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come eravamo: Vino e poesia, Aroldo mitica osteria

In via Monte Pegni, a Correggio, fino al 1982 si trovava un’osteria priva di un’insegna e di una chiara denominazione, ma conosciuta, nel passato, come l’osteria “di tri scalein” (l’osteria dei tre gradini). Dal 1957, quando ne assunse la gestione Aroldo Gilioli con la moglie Norma, tutti iniziarono a chiamarla “l’osteria di Aroldo”. Era una locanda che offriva un servizio di vineria e di trattoria. Più di tutto rappresentava un punto di ritrovo per avventori in cerca di compagnia annaffiata con del buon vino, e gli eccessi erano all’ordine del giorno. Si racconta che quando, di notte, l’osteria chiudeva, spesso gli “spiriti allegri” continuassero all’esterno le loro sgangherate esibizioni canore, disturbando le persone che dormivano. Così i bollenti spiriti venivano spenti da frequenti lanci dalle finestre di “bucalein pin ed pésa”, vale a dire di pitali pieni di urina. Nel locale, a disposizione degli incalliti bevitori, erano posti sul bancone uova sode che ufficialmente si diceva servissero a “fare il fondo”, ma che, mangiate intinte nel sale, creavano ulteriore sete. Ogni giovedì veniva cucinato un piatto molto apprezzato dalla popolazione locale: la “buseca”, ovvero la trippa. Diverse famiglie portavano i “pgnatein” (i tegamini) e se la facevano cucinare da asporto. Tutte le mattine davanti all’osteria sostava Pistin, fruttivendolo ambulante, con il suo biroccio spinto a mano e carico di frutta e verdura. Posizionato il carretto, per far sapere che era arrivato, urlava: “L’è tuta roba mersa!” (è tutta roba marcia!), e poi entrava da Aroldo a bersi un bicchiere di vino. All’uscita, le donne erano scese in strada per i loro acquisti. Nei giorni del mercato o delle fiere arrivava con un sidecar la “Mimi Fioraia”, cantastorie reggiana che, dopo essersi esibita nelle vie di Correggio, veniva nell’osteria a rifocillarsi e a continuare il suo repertorio di canzoni e storie. Negli ultimi anni di gestione, un gruppo di giovani ispirati dalle esperienze bolognesi di Gucciniana memoria aveva preso ad accompagnarsi agli anziani avventori. Bevevano vino,

organizzavano serate culturali con letture di poesie e

simili. Tra i più assidui frequentatori vi era anche lo scrittore correggese Pier Vittorio Tondelli, detto Vicky. L’osteria ha cessato l’attività definitivamente nel 1982. È stata l’ultima osteria aperta tutto il giorno dove si poteva mangiare e, soprattutto, bere.

“Quei tre-quattro vecchietti rimasti lì a ridere e piangere fra i loro bicchierozzi perché la giovinezza non c’è più e questa sì che è disperazione quando ti senti proprio uno scartino che sei lì solo per morire. Ma il trip li prende anche loro e si mettono a

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cantare e vociare e ballare incerti sulle gambe e offrono toscani e comuni avanti e indietro, proprio a tutti, ed è come offrissero un tesoro. Non ci sono vecchi come ancora in molte osterie della bassa Reggio che li vedi coi loro toscani sempre pronti a ricordare e canticchiare. Se ne stanno scomparendo anche loro insieme ai prezzibassi, alle tovaglie di plastica, ai muri scrostati e caliginosi. Restano in pochi qua e là e quando li si incontra è un indefinibile trapasso di esperienza che capita, un attimo di comunicazione, quella vera, persino ardente e si rimane poi lì tutta la notte a menarsela su e giù degli anni, avanti e indietro nel tempo in una bella confusione che però è la storia vera e anche storia nostra”. Da “Altri libertini” di Pier Vittorio

Tondelli UN PO’ DI STORIA (da Giulio Taparelli)

La storia di questa osteria arretra fino all’Ottocento ed è legata alle guerre per l’indipendenza d’Italia (1848-’49). Gli entusiasmi patriottici di allora avevano convinto molti cittadini di Correggio, appartenenti a ogni ceto, ad arruolarsi come militari in aiuto del Piemonte. Sotto il comando del tenente correggese Luigi Pungileoni, combatterono con onore nelle truppe del Generale piemontese Pietro Govone. Quando i reduci tornarono a Correggio, si riunirono in un’osteria di via Monte Pegni ricordando, tra un bicchiere e l’altro, le loro imprese. Qualcuno produsse un disegno a stampa che rappresentava il loro Generale e lo appese nell’osteria che, da quel momento, fu detta “l’osteria del General Govone”.

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