Primo Piano - Marzo 2021

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PRIMO PIANO Direttore: Lorenzo Soldani Redazione: Francesca Amadei, Fabrizia Amaini, Barbara Berretti, Emiliano Bertani, Marilena Bertani, Giacomo Bigliardi, Luisa Cigarini, Claudio Corradi, Tosca Covezzi, Sara Culzoni, Matteo De Benedittis, Mauro Degola, Giulio Fantuzzi, Liviana Iotti, Luigi Levrini, Viller Magnanini, Adriana Malavolta, Maria Chiara Mantovani, Francesca Manzini, Francesca Nicolini, Maria Chiara Oleari, Luciano Pantaleoni, Maria Paparo, Guido Pelliciardi, Federica Prandi, Gian Paolo Rinaldi, Erik Sassi, Lorenzo Sicomori, Nadia Stefanel, Gabriele Tesauri Hanno collaborato: Gianni Carino, Luisa Gabbi, Andrea Munari, Marcello Rossi, Michele Serra, Rino Testa, Giuliana Turci Impaginazione grafica: Studio il Granello Stampa: Tipografia San Martino snc San Martino in Rio (RE) Editore e proprietario: Circolo Culturale Primo Piano, Correggio Registrazione: Aut. Trib. di RE. n. 437 del 23/05/79 Iscritto al Registro Operatori Comunicazione (R.O.C.) con il n. 34700 Direttore responsabile: Liviana Iotti Segretaria di redazione: Tosca Covezzi Sede legale: via Santa Maria, 1 - Correggio tel. 0522 691875 info@primo-piano.info Abbonamento annuale: Ordinario 20 € Sostenitore 30 € Fuori comune 30 € On line (maggiorazione di 2 € Paypal) Come abbonarsi: Presso una delle seguenti sedi: - Berretti ferramenta e casalinghi P.za Garibaldi 11 - Caffè Mini Bar - C.so Mazzini, 30 - Edicola Andreoli Luisa - P.za Garibaldi - Edicola La Dolce Vita - P.le Aldo Moro (Espansione sud) - Edicola Porta Reggio - P.za Porta Reggio - Libreria Ligabue - via Conciapelli 16 - Libreria Moby Dick - C.so Cavour 13 - Tabaccheria B&B - via Repubblica 14/A - Tabaccheria Catellani - C.so Mazzini 15/b - Tabaccheria del Centro - P.za S.Quirino 10/b - Tabaccheria Mille Idee - via Tondelli 2/o (Espansione sud) - Tabaccheria Nuvola di Fumo - via Carlo V 8/a oppure - on line www.primo-piano.info - bonifico bancario BPER Banca filiale di Correggio IT 76 Z 05387 66320 000002937443 Chiuso in redazione: martedì 23 febbraio 2021

In copertina: Salvatore Bagni tra i suoi amici correggesi: a sinistra, Tullio Magnani e Donato Di Crescenzo, a destra Paolo Magnani

anno 43 / n. 407

Sport 4 32

Bagni, sapete, il calcio ce l'ha dentro Meccanica e competizioni, le mie passioni

Società 6 10 14

Il coraggio delle donne Lavoro e studio, la crisi è doppia I tanti volti della povertà, in pandemia

Urbanistica

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Il recupero del territorio, opera di qualità

Sanità 12 La carica degli over-80 22 Noi qui ci sentiamo al sicuro

Politica 18

Quando cantavamo bandiera rossa

Impresa 20

La Fonte s.n.c., dove l'amicizia non è acqua

Arte 24 34

L’opera del Correggio, un inno gioioso La creatività corre sul filo... di ferro

Cultura 26

I correggesi, popolo di poeti e narratori

Calcio, diciamo... 28

Quella sì, fu un'amichevole bestiale

Volontariato 30

La Protezione civile, una cosa seria

Ricordi 36 Un grande impegno per la sanità pubblica

Rubriche

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opinioni d'autore: Sì... felice di essere stato comunista notizie in breve Correggese calcio: Due nuovi innesti per puntare in alto come eravamo: L'albergo Posta aveva una sola stella: la Zita in cucina interviste improbabili: Bastiàn una mostra al mese: Quello che doveva accadere un incontro apprezzato: Il nostro ricordo della Giornata della Memoria agricoltura, verde, ambiente: Censimento, notizie agro-verdi in arrivo l’angolo del relax

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sport

Viller Magnanini

BAGNI, SAPETE, IL CALCIO CE L'HA DENTRO SALVATORE, UN CAMPIONE E UN AMICO Salvatore Bagni, figlio di Luciano Bagni, “Baroba” per noi di Correggio e dunque di diritto anche per lui stesso, è stato un grande protagonista del calcio italiano a cavallo degli anni settanta e ottanta. Esordisce nel calcio che conta con il Carpi nel 1975 in serie D, per passare poi, nel 1977, con un quadruplo salto di categoria al Perugia in serie A, dove visse anni importanti, con il record di imbattibilità conservato per un anno intero e campionati di vertice. Poi fu ceduto nel 1981 all’Inter dove, sotto la guida di Marchesi, nel campionato ‘82/’83 da attaccante di fascia venne trasformato, vista la buona tecnica, in mediano di centrocampo per sostituire Oriali (quello di ”una vita da mediano” del Liga). La storia di Salvatore con la società milanese terminò in modo brusco nel 1984, con la cessione al Napoli, che così rafforzò il centrocampo di una formazione che tra le sue file annoverava già giocatori del calibro di Giordano, Ferrara, De Napoli; poi arrivarono Careca, Alemao e un certo Maradona. L’anno successivo fu Scudetto e Coppa Italia. Quello dopo il Napoli arrivò secondo dietro al Milan, per un inaspettato calo nel girone di ritorno. Il rapporto con la società si deteriorò e si concluse con il prestito di Salvatore all’Avellino, anche se lui preferiva Bologna con la quale aveva già trovato un accordo. Il ritiro dalla attività agonistica avvenne nel 1991 in serie B con l’Avellino dove non giocò preferendo spostarsi agli Amatori con Donato (Best), suo grande amico. In questi dieci anni aveva giocato prima in Nazionale under 21 e poi nella nazionale maggiore, per un totale di 41 presenze e 5 gol.

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Ecco per sommi capi la carriera di Bagni, che è conosciuta da molti e descritta in tanti articoli che gli sono stati dedicati. Dunque? Dunque a noi interessa l’uomo Bagni, il Bagni che emerge nella sua recente autobiografia intitolata “Il Guerriero”. Quindi ci interessa il ragazzo Salvatore, i suoi amici, il suo ritornare frequentemente tra di noi, i legami mantenuti con Correggio pur vivendo distante, ma non troppo (160 chilometri) sulla riviera Romagnola, a Gatteo Mare. Nessuno è profeta in patria. Poi, nelle piccole città, dove tutti si conoscono e le genealogie perpetuano nei secoli i pregiudizi, gli amici rimangono un vero patrimonio di umanità.

Ospiti della lavanderia Montanari, con il titolare William, di cui si dichiara “praticamente fratello”, a fare da anfitrione, e con altri amici che lo accompagnano, parliamo con Salvatore di calcio, della sua vita e del tempo che scorre. Per prima cosa gli chiediamo di raccontaci della consuetudine di incontrare i vecchi amici. Sappiamo che, finita l’attività professionistica, per molto tempo si è sottoposto a dei sacrifici, a delle alzatacce, pur di venire qui a giocare negli “amatori” con gli amici, prima nella “Dorando Pietri” di Carpi poi nella “Maris” di Correggio, spesso facendosi accompagnare anche da famosi ex compagni, e portando entrambe le squadre a numerosi successi. Lui, dicono gli amici, al calcio deve tutto, ma lui il calcio ce l’ha dentro, non è stata una semplice professione bensì un continuo divertimento. Non è uno spaccone, è un uomo estroverso e sincero: «Io dormo poco, sono super attivo, non mi costava fatica, anzi non vedevo l’ora di ritrovare gli amici sul campo, sempre con la medesima grinta e carica ago-

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nistica, senza fare differenza se al mio fianco non c’era Careca ma Rughetti, non c’era Ferrara ma l’indimenticabile Pergetti (detto Perego), non c’era Maradona ma Cavalcabue (per tutti Malo), e gli avversari non erano Maldini, Gullit, Baresi, ma illustri sconosciuti, operai, artigiani, impiegati che come me avevano una passione esagerata per il calcio. L’unica cosa certa era che riservavo lo stesso trattamento agonistico a tutti». Da “guerriero”, appunto.

sinceramente, senza ipocrisie, perché, chi non mi conosce e mi giudica in modo superficiale possa pensarci su». Cosa pensi del calcio odierno, senza spettatori sugli spalti, che si vede solo in tv? E poi, tu che sei stato anche uno stimato opinionista di calcio, come valuti l’attuale tendenza dei cronisti ad abusare delle formule tattiche e dei discorsi teorici?

DOPO UNA VITA DA MEDIANO,

ORA MI DIVERTO A FARE IL TALENT SCOUT Sempre con gli amici ha continuato in altre professioni: «Mi diverto a fare il talent-scout. Faccio sempre l’autista, mi piace guidare. Con gli amici abbiamo visitato l’Europa tutta, sicuramente, e anche oltre. Siamo entrati in tutti gli stadi, pensane uno “strano”: noi ci siamo stati». Non ti sei fatto mancare niente, hai fatto anche lo scrittore. Cosa ti spinto a scrivere “Il guerriero”? «No, non ho fatto lo scrittore. Il merito è dell’insistenza di Ignazio Senatore, il giornalista co-autore del libro: io non ho fatto niente, gli ho solo raccontato, in alcuni pomeriggi estivi a Gatteo quello che sono stato in campo e fuori dal campo, durante e dopo il calcio, tutto quello che mi è successo di bello e di brutto nella vita. Mi sono raccontato

«Anche questo l’ho fatto per divertimento, grazie alla mia esperienza e alla mia parlantina. Poi come è iniziato, improvvisamente così è finita, senza rimpianti. Oggi per il calcio è un momento strano, una parentesi. Degli odierni commentatori apprezzo molto Lele Adani, guarda caso anche lui nato dalle nostre parti, a San Martino in Rio. In generale, nel calcio adesso molti presunti talenti provengono da paesi che in passato non erano frequentati dagli scopritori di futuri campioni, mentre adesso sembra che gli scout vi abbiano trovato il nuovo Eldorado». Così credi anche tu che i maggiori bacini di futuri campioni siano le nazioni in via di sviluppo, con più “fame”, come si suol dire, come l’Africa, dove il calcio è visto an-

cora come possibilità di fuga dalla povertà? «Si, questa è una realtà consolidata. Io credo però molto nei paesi dell’Europa dell’est, ancora poco battuti da procuratori e talent scout, invece credo meno nei paesi dove hanno già base procuratori famosi con decine di osservatori al loro servizio, tipo Brasile, Argentina, Portogallo. Qui la scrematura dei migliori è già stata fatta. Salvo rare eccezioni, si capisce». I tuoi e nostri compaesani, sai, sono curiosi. I nostri lettori si chiederanno di cosa si occupa attualmente Bagni. «Collaboro con mio figlio, agente Fifa. Vado, osservo, consiglio, segnalo alle società coloro che ritengo buoni giocatori, sia in prospettiva (Kessie, per esempio, l’ho offerto a tanti alcuni anni fa e alla fine mi ha creduto l’Atalanta, che rivendendolo ha fatto un’enorme plusvalenza); oppure giocatori già pronti, esperti, ma sottovalutati, dei quali non farò il nome, altrimenti favorisco la concorrenza. Comunque è un modo per continuare a girare il mondo: ancora e sempre con gli amici, però». Questo è Salvatore Bagni, correggese, attaccante di belle speranze trasformato in grande mediano, grintoso e senza peli sulla lingua, che ancora oggi a Napoli viene riconosciuto, fermato per strada e applaudito. «Per fare con lui duecento metri in città, ci si mette ore», si lamenta un amico. Ma se volete conoscere un po’ meglio Salvatore Bagni dovete cercarlo negli affetti: la moglie, la famiglia, gli amici. Un uomo speciale.

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società

Luisa Gabbi

IL CORAGGIO DELLE DONNE

ILENIA, MARIA E GIANNA: ESPERIENZE CHE PARLANO

Ilenia

I numeri sono quelli di una guerra. Nell’ultimo anno, su 444 mila posti di lavoro persi, 300 mila sono donne dice l’Istat. È uno dei riflessi della pandemia e l’8 marzo 2021 deve essere letto anche sotto questa luce. Dacia Maraini scrive nel libro con Chiara Valentini “Il coraggio delle donne”: “C’è una questione di genere da tenere presente in questa pandemia? Io credo di sì”. «Pandemia e lockdown hanno avuto un effetto inedito anche nei rapporti tra le persone e all’interno delle famiglie – afferma Ilenia Malavasi, la nostra Sindaca - La chiusura di scuole, spazi ricreativi, servizi agli anziani e la sospensione del lavoro e delle attività hanno cambiato le abitudini di vita e ristretto gli spazi di libertà individuale. Questo ha sicuramente inciso, tanto che il contesto famigliare ha a sua volta denunciato o accentuato delle fragilità». Una condizione che ha anche avuto ricadute di violenza domestica. «Nel

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primo semestre 2020 - continua la sindaca - a livello regionale, reggiano e a Correggio, abbiamo assistito a un calo dei contatti ai centri antiviolenza, oltre che a una significativa riduzione degli ingressi nelle case-rifugio». Un dato da leggere in controluce: «A fronte di questo, sono triplicate le chiamate al numero verde antiviolenza, il 1500, e le richieste di aiuto a forze dell’ordine e associazioni. I servizi del distretto hanno preso in carico 45 donne vittime di violenza, l’84% di queste residenti tra Correggio e San Martino in Rio. Quindi sì, la pandemia ha avuto sicuramente effetti drammatici anche rispetto a questi temi». Riguardo il lavoro, la sindaca Malavasi ricorda che «il quadro è impietoso per le fasce più deboli, donne, giovani e lavoratori precari. A livello regionale, il tasso di disoccupazione femminile nel 2020 si è alzato dal 6 all’8%, rispetto al 5% generale. Le donne occupate hanno pagato il prezzo più alto passando dal 63% al 61%, quando la ripresa economica fino almeno al 2019 era guidata, in larga misura, dal lavoro e dall’imprenditoria femminile». A tutto ciò «si affianca la scandalosa questione dei salari, il cosiddetto “gender pay gap”, con 2.700 euro lordi in più per il collega uomo. Resta poi assai problematica la presenza femmini-

le sulla scena pubblica, ma devo dire che nella realtà correggese, negli ultimi anni, si è assistito a un deciso cambio di rotta e oggi abbiamo una significativa presenza di donne ai vertici di istituzioni, aziende sanitarie e altri ruoli di responsabilità pubblica. Il cammino è lungo, ma i primi passi sono stati mossi». Davanti a una sofferenza dei servizi pubblici nella pandemia, come hanno reagito le cittadine di Correggio?

Gianna

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«I miei concittadini, uomini e donne, hanno reagito in un modo che mi ha molto colpito: ci siamo resi conto, cioè, che i buoni servizi di cui possiamo godere rappresentano una grande conquista e vanno difesi perché costituiscono la vera forza, la vera ricchezza del nostro territorio. Ho avuto modo di constatare la passione e l’amore verso i nostri servizi, la scuola, i luoghi di cultura ancora purtroppo chiusi. Ho accolto, restando in ascolto, le critiche mosse a certe decisioni per contenere l’epidemia, soprattutto sulla chiusura delle scuole, e mi sono confrontata volentieri con i ragazzi che, davanti al Municipio, hanno manifestato per il diritto alle lezioni in presenza. Dobbiamo continuare a garantire il diritto allo studio coniugandolo, con intelligenza e coraggio, al diritto alla salute». In questo contesto, cosa dire alle concittadine, in particolare alle più giovani? «Le cose che vorrei dire, le riassumo nella parola coraggio» risponde la sindaca. «Coraggio nell’affrontare la situazione attuale e le sfide di domani. Penso al lavoro, ai diritti e ai doveri e a quel senso di comunità, quel tessuto nel quale le donne sono fondamentali. Coraggio, per le donne, significa anche saper proporre le proprie capacità, la propria intelligenza, la propria cultura in un contesto non facile, ma che ha bisogno di loro come protagoniste e non schiacciate da un certo populismo che propone modelli sbagliati di subalternità. Questo è un compito che mi sta a cuore e che porterò avanti nel mio mandato amministrativo. Essere la “prima cittadina” è per me un grande orgoglio. Sono qui per merito di

chi, prima di me, ha lottato per i diritti delle donne e oggi tocca a me lottare a favore delle donne di domani». Sempre dalla nostra città la voce e la testimonianza di due donne impegnate nel sociale. Maria Paparo, oltre che una storica collaboratrice di Primo Piano, è vicepresidente della coop sociale Ambra, che gestisce, tra i servizi, la RSA “Le Robinie”: «Spesso si dimentica il ruolo che le donne hanno nella società. Nella pandemia è emerso con ancora più chiarezza il loro carico complessivo. Al netto di padri attenti e disponibili, è ricaduto all’80% sulle donne il carico di lavoro e di cura, per esempio nel seguire i figli nella didattica a distanza». La cooperativa è presente nei servizi educativi e per anziani, con personale prevalentemente femminile. «Alla casa protetta, le lavoratici hanno dovuto affrontare una guerra esplosa all’improvviso. La nostra coordinatrice dice che in questa pandemia si sente una “nuova partigiana”, pensando soprattutto all’inizio tra scarsi mezzi, paura e non conoscenza». «Ora - afferma Maria - occorre ragionare su misure strutturali e cambiamenti culturali, per esempio che permettano di considerare la maternità anche come un fatto sociale, della comunità». Intanto, davanti a queste fatiche, alle violenze domestiche, «è importante scatti la solidarietà tra le donne». “La sorellanza” è l’esperienza del Centro Donne del Mondo di Correggio e ha retto anche durante la pandemia, dice la presidente Gianna Radeghieri. Il Centro, frequentato da 15 anni da donne italiane e di origine straniera, ha dovuto restare chiuso.

Maria

Nonostante questo, «grazie ai legami costruiti nel tempo, queste donne si sono prese per mano». «Certo, nelle donne lontane dalla loro famiglia di origine ho visto molta paura e un rispetto assoluto delle regole – racconta Gianna -: la paura di ammalarsi ed essere lontano dai propri cari, la paura che i genitori lontani si ammalassero, senza poter far nulla. Ero presente quando una delle donne del Centro ha ricevuto la notizia della morte della madre dall’altra parte del mondo: è stato straziante». «Il Centro è stato un punto di riferimento – conclude Gianna – e, quando è lecito, sono le donne che lo frequentano ad aprire le porte e a tenere viva la sorellanza, un’esperienza di cittadinanza, per un riconoscersi nella comunità in cui viviamo».

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urbanistica

Luciano Pantaleoni

IL RECUPERO DEL TERRITORIO, OPERA DI QUALITÀ

IL PERCORSO PROGETTUALE DELLO STUDIO DESSAU Quando avete fondato lo studio, quali erano le aspettative e il contesto? «Eravamo tutti freschi di laurea e pieni di entusiasmo, la città stava vivendo anni di “qualificazione”, le famiglie volevano migliorare le loro condizioni abitative e le aziende si ampliavano o costruivano nuove sedi. Si sentiva l’esigenza di uno studio di architettura e vi erano tante opportunità di lavoro».

Da sinistra: Silvia Gazzetti, Dino Turci e Mauro Turci

Lo studio Dessau, fondato nel 1980 da Dino Turci insieme a Guido Ligabue e Ivana Iotti con collaboratori Donatella Paglia e Mauro Turci (che è poi entrato nell’organico dello studio), è stato il primo studio di urbanistica e architettura di Correggio. Ascoltare le riflessioni di questi professionisti ci offre la opportunità di capire le trasformazioni intervenute in questi anni. Entrando nello studio si resta colpiti dalle fotografie di grandi pesci appese alle pareti: ognuno di noi ha un proprio vissuto e delle passioni… e Dino è un grande appassionato di pesca. Lo studio ha vissuto momenti storici molto differenti, legati ai cambiamenti che avvenivano a livello sociale, politico e normativo. Dino ci tiene a rimarcare che la “dimensione etica”, la correttezza nei rapporti e nei comportamenti sono stati sempre punti fermi del loro lavoro. Non

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ha esitato, quando non condivideva le scelte tecniche e politiche, a dimettersi da ruoli istituzionali di primo piano. Prima di aprire lo studio hai lavorato alcuni anni nell’ufficio tecnico del Comune di Correggio, in una “squadra” di grande competenza e umanità, con assessore Eros Guerrieri, l’ingegner Ferretti, Guido Ligabue, Luciano Martinelli, Gianna Cattini e Mauro Montanari. Quanto è stata importante per te questa esperienza? Dino: «Sono stati anni molto formativi che ci hanno permesso di verificare in concreto quello che contemporaneamente studiavamo in università. Io e Guido ci siamo laureati nel 1978 in Urbanistica presso la sede distaccata di Treviso dell’Università di Venezia. Ivana si era laureata un anno prima presso la facoltà di Architettura dell’Università di Firenze».

Perché il nome Dessau? «Devo dire che il nome lo aveva proposto Ivana: Dessau è la città che ha ospitato la prima scuola di architettura del Bauhaus. Non era un nome banale e nei primi tempi ha generato alcune divertenti incomprensioni… Chi pensava fosse un nome sardo e chi invece credeva fosse francese e lo pronunciava con strani accenti! Nel tempo la compagine societaria si è trasformata e rinnovata, Guido ha scelto di impegnarsi a livello amministrativo ed è diventato assessore e poi sindaco di Bagnolo, Ivana nel 2003 è uscita per problemi personali». Nel 2005 è entrata come socia Silvia Gazzetti, ingegnere. Silvia: «Sono laureata in Ingegneria Civile all’Università degli studi di Parma nel 2001, anno in cui ho iniziato la libera professione iscrivendomi all’ordine degli Ingegneri di Reggio Emilia. Sono poi entrata come socia nello studio Dessau. Mi occupo di Progettazione architettonica e strutturale, sono progettista BIM, Coordinatore della Sicurezza. Attualmente sto seguendo un percorso di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore che mi darà la qualifica finale di Tecnico dei Processi di riqualificazione sostenibile». Tra le tante idee che avete sviluppato quali sono i progetti che vi sono più cari?

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Dopo gli anni dell’espansione, quelli che abbiamo di fronte saranno gli anni del recupero e della riqualificazione. Come vedete questo cambiamento? Silvia: «I fabbricati del nostro territorio

sono principalmente edifici costruiti prima della classificazione sismica del territorio, che ci colloca in zona 3 (sismicità medio-bassa). Questo richiede una grande attenzione al tema della sicurezza sismica. La prevenzione permette di ridurre i rischi, sia in caso di eventi sismici che in condizioni normali. Poter valutare per tempo quali interventi è necessario eseguire costa meno che intervenire a seguito di danni ormai avvenuti o in condizioni d’urgenza. In seguito ai drammatici eventi sismici del 2012, il nostro studio si è occupato di diversi interventi di messa in sicurezza e di miglioramento sismico sul patrimonio edilizio esistente, industriale e civile. È auspicabile che la nuova opportunità del “Superbonus al 110%” venga sfruttata anche per il miglioramento sismico dei fabbricati, perché è poco ragionevole raggiungere un’alta efficienza energetica in edifici con bassissima sicurezza sismica. Ultimamente abbiamo avuto diverse richieste per intervenire su fabbricati con Ecobonus e Sisma-bonus al 110%, e stiamo predisponendo i progetti. Il sistema di incentivazione fiscale si configura come un “volano” importante che ci coinvolgerà per parecchio tempo e porterà lavoro a imprese, idraulici, elettricisti e tutti coloro che gravitano su queste figure». Sono intervenute molte variazioni normative negli ultimi anni. Come le valutate? «Lo Stato e la Regione hanno emanato negli ultimi anni diverse leggi riguardanti il modo di costruire per l’Antisismica, il contenimento dei consumi energetici, il produrre energia con fonti rinnovabili, l’isolamento acustico dei fabbricati ed altre di minore entità. La

progettazione è diventata molto più complessa, ma le prestazioni richieste hanno una finalità “virtuosa”. Vogliono garantire benessere, sicurezza, risparmio e rispetto ambientale». Cosa vi aspettate dal nuovo P.U.G. (Piano Urbanistico Generale)? «La Nuova legge Urbanistica Regionale ha dettato i principi generali volti al contenimento dell’Espansione Territoriale e alla incentivazione del recupero delle aree dismesse e del patrimonio edilizio esistente. Le norme del vigente PRG a Correggio sono state scritte nel 1999: sono di fatto inadeguate e soprattutto piene di prescrizioni che tramutano il progetto in una sorta di percorso ad ostacoli. Il PUG dovrebbe tendere ad una semplificazione normativa e ad accompagnare i processi di rigenerazione, con un approccio “smart” e innovativo. È auspicabile che non si sovrappongano vincoli ai vincoli, ma si dia attuazione concreta alla volontà di recuperare e valorizzare il territorio senza esasperare “la museificazione dell’esistente”, anche in edifici di modesto interesse architettonico. In ogni periodo storico la città si è trasformata per rispondere alle esigenze dei suoi abitanti». Lascio lo studio con la sensazione di essermi confrontato con persone serie e competenti, consapevoli della complessità del mestiere e della necessità di mantenere comportamenti etici in un mondo che ha avuto profondi sbandamenti. Silvia è capace e discreta, parla in modo pacato con assoluta saggezza. Dino è esuberante, dinamico e sveglio. Non poteva essere diversamente con tutti quei pesci appesi alle pareti: si sa...“chi dorme non piglia pesci”.

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Dino: «Siamo particolarmente orgogliosi di aver progettato l’Albergo dei Medaglioni. È un edificio storico di pregio che ha notevolmente qualificato l’offerta ricettiva del Comune di Correggio e ha innescato un processo di riqualificazione della zona di Porta Reggio, che era ancora in gran parte degradata. Altro progetto di cui siamo fieri è stato l’Ampliamento del Villaggio Industriale che, oltre a dare risposte ad alcune Aziende che avevano bisogno di maggiori spazi, ha permesso di poter ultimare il tratto della Tangenziale Nord e ha consentito la realizzazione della passerella ciclopedonale sopraelevata sulla via Unità d’Italia. Riteniamo anche molto interessante il progetto di ampliamento e rinnovo della facciata della Snap-On sulla Via per Carpi. Il cuore economico di un Comune sono le Zone Industriali, perché sono le aziende che trainano anche l’economia locale. Mi auguro che il Nuovo PUG dedichi più di un capitolo alla loro riqualificazione e proponga anche convenzioni con le imprese, che saranno ben liete di potere collaborare con l’Amministrazione Comunale. Correggio è conosciuta nel mondo perché è “la patria degli smonta-gomme e dello stampaggio delle materie plastiche”. Le zone industriali sono un po’ lo specchio della città. Gli imprenditori che vengono da noi, se trovano villaggi Industriali con servizi, pulizia, marciapiedi, parcheggi e sicurezza, potranno associare la cura dei luoghi alle eccellenze produttive».

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società

Giacomo Bigliardi

LAVORO E STUDIO, LA CRISI È DOPPIA

UN EFFETTO COVID MOLTO AMARO PER I NOSTRI GIOVANI

Elena Riccò

Mettere in fila le conseguenze della pandemia è ormai un’impresa impossibile. Siamo entrati in questo momento storico senza immaginare la portata delle ricadute che ci sarebbero state sulle vite di tutti noi, e alcuni capitoli sono ancora da scrivere. Uno dei primi e più importanti è quello del lavoro, e per parlarne abbiamo deciso di concentrarci sulle esperienze dei giovani. Di volta in volta, proveremo a raccontare storie diverse provenienti da alcuni dei settori in cui i giovani correggesi si sono messi in gioco e hanno iniziato il loro percorso lavorativo. Perché proprio i giovani? Questo momento storico cambierà la nostre vite e, soprattutto, definirà le possibilità che potremo avere nel nostro futuro. Non è un caso se il tanto discusso piano europeo per la ripresa economica si chiama “Next Generation EU”. Le possibilità che diamo oggi a queste nuove generazioni costruiranno il mondo di domani. È anche guardando a loro, quindi, che possiamo capire il mondo che ci aspetta. Ma partiamo da qualche dato generale. Nel momento in cui viene scritto

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questo articolo, ancora non si sa come il nuovo governo Draghi si porrà nei confronti di alcuni dei dossier più caldi del momento: in particolare, blocco dei licenziamenti e cassa integrazione. All’orizzonte, secondo il “Secondo Rapporto di monitoraggio sulla crisi da Covid-19” della Fondazione Consulenti del Lavoro, c’è il rischio di perdere il 12% dei posti di lavoro nella piccola e media impresa. Le stime mostrano che il rischio aumenta nel sud Italia, e anche per alcuni settori specifici, in particolare per quello degli alloggi e della ristorazione. Riduzioni ingenti del personale, attorno al 10-15%, sono attese anche per i settori dei servizi ricreativi, culturali e sportivi. Simili stime riguardano la fetta di imprenditori, artigiani, commercianti, professionisti e partite Iva, la cui riduzione delle attività si attesta intorno al 14%; una su sette, per intenderci. In questo panorama, i giovani risultano tra i più colpiti dalla crisi causata dal Covid-19. Già durante la prima ondata del virus, è stato cal-

pre più isolato chi ha meno di 35 anni. Ma quali sono le cause? Contratti di lavoro precari e non tutelati, che non danno diritto a sostegni adeguati o che portano chi ha meno esperienza ad essere il primo che viene “sacrificato”. Questo fa sì che i giovani non possano fare esperienza, e che quindi manchino dei requisiti e delle conoscenze per migliorare il proprio curriculum, innescando così un circolo vizioso da cui uscire è per alcuni un incubo. Inoltre, molti giovani lavorano in settori che sono stati particolarmente colpiti dalle restrizioni imposte per far fronte alla pandemia. Tra questi, il primo che salta alla mente è quello della ristorazione: sono molti i ragazzi che scelgono di lavorare in un bar o in un ristorante, a tempo pieno o anche solo nei fine settimana. Lavorare significa raggiungere l’indipendenza, ma anche potersi pagare gli studi. Nuovamente, è un circolo vizioso. La laurea gioca una grande importanza, e se per mantenere gli studi in molti cercano da lavorare, ora questi sono i pri-

PER LA CRISI DOVUTA AL COVID MOLTI GIOVANI

PERDONO QUELL'INDIPENDENZA FATICOSAMENTE RAGGIUNTA colato che i lavoratori under 50 (quindi giovani ma non solo), abbiano perso in quattro mesi la crescita occupazionale dei sei anni precedenti. A giocare un ruolo è, però, l’istruzione: tra il 2019 e il 2020 il numero degli occupati under 34 è calato più del doppio per chi non aveva una laurea. La situazione che si delinea è una vera e propria frattura nel mondo del lavoro, che vede sem-

mi a perderlo, il lavoro. Il rischio è che a essere sacrificato sia anche lo studio, così come i progetti per il futuro. E così si ritorna da capo. Qual è la prospettiva per il futuro? E ascoltando le voci dei ragazzi che lavorano nei bar e ristoranti correggesi, si sente proprio l’amarezza di questo periodo e il desiderio di tornare a fare qualcosa. Certo, si tratta di studenti

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che aggiungono il lavoro ai percorsi universitari e di studio, ma in poco tempo hanno perso sia quell’indipendenza economica per cui avevano lavorato, sia la possibilità di fare esperienza lavorativa. Come Elena Riccò, che racconta: «Da quando sono maggiorenne, ho sempre lavorato mentre studiavo. Ho fatto tante cose, non mi

Marco Barigazzi

è mai piaciuto stare ferma e non mi piace chiedere soldi alla mia famiglia. È una questione di indipendenza: mi è stato insegnato che niente ti viene dato gratis. Ho fatto la babysitter, ho lavorato al mercato, al ristorante: il punto per me è darsi da fare. Ho lasciato il mio lavoro al ristorante alla fine dell’estate scorsa perché i miei progetti mi avrebbero portata a Milano, ma tutto è saltato e ora mi ritrovo a casa, studio a distanza e non ho la possibilità di lavorare». Nel suo caso, è stata lei a scegliere di smettere di lavorare, ma solo in funzione di un progetto più importante: trasferirsi e iniziare un altro percorso. Che è stato, puntualmente, cancellato. Il rischio è che anche i più virtuosi, anche quelli che da sempre si danno da fare, subiscano un colpo grosso da questo periodo e abbandonino le scelte e i percorsi che avrebbero voluto seguire. «Adesso mi dispiace non avere niente da fare», conclude Elena, «avevo in previsione di occupare il mio tempo con qualcosa che c’entrava davvero con quello che volevo fare della mia vita, ma non posso farlo».

Esperienza simile è quella di Marco Barigazzi, studente di conservatorio che per quattro anni - dalla fine del liceo - ha sempre trascorso i fine settimana lavorando come cameriere. «Non avevo passato il test d’ingresso per il conservatorio al primo colpo», racconta, «e quindi avevo scelto fin da subito di lavorare. Mi dispiaceva pesare sulla mia famiglia e sentivo la necessità di essere indipendente. Quello è il motivo per cui ho iniziato a lavorare, ma con il tempo ho capito che mi stavo anche aprendo delle possibilità per il futuro. Se il mio percorso principale di musicista non dovesse andare bene, ora so che ho già un altro mestiere che so fare e per il quale ho accumulato esperienza. Lavorare come cameriere subito è stata una necessità, perché era l’unica cosa che mi permetteva di studiare di giorno e lavorare alla sera, ma con il tempo il gruppo di lavoro è diventato quasi come una squadra di amici. Da quando hanno chiuso i locali lo scorso anno, quell’ambiente mi manca: al contrario dello studio, il lavoro ti dà risultati tangibili, concreti, a fine serata hai un risultato di ciò che hai fatto. Appena si potrà, riprenderò a farlo».

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31/03/2021 per MINI Cooper Countryman in produzione entro Febbraio 2021.

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sanità

Liviana Iotti

LA CARICA DEGLI OVER-80

AVVIATA LA VACCINAZIONE PER GLI ANZIANI Disciplinati e soddisfatti, hanno accolto la vaccinazione contro il Covid come un premio. Gli ultraottantenni correggesi hanno risposto con sollievo ed entusiasmo all’appello di presentarsi al Centro Prelievi del Distretto Sanitario in via Circondaria 26, dove è stato allestito l’hub vaccinale distrettuale. Gli ultraottantenni correggesi sono 1833 (883 dagli 80 agli 84, 950 dagli 85), nel nostro Distretto Sanitario 3850 (1900 dagli 80 agli 84, 1956 dagli 85). La possibilità di immunizzarsi era attesa con ansia da coloro che nel corso della pandemia si sono dimostrati i soggetti a massimo rischio e così le prenotazioni sono state numerose sin dalle prime ore del 15 febbraio quando è scattata la prima fase, quella dedicata ai grandi anziani (85enni e ultra 85enni). L’attività è iniziata il 16 febbraio. Una parte degli interessati si è presentata all’appuntamento accompagnata da un familiare o da un conoscente, molti anche da soli, alcuni hanno ricevuto il vaccino a domicilio. La seconda fase è dedicata alle persone nate dal 1937 al 1941 compresi (quindi tra gli 80 e gli 84 anni). Le prenotazioni sono scattate il primo marzo. Per prenotare la vaccinazione ci si può rivolgere anche al proprio medico di base e alla propria farmacia se abilitati.

Le persone che non sono in grado di raggiungere gli ambulatori vaccinali per impossibilità a muoversi saranno vaccinate a domicilio. In questo caso non bisogna prenotare un appuntamento, ma il numero da chiamare è il 0522 338700, attivo dal lunedì al sabato dalle 8.30 alle 18.00. Per ogni informazioni sulla prenotazione del vaccino COVID è possibile scrivere a info.vaccinazionecovid19@ausl.re.it

COME E DOVE PRENOTARSI Fisicamente: nuovo numero telefonico dedicato: 0522 338799, dal lunedì al sabato dalle 7.45 alle 18.00; agli sportelli CUP; nelle farmacie e parafarmacie abilitate alla prenotazione; alle segreterie dei medici di medicina generale abilitate alla prenotazione;

Un grande grazie alla novantunenne Veglia Montanari per la fotografia

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Online: il Fascicolo Sanitario Elettronico; L’App ER Salute;

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COOPERATIVA SOCIALE COOPERATIVA SOCIALE

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società

Maria Chiara Oleari

I TANTI VOLTI DELLA POVERTÀ, IN PANDEMIA

MARZOCCHINI: CONOSCERLA E COMBATTERLA TUTTI INSIEME In questi giorni ricorre il primo, e speriamo ultimo, “anniversario” dell’inizio della pandemia, almeno in Italia. Un anno fa ci chiudevamo in casa per provare ad arrestare la furia del coronavirus. La pandemia che stiamo attraversando è come uno tsunami: una prima ondata devastante si è abbattuta sul nostro paese all’improvviso, poi una seconda ondata più lunga e diffusa, che ci ha trovato tuttavia più preparati; chissà se arriverà anche la terza, temibile ondata. Tra una curva dei contagi e l’altra, però, iniziano a venire a galla i primi effetti a lungo termine: disagi economici, psicologici e sociali stanno emergendo con sempre più clamore, sollecitando l’attenzione delle istituzioni pubbliche e delle opere di carità.

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Ne parliamo con Gianmarco Marzocchini, vicesindaco della nostra Correggio con delega al welfare, ma anche operatore nella Caritas reggiana. Ci siamo confrontati rispetto a quelle che sono le diverse povertà generate dal Covid. Gianmarco, dati i tuoi incarichi, sei un osservatore diretto delle povertà legate a questa pandemia. Quali sono le nuove fragilità che stanno emergendo? «Lo scorso anno è stato impegnativo per tutti, ma ovviamente in modo particolare per le fasce più fragili della popolazione. Per questo, insieme ad alcune povertà nuove, ci sono povertà “cicliche” che stanno venendo a galla. Penso ai nuclei monogenitoriali, alle persone sole e ai papà separati che già in condizioni normali hanno una stabilità precaria e il Covid ha ulteriormente minato, in mancanza di una rete parentale di aiuto. Ci sono, seppur in misura minore per il momento, anche famiglie non note ai servizi sociali che magari da due stipendi sono passate a uno ed iniziano a trovarsi in difficoltà: un po’ perché probabilmente in prima battuta, per far fronte all’’emergenza, si attinge ai risparmi e un po’ per un senso di “vergogna” nell’esporsi, questi nuclei famigliari fanno più fatica a richiedere gli aiuti di cui hanno diritto. Poi ci sono le persone con disabilità e le loro famiglie, che con la chiusura e la difficoltosa riapertura dei servizi hanno sofferto e soffrono ancora una grossa solitudine nelle loro situazioni di bisogno. Se per tutti è stato difficile rimanere a casa durante il lockdown, così come affrontare i periodi di zona rossa e arancione, pensiamo a quanto si siano trovate in difficoltà le famiglie con persone disabili, nel non aver appog-

gio psicologico e sociale esterno per i propri ragazzi. Anche gli anziani hanno sperimentato situazioni estremamente problematiche, specie se privi di rete famigliare: in questo però l’assistenza domiciliare non si è mai fermata, sia in presenza che al telefono. Pensiamo all’iniziativa del Telefono D’Argento, che è stato attivato per i bisogni di queste persone e che ha fatto un po’ di tutto; supporto informativo, per la spesa e le diversi necessità, ma anche aiuto psicologico facendo compagnia agli anziani soli. Infine ci sono tutte le povertà educative e relazionali: in tanti contesti la pandemia ha colpito le relazioni oltre che l’aspetto lavorativo delle persone». Se pensiamo all’educazione viene in mente principalmente la Didattica A Distanza, che i ragazzi continuano a sperimentare anche in questi mesi. Quali sono le altre problematicità che ha fatto emergere la pandemia? «Certamente la DAD ha fatto emergere grosse disuguaglianze e difficoltà anche da parte nel contesto famigliare: pensiamo a chi, durante il lockdown, aveva più figli connessi contemporaneamente senza la capacità di garantire ad ognuno il supporto adatto per seguire la didattica. Sono situazioni in cui si è creata una disparità tra i ragazzi, anche

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se devo dire che tanti materiali sono stati forniti, in numerose occasioni, su iniziativa pubblica o privata. In più non bisogna sottovalutare tutte quelle situazioni in cui la quarantena ha acuito tensioni famigliari, soprattutto a discapito dei minori. Penso in generale ai fenomeni di violenza domestica, sensibilmente aumentati proprio nella scorsa

vale per il fenomeno del gioco d’azzardo che, essendosi spostato online con la chiusura delle sale da gioco, diventa più difficile da tracciare e contrastare». Il Covid ha scosso anche sistemi e prassi che davamo per assodati: quali sono gli ambiti che si dovranno ripensare dopo la pandemia?

IL TERREMOTO SOCIALE DEL COVID

METTE A DURA PROVA LA NOSTRA RETE DEI SERVIZI primavera. Rispetto a questo, abbiamo sperimentato che con le misure di isolamento e lockdown sono venuti un po’ a mancare i contatti più regolari con le famiglie che i servizi sociali hanno in carico. Questo allontanamento contribuisce a tenere nascoste alcune dinamiche e situazioni di disagio che dovremo essere bravi a far emergere». Quali sono altre situazioni nascoste, che non si sono ancora manifestati del tutto? «Altri fenomeni imminenti a cui ci dobbiamo preparare sono l’aumento delle morosità e della disoccupazione: con il blocco dei licenziamenti e degli sfratti non sono ancora emerse tutte le conseguenze del Covid, ma dovremo rispondere ad un’emergenza importante da questo punto di vista. Il lavoro in nero è un’altra realtà complessa da intercettare che, con il coronavirus, è ancora più nascosto: lo stesso

«Sicuramente si dovrà fare una grossa riflessione sui servizi sanitari del territorio: penso alla medicina di base e di gruppo, al ruolo dei medici di medicina generale che abbiamo particolarmente riscoperto in questo frangente, sia per quanto riguarda chi li governa e coordina che per quanto riguarda la pressione di richieste. Sicuramente anche i servizi per gli anziani da questa esperienza ci pongono delle domande: dal rapporto con i parenti, le loro visite, e forse una eccessiva “sanitarizzazione” che si è sviluppata negli ultimi anni. Tutti temi che necessitano di riflessioni. In generale, penso che il Covid sia stato un terremoto per tanti servizi, che probabilmente erano già pericolanti. Abbiamo però osservato tanta creatività nel rispondere all’emergenza, penso per esempio a chi ha ripensato il servizio domiciliare con un’assistenza telefonica: questo può

dare una spinta per rivedere e attualizzare tanti servizi». Anche se è un termine un po’ pericoloso di questi tempi, cosa è emerso di positivo dalla pandemia? «Una delle note più positive è l’associazionismo, emerso con tutta la sua importanza e forza. Tante persone si sono attivate, tramite associazioni ma anche singolarmente, per mettersi a disposizione per chi si trova in situazioni di bisogno. Il volontariato ed il terzo settore sono una vera e propria antenna di ascolto dei cambiamenti della società e delle nuove povertà emergenti». Dopo un anno di Covid, questa è l’aspetto più significativo che la pandemia ci ha lasciato: essere consapevoli che siamo una comunità e che siamo profondamente interconnessi. Accorgersi degli altri, delle necessità e difficoltà anche più nascoste è compito e responsabilità delle istituzioni, dei servizi ma interpella anche i singoli cittadini. Tra le tante e più recenti iniziative a questo proposito, ricordo quella del Banco Farmaceutico che, come ogni anno, nella settimana dall’8 al 15 Febbraio ha promosso la raccolta di farmaci per le persone in difficoltà economiche. La pandemia non è ancora archiviata, la speranza è che sia sempre più contagiosa e creativa anche la solidarietà. In quattro farmacie tra San Martino, Prato e Correggio sono stati raccolte più di 450 confezioni di farmaci per le persone in difficoltà. Il dato è in linea con quello dell'anno scorso, quando la raccolta è avvenuta in uno degli ultimi weekend pre-Covid, segno quindi che la pandemia non ha fermato la generosità deI concittadini.

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Michele Serra per Primo Piano

OPINIONI D’AUTORE

SÌ... FELICE DI ESSERE STATO COMUNISTA POPOLO E INTELLETTUALI, UN’ANIMA SOLA

In questo periodo, commenti, convegni e scritti di vario genere hanno celebrato la nascita del Partito Comunista, nel gennaio 1921, al Congresso socialista di Livorno. Primo Piano è nato nel 1979 come bimestrale del PCI di Correggio, il Partito che nella nostra città ha conosciuto una lunga e ricca avventura politica. Abbiamo pensato di parlarne, ricorrendo alla penna di Michele Serra e a quella di Marcello Rossi. Michele Serra, opinionista, editorialista di Repubblica e scrittore, lo abbiamo conosciuto da vicino a Correggio in occasione del Convegno di Primo Piano al Teatro Asioli dal titolo “Amaca con vista – Società e politica al tempo del selfie”. Marcello Rossi, è insegnante di storia ed italiano all’Istituto Einaudi nella nostra città. Autore di diversi scritti sugli anni del dopoguerra a Correggio, è stato direttore di Primo Piano e amministratore pubblico negli anni ottanta. Il nostro amico Gianni Carino, fumettista reggiano, è l'autore delle due vignette.

Tante sono le cose dette e scritte per i cento anni dalla nascita del Partito comunista italiano, morto tutto sommato piuttosto giovane: a settant’anni e senza lasciare eredi, perché sarebbe troppo triste, e anche ridicolo, considerare tali i partitelli minuscoli che ancora si fregiano del nome “comunista” (sono, in Italia, più di una decina. Per dire la tristezza; e anche il ridicolo). Meglio dunque tenersi alla larga dal vintage spicciolo, dall’ideologia ridotta a reperto da bancarella. Preferisco dire che cosa davvero mi manca, politicamente e umanamente, di quel partito, che per mia grande fortuna ho potuto conoscere da vicino, e dall’interno, nei miei lunghi e meravigliosi anni all’Unità (dal ’76 al ’92) e prima ancora nelle sezioni comuniste frequentate da ragazzo. Che cosa abbiamo irrimediabilmente perduto, perdendo il Pci? Abbiamo perduto la natura magnificamente anfibia AUTOFFICINA

– intellettuali e popolo - di quel partito, di quelle sezioni, di quella classe dirigente. Intellettuali e popolo sotto uno stesso tetto e in larga parte con gli stessi fini, la stessa volontà. In pieno evo populista questa commistione risulta quasi incredibile, tanto aspro, quasi furente è diventato (in tutto il mondo occidentale!) l’antagonismo tra cosiddetti “ceti colti” e cosiddetto popolo. Una cesura sociale e anche territoriale, sovente tagliata con l’accetta del pregiudizio, in modo da ficcare tra i “radical chic” anche professori di liceo che non arrivano a duemila euro al mese, e chiamare “popolo” imprenditori di ottimo reddito (e magari evasori fiscali). Beh, questo genere di equivoco, oggi così evidente e nocivo (perché così in grado di travisare i rapporti di classe), in quel partito non esisteva e non poteva esistere. La cosiddetta base non avrebbe mai imputato a un dirigente la doppia laurea, la libreria di abbon-

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dante metraggio e neppure la giacca di tweed (il cachemire costava troppo, per un funzionario di partito). E neppure il dirigente più altezzoso avrebbe mai snobbato il corpo a corpo con la base, lo scambio spesso molto vivace di esperienze e punti di vista spesso non coincidenti. E poiché diventavano dirigenti anche ex operai, sindacalisti e cooperatori, nessuno poteva supporre che la selezione, dentro il partito, obbedisse a criteri di esclusione di chi proveniva “dal basso”. Molto semplicemente, l’alto e il basso erano componenti dello stesso materiale politico: il partito. Molti intellettuali avevano la stessa puzza sotto il naso di adesso, molti “compagni di base” la stessa veemenza emotiva, eppure la casa era la stessa, era nelle stesse stanze che ci si incontrava, ci si accapigliava, ci si prendeva per i fondelli, e nessuno si è mai sognato di discutere quella commistione di tipi umani sulla base di una discriminante di cultura, di titolo di studio, di gusti estetici, di linguaggio, come poi è avvenuto, sciaguratamente, in anni a noi vicini. C’era evidentemente, del popolo, una visione molto ambiziosa, in quel partito. Il popolo doveva diventare classe dirigente, e per ciò stesso studiare, leggere, imparare a essere migliore di chi lo aveva oppresso. Si litigava molto ma ci si offendeva poco, nelle sezioni comuniste, in mezzo a tutto quel fumo. La mia sezione era nel centro di Milano, si chiamava Perotti-Devani ma era allegramente soprannominata “Salotti&Divani” dagli stessi iscritti a causa del notevole numero di professionisti, professori, borghesi di sinistra che la frequentavano. Insieme a loro pensionati, casalinghe, studenti, impiegati, un falegname, un fotografo e numerosi operai, metalmeccanici del-

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la vicina fabbrica Ferro Tubi (un nome meraviglioso, quasi romanzesco). Non ricordo neppure l’ombra di polemiche “di classe”, nell’uno o nell’altro verso, in quel gruppo che si sentiva comunque vincolato a una comune identità. Eppure, le differenze di censo e di istruzione erano spesso stridenti. Ma a me, un liceale borghese che si affacciava per la prima volta, in modo così diretto, nel sociale, nella città così com’era al di fuori delle mie mura domestiche e della mia famiglia, quella varietà pareva una lezione straordinaria. Tale mi pare tutt’ora, che tanto tempo è passato. Del resto, il segretario più amato di quel partito fu il marchese Berlinguer, che per tutti fu il compagno Berlinguer. Ebbe, il marchese comunista, il funerale più popolare della storia d’Italia. Non ricordo che gli abbiano mai mosso, neppure da destra, accuse di essere un radical chic, tanto era naturale, nella lunga storia socialista e comunista, la presenza di una élite intellettuale in un partito di massa. Ecco, questo è il vero lutto che fatico a elaborare, da orfano del Pci. Grazie alla lunga costruzione dell’idea gramsciana del partito come “intellettuale collettivo”, l’alleanza strategica tra cultura e popolo, tra una élite rivoluzionaria e una base ad essa complementare (l’una senza l’altra non era concepibile), era un dato di fatto. Era la constatazione di ogni giorno, di ogni riunione di quartiere. Che cosa si sia perso, che cosa si sia rotto, è sotto gli occhi di tutti. Andai, da studente, nella casa di un delegato dell’Alfa, operaio comunista. Mi mostrò, con fierezza indimenticabile, la Storia d’Italia Einaudi acquistata a rate. Mi basterebbe questa singola immagine per sentirmi felice di essere stato un militante del Partito comunista.

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politica

Marcello Rossi

QUANDO CANTAVAMO BANDIERA ROSSA IL PCI A CORREGGIO, UN FORTE LEGAME DI POPOLO

Venti giorni prima del Congresso socialista di Livorno da cui nasce il PCI, a Correggio la sera del 31 dicembre 1920, Agostino Zaccarelli e Mario Gasparini, due giovani socialisti, vengono assassinati da squadristi fascisti provenienti da Carpi. Inizia così, nella nostra terra, la guerra civile del fascismo contro il Partito socialista e le sue organizzazioni sociali e civili. Quanto accade poi a Livorno nel gennaio 1921 e la mancata comprensione del pericolo fascista da parte dell'Amministrazione comunale e del Partito socialista di Correggio determina il passaggio, soprattutto dei giovani, al nascente Partito comunista, visto e vissuto come il principale antagonista del fascismo. È il battesimo del PCI: il ruolo avuto nella Resistenza e nella lotta contro la dittatura nazifascista. Un battesimo di sangue. I comunisti sono stati, infatti, i più attivi oppositori contro il fascismo e i primi fautori dell'orga-

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nizzazione partigiana nella nostra terra. A livello nazionale, su 4.671 condannati dal Tribunale speciale, ben 4.030 erano comunisti. In questa lunga azione di lotta clandestina che consisteva nella diffusione di volantini, in azioni di sabotaggio, fino all'organizzazione paramilitare delle brigate combattenti, si sono costruiti i rapporti con la gente, con gli operai, i contadini, le donne, i giovani. Tante le case di latitanza nelle nostre campagne, riparo e riferimento sicuro per i partigiani così come la tipografia clandestina di Canolo nell'abitazione dei fratelli Pinotti. Si creava un legame forte tra i comunisti e l'ambiente sociale e civile, basato sulla volontà di costruire un mondo diverso, libero, in cui superare la miseria e l'ingiustizia. La resistenza al fascismo e la guerra di liberazione rovesciano così, qui e durevolmente, i rapporti di forza tra PCI e PSI, conferendo ai comunisti l'immagine di rappresentanza di quei valori.

Germano Nicolini, riferendosi al dopoguerra, mi disse in un'intervista: «agli occhi della gente minuta io continuavo ad essere "il diavolo" della clandestinità, il comandante partigiano vicino ai poveri, l'uomo che nei momenti difficili non rifiuta di darti una mano». Nel 1946 Nicolini diventerà Sindaco di Correggio, votato anche da alcuni consiglieri dell'opposizione democristiana. Nel momento in cui i comunisti emiliani assumono il governo delle città, a partire dal dopoguerra, l'esperienza politica del passato fa scuola. Sale in cattedra il socialismo riformista di Camillo Prampolini che, in particolare nella provincia di Reggio Emilia, aveva sviluppato un importante tessuto associativo basato sui mezzadri alleati degli operai, sulla rete delle cooperative, delle camere del lavoro, sulla conquista dei municipi. Il PCI è stato capace, negli anni, di andare oltre quell'esperienza riformista mediante una politica che, pur muovendo dalla necessità di difendere e promuovere le condizioni di vita dei lavoratori, puntava a garantire la crescita dei ceti medi produttivi e delle piccole e medie imprese. Nel settembre 1946 proprio a Reggio, Palmiro Togliatti pronunciò il discorso "Ceto medio ed Emilia rossa" sulla necessità di un solido rapporto con i ceti medi. È la genesi del cosiddetto "modello

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emiliano", cresciuto sotto la guida politica ed ideale dei comunisti. Non è un caso che nel nostro territorio trovino diffusione la piccola e media industria e l'artigianato, diventando il motore dello sviluppo. A Correggio, Carpi e Sassuolo, per fare alcuni esempi, matura una forte specializzazione in alcuni comparti, quali il meccanico, la plastica, l'agro-alimentare, la maglieria, la ceramica. Un'altra caratteristica fondamentale è la rinascita, nel dopoguerra, del movimento cooperativo, fondamentale per la ricostruzione del tessuto economico e sociale. Tante persone trovano nel lavoro autogestito nelle cooperative la risposta alle proprie aspirazioni politiche, oltreché una grande risorsa per debellare la disoccupazione. Già nel 1945 nella nostra provincia la Lega delle Cooperative vanta ben 54.000 soci e 716 organismi attivi in tutti i settori produttivi. Ma l’immagine del PCI deve molto al buongoverno delle Amministrazioni pubbliche, guidate sempre da suoi esponenti di primo piano. Esse hanno fatto tesoro dell'esperienza delle amministrazioni socialiste del primo novecento relativamente alle municipalizzazioni di servizi, ma sono andate ben oltre, costruendo un sistema di welfare globale. È sufficiente pensare alle caratterizzazioni che i sindaci di Correggio hanno dato del proprio mandato per lo sviluppo dei servizi sociali e di assistenza, degli Istituti culturali, dell'istruzione infantile, della costruzione dell'edilizia popolare, della pianificazione urbanistica, di parchi e aree attrezzate per lo sport e il tempo libero, per capire il grande miglioramento che si è determinato nelle condizioni di vita dei cittadini e che fa di Correggio, ancora oggi, una città vivibile e accogliente. Ricordo

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i due lunghi mandati di Rodolfo Zanichelli e di Renzo Testi, in anni in cui il Governo centrale tramite i Prefetti frappose non pochi ostacoli alle politiche di spesa in campi ancora inesplorati dallo Stato. Ma, si sa, non tutto è perfetto. Un tormento, più o meno sopito, ha percorso la storia del PCI: quella doppiezza, di cui è stato sempre accusato. La stagione dei "Comuni rossi" ha messo da parte, nei fatti, quella ideologia legata al mondo del socialismo reale e alla collocazione internazionale del PCI, che rimaneva l’asse portante della sua politica nazionale. Una contraddizione palese che ha avuto nei comunisti emiliani i principali protagonisti. Mentre nel buongoverno del territorio si richiamavano al riformismo, a livello nazionale affermavano di lottare per un obiettivo rivoluzionario, di superamento del capitalismo. Ciò ha avuto delle conseguenze negative sullo sviluppo di un sistema democratico basato sull'al-

ternanza delle forze politiche antagoniste al governo del Paese. Il cosiddetto "fattore K" è stato usato per impedire l'accesso del PCI alla stanza dei bottoni e per favorire una politica moderata e conservatrice in nome dell'anticomunismo. Anche se l'ambiguità in cui si è sempre mosso il Pci si è allentata nel tempo, soprattutto con Enrico Berlinguer e la politica della "terza via", solamente con il crollo del socialismo reale si è preso atto della necessità inderogabile di una svolta. Ma da quel momento finisce la storia del Partito comunista italiano. Resta però, indiscutibile, il contributo di un grande Partito politico alla tenuta della democrazia italiana, negli anni duri del terrorismo e dello stragismo, ed alla formazione di una classe dirigente locale e nazionale attraverso percorsi di studio, di partecipazione, di selezione. Anche oggi, la politica o quel che ne resta, può essere riconoscente al PCI ed alla sua lunga avventura.

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impresa

Erik Sassi

LA FONTE S.N.C., DOVE L'AMICIZIA NON È ACQUA

DA MEZZO SECOLO GIRANO BOTTIGLIE E NON SOLO

da sinistra: Gianluca Lugli, Mattia Carofalo, Umberto Suozzi, Rita Tasselli e Tommaso Di Maio

Girando in lungo e in largo per le strade correggesi è impossibile non fare caso agli inconfondibili “camioncini con la scritta rossa” che rappresentano il marchio di una grande realtà del territorio correggese, LA FONTE S.n.c. La Fonte è sostanzialmente una “grande famiglia”, cresciuta sempre più senza fermarsi mai: ha alle spalle una storia importante di oltre mezzo secolo, ma ha saputo cambiare rimanendo al passo con i tempi che corrono alla velocità della luce. Abbiamo incontrato Andrea Fava e Andrea Bizzarri, due delle colonne portanti che ci hanno raccontato il mondo de “La Fonte”. Oggi l’azienda conta due sedi (Carpi e Correggio) e 18 lavoratori, che sono il cuore pulsante e l’anima della società. La Fonte offre molti servizi, diversificati tra loro: il primo, quello originario, è la consegna a domicilio di acqua minerale e bevande; lo possiamo definire il vecchio ma sempre novello porta a porta, ancora oggi core business dell’azienda. Vi è poi la vendita

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al dettaglio nei due punti posti all’interno dei magazzini, principalmente vini, birre, bevande ed eccellenze alimentari. Altro servizio cardine è quello che riguarda le forniture business: aziende, uffici, bar, ristoranti, feste private e pubbliche, sagre di paese, eventi sportivi e culturali. Ultima attività (ma non certo ultima come importanza), le strenne natalizie ossia “gift box” personalizzate che stanno facendo conoscere La Fonte ovunque. Cosa fa davvero la differenza? Le persone, ed è stata la progressiva aggiunta di servizi e la crescita esponenziale della clientela che hanno portato ad un ampliamento sia del personale organico che delle competenze lavorative. Il clima che si respira è all’insegna della convivialità, non mancano le battute e gli scherzi: insomma, si lavora tanto ma si sta anche bene. La Fonte conta su una squadra estremamente affiatata, instancabile ed organizzata; ognuno all’interno del team è specializzato in un compito ben pre-

ciso, perché non si desidera offrire un prodotto bensì un servizio, il più efficiente possibile. Se c’è una cosa a cui tiene in maniera particolare La Fonte è l’aspetto ecologico e la tutela dell’ambiente: possiamo definirli da sempre dei veri paladini dell’acqua in vetro e soprattutto si parla di “vuoto a rendere”, ossia contenitori sani ed ecologici che vengono riutilizzati più volte, strizzando quindi l’occhio al benessere ambientale e riducendo l’inquinamento che risulta pressoché azzerato. Ascoltando le parole dei lavoratori, si sente la soddisfazione nel poter dire «gli anni di maggior successo, fino ad ora, sono stati gli ultimi»; di questi tempi è una gran cosa. Con i due Andrea abbiamo parlato anche di 2020 e di come l’azienda abbia affrontato la pandemia: «è stato un anno difficile soprattutto dal punto di vista umano e logistico, ma nonostante questo siamo riusciti a tenere ed offrire ancora maggiormente il nostro servi-

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Andrea Bizzarri

zio capillare a domicilio. Di che numeri stiamo parlando? Per dare un’idea, nell’ultimo anno abbiamo consegnato circa 8 milioni di bottiglie di acqua in vetro, utilizziamo esclusivamente i nostri mezzi e siamo noi ad essere costantemente sul campo, servendo gran parte delle province di Reggio Emilia e Modena». «É un servizio che possiamo definire totale ed è questo il vero punto di forza, perché viene gestita la consegna cosi come viene gestito il reso, senza nessuno sforzo da parte del cliente» rimarcano. Con il passare del tempo La Fonte si è evoluta in tutto e per tutto. La clientela oggi è molto più giovane, sono tanti i trentenni e i quarantenni, mentre in passato il target era più alto, diciamo over 55. Dal punto di vista geografico, invece, il cliente tipo è estremamente variegato, in quanto non ci si limita più alla territorialità (che rimane comunque importantissima), ossia a servire clienti che

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di persona si rivolgono all’azienda, ma grazie al sito si effettuano oggi molte spedizioni, in tutta Italia ed in varie parti del mondo. «Superare il limite territoriale ha costituito uno strumento importante per confrontarsi con realtà diverse e per mettersi alla prova in un mercato sempre più ampio», affermano i soci. Il periodo delle festività natalizie è quello in cui si lavora di più, è diventato un momento chiave: il passaparola e la gamma sempre più ampia in ogni categoria rende La Fonte una garanzia per regali di ogni genere, per tutte le tasche, con oltre cinquecento etichette vitivinicole; una “bottega” fornitissima tra cui poter scegliere e confezioni super preparate ad hoc. Presente ma anche futuro, perché oltre agli spazi fisici ci sono anche quelli virtuali, su cui La Fonte sta investendo molto; dall’e-commerce al sito internet passando per i social fino alla comunicazione in generale, quello

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stare al passo con i tempi che corrono citato in precedenza, che è fondamentale. Ci sono obiettivi concreti a breve termine che si vogliono raggiungere: il primo è sicuramente quello di ampliare gli spazi, scegliendo con cura i nuovi ambienti per le sedi di Carpi e di Correggio; nonostante i grandi risultati raggiunti negli ultimi anni, l’attività non ha certo intenzione di considerarsi arrivata. Anzi, è proprio parlando del futuro che si nota la voglia e la determinazione di trovare nuovi stimoli e di non fermarsi mai. Anche perché è poi nel loro stile, chi li conosce lo sa, quelli de La Fonte son sempre di corsa! La chiusura dei due Andrea non poteva che riguardare Correggio: «essere qua è un plus, non è facile trovare piazze così, una bella realtà che ha coltivato anche la nostra crescita. É stata una scelta strategica azzeccata e non avevamo dubbi di questo; continueremo a vivere Correggio intensamente». Continuate a correre ragazzi!

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sanità

Maria Paparo

NOI QUI CI SENTIAMO AL SICURO

VOCI DALLA RESIDENZA PER ANZIANI "LE ROBINIE"

Il Covid ha fatto emergere con forza la nostra condizione di fragilità, ha colpito tutti ma non in ugual modo poiché diverse erano le condizioni di partenza. Ci siamo riscoperti nella nostra condizione di esseri sociali, il contatto e le relazioni sono divenuti veri e propri bisogni primari. Coloro che sono più deboli, anziani, malati o affetti da disabilità, oltre a essere stati talvolta colpiti in prima persona dalla malattia, hanno purtroppo sofferto molto a causa del distanziamento e dell’isolamento sociale. Le Case Protette (oggi Residenze per Anziani ndr) hanno affrontato e stanno affrontando un periodo particolarmente complesso, anche con riflessi mediatici, sia dal punto di vista sanitario e clinico-gestionale, sia soprattutto perché la vita di tutti i giorni è stata stravolta. Queste strutture rappresentano per gli anziani che le abitano e per i loro cari una nuova dimensione di vita, nella quale non solo ricevono cura e assistenza sanitaria ma soprattutto possono tenere vive le proprie capacità sociali e relazionali residue,

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sentendosi al contempo meno soli. Non vogliamo affrontare oggi tutto ciò che non ha funzionato, le carenze, le difficoltà; sarà necessario in seguito riflettere sul sistema dei servizi alla persona come li conoscevamo prima della pandemia. Oggi però vorremo dare voce a chi ha vissuto questo ultimo anno in trincea: abbiamo incontrato e intervistato gli operatori, gli ospiti e i familiari de “Le Robinie”, residenza gestita dalla Cooperativa Sociale Ambra di Reggio Emilia, in parte accreditata e in parte privata. Mauro è ospite della struttura da quattro anni, dopo un lungo ricovero ospedaliero e un intervento di amputazione delle mani e delle gambe, insieme ai figli ha scelto le Robinie: ha iniziato a lavorare a 16 anni da Goldoni ed è rimasto in azienda per oltre 30 anni, fino alla pensione; 3 figli, la passione per la musica. Una volta in pensione si è dedicato al volontariato: faceva il catechista e il volontario in un circolo sociale e culturale. «Ho avuto una bella vita, non rimpiango nulla, solo di non aver seguito la mia passione per la musica» sottolinea

tradendo un filo d’emozione. «Io qui mi trovo bene - aggiunge Mauro - ho bisogno di assistenza e aiuto in tutto, e il personale mi supporta. Cosa è cambiato con il Covid? Fino ad oggi, non abbiamo avuto problemi in questa struttura, abbiamo vissuto con attenzione, il personale indossa e ha sempre indossato la mascherina però non possiamo più uscire e incontrare i nostri cari, possiamo solo farlo con il tablet e attraverso il vetro, ma non è la stessa cosa. A volte ci annoiamo un po’ perché

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non può più entrare nessuno, i volontari, le corali per fare festa. Ho fatto il vaccino e spero proprio di tornare come prima, vorrei poter organizzare una bella festa con musica e balli». «Abbiamo cercato di fare di tutto per non far sentire la mancanza dei familiari - ci racconta Olah Claudiu, operatrice socio santitaria (OSS) con più di dieci anni di esperienza - la cosa che più dispiace è vedere gli ospiti intristiti per questa condizione di isolamento. Abbiamo provato a infondere tranquillità, raccomandando estrema attenzione, seguendo tutte le procedure e facendo indossare i DPI (dispositivi di protezione individuale ndr); non è stato facile ma la nostra forza è ed è stata l’equipe di lavoro, ci siamo supportati a vicenda nei momenti difficili». «All’inizio avevamo paura - aggiunge la collega Nunzia Tarantino, anche lei OSS con esperienza ventennale - paura per i nostri familiari, per noi, per gli anziani. Siamo stati molto attenti e scrupolosi, abbiamo sempre seguito le indicazioni, usando la mascherina e tutti i DPI, anche se è molto faticoso lavorare in questo modo. Questo ha infatti aggiunto ulteriore distanza con gli anziani che hanno già dovuto rinunciare alle loro abitudini e che possono vedere i loro cari sono attraverso il vetro. È stato difficile far capire loro il perché non potessero vedere i familiari, abbiamo cercato di fare del nostro meglio ma ovviamente non possiamo sostituirci agli affetti». «Io e i miei fratelli abbiamo vissuto l’emergenza Covid molto male - spiega Katia figlia di un ospite - i sentimenti prevalenti sono stati ansia e paura, abituati come eravamo a venire a trovare il papà tutti i giorni... Quello che ci preoccupava di più era la possibilità che ci potesse essere un focolaio e che il papà potesse essere trascurato, ma devo dire che fortunatamente è stato ben assistito e coccolato da tutti gli

operatori. Ci è mancato il contatto fisico, gli abbracci, le domeniche a messa e poi il pranzo insieme, i sabati con gli amici e i parenti. Vorrei tanto poter riprendere a fare le cose “normali”, poter portare il papà a fare una passeggiata in centro e trascorrere del tempo insieme». «Siamo concordi con quanto dice Katia, la cosa che più ci è mancata è il contatto fisico con nostra madre e l’impossibilità di uscire con lei, non vediamo l’ora di poterla riaccompagnare al suo appuntamento al bar, con le amiche»: Rita e Marco sono i figli di Anna, entrata in Struttura qualche mese prima dell’inizio della pandemia, «nonostante la paura siamo contenti della scelta fatta, i medici e tutto il personale hanno garantito l’osservanza delle misure di prevenzione e protezione ma soprattutto hanno risposto alle nostre domande e alle richieste di assistenza, cura e continuità nella riabilitazione. A casa avremmo avuto bisogno di aiuto esterni e non avremmo avuto tutte le competenze e i supporti necessari». Anna Maria racconta con orgoglio la sua vita di donna lavoratrice, mamma e moglie; ha due figli, uno dei quali nato in Svizzera quando con il marito si sono trasferiti per lavoro. «Qui, per ora, non abbiamo avuto la malattia, mi sento sicura, sono tutti molto attenti, portano tutti la

mascherina - ci racconta - è difficile non poter uscire, io prima andavo al bar con mia figlia, la domenica andavo a pranzo da mio figlio, mi sentivo come a casa. Non voglio andare a casa, io qui sto bene, mi sento protetta ma vorrei poter tornare ad andare a prendere il caffè e a fare una passeggiata con mia figlia». Il 4 febbraio è terminato il secondo ciclo di vaccinazione (Pfizer-BioNTech), il 100% degli ospiti e del personale della Struttura ha effettuato il vaccino, questo è un bel segno di speranza per poter tornare a una quotidianità fatta anche di incontri e relazioni, ma per ora non ci sono modifiche nei protocolli, bisogna continuare a rispettare distanziamento e usare i DPI. Cooperativa Ambra esprime un doveroso e profondo ringraziamento ai Medici di Struttura, Tiziano Crotti e Francesca Crotti, per la professionalità e la disponibilità dimostrate, che sono andate ben oltre quello che richiedeva il loro ruolo, così come intende ringraziare la Coordinatrice Linda Leoni e tutta l’equipe di lavoro delle Robinie per l’impegno e l’abnegazione profusa nei confronti degli ospiti della Struttura.

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arte

Gian Paolo Rinaldi

L’OPERA DEL CORREGGIO, UN INNO GIOIOSO

UN NUOVO VOLUME DI GIUSEPPE ADANI La singolare carenza di notizie storiche certe sulla figura e sull’opera del Correggio, alcuni fraintendimenti, anche cronologici, non poche difficoltà di interpretazione di varie opere, fanno del nostro Antonio Allegri un enigmatico, originale, immenso artista, la cui grandezza è motivo di indagini sempre nuove, ricerche iconografiche, consultazioni degli archivi e delle opere. Per quanto se ne sia già discusso e scritto da parte di appassionati e critici illustri, nonché nuove conoscenze e recenti ritrovamenti, il grande amore (aggiungo io) per il più illustre concittadino, hanno spinto Giuseppe Adani a questa nuova impresa: Correggio, il genio, le opere. Il professor Adani ha lavorato una vita per l’insegnamento nella scuola e per la cultura, per il Correggio e la fama della nostra città, per la Fondazione dedicata al pittore e il Museo Civico. Questo nuovo studio globale è un vero e proprio nuovo catalogo, edito da Silvana Editoriale. Nelle duecentoquaranta pagine del libro, attraverso le splendide riproduzioni ed il racconto puntuale, colto, elegante si ripercorre l’avventura pittorica di Antonio Allegri, se ne spiega l’estetica, si interpretano le opere, si decodificano figure, avvenimenti, grazie alla conoscenza delle numerose fonti religiose e laiche e a qualche intuizione nuova e sorprendente. Approfittiamo della amicizia per porre all’autore alcune domande.

Quali motivazioni, caro Giuseppe, ti hanno spinto a questa impresa? «Il primo motivo scaturisce dalla gioia continua che provoca la vicinanza con il Correggio; questa monografia è tutta un inno gioioso. Ogni persona deve parteciparvi. Il secondo motivo, concomitante, è quello di onorare sempre più la nostra città, il cui nome è celebre nel mondo grazie a lui, il pittore universale. Vi è un terzo motivo contingente: stanno scorrendo tutti i quinti centenari delle opere celebri del Correggio. Abbiamo celebrato quello della “Madonna di Fan Francesco” e quello della “Camera di San Paolo”, con due splendide pubblicazioni speciali. Ora scocca il quinto centenario (1521) della meravigliosa e nuovissima cupola di San Giovanni a Parma. Qui la nostra città deve concordare con Parma un evento che abbia una eco internazionale fortissima». Mi dicevi che il Correggio è una fonte inesauribile da studiare e attorno al quale scrivere. Si scoprono ancora fatti nuovi ed interessanti? «Per chi lo studia continuamente avvengono delle maturazioni sempre più interessanti sul grande pittore. Un motivo importante è stato poter dare questa composizione, dopo molti anni nei quali al cittadino, al ricercatore, è mancata una monografia. Si tratta di una monografia in senso moderno, ovvero una “guida” per tutti coloro che desiderano conoscere il Correggio, studiarlo di più e goderne l’opera completa nelle bellissime riproduzioni d’arte di Silvana Editoriale. Abbiamo potuto riordinare in modo importante la cronologia dell’Allegri e pubblicare le ultime opere autografe, che sono state identificate con studi e analisi». Ripercorriamo alcune mostre, come quella del 2008 a Parma, quella alla Galleria Borghese di Roma e quella alle Scuderie del Quirinale del 2016, di Mosca nello stesso anno, di Senigallia e il Cinquecento a Polirone a San Benedetto Po nel 2019-2020. Ma torniamo al libro del professor Adani. Le preziose, eccellenti riproduzioni e l’attenta lettura di ogni opera dell’Allegri suscitano una profonda nostalgia per le opere originali. Sgorga immediato il desiderio di tornare a contemplarle. Ci soffermiamo a conversare, con l’entusiasmo degli esplo-

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ratori, a proposito della scoperta di nuovi originali come la Sant’Agata martire, La Maddalena leggente, (prossimamente verrà pubblicato un libro interamente dedicato a lei), la ricomparsa del Giovane che fugge durante la cattura di Cristo, gli affreschi restaurati nel refettorio di San Benedetto in Polirone (ai quali Adani dedica ben venticinque pagine della monografia), la teologia insita nella grande opera, la filosofia, i richiami biblici. Continua Adani, riferendosi alla sua opera: «Qui si rivaluta sommamente il ruolo trainante del Correggio su tutta la pittura europea nel momento stesso in cui il classicismo rinascimentale italiano segna il suo limite estremo. Il recente plauso del popolo di Correggio e di molti studiosi sulla trasmissione televisiva di RAI Cultura è una prova vivissima del gradimento che si espande intorno al Correggio. È l’artista nuovo che apre i secoli moderni». Grazie Giuseppe. Conversando con te, il Correggio riemerge in tutta la sua bellezza. Leggendo la monografia se ne apprezza la bellezza delle immagini, le splendide riproduzioni, la capacità di sintesi e di semplicità nelle spiegazioni delle opere, la chiarezza della cronologia, ma soprattutto la suggestiva e insita atmosfera che ne scaturisce. Ci fa sentire quel piacere che faceva dire a Stendhal: “Di concreto c’è soltanto il piacere tenero e sublime che ci danno la musica di Mozart e i quadri del Correggio”.

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cultura

Federica Prandi

I CORREGGESI, POPOLO DI POETI E NARRATORI

LE NUOVE USCITE DI BENEDETTA BONFIGLIOLI E GIORGIO BONACINI

Inizia con questo numero un nuovo percorso di Primo Piano, pensato e voluto per far conoscere più da vicino le opere letterarie di tanti scrittori correggesi, pubblicate da note casa editrici italiane. Una conferma di come la nostra cittadina sia una vera fucina di talenti, di cui si può e si deve essere orgogliosi. L’esordio spetta a due autori che, nella loro diversità di genere, hanno saputo conquistare un pubblico nazionale ed imporsi all’at-

tenzione della critica italiana, vincendo numerosi premi letterari: Benedetta Bonfiglioli e Giorgio Bonacini. “Senza una buona ragione” è l’ultimo romanzo della Bonfiglioli, professoressa di lingue straniere alle scuole superiori, da sempre profonda conoscitrice del mondo giovanile. Uscito il 27 gennaio scorso per Pelledoca, casa editrice milanese specializzata

nel genere thriller e noir, presenta la storia di Bianca Bianchi, studentessa dal nome e dalla vita semplice, fatta di pochi amici veri, una famiglia imperfetta come tante e una scuola difficile affrontata però con molta determinazione. Tuttavia, lentamente, Bianca sprofonderà in un abisso a causa di piccoli incidenti e cattiverie, dapprima apparentemente banali ma successivamente sempre più significativi e pesanti. «Questo libro - afferma l’autrice- è il mio primo youth thriller, con protagonisti degli adolescenti. É un romanzo molto diverso da quelli scritti in passato, un romanzo duro rispetto a “Pink Lady”. Qui c’è tanto dolore, cattiveria, debolezza e difficoltà nel trovare un aiuto fuori. La protagonista subisce inerme fino ad arrivare a un punto di buio e di caduta che le saranno necessari per rialzarsi e ricominciare». Il thriller è ambientato per la prima parte nella Pianura Padana, che ben conosciamo, e per la seconda parte in Trentino. Una pa-

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hanno sottolineato la sensazione che ho provato. Sono poesie liriche che, però, non scadono nel sentimentalismo, composte con regole metriche e ritmiche precise». Bonacini sottolinea che il numero 52 non è una casualità: «52 sono le settimane contenute all’interno

di

un

anno e io ho scritto ognuna delle liriche con cadenza settimanale.

Inoltre,

52 sono anche le rime finali e interne contegina completamente nera separa le due ambientazioni e le due fasi di vita della protagonista. La Bonfiglioli paragona la sua ultima opera letteraria a una mongolfiera: «La parte iniziale è la zavorra, la terra; la seconda è il pallone di elio, la leggerezza e il cielo». Dei suoi personaggi dice che sono tridimensionali e che trovano sempre una via d’uscita conclusiva. Del significato del titolo, invece, spiega che è applicabile a ciò che succede nella vita di tutti i giorni: le situazioni spesso accadono senza una spiegazione precisa. Infine, di se stessa come scrittrice vuole precisare che non scrive per mandare un messaggio al suo pubblico, ma tramettere l’amore per la lettura: «Vorrei che i lettori si affezionassero ai personaggi leggendo i miei romanzi, provassero fascino, suggestione e la sensazione di rimanere orfani quando il romanzo finisce».

“I segni e la polvere, 52 poesie distrattamente felici” edito da Arcipelago Itaca, casa editrice marchigiana, è l’ultima raccolta di Giorgio Bonacini, poeta, amico del compianto Pier Vittorio Tondelli ed ex insegnante correggese, con all’attivo migliaia di poesie scritte e quattrocento pubblicate tra case editrici, associazioni e università. Vincitore di tre premi e finalista in vari concorsi, Bonacini scrive dall’età di quindici anni e con le sue “52 poesie, distrattamente felici” ha vinto nel 2020 la quinta edizione del premio “Arcipelago Itaca” per una raccolta inedita di versi, non opera prima. «Di questa antologia - esordisce Bonacini - il sottotitolo è importante perché in poesia la felicità è un argomento raro. Leggendo le poesie mi davano serenità e anche varie recensioni

nute nel volume». Alla domanda sulle tematiche dei componimenti afferma che l’argomento fondamentale della poesia è la poesia stessa e la poesia è un’arte che usa la parola per dire qualcosa d’altro, per proiettarsi su un significato più metaforico. Confessa però che nei suoi 52 componimenti sono presenti molti elementi naturali del Cielo e della Terra e che, come poeta, ama far parlare le cose e per questo si sforza di mettersi dal loro punto di vista. Conclude sottolineando che in generale ogni opera in versi è strettamente influenzata dallo stato d’animo del poeta nel momento in cui scrive: «La poesia rappresenta le stagioni di vita di chi la compone; questo concetto è imprescindibile».

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calcio, diciamo...

Viller Magnanini

QUELLA SÌ, FU UN'AMICHEVOLE BESTIALE

E ALCUNI DI LORO ORA GIOCANO IN PARADISO

Caldo giorno di fine estate, primi anni ‘90, campo sportivo al club “la Stalla” sede sociale del Plously F.C. Partita amichevole tra le due squadre del Circolo: i “vecchi” (ammogliati), ma ancora competitivi (storica divisa da Ape Maya a strisce gialle-rosse-blu di diversa ampiezza a seconda del giro-vita) contro i “giovani” (scapoli) della squadra-A del Circolo (divisa che declina in modo fighetto i colori sociali: metà gialla e metà rossa con maniche blu). Ci si può chiedere: cosa avrà di speciale una partita amichevole, di amatori, per giunta interna ad un circolo, di trent’anni fa? Assolutamente niente. Eppure chi c’era, se c’è anche oggi, la racconta sempre agli altri e gli altri la raccontano a lui, e così di seguito. Dicevamo: la partita. Si parte inderogabilmente alle ore 15 come in serie A; gli atleti con diversi stati di preparazione, di peso e di età sono schierati al centro del campo sociale, regolare e ben se-

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gnato. Folto pubblico ai bordi. I capitani si stringono le mani, si parte. Primo quarto d’ora affrontato con grande volontà da entrambe le parti, ma il centrocampo del Plously - ammogliati, fin che le forze reggono, è decisamente superiore. Lo schema fondamentale prevede che il mai dimenticato Angelo “Benedicto” Saccani con lanci illuminanti inneschi Moschino Pitèlo (in famiglia lo chiamano Vittorio Grillenzoni), che a sua volta faccia viaggiare sulla fascia l’ala sgusciante Marèina (detto anche Primo Righetti). La squadra avversaria deve rifugiarsi ripetutamente in fallo laterale o in calcio d’angolo. Ogni volta c’è lo sbandieramento dell’impeccabile segnalinee Sante Pergetti. Solo che ad un certo punto il segnalinee si annoia. Siamo a metà del primo tempo, il pallone è finito ancora una volta in angolo e lo sgusciante Marèina si aggiusta il pallone per il solito cross in area, nel mezzo

della bolgia formata da tutti i giocatori. Prende una lunga rincorsa scrutando l’area e carica con tutte le sue forze il destro. Pergetti, facendo finta di niente, con la bandierina gli sposta il pallone, quel tanto che serve per mandare a vuoto il calciatore, il quale calcia l’aria e poi le zolle, s’impunta, fa un tuffo carpiato con atterraggio sulla schiena. Tutti ridono, anche il guardialinee burlone che, fin da quando erano insieme al servizio militare, è solito angariare il suo amico Marèina. Marèina non ride. Viene trasportato di peso fuori del campo mentre urla per il dolore e bestemmia furiosamente. Una normale contusione? No, il giorno appresso, sotto i portici, il Righetti con l’arto ingessato cercava il Pergetti per rompergli le corna con le stampelle, ma il guardialinee nel frattempo si era reso irreperibile. La partita intanto riprende: la squadra degli ammogliati, orfana dell’infortu-

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nato, è improvvisamente spuntata. E spompata. Un caotico rimbalzare del pallone da una difesa all’altra. In questa nuova fase della partita giganteggia il solido Carèna, attempato pilastro del Plously - Ammogliati. In realtà mai Carèna ha giocato così bene: rinvii tempestivi, passaggi di straordinaria finezza, traiettorie impossibili. Compagni e avversari restano sorpresi, perché Carèna è sempre stato famoso per la sua grezza irruenza. Improvvisamente, un campione è sbocciato sul far della pensione. Si arriva al riposo, in riva al fossato. Tutti sono stravolti. Ma uno spettatore si accorge che qualcosa non va nei piedi di Carèna: si scopre che ha invertito le scarpe. Infatti puntano verso punti cardinali opposti. Toh, dice Carèna, “a min sun gnan acort, a stag da Dio”. E per tutta la partita continuerà con le scarpe alla rovescia giocando la partita della vita. Il riposo è un vero riposo: gente ansimante stravaccata per i prati, lamenti un po’ ovunque, bevande a gogo. É il momento di gloria di “Yoda-che-la-forza-sia-con-te”. Yoda praticamente era in grado di giocare in ogni ruolo, insomma serviva da tappabuchi per sostituire l’assente di turno. Ma diventava il personaggio principale negli spogliatoi. Era un impeccabile infermiere all’ospedale, professione che rappresentava la sua credenziale sui campi della provincia. Qui era riconosciuto maestro nei massaggi e nelle pozioni magiche. Quando venivano a meno le forze interveniva lui col suo misterioso miscuglio di colore marrone. É leggenda il caso di quel calciatore (sempre amatore) che si scolò tutta la bottiglietta di Yoda e lo trovarono la mattina che correva per i campi di Correggio fin dal pomeriggio precedente per smaltire l’eccesso di

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adrenalina artificiale. Nella seconda frazione di gioco le forze cominciano a calare, si intravedono i primi sintomi di degrado cognitivo, l’ossigeno fatica ad arrivare alla “centralina di comando”. Allora la partita pian piano si trasforma in una guerra psicologica, ad ogni contrasto si stramazza a terra colpiti a morte, le parole escono in libertà, le provocazioni verbali hanno preso il posto dei calci negli stinchi (che avrebbero comunque bisogno di una performance atletica). La vista di tutti si è molto appannata, le righe che delimitano il campo vengono bellamente ignorate, qualcuno in un spasimo estremo di energia prosegue la corsa fin sotto la vigna adiacente al campo e deve essere fermato con urla dai compagni di squadra e ricondotto in campo dagli spettatori. Calciare il pallone è diventato un optional. Nessuno oggi ricorda il risultato di quella partita, quanti furono i goal, quanti gli infortunati e le amicizie compromesse.

Ma, come ho detto, chi c’era la racconta sempre agli altri e gli altri la raccontano a lui. Se ci sono ancora. Perché di quella compagnia di amici dalla pancetta incipiente o matura, dalle gambe che cominciavano a ricordare i polli d’allevamento, alcuni ora non ci sono più. Inutile ricordarne qui i cognomi, i loro nomi da battaglia ricorrono sempre nelle narrazioni della partita. Anzi, grazie a quella mitica partita rimangono per sempre nel ricordo e nella memoria del paese. Noi crediamo che ora siano sui campi elisi, cioè sui campi di calcio del Paradiso, e siano lì a rincorrere una palla, con Angelo “Benedicto” Saccani con lanci da “Dio” e Yoda che prepara l’intruglio miracoloso di cui dicono sia ghiotto anche San Pietro. Perché se in Paradiso si gioca a calcio, ne siamo sicuri, lo si fa in grande amicizia, senza inganni e senza dargli troppa importanza. Come facevamo noi a quei tempi.

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volontariato

Luisa Cigarini

LA PROTEZIONE CIVILE, UNA COSA SERIA PIER PAOLO LUGLI, L’INSTANCABILE ANIMATORE Fu in occasione del terremoto del Friuli, nel 1976, che Pier Paolo Lugli provò e condivise l'importanza del volontariato nella Protezione civile: «Ero ancora minorenne racconta e mio zio mi chiese di accompagnarlo a Gemona per portare aiuti alle popolazioni terremotate. Fu un'esperienza che mi colpì profondamente. Vidi all'opera il sottocommissario Giuseppe Zamberletti e lo sentii parlare di prevenzione, di previsione, di ripensare i piani urbanistici. Era il preludio di quello che sarebbe cambiato con la normativa del 1991 sul volontariato e la legge quadro del 1992, che hanno regolamentato la possibilità di costituire le associazioni e la partecipazione dei volontari nel Servizio Nazionale della Protezione Civile». Pier Paolo è volontario di Protezione civile da allora, anche se nei primi anni '80 era già iscritto nell'elenco comunale di protezione civile del Comune di Correggio, istituito in base ad una Legge regionale del 1983. Dal 2000, a seguito dell'impegno profuso nella gestione della piena del Po, ha ricevuto l'incarico dal Comune di Reggio Emilia per la gestione delle emergenze e la successiva redazione del piano di protezione civile, passando da volontario a professionista. Da quest'anno Pier Paolo è andato in pensione. Ha lasciato il suo incarico istituzionale, non certo il suo impegno nel volontariato perché di essere

AUTORIPARAZIONI

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volontari non si smette mai. Dopo l'esperienza in Friuli cambia la normativa di riferimento sulla gestione delle emergenze e degli aiuti. «All'inizio continua Lugli erano i Vigili del Fuoco a coordinare tutte le operazioni di soccorso ed i volontari facevano riferimento a loro. Ciò vale anche oggi. Col tempo l'aggiornamento normativo su questo tipo di volontariato ha ottenuto l'effetto di un maggiore coordinamento delle forze. Però c'è stato anche un appesantimento burocratico per quel che riguarda l'acquisto di materiale: quando si è in emergenza, gli acquisti ed altri adempimenti dovrebbero essere gestiti nel minore tempo possibile, soprattutto da parte dei Sindaci, potendo sfruttare leggi straordinarie e non ordinarie». L'emozione generata dalle emergenze, si sa, fa scattare il desiderio, da parte dei cittadini, di rendersi utili. «Tuttavia è sempre meglio fare riferimento alle associazioni di Protezione civile – spiega Lugli – piuttosto che muoversi in autonomia. A volte capita che la generosità dei cittadini ecceda o vada in una direzione non adatta alle necessità specifiche». Nel 1993 è nata Icaro, l'associazione di volontariato di protezione civile di Correggio. «All'inizio racconta eravamo io, mia moglie, ed altri sette volontari. Oggi Icaro può contare su oltre sessanta volontari attivi ed è un punto di riferimento per la città». Allagamenti e terremoti sono gli eventi naturali che si sono susseguiti con maggiore frequenza, non solo a Correggio, e che hanno visto protagonista questi nostri volontari. Dopo la piena del Po del 1994, sono stati impegnati nell'emergenza causata dal sisma dell'ottobre del 1996. «Prestammo il nostro aiuto in coordinamento con la Provincia di Reggio e la Regione Emilia Romagna. In un solo giorno siamo

riusciti a trasferire sedici famiglie dalle loro case rimaste danneggiate, per portarle al sicuro. Abbiamo, poi, allestito il ricovero di emergenza nel palazzetto dello sport. Ricevemmo l'apprezzamento di Walter Veltroni, vicepresidente del Consiglio, che accompagnai insieme al Sindaco Claudio Ferrari in un sopralluogo qui a Correggio». Da allora sono stati tanti gli interventi di emergenza della protezione civile di Correggio: Umbria - 1997, Molise - 2002, L’Aquila - 2009, Emilia – 2012, Secchia – 2014, centro Italia – 2016, Lentigione - 2017. Gli operatori di Icaro, assicura Lugli, si sono sempre distinti per organizzazione ed efficienza. Nel frattempo Pier Paolo riceveva dal Prefetto l’incarico di coordinare i volontari di Guastalla, poi dal Comune di Reggio la nomina a responsabile ope-

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rativo dell’ufficio di protezione civile e collaborava, per quattro anni, con la Regione per la costituzione della Colonna mobile del volontariato. La Protezione civile poi ha iniziato a svolgere, dalla fine degli anni '90, anche attività di sorveglianza per garantire la sicurezza in occasione di grandi manifestazioni: il raduno degli alpini a Reggio e gli U2 nel 1997, i concerti di Luciano Ligabue, la visita di Gorbaciov nel 2002. Nella sua lunga attività in migliaia di eventi e di emergenze, Pier Paolo ha ricevuto diversi riconoscimenti: diplomi al merito, il grazie di Napolitano, la nomina di Cavaliere al merito della Repubblica per l’emergenza del Po, l’onorificenza del Rotary club, l’attestato di benemerenza del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile. Da questa ricchissima esperienza, cui si aggiunge anche la partecipazione, come formatore, in scuole ed Enti Pubblici, si possono trarre spunti di riflessione per quel che riguarda le emergenze legate ad eventi naturali. «È fondamentale la prevenzione. Per le alluvioni è importante curare la vegetazione, in qualità e quantità, perché dia sostegno al terreno. Poi serve una costante manutenzione dei corsi d'acqua e degli argini, non solo da parte degli organi pubblici ma anche

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da parte dei privati cittadini. Sul fronte dei terremoti è importante, in fase di progettazione, tenere presente la micro-zonizzazione degli effetti sismici sul territorio. A Correggio, ad esempio, il terreno della frazione di Fazzano si comporta diversamente da quello di altre zone. Quando si redige un piano comunale di protezione civile è bene specificare chi, come, e quando deve fare cosa, in modo da non farsi cogliere impreparati nel momento dell'emergenza». Pier Paolo assicura che i fenomeni meteorologici estremi sono aumentati negli ultimi anni. Le previsioni meteo, le allerte emesse ed il successivo monitoraggio possono essere d'aiuto per sapere con un certo margine di certezza quando un evento si verificherà e con quale entità sul territorio. In questo caso diventa obbligatoria, da parte dei Sindaci attraverso i loro servizi di protezione civile, l'informazione e la formazione della popolazione su come comportarsi in caso di allagamenti o alluvioni. Terminati i vent'anni da professionista, Pier Paolo Lugli non rinuncia ad essere volontario di Protezione civile: «Un volontario è tale per tutta la vita. Chi si avvicina a questo mondo porta con sé un valore aggiunto di solidarietà ed attenzione per gli altri che resta sempre, armato di tanta buona volontà». Ma questo non basta. Oggi ogni volontario affronta un corso di formazione generale o uno più specifico prima di poter essere operativo. «Il principio è quello di portare aiuto a chiunque si trovi in difficoltà: ma nel rispetto della gerarchia, delle regole e della normativa. Perché le persone passano, ma le associazioni restano, per garantire la sicurezza ai cittadini» conclude Lugli. ELETTRAUTO MANUTENZIONE E LAVAGGIO CAMBI AUTOMATICI DIAGNOSI ELETTRONICA VENDITA E RIPARAZIONE PNEUMATICI RICARICA CLIMATIZZATORI ASSETTO RUOTE EQUILIBRATURA ELETTRONICA TAGLIANDI CERTIFICATI ANCHE PER VETTURE IN GARANZIA

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sport

Francesca Manzini

MECCANICA E COMPETIZIONI, LE MIE PASSIONI

SIMONE CANTÙ PREPARA LE AUTO PER LE GARE DI RALLY cina con mio fratello. E nonostante sia stata dura andarsene, quando hai un sogno devi inseguirlo e alla fine sono stato assunto nell’officina di mio fratello (che era socio di Tiziano Scaltriti) e dopo due anni, andato in pensione Tiziano, sono subentrato io». Come sei diventato meccanico in una squadra di auto da rally? «Era il 2009: una sera Lorenzo Costi (ex casaro di Mandrio), che ha alcune macchine da corsa, ha chiamato me e mio fratello per un’assistenza a Cremona, che però non si è fatta. Da lì più nulla, poi anni dopo ricevo una nuova chiamata di Lorenzo, in cui mi diceva di aver bisogno di un meccanico per la sua squadra. Da lì sono quattro anni che seguo il campionato di Lorenzo. La squadra è la Publisport, che ha sede nel Reggiano ed è di proprietà dei due fratelli Costi. Io lavoro nel team di Lorenzo. Tra i rally più importanti che ho seguito c’è il Ciocco».

Simone, a destra, mentre opera sulla Clio da rally

Henry Ford diceva: “Non trovare difetti. Trova rimedi. A lamentarsi sono capaci tutti”. L’aforisma introduce bene il ragazzo di cui intendo raccontare in questo articolo: primo perché è un appassionato di Ford (uomo e auto), secondo perché lui è uno di quelli che i rimedi li trova per mestiere. Eccovi le mie quattro chiacchiere con Simone Cantù, giovane meccanico con la passione delle auto da rally. Quando è cominciata la tua passione per la meccanica? «É cominciato tutto con mio fratello, che ha quattro anni in più di me.

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Quando ha preso la patente e la sua prima auto, io avevo quindici anni: ricordo che la sera in garage o nella sua officina ci mettevamo insieme a truccarla. Poi a sedici anni ho cominciato a lavorare presso l’Autofficina Ascari, dove sono stato per tre anni e mezzo. Quegli anni sono stati molto importanti per me, mi hanno voluto bene come ad un figlio ed ogni mattina, mentre lavoro, succede qualcosa che mi riporta un ricordo di quei tre anni lì. Oggi che ho un ragazzo di sedici anni con me, mi ritrovo ad insegnargli le stesse cose che loro dicevano a me alla sua età. Ma il mio sogno era avere un’offi-

Come funzionano questi rally? «É un campionato nazionale su strada in montagna: le gare si disputano in due weekend al mese da marzo a dicembre. Si svolgono principalmente sull’Appennino tosco-emiliano e si tratta di gara di regolarità, con tempi da timbrare». Come avviene l’assistenza? «Non ci sono box ed il tempo che c’è fuori è il tempo che hai sulle spalle, si fanno sempre all’aperto in qualunque condizione atmosferica. Vi è un’area grande, come può essere l’area industriale di Correggio, con tutti i camion per il trasporto delle auto e a fianco i gazebo attrezzati sotto i quali si fa l’assistenza. Quando arrivano le auto devi controllare tutto e se il pilota ha riscontrato problemi tu devi intervenire tempestivamente per risolvere il problema. Il tempo a tua

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disposizione varia dai 10-15 minuti ai 40, dipende dalla gara. In quei minuti tu devi cambiare le gomme, controllare i freni, controllare la meccanica sotto tirando su la macchina col cric, avvitare tutti i bulloni, pulire vetri e fanali; quando cala la luce montare la fanaliera supplementare davanti. E in quel quarto d’ora hai il pilota che ti guarda malissimo ed il navigatore che ti fa pressione per il tempo e a te cresce la tensione. L’assistenza non si muove mai salvo casi eccezionali, in genere succede se accade qualcosa di grave (incidente, una gomma forata, spaccato il cerchione). Sono i quarti d’ora più impegnativi di tutto il weekend in cui sparisce tutto, il tempo si ferma e tu devi concentrarti solo su questo con la tensione a mille». Sei solo a fare tutto questo? «La regola standard prevede due meccanici per macchina . Se ci sono due macchine del team in gara siamo in quattro. Nel mio gruppo io sono il più giovane».

Quante e quali sono le soddisfazioni per tutta questa tensione? «La soddisfazione più grande arriva ogni volta che vince la squadra e quando alla sera, finito tutto, si cena magari insieme prima di rientrare e i piloti (che cambiano a ogni gara) vengono a ringraziarti e a complimentarsi o quando i complimenti arrivano direttamente dal capo della squadra, cioè Lorenzo». Quali auto gareggiano? «Tutte le auto sono Renault Clio: Lorenzo e suo fratello sono stati tra i primi in Italia nel 2000 a sviluppare una Clio da rally, cioè ad allestire una Clio per correre nei rally; dopo averla svuotata internamente, viene portata in carrozzeria, verniciata e montato il roll-bar (una struttura portante di sicurezza che resiste al ribaltamento e agli urti più gravi), vengono messi i vetri adatti e si prepara il motore. É una macchina studiata bene, altamente performante per quelle gare».

Simone è un fiume in piena mentre racconta con orgoglio molte delle avventure che lo hanno visto protagonista. Guardo le sue mani, perché è da quelle che si riconosce un vero artigiano: le mani di chi plasma la materia, di chi alle parole preferisce i fatti, le mani che hanno quel ricordo antico e importante del “saper fare” che si tramanda non sui libri ma di generazione in generazione nella nostra terra, che è terra di motori per vocazione. Simone è uno di loro, discepolo di una grande tradizione di meccanici e a sua volta testimone per le nuove generazioni di un’arte importante che ultimamente sta disinteressando i nostri ragazzi. In continuità con quanto appreso e con la speranza di diventare un esempio per i più giovani, nel marzo 2020 ha aperto un'officina tutta sua: la POM, Piccola Officina Meccanica. E il sogno continua...

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arte

Francesca Nicolini

LA CREATIVITÀ CORRE SUL FILO... DI FERRO DANIELE NIRONI, LA SUA WIRE ART VALORIZZA CORREGGIO

La "spadaccina" ritrovata in via del Carmine

Daniele Nironi, classe 1984, nasce e cresce a Reggio Emilia dove frequenta il Liceo Artistico Gaetano Chierici. Nel 2013 decide di trasferirsi a Correggio, cittadina in cui vive e lavora la donna che poi diverrà sua moglie e madre della sua bambina. Correggio è stata una scelta d’amore. Daniele ancora ricorda la sua prima passeggiata per le vie del centro. «È un paese a misura d’uomo, piccolo e pulito, è bellissimo. A mio parere Correggio è il fiore all’occhiello della bassa reggiana. Ero abituato al caos di Reggio Emilia, ma stando qui mi sembra di vivere sempre in villeggiatura». Daniele fin da piccolo ama creare, non tanto con matita e colori, ma con il fil di ferro. La manualità è un dono che lo accompagna dall’infanzia, il resto è continua ricerca ed esercitazione. Racconta: «la mia tecnica appartiene al campo scultoreo. C’è chi la definisce “wire-art”, ma io da poco ho iniziato

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a utilizzare questo termine. Prima le figure che realizzavo le chiamavo “bamboccetti”, poi però mi serviva un nome più professionale (ride)». La sua passione per il fil di ferro inizia a 5 anni, quando un giorno, in compagnia della madre, entra in una libreria e su uno scaffale trova un manuale che parla di modellazione di materiali plastici. Inizia a sfogliarlo e ciò che attira la sua attenzione è una pagina dedicata alla costruzione di manichini con un unico fil di ferro, da utilizzare come scheletri a statuette di das o pongo. Ricorda ancora quel momento con commozione: «Mia mamma mi comprò quel libro che ancora oggi custodisco gelosamente. Le chiesi subito di fare uno di quei manichini. Ci giocai fino a romperlo così le chiesi di farmene un altro e un altro ancora. Un giorno provai a farne uno da solo, ne uscì un mezzo pasticcio, ma lo adoravo ugualmente. Mi piaceva l’idea che fosse così flessibile, potevo metterlo in tutte le posizioni che volevo. Avevo tanti giocattoli, ma nessuno era snodabile come quel pupazzetto di fil di ferro». I primi esperimenti si riducevano a filo di ferro e gomma verde senza alcun rivestimento, poi con il tempo si aggiunge lo scotch trasparente e colorato. Mentre da bambino era più concentrato sui personaggi dei cartoni animati, crescendo ha riscoperto la figura umana pura, da cui riesce a fare emergere anche gli stati d’animo e le emozioni. Con il tempo Daniele si rende conto di poter creare qualsiasi cosa. «Le figure che rappresento mi permettono di esprimere al meglio le emozioni, solidificandole attraverso la plasticità dei movimenti. Durante la realizzazione delle mie opere riesco a immergermi completamente nella loro creazione rivivendo le sensazioni che cerco di trasmettere». Ciò che segna una prima grande rivoluzione nelle sue opere è la scoperta delle resine termoindurenti e polimeri-

che. Inizia così a creare dei manichini ad hoc stando però sempre attento a salvaguardarne la posabilità e snodabilità. Aggiunge: «Una volta completata l’opera provo una sensazione di pienezza, che mi riporta con la mente alla spensieratezza dell’infanzia. La soddisfazione nel vederle ultimate mi gratifica molto. Non penso di essere particolarmente legato ad un genere, piuttosto cerco di dare molta importanza a ciò che le figure vogliono esprimere attraverso la gestualità e il colore». Daniele sostiene che la creatività sia un lato importante della natura umana, l’espressione più bella che si possa dare alla propria personalità. Dare sfogo alla creatività è anche un modo per evadere dalla routine quotidiana. Lo sviluppo tecnologico ha fornito nuovi strumenti in merito, ma permettendo di mantenere ugualmente quella fetta di manualità basilare in alcune forme d’arte. Andando ad approfondire: «Di solito la parte di ideazione avviene solo nella mia mente, in cui cerco di rappresentare al meglio ciò che voglio realizzare prima di mettermi all’opera. Questa fase prende l’80% del tempo necessario alla realizzazione. Ovviamente la manualità che ho raggiunto è frutto di molto esercizio durato anni e il continuo mettersi alla prova. Questo mi permette di ottenere un buon risultato con il giusto im-

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Daniele insieme alla moglie Donatella e alla figlia Aurora

pegno, senza che diventi un peso. Per una figura singola impiego circa un’ora, ma molto dipende dalla complessità e dal livello di dettaglio che si vuole raggiungere. Non ho rituali particolari, di solito però prediligo la tranquillità delle ore serali per dedicarmi alla mia passione, magari in compagnia di una buona tisana». Oggi la pagina Facebook “Danie-

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le Wire Art sculpture” conta oltre 650 iscritti. Descrive così la decisione di volersi pubblicizzare sul web: «Mia moglie mi ha spronato ad aprirla, lei crede molto nelle mie capacità. È stato un passo fondamentale per far conoscere le mie creazioni al maggior numero di persone. Forse ho sentito la necessità di dover cercare una soddisfazione dall’approvazione di altre persone o semplicemente per sapere se le mie opere potessero piacere a qualcuno. Daniele non si limita a questo e decide di dare vita a una sorta di caccia al tesoro, gioco che ha sempre adorato e che a suo dire gli ricorda molti aspetti della propria esistenza. Ci racconta: «Non avevo idea di dove mi avrebbe portato questa avventura, quando ho iniziato pensavo di poter essere deriso, invece ho attirato l’attenzione nel modo giusto. Questa sorta di gara tra i correggesi è servita a smuovere un po’ le persone ed attirare l’attenzione. Volevo cercare di dare una certa visibilità alle mie opere, e ho pensato a un modo che non esaltasse solo le mie creazioni, ma anche la città di Correggio, fonte per me di grande ispirazione. Questa sorta di “sfida” racchiude anche l’aspetto ludico delle mie opere, stimolando le persone ad interagire con l’ambiente e rievocando loro ricordi d’infanzia. In questo modo le persone possono “giocare” con me attraverso le mie opere, possono toccarle con mano e portarle nelle loro case». Daniele ama la natura, per questo non deve stupire l’idea di utilizzare Correggio come sfondo. È un modo per far apprezzare ancora di più la città che ama, associando la bellezza classica dei suoi scorci a quella minimale e atipica delle sue opere. È molto attento all’ambiente, per cui spesso utilizza

materiali di riciclo e scarto. Dice che è un concetto che vuole trasmettere anche alla figlia, in modo che la futura generazione possa già avere una buona base educativa. Durante il lockdown il supermercato presso cui lavora era sempre preso d’assalto, così ha dovuto iniziare anche turni di notte. Allo stress sul lavoro si aggiungeva quello provocato dalla presenza del virus: «mi sentivo particolarmente esposto, visto che nel primo periodo si faceva anche fatica a capire come comportarsi. Avevo paura di portare a casa il virus, ma per fortuna è sempre andata bene. Mi sembrava però di vivere in un film apocalittico: strade deserte, inquinamento azzerato, cielo limpido, aria profumata di primavera. Una sorta di rivincita della natura sull’uomo. Questo mi ha fatto venire in mente la dea Diana, una figura mitologica che ho sempre amato. Oltre ad essere la dea della caccia, è anche la protettrice della natura e degli animali. Da qui è nata l’idea di raffigurarla assieme alle ninfe». Ringraziamo Daniele per la disponibilità e gli facciamo i complimenti e i nostri migliori auguri. A lui l’ultima parola: «Ringrazio i miei fan per il tempo che mi dedicano e per i loro commenti positivi, per me sono una continua fonte di ispirazione e orgoglio. Spesso ho pensato di realizzare dei video tutorial, ma non ho ancora ricevuto lo stimolo giusto per dedicare tempo anche a questo. Non escludo però che in futuro possano avvenire incontri dimostrativi. Non nasconde, infine, un desiderio: «Mi piacerebbe che le mie opere possano contribuire a rendere Correggio ancora più famosa di quanto già non sia».

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ricordi

Giuliana Turci

UN GRANDE IMPEGNO PER LA SANITÀ PUBBLICA RICORDO DEL DOTTOR DARIO GAITI

Dario Gaiti e la moglie Vanna Nicolini

Conoscevo Dario Gaiti da quasi 4 anni quando, studente alle Superiori, marinava la scuola per seguire le lezioni presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Modena. Fare il Medico era il suo grande sogno. Lo ricordo seguire interessato i dialoghi dei ragazzi più grandi di lui, iscritti alla facoltà di Medicina, che si trovavano in Croce Rossa per studiare insieme o quando presenziava non ancora laureato alla “visita” nel reparto di Cardiologia ed ogni volta ritornava con una serie di quesiti da porre al Prof. Spalato Signorelli, a dimostrazione che a casa aveva studiato ed approfondito i casi clinici visti. Si è laureato a pieni voti in Medicina presso l’Università di Modena nel 1987 e successivamente si è specializzato in Endocrinologia presso l’Università di Bologna. Subito dopo la laurea ha cominciato a collaborare con il Servizio

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Sanitario Nazionale. Dario sosteneva fermamente il diritto costituzionale alla salute per tutti e nella sua vita professionale ne ha dato proficua ed appassionata testimonianza. Nel 1992 ha iniziato a lavorare presso il Servizio di Diabetologia di Correggio e nel 1993 è diventato titolare come Medico di Medicina Generale. Sempre disponibile all’innovazione e al miglioramento dei servizi sanitari pubblici, Dario ha collaborato fattivamente allo sviluppo del “percorso di cura diabete” integrato con i Medici di Famiglia. I risultati sia in termine di partecipazione che di salute (complicanze legate al diabete) sono stati assai positivi, anche grazie alla sua grande disponibilità nei confronti dei colleghi e alla sua capacità di fare rete. Lavoratore instancabile, ha dedicato molte energie per migliorare l’assistenza al

paziente diabetico, ma altrettante ne ha profuse nella cura dei suoi assistiti come medico di famiglia, attività che ha svolto con un’umanità e una disponibilità apprezzatissime dagli stessi. Nel 2014 è stato nominato Coordinatore del Servizio di Diabetologia “Area Nord” dell’Ausl di Reggio (Correggio Guastalla) e nel 2019 Coordinatore del Nucleo di Cure Primarie di Correggio/San Martino in Rio. Credeva fermamente nella collaborazione tra professionisti, nella prevenzione e nella partecipazione attiva del cittadino al miglioramento della propria salute. È sempre stato riferimento importante per l’Associazione Diabetici, partecipando attivamente alle tante iniziative messe in campo, soprattutto volte al miglioramento degli stili di vita e alla diagnosi precoce della patologia diabetica. Ma prima di tutto veniva la sua famiglia. La moglie Vanna, che aveva conosciuto giovanissimo: diversissimi caratterialmente. Lui schivo, lei estrosa, ma complementari l’uno all’altra. E l’amata figlia Ilaria, «il capolavoro della mia vita», diceva parlando di lei… e gli brillavano gli occhi. Era così orgoglioso che avesse voluto diventare infermiera e si impegnasse nell’aiuto agli altri, come aveva fatto lui. Dalla figura esile, ma con una elevata statura etica e morale, Dario poteva apparire un “mite”, ma in realtà perseguiva con grande tenacia gli obiettivi a cui era chiamato a rispondere o che si dava. Schivo ai riflettori, si poneva con umiltà in ascolto di tutti, colleghi, collaboratori, pazienti, cittadini, perché diceva «c’è sempre qualcosa da imparare». Un grande uomo ed un professionista esemplare: Dario Gaiti resterà sempre nel cuore di chi, come me, lo ha conosciuto.

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NOTIZIE IN BREVE UN’IMPORTANTE OPPORTUNITÀ PER GLI STUDENTI CORREGGESI La Scuola secondaria di primo grado Andreoli dell’IC Correggio 2 sarà uno dei due istituti dell’Emilia-Romagna, che parteciperà al progetto sperimentale sulla legalità e cittadinanza attiva “Vittorio Occorsio: la sua storia, la nostra storia”, promosso dal Ministero dell’Istruzione - Dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali e dalla Fondazione V. Occorsio. Il percorso intende diffondere tra le giovani generazioni la memoria del decennio comunemente noto come “Anni di Piombo”; sarà attuato grazie al supporto operativo della Segreteria del Dipartimento della dott.ssa Boda e della Fondazione Occorsio, che coadiuveranno i docenti della scuola nella fase ideativa e attuativa del progetto, fornendo materiali, documenti originali e occasioni di “incontro” con magistrati, giornalisti, studiosi ed esponenti delle forze dell’ordine. Gli alunni delle classi terze approfondiranno così la conoscenza storica degli anni ‘70, concentrandosi sulle stragi di Piazza Fontana, di Gioia Tauro, di Peteano, della Questura di Milano, di piazza della Loggia, dell’Italicus, di Alcamo Marina e della stazione di Bologna, sulle figure di magistrati vittime del terrorismo e della mafia. Nel corso dell’analisi degli eventi trattati, le classi coinvolte saranno chiamate a realizzare installazioni, prodotti cartacei e digitali come testimonianza di un’esperienza autentica di cittadinanza attiva e di sensibilizzazione sul valore della legalità e della memoria, approfondendo le attività anche nell’ambito del curricolo di educazione civica. Saranno coinvolti inoltre tutti gli alunni rappresentanti del Consiglio degli studenti, che già da qualche anno promuovono nella Scuola Andreoli la cultura della cittadinanza attiva e della legalità. L’iniziativa, di durata quinquennale, vedrà la conclusione del primo ciclo di attività nei mesi di giugno/luglio 2021.

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a cura di Andrea Munari

CORREGGESE CALCIO

DUE NUOVI INNESTI PER PUNTARE IN ALTO 14a 15a 16a 17a 18a

Correggese - Sammaurese 3-1 Correggese - Rimini RINVIATA Real Forte Querceta - Correggese RINVIATA Correggese - Ghivizzano 0-2 Correggese - Sasso Marconi 2-1

Una seconda parte con un paio di aggiornamenti nel motore. É questo quello che ha deciso di fare la Correggese in vista di un girone di ritorno in cui la formazione di Mattia Gori vuole continuare ad essere protagonista: i biancorossi sono in piena lotta per la zona playoff, con ancora alcune partite da recuperare rispetto alle dirette concorrenti. Due innesti, quello di Filippo Fabbri e quello di Cherif Diallo che possono aumentare ancora di più le scelte di mister Gori, soprattutto in una stagione come quella attuale in cui c’è sempre il rischio concreto di dover giocare tante partite in pochi giorni. Alla Correggese è già successo nel mese di gennaio e si sta ripetendo adesso: i nostri sono costretti a un altro piccolo tour de force, con ancora alcune partite da recuperare rispetto alle

avversarie. Filippo Fabbri va a rinforzare il reparto difensivo aumentando anche le scelte a disposizione del tecnico sugli esterni. É un terzino destro classe 2002 che nella prima parte di stagione ha fatto parte della rosa del Cesena in Serie C: è arrivato a Correggio per proseguire il suo percorso di crescita, provando ad avere un ruolo importante in una società importante del panorama della Serie D. La concorrenza in quel ruolo è alta, con Manara, Casini e Ghizzardi che stanno sempre rispondendo presente alla chiamata di coach Gori, ma Filippo Fabbri proverà di certo a metterlo in difficoltà per guadagnarsi minuti con la maglia della Correggese. In avanti si è scelto di puntare su Cherif Diallo, attaccante giovane, forte fisicamente e con tanta voglia di farcela. Questa è la grande caratteristica dei nostri giocatori, con la società che ha scelto di non puntare solo ai nomi, ma soprattutto sulla determinazione e il desiderio di arrivare più in alto possibile da parte di ogni componente della rosa. Diallo si inserisce in un reparto offensivo di tutto rispetto con Villanova, Carrasco, Lessa Locko e Saporetti che fino ad oggi non hanno mai fatto mancare il proprio apporto alla squadra. Porta fisicità in un reparto che anche grazie ai suoi gol vuole provare a guidare la squadra il più in alto possibile.

CLASSIFICA 1° 40

Aglianese

2° 35

Fiorenzuola

3° 33

Pro Livorno

4° 32

Lentigione

5° 29

CORREGGESE

6° 29

Prato

7° 25

S.C.D. Progresso

8° 23

Rimini

9° 23

Bagnolese

10° 22

Mezzolara

11° 21

Real Forte Querceta

12° 20

Forlì

13° 16

Seravezza

14° 15

Marignanese

15° 13

Sammaurese

16° 13

Ghivizzano

17° 10

Sasso Marconi

18° 8

Corticella

Cherif Diallo con il presidente Lazzaretti

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CORREGGIO IN BRICIOLE RASSEGNA DEGLI EVENTI CORREGGESI RACCONTATI DALLA STAMPA LOCALE 3 febbraio 2021 • A Correggio aprirà al pubblico un nuovo impianto di metano e GPL, in via della Pace 14, prima della rotonda per san Biagio • A Fabbrico, dopo il furto della borsetta, un trentenne di Correggio alleggerisce il conto della derubata; scoperto per aver utilizzato il cellulare della vittima, viene denunciato per furto aggravato ed indebito utilizzo di carta bancomat 5 febbraio 2021 • Per riutilizzare la ex palestra Dodi, resa inagibile dal terremoto del 2012 e sostituita dalla nuova palestra Luigi Einaudi, il Comune lancia un concorso di idee per trasformarla in un laboratorio d’innovazione, che faccia incontrare scuola e imprese; sono disponibili 650 mila € per la messa in sicurezza dell’edificio e l’implementazione del progetto 10 febbraio 2021 • Fa discutere la multa comminata su un autobus convenzionato con SETA privo di obliteratrice agli studenti, sanzionati per non aver provveduto a barrare personalmente il biglietto; SETA precisa che un avviso esposto sulla portiera di ingresso del mezzo segnalava la procedura da seguire

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11 febbraio 2021 • Il Comune comunica che verrà aperto nella Ludoteca "Il Piccolo Principe", nel parco cittadino, il secondo piano (in parte finora inutilizzato) completamente convertito a servizi mirati agli utenti della fascia d'ìetà compresa tra gli 11 e i 14 anni, dopo aver ascoltato le esigenze dei ragazzi delle scuole medie 12 febbraio 2021 • Gli operai che lavorano al restauro di un’ala del Convitto Corso trovano in un'intercapedine del soffitto una bottiglietta di vetro chiusa con ceralacca, contenente un documento datato “sabato 14 febbraio 1880”, 141 anni fa; il foglietto è un estratto autenticato di registro e riporta nomi, luogo e data di nascita dei convittori della “camerata prima maschile”; i convittori (ovviamente provenienti da fuori Correggio) sono nati tra il 1861 e il 1865; consegnato al Museo Il Correggio, si cercherà di individuarne la storia • Una trentaseienne di Correggio, D.D.S., colleziona denunce: negli ultimi dieci anni è stata condannata per concorso in ricettazione, per furti reiterati e per resistenza a pubblico ufficiale; è in attesa di processo per violazione di domicilio, per rapina e per furto aggravato

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a cura di Fabrizia Amaini

COME ERAVAMO

L'ALBERGO POSTA AVEVA UNA SOLA STELLA: LA ZITA IN CUCINA

Scatto del primo Novecento

Edificato a fine settecento, l’Albergo Posta sorgeva in Piazza Grande, poi denominata Piazza delle Erbe per le sue funzioni prevalentemente legate al mercato degli ortaggi, infine intitolata, nel 1882, Piazza Garibaldi per ricordare la breve sosta compiuta, il 27 settembre 1859, nell’albergo dal Generale patriota. Costruito per ospitare i viaggiatori che si fermavano o transitavano con linee postali a cavallo, era un’Osteria Camerale gestita per conto del Duca di Modena fino all’Unità d’Italia. Sorse nella proprietà della Confraternita di San Sebastiano, di fianco all’omonima chiesa. Non è certo se il progetto fosse dell’architetto Francesco Cipriano Forti, o del parente Francesco Forti il quale, comunque, ne ristrutturò la facciata dopo il terremoto del 1830. L’elegante frontale che guardava la Piazza presentava un cornicione decorato, tre ordini di finestre e un alto zoccolo bugnato: al centro si apriva un portone ad arco diamantato con sovrastante terrazzo, che conduceva ad un ampio cortile interno adibito al deposito delle

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carrozze e al cambio-stallaggio dei cavalli. Sotto al terrazzo era fissata l’insegna dell’albergo: un’aquila ad ali spiegate che teneva tra le zampe un cartiglio col nome “Albergo Posta”. L’arredo interno era decoroso e ben curato, secondo la moda dell’epoca; i soffitti delle camere da letto erano decorati a grottesche. Il vero cuore dell’albergo era la cucina: rimane nella memoria del borgo il periodo intercorso tra la fine dell’Ottocento e l’inizio degli anni cinquanta del Novecento, quando gli ultimi esercenti, Coriolano Montanari e la sorella Zita, raggiunsero i limiti d’età e l’Osteria chiuse i battenti. La sintonia ospitale e culinaria dei due fratelli richiamava palati esigenti che difficilmente dimenticavano i piatti della Zita, detta “regina dei fornelli”. La sua sfoglia, tirata sottile e senza strappi, era la base del segreto delle sue prelibate minestre di maltagliati, quadretti, tagliatelle… Le tagliatelle della Zita col ragù di carne che bolliva ore e ore, i cappelletti (solo in brodo di cappone o di gallina vecchia), i tortelli verdi di bietole e ri-

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Scatto del 1959

cotta con la pataia (sfoglia che avvolgeva il tortello) e la zuppa spagnola (dadini di pane fritto nel burro in brodo speciale) erano tra le specialità dei primi che non si potevano scordare. Per ingannare l’attesa tra il primo e il secondo, Coriolano offriva i tramessi, cioè una cotolettina d’agnello e una specie di gnocco fritto alla salvia. Per i secondi piatti non c’era scelta: i lessi arrivavano fumanti, e in speciale spiccavano la picaglia (tasca di carne di vitello con ripieno alle erbette, uova e formaggio), lo zampetto e il codino di maiale. E non mancava come contorno la salsa verde di prezzemolo, e come condimento l’aceto balsamico e il crèn (radice piccantissima grattugiata e condita con sale e aceto forte). Per finire ci si addolciva la bocca col

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busilàn tocciato nel vino di Malvasia, o con la zuppa inglese. Da non dimenticare la cantina, il regno di Coriolano, dove, fra i vari vini ben disposti sulle assi alle pareti a far compagnia a salami, coppe e prosciutti impiccati a stagionare alle travi del soffitto, primeggiava il Lambrusco. Un Lambrusco color rubino scuro, spuma rosa, gusto frizzante e aroma fruttato che Coriolano serviva all’ospite, religiosamente. Era il 1959 quando fu deciso che questo monumento storico avesse esaurito il suo compito e dovesse cedere il posto al rinnovamento edilizio simbolo del progresso, e così si diede avvio alla demolizione che, purtroppo, lasciò sul campo due muratori deceduti durante i lavori.

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a cura di Mauro Degola

INTERVISTE IMPROBABILI A CORREGGIO

BASTIÀN

C’è chi prevede che la stirpe italica, specialista nel dubitare di qualsiasi autorità, sia destinata all’estinzione; chi invece sostiene che la vocazione alla protesta sia il modo per adattarsi a qualunque crisi possa capitare: semplicemente negandola. Trovo Bastiàn in piazza Garibaldi che legge gli avvisi funebri. Hanno dovuto prolungare il tabellone per l’aumento dei decessi da quando è arrivata l’epidemia. L’uomo scuote la testa calva in segno di disapprovazione.

D - Lei è Bastiàn, vero? R - Certamente. Il nome l’ha scelto mia madre, mio padre era Contrario D - Questo ha condizionato la sua infanzia? R - Un po’. L’unica parola che ho pronunciato fino ai vent’anni è stata “No” D - Me l’avevano detto che lei è testardo R - É un mio diritto. Se uno non usa la propria testa… D - Beh, dipende dalla testa R - No, guardi, bisogna essere pragmatici. Se il buon Dio ha dotato ognuno di una testa voleva che la usassimo in modo indipendente. Anche i filosofi dicono che il dubbio è la prova dell’intelligenza

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D - E lei dei dubbi ne ha parecchi, immagino R - É un mio diritto. Prenda la Nutella. Lei sa perché ha così successo la Nutella? D - Perché è buona? R - No, perché il finanziere Soros ha investito sulle nocciole e obbliga le masse a mangiare Nutella che è fatta di nocciole D - Già, i poteri forti! R - Non faccia il furbo. Certo. I poteri forti. Sa quanto guadagnano le multinazionali farmaceutiche che hanno messo all’asta i vaccini? E allora, non le viene il dubbio che il virus sia come la Nutella? D - Paragone ardito…

R - Aggiunga che i cinesi sono soci del finanziere Soros, ecco il perché della pandemia. É tutto un complotto, glielo dico io D - Ah, ecco. Comunque, vede anche lei che il virus esiste e quante vittime fa R - Tutta propaganda. Un’influenza curata male, ecco cos’è. Quest’anno è sparita l’influenza: perché? Perché è questa l’influenza! Wuhan era un set cinematografico comprato usato da Hollywood D - Quindi la mascherina… R - Io la porto sulla bocca e respiro dal naso, mica sono scemo. Ma sa quanti cittadini si sono ammalati per intossicazione da anidride carbonica tenendo

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questa museruola che ti fa riciclare l’aria respirata? Non ce lo dicono, ma sono milioni! D - Quindi il distanziamento… R - Fa parte del complotto. Di cosa parlano i correggesi? Solo di Covid e di occhiali che si appannano, e non si accorgono del resto D - Secondo lei i virologi sarebbero tutti in malafede? Eppure, forse per la prima volta dai tempi di Galileo, la Chiesa si è subito adeguata alla scienza R - Gli scienziati sono una cosca pericolosa. E questo Papa poi… Ci sono scienziati onesti che su facebook dicono la verità, e sono costretti a usare nomi criptati perché se venissero scoperti verrebbe internati dal regime. Non bisogna credere a tutto quello che ci viene propinato, bisogna informarsi, caro lei! Ma lo sa quanto viene pagato un qualunque epidemiologo che ci terrorizza dai canali tv? E avrebbe sospettato che ce n’erano così tanti, di epidemiologi, in giro? D - Insomma ho capito, non si vaccinerà. Nemmeno per rispetto del prossimo? Perché se lei non fosse immune anche il correggese vicino potrebbe venire infettato R - Chi ci crede è libero di inocularsi

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quegli animaletti D - Prego? R - É un diritto gestire il proprio corpo, rifiutarsi di farsi manipolare dalla genetica. Le pare logico che per guarire ci si debba infettare? Mettersi tutti quegli animaletti dentro il corpo? Sentirli tutto il giorno che zampettano e friniscono... É così che ci si ammala sul serio! D - Quali animaletti? Mica siamo allo zoo. Si tratta solo di specializzare le proprie difese immunitarie. E’ una conquista che da più di duecento anni salva milioni di persone e azzera i contagi R - Storie. I poteri forti adesso possono scegliere a chi dare l’immunità e a chi no D - Ma a lei non dovrebbe interessare, visto che non vuole vaccinarsi R - E invece sono incazzato, perché comunque mi privano di un mio diritto. E se poi volessi cambiare idea e decidessi di vaccinarmi? D - Ah, quindi… R - Però aspetto di vedere i vaccini di serie A, non quelli affrettati di adesso. Potrei valutare solo un vaccino d’annata, millesimato o bariccato. Bisogna sospettare della propaganda e della Grande Distribuzione.

Dal fondo di piazza Garibaldi cresce la folla di gente in attesa di entrare alla Posta, a cui si accede solo due alla volta. Sono tutti mascherati, dispersi e rassegnati. Anche se comincia a serpeggiare una certa inquietudine. «É da almeno mezzora che non esce nessuno» osserva una signora contrariata. «Chissà cosa sta succedendo là dentro» si chiede ad alta voce un altro, diffidente. «Perché, cosa può succedere in un ufficio postale?» si allarma una signora anziana. La notizia che dall’ufficio postale non è uscito nessuno si diffonde, si gonfia, la fila è percorsa da un brivido. Bastiàn rafforza il dubbio che il mistero nasconda un terribile dramma: «Quale fine avranno fatto quelli che sono entrati per primi? A quale crudele destino saranno andati incontro, attirati col miraggio di un vaglia o di una raccomandata?» E continua a scuotere il capo per commiserazione. Ho poi saputo che Bastiàn è vittima di un tic nervoso irreversibile che lo ha colpito fin da giovane a forza di fare no con la testa.

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a cura di Nadia Stefanel

UNA MOSTRA AL MESE QUELLO CHE DOVEVA ACCADERE di Giovanni Gaggia Museo Tattile Omero di Ancona

Esiste ad Ancona uno spazio culturale senza barriere, fondato nel 1985 da due persone non vedenti, Aldo Grassini e sua moglie Daniela Bottegoni, con l’intento di creare un museo dove tutto si potesse toccare, stanchi del “divieto di toccare” diffuso nei musei di tutto il mondo. Nel maggio del 1993 il Comune di Ancona, con il contributo della Regione Marche e su ispirazione dell’Unione Italiana Ciechi, istituisce il Museo Omero; nell’estate del 2012 il Museo si trasferisce alla Mole Vanvitelliana di Ancona, sua sede definitiva, occupando uno spazio di circa 3.000 metri quadri su 4 piani. Andateci appena si potrà, soprattutto per fruire della mostra Quello che doveva accadere, un intervento personale a più

voci dell’artista Giovanni Gaggia a cura di Stefano Verri, una riflessione sul legame tra arte e memoria, a quarant’anni dalla strage di Ustica, nella città della famiglia Davanzali, armatori e azionisti di maggioranza di Itavia, il cui DC-9 fu abbattuto il 27 giugno del 1980 da un missile, in tempo di pace. Una tragedia che causò 81 vittime, lasciandosi dietro uno strascico di segreti e dolore. Troverete al Museo una meditazione intima e personale di Giovanni Gaggia sulla funzione civile, sociale e politica dell’azione creativa che si sviluppa ed evolve in un lungo arco di tempo, con numerose azioni artistiche. Un percorso performativo che iniziò a Palermo nel 2015, quando Gaggia ricamò il primo arazzo con la frase “Quello che doveva accadere” – di Daria Bonfietti (presidente dell’Associazione dei Parenti delle Vittime della Strage di Ustica). Fino ad arrivare stabilmente al Museo Tattile Statale Omero e nella città di Ancona come atto performativo finale di un ciclo, ma soprattutto come contributo permanente ad una “memoria viva”. In questo caso la frase/titolo viene scritta in Braille sull’arazzo. L’opera nella sua interezza si apre simbolicamente ai sensi, le sue forme e il suo messaggio diventano pienamente esperibili attraverso il tatto, ripercorrendone i rilievi, e attraverso l’udito, stimolato da numerosi contributi offerti da persone attive nel mondo dell’arte italiano. Un archivio visivo e sonoro senza barriere, totalmente accessibile, in cui le voci propongono la propria personale riflessione sul rapporto tra arte e memoria, giustizia e tempo. Troverete anche un mio intervento.

a cura di Gabriele Tesauri

UN INCONTRO APPREZZATO IL NOSTRO RICORDO DELLA GIORNATA DELLA MEMORIA Per il nostro evento di quest’anno dedicato alla Giornata della Memoria abbiamo scelto il titolo “Questo vorrei dirvi – Parole d’inciampo”: il riferimento è alle testimonianze di Liliana Segre e al valore simbolico delle “pietre d’inciampo”, che si trovano anche sul nostro territorio. La serata di riflessione è stata dedicata alle donne italiane di religione ebraica internate nei campi di sterminio nazisti ed è stata l’occasione per ricordare la correggese Lucia Finzi. L’evento è stato realizzato in collaborazione con la Fondazione Fossoli, che ha messo a disposizione per la ripresa video la ex-Sinagoga di Carpi e con NoveTeatro - centro teatrale di Novellara, che ha curato le letture delle testimonianze interpretate da Elisa Lolli e Gabriele Tesauri, accompagnati al violoncello da Alessio Tedeschi. La serata, presentata dalla nostra Francesca Nicolini, è stata introdotta dal Presidente della Fondazione Fossoli Pierluigi Castagnetti, che ci ha gentilmente rilasciato questa riflessione riguardo al senso del termine memoria: «In questo momento in particolare molti elementi ci fanno pensare che vari popoli, e fra essi il nostro, mostrino se non una perdita almeno una certa stanchezza nelle coltivazione di tale tipo di memoria. É necessario, allora, ricostruire (meglio: costruire) questo collegamento del presente con il passato. Per impararne la lezione. Se tutto ciò è accaduto, diceva Primo Levi, può tornare ad accadere. Ma se anche non tornasse ad accadere, in ciò che è stato c’è un grumo di verità e di intelligenza storica che può risultare utile anche alle generazioni successive per gestire il loro tempo. Costruire questo collegamento è compito della scuola, della ricerca storica, dell’università e, più in generale, è compito delle generazioni adulte che hanno vissuto quei tempi lontani o che hanno avuta trasmessa la memoria di quei tempi e, perciò, si sentono (o dovrebbero sentirsi) caricate della missione di trasformarsi in “testimoni dei testimoni».

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a cura di Claudio Corradi

AGRICOLTURA, VERDE, AMBIENTE

CENSIMENTO, NOTIZIE AGRO-VERDI IN ARRIVO Il 2021 è l’anno del settimo censimento generale dell’agricoltura: un importante momento di raccolta dati statistici da parte dell’Istat che ormai dal 1961, con cadenza decennale, svolge questa importante ricerca su scala nazionale. Una fotografia che potremmo definire ad altissima risoluzione, nel senso che inquadra tutto il panorama agricolo nazionale ma permette di ingrandire ogni più piccolo dettaglio fino ad arrivare ad osservare con precisione anche le realtà più locali, come potrebbero essere le colture del comune di Correggio, il numero degli addetti nei campi e via di seguito. Tutti gli agricoltori sono obbligati per legge a partecipare al censimento fornendo i loro dati. Nel corso degli anni il sistema di screening si è profondamente trasformato, passando dalle visite aziendali da parte di incaricati fino all’attuale metodo di compilazione esclusivamente informatizzato. Ovviamente anche la fruizione dei dati è decisamente cambiata, abbandonando i classici documenti cartacei a favore di una consultazione on–line che permette anche di personalizzare le ricerche semplificando le operazioni. L’utilità del censimento agricolo consiste nel mettere a disposizione degli addetti ai lavori, ma anche degli appassionati, un quadro statistico completo, preciso e dettagliato, evidenziando peraltro, se confrontato con i valori del decennio precedente, le tendenze in atto. Nel caso correggese, per esempio, potrebbe essere il caso della crescita della dimensione degli allevamenti e la riduzione del loro numero, o il decremento delle coltivazioni frutticole. Ovviamente per i nuovi dati, la cui raccolta è iniziata in questi giorni, c’è molta attesa ma la disponibilità degli elaborati richiederà ancora diversi mesi di lavoro. Sarà particolarmente interessante riuscire anche leggere fra le righe nel confronto con il passato ed individuare i fattori che hanno indirizzato le nuove tendenze: essi potrebbero essere molteplici, a partire dai cambiamenti climatici fino ad arrivare alla meccanizzazione ed all’agricoltura di precisione, di cui sempre più diffusamente si parla. Il censimento quindi dipingerà un quadro anche di prospettiva e, se sapremo utilizzarlo al meglio, sarà di indirizzo per il futuro del comparto, ponendo anche in rilievo gli aspetti legati al ricambio generazionale. D’altro canto la funzione principale del censimento generale dell’agricoltura italiana è efficacemente riassunta nel suo slogan: “Se ti facciamo domande è perché meriti risposte”.

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IL CLUB 3P, PIONIERE DI CONOSCENZA Parlare di censimento dell’agricoltura fa tornare alla mente un’interessante ricerca condotta da un valoroso gruppo di intraprendenti ventenni correggesi che, nel 1958, fondarono il locale Club 3P. Giovani agricoltori con tanta voglia di crescere e di imprimere una svolta importante al loro settore. Una delle prime attività di quel gruppo fu proprio una dettagliata ricerca sul territorio locale, per conoscere a fondo il comparto nel quale erano seriamente decisi ad avventurarsi per professione. Da quel lavoro emersero dati che fanno ormai parte della storia di Correggio e che, senza scendere nei dettagli, vale sicuramente la pena di ricordare. Sessant’anni fa a Correggio esistevano ben 27 caseifici, 24 dei quali rappresentati da latterie sociali. Il latte complessivamente lavorato ammontava a 240.000 quintali l’anno, mentre di 13.500 quintali era l’entità del Parmigiano-Reggiano prodotto. In quel periodo ogni anno si producevano a Correggio 3.475 quintali di burro. Le azienda agricole erano 1.480, delle quali 894 a conduzione diretta. Gli ettari complessivamente coltivati erano 7.105 e la superficie media aziendale si attestava a 4,80 ettari. Sul territorio erano presenti anche 4 cantine sociali e gli ettari coltivati a vigneto in coltura specializzata erano 6.700.

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L’ANGOLO DEL RELAX REBUS (5-6)

REBUS A ROVESCIO (5-3)

Testi di Testa - Disegni di Rinaldi

MODI DI DIRE

PROVERBIO DEL MESE

Mèrs, marsot tant al dé cuma la nòt. Il giorno è lungo come la notte, essendo il 21 Marzo l'equinozio di primavera

A Mèrs taja e póda s'at vó mia la bòta vóda

VIGNETTA

Gian Paolo Rinaldi

Soluzione rebus: Buffet, E, ori, E (Buffe teorie) Soluzione rebus a rovescio: Po, DO, gai, SA (Asiago Dop) di Bedogni Stefano e Marani Edda

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