sua totale indipendenza da condizionamenti ideologici sia di destra che di sinistra. In pratica la guerra mondiale contro i contadini ha visto alleati i liberali e i comunisti, i capitalisti e i capi dei movimenti operai, tutti uniti nella fede nelle «magnifiche sorti e progressive» dell’industrializzazione tecnologica che avrebbe liberato l’umanità dalla fame, dal bisogno, dalla fatica, dall’ignoranza e dalle costrizioni e limiti della natura. Dopo due secoli di questo processo, iniziato in Inghilterra nel 1812 con l’impiccagione indiscriminata di chiunque danneggiava una macchina industriale, il mondo si trova con un livello di affamati come mai nella storia, una percentuale di obesi nei paesi ricchi senza precedenti, con una crisi economica e sociale che sembra senza ritorno. I marxisti, nel loro sforzo di formazione di una classe proletaria rivoluzionaria hanno sognato di trasferire i contadini nelle fabbriche massificando la supposta modernità dell’agricoltura senza terra (idroponica) in un universo unidimensionale di agroindustrie. Se il sogno della sinistra rivoluzionaria si è dimostrato poco profetico e persino poco realistico (infatti oggi le novità che hanno ampio corso nei nuovi movimenti di protesta stanno tutte nell’ambito dell’agricoltura non chimica e non industriale), paradossalmente quello che resta di quel sogno si realizza solo tramite una serie di legislazioni fatte passare 6


a livello degli stati e dei trattati internazionali dalle corporazioni capitalistiche transnazionali per i propri ottusi interessi. In Italia i molteplici diritti originari e forme giuridiche di libertà che da millenni coesistevano a formare il mondo rurale, in meno di cinquant’anni sono passati nel tritacarne di nuove regolamentazioni e mode che hanno vietato in agricoltura qualsiasi altra figura che non sia l’imprenditore e l’operaio salariato. L’impresa capitalistica è stata così imposta, con dubbia legittimità, come l’unico modello di organizzazione del lavoro in ogni campo. La guerra contro i luddisti è continuata con altre armi nei confronti dei contadini in quella sorta di dittatura industriale che è la democrazia rappresentativa di tipo angloamericano, concepita per eliminare le minoranze e manipolare le maggioranze con la corruzione strutturale dei governi e delle organizzazioni internazionali. La potenza economica delle corporazioni transnazionali, il vero motore di questo tipo di dittatura, ha i piedi di petrolio e il suo materialismo sfrenato, ancora più sfrenato di quello marxista, sta togliendo all’umanità ogni finalità umana, il che produce delle società in profonda crisi di civiltà. In questo libro, al contrario, Francois de Ravignan ripropone a ciascuno di noi sia personalmente che come comunità una trama di ricostruzione degna delle vette più alte della civiltà. Se riusciremo a seguirla troveremo la via d’uscita dal disastro economico e morale che ci circonda. Giannozzo Pucci

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A voi, Guitte e Jean, che mi avete aperto la strada; ai miei fratelli Adivasi del Chhattisgarh dell’India, Berberi dell’Alto Atlante, compagni della Confédération paysanne, contadini lontani e di ogni dove… A René Dumont, ad Albert Provent che mi hanno aiutato a vederci chiaro. A Guy, Paul, Armand, che ci hanno creduto. A Thierry e Corinne dell’Ecologiste, che mi hanno spalancato le loro documentazioni. A Clothilde, mia moglie, per la sua presenza discreta ed efficace. A Moutsie, infine, che ha amato questo libro e mi ha incoraggiato nel lavoro di aggiornarlo, a voi tutti grazie e ancora grazie…


Poco pane è il nutrimento dei poveri Toglierlo a loro è commettere un assassinio Uccide il prossimo chi gli sottrae il cibo… Siracide, 34, 21-22

L’importante non è una produzione di massa, ma la produzione da parte delle masse. Gandhi, 1916



Introduzione

A causa dei mezzi di comunicazione di massa, la fame degli altri ci è sicuramente più vicina che mai. Ma molto spesso è presente nelle nostre vite di occidentali indaffarati solo come una cattiva coscienza un po’ vaga. Eppure è uno dei sintomi più gravi del degrado della vita umana sul nostro pianeta. Dovrebbe quindi logicamente rappresentare la base di ogni riflessione politica che si voglia radicare nella realtà. Non è affatto così, lo sappiamo bene: un certo giornale dedicherà ogni tanto una pagina alla questione della fame, un esponente politico vi farà allusione in un suo discorso, ma quasi sempre come un qualcosa che si svolge lontano da noi, che non rimette in discussione la nostra vita e in realtà non è un problema nostro. I pochi che sono persuasi del contrario vorrebbero a buon diritto sensibilizzare l’opinione pubblica. In questo sforzo, si scontrano con vari ostacoli. In primo luogo è spesso superiore alla loro disponibilità di tempo la sia pur timida, ancora, richiesta di informazioni proveniente ad esempio dalle associazioni o dalle strutture educative. E i testi scritti non possono supplire all’assenza di una persona ben informata, a cui si possono fare domande o di cui si può discutere il modo di vedere. Di conseguenza, occorre che dei militanti sempre più numerosi diventino capaci di dare informazioni sui problemi della fame alle persone o ai gruppi interessati. Coloro che ci provano, spesso inciampano nella difficoltà di acquisire a loro volta la formazione che sarebbe necessaria. Salvo eccezioni, l’università non propone granché in questo campo. Gli incontri organizzati in altri ambienti da persone volenterose riescono per ora ad avere solo un ruolo di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e non permettono nemmeno a quelli che lo vorrebbero di appro11


fondire le conoscenze e nutrire la propria riflessione, per prendere il testimone di un’informazione ancora troppo saltuaria. D’altronde, le divergenze fra coloro che si esprimono pubblicamente sull’argomento della fame incitano spesso il neofita al pessimismo, più che alla ricerca di un pensiero coerente, davanti ai molteplici ragionamenti che gli vengono offerti. Può essere allora tentato, per scrupolo d’efficacia, di agire in fretta e rifuggire da ogni teoria, dimenticando che dietro a ogni azione, per quanto sia a carattere sociale, c’è una scelta politica. Quando quest’ultima non viene esplicitata, l’azione rischia di riflettere solo le scelte dominanti della nostra società. Sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi che pone la fame implica quindi essere intellettualmente armati. Ciò significa essere responsabili, ovvero, nel senso etimologico del termine, capaci di rispondere alle domande, degli altri ovviamente, ma prima di tutto alle proprie, a quelle che suscitano gli eventi. Il che presuppone di poter contare su uno spirito critico costantemente sveglio e anche rimettere spesso in discussione ciò che si pensa o ciò che si fa. In questo sforzo da militanti per formarsi un pensiero personale e testimoniarlo, un libro sulla fame, che arriva dopo tanti altri, può essere di un qualche aiuto? La sua unica originalità è essere l’espressione fedele del metodo di informazione del suo autore, in numerosi dibattiti con platee molto diverse. È il risultato di una pratica attraverso cui un pensiero si è evoluto confrontandosi con la critica e la realtà, beneficiando d’altronde di un contatto costante con gruppi di lavoro1. Il disegno con cui il problema della fame è stato esposto e discusso in questi dibattiti è cambiato e si è arricchito un po’ alla volta. Alla fine, sollecitato da Denis Clerc, che aveva assistito a una delle mie conferenze, mi sono messo a scrivere questo libro, la sera, nel mio ufficio della Facoltà di Scienze Sociali di Tolosa, nell’ora delle pulizie. Alla brava signora che spazzava il mio ufficio e a volte mi faceva delle domande sul mio lavoro, davo qualche informazione sull’argomento trattato. È cresciuta Les associazioni Champs du Monde e Ligne d’Horizon, contact@lalignedhorizon. net, http: www.apresdeveloppement.org.

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così in me l’idea di un libro che potesse leggere anche lei. Quando uscì, gliene regalai una copia. Due settimane dopo, mi disse: «È buono il suo libro, l’ho comprato anche a mia figlia». Fui felice, devo dirlo, di questo successo, che sarebbe poi diventato anche un successo pubblico. Si capirà che in un centinaio di pagine è difficile dire tutto sulla fame. Mi sono allora concentrato sul difendere un’idea-forza alla quale del resto tengo molto, avendone verificata la fondatezza in molte circostanze diverse. Ecco l’idea: in ogni epoca e a ogni latitudine, la miseria e la fame croniche, quando esistono (non parlo di carestie occasionali, che non vanno confuse con uno stato di miseria permanente), sono dovute prima di tutto alla mancanza di lavoro o di mezzi per procurarselo. Credo fosse prioritario difendere quest’idea davanti alle false concezioni che attribuiscono la miseria e la fame a questioni climatiche, all’indolenza degli «indigeni», alle religioni o, semplicemente, alla povertà, senza risalire alle cause di quest’ultima… La situazione attuale di miseria in aumento in tanti paesi d’Europa ha almeno il vantaggio di farci comprendere che la miseria e la fame non sono un’esclusiva dei paesi del Sud del mondo, ma che verificandosi qui le stesse cause (perdita del lavoro), otteniamo gli stessi effetti. A proposito del semplicismo che mi è stato talvolta rimproverato, aggiungo che questo libro, scritto per un largo pubblico, doveva dire con semplicità delle cose complesse, il che non è necessariamente semplicismo. Nel campo delle scienze sociali, occorre gerarchizzare la complessità: non tutte le complessità hanno lo stesso valore e lo stesso interesse. In ogni caso, disapprovo coloro che usano questo argomento della complessità per insabbiare le cose e dire ai poveri profani: «Vedete, è troppo complicato per voi, lasciate fare agli esperti». Infine, mi sembra che la ricerca della verità sia sempre accompagnata da quella della semplicità. Che importa allora se un’idea semplice non spiega tutto, a condizione che sia abbastanza forte da contenere l’essenziale del fenomeno studiato, come le idee che difendo in La fame: perché?. L’ordine dei capitoli di questo libro deriva direttamente dal modo con cui l’argomento della fame era presentato nei dibattiti già citati. 13


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