Primo Piano - Aprile 2021

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PRIMO PIANO Direttore: Lorenzo Soldani Redazione: Francesca Amadei, Fabrizia Amaini, Barbara Berretti, Emiliano Bertani, Marilena Bertani, Giacomo Bigliardi, Luisa Cigarini, Claudio Corradi, Tosca Covezzi, Sara Culzoni, Matteo De Benedittis, Mauro Degola, Giulio Fantuzzi, Luisa Gabbi, Liviana Iotti, Viller Magnanini, Adriana Malavolta, Maria Chiara Mantovani, Francesca Manzini, Francesca Nicolini, Maria Chiara Oleari, Luciano Pantaleoni, Maria Paparo, Guido Pelliciardi, Federica Prandi, Gian Paolo Rinaldi, Erik Sassi, Lorenzo Sicomori, Nadia Stefanel, Gabriele Tesauri Hanno collaborato: Sergio Calzari, Eleonora Dondi, Laura Losi, Pietro Oleari, Rino Testa. Impaginazione grafica: Studio il Granello Stampa: Tipografia San Martino snc San Martino in Rio (RE) Editore e proprietario: Circolo Culturale Primo Piano, Correggio Registrazione: Aut. Trib. di RE. n. 437 del 23/05/79 Iscritto al Registro Operatori Comunicazione (R.O.C.) con il n. 34700 Direttore responsabile: Liviana Iotti Segretaria di redazione: Tosca Covezzi Sede legale: via Santa Maria, 1 - Correggio tel. 0522 691875 info@primo-piano.info Abbonamento annuale: Ordinario 20 € Sostenitore 30 € Fuori comune 30 € On line (maggiorazione di 2 € Paypal) Digitale 10 € Come abbonarsi: Presso una delle seguenti sedi: - Berretti ferramenta e casalinghi P.za Garibaldi 11 - Caffè Mini Bar - C.so Mazzini, 30 - Edicola Andreoli Luisa - P.za Garibaldi - Edicola La Dolce Vita - P.le Aldo Moro (Espansione sud) - Edicola Porta Reggio - P.za Porta Reggio - Libreria Ligabue - via Conciapelli 16 - Libreria Moby Dick - C.so Cavour 13 - Tabaccheria B&B - via Repubblica 14/A - Tabaccheria Catellani - C.so Mazzini 15/b - Tabaccheria del Centro - P.za S.Quirino 10/b - Tabaccheria Mille Idee - via Tondelli 2/o (Espansione sud) - Tabaccheria Nuvola di Fumo - via Carlo V 8/a oppure - on line www.primo-piano.info - bonifico bancario BPER Banca filiale di Correggio IT 76 Z 05387 66320 000002937443 Chiuso in redazione: martedì 23 marzo 2021

In copertina: Guido Silvestri, in arte Silver, creatore di Lupo Alberto, vorrebbe nascondersi. Ma con i lettori di Primo Piano non ce la fa. Si svela alle pagg. 4,5 e 6.

VIRGOLETTE

Lorenzo Soldani

CORREGGESI ILLUSTRI, DI IERI E DI OGGI Cari amici ed amiche di Primo Piano, inizio questo editoriale augurandovi buona Pasqua. Sarà una festività diversa, che per il secondo anno consecutivo ci imporrà di stare lontano dai nostri cari: un sacrificio ingrato ma necessario ad uscire dall’incubo dell’emergenza sanitaria. Spero che la nuova uscita possa tenervi compagnia in questi momenti difficili. Il numero è particolarmente vario e ricco: volente o nolente il Covid è spesso sullo sfondo, ma abbiamo cercato (come sempre) di trattare le numerose sfaccettature di un tema così complesso con oggettività, competenza e chiarezza, non lasciando spazio ai facili sensazionalismi che dominano i media ormai da più di un anno. L’altro punto focale è il vissuto dei cittadini correggesi, che con le loro virtù hanno lasciato e lasciano tuttora un segno indelebile nella nostra comunità: il numero si apre con un’accorata intervista al fumettista Guido Silvestri, in arte Silver, che ci racconterà il legame indissolubile con la città; parleremo del rinnovato organigramma della Fondazione il Correggio, che da anni si impegna per mettere al centro del dibattito culturale le opere di Antonio Allegri; ricorderemo con affetto l’impegno nel volontariato di Claudia Guidetti, donna e madre amatissima dai concittadini, che ha dedicato la sua vita alla causa della disabilità; vi racconteremo il fondamentale operato dei medici di base, primo presidio sul territorio della sanità pubblica, ora impegnati nel supporto alla vaccinazione di massa; ripercorreremo la vita di un’altra grande artista correggese, Carmela Adani. Non ignoriamo poi l'appello di Monsignor Monari, don Luciano per i correggesi: crescere in umanità. Ultime, ma non meno importanti, le nostre rubriche, che contribuiscono a donare una nota di leggerezza e fruibilità al giornale. Buona lettura!

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anno 43 / n. 408

Personaggio 4 26

Correggio, il mio luogo dell’anima Quando l’invenzione è un emigma

Sanità

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Vacciniamo in ambulatorio, in sicurezza

Incontri

8 9

La legalità è un bene prezioso Donne, credete nei vostri talenti

Istituzioni 10

Nuova vita per la Fondazione Il Correggio

Lavoro 12

Inattivi e disoccupati, il dramma è dei giovani

Ricordo 14 Sempre al fianco dei più deboli

Impresa 18

Il piacere della carne esige tanta cura

Casa

10

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Le nuove esigenze abitative dei correggesi

Economia 22

I bitcoin, affare o truffa?

Modellisimo 24

A Correggio c'è il treno... delle meraviglie

Arte 28 36

Tra le moto e il rock s'è accesa una luce La giovane correggese che stupì Firenze

Sport 30

14

Il mondo é una ruota che gira

Cultura 32

La scrittura è di casa a Correggio

Informazione 34

Raccontiamo una comunità, con un occhio al digitale

Rubriche 2 virgolette: Correggesi illustri, di ieri e di oggi 16 opinioni d'autore: Prendersi cura è cosa buona e feconda 38 notizie in breve 40 come eravamo: Lo strano caso della "Divina", nata da un albergo osé 42 cultura popolare: Amore... istruzioni per l’uso

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44 una mostra al mese: Ligabue, la figura ritrovata 44 raccontami: New York è una finestra senza tende 45 agricoltura, verde, ambiente: L'eleganza del glicine 46 l’angolo del relax

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CORREGGIO, IL MIO LUOGO DELL’ANIMA

SILVER, IL PAPÀ DI LUPO ALBERTO, CI APRE IL SUO CUORE


personaggio

Quando si pensa ad una creazione artistica si pensa ad un lampo di genio, all’intuizione fulminea. Ma spesso le idee, i progetti, nascono dalla passione unita alla tenacia di inseguire una suggestione, che poi si trasforma nel tempo. Prendiamo ad esempio Guido Silvestri, in arte Silver, da quasi cinquant’anni autore delle strisce di Lupo Alberto. Per lui la scintilla che avrebbe portato alla creazione della fattoria McKenzie è scattata in corriera, durante il tragitto che compiva ogni giorno da studente, per tornare dall’istituto d’arte di Modena a Correggio. «Il mio desiderio di essere fumettista è nato presto, avevo circa 12 anni. All’epoca non esistevano scuole specifiche, per cui mi iscrissi all’istituto d’arte di Modena. Come tanti studenti, andavo in corriera. Tutti i giorni mi scorrevano davanti agli occhi i campi di Campogalliano, di San Martino… proprio in quei momenti di vuoto, ho iniziato a immaginare i dialoghi fra gli animali delle aziende agricole che componevano il paesaggio. Tutto nasce da lì». L’idea ronza nella testa del giovane Guido, che a 19 anni lascia Correggio per trasferirsi a Modena, dove andrà a Bottega da Bonvi, il suo maestro. La svolta vera e propria («per me fu come vincere un Oscar a vent’anni») avviene grazie alle strisce pubblicate sul Corriere dei Ragazzi, nel 1974. Lì Silver ha la possibilità di mettere in scena i dialoghi fra gli animali della fattoria. «Siccome dalle nostre parti, oltre alle fattorie, c’erano anche i predatori, decisi di dare spazio anche ad un lupo… ma pensai di sovvertire lo stereotipo dell’animale feroce, e lo feci innamorare di una gallina». La trovata piace, eccome. Era nato Lupo Alberto. Andando avanti veloce, ritroviamo oggi Silver a Milano, da dove continua a pubblicare il suo bimestrale. Nell’ultimo numero Guido ha voluto aprire, come già altre volte, uno spaccato sulla contemporaneità, mettendo in scena

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Francesca Amadei

le ansie di Enrico la talpa durante il lockdown. «Volevo parlare ai miei lettori per far sapere loro che siamo tutti stati molto colpiti dalla pandemia. Io in prima persona: per questo dico che Enrico sono in fondo io. All’inizio la prospettiva di stare in casa è stata anche allettante, tanti di noi hanno riscoperto passioni, cucinato e guardato film, ma poi è subentrato un senso di angoscia, almeno nel mio caso. Siamo precipitati all’improvviso dall’agio delle nostre certezze ad una situazione che ricordava la peste o l’epidemia di influenza spagnola. Ho pensato di parlare di tutto questo

sato fosse un dovere per chi ha un pubblico sposare cause importanti. Io poi mi sono sempre mantenuto libero, per questo sono editore di me stesso». Dunque, la fattoria McKenzie non è un luogo impermeabile ai mutamenti della società: molti temi importanti hanno fatto il loro ingresso su queste strisce. Del resto, Silver ha imparato ad amare i fumetti anche grazie ai Peanuts, che lo hanno fatto innamorare proprio per la loro capacità di trattare temi anche profondi. «Penso che la fattoria potrebbe essere un luogo piacevole dove trascorrere un ipotetico lockdown.

L'ANSIA DA LOCKDOWN DI ENRICO LA TALPA,

È LA STESSA DI TANTI, ME COMPRESO

tramite Enrico la talpa, che tra gli animali della mia fattoria è quello che vive nello spazio più angusto e buio, sotto la terra. Quello che volevo dire ai miei lettori è: non vergogniamoci di cercare aiuto, la salute mentale non va sottovalutata». La grande sensibilità di Guido Silvestri non è una nuova scoperta: negli anni ha sposato diverse cause importanti, prestando la sua matita e i suoi personaggi a campagne nazionali su temi come la desertificazione, le mine antiuomo, la lotta all’HIV. Proprio l’opuscolo informativo sull’AIDS, “Come ti frego il virus”, nel 1991 fu al centro di polemiche, quando alcuni materiali finirono in una scuola. «In alcuni ambienti fece scandalo perché si parlava di sessualità non protetta e di morte. Non mi sono pentito: ho sempre pen-

Potrebbe far riscoprire il gusto per la campagna, per le cose semplici, a tanti che oggi abitano gli spazi angusti delle grandi città». I luoghi e le suggestioni che hanno ispirato la nascita di Lupo Alberto sono inscritti profondamente nel cuore di Guido, che definisce Correggio come suo luogo dell’anima. E si capisce da come ne parla che non sta esagerando. «Io e la mia famiglia ci siamo trasferiti a Correggio nei primi anni ’60. Mio padre guidava gli autobus sulla tratta Correggio – Modena, e ci spostammo per comodità in una casa che stava sopra l’autorimessa, in via Sanzio. Pur non essendo correggese di nascita la considero la mia patria, perché a quei primi anni risalgono tanti bei ricordi, come le corse in bicicletta e le nuotate nei canali della

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bonifica». A Correggio comincia anche per il giovane Guido la storia d’amore con i fumetti: «Io ero un ragazzo timido, introverso. Trovavo rifugio in quei mondi paralleli. A scuola spesso una mia professoressa richiamava l’attenzione della classe su di me ed esclamava: “Ecco Silvestri che sorride agli angeli!”. Io ero sempre alla ricerca di nuove storie da inventare. Inizialmente mi nutrii di Jacovitti, poi scoprii il fumetto americano, che mi aprì nuove prospettive. Non posso poi dimenticare le suggestioni del Carosello, che aveva spot a cartoni firmati da grandi artisti. Nella mia immagina-

zione di ragazzo io un giorno sarei stato a Milano, ad un qualche piano alto del Pirellone – immagine del progresso per antonomasia – a disegnare fumetti per la pubblicità. Non avrei mai osato sognare di diventare autore di un fumetto tutto mio». Correggio, paesaggio dell’anima, è finito anche dentro Lupo Alberto. «C’è il profumo dei tigli che si mescolava al profumo del gelato alla vaniglia che veniva dalla gelateria di Piroto, le corse nei prati con gli steli che ti tagliavano gli stinchi… ma soprattutto il rapporto fra le persone, soprattutto l’ironia dell’Emilia e del suo

dialetto. Anche se la fattoria ha un nome inglese, dentro c’è l’arguzia contadina degli scutmai. Silver ama tornare a Correggio, dove ha ancora la mamma, il fratello ed alcuni amici d’infanzia, in quella che per lui è una vera e propria vacanza. «Qui c’è qualcosa, chi nasce qui è come se si sentisse desinato a qualcosa di superiore, in tutti i campi. Basti pensare a tutti i personaggi importanti che danno lustro a Correggio, dall’imprenditoria alla musica e alla letteratura. Non ci sentiamo la provincia di nessuno».

CORREGGIO viale Repubblica, 12 tel. 0522 632188

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sanità

Liviana Iotti

VACCINIAMO IN AMBULATORIO, IN SICUREZZA

I MEDICI DI BASE HANNO INIZIATO CON IL PERSONALE SCOLASTICO

Il dottor Gherpelli mentre procede alla vaccinazione di un'insegnante

“La medicina generale non poteva restare fuori dalla campagna vaccinale”. Il dottor Nemesio Gherpelli è molto chiaro e risponde così alle diverse opinioni intorno all’impegno dei medici di famiglia nella vaccinazione contro il Covid. Gherpelli è il Referente dei Medici di Base del Distretto. Si tratta di 35 professionisti che mediamente seguono circa da 1000 a 1500 assistiti ciascuno. Fin dall’inizio della pandemia sono in trincea ed alcuni di loro, nonostante tutte le precauzioni, si sono infettati, fortunatamente senza gravi conseguenze. Quando si è prospettata la possibilità della loro partecipazione diretta alla vaccinazione contro il Covid-19, la prima preoccupazione, condivisa, è stata quella di poter vaccinare in sicurezza (sicurezza clinica per gli assistiti, ma anche per gli stessi medici). La seconda è stata quella di riuscire a fare la vaccinazione senza compromettere l’attività

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ambulatoriale già molto intensa. «Ma essere esclusi – precisa il dottor Gherpelli - avrebbe significato per noi medici del territorio perdere il contatto con i cittadini. Si tenga presente che diversi medici di base, e anch’io tra loro, partecipano alla campagna vaccinale anche per i pazienti assistiti a domicilio, pazienti per lo più pluripatologici e fragili. Insomma, al di là del fatto meramente prestazionale, un nostro coinvolgimento attivo è importante anche a livello di immagine e di sensibilizzazione della popolazione».

la sospensione di qualche giorno del siero di AstraZeneca. Qualche problema organizzativo non è mancato, soprattutto per i medici che non hanno personale di segreteria. Ora si guarda al possibile impegno futuro: «Se pensiamo al nostro impegno nella vaccinazione di massa che inizierà nelle prossime settimane, la prima cosa che viene in mente è che dovremo trovare delle modalità particolari, visto che si potrebbe trattare di numeri molto maggiori e che molte sale d’attesa dei nostri ambulatori sono poco capienti. Con l’aiuto dell’AUSL troveremo sicuramente la modalità più adatta, che ci consenta da una parte di vaccinare in sicurezza e dall’altra di operare senza stravolgere la normale attività ambulatoriale». Il dottor Gherpelli non si sottrae ad una domanda personale: cosa è rimasto nella sua mente di questo anno di pandemia? «La nostra professione ci porta ad essere a stretto contatto con la sofferenza delle persone (conosciamo ogni nostro paziente, nelle sue caratteristiche psicologiche e anche nelle possibilità di sostegno o meno da parte dei familiari). Professionalmente mi ha toccato molto la morte di due miei assistiti ad inizio pandemia. Ambedue cardiopatici, ma ancora in condizioni generali buone. Questo mi ha colpito molto, il perderli così rapidamente».

Per i medici di base il battesimo della vaccinazione contro il Covid-19 è avvenuto con il personale scolastico, a partire dal 25 febbraio scorso. Ogni medico aveva in media tra i 20 e i 30 pazienti da vaccinare. La categoria ha risposto bene, la maggior parte dei vaccinandi si è presentata, anche dopo

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incontri

Guido Pelliciardi

LA LEGALITÀ È UN BENE PREZIOSO L'EX MAGISTRATO GHERARDO COLOMBO: AMARE LA COSTITUZIONE PER ESSERE LIBERI «Le regole democratiche sono necessarie e utili per vivere, per il nostro benessere, per avere tutti le stesse sicurezze e possibilità di base»: lo ha sostenuto Gherardo Colombo il 2 marzo scorso in un doppio incontro in streaming con cittadini e scuole di Correggio. L’ex magistrato è conosciuto in particolare per avere fatto luce nei primi anni Novanta, assieme ai colleghi di “Mani Pulite”, su quel vastissimo mondo di corruzione, tangenti e favori illegali che ha avvelenato la politica, soprattutto i partiti di governo e le istituzioni, come pure numerose imprese e tanti cittadini. Ha poi lasciato la magistratura, non nascondendo una certa delusione per il mancato rinnovamento morale dell’Italia, ma con la consapevolezza che solo cambiando la testa degli italiani sarà possibile vivere in un Paese più giusto e civile. Da tempo è convinto che la sola repressione della magistratura non sia sufficiente per invertire la rotta e sconfiggere il crimine e l’illegalità. È per questo che è impegnato in un’opera incessante di formazione di una cultura democratica profonda ed autentica soprattutto

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nelle scuole. Non a caso, per l’occasione correggese, prima che con il pubblico si era incontrato, sempre in streaming, con gli insegnanti del nostro distretto nell'ambito di un progetto di formazione sull'educazione civica. L’ex giudice ritiene che la nostra Costituzione, fatta di un intreccio coerente di valori e regole, faccia fatica ad affermarsi perché la cultura degli italiani, intesa come sentire comune prevalente, vive di una pesante eredità, millenaria, di principi diversi da quelli democratici. L’Italia è un Paese che non conosce la sua Costituzione repubblicana perché a scuola, in famiglia, sui mass media se ne parla poco e non la si approfondisce. L’idea fondamentale della Costituzione, quella che siamo tutti uguali, che va superata una società verticale gerarchica che si perpetua intatta, non piace alla stragrande maggioranza dei cittadini. L’Italia pare apprezzare le gerarchie. Gli italiani paiono impegnati solo a scalare individualmente, anche in modo illecito, i gradini sociali che li sovrastano, non ad appianarli, dimostrando di essere figli di una storia fatta di disuguaglianze, oppressioni e privilegi. «La Costituzione nacque nel 1948 come reazione ad una devastante fase storica caratterizzata nei cinquant’anni precedenti da due guerre mondiali, dai massacri coloniali e nazionalisti, dalla Shoah e dalla bomba atomica. È nata perché questa storia non potesse più ripetersi. La Costituzione ha voluto riconoscere la dignità di tutte le persone e ha voluto garantire a tutti le stesse possibilità, dichiarandolo nella prima parte e garantendolo con le norme e le regole negli articoli seguenti». Lo spirito e gli articoli della Costituzione paiono essere però in conflitto con il pensiero dominante degli italiani di oggi. E quando le leggi sono in contrasto con la cultura, vince la cultura. Gli italiani non comprendono che le regole sono solo strumenti necessari per ottenere risultati migliori, utili e a

beneficio di tutti. E se non sono più ritenute giuste, vanno fatte cambiare, non aggirate. La lotta continua e senza limiti per prevalere sull’altro, per schiacciare l’altro, è dannosa per una comunità che ha invece bisogno che tutti siano responsabilmente partecipi e che considerino la legalità un bene e non un ostacolo. Avere presente quest’utilità comune e questa conquista del sapere e della civiltà umana ci farebbe vivere meglio, più sereni e sicuri. Farlo comprendere a scuola, coinvolgendo se possibile anche le famiglie, è lo strumento principe. L’incontro è stato presentato dal sindaco Ilenia Malavasi e condotto dal direttore di Radio Bruno Pierluigi Senatore. Dopo avere ascoltato questa “lezione magistrale” di Gherardo Colombo mi è sorta spontanea una domanda: per l’Italia dei Mille Campanili, dei Guelfi e dei Ghibellini, dei furbetti e dei sottomessi, dei plaudenti agli invasori di turno prima e agli uomini di potere senza scrupoli poi, durante la monarchia e il fascismo, senza dimenticare gli indifferenti e i collusi con mafie e corruzione, per questa Italia, mi chiedo, fare propria la cultura costituzionale è proprio un’impresa contronatura? Non sarebbe una rivoluzione civile che varrebbe la pena perseguire, per scongiurare quei rischi involutivi che evocano le pagine peggiori della nostra storia?

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incontri

Luisa Gabbi

DONNE, CREDETE NEI VOSTRI TALENTI

DACIA MARAINI E AGNESE PINI PER L’EVENTO DI PRIMO PIANO tevano per disporre del proprio corpo, oggi le donne debbono combattere per disporre del proprio nome». Concorde Dacia: «É giusto si riconosca che quel ruolo viene ricoperto al femminile». Quanto alle giovani generazioni: «Per stare nella competizione globale serve una competenza profonda – dice Maraini – e questa si ottiene solo investendo in una passione. Una qualsiasi, anche sulle piante o le formiche». Quale messaggio per le donne? Un augurio a tutte coloro «che credono in loro stesse e nelle altre donne», dice Agnese Pini e «Credete nei vostri talenti, investite nelle competenze» è il messaggio lanciato nell’incontro di Primo Piano dalla scrittrice Dacia Maraini e dalla direttrice de “La Nazione”, Agnese Pini. Un messaggio di coraggio, contro la paura, rivolto a tutte le donne e a tutte le giovani generazioni in occasione della Giornata internazionale dei diritti della donna, l’8 Marzo. L’evento “Donne è ancora tempo”, titolo tratto dalla poesia “Donne mie” della Maraini, ha consentito di intervistare due donne che “ce l’hanno fatta”. «Nella pandemia si è manifestata una questione di genere», ha detto Maraini. «Il mondo è ancora diviso in compiti e le donne ne hanno due: il proprio lavoro e la cura di anziani e bambini. Quindi sono più fragili e in un momento di difficoltà perdono il lavoro. Tra l’altro, rimanendo in casa, abbiamo assistito ad un aumento della violenza». «Le donne hanno perso più diritti, come tutte le categorie più deboli – ha confermato la giornalista Pini - La storia delle donne è una storia di millenni di sottomissione. Questo non deve scoraggiarci e dobbiamo partire dall’abbattere gli stereotipi, per esempio quello secondo cui “le donne non sanno fare

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squadra”». Sul tema della violenza è intervenuto, a sorpresa, Sergio Staino: accennando una strofa della popolare canzone “Malafemmena” e mostrando una vignetta, Staino ha posto l’accento sull’insensata “attenuante” del “troppo amore” in tanti casi di femminicidio. Dacia Maraini ha pubblicato nel 2020 due libri che si completano su donne e pandemia: “Trio”, romanzo epistolare durante la peste in Sicilia nel 1743 e il saggio storico con Chiara Valentini “Il coraggio delle donne”. Per Agnese Pini è stato un anno di febbrile lavoro giornalistico, inseguendo la “conoscenza”: «Vivevamo in un modello di società in cui ci ritenevamo invulnerabili, non mettevamo in conto di incontrare qualcosa che non conoscevamo. Ancora oggi ci sono poche certezze». «Vedo due Italie in contrasto, commenta Dacia - una consapevole del pericolo e un’Italia che nega la realtà. Spero nell’Italia più saggia». Interessante anche il confronto sul caso nato a Sanremo riguardo Beatrice Venezi, che preferisce essere chiamata “direttore d’orchestra”. Pini ha spiegato di aver scelto invece per il proprio ruolo la definizione “direttrice di un quotidiano”. «Negli anni ’70 le donne combat-

Dacia ribadisce: «Avere più fiducia in sé stesse e nelle altre donne, credere nelle proprie capacità, difendere i propri talenti, anche nei campi sempre stati maschili. Se ci si crede, si riesce». L’intervista è visibile sui canali You Tube e Facebook di Primo Piano e sui canali del gruppo di quotidiani QN, La Nazione, il Giorno e il Resto del Carlino, che hanno collaborato all’organizzazione dell’evento, avvenuto con il patrocinio del Comune di Correggio ed il contributo di Coopservice, Unipol Rental, Bett Sistemi, Cooperativa Sociale Ambra.

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istituzioni

Barbara Berretti

NUOVA VITA PER LA FONDAZIONE IL CORREGGIO

LA PRESIEDE IL PROFESSOR CLAUDIO FRANZONI

Il professor Franzoni davanti al “Ritratto di giovane donna” del Correggio. Il quadro, proveniente dal Museo Ermitage di San Pietroburgo, è stato esposto ai Chiostri di San Pietro a Reggio nel 2020 per una mostra voluta dalla Fondazione di Palazzo Magnani e curata dallo stesso Franzoni.

Domenica 28 febbraio, il nuovo presidente della Fondazione Il Correggio, Claudio Franzoni, nel corso di una diretta andata in onda su Facebook e sul canale YouTube della Fondazione stessa, ha presentato i membri del rinnovato Consiglio di amministrazione e la progettazione culturale che sarà perseguita dal nuovo CdA stesso. Il neo presidente Franzoni, che succede nella carica a Nereo Sciutto, oltre ad essere stato un apprezzato docente presso il Liceo Corso di Correggio è un noto e stimato storico dell’arte, autore di diversi libri e curatore di volumi e mostre. Proprio su Antonio Allegri, per la Fondazione Palazzo Magnani, il professore ha recentemente organizzato la mostra “Correggio, Ritratto di giovane donna”, tenutasi tra ottobre 2019 e

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marzo 2020 presso i Chiostri di San Pietro. Come vicepresidente è stata riconfermata Margherita Fontanesi, storica dell’arte socia della Galleria De’ Bonis di Reggio Emilia. Durante la diretta la dott.ssa Fontanesi ha spiegato come: «nello studio di un artista sia necessario andare in profondità per AUTOFFICINA

arrivare a conoscerne anche il modo di pensare» ed ha affermato di voler far sì che gli amanti e gli studiosi del Correggio possano addentrarsi nella vita del pittore, così da riuscire a comprenderlo a pieno ed amarlo come lo ha amato lei. Fanno parte del consiglio altri tre esperti: Elisa Bellesia, storica dell’ar-

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te specializzata in catalogazione dei Beni culturali e ora docente di lettere; Valter Pratissoli, docente e studioso di storia locale; Alessio Conti, esperto di marketing e comunicazione. La prof.ssa Bellesia, durante il suo mandato, si prefigge di far luce sugli aspetti della cultura materiale legati alle opere del Il Correggio: è convinta che lo studio dei materiali sia uno stimolo importante per approfondire la conoscenza di un artista; il professor Pratissoli punta a far comprendere il Correggio, inserendolo nella sua globalità culturale, perché ritiene che indagando nella storia dei luoghi in cui un artista ha vissuto e lavorato sia possibile fare scoperte minuziose ed importanti sulla figura dell’artista stesso; Conti cercherà di veicolare al meglio tutto ciò che riguarda il Correggio e le attività legate alla Fondazione. Proprio parlando di attività promosse dalla Fondazione, Franzoni ha annunciato che saranno organizzate, con una cadenza mensile, una serie di conferenze on line sul Correggio. Il primo di questi appuntamenti, dal titolo “Correggio e l’Europa”, è andato in onda, sempre sui canali Facebook e Youtube della Fondazione, venerdì 5 marzo, in occasione della 21° Giornata Allegriana. Durante la diretta il professor Franzoni, tramite l’analisi di interessanti fonti, è riuscito a dare agli spettatori un’idea precisa della posizione del pittore a livello europeo. Libri e dipinti esaminati, infatti, si sono mostrati strumenti molto efficaci per ricongiungere alcuni dei fili che collegano Antonio Allegri al mon-

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do della cultura europea; cultura che va intesa nel senso ampio del termine, in quanto anche tra letterati, poeti e filosofi sono innumerevoli gli autori che citano Il Correggio. Per comprendere l’ampio respiro della fama di questo nostro celeberrimo ed apprezzatissimo artista basta ricordare uno solo degli episodi citati dal Presidente: Stendhal, durante un suo viaggio, cambiò strada per visitare Correggio giusto per appagare il suo desiderio di vedere i luoghi in cui il suo amato pittore aveva vissuto, pur sapendo che qui non avrebbe trovato nulla che gli appartenesse. Questo episodio, tra l’altro, ci rimanda anche al presente e ai “pellegrinaggi” legati ad un altro nostro compaesano dalla fama indiscutibile! Nella progettualità del nuovo consiglio vi è poi l’intenzione di portare avanti un restyling del sito che, a detta dello stesso presidente: «dovrà rispondere alle esigenze di orientamento, crocevia, lettura». Orientamento perché storici, studenti e anche “semplici” curiosi potranno trovare nel sito le informazioni utili per orientarsi nel mondo del Correggio; crocevia perché diventerà un luogo in cui reperire materiali utili per lo studio dell’artista; lettura in quanto saranno messi a disposizione degli utenti non solo dati, ma anche tutto ciò che sul pittore è stato scritto. Gli strumenti digitali quindi, a maggior ragione in questo momento, diventano per il nuovo CdA uno strumento utilissimo, da rinvigorire e sfruttare a pieno, per favorire la promozione e la conoscenza di un grande artista che ha interessato e continua ad interessare l’Europa.

Negli intenti del Consiglio vi è poi anche l’idea di riprendere contatti con i musei per organizzare nuove mostre, ovviamente nei tempi e nei modi permessi dalla pandemia. Nell’attesa di poter partecipare alla prossima conferenza, fissata per domenica 18 aprile alle 17.30, che sarà condotta dalla dott.ssa Fontanesi e dal professor Pratissoli e riguarderà Il Correggio e i suoi committenti, non ci resta che augurare buon lavoro al Presidente ed al suo staff. Ci uniamo anche al ringraziamento, già espresso dal nostro Sindaco, nei confronti di questi cittadini che, a titolo gratuito, hanno messo e metteranno la loro professionalità al servizio della cultura.

La Fondazione Il Correggio, attiva dal 1996, è un istituto di Cultura deliberato dal Consiglio Comunale di Correggio con il concorso della Parrocchia locale e della Provincia di Reggio Emilia; è dedicata allo studio, alla valorizzazione e all’acquisizione delle opere di Antonio Allegri. Infatti, come ci ricorda il neo Presidente: “La Fondazione, in questo arco di tempo, ha lavorato su più fronti, sempre in nome dell’amore per il grande pittore rinascimentale: da un lato ha acquisito alcune opere a lui attribuite oggi conservate presso il Museo Civico, dall’altro ha promosso la pubblicazione di un’ampia serie di ricerche sull’artista coinvolgendo una larga serie di studiosi italiani e stranieri”.

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lavoro

Giacomo Bigliardi

INATTIVI E DISOCCUPATI, IL DRAMMA È DEI GIOVANI

CARLO VENERONI: DARE VALORE AL LAVORO E AL LAVORATORE

Carlo Veneroni, coordinatore CGIL zona Correggio

Lo scorso mese abbiamo incominciato ad osservare il mondo del lavoro. Nel farlo, abbiamo deciso di metterci soprattutto nei panni dei giovani, che si trovano a dover attraversare questo momento storico così complicato. E “complicato” è un eufemismo: fare qualunque tipo di progetto a breve, medio o lungo termine è quasi impossibile. Le nuove generazioni sono quelle a cui l’Europa sta destinando la maggior parte dei fondi, quelle su cui anche il nostro paese sa di dover investire per uscire dallo stato di crisi cui ormai abbiamo fatto l’abitudine. Ma queste generazioni sono anche quelle che stanno faticando di più, come dimostrano i recenti dati Istat sull’occupazione. Proprio a metà dello scorso mese, infatti, sono usciti i risultati delle rilevazioni dell’Istituto Nazionale di Statistica sullo stato di salute del mondo del lavoro nel quarto trimestre del 2020. Questi ci permettono di dare uno sguardo anche all’intero 2020, per capire le tendenze in atto che ci porteremo dietro anche nei prossimi mesi. In generale, notiamo

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che l’occupazione continua a calare (-1,8% rispetto al quarto trimestre 2019) e ad essere sempre meno sono soprattutto i dipendenti a termine e i lavoratori part-time. Il calo occupazionale dello scorso anno è stato descritto dall’Istat come “senza precedenti” (-456mila posti di lavoro in tutto il 2020); in parallelo, in costante aumento è il numero dei cosiddetti “inattivi”, ossia coloro che non lavorano e non cercano da lavorare. Il numero degli inattivi è un dato di grande importanza: ad una prima impressione infatti, i dati dimostrano un abbassamento della disoccupazione. Il problema è che sempre più persone smettono di essere “disoccupate” non perché trovano lavoro, ma perché smettono proprio di cercarlo, il lavoro. E perché questo succede? Molti trovano la risposta nel cosiddetto “effetto scoraggiamento”, che riguarda tutti coloro che rinunciano o rimandano la ricerca del lavoro, frustrati dalle continue delusioni. La provincia di Reggio Emilia, per tanti aspetti, si dimostra un esempio virtuoso, con un tasso di disoccupazione del 3% per gli uomini e del 6% per le donne (da notare, però, che la disoccupazione femminile è maggiore di quella maschile, cosa che purtroppo accade nei dati di tutte le regioni italiane tranne la Val D’Aosta). Veniamo agli inattivi sulla nostra provincia: secondo le stime dell’Istat, sul nostro territorio ce ne sono ben

97mila tra i 15 e i 64 anni; tutte persone prive di lavoro che non ne sono in cerca. Si tratta del 23% degli uomini e il 34% delle donne. Per quanto riguarda invece le fasce d’età, l’Istat conferma che in tutta Italia il maggiore colpo è stato subito dai giovani, quelli tra i 15 e i 34 anni. Questa, in estrema sintesi, la panoramica che ci portiamo dietro in questo periodo così travagliato. Com’è possibile che già a vent’anni un giovane si ritrovi, per frustrazione o mancanza di possibilità, ad unirsi all’ormai folta schiera degli inattivi, rinunciando anche allo studio? In atto ci sono dinamiche che vanno a toccare molti punti: abbiamo avuto modo di parlarne con Carlo Veneroni, coordinatore della Camera del Lavoro per la zona di Correggio. «Già prima della pandemia, i giovani sono stati una categoria debole, così come le donne», ci ha confermato. «Sono categorie che già partivano da una base più esposta, e di fronte ad un evento mondiale devastante come la pandemia, hanno subito le conseguenze maggiori. Se una volta un giovane entrava nel mondo del lavoro a quindici o sedici anni, finendo la sua carriera lavorativa nella stessa azienda, oggi non è più così. Questo è risaputo, ma a livello legislativo non ci sono stati cambiamenti per adeguarsi a questa nuova realtà. Se viene a mancare il posto fisso, allora servono percorsi che permettano il passaggio da un

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posto di lavoro all’altro, ma non ci sono. Sono sempre di più i settori in cui ormai è la norma lavorare qualche mese, poi staccare, riprendere e via così». Le trasformazioni in atto, sostiene Veneroni, non si fermano all’aspetto economico, ma riguardano anche la sfera culturale e sociale. Cosa significa oggi “essere giovane”? Quando si finisce di esserlo? «Oggi abbiamo una sorta di finzione culturale per cui si è giovani fino a quarant’anni», prosegue, «ma penso che anche questo sia frutto dei cambiamenti di cui stiamo parlando. Una volta, una persona diventava adulta quando entrava stabilmente nel mondo del lavoro. È una concezione che c’è sempre stata nel nostro territorio: quando uno acquisiva il lavoro, poteva programmare il proprio futuro ed entrare nell’età adulta. Oggi com’è possibile programmare il proprio futuro?» Domanda a cui, purtroppo, diventa sempre più difficile rispondere. E continua: «Poi c’è il fenomeno di tutti quelli che non studiano, non lavorano e non fanno formazione, che è molto grave. Tra una ventina d’anni questi giovani

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sempre giovani, che riescono ad avere una continuità contributiva attorno ai quarant’anni, si ritroveranno con delle pensioni che non garantiranno alcuna serenità». Chi scrive questo articolo è, a tutti gli effetti, uno di questi giovani che studiano, non sanno bene quando e come entreranno nel mondo del lavoro, se ci riusciranno, e soprattutto facendo cosa. Di fronte a tutte queste condizioni, è svilente sentire anche la solita cantilena dei “giovani fannulloni”, che mancano di iniziativa e perdono tempo tutto il giorno. «Non è che tutti questi giovani stanno in casa e vivono con i genitori perché non si prendono le proprie responsabilità», afferma Veneroni, «spesso lo fanno proprio perché sono responsabili, sanno che andrebbero incontro ad un fallimento, per loro e per la loro famiglia. Stiamo trasformando il lavoro in qualcosa che ti dà una ricompensa, vitto e alloggio, e ti va già bene se riesci a chiudere qualche spesa. Un altro slogan che sento dire spesso è che un cattivo lavoro è meglio di nessun lavoro: abbracciare questo tipo di filosofia è la

tomba di ogni tentativo per costruire un futuro migliore per i giovani». Quali sono gli antidoti? Difficile a dirsi. Sicuramente, studiare rimane un elemento di grande valore. Le statistiche continuano a dimostrare che chi ha un titolo di studio più elevato, a distanza di un certo numero di anni ha un posto di lavoro migliore. Ma non tutti hanno il desiderio di studiare: ed è per questo, sostiene anche Veneroni, che è necessario dare garanzie a tutti i tipi di lavoratori, quelli più e meno qualificati, dar loro buoni stipendi, evitare di creare una spaccatura nel modo in cui “guardiamo” alle diverse professioni. Nessun lavoro ha una minore valenza sociale. È necessario dare valore al lavoro ed al lavoratore, valorizzare le competenze di ognuno e creare dei percorsi che aiutino le persone a potere sfruttare, queste competenze. Un giovane che non ha la possibilità di sfruttare le proprie capacità non è un giovane fannullone, è un giovane che non ha potuto prendere in mano il proprio presente per costruirsi un futuro. Non possiamo permettere che questo accada.

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SEMPRE AL FIANCO DEI PIÙ DEBOLI CLAUDIA GUIDETTI, MAESTRA DI UMANITÀ

Claudia Guidetti ai Laghi di Mantova nella primavera 2018, insieme alla figlia Simona.

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ricordo

Sergio Calzari Presidente della Fondazione Dopo di Noi

Nella serata del 7 marzo scorso, alla vigilia della Festa della Donna, ci ha lasciato Claudia Guidetti: una mamma, una moglie, un’autentica protagonista nel mondo del volontariato, una donna che ha condotto con tenacia una vita esemplare. Una grande combattente, che mai si è arresa davanti alle difficoltà e alle traversie. Noi, del mondo della disabilità, ci sentiamo orfani del suo attivismo, della sua contagiosa voglia di fare. Metteva in movimento ciò che di più bello e caro custodiamo nei nostri cuori: l’oggi e il domani dei nostri ragazzi e ragazze. Tutta Correggio, nella vitalità delle sue Associazioni del volontariato, si sente persa, smarrita, poiché Claudia era un’anima bella e preziosa, che cimentava, riuniva, interloquiva con quello straordinario mondo che quotidianamente si mette a disposizione degli altri, dei più deboli, di chi fatica a tenere il passo: Auser, Proloco, I ragazzi di Trocia, Progetto Valerio, Ciao Correggio insieme, una associazione che ha donato per Claudia, il gruppo Feste di Gianni Catellani, gli attivisti di sport e solidarietà, gli Amici del cuore, Ciao Correggio insieme, il laboratorio Creazioni, Siamo con Te, il gruppo feste di Fosdondo, e altri. La stessa Amministrazione Comunale, così come la direzione distrettuale dell’Asl, ha sempre trovato in Claudia una protagonista agguerrita, un’interlocutrice capace di mettersi al tavolo dove si costruivano nuovi servizi, nuo-

ve attività, nuove visioni rivolte alla disabilità. Un immane lavoro ha fatto nel superare ostacoli di varia natura: culturali, sociali e umani, affinché il mondo della disabilità venisse conosciuto nella sua dimensione reale, nella sua sofferenza, ma anche e soprattutto nell’autenticità positiva che riesce ad infondere in un modello sociale a volte distante dai bisogni delle persone in carne ed ossa. I gioielli che ci lascia Claudia sono tanti, tutti di attualità e vitalità. Due in particolare meritano di essere ripresi: il primo è la costituzione, risalente a trent’anni fa, di ANFFAS Correggio, l’associazione delle famiglie con persone disabili, che ha animato e cresciuto con passione e determinazione. Il secondo è la nascita, risalente a fine 2008, della “Fondazione Dopo di Noi” di Correggio, d’intesa con le associazioni “Sostegno & Zucchero” e “Traumi cranici” e con il coinvolgimento dell’associazionismo e delle Amministrazioni comunali del distretto. I laboratori “socio-occupazionali” d’inserimento lavorativo, il ruolo importante nella cooperativa sociale “Il Bucaneve”, il qualificato e importante lavoro svolto nelle commissioni locali, regionali e nazionali, ove partecipava con assiduità, rimangono e rimarranno la prova provata della sua forza, del suo coraggio, sempre in prima linea. La vita di Claudia è stato un atto d’amore. Ci sentiamo orfani, in quanto privi di un’amica vera, di una

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compagna di viaggio che aveva ben chiaro quale fosse l’approdo sicuro al quale attraccare; una combattente di razza che, nonostante una vita irta di asperità, ha saputo sempre gettare il suo sguardo ed il suo ardore oltre ogni ostacolo. Nel giorno delle sue esequie, celebrate nella Chiesa di San Pietro all’Espansione sud, dopo il saluto di Antonella Ternelli dell’Anffas, la nipote Sofia ci ha ulteriormente aperto il cuore, parlando di una nonna vera, materna, straordinaria. Al marito Franco Schiatti, alle figlie Sara e Simona, a Sofia va tutto il nostro affetto, la nostra vicinanza e soprattutto una promessa: sosterremo ciò che Claudia ha creato con determinazione, per onorare lei ed il mondo della disabilità. In primis l’impegno di portare a termine la costruzione di “Casa Mia”, la casa per il futuro dei nostri ragazzi e ragazze, il progetto che ha visto Claudia sempre in prima linea.

Il Consiglio di Amministrazione della Fondazione Dopo di Noi Onlus di Correggio, riunitosi in via straordinaria il giorno 10 marzo scorso, ha unanimemente deliberato di denominare “CASA CLAUDIA” la costruenda dimora d’accoglienza per i ragazzi, ragazze, persone disabili che sta sorgendo tra Via Ghidoni e Via Mandriolo Superiore a Correggio, fin qui conosciuta come Casa Mia. La decisione del Consiglio vuole riconoscere alla vice presidente Claudia Guidetti lo straordinario apporto dato per la nascita e la crescita della Fondazione. Il suo nome rimarrà in un luogo, da Lei fortemente voluto, ove abiteranno i valori della famiglia, della solidarietà, dell’amore.

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Pietro Oleari

OPINIONI D’AUTORE

PRENDERSI CURA È COSA BUONA E FECONDA

MONSIGNOR LUCIANO MONARI: C’È BISOGNO D’UMANITÀ Monsignor Luciano Monari è uno che … Correggio gli vuol bene! Biblista, direttore spirituale, vescovo, e ciò nonostante sempre disponibile ed amichevole coi gruppi frequentati a Correggio ed a Canolo fin dai primi anni settanta. Dopo essere stato vescovo di Piacenza e di Brescia, da 1995 al 2017, è ritornato a Sassuolo, la sua città d’origine, per fare il curato. Il suo magistero pastorale è vastissimo e tante sono le comunità con cui è in rapporto. Colto, saggio, autorevole, il suo dire è stimolante anche in senso laico e civile. Tanti correggesi non si stancano di ascoltarlo, dopo 50 anni, e continuano a chiamarlo semplicemente don Luciano. Faccio parte anch’io di questa tribù fortunata.

Don Luciano, Correggio non ti molla. Un legame tenace, frutto di una dichiarazione d’amore risalente agli anni settanta, che non si è persa. Come vescovo hai guidato diocesi dell’importanza di Piacenza e poi, ancora di più, di Brescia. Ma, confessa, ti è mancata Correggio? «Correggio è stata una delle prime parrocchie dove sono stato invitato per incontri coi giovani e certamente quella che ho frequentato più assiduamente. Si è formato un legame robusto, che resiste nel tempo. A Correggio abbiamo pensato, discusso, riflettuto;

ci abbiamo messo tutto l’entusiasmo e le energie, e anche un po’ di creatività. Insomma, è stata una stagione bella e rimane una memoria grata, che aiuta a vivere». Siamo in presenza dei lettori di Primo Piano, una tribuna civile: come possono essere interpellati, in tempo di pandemia, dal messaggio quaresimale? «La Quaresima è un tempo di conversione corale. Conversione vuol dire cambiare direzione; corale significa agire come popolo. Ora, che sia necessario cambiare strada, che molte cose

non funzionino, che molte speranze siano appassite non ha bisogno di dimostrazioni ed è problema che preoccupa tutti, credenti o non credenti. L’interrogativo è: debbono cambiare gli altri o debbo cambiare io? Cambiare gli altri è un’impresa titanica che supera le nostre forze; cambiare noi stessi è, almeno in parte, in nostro potere. Cominciare da qui, dal mio tentativo di cambiare in meglio; e siccome facciamo il cammino insieme il mio cambiamento produce anche qualche cambiamento negli altri, e quindi un cambiamento sociale». E la Pasqua cosa ci dice? «Che la paura della morte è relativizzata. Nella lettera agli Ebrei c’è scritto che il diavolo si serve della paura della morte per rendere gli uomini schiavi e cattivi. La risurrezione di Cristo, relativizzando il potere della morte, aiutandoci a superarne la paura, produce degli spazi di speranza e di libertà. E così Paolo può scrivere: “Io sono persuaso che né morte né vita, né presente né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù, nostro Signore”. Questo si chiama: libertà». Tempo di speranza, dunque. Ma questa prospettiva sulla speranza, oggi, nella sofferenza portata

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Monsignor Luciano Monari con Papa Francesco in Santa Marta, Città del Vaticano, settembre 2018

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dalla pandemia, non rischia di essere provocatoria? «Perché? L’uomo vive di speranza e la speranza non scompare mai del tutto. Il problema vero è sapere quali sono le speranze che nutriamo. Ci sono speranze dal fiato corto che riguardano l’immediato e ci sono speranze profonde che possono sostenerci in mezzo a tutti gli alti e bassi della vita. Solo una speranza profonda può sostenere un impegno, prolungato nel tempo, verso livelli di umanità più alti. La speranza si stende verso un futuro possibile; un eventuale fallimento non la cancella, la costringe invece a definirsi meglio». Tu hai detto che “dobbiamo essere responsabili della nostra vocazione a diventare umani”. È una responsabilità laica? «Molto semplicemente: l’uomo non nasce fatto ma da fare. Fare l’uomo significa far crescere un soggetto che diventi intelligente (cioè che s’interessa del mondo e cerca di capirlo), ragionevole (che sa fare autocritica e valutare correttamente le sue idee), responsabile (che sa ponderare e decidere), buono (che, quando decide, sceglie il bene). Far crescere un uomo così è il capolavoro di un’educazione e di una maturazione personale. Rinunciare a questo significa rinunciare a essere persone autentiche. Quindi si tratta certamente di una responsabilità di tutti e, in questo senso, di responsabilità “laica” nel senso più bello del termine». Il magistero di papa Francesco è divenuto una bussola anche per i non credenti. Si può dire che sia uno dei pochi pensieri lucidi e lungimiranti sui grandi problemi dell’umanità?

«È vero. Ma mi chiedo: perché le cose stanno così? In che cosa papa Francesco è competente? E la risposta può essere una sola: è competente in umanità. Sa che cosa significa sentire, pensare, agire umanamente. Lo sa perché lo vive. L’ho sempre sentito parlare della dignità della persona umana e dell’importanza che l’economia favorisca questa dignità, non la mortifichi, che si prenda cura. Credo che “prendersi cura” sia l’atteggiamento più creativo, grato e fecondo da coltivare». “Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento” le parole del papa nella Laudato Si sembrano drammaticamente profetiche. «Se non siamo sciocchi, dobbiamo fare le scelte necessarie per evitare quegli eventi catastrofici che creerebbero povertà e sofferenze immense. Ed è questo che papa Francesco ci sollecita a fare: a prenderci cura dell’ambiente nella consapevolezza che il nostro destino di razza umana è legato allo stato concreto della terra. Dobbiamo fare un passo oltre l’interesse che ci viene istintivo e questo è possibile solo con la consapevolezza che la vita delle generazioni future dipende in gran parte dalle scelte che noi facciamo oggi. E dobbiamo rinunciare a qualcosa del nostro benessere oggi per garantire un benessere sufficiente alle generazioni future domani. Papa Francesco parla di un’ecologia integrale, che non chiede solo l’attenzione ai fenomeni della natura, ma anche all’uomo, alla sua intelligenza, onestà, generosità. Solo una visione integrale del bene dell’uomo può aprire strade promettenti».

Secondo papa Francesco non possiamo più essere schiavi dell’economia capitalista, intesa come economia che pensa prima di tutto al profitto. «Il profitto è necessario nell’impresa economica perché esprime la validità dell’impresa stessa. Ma non è lo scopo dell’impresa, che è invece di contribuire a migliorare la vita delle persone e il funzionamento della società. Per questo il profitto non può essere il valore supremo; quando lo diventa mortifica inevitabilmente le altre dimensioni della persona e della società. Questo è l’insegnamento sociale dei papi: l’impresa è per l’uomo e non viceversa. Papa Francesco ha rinvigorito la ricerca ed il dibattito sull’economia civile (o anche economia di comunione), impegnando intellettuali e giovani studiosi su modelli alternativi e nuovi stili di vita». Papa Francesco ha ripreso una celebre affermazione che già fu di Paolo VI: “La politica è la più alta forma di carità”. Come la spieghi? «La politica è lo strumento attraverso il quale si prendono decisioni che hanno come fine il bene della polis, cioè il bene di tutti. Quando facciamo questo compiamo una scelta di carità (cioè di amore), la più alta che l’uomo possa compiere, proprio perché è rivolta al bene di tutti. Quando i politici fanno bene il loro servizio, le famiglie riescono a vivere meglio e se le famiglie vivono meglio, le singole persone hanno migliori opportunità di crescere e creare e amare e donare, le imprese economiche possono funzionare meglio, i deboli sono protetti, la giustizia dirige i rapporti tra le persone. Cosa c’è di più nobile in questo mondo?».

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Laura Losi

IL PIACERE DELLA CARNE ESIGE TANTA CURA

IL CENTRO CARNI ED I SUOI PRIMI QUARANT’ANNI

Simone Ferretti, Guido Menozzi, Luca Bizzarri e Andrea Montanari

Per ogni momento conviviale che si rispetti, per ogni grigliata, ogni pranzo del dì di festa o anche di un giorno comune, è d’obbligo un rifornimento di “materia prima” degno di rispetto. Certo, in questo periodo di distanziamento sociale abbiamo dovuto mettere in stand by i grandi ritrovi e le atmosfere festose, ma di cibo si deve pur parlare … ed ecco che si fa tappa qui, al Centro Carni di Correggio. Dal giorno dell’inaugurazione del negozio in Via Don Minzoni sono trascorsi quarant’anni giusti. Era l’11 aprile 1981, quando lo spirito imprenditoriale e la passione per l’arte della macelleria dei tre soci fondatori Giovanni Bagnacani, Tiziano Bassoli e Gianni Ferretti diedero il via ad un’esperienza di successo, che ha visto poi l’avvicendamento di nuovi soci, l’assunzione di dipendenti e l’apertura di punti vendita in altri comuni. Con gli attuali amministratori ripercorriamo la storia del “Centro Carni Correggio” per farci un’idea di cosa significhi, in questo tormentato 2021, tagliare il traguardo del quarantesimo complean-

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no. Quello che contraddistingue il successo di questa realtà tutta correggese è la voglia di lavorare insieme, di portare avanti un obiettivo ragionando sempre come team, facendo tesoro delle basi gettate dai fondatori, ma mantenendo lo sguardo rivolto verso il futuro. L’attuale compagine societaria è infatti costituita da quattro “ragazzi” che prima di diventare amministratori sono stati giovani apprendisti: Guido Menozzi, Luca Bizzarri, Simone Ferretti (per così dire “figlio d’arte”) e Andrea Montanari, con il quale ci intratteniamo.

ad arrivare a quattro punti vendita: la nostra base rimane sempre in Via Don Minzoni, poi nella seconda metà degli anni ’90 abbiamo aperto un punto vendita in Corso Mazzini, successivamente trasferito in Piazzale San Rocco; nel 1996 abbiamo aperto a San Martino in Rio e per ultimo nel 2012 a Carpi. Per questo motivo abbiamo ampliato il personale con nuove assunzioni, fino agli attuali venti dipendenti, che ruotano su tutti i punti vendita a seconda delle necessità». Quanto conta la provenienza delle

La chiave del vostro successo, Andrea? «Innanzitutto l’attenzione alla qualità delle materie prime che proponiamo al cliente. La ricerca delle carni migliori ha sempre contraddistinto il nostro negozio sin dai tempi dei soci fondatori, dai quali abbiamo imparato a selezionare i vari tagli ed a lavorarli al meglio. Grazie a queste basi e alla passione che ciascuno di noi ha maturato, lavorando senza mai guardare l’orologio, siamo riusciti ad espandere l’attività fino

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materie prime agli occhi del consumatore? «Per essere apprezzate dalla clientela, le carni devono mantenersi costanti nel livello qualitativo, senza mai variare verso il basso: se il cliente rimane soddisfatto, ripete l’acquisto, altrimenti, con la concorrenza che c’è oggi, è un attimo perderlo. Abbiamo costruito un rapporto aperto con gli acquirenti, che devono sentirsi assolutamente liberi di farci presente gli eventuali difetti che hanno riscontrato… anche se ammetto che questo capita raramente! In ogni caso, ogni critica è per noi costruttiva e ci aiuta a gestire al meglio il prodotto». Quindi anche in questo mestiere il capitale umano ha il suo valore. «Certamente. Da una parte c’è il cliente, che è il termometro del livello di gradimento, dall’altra c’è il personale, che indubbiamente è la nostra forza. Ogni singolo dipendente è un valore aggiunto che con l’esperienza maturata sul campo dà il suo personale contributo per un costante miglioramento. Mi spiego: noi quattro soci siamo gli amministratori, ma da Statuto siamo anche prestatori d’opera, quindi lavoriamo tutti i giorni e lo facciamo insieme al nostro personale. Siamo una grande famiglia e ci scambiamo liberamente consigli e suggerimenti, consapevoli che ognuno può fare la differenza. Come abbiamo fatto noi alcuni anni fa, se un dipendente vuole fare il grande passo può diventare a sua volta socio prestatore d’opera e mettersi in gioco». Avete registrato differenze nelle abitudini alimentari dei vostri consumatori nell’ultimo anno? «Assolutamente sì. Certo, rispetto a tante categorie merceologiche, i generi

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alimentari come i nostri non hanno subito grossi cali delle vendite; piuttosto è la clientela ha cambiato il suo approccio verso il prodotto. Si informa sempre sulla provenienza delle carni, si assicura che questa sia sempre nazionale e non estera, magari riduce un po’ la quantità ma chiede prodotti di prima scelta. È per questo motivo che sia i salumi che tutte le nostre carni sono nazionali (con la sola eccezione della scottona), certificati e sottoposti a costanti controlli ed ispezioni da parte degli Enti preposti, che superiamo sempre con esito positivo, questo lo possiamo dire con un pizzico di orgoglio». Oggi si fa un gran parlare di differenza tra carni bianche e carni rosse a livello nutrizionale, avete notato una variazione della domanda nel corso degli anni? «Oggi quello che si mangia deve essere sì buono, ma anche salutare. Questo ha significato un calo nella vendita di carni rosse a favore delle bianche, ma solamente per quanto riguarda il manzo. Possiamo dire che la polleria costituisce il 40% delle vendite (vent’anni fa era il 20%), il suino il 35% (dato costante) e il manzo il 25%». Come reagite all’evoluzione della richiesta dei consumatori? «Negli ultimi anni abbiamo riscontrato un incremento della richiesta di prodotti già pronti, per cui alla tradizionale macelleria al banco abbiamo affiancato prima prodotti pronti da cuocere, poi anche prodotti cotti e solo da scaldare, come i polli allo spiedo e la nostra porchetta, che modestamente ci riesce proprio bene. Un paio di anni fa abbiamo investito in un forno ad hoc, la prepariamo a cottura lenta a 80 gradi per 6/8 ore e notiamo che è molto ap-

prezzata». In questo periodo in cui molte famiglie risentono della crisi economica, avete attuato misure particolari di sostegno al consumatore? «Come Centro Carni già diversi anni or sono avevamo attuato iniziative di sostegno economico a determinate fasce di consumatori: uno sconto del 10% per una settimana al mese ai pensionati e per un’altra alle famiglie. Attualmente abbiamo invece scelto di agevolare il risparmio dei nostri clienti, senza differenze di tipologia, proponendo ogni settimana, a rotazione, una decina di prodotti al prezzo di costo. L’iniziativa è gradita, consente un risparmio significativo per tutti e per questo la porteremo avanti anche in futuro. Poi da sempre abbiamo il servizio al banco gratuito. Con la pandemia abbiamo anche attivato il servizio di consegna a domicilio, su prenotazione, che ogni settimana conta su una quindicina di prenotazioni». Progetti per il futuro? Come vedete la “sfida” con l’alimentazione vegan? «Siamo fiduciosi che la passione per il nostro lavoro saprà spronarci a dare sempre il meglio e ci consentirà di trasmettere ai nostri clienti la consapevolezza che possono fare spesa da noi in fiducia, poi chissà, magari riusciremo ad ampliarci ulteriormente. Obiettivo primario è il mantenimento del fatturato, che da 5 anni è in crescita e che ha raggiunto i 4 milioni di euro. Le abitudini alimentari vegetariane e vegane le lasciamo a chi le apprezza: sono scelte che vanno rispettate. Però, posso dirlo? Non sanno cosa si perdono!». Ringraziamo Andrea per la disponibilità, e speriamo presto, alla prossima grigliata in piazza, tutti in compagnia!

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Luciano Pantaleoni

LE NUOVE ESIGENZE ABITATIVE DEI CORREGGESI

NICOLA BOSSI: COSÌ SI MUOVE IL MERCATO IMMOBILIARE Nicola Bossi è il titolare dell’Agenzia immobiliare Gabriella, fondata a Correggio nel 1987 da Gabriella Tegani, mamma di Nicola: è stata la prima realtà in campo di intermediazioni immobiliari e, da allora, è un costante punto di riferimento per le famiglie e per gli operatori interessati ad acquisire o vendere immobili. Dal 2020 Nicola è anche presidente provinciale FIAIP (Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali). Questo incarico rende merito ad un professionista serio e competente, che ha sempre svolto con impegno e perizia il proprio mestiere. Ci rivolgiamo a lui per cercare di capire i cambiamenti in atto nel mercato immobiliare del nostro comune a seguito della crisi iniziata nel 2008, che ha portato al fallimento di molte imprese e alla scomparsa di molti operatori, e alle conseguenze derivanti dalla pandemia. «A livello nazionale, fino al 2007, c’è stato un ciclo immobiliare che ha portato i prezzi degli immobili a crescere in modo costante, fino a quando, con l’inizio della crisi, abbiamo assistito ad una fase di stallo, in concomitanza con la diminuzione dei valori e delle richieste, aprendo così l’inizio di un nuovo ciclo immobiliare “negativo”. Dal 2014 in poi abbiamo assistito a una lenta ripresa rispetto al precedente trend negativo, anche se le quotazioni immobiliari si sono mantenute basse o stabili. Nonostante nel 2020, a livello nazionale, il numero di compravendite sia calato rispetto all’anno precedente (la realtà di Correggio ha comunque mantenuto un numero brillante di transazioni), le previsioni del primo trimestre 2021 sono positive, prevedendo che il mercato del mattone registrerà ulteriori rialzi, grazie alla rimodulazione della domanda immobiliare iniziata dalla fine del lockdown marzo-aprile 2020. Complici di

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questo incremento anche gli incentivi fiscali del Decreto Rilancio ed il desiderio di avere un immobile con nuovi requisiti e caratteristiche che soddisfino le attuali esigenze e aspettative. Il piano Nazionale di Rilancio è volto a far ripartire il settore immobiliare, strategico per il nostro Paese non solo per l’importanza economica, ma anche perché coinvolge oltre un milione di addetti e da sempre ha il più elevato coefficiente di attivazione della vita economica del Paese. Riveste anche un’importanza sociale se si considera che l’80% degli italiani è proprietario dell’abitazione in

cui vive e che, da sempre, in Italia esiste un radicamento della “Cultura della casa” unico al mondo». Quali esigenze manifestano le famiglie che cercano casa? «In questo particolare momento, le famiglie che non sono state economicamente intaccate dalla pandemia hanno manifestato l’esigenza di case più ampie e con giardino. Da dopo il lockdown, chi ha potuto ha cercato di migliorare la propria condizione abitativa, pensando proprio alla casa come ad un luogo poliedrico, dove vivere, lavorare, studiare e stare anche all’aria aperta. Le nuove ricerche si dirigono sempre più spesso verso immobili autonomi: in un anno sono infatti aumentate, a livello nazionale, del 12,3% le preferenze per case indipendenti, villet-

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te a schiera, maisonette o appartamenti più ampi con terrazzo. Tutto ciò è stato favorito anche dal fatto che i tassi dei mutui non sono mai stati così bassi. Pertanto anche chi era in affitto, in spazi ristretti, ha colto l’opportunità di acquistare una casa più adeguata, tramutando l’affitto in rata di mutuo». La pandemia ha acuito la forbice tra chi dispone di ingenti risorse economiche e chi non ha disponibilità. Come si ripercuote questa situazione sul mercato immobiliare? «Purtroppo, con la crisi in corso, potremmo assistere a famiglie non più in grado di far fronte alle rate del mutuo e pertanto ad un aumento degli immobili all’asta. Servirebbe un fondo di garanzia che consenta di avere un pre-ammortamento di due anni senza pagare il capitale ed il prolungamento della durata residua del mutuo». Le agevolazioni fiscali hanno “scatenato” molto interesse sul recupero e la riqualificazione degli edifici. Come percepisci la situazione? «Efficienza energetica e riqualificazione del patrimonio immobiliare devono essere incentivati come volano per la crescita economica del Paese: la proposta di FIAIP è di rendere strutturali, sino ad almeno il 2025, le agevolazioni fiscali per gli interventi su tutti gli immobili, a prescindere dalla loro destinazione d’uso. La riqualificazione energetica degli edifici può infatti rappresentare la chiave per accelerare gli investimenti e valorizzare il mercato immobiliare nazionale. Va inoltre sottolineata l’esigenza di snellire le procedure di accesso alla pratica del Bonus fiscale, limitando gli adempimenti e l’eccessiva burocrazia che ne vanificano le finalità virtuose. Le agevolazioni fiscali ed il superbonus hanno sicuramente aiutato

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a riaccendere l’interesse sull’immobile usato da riqualificare, una tipologia immobiliare che prima veniva scartata per evitare le incognite della ristrutturazione». Il pericolo è si recuperino le case ma non vi sia nessuna riqualificazione del contesto. Forse servirebbero interventi più organici estesi anche alle strade, ai pedonali, ai parcheggi. Cosa ne pensi? «Agire in questo senso diventa difficoltoso, perché il tutto andrebbe gestito di concerto con la Pubblica Amministrazione, in un quadro molto più ampio arduo e complesso da gestire». Come stanno andando le transazioni di immobili commerciali: negozi, uffici e capannoni? «La situazione è piuttosto delicata. Di tutte le categorie immobiliari sicuramente gli uffici sono quelli che stanno soffrendo di più, sia per le compravendite che per le locazioni. Molti utenti si stanno spostando dal primo piano al piano terra e si assiste sempre più a nuove aperture di attività di servizi, che prendono il posto dei negozi: solo per fare alcuni esempi si pensi ad assicurazioni, servizi per utenze energetiche, etc. La grande distribuzione e l’e-commerce danneggiano e minano da tempo il lavoro legato al piccolo commercio e diversi negozi si trovano spesso in difficoltà: bisogna sensibilizzare i cittadini a servirsi dei negozi vicini a casa, perché un paese vivo è un valore per tutti. Aiutare i negozi con politiche di defiscalizzazione e incentivi agli stessi, affinché possano anch’essi essere più competitivi rispetto ai grandi colossi del web. I capannoni continuano ad avere un mercato sia per la compravendita che per le locazioni, con un trend stazionario: Correggio ha un’e-

conomia che si può definire dinamica e diversificata, anche dal punto di visto produttivo». Abbiamo peculiarità che ci differenziano dagli altri comuni del territorio? «La nostra forza è un polo industriale diversificato che, nonostante le diverse crisi economiche a cui ha saputo far fronte, ha mantenuto posti di lavoro e sicurezza economica; in alcuni casi, per alcune importanti imprese, si è verificata anche una importante crescita che ha consentito stabilità economica delle famiglie, presupposto essenziale per chi acquista un immobile. Correggio piace perché è una cittadina tranquilla e ben servita, dove si “vive bene”». Concludiamo questa intervista nei suoi uffici, posti al piano terra di un palazzo storico di Correggio. I luoghi che abitiamo ci rappresentano: una discreta eleganza ed un clima disteso accompagnano uno stile da esperto consulente, molto differente dall’immagine stereotipata del “venditore”. Sono interessanti le considerazioni sul tema della riqualificazione urbanistica: può essere governata solamente dall’Amministrazione Comunale. Sarebbe opportuno che in fase di programmazione nel nuovo Piano Urbanistico Comunale si definissero dei Master Plan di riferimento per i quartieri storici, in modo da avere strumenti operativi con i quali governare l’impatto dei singoli interventi. Questi Piani, redatti attraverso percorsi di ascolto e di partecipazione dei residenti, verrebbero vissuti dai cittadini come elementi di valorizzazione del territorio e, quindi, delle loro proprietà.

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economia

Mauro Degola

I BITCOIN, AFFARE O TRUFFA? GABRIELE BELLELLI NE SVELA IL MISTERO A Correggio ci sono risparmiatori attirati dagli strampalati profitti che ha consentito la moneta elettronica chiamata “Bitcoin”. Un Bitcoin valeva 4.600 euro nel 2019, oggi vale circa 47.500 euro, ma viaggiando continuamente sulle montagne russe. Ne è passata dell’acqua sotto il ponte ed Mareina da quando il principato di Correggio fece definitivamente bancarotta, intorno al 1630, per le frodi della locale zecca sul contenuto d’oro con cui venivano coniate le sue monete che avevano circolazione nei territori dell’Impero. Dall’Ottocento in poi, nelle economie che si espandevano, l’utilizzo della “banconota” svincolò definitivamente il “valore legale” della moneta dal suo “valore materiale”: la garanzia del “valore nominale” (quello impresso su ogni esemplare) era fornita dalla banca centrale dello Stato che le emetteva e che deteneva una riserva d’oro e di monete di riferimento (sterlina o dollaro) equivalente al circolante stampato. Ma da tempo anche quest’ultimo riferimento reale è venuto meno. Così adesso la nuova frontiera sembra essere la moneta immateriale, come il “Bitcoin”, oggetto misterioso che si è apprezzato a ritmi incredibili. Chiediamo di spiegarci come funziona al dott. Gabriele Bellelli, analista, educatore finanziario indipendente, investitore e apprezzato saggista della nostra città. «Il tema delle nuove monete virtuali divide l’opinione pubblica. Ci sono gli “smanettoni” che le adorano; ci sono gli scettici che parlano di truffa; e poi ci sono le persone pragmatiche che cercano di comprendere il fenomeno. Il Bitcoin viene creato con un processo chiamato “mining” (estrazione) attraverso l’utilizzo di tanti computer che elaborano complesse operazioni di calcolo e che assicurano il corretto funzionamento di questa moneta virtuale. Ogni “minatore” riceva una sorta di remunerazione per il suo lavoro, ogni 4 anni la remunera-

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zione viene dimezzata e sarà azzerata nell’anno 2140. I Bitcoin sono un bene finito, ossia è stabilito un numero totale massimo circolante di Bitcoin: 21 milioni di unità (fino a questo istante sono stati “estratti” circa 19 milioni di unità)». Affare o truffa, secondo lei? «Il mondo delle criptovalute è vasto, il Bitcoin è sicuramente la moneta più famosa ma non ne mancano altre di successo, come ad esempio Ethereum o Cardano. Ovvio che ci siano anche truffe, in particolare quando vengono proposte nuove valute. Inizialmente il Bitcoin è nato come strumento di pagamento online tra privati, senza passare attraverso l’intermediazione di una banca ma in completa sicurezza. Successivamente si è ampliato l’utilizzo da parte di negozianti, liberi professionisti e aziende. Non è un caso che negli Usa il gigante dei pagamenti online, Paypal, abbia da poco attivato la possibilità di effettuare pagamenti tramite questa valuta virtuale. Il fatto più vistoso è che il Bitcoin, da strumento di pagamento, è diventato anche uno strumento di speculazione finanziaria: nel 2017 il Bitcoin è sbarcato a Wall Street con il primo scambio di un contratto “future”, cioè è stato istituzionalizzato da una delle massime autorità borsistiche. L’estrema variabilità delle sue quotazioni nasce da un mix di fattori, tra cui quello che viene negoziato 24 ore al giorno per 365 giorni all’anno. Può essere che la

quotazione attuale del Bitcoin sia frutto di una “bolla speculativa”, il che non vuol dire che sia una “truffa” ma che corre gli stessi rischi di tutti i prodotti finanziari giovani (possono sgonfiarsi o al contrario evolvere in ulteriore crescita: pensiamo ai titoli tecnologici)». Ci parli un po’ dei pregi e dei difetti del Bitcoin. «Tra i pregi: è uno strumento di pagamento non gravato dai costi del sistema bancario, ma con un elevato grado di sicurezza; è legale; è un bene finito per cui potrebbe proteggere dall’inflazione. Tra i principali difetti: è uno strumento finanziario ancora non ben compreso; l’oscillazione delle quotazioni rimane elevata; non si sa come i governi e le banche centrali andranno in futuro a normare queste criptovalute». Infatti, essendo private, le valute elettroniche sfuggono al diretto controllo della politica monetaria, ma anche legale e fiscale, degli Stati. Alcuni Paesi, come l’In-

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dia, cominciano a progettare una propria criptovaluta di Stato. E un risparmiatore come dovrebbe comportarsi? «Il Bitcoin è quotato in un mercato regolamentato, quindi può essere negoziato sia in ottica di breve periodo che in ottica di investimento. Però sarei molto cauto, a causa della sua attuale volatilità, nel considerare il Bitcoin come un bene rifugio o come uno strumento per diversificare il portafoglio. Il risparmiatore deve valutare se ha una elevata propensione al rischio ed è pronto a sopportare notevoli oscillazioni di prezzo. Il secondo aspetto riguarda gli strumenti finanziari con cui eventualmente negoziarlo: a fianco dell’acquisto del vero e proprio Bitcoin in Internet sugli appositi siti, è possibile farlo tramite la propria banca all’interno di un ETN, uno strumento finanziario ben regolamentato. Il terzo aspetto riguarda il peso che può avere nel portafoglio di un risparmiatore: in base a numerosi test è stato calcolato che un peso congruo dovrebbe oscillare tra lo 0,50% e il 2%, mai oltre il 5%. Il quarto aspetto riguarda una possibile

strategia operativa da adottare in ottica di medio-lungo periodo: un piano progressivo di accumulo o, per i più esperti, essere pronti a vendere e riacquistare in base alle oscillazioni di mercato». Ringrazio Gabriele per le sue valutazio-

ni. Per parte mia, concludo con il consiglio di Bill Gates a chi è rimasto abbagliato dall’enorme investimento in Bitcoin fatto dal miliardario Elon Musk: «Se non avete i soldi che ha Elon Musk, evitate di comprare Bitcoin».

Il “Bit-coin” (o, tecnicamente, BTC) è una procedura informatica creata nel 2009 da un anonimo: è una “moneta virtuale” o “cripto-valuta”, cioè non fisica ma emessa da una procedura digitale; la “proprietà” di una somma di denaro viene garantita non da una banca, ma da un algoritmo noto solo al proprietario, che ne detiene la “chiave” di decifratura. I BTC sono codici che vengono generati da un computer secondo algoritmi codificati dall’inventore della procedura. La “zecca” è costituita da migliaia di centri informatici privati, che partecipano alla rete mondiale coi propri megacomputer: ognuno stabilisce autonomamente il prezzo di vendita dei propri BTC e ne segue la circolazione. La “quantità di circolante” dipende dalla generazione dei codici, fino a un massimo di 21 milioni di unità. Il “valore di scambio” è determinato esclusivamente dalla domanda di BTC. L’uso di questa moneta virtuale, negli esercizi commerciali che l’accettano, avviene semplicemente attraverso un QR-code generato dalla catena di algoritmi. La complessità della rete, che segue e valida tutte le transazioni (cambio di proprietà del BTC), e le sue procedure crittografiche di sicurezza richiedono enormi capacità di calcolo e di raffreddamento delle macchine, e quindi di energia elettrica. Per questo i maggiori aggregati di megacomputer partecipanti alla zecca sono concentrati soprattutto dove l’energia costa meno (Cina, Usa, Islanda), ed hanno un crescente impatto ambientale (si calcola pari, già oggi, all’energia consumata da un paese come la Nuova Zelanda).

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modellismo

Lorenzo Sicomori

A CORREGGIO C'È IL TRENO... DELLE MERAVIGLIE

UN PLASTICO STRAORDINARIO DI FERROMODELLISMO struire delle “rimesse” per i treni non in esercizio, ai piani sottostanti; per motivi di praticità il tutto è stato “appeso” al soffitto e si presenta come un “sandwich” a tre strati che possono essere alzati o abbassati attraverso un sistema di carrucole elettriche. Una soluzione ingegnosa che nasconde grande impegno e grandi competenze.

Da sinistra, Roberto Bartoletti, Gianpaolo Cavalieri e Marcello Maramotti

“Felice è l’uomo che può vivere del suo hobby” (G.B. Shaw). Questo è quello che traspare dai visi dei tre costruttori del plastico di modellismo ferroviario “I tre Borghi: progetto e realizzazione di Marcello Maramotti, con la collaborazione di Roberto Bartoletti alle luci e di Gianpaolo Cavalieri al paesaggio”, mentre iniziano ad illustrarmi i particolari del loro sorprendente lavoro. Già, perché non ti aspetti, varcando la porta di un anonimo garage in via Buonarroti a Correggio, di trovarti improvvisamente in un mondo fantastico, in movimento, pieno di luci e colori. Il plastico, lungo 11 metri e largo 2.5, riproduce, in scala ridotta, le ferrovie, i treni, la stazioni e tutto quello che vi ruota intorno: le città, i borghi e il paesaggio di un luogo che la fanta-

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sia degli autori ha generato con forti richiami a quello italiano dei primi del Novecento. Nonostante le grandi dimensioni, lo sviluppo delle ferrovie del plastico non riesce ad ospitare tutti i treni presenti ed è stato necessario co-

Marcello, come viene governato questo intenso traffico di treni su una rete ferroviaria che si interseca con tanti scambi, semafori, depositi di locomotori, con due stazioni e vari passaggi a livello? «Ho risolto questo dilemma attraverso un sistema computerizzato: utilizza un programma derivato da un software che comanda ferrovie “reali”, opportunamente modificato da un bravissimo ingegnere torinese che lo ha reso utilizzabile anche da un non specialista di computer come me; posso così richiamare un treno dalla rimessa, stabilirne il percorso, le fermate, la velocità e sarà automaticamente coordinato con gli altri treni che stanno in quel momento circolando sulla rete». Quando è iniziato questo enorme progetto? «Circa 20 anni fa, ma è stato continuamente ampliato e modificato; gli strati sotterranei risalgono al 2013. I model-

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La passione per i treni a quando risale? «Avevo cinque anni e accompagnavo mio padre che lavorava a Rubiera nel cantiere per la costruzione dello stabilimento Sagip, che era di fianco alla stazione dei treni: rimanevo ore a guardare affascinato il traffico ferroviario. Da allora la passione non è più venuta meno e, anche se ho fatto un mestiere che non aveva nulla a che fare coi treni, ho continuato a costruire modellini di ferrovie sempre più complessi e articolati; ora, in pensione, mi ci posso dedicare in tutta libertà. La bellezza di un modellino e la soddisfazione del costruttore è rappresentata dal “movimento”, anche se a volte i deragliamenti avvengono e allora si cerca di migliorare la tecnica. Questo movimento lo trasforma da una arida realizzazione tecnica in un viaggio affascinante, se viene inserito in un paesaggio che di notte si può anche illuminare. A questo hanno pensato i miei due amici e collaboratori modenesi, incontrati frequentando la comunità di appassionati di modellismo ferroviario, Gianpaolo e Roberto».

Gianpaolo, geometra, tecnico di cantiere, da pochi mesi in pensione, è l’architetto e costruttore del paesaggio del plastico. «La mia passione per i treni è nata da bambino, guardando la stazione di Modena che era vicina alla casa della nonna, dove passavo lunghi pomeriggi. Anche io costruisco plastici di modellismo ferroviario, anche se in scala più ridotta di questo, ma in particolare amo costruire paesaggi che possano ambientare e valorizzare i modellini. In questo caso ho voluto costruire un paesaggio di fantasia con una città e due borghi di montagna. Ho riprodotto fabbricati italiani di epoca non moderna. Le stazioni sono due: una, la più grande, ha la targa Reggio Emilia ma non la riproduce, mentre l’altra è la riproduzione in scala di quella di Pergine Valsugana, per ricordare la nota fabbrica di trenini Rivarossi, allora la mia preferita, che aveva il modellino di quella stazione. All’interno e all’esterno dei fabbricati cerco di ricostruire scene di vita comune, come una famiglia a pranzo, un bar con avventori al banco, impiegati in ufficio, operai di fabbrica, clienti che si recano ai negozi. I fabbricati che compongono il paesaggio sono circa un centinaio e, anche per un problema di costo, sono tutti autocostruiti in arte povera, vale a dire con materiali di recupero come carta, cartone, legno riciclato, fotocopie. Così le montagne, le gallerie, le strade utilizzano gli stessi materiali. Gli abitanti del plastico sono costruiti in pasta di sale, un materiale economico e facile da produrre. Per evitare l’effetto “presepe”, ho rispettato in modo rigoroso le proporzioni e ho adottato la scala H0 con un rapporto 1:87». Cala la sera quando improvvisamente il plastico si illumina creando una atmosfera veramente suggestiva. Mi rivolgo allora a Roberto,

modenese, ex bancario ora in pensione, che in questo progetto ricopre il ruolo di “tecnico delle luci”. «Ho ereditato la passione da mio padre che costruiva modellini: per me, bambino, erano meravigliosi. Collaboro con Marcello da tempo ed in questo plastico mi sono occupato della parte elettrica. Ho realizzato l’illuminazione delle abitazioni, i lampioni delle strade, le luci delle carrozze dei treni, dei negozi, delle stazioni e di ogni altro fabbricato funzionale; il paesaggio serale e notturno rende più completo il plastico. I punti luce sono realizzati con micro led, piccolissimi e molto luminosi, che acquistiamo direttamente in Germania. Un tema rilevante è la manutenzione: i carrelli dei treni devono essere continuamente lubrificati, i binari devono essere sempre puliti (la polvere è il principale nemico), i locomotori sempre in piena efficienza; solo così il plastico “vive”». Il lavoro di squadra ha realizzato un’opera piena di particolari e dettagli, divertente andare a scoprire poco per volta. Osservando i treni che partono, immagino di prendere uno zaino leggero e salire su una di queste carrozze-meraviglia per una destinazione qualsiasi, purché lontana. Qui, tra questi tre borghi, non ci sono zone rosse o arancioni.

Se interessati, Marcello sarà lieto di accompagnarvi ad una visita al plastico, previo appuntamento, chiamando questo numero: 348 8042295

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lini dei treni sono riproduzioni di treni italiani, dai primi treni a vapore al Freccia Rossa e sono acquistati sul mercato mentre le strade ferrate, i percorsi e tutto quanto riguarda il sistema ferroviario è stato progettato e realizzato dal sottoscritto. Nel 2014, sollecitato da diversi appassionati del settore, ho deciso di esporre il plastico alla fiera “Play festival del gioco” a Modena: per il trasporto ho dovuto noleggiare un bilico. Il montaggio e lo smontaggio hanno richiesto un grande sforzo, pur compensato dal successo riscosso. Ora sarebbe impossibile la movimentazione: chi volesse vederlo dovrà venire qui in via Buonarroti».

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personaggio

Adriana Malavolta

QUANDO L’INVENZIONE È UN EMIGMA LUCIO BIGI E IL SUO STUDIO WOQUINI

Ad un convegno di enigmisti fu sottoposto il seguente indovinello che impegnò i partecipanti per un certo tempo: “...is”. Comincio così l’intervista all’enigmista correggese Lucio Bigi: gli chiedo di risolverlo, per poi pentirmene immediatamente. Lo legge... e intuisco che, dopo meno di un secondo, l’ha risolto, ma per pura cortesia di gentiluomo non risponde e cambia argomento, dicendomi che quello non è propriamente un indovinello, bensì un calembour, un parente nobile della freddura. Allora gli domando: com’è fatto il cervello di un enigmista, cioè di uno che gli enigmi non solo li risolve, ma li inventa? «Non ci vuole un cervello particolare, non è nemmeno un talento; è un’attitudine, come per un meccanico mettere le mani nel motore o per un fornaio fare il pane. Semplicemente ci sono persone che hanno la predisposizione a fare delle cose specifiche. Questa particolare attività, che con passione ed assidua applicazione può diventare una professione, desta molta più curiosità di altre perché è più inconsueta e difficile da immaginare. Un’altra particolarità è che non esistono scuole o corsi che insegnino a diventare un enigmista». Una professione che può diventare un’arte. Alle sue spalle c’è un pannello con la seguente frase di Karl Kraus: “ un artista solo colui che sa creare un enigma da una soluzione”. Lucio Bigi vive a Correggio da quando aveva sette anni, ma è nato ad Alassio “a cinquanta metri dalla riva del mare”; sottolinea di aver ricevuto molto da questo luogo e che si è sempre sentito un ligure correggese, o un correggese ligure. Terminati gli studi ed il servizio militare, svolse diverse attività in vari ambienti lavorativi, finché, grazie anche al totale appoggio della moglie, decise di “strappare”.

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L’enigmistica è la sua passione fin da quando era bambino e l’ha coltivata come tale fino agli anni novanta, quando ha fatto una scommessa: fondare uno studio, cui ha dato il curioso nome di “Woquini”, il nome di un valoroso capo Cheyenne, essendo da sempre un estimatore del mondo dei nativi americani. Oggi si direbbe una start-up, perché alla base dell’impresa c’era un’invenzione, un nuovo campo che prima non esisteva: l’enigmistica tematica applicata ai più svariati ambiti. Creativo e versatile, ha confezionato giochi enigmistici “pensati e pensanti” per molte aziende; ha collaborato con scuole, enti pubblici e privati, istituzioni, fondazioni, agenzie pubblicitarie, oltre che giornali, riviste, radio, televisione. Si è occupato di pubblicità, formazione, istruzione, comunicazione, divulgazione. Ha lavorato con oltre trecento clienti, negli ambiti più disparati: aziende come Barilla, Yomo, Coop, Conad, Nestlé, case farmaceutiche (anche la Pfizer…), editoria, come La Repubblica, La Gazzetta dello Sport, L’Unità, Tuttosport, Focus, Diario, Libertà, con la RAI, la Polizia di Stato, l’Unicef, con squadre di calcio, come Inter e Juventus, per eventi come le Olimpiadi invernali di Torino... e tanto altro. La progettazione dell’intervento richiesto partiva dall’individuazione dell’area tematica. Ad esempio, un’industria farmaceutica deve illustrare un nuovo farmaco ad informatori scientifici in un corso di aggiornamento? Occorreva portare l’ottica del gioco enigmistico, strettamente legato al tema dato, all’interno del corso: pare che ne fosse la parte più gradita! Ricorda l’esperienza col Comune di Genova, durata un decennio: una settimana all’anno dedicata alla “Storia in piazza”, durante la quale i partecipanti di ogni età risolvevano un cruciverba sulla storia di ben dieci metri di lunghezza, con pennarelli cancellabili. Il cruci-

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verba è stato rifatto quasi cento volte. Ha riscosso molto successo una maglietta di Valentino Rossi con un suo cruciverba. Dopo la vittoria nel campionato del mondo di MotoGP nel 2002, Rossi fece il giro trionfale in mondovisione. Una volta individuato il creatore del cruciverba sulla maglietta, diversi giornalisti contattarono lo studio Woquini per poterne fare un pezzo di colore. Ora dice di essere in pensione, nonostante il suo studio sia ancora in attività; accetta pochi clienti scelti. Ha deciso di vivere “in leggerezza”. È vero che risolvere cruciverba o altri tipi di giochi enigmistici fa bene al cervello? «Parliamo di enigmistica generalista, quella denominata “popolare”, tipica

il nostro vocabolario, la nostra cultura e, non ultimo, il benessere psicofisico, perché la risoluzione degli enigmi è una sorta di gratificazione personale abbastanza potente. Un’efficace medicina, ma senza effetti collaterali». Cos’è cambiato nel settore in questo anno orribile di pandemia? «In passato, almeno negli ultimi trent’anni del 1900, la vendita di riviste di enigmistica aveva due impennate ogni anno: nei mesi di agosto e febbraio, in corrispondenza delle ferie e dell’influenza stagionale; invece quest’anno con pandemia e lockdown le vendite sono state elevate e non sono mai scese, come, d’altra parte, anche quelle della stampa popolare del gossip, per onestà di informazione».

L'ENIGMISTICA È UNA BUONA MEDICINA

PER MIGLIORARE LA MEMORIA E ARRICCHIRE IL BAGAGLIO CULTURALE delle riviste che si trovano in edicola, per differenziarla da quella cosiddetta “classica”, spesso più orientata per addetti ai lavori. Sì: ci sono riscontri scientifici che ritardi la demenza senile ed il declino cognitivo tenendo allenata la mente, a patto però che si frequentino i giochi enigmistici con continuità, differenziandone le tipologie ed aumentandone progressivamente le difficoltà, senza ricorrere a facili “aiutini”, o facendolo il più tardi possibile. Contribuisce al miglioramento di memoria, capacità logiche, arricchisce

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Com’è cambiato il mondo dell’enigmistica con le nuove tecnologie? «Per i “solutori” moltissimo, per la possibilità di documentarsi agevolmente ed in tempi rapidi; per comunicare e lavorare, come per qualsiasi altra azienda, per la varietà dei contenitori e dei supporti che offre, diversi da quello cartaceo, pochissimo per la creazione che resta un atto individuale, un pensiero. Detesto i giochi fatti al computer perché sono sempre brutti, freddi e non hanno un’a-

nima, e questo lo percepisce anche il solutore». Come mai, nonostante siamo nel terzo millennio, l’atmosfera che si respira aprendo una rivista di enigmistica è ancora di tipo, diciamo... classico-carducciano? «Non condivido totalmente questa impressione, anche se l’enigmistica italiana è nata negli ultimi decenni di vita del Carducci. I giochi enigmistici rispecchiano il contesto culturale e linguistico delle nazioni e l’enigmistica italiana è probabilmente la più diffusa e la più raffinata al mondo, nonostante la nostra lingua sia relativamente giovane, ma ricca di dilogie, di significati multipli. E quell’aspetto un po’ datato, sia nel linguaggio che nelle illustrazioni che ha accompagnato l’enigmistica in tutto il Novecento, si è molto rinnovato, grazie anche ad una nuova generazione di praticanti e appassionati che si è avvicinata a questo mondo, anche grazie a Internet. C’è un gioco enigmistico, una frase bisenso di molti anni fa, (allora si chiamavano crittografie mnemoniche), l’autore era Il Valletto, che riguarda, indirettamente, il giornale che ci ospita. L’esposto era “clavicembalo”. La soluzione? “Primo piano”. Il perché è nella sua storia: è uno strumento ideato nel XIV secolo, che ebbe la sua epoca d’oro nel ‘700 e poi fu sostituito dal più moderno pianoforte. Quindi il clavicembalo è stato un... primo piano». E… qual è la soluzione dell’indovinello che ti ho proposto all’inizio? «Le ultime lettere di Jacopo Ort...is?» Tempo impiegato? Un nanosecondo.

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arte

Francesca Nicolini

TRA LE MOTO E IL ROCK S'È ACCESA UNA LUCE

ANDREA MACCAFERRI E LE SUE LAMPADE VINTAGE

Andrea Maccaferri e le sue lampade rock vintage in compagnia di Massimo Cotto di Virgin Radio

È capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di avere un’idea geniale, quella trovata fuori dal comune che in pochi minuti proietta la mente in un futuro ricco di successo. Dopo una prima fase di stupore, inizia inevitabilmente la fase di ricerca per capire se davvero quell’idea non sia già stata pensata. Alla fine è sempre la stessa storia, da qualche parte nel mondo qualcuno l’ha già fatta propria. E l’illusione svanisce lasciando il posto a quell’amaro “peccato, era una bella idea” che riporta inevitabilmente con i piedi per terra. Ad Andrea Maccaferri, “Macca” per gli amici, è andata diversamente. Una notte di qualche tempo fa ha provato a digitare su Google “lampade create con pezzi di Harley-Davidson” e ha ottenuto 0 risultati. Zero. Un terreno ancora inesplorato, un mondo nuovo su cui gettare le fondamenta. Andrea, classe ’66, nasce e vive a Modena fino al 2003, anno in cui decide di trasferirsi per avvicinarsi a Nicoletta, cor-

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reggese doc, che diventerà sua moglie. Approdato nel piccolo borgo reggiano, Andrea si lascia alle spalle la frenesia e i clacson della città. Scopre una nuova quotidianità fatta di biciclette, ragazzini che giocano a pallone in strada, negozianti che ancora fanno credito perché si fidano, tanto poi in un qualche modo ci si rivede. Per lungo tempo verrà accompagnato dalla sensazione di vivere in vacanza, in un luogo fuori dal tempo e dai problemi quotidiani. Ha cambiato provincia, ma non sogni. Si porta dentro il forte desiderio di possedere una Harley-Davidson, la motocicletta americana per eccellenza. L’occasione arriva nel 2005, una Road-King 1450 usata, a suo dire «bellissima». Si sa che da cosa nasce cosa, e così la passione per le moto diventa un vero e proprio mestiere. Andrea entra a far parte dello staff di Onorio Moto, storico concessionario correggese, in cui comincia a lavorare da meccanico, con la possibilità quotidiana di immergersi nel fantastico mon-

do delle Harley. Un sogno che si avvera, un altro traguardo di una vita vissuta ai cento all’ora. Poi, nel novembre 2009, arriva il buio e tutto improvvisamente cambia. Andrea si ammala e la diagnosi non lascia spazio ai dubbi: meningite acuta. In un primo momento il suo corpo è in stato di paralisi, poi in seguito a otto mesi di ricovero e a un’intensa riabilitazione, torna a casa. Con tanti sacrifici e grazie all’aiuto della moglie e dei suoi due figli, Andrea torna anche a camminare per brevi tratti, seppur aiutato dalle stampelle. Da quella fase non ne è uscito solo, ma in compagnia della sua fedele carrozza, accessorio che mai avrebbe voluto conoscere ma che quotidianamente lo assiste. Come avrete già capito Andrea è un tipo tosto: le sue idee e i suoi sogni volano alto, oltre i limiti.Il suo nuovo stato fisico non gli permette più l’occupazione di un tempo, così è costretto a reinventarsi. Senza lavoro e costretto su una sedia a rotelle, comincia a sistemare le moto di amici, che in quel momento personale così duro non lo hanno mai abbandonato. Gli lasciavano a terra i pezzi rovinati e Andrea li buttava tutti in una cassetta. Nasce da qui, da questo momento di estrema difficoltà, la cosiddetta “illuminazione”. L’idea prende vita proprio da tutti quei pezzi di scarto accatastati uno sopra all’altro che gli passavano quoti-

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dianamente tra le mani: per Andrea assumono un significato, non sono rifiuti ma materia in grado di dare vita a qualcosa di nuovo ed estremamente bello. Quei pezzi meritano una seconda possibilità. Ma non è tutto. Andrea non solo ha la passione per i motori, ma ha anche una forte dipendenza dalla musica rock. Fino al 2003 ha lavorato nel mondo della musica per Studio’s di Modena, come addetto alla sicurezza. Poi una lunga pausa fino al 2017, anno in cui ha ripreso a collaborare in ambito musicale, settore attualmente fermo causa Covid. Il suo progetto “LampadeRockvintage” combina queste due passioni: i motori e la musica rock. Non esiste alcuna lampada che non sia stata creata con del rock in sottofondo. Andrea valuta i rischi imprenditoriali del progetto e a tratti finisce quasi per abbandonare l’idea, ma grazie agli esercenti di Correggio, in particolare di Rita del negozio Norma e Stefania di Vanità riceve l’incoraggiamento di cui aveva bisogno. Un progetto di questo tipo non nasce casualmente, ma da più di trent’anni di esercizio di creatività e di manualità. Le lampade di Andrea iniziano ad abitare nei negozi del paese e incomincia il passaparola, oltre a una accurata attività di storytelling sui social, dove ogni creazione viene raccontata con grande cura. Con la sua pagina Instagram, LampadeRockVintage_macca cerca di interagire con i propri follower e di coinvolgere sempre più amici all’interno del progetto. È il caso di Hjena, fotografo professionista, Lenny addetto ai dettagli fotografici e Sara Rasori, esperta nella stesura dei testi. Quando gli è stato chiesto che nome darebbe alla sua arte, ha risposto: «non credo che la mia arte abbia un nome, sono solo un hobbista che si ingegnia

per necessità». Non sa quanto tempo impiega per creare una lampada, l’unica certezza che ha è che la prima cosa che fa al mattino è accendere la radio, perché senza musica rock neanche si parte. Creare una lampada è come scrivere una canzone. Può uscire di getto in pochi minuti o rimanere in sospeso per mesi. Serve pazienza, perché non sempre l’idea arriva già definitiva, spesso la si deve cogliere e sviluppare. Si procede per tentativi: «io smonto, assemblo, costruisco e rismonto finché non sono soddisfatto della creazione. La base di ogni mia mia lampada è in alluminio Anticorodal, il resto è ricerca. Parto da pezzi di moto o qualsiasi pezzo Vintage che mi dia l’input per una possibile creazione». La maggior parte dei pezzi provengono dagli Stati Uniti, li acquista attraverso aste notturne o mercatini tenuti su portali, sia Italiani che europei. Un pistone, una chiave inglese arrugginita, una coppia di fanali di una vecchia Citroen 2 cavalli, l’antico che si mescola al nuovo attraverso la tecnologia Led. Aggiunge: «Mi piace lavorare con materiale antico, usato. Mi permette di vivere la bellezza del passato, ma con occhi rivolti al futuro. In questo periodo sto lavorando con pezzi vintage che hanno e fanno parte della nostra storia, che ci ricordano momenti vissuti e persone care. Mi fa piacere sapere che qualche correggese custodisca a casa propria queste lampade. Possono essere utilizzate per fare luce, o rimanere anche spente da ornamento, ma sono lì, e raccontano qualcosa». Negli ultimi mesi le creazioni hanno fatto il giro del web, arrivando fino a Massimo Cotto, conduttore del pro-

gramma mattutino Rock and Talk su Virgin Radio. Andrea lo ha incontrato e ci ha confidato: «mi ha detto che dopo aver visto le mie lampade ne è rimasto letteralmente “folgorato” (ride)». Infine conclude: «mi entusiasmo quando mi portano un pezzo vecchio che fa riaffiorare i ricordi, come un fanale di una bicicletta che usava il nonno in tempi di guerra oppure il fanale dell’auto avuta in gioventù salvato prima di mandarla al macero. Ho la possibilità di accendere le emozioni che quegli oggetti hanno dentro, è una responsabilità che mi rende felice». Ringraziamo Andrea per la sua infinita passione e disponibilità. Chiudiamo con il suo motto, che in questi difficili tempi può esserci d’ispirazione: “Resilienza sempre”.

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sport

Viller Magnanini

IL MONDO É UNA RUOTA CHE GIRA EPICHE CRONACHE DI CICLISMO NOSTRANO

La Ciclistica Correggio ad un raduno amatoriale di qualche anno fa

In questo periodo dell’anno i ciclisti comincia(va)no a smaniare. Le biciclette venivano prelevate dal solaio o dal garage per l’allenamento primaverile: tubolari nuovi, computer Garmin azzerato, guarnitura Campagnolo record 39/52 (o cambio Shimano) oliata, telaio in carbonio mono scocca tirato a lucido. La stagione, in netto miglioramento, toglie il ciclista amatoriale dal divano su cui si è intristito ed appesantito per mesi, ed ora è ansioso di macinare chilometri per recuperare la forma perduta. Fate finta che non ci siano zone gialle/arancioni/arancioni rafforzate/rosse. Si possono valicare i confini regionali, provinciali, comunali; si può andare dove si vuole purché questo contempli sudore, salite e discese, strade conosciute (per verificare ogni volta che non è cambiato niente) e pedalate in compagnia, in un gruppo numeroso. Ah sì: e fatica. Perché

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la parola “passione” ha la stessa origine di “patire”, soffrire. E, credetemi, il ciclismo amatoriale è pura passione. Di solito avevamo ben chiaro il nostro obiettivo stagionale, una vera missione: farsi trovare pronti per la Gran Fondo amatoriale. Togliere ruggine ai muscoli e dilatare i polmoni. Mica storie: la Gran Fondo non perdona! Se non sei allenato, ad ogni salita ti vengono incontro i tuoi fantasmi, ad ogni curva ti si attorcigliano le budella. Nel passare per i posti che sono diventati punti di riferimento si risvegliavano ricordi di avvenimenti accaduti. Ovviamente quelli comici, finiti bene, quelli che ci si racconta volentieri. Uno era capitato proprio lì, dove il gruppone transita appena partito, sulla strada che da Lemizzone porta a Prato, dove un tempo non c’era il guardrail. Lì si

infilò dritto nel fosso il Tale, profilo di falco e pancione a botte, che rimessosi a fatica in piedi, in totale confusione pestava avanti e indietro il pantano rassicurando se stesso: «Am sun fat gnint, am sun fat gnint, ades a toren so, dzi gnint a me muiera». Man mano che proseguiamo si cominciano a saggiare i primi rialzi del terre-

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no, le prime avvisaglie delle colline, abbondanti anche di selvaggina, che nei periodi di apertura erano frequentate dai temibili cacciatori bresciani. Arrivavano in pullman e si spargevano per il territorio come vietcong. Qualche anno prima due cicloamatori transitavano proprio lì, in fondo al gruppone della domenica. Sentirono uno sparo in lontananza, e subito l’urlo di uno dei due avverti l‘altro che era successo qualcosa. S’agitava in un dialetto già di per sé incline al drammatico: «So’ stato shparàto! So’ stato shparàto!» Era sceso barcollando dalla bicicletta e si teneva il didietro con le due mani, come per paura che qualcuno glielo portasse via. Erano dodici i piccoli pallini per fagiani, di indubbia provenienza bresciana, che gli vennero estratti ad uno ad uno al pronto-soccorso, dove tutti l’avevano accompagnato per un’assistenza di gruppo. Ed ora, via, ancora oltre, si sale verso il classico traguardo di tappa d’inizio stagione: Albinea, dove nella piazza del paese la frequentata fontanella è il primo ristoro (“ristoro” nel suo significato originario). La fatica si fa un po’ sentire, le gambe sono legnose, le scarpe un tutt’uno con i pedali a sgancio rapido. Ci si ferma e ci si racconta immancabilmente di quando lui, il “principiante”, arrivò trafelato, un po’ confuso, e non pensò a sganciare i pedali. Fatto sta che si coricò dolcemente in mezzo al piazzale con un leggero sfrigolio delle ginocchia, sotto gli occhi degli “Umarell” di Albinea. Sono specializzati, i pensionati di Albinea; non stanno a controllare le opere dei muratori o della pubblica manutenzione. No, i pensionati di Albinea piantano le tende nei pressi della fontana e tutto il giorno osservano con spirito critico il comportamento

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dei cicloamatori che arrivano. Già i sorrisini di compatimento si diffondevano per la piazza, quando uno dei ciclisti con presenza di spirito li zittì, tuonando: «Guardè che chi lò al smunta zo semper achsè, anca in garage a cà, s’an ghè mia so muiera ch’al le ciapa!». Ristorati, si prova a salire verso Baiso, traguardo della montagna della prima uscita dopo il lungo inverno. Strada panoramica, niente traffico: l’unico inconveniente è dato dal probabile incontro con il “camoscio di Viano”, un vecchietto ossuto, brutto, tutto nervi, con una bicicletta scalcinata, cigolante, la sporta attorno al manubrio con la spesa. Il camoscio di Viano sta sempre tornando verso casa, te lo trovi che sbuca alle spalle ed il gruppone viene sorpassato a doppia velocità. Un educato saluto e dopo due tornanti non si vede più. I cicloamatori le prime volte restano di sasso, finiscono col convincersi che lo faccia apposta per demoralizzarli, che si fermi e si nasconda dopo pochi metri, moribondo sulla sua decrepita Dei. Invece, quando se lo ritrovano bello fresco in cima, a Baiso, subentra lo sconforto. «Siete solo dei “Piangian”, animali da pianura» dice chiaramente il suo sguardo di montanaro. E così si spegne il sogno dei “grimpeur”, degli scalatori della domenica. A Viano ci si attrezza per il rientro: giubbini, guanti e via giù in discesa. Altro percorso, meno sforzi e più rischi, strada solitaria lungo i calanchi, la velocità aumenta considerevolmente, si intersecano strade trafficate, si attraversano paesini, agli incroci la colonna dei ciclisti si sfilaccia, al distanziamento di sicurezza ci pensa la fatica, contadini che lavorano i campi, trampolieri lungo i canali in attesa del-

la preda. Qualcuno si distrae, l’incrocio con la via Emilia si avvicina, i primi frenano, i secondi si adeguano, quello distratto “tampona”. E stramazza. Escoriato più nel morale che nelle gambe, inveisce col tamponato: «Perché ti sei fermato improvvisamente, senza segnalare?» In genere il tamponato non si scompone. Lo guarda serafico e controbatte con qualcosa del tipo: «Sa vot ca’m mèta sò i stop come na moto?» Al tamponatore non resta che rialzarsi, controllare la sua preziosa cavalcatura, niente danni, e ripartire. In genere a questo punto non si ha più la forza di ridere, solo un ghigno ristagna sul volto dei cicloamatori. Il campanile di Fazzano annuncia che le fatiche stanno finendo. La “Bestia” che ha tirato il gruppo per tutto il tragitto, stremato, si sposta lasciando gloria agli altri. Fare l’ingresso in città per primo può dare l’illusione di avere compiuto un’impresa, si può addirittura alzare le mani come se ci fossero i tifosi e la miss per il bacio. E infatti il “Grosso”, nel senso di essere umano smisurato, che è rimasto sempre imboscato in mezzo al gruppo, un “succhiapedali” dunque, si lancia, sprigiona tutta la sua potenza nel rush finale in prossimità della rotonda di Zagni, e nel rettilineo dopo la rotonda del Borelli si piazza davanti a tutti su un traguardo che solo lui vede, paonazzo in viso e con pulsazioni fuori soglia. Ha staccato tutti. Peccato che nel frattempo il resto del gruppo abbia tacitamente deciso di lasciarlo al suo destino ed abbia voltato per l’Espansione Sud. Così il “Grosso” alza le mani nel nulla, mentre dei bambini lo osservano stupiti. Ma questi sono solo dettagli.

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cultura

Federica Prandi

LA SCRITTURA È DI CASA A CORREGGIO

LE NUOVE USCITE DI MELISSA MAGNANI E MATTEO DE BENEDITTIS

Due scrittori alla ricerca di una voce a cui dare voce e la sacralità dei legami affettivi al centro delle loro opere. Melissa Magnani e Matteo De Benedittis sono gli autori che Primo Piano ha voluto conoscere più da vicino in questo numero. Entrambi correggesi, insegnanti e freschi di pubblicazione, hanno alle spalle esperienze diverse ma in comune l’amore innato per le parole che diventano racconti, trame, storie di vita.

Melissa Magnani, classe 1992, un diploma al liceo classico R. Corso di Correggio e una laurea in Arti Visive all’Accademia di Belle Arti di Bologna, ha realizzato il suo grande sogno: quello di scrivere e vedere pubblicato il suo primo romanzo, “Teodoro”. Edito da Bompiani ed uscito in libreria il febbraio scorso, è una storia sospesa nel tempo che viaggia tra presente, passato e futuro, narrata da Teodoro, un bambino vissuto solo undici giorni

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che, dopo la morte, si avvicina ai suoi famigliari, in particolare ai nove fratelli nati successivamente alla sua dipartita. Questi, inconsapevoli della limitata esistenza del primogenito, hanno tutti dei caratteri ben definiti, con dettagli che spiccano e che li rendono diversi tra loro e da Teodoro, ma accomunati dallo stesso sangue. «Il romanzo - spiega l’autrice - vive in un tempo sospeso e rarefatto. La geografia è sconosciuta, il paese non appare sulle mappe e non ha nomi. Il paesaggio è quello della pianura, delimitata dall’orizzonte che separa il cielo dalla terra e da un campanile che unisce le due dimensioni». Nel racconto, la pianura ha gli elementi della nostra terra mentre le tradizioni descritte sono sia quelle rurali che quelle zingare. Magnani sottolinea il linguaggio volutamente essenziale e pieno di gestualità di “Teodoro” per dare risalto alla sacralità dei legami ELETTRAUTO MANUTENZIONE E LAVAGGIO CAMBI AUTOMATICI DIAGNOSI ELETTRONICA VENDITA E RIPARAZIONE PNEUMATICI RICARICA CLIMATIZZATORI ASSETTO RUOTE EQUILIBRATURA ELETTRONICA TAGLIANDI CERTIFICATI ANCHE PER VETTURE IN GARANZIA

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famigliari che, se forti, resistono a tutto, anche alla lontananza ed alla morte: ogni vita lascia sempre un’eredità inconsapevole a chi sussegue. Di eredità spirituali profonde si parla anche nell’ultimo libro di Matteo De Benedittis, “Chicco, quando il seme non muore” edito da Porziuncola. Questa volta l’eclettico scrittore correggese, già noto come saggista,

giornalista, autore teatrale e per bambini, approda al genere biografico raccontando la vita di Cristian Maffei, giovane reggiano prematuramente scomparso nel 2015 all’età di ventiquattro anni, che, nel suo breve cammino, ha saputo cogliere e trasformare i tanti dolori sperimentati in un percorso di fede e di pienezza, anziché di rabbia e chiusura. «La vita di Cristian, detto Chicco e non a caso - chiarisce l’autore - se vista da fuori è una serie di lutti e sofferenze, di distacchi tanto prematuri quanto inspiegabili. Se invece ci si entra dentro, come ho avuto occasione di fare io leggendo i suoi diari spirituali e parlando con le persone che lo hanno conosciuto, si scopre un’esistenza in cui la malattia è vista come un’opportunità di dialogo con Dio e con gli altri, un percorso aperto e di confronto, vissuto anche con molta ironia». Questo non significa che il giovane non abbia provato sconforto davanti alle difficoltà ma ha cercato di andare oltre e di non fare della lamentela la cifra della sua vita. «Cristian - conclude De Benedittis - sosteneva che tutti abbiamo un nostro dolore, una nostra malattia. Chi più visibile e chi meno. E tutti abbiamo il limite della morte. Il percorso che ci porterà lì può essere vissuto nel buio o nella luce. Chicco ha scelto di essere seme anziché briciola».

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informazione

Eleonora Dondi

RACCONTIAMO UNA COMUNITÀ, CON UN OCCHIO AL DIGITALE

L’ESPERIENZA GIORNALISTICA DE “LA VOCE” DI CARPI Nella vita di una carpigiana come me, “La Voce” è presente da sempre: da ragazzina ricordo che il suo acquisto faceva parte del rito dell’edicola del giovedì insieme alla Settimana Enigmistica. Quando mi sono trasferita a Milano, La Voce mi ha permesso di rimanere in contatto con la mia città, informata sugli avvenimenti importanti ma anche sulle piccole notizie che fanno sentire parte di una comunità. Ecco perché mi sono sentita subito a casa entrando in redazione per l’intervista al Direttore Florio Magnanini, carpigiano doc, ex studente del liceo classico Rinaldo Corso di Correggio e amico di Primo Piano. Direttore, com’è iniziata l’avventura de La Voce? «Nel 1993, dalla voglia di raccontare la nostra città in un momento in cui nessuno lo faceva: c’era qualche articolo della stampa provinciale ed i primissimi tentativi di creare delle televisioni, che tuttavia non erano radicati nel carpigiano, dove c’era solo il bollettino della diocesi: per questo abbiamo pensato ci potesse essere uno spazio informativo. Il contesto storico nazionale era quello della rivoluzione politica e della crisi dei partiti, di Tangentopoli e dell’avvento di Berlusconi. A livello locale l’impressione era quella di una città che si stesse muovendo molto

velocemente: c’erano già le prime avvisaglie della profonda crisi che di lì a poco avrebbe investito il settore tessile e la percezione delle trasformazioni urbanistiche del nuovo piano regolatore: da città “proibizionista” Carpi stava andando a passo svelto verso la cosiddetta “cementificazione”». Come si è trasformata nel tempo La Voce? «Quando abbiamo iniziato scrivevamo soltanto i pezzi e facevamo le fotografie, poi io scappavo a Reggio Emilia dal fotoincisore con il menabò, le foto ed i floppy disk con i testi. Col passare del tempo abbiamo incamerato questi processi all’interno, snellendo tutto il lavoro. È in questo periodo che ha iniziato ad affiancarsi alla carta stampata il web, che poi è diventato elemento fisso verso il 2000 con un sommario della versione cartacea, fino ad arrivare alla fase attuale in cui abbiamo scelto di favorire il digitale con la newsletter quotidiana e un’uscita settimanale». Perché questa inversione di marcia? «Abbiamo fatto questo passo quando abbiamo percepito che la rivoluzione digitale fosse iniziata. La carta sta attraversando una grande crisi, ce ne siamo accorti soprattutto con il lockdown dell’anno scorso quando,

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date le circostanze, abbiamo pensato ad un abbonamento temporaneo per favorire la lettura in sicurezza. La risposta è stata buona: in un momento storico eccezionale i lettori sentivano il bisogno di sapere quello che succedeva intorno a loro». Com’è composta la redazione? «Non c’è personale fisso: siamo cinque giornalisti, due commerciali per la raccolta pubblicitaria e un grafico che si occupa dell’impaginazione. Ci teniamo molto a gestire internamente la grafica perché oggi il confine tra le figure del giornalista e del grafico è molto esile: si collabora in modo stretto sia per l’impaginazione dei singoli pezzi che per dare il giusto peso agli argomenti del giornale nel suo complesso». Come si sopravvive al potere del web? «Il nostro giornale è un’azienda a tutti gli effetti e deve vivere dei propri risultati, ma il digitale fatica a rimanere sul mercato. Ad oggi sono in abbonamento tutte le notizie di nostra elaborazione, mentre le comunicazioni ufficiali e le agenzie sono di libero accesso. Il lettore però deve presupporre che gli interesserà leggere tutti gli articoli per sobbarcarsi la spesa dell’abbonamento digitale, anche se si tratta di poco più di un euro a settimana. Per questo stiamo pensando di snellire l’accesso all’abbonamento digitale con una formula più economica per chi è interessato alla lettura solo di alcuni articoli». Il passaggio dalla carta al digitale avrà avuto contraccolpi anche dal punto di vista della pubblicità. «La pubblicità online è un mondo per

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noi nuovo. Fino allo scorso anno la pubblicità cartacea era nettamente prevalente rispetto a quella sul web, ma diminuiva continuamente: molti commercianti hanno aperto le proprie pagine sui social o le proprie piattaforme, quindi non hanno più bisogno di farsi pubblicità sul giornale. Stiamo cercando di preparare gli inserzionisti a un nuovo approccio: la pubblicità sul nostro giornale digitale non si sostituisce al loro sito, ma amplifica la platea del pubblico che può arrivare a loro. Ma sono sviluppi e potenzialità difficili da digerire, ci vorrà tempo perché il messaggio venga compreso. Questa è attualmente la vera criticità». Quali sono i contenuti più presenti? «Uno dei filoni di cui sono più orgoglioso e che è stato da sempre un nostro punto di forza è raccontare i giovani carpigiani e le loro carriere, soprattutto quelli che vivono all’estero. Vogliamo lanciare un messaggio di esempio, dire ai giovani: osate! Poi, ovviamente, raccontiamo il tessile con grande attenzione: si sente parlare spesso di un settore morto, ma dà pur sempre lavoro a più di 2500 cittadini. Grande spazio è riservato a urbanistica e all’ambiente, perché qui si gioca la partita della politica locale: conflitti sulla gestione delle aree e dosaggio tra sviluppo e tutela dell’ambiente. Cerchiamo anche di dare spazio alla memoria di Carpi, perché l’identità della città si sta perdendo insieme al senso di appartenenza: vorremmo aiutare a recuperare l’orgoglio cittadino cercando di raccontare le radici storiche». Cambia Carpi e cambia anche il modo di raccontarla, quindi.

«Cerchiamo di dosare la narrazione in base alle diverse edizioni del giornale: se sul mensile è possibile dilungarsi, dobbiamo essere stringati sul settimanale digitale e telegrafici sulla newsletter, perché è cambiato il modo di leggere: senza scomodare i social, perché credo che ormai le persone abbiano capito che non è quello il modo di rimanere informati, la lettura purtroppo è divenuta più superficiale. Detto questo, l’80% degli accessi al nostro sito è veicolato da Facebook, perché ancora manca l’abitudine di consultare direttamente una piattaforma editoriale. I social hanno cambiato anche il tipo di notizie che interessano i lettori: oggi si guarda al dettaglio, senza inquadrare gli avvenimenti in un contesto più ampio che richieda un’interpretazione; la preferenza cade sempre sulla cronaca nera». Qual è l’approccio del giornale con l’amministrazione comunale? «Non c’è nessuna posizione di principio, guardiamo alla sostanza delle cose: ci sono fatti che meritano attestazioni di benemerenza e fatti sui quali “pungoliamo” di più. Con l’avvento dei social e della personalizzazione della politica, la politica è in grado di dare immediatamente notizia di qualsiasi fatto avvenuto o decisione presa: la parte elogiativa da parte nostra è un po’ diminuita perché è la stessa amministrazione ad occuparsene, quindi va da sé che si sia dilatata la parte critica». Non ci resta che augurare a Florio e a tutta la redazione de La Voce buon lavoro.

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arte

Gian Paolo Rinaldi

LA GIOVANE CORREGGESE CHE STUPÌ FIRENZE LE SCULTURE DI CARMELA ADANI La scultura è l’arte di far palpitare la vita, per opera di ingegno e di mano, là dove essa sembra essere più distante: nel sasso, nel marmo, nel bronzo e in qualsiasi altro materiale da plasmare (creta, gesso ecc.) Il concetto michelangiolesco di ricavare dal marmo quella forma, che già in esso è presente, è espressione di derivazione platonica. In realtà la forma va cercata, studiata, disegnata, sbozzata, definita, levigata. Occorre forza, sensibilità, studio, attinenza con la funzione dell’opera. La sensibilità femminile aggiunge qualcosa in più, come affermava l’Adani stessa. Carmela Adani nacque a Modena da Primo e Santa Manzini il 7 Novembre 1899. Il padre fece parte di un gruppo di scalpellini e muratori, che godette di notevole prestigio, eseguendo, tra i tanti lavori, il restauro della torre della Ghirlandina nello stile dei maestri campionesi. In questo ambiente, tra materiali diversi, scalpelli, raspe e trapani, nel laboratorio di Via San Carlo V crebbe Carmela, dimostrando fin dalla giovinezza una spiccata propensione, quasi una vocazione, per la scultura e l’architettura. Trasferitasi a tre anni assieme alla famiglia a Correggio, già nel 1919 scolpì tra le sue prime opere, la Natività di Gesù nella Cappella Zuccardi-Merli in San Quirino. Il continuo studio delle opere classiche, gli innumerevoli disegni e la precoce attività dimostravano il proposito di Carmela di dedicarsi interamente all’arte. Cento anni fa, nel 1921, venne da Firenze un predicatore domenicano, che rimase a Correggio alcune settimane. Ebbe modo di conoscere la giovane scultrice e volle in tutti i modi che ella raggiungesse Firenze, per studiare le arti ed aprirsi al mondo classico, verso il quale mostrava doti eccezionali. Accompagnata dal papà, compì un primo viaggio di orientamento nella capitale toscana, anche con l’interessamento del prof. Francesco Sologni, che li

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presentò alla scultrice Amalia Duprè, figlia del celebre Giovanni. Fu individuato uno studentato femminile tenuto dalla signora Giubbi, presidente delle Donne Cattoliche e dal 1922 Carmela, potremmo dire, divenne fiorentina. Infatti sino al 1948 Carmela dividerà il suo tempo tra Firenze e Correggio. Amalia fu colpita immediatamente dalle doti e dal carattere dell’Adani e la prese a lavorare nello studio paterno, in Via degli Artisti, dove l’aiutava nel modellare le grandi statue che venivano richieste. Carmela lavorava, studiava, disegnava architetture e sculture in modo mirabile. Certamente guardò alla scultura di Donatello e del Verrocchio; alle Maternità dei Della Robbia e alla dolcezza della pittura di Filippo Lippi come ai panneggi del Botticelli. In questi anni coltivò anche amicizie importanti, come quella con le sorelle del Vescovo Mons. Brettoni, che a Firenze era stato Vicario Generale e con Padre Giulio Casolari, già Prevosto di Correggio, divenuto Superiore della comunità monastica della Certosa del Galluzzo; nella Certosa tra il 1930 e il 1931 Carmela realizzerà una grande pala marmorea, che meravigliò Firenze. Preziosa fu la frequentazione con il francescano Padre Raffaello Franci, architetto e costruttore di chiese, che aveva il suo studio sul Monte alle Croci e accolse Carmela con entusiasmo. Con la denuncia dei redditi puoi destinare il 5x1000 dell’importo al volontariato E’ un gesto di solidarietà che non ti costa nulla Cooperativa Sociale per l’inserimento di lavoratori svantaggiati Via Fazzano, 7 CORREGGIO - Tel. 0522 631612

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Nel 1926 giunse a Firenze una conoscenza degli Adani, come titolare della Cattedra di Scultura dell’Accademia, il modenese Giuseppe Graziosi, che insistette affinché Carmela frequentasse l’Accademia. La cosa si avverò più tardi, nel 1935; nel contempo Carmela si diplomò anche al Liceo Artistico fiorentino. Appartengono a questi anni le amicizie con Annigoni, Ajolfi, Sebastiao ed altri, che diverranno famosi ed è nell’atmosfera dell’Accademia, baluardo della classicità italiana, che Carmela definì il suo linguaggio scultoreo ed acquisì una perfezione plastica, come percorsa da linfa umana, che sembra restituire vita alle sue opere. Disse Pio XII ai correggesi recatisi in pellegrinaggio a Roma portando in dono una Madonna della nostra scultrice: “Davanti alle Madonne dell’Adani è impossibile non pregare”. E Annigoni, che molto la stimava, diceva di lei: «Viveva col fuoco del suo entusiasmo, che ardeva dentro un involucro di grande modestia». Certo si tenne quasi sempre lontana dagli sperimentalismi delle correnti novecentiste, ma fu capace di grande espressività quando si volse a rappresentare il dramma sociale dell’epoca, come nel progetto a tuttotondo del Monumento al Deportato, o per la tragica morte dell’aviatore Giovanni Cantarelli nel bronzo alto due metri posto nel cimitero monumentale di Reggio Emilia. Un grande dolore colpì la scultrice nel ‘32: la morte della sorella Gilda di appena vent’anni. L’anno successivo Carmela terminò uno dei suoi capolavori: l’altare del Santissimo a sinistra, in San Quirino, ricco di marmi policromi, sormontato da un tempietto con figure scolpite e sotto l’altare uno stupendo altorilievo raffigurante l’episodio della lavanda dei piedi. Poiché siamo entrati nella nostra Basilica ricordiamo anche l’altare

Maternità nella Cappella della famiglia Veroni

di destra, dedicato al Sacro Cuore, con la grande statua marmorea collocata nella nicchia sopra il bellissimo tabernacolo. É del 1934 il bassorilievo, molto espressivo, col ritratto di Erminia Valli. Nel 1939 Carmela affitta uno studio a Firenze in Via Della Robbia, che terrà per molti anni, ma nel ‘40 torna a Correggio a causa degli eventi bellici. In questo periodo realizza a Correggio l’altare della cripta di San Quirino, col trittico dei santi protettori della città: San Quirino, san Michele e san Raffaele con Tobiolo. Innumerevoli sono le commissioni, che onora sempre, aiutata dal fedele Albino Fiaccadori: si può affermare che non vi sia chiesa o cimitero delle nostre ville che non possegga un’opera dell’Adani. Nel 1945 Carmela fa parte del Comitato di Liberazione Nazionale di Correggio. Alla morte del vescovo Mons. Brettoni l’artista ne esegue il ritratto marmoreo e il monumento funebre. Nel 1948 progetta le porte in bronzo di San Pietro, ottenendo la medaglia d’argento. Realizza l’anno successivo a Fiesole le quattro grandi figure per il monumento a San Giuseppe e, poco dopo, il gigantesco monumento a Mons.

Camboni in piazza S. Isolo a Verona. Nel ‘50 esegue la marmorea Crocefissione per la cappella Azzali, nel cimitero di Correggio e in questi anni collabora con la dott. Bertolani Del Rio alla rinascita dell’ars canusina, disegnando pregevoli arredi e costumi. Nel 1956 realizza la gigantesca fusione del “Sacro Cuore” di Baragalla. La statua viene esposta in piazza S. Fedele a Milano e successivamente in numerose Diocesi dell’Emilia; infine è stata collocata su un alto traliccio alla periferia di Reggio Emilia. Nel ‘58 Carmela partecipa ad una mostra nazionale del sindacato di arte pura in Roma guadagnandosi la medaglia d’oro. Nel 1960 realizza in marmo il San Giuseppe per Mirfield (Inghilterra) e nello stesso anno viene insignita dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Dopo una penosa malattia la scultrice si spegne il 19 novembre 1965. Donna forte e modesta, artista sublime, convinta cristiana, che piacque a Dio e agli uomini.

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NOTIZIE IN BREVE IN RICORDO DI EZIO DIACCI

IN RICORDO DI LUIGI CIGARINI

Non abbiamo potuto accompagnarti ma ti ricordiamo con affetto e ti ringraziamo per la tua amicizia e per il tuo prezioso contributo. Ciao Ezio.

A mio fratello Gigi, tre anni son trascorsi da quel livido mattino dove un sole malinconico e il rossore sulle guance, quasi si vergognava a fare capolino. Poi Tu, ti ci sei messo e intuendo il mio patire mi hai convinta, con parole ben piazzate,nel silenzio che occupava ogni spazio del mio cuore, che giunta era l'ora di lasciarti andare. Delma - 6 marzo 2021

Auser Centro di Correggio

RICORDO DI FRANCO ROSSI

IN RICORDO DI EVELINA TONDELLI

Insegnavi a fare i compiti a noi ragazzi e ci dicevi: studiate, studiate perché saprete sempre difendervi nella vita. Grazie mamma.

Catia Morgotti

RICORDO DI GIANNI PONTI All’età di 72 anni ci ha lasciato l’amico Gianni Ponti, imprenditore. Con il fratello Franco era contitolare della Greenpipe, azienda di riferimento nel settore dei sistemi per la raccolta delle acque di superficie. Noi amici vogliamo ricordare il suo carattere riservato, a volte solo apparentemente ruvido, perché sensibile, attento, ricco di quell’umanità ed umiltà ereditate dalla sua famiglia. Buono, generoso, legatissimo alla moglie Carla e alla famiglia, è stato un imprenditore di grandi qualità umane. Sentiva e praticava intensamente l’amicizia, come noi possiamo testimoniare e come ben sanno alcuni suoi vecchi compagni di scuola con cui aveva la consuetudine, pluridecennale, di riunirsi negli uffici della Greenpipe ogni sabato mattina, per vivere quei legami che valgono un’intera esistenza. La toccante omelia del vice parroco Don Alberto Debbi durante la Messa funebre in San Quirino e la partecipazione di tantissimi correggesi alle esequie sono state motivo di consolazione per Carla, Franco, i famigliari e gli amici, testimoniando quanto Gianni fosse stimato e benvoluto. Riposa nel cimitero della sua amata Correggio, vicino al padre Sergio e alla madre Rosa. Gli amici di sempre

ONORANZE FUNEBRI CABASSI GIANCARLO A un anno dalla scomparsa ti ricordiamo con immutato affetto Carolina, Maurizio con Graziella, Sabrina con Massimo, le nipoti Eleonora ed Erica

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CORREGGIO IN BRICIOLE RASSEGNA DEGLI EVENTI CORREGGESI RACCONTATI DALLA STAMPA LOCALE 3 marzo 2021 • Il Comune annulla l’annuale rassegna “Correggio in fiore” (fiera di san Giuseppe), prevista per il 20 e 21 marzo, a causa dell’aggravarsi dell’epidemia 6 marzo 2021 • In pochi giorni sono stati rinvenuti i cadaveri di una decina di coniglietti nel Parco della Memoria, probabilmente avvelenati con una sostanza tossica; sono stati segnalati alcuni bocconi sospetti; un caso analogo si era registrato quattro anni fa; con le restrizioni alla mobilità delle persone i coniglietti, per anni residenti nell’area della pista d’atletica, si sono moltiplicati e hanno colonizzato giardini e orti del Villaggio Artigiano 9 marzo 2021 • L’attore Andrea Libero Gherpelli, residente a Correggio, è candidato al David di Donatello come miglior attore non protagonista, per la sua interpretazione del personaggio di Andrea Mozzali nel film su Ligabue “Volevo Nascondermi”, già premiato a Berlino con l’Orso d’Argento al protagonista Elio Germano; di recente Gherpelli è stato ospite di una trasmissione Rai per la sua attività di agricoltore-sperimentatore; ora è impegnato nelle registrazioni della fiction “Cuori” di RAI 1 12 marzo 2021 • Una coppia di Correggio viene prosciolta dall’accusa di falsa autocertificazione sollevata un anno fa, in pieno lockdown, dalle forze dell’ordine; la donna aveva dichiarato di essere uscita per sottoporsi ad esami clinici e l’uomo di averla accompagnata; i controlli successivi avevano accertato che i due non avevano frequentato alcun ospedale; diventa definitiva la sentenza del giudice del tribunale reggiano con cui si dichiara illegittimo il DPCM del governo (in quanto la Costituzione garantisce la libertà personale che può essere sospesa solo in virtù di un reato penale dopo l’esito del giudizio) e quindi il falso è irrilevante; questo giudizio, pur di merito in un processo penale per falso, può costituire un precedente di rilevanza nazionale 13 marzo 2021 • Scontro frontale tra due auto in via Fazzano verso le 20,30; in gravi condizioni una correggese ventinovenne estratta dai vigili del fuoco dalle lamiere della sua Fiesta, mentre sono più lievi le ferite riportate dal conducente cinquantatreenne della Skoda • Ha padre correggese (Lauro, scomparso nel 1989, a cinquantuno anni, e sepolto nel cimitero di Budrio) l’ex olimpionica di scherma Valentina Vezzali (9 medaglie nel fioretto), nominata sottosegretaria allo sport nel governo Draghi 16 marzo 2021 • Martina, 5 anni, va a dormire dalla nonna e si accorge che sta male, accasciata nella doccia colpita da ictus; chiama subito con Whatsapp la cugina permettendo l’arrivo tempestivo dei soccorsi, che salvano la donna

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a cura di Fabrizia Amaini

COME ERAVAMO

LO STRANO CASO DELLA "DIVINA", NATA DA UN ALBERGO OSÉ

Foto Manzotti, 1935

All’inizio di corso Cavour, a Correggio, fa angolo sulla destra la “Casa Divina Provvidenza” che, attualmente, è una residenza per anziani. Un po’ di storia: l’edificio fu costruito, con finalità alberghiera, nel 1906, su progetto del correggese Piergiacinto Terrachini, e prese il nome di “Albergo Cavour”. La scelta dell’area di edificazione fu determinata dalla vicinanza alla stazione ferroviaria, entrata in funzione vent’anni prima, che portava notevole traffico di persone e commercio. L’imprenditore dell’opera fu un certo Renzo Cavazzoni di Modena, che di mestiere faceva il commissionario di uve e vini. La struttura disponeva di alloggio, ristorazione e divertimento, e divenne luogo di riferimento per le contrattazioni di commercianti esteri che arrivavano col treno per negoziare,

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coi contadini locali, i prezzi di granaglie, vini, bestiame e altro. Fu anche sede di convegni politici, in particolare dell’Associazione liberale-monarchica “Camillo Cavour”, soprannominata la “Caconika”, e del “Casino della Consorteria” correggese che programmava le adunanze per le ricandidature dell’onorevole Vittorio Cottafavi, già sottosegretario al ministero delle Finanze del Regno. La propaganda politica e guerrafondaia della Consorteria si nutriva anche di raduni e banchetti, in loco, in onore dei reduci della Libia, i quali, tornati salvi a casa, indossavano l’abito dei “missionari della civiltà italica”, che avevano, con armi e sterminio, portato i “benefici” a un popolo (libico) selvaggio e ingrato. Nel 1909, per iniziativa di un impresario di Reggio, venne inaugurato un teatro in legno all’aperto, denominato “Tria-

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non”, posto nel cortile dell’albergo. Nella stagione estiva vi si svolgevano spettacoli musicali, di prosa e di operetta, recanti in città artisti e maestranze che vivacizzavano e creavano un’aria festaiola in paese. Da non dimenticare il cinematografo, che in quei primi anni del Novecento rappresentava la più attraente e moderna invenzione del tempo. All’inizio funzionava con le pellicole girate a mano con la manovella e attirava molta gente nelle proiezioni serali: gli avventori erano comunque piuttosto abbienti, perché i biglietti d’entrata erano piuttosto costosi. Nelle zone dei servizi dell’albergo c’erano anche le stalle che consentivano il ricovero e la custodia di cavalli e calessi, favorendo, così, l’arrivo di notabili e benestanti anche da luoghi lontani. La gestione dell’attività si mantenne florida fino al 1927 quando, forse a causa dell’incipiente recessione economica oppure per le misure sanzionanti l’esercizio della prostituzione, che aveva preso piede nell’albergo, chiuse i battenti. Nel 1928 l’albergo fu venduto e acquistato dalle sorelle correggesi Scaravelli, che ne fecero donazione alla Parrocchia di san Quirino. Il parroco, monsignor Pietro Tesauri, lo trasformò in casa della Divina Provvidenza e lo adibì

Ieri, oggi e domani...

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alla formazione e all’attività cristiana delle donne cattoliche correggesi. Un altro albergo-ristorante con la stessa denominazione, “Cavour”, venne in seguito aperto lungo il medesimo corso, ma nelle vicinanze del Teatro municipale Bonifazio Asioli. Poi nel 1955 la detta denominazione si modificò in “da Citego”, anche se l’albergo veniva spesso contraddistinto come “Albergo del teatro”, per essere frequentato dagli artisti che si fermavano dopo le rappresentazioni (come dimostra la foto, di Maurizio Manzotti, della sala da pranzo tappezzata da un centinaio di ritratti con autografo). L’albergo chiuse l’attività il 31 gennaio 1995. Un po’ di storia antica: la zona dove nel 1906 sorse l’Albergo Cavour era un antico insediamento cimiteriale riservato alla comunità ebraica presente a Correggio fin dal 1436, ubicato all’interno del circuito fortificato urbano. Fu, probabilmente, il secondo cimitero ebraico di cui si ha notizia certa, e nel Seicento era noto come l’Ortazzo degli Ebrei. Come cimitero rimase in uso fino alla metà circa dell’Ottocento, poi fu definitivamente alienato e dismesso tra il 1866 e il 1869.

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a cura di Luciano Pantaleoni

CULTURA POPOLARE

AMORE... ISTRUZIONI PER L’USO Non si può restare indifferenti di fronte alla drammatica escalation di violenze famigliari, di cui sono quasi sempre vittime le donne. La crisi economica e la pandemia hanno generato ulteriori tensioni e hanno reso ancora più acuto il problema. Molte famiglie moderne sono fragili. Non hanno modelli di riferimento, sono spesso prive di “reti di protezione parentali” e degli strumenti culturali necessari per affrontare la complessità della vita attuale. La disgregazione famigliare provoca percorsi affettivi faticosi e tormentati, che generano sofferenze ed instabilità emotiva. La fragilità psicologica di molti giovani porta alla creazione di “rapporti malati” fondati sulla dipendenza affettiva che diventa una droga di cui non si può fare a meno. Edgar Morin, sociologo e filosofo francese, ha usato una efficace metafora per descrivere la condizione nella quale stiamo vivendo: “dobbiamo navigare in oceani di incertezze tra arcipelaghi di certezze”. Navighiamo in mare aperto ed abbiamo bisogno di riferimenti, una bussola che ci guidi e carte nautiche che ci indichino dove approdare per trovare cibo e nutrimento. La saggezza antica della cultura popolare può servire come antidoto contro le violenze della contemporaneità. Ci offre uno sguardo disincantato e leggero, utile per generare consapevolezza e vivere i rapporti con maggiore serenità. COS’É L’AMORE L’amore è un sentimento travolgente, che emoziona, coinvolge e a volte travolge… provoca sconvolgimenti fisici incontenibili... Amor e caghet chi n’al prova n’al cred. Amore e diarrea chi non li prova non può capire.

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LA RICERCA DELL’ANIMA GEMELLA A volte, in modo imprevedibile, scocca una scintilla e tutto prende fuoco, si accende: desiderio, amore… Altre volte ci si accanisce ad inseguire persone, sogni, infatuazioni… e si vivono cocenti delusioni. Tutto andrebbe vissuto con maggiore leggerezza. Buona sera a sun bein chè col ch’a gh’a ch’ieter a gh’l’o anca mè a s’era gnû per fer l’amor mo a ved ch’a gh’è già ch’il fà buona sera a vagh a cà. Buona sera sono qua quello che hanno gli altri l’ho anche io ero venuto per fare l’amore ma vedo che c’è già chi lo fa buona sera vado a casa. Questa filastrocca ci insegna che non dobbiamo mai inseguire chi non ci vuole, sono energie sprecate inutilmente: chi non ci ama non ci merita. COME VIVERE I RAPPORTI AMOROSI Mort un Pepa a s’in fa n’eter pers un caioun a s’in cata n’eter. Morto un Papa se ne fa un altro perso un coglione se ne trova un altro. Vi prego di apprezzare la definizione “caioun”, particolarmente efficace e acuta. Non vuole essere in nessun modo dispregiativa, ma è stata scelta per ricordare che non esistono persone perfette, ognuno di noi ha anche difetti... Ch’in gh’a un difet gh’a un mancameint ch’i an gh’n’a un gh’n’a seint. Chi non ha un difetto ha un mancamento chi non ne ha uno ne ha cento. Il messaggio è chiaro: “non esistono persone perfette!” Ognuno, a modo suo, è un “coglione”, cioè imperfetto, e possiamo sempre trovare un sostituto. Un altro “coglione” con pregi e difetti. Se tutti fossimo capaci di vivere i mo-

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menti di abbandono con questa consapevolezza, avremmo molti meno episodi di inutile violenza. Acquisita questa saggezza, possiamo affrontare l’argomento successivo. RAPPORTO DI COPPIA Premetto che non ho nessun pregiudizio sul tipo di rapporto: libero, esclusivo… Ci tengo solamente a farvi riflettere su alcuni luoghi comuni: fedeltà, tradimenti… Per fare questo vi racconto una storia di quelle che si tramandavano oralmente. Un signore non più giovane aveva conosciuto una ragazza bella e particolarmente gentile di cui si era innamorato e l’aveva sposata. La ragazza era molto più giovane di lui e questo aveva suscitato l’invidia dei compaesani e aveva generato malelingue, pettegolezzi e i comportamenti disinvolti della giovane li aveva alimentati… Un giorno questo signore è andato dal barbiere. Come si sa le barberie di un tempo erano luoghi in cui si coltivava l’interesse per le belle donne ed erano luoghi di incontro degli sfaccendati che commentavano ogni avvenimen-

to. Agli avventori quel giorno non pareva vero di avere l’occasione per deridere “lo sposo”… Hanno iniziato con qualche allusione e poi piano piano si sono fatti prendere dalla eccitazione e il tenore delle loro battute è diventato pesante e volgare: lui lasciava fare… pareva che non sentisse nemmeno le parole. Quando la derisione è arrivata al culmine, l’attempato signore novello sposo ha posto alla attenzione di tutti una sua profonda convinzione: Bade ragas, ch’l’è d’mei na torta in des che na merda un daperlò. Ascoltate bene ragazzi, è meglio una torta in dieci che una merda uno, da solo. Queste parole davano chiara la dimensione della consapevolezza dell’uomo, che aveva fatto una scelta valutando ogni aspetto, ma contemporaneamente stendeva un’ombra spaventosa sulle qualità delle altre mogli… I consigli che ci provengono dalla cultura popolare sono il frutto “del lento ruminio del tempo”, maturati dalla esperienza di generazioni di uomini e

donne. C’è una saggezza antica e un’ironica leggerezza. Chiudo con una canzone che fa sintesi dei vari argomenti e ci permette di vedere il rapporto amoroso dall’esterno, come spettatori disincantati. Eccola là, chi ela cola là l’è la Rosina cun tut i framballà. Se le la gh’i a l’è segn ch’ai pol purter gh’è al so muros ch’a ghi pol bein pagher. Guarda come la ride, come l’è tuta cunteinta quand al so muros a gh’va areinta sol per deregh un basein d’amor… E lo anca lo, e le anca le, caioun tut du, gnurant tut du ciapa na vecia e po’ besegh al cul. Eccola là, chi è quella là è la Rosina con tutte le balze. Se lei le ha, è perché le può portare il suo fidanzato gliele può ben pagare. Guarda come ride, com’è tutta contenta quando il suo fidanzato le va vicino solo per darle un bacino, d’amor... E lui, anche lui e lei, anche lei coglioni tutti e due, ignoranti tutti e due prendi una vecchia e baciale il culo.

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a cura di Nadia Stefanel

UNA MOSTRA AL MESE LIGABUE, LA FIGURA RITROVATA 11 artisti contemporanei a confronto. Gualtieri, Palazzo Bentivoglio Dall’8 maggio al 14 novembre

La Fondazione Museo Antonio Ligabue di Gualtieri riparte dall’artista (1899-1965), presentando a Palazzo Bentivoglio un nuovo corpus di opere di Ligabue, scelte da Francesco Negri. Curata da Nadia Stefanel e Matteo Galbiati, la mostra propone un inedito dialogo tra il segno di Antonio Ligabue e quello di undici artisti contemporanei che operano, prevalentemente, in ambito figurativo: Evita Andùjar, Mirko Baricchi, Elisa Bertaglia, Marco Grassi, Fabio

Lombardi, Juan Eugenio Ochoa, Michele Parisi, Ettore Pinelli, Maurizio Pometti, Giorgio Tentolini e Marika Vicari. Ripercorrendo le sensazioni e le emozioni suscitate dalle opere e dall’espressività di Ligabue, per la prima volta il Salone dei Giganti accoglie un peculiare dialogo tra il maestro di Gualtieri e undici artisti contemporanei, in un inedito confronto di reciprocità e convergenze che testimoniano come, anche nell’attualità dei linguaggi dell’oggi, sia presente un simile spirito trascendente e una pari centralità di riflessione posta sull’uomo, il suo sentire ed essere nel mondo. Agli artisti invitati, i curatori hanno chiesto di porsi in dialogo con le opere del Toni selezionate per l’esposizione, testimonianza di un percorso in cui la figura, in una prima fase caratterizzata da una precisa connotazione, viene successivamente sottoposta ad una estrema sintesi, fino a dissolversi nel colore. La mostra comprende 16 dipinti di Ligabue, molti dei quali non esposti negli ultimi anni, che Francesco Negri ha personalmente selezionato e studiato, ed una trentina di opere realizzate dagli artisti invitati, la maggior parte delle quali inedite. Il percorso espositivo si articola in due sezioni: la prima si sviluppa intorno all’energia epidermica, carnale e fisica del colore e del suo realizzarsi attraverso il farsi concreto nella pittura; la seconda pone l’accento sul potere trasfigurante dell’arte, che coglie l’immagine nell’istante in cui diventa memoria, sogno, miracolo, apparizione, fissandola prima di una sua inesorabile sparizione.

a cura di Marilena Bertani

RACCONTAMI NEW YORK È UNA FINESTRA SENZA TENDE Cognetti Paolo Editori Laterza, 2010 Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega nel 2017 con “Le otto montagne”, ci accompagna in questo viaggio alla scoperta di una New York poco conosciuta, la città vecchia e nascosta, quella fatta di magazzini dismessi e strade incastrate tra i projects, i caseggiati popolari che hanno dato casa a milioni di persone. Il modo in cui descrive l’istante in cui scorgi da lontano il primo grattacielo, i ponti, i marciapiedi gremiti di gente di ogni età, colore, estrazione... basta chiudere gli occhi per essere trasportati lì. Da esperto conoscitore della metropoli che non dorme mai riesce a mescolare presente e passato, prendendo come spunto i testi dei suoi scrittori preferiti: Fizgerald, Melville, Withman, Ginsberg, Kerouac, Salinger e tanti altri ancora. Ognuno

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narra La grande mela con i propri occhi, aggiungendo un pezzetto che racconta di lei e al contempo di sé. La New York raccontata non è quella senza volto, quella tutta affari e completi eleganti, ma è una città fatta di mura intrise di storie, famiglie scappate dall’Europa in cerca del grande sogno americano per poi ritrovarsi a fare del proprio meglio con il poco che avevano. Cognetti ci regala scorci perfetti per ammirare lo skyline come i moli e le scale antincendio di Brooklyn, mantenendosi sempre distante da Manhattan, quasi come un moderno Gatsby che ammira la luce verde dall’altro lato della baia. Si sente la nostalgia nelle sue parole, si sente l’amore e al tempo stesso il rammarico per i continui cambiamenti che travolgono la città. Evolversi o morire, e in questo New York è maestra: gli edifici vengono riconvertiti continuamente, i quartieri diventano modernissimi per poi tornare nell’anonimato e via di nuovo. É viva e nessuno può fissarla su carta, nel momento in cui la racconti lei è già mutata. Il libro perfetto per questo momento, per viaggiare con il pensiero in attesa di poter salire nuovamente su un aereo.

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a cura di Claudio Corradi

AGRICOLTURA, VERDE, AMBIENTE

L'ELEGANZA DEL GLICINE

La maestosa e spettacolare fioritura che si trova in Via del Fabbro

C’è una via di Correggio che nel pieno rispetto di un’odonomastica puntuale ed attendibile, potrebbe tranquillamente chiamarsi “Via dei glicini”. Si tratta di una nota via della frazione di Mandrio intitolata ad un’arte-mestiere che, in un passato ormai lontano doveva trovare, in quella strada un punto di riferimento importante, oggi scomparso. In compenso però ad ogni inizio primavera, ormai da diversi anni, chi si trova a passare per Via del Fabbro può osservare la spettacolare fioritura di una quindicina di maestosi esemplari di glicine, che si inerpicano altissimi aggrappandosi alle palificazioni della linea elettrica. Uno spettacolo che, soprattutto per chi non avesse ancora avuto l’occasione di osservarlo, vale sicuramente una passeggiata a piedi o in bicicletta in una bella giornata di sole. E le occasioni non mancheranno, visto che quella fioritura si procrastina per quasi tutto il mese di aprile. Quei glicini, ovviamente, non sono sorti spontaneamente ai piedi di quei pali, anche se oggi crescono quasi esclusivamente in forma libera e non potata, se non altro alle altezze maggiori e più complesse da gestire. Evidentemente gli interessanti risultati sia vegetativi che di fioritura, dovuti al fatto che in quel luogo molto probabilmente quel tipo di

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pianta, peraltro non autoctona, ha trovato terreno particolarmente favorevole, ha di fatto creato un effetto domino fra i frontisti, che hanno dato vita a questa sinergia decorativa. Sinergia che, al momento, non interferisce con la servitù che sostiene quegli eleganti esemplari, ma che non è detto possa un domani essere soggetta a provvedimenti di ridimensionamento; la nostra speranza è che non vadano a coinvolgere questo singolare patrimonio verde. Quei rampicanti nel mese di aprile sfoggeranno la loro classica maestosa fioritura di abbondantissimi grappoli lilla che decoreranno e profumeranno, in modo elegante e delicato, quel breve percorso di poco meno di un chilometro.

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UNA LEGUMINOSA VIGOROSA E LONGEVA Il Glicine, pur essendo molto diffuso anche nel nostro territorio, è una pianta di origine asiatica, sufficientemente rustica e poco esigente. Appartiene al genere delle leguminose, dette anche fabacee o papilionacee, tanto che fruttifica con il classico bacello, in dialetto correggese la cosiddetta “scurnècìa”, in modo del tutto simile al pisello, al fagiolo o alla soia. É una pianta rampicante in grado di svilupparsi tranquillamente oltre i 10 metri di altezza e spingersi per una lunghezza anche di 20. Ha una vigoria elevata ed una longevità superiore ai 50 anni. Non ha particolari esigenze di temperature e si adatta bene alle varie condizioni ambientali, sopportando anche il freddo invernale del nostro territorio visto che tollera temperature minime anche di – 15° centigradi. Il suo utilizzo più diffuso è nei nostri giardini, in particolar modo legato alla creazione di pergolati: le caratteristiche vegetative rampicanti di questo albero si prestano allo scopo in modo del tutto naturale. Il suo nome botanico è Wisteria, della quale esistono diverse varietà. Nel nostro territorio le più diffuse sono la Wisteria giapponese, riconoscibile perché sviluppa i tralci annodandoli su se stessi in senso orario, e la Wisteria cinese, che li ritorce in senso antiorario. Il tipo di esposizione che il Glicine predilige è notoriamente quella in pieno sole, che peraltro favorisce una abbondante fioritura, il cui profumo attira api e insetti pronubi.

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L’ANGOLO DEL RELAX REBUS (7-2-3)

REBUS A ROVESCIO (6-6)

Testi di Testa - Disegni di Rinaldi

MODI DI DIRE

PROVERBIO DEL MESE

L'é mèj pusèr d'vèin che d'òli sant (infatti l'olio santo si dà ai moribondi)

A fèr dal bèin a un èsen l'é fàcil ciapèr di chèls

VIGNETTA

Gian Paolo Rinaldi Soluzione rebus: T, arpa, re, LE, ali (Tarpare le ali) Soluzione rebus a rovescio: Eco, re, fari, TAS (Satira feroce)

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