Il contadino come maestro

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Marcel Jousse

IL CONTADINO COME MAESTRO Lezioni alla Sorbona

a cura di Antonello Colimberti

Libreria Editrice Fiorentina


Nella stessa collana Gio�anni Haussman �� ����� ���� �������� a cura di Simonetta Bracciali ���������� ���� �������� ������� Nikos A. Salìngaros ���������������� � ����������� Gio�anni Klaus Koenig �’�������������� ����������������� ������� Lèon Krier �’������� �������������� ����� ������������ Nikos A. Salìngaros �� ���� ��������� �� ��������� ������ �� ����������� Ivan Illich �� ������� ��� ����� Sandro Lagomarsini �� ������ ����������� Carl Amery ������ ���������� �� ��� ������ ������ ��� ���������? Marcel Jousse �� �������� ���������� ��� ������� ������������ ���� �������������


I saggi che compongono il volume sono la trascrizione stenogra�ca di Gabrielle Baron di dieci lezioni tenute da Marcel Jousse. Le prime due lezioni fanno parte del corso orale intitolato La Psychologie du Geste chez l�Enfant et le Paysan, tenuto alla Sorbonne a Parigi nel 1941-1942. Le altre otto fanno parte del corso orale intitolato La Comparaison chez l�Enfant et le “Primitif ”, tenuto all�Ecole d�Antropologie di Parigi nel 1942-1943.


INDICE

Introduzione di Antonello Colimberti

p. 9

1. Ritorno alla Vita e alla Terra

p. 15

2. Far Insegnare al Bambino dal Contadino

p. 39

3. L’Antropologia davanti agli Uomini “primitivi”

p. 61

4. Il Romanzo cittadino dei “popoli primitivi”

p.87

5. La Genialità dei Ritmo-catechismi

p. 111

6. L’Inconsistenza dei nostri Catechismi da Pennivendoli

p. 139

7. Lo Stile Sentenzioso e Oggettivo del Contadino

p. 167

8. Lo Stile Sentenzioso e Oggettivo dello Scienziato

p. 193

9. Le Formule Etniche del Paragone

p. 223

10. La Scienza del Linguaggio e gli Scienziati Contadini

p. 255

Postfazione di Yves Beaupérin

p. 277


Introduzione

������������ Il contadino: “mestiere di Dio”1

“La questione contadina” è stato uno dei grandi e ricorrenti temi della sociologia, su cui sono stati versati �umi di inchiostro2. Altrettanta attenzione c�è stata da parte delle discipline etno-antropologiche, in particolare in quella branca detta “demologia”, per la “cultura contadina”, identi�cata di fatto con quella che è andata sotto il nome di “cultura popolare”3. Eppure anche in quest�ultimo caso gli studi si sono quasi interamente indirizzati verso i “contenuti”, materiali e immateriali, più che verso il contadinismo come “forma di conoscenza”. Nel nostro Paese è stata perciò provvidenziale l�opera di un giornalista e scrittore (non dunque un accademico patentato) come Giuseppe Lisi per indirizzare nel verso giusto e, per così dire, alzare il tiro della ricerca4. Riprendiamo l�espressione “mestiere di Dio” dal bel volume di Jean Hani (che stranamente però non nomina “le paysan”, il contadino), Les Métiers de Dieu: préliminaires à une spiritualité du travail, Editions des Trois Mondes, Paris 1975. L�autore parla del “paysan” e di “Dieu Agriculteur” nel capitolo XI, intitolato “Le Maître de la Moisson”. 2 Per un aggiornamento sul tema consigliamo la lettura di Silvia Pérez-Vitoria, Il ritorno dei contadini, Jaca Book, Milano 2007. Ma non si dimentichi che negli stessi anni in cui Jousse insegnava a Parigi il contadinismo lo scrittore francese Jean Giono scriveva sulla “universalità della questione contadina”. Cfr. Jean Giono, Lettera ai contadini sulla po�ertà e la fame (1938), trad. it. e cura di Maria Grazia Gini, Ponte alle Grazie, Milano 1997. 3 Valga la sintetica ricognizione di Massimo Centini, La sapienza dei popoli. La ricchezza nascosta della cultura popolare, Il Cerchio, Rimini 2002. 4 A bene�cio del lettore elenchiamo le pubblicazioni di Giuseppe Lisi. Innanzitutto le cinque pubblicate dalla Libreria Fiorentina Editrice: La cultura sommersa (1972), 1

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Introduzione

Come introduzione ai suoi densi e straordinari volumi vale accostarsi a un�intervista che l�autore concesse anni fa a Francesco Bolzoni per una rubrica radiofonica Rai, trascritta e pubblicata poi qualche tempo dopo5. Seguiamone quattro passaggi. Dapprima troviamo la premessa generale, molto radicale: “Il mondo contadino, la cultura contadina, era una cultura del silenzio. È una cultura che non ha prodotto, non produce qualcosa che possa essere letto o narrato o fatto vedere. Anche le espressioni più propriamente culturali del mondo contadino, è stato detto giustamente che sono povere; sono povere di fatto, non è che siano delle opere d�arte, mai o quasi mai. Sono dei segni dai quali si può risalire a certe cose, ma sono dei segni criptici, sono dei segni segreti, che bisogna interpretare con un codice, come un gerogli�co, ma di per sé non valgono niente, non fanno vedere niente”6. Poi la pars destruens, il rilievo dei limiti degli studi folklorici condotti: “La grande raccolta di documentazione è stata dell’800, incominciata nei primi anni con i romantici, poi andata avanti �no al secondo decennio del Novecento. Naturalmente hanno un valore anche la raccolta, i reperti, perché senza di questi sarebbe impossibile riandare a certe formule, a certi segni. E siccome anche questo è utile, è utile anche la raccolta, però io dico che non dà la mentalità, dà un prodotto �nito che è già vecchio per la mentalità che l�ha prodotto”7. �uindi la pars construens, una specie di manifesto programmatico: “Il contadino conosce perfettamente tutte le cose con le quali viene a contatto. Vive, viveva tutta la vita, nello stesso ambiente e l�ambiente Il Regolo (1979), Senza patria (1987), Il gobbo e la fortuna (2000), La gabbia matta (2008). Inoltre: Oggetti di pensiero, Camunia, Brescia 1992. 5 Giuseppe Lisi, La conoscenza nel mondo contadino, �uaderno Verde d�Ontignano, Libreria Editrice Fiorentina 1989. 6 Ibidem, pp. 9-10. 7 Ibidem, p. 10.

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era proprio il vero ambiente di appartenenza, tre o quattro chilometri di raggio dalla casa colonica, non più. C�erano naturalmente le puntate alle �ere, ai mercati, al paese, ma queste diciamo che erano già delle occasioni un po’ straordinarie. Sicché tutta la sua mentalità, tutta la sua conoscenza, nasceva e moriva in questi pochi metri, da questa piccola dimensione. Però questa zona era perfettamente esplorata. E il contadino che per esempio scopriva com�è la terra dentro, e questo ripetuto per le migliaia di volte che batteva la zappa, dava una conoscenza così perfetta di com�è la terra dentro nello strato fertile, che qualsiasi paragone, diciamo meglio, analogia che poteva instaurare, erano scienti�ci. Cioè quando paragonava una cosa a un�altra non paragonava due cose di cui aveva sentito parlare, ma straordinariamente precise, individuate �no all�essenza, microscopicamente precise. Ecco, quando parlo di cultura e analogia, bisogna partire da questo”8. In�ne la conseguenza generale, lucidamente esposta: “�uando sono perfettamente de�niti gli oggetti – le cose – questi diventano i mattoni sui quali è tirata su la costruzione. L�oggetto non è nemmeno più paragonato, ché già il paragone implica un�operazione volontaria, in un certo senso. L�analogia si dà da sola, viene da sola perché è una relazione, questa è l�analogia. È una relazione vista dalla mente ragionando, dice il Tommaseo con una bella de�nizione. Naturalmente non è che il contadino si ponga il problema di trovare analoga una cosa. La trova già analoga come dicevo prima, in maniera precisa. Le analogie, che sono individuali sempre, diventano anche analogie comuni, analogie sociali. Per esempio: quando è vista analoga la notte alla morte o al nero – queste entità già generali – siamo già in un�analogia generale che tutti accettano e tutti scoprono, benché non è che la trovino già fatta, quest�analogia. Entrano però dopo in un mondo che ha questi binari. L�analogia diciamo opposta, del giorno, della luce, del caldo, per esempio, è un altro binario opposto 8

Ibidem, pp. 11-12.

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Introduzione

e parallelo. Su questi tracciati che diventano comuni, entrano anche i tracciati più personali. Si dà il caso, per esempio, che un luogo, un masso, una pietra, una parte della casa, vengano associati, per determinate ragioni, a un pensiero e che questo pensiero poi, continui ad abitare lì”9. Fin qui Giuseppe Lisi. Se lo abbiamo citato è perché ci sembra tra i pochi studiosi, in particolare del nostro Paese, che ci pare adatto per accostarci al contadinismo di quell�ina�erabile e geniale personaggio del secolo XX che fu il padre gesuita Marcel Jousse.10 Ha scritto Marcel Houis, africanista e antropologo del linguaggio: “Bisogna dire qui che Marcel Jousse è in origine un contadino. �uesto fatto è essenziale nella sua biogra�a. Bisogna assumerlo come tale senza cadere nel rischio di a�ermare la ruralità come una messa sotto conserva di un tradizionalismo politico. Un chiosatore di Jousse potrebbe cadervi, ma sarebbe un recupero infelice”.11 Sagge parole, che non devono servire tuttavia a eludere il contadinismo joussiano, ma piuttosto invitare ad allargarne la portata. Già in altra sede proponevamo di accostare il signi�cato del termine “nativo” a quello di contadino, alla luce delle seguenti osservazioni dello stesso Jousse: “Abbiamo dato alla parola ‘contadino’ un senso universale. Vale a dire che abbiamo installato il nostro laboratorio presso tutti i popoli realmente in-formati (modellati) dal proprio paese, e che prendono realmente coscienza di sé e del loro valore inIbidem, pp. 12-13. Per la presentazione globale e un quadro interpretativo del Nostro rinviamo a nostri altri lavori, in particolare alla sintesi contenuta nell�Introduzione (Un Maestro occulto del No�ecento: padre Marcel Jousse tra imitazione della Bibbia e imitazione di Cristo) a Marcel Jousse, La sapienza analfabeta del bambino. Introduzione alla mimopedagogia, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2011, pp. 9-30. 11 Maurice Houis, Préface a Marcel Jousse Le Parlant, la Parole et le Sou�e, Gallimard, Paris 1978, p. 13. 9

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trinseco e inalienabile. Essere contadino vuol dire essere in-formato dal proprio paese. Nella sua accezione forte, il contadino è il paese rigiocato dall�essere intero, che mima, interagisce e bilateralizza”.12 Se questo è vero, il contadinismo cessa di essere un momento particolare della storia e della cultura dell�uomo, ma si apre alla disponibilità permanente, anche quando misconosciuta, di un sapere profondamente radicato nell�uomo. Ecco la novità e il centro della proposta joussiana: il contadinismo non solo è apertura al principio di analogia (come lucidamente ci espone anche Giuseppe Lisi), ma attraverso di esso l�uomo si riconnette al proprio centro vitale. In assoluto contrasto con i �loni predominanti della cultura contemporanea, in corsa verso la relativizzazione e il dissolvimento di ogni punto fermo, simbolicamente axis mundi, Jousse formula e di�onde un�antropologia “tradizionale”, dove l�aggettivo “tradizionale” non signi�ca, in fondo, né più né meno che quello che sarebbe naturale alla nostra specie. Nel far ciò, Jousse dà fondamento a ciò che altrimenti resterebbe solo un mero auspicio. Ascoltiamo infatti le parole conclusive della conversazione di Bolzoni con Lisi: “Si può sempre auspicare che in piccole società ristrette, dove tutto è conosciuto, possa restituirsi in un tempo futuro, quando ci saranno le possibilità, un tipo di cultura analogica, perché non è che questa cultura è nata col contadino e deve morire col contadino. Può darsi che in futuro, sia trasferita in altri ambienti, però la base dovrà essere la conoscenza perfetta di tutte le circostanze che riguardano le persone che la vivono”13. Se quanto propone il gesuita francese è vero, “il ritorno alla Terra”, inteso come il ritorno dell�archetipo del contadino in tutte le sue manifestazioni (dunque anche sociali), è questione decisiva, pena il progressivo scadimento nella barbarie e nell�inumano. Nel sistema Marcel Jousse, L�antropologia del gesto, Edizioni Paoline, Roma 1979, nota 2, p. 165. 13 Giuseppe Lisi, op. cit, p.31. 12

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Introduzione

joussiano tutto si tiene e si corrisponde, dal piano �sico al meta�sico, dall�economico all�esegetico14. E siccome in una cultura simbolica, fondata sul principio di analogia, “naturale” e “sovrannaturale”, ovvero “visibile” e “invisibile”, sono indissolubilmente congiunti, appare conseguente la presenza del “Gesù contadino”15, la promozione dell�agricoltura a “disegno del cielo”, e del contadino stesso a “mestiere di Dio”. Antonello Colimberti

Sull’”esegesi contadina” rinviamo alla postfazione di Yves Beaupérin in questo libro. Cfr. le tre monogra�e della rivista Ecologist italiano intitolate Agricoltura è disegnare il cielo, nn. 7-8-9, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2008-2009.

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