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INTERVISTA A GIOVANNA TRIMOLDI: “LE PERSONE, IL FATTORE PIÙ IMPORTANTE PER UNA STARTUP DI SUCCESSO”
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Economia Cinema
Addio a Jonathan Demme, regista del Silenzio degli Innocenti
A Star is Born: Bradley Cooper esordisce alla regia, Lady Gaga protagonista Festival di Cannes 2017: svelato il programma ufficiale
Mondo
Il voto francese certifica la crisi dei partiti tradizionali Perché si voterà in Gran Bretagna Occhio alle elezioni francesi per capire dove va l’Europa Terrorismo, tutti i nemici della Russia di Putin
Tecnologia
Internet of Things: applicazione e rischi Smart city: la realtà italiana Smart working nella PA: serve un cambio di rotta
Politica
Perché i giornali parlano di una crisi di maggioranza che non c’è Nuova stretta di Trump sui voli: «Più controlli anche per i cittadini Ue» Addio a Giovanni Sartori, il politologo anticonvenzionale
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Alitalia e l’equivoco “stato vs mercato” Perché l’economia italiana si è fermata (E come può ripartire) Cos’è il cuneo fiscale e perché frena crescita e lavoro Outlet aperto a Pasqua, non è una guerra tra tradizione e consumi
Arte
Guercino a Piacenza: un nuovo spettacolare punto di vista sulle sue opere
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economia INTERVISTA A GIOVANNA TRIMOLDI: “LE PERSONE, IL FATTORE PIÙ IMPORTANTE PER UNA STARTUP DI SUCCESSO”
Ventisette anni, romana, Giovanna Trimoldi, è la vincitrice del Premio per la migliore tesi di Laurea 2015 con una lavoro su “Le Sfide del Social Media Management nelle agenzie di comunicazione”, oggi vive a Lisbona dove ha lavorato come Marketplace Lead presso la startup portoghese Landing.jobs. Salve Giovanna, come è nata l’idea di trasferirsi a Lisbona? Ho avuto l’opportunità di conoscere Lisbona circa tre anni fa, quando mi sono trasferita per motivi di studio. Ai miei occhi appariva la città giusta per coronare quel desiderio di essere immersa in un ambiente internazionale e allo stesso tempo molto amichevole. Poter viver all’interno di un sistema di questo genere, ti apre la mente, ti stimola e ti ispira continuamente. Come ha conosciuto ed è entrata in contatto con la startup Landing. jobs? Stavo lavorando sul mio Business Plan per poter partecipare ad un programma europeo che mi avrebbe pagato un’esperienza all’estero. In quel periodo ricordo che cercavo lavoro su Lisbona e sono inciampata su questa piattaforma chiamata Jobbox, oggi Landing.jobs, che pubblicava la offerte di lavoro sul Portogallo. C’era una posizione aperta per Business Developer e mi sono candidata. Dopo qualche giorno mi hanno contattata per una prima intervista. In realtà quando sono entrata in contatto con loro avevo ricevuto l’offerta di due grandi imprese italiane, ma cercavo un’azienda giovane e con un ambiente multiculturale. Ed è stato proprio questo suo carattere che poi mi ha permesso di portare Landing.jobs in tanti altri paesi dell’Europa. Quali differenze ha riscontrato, rispetto al nostro Paese nell’approccio a far crescere e sviluppare una startup? I giovani vengono educati e stimolati per entrare immediatamente in contatto con il mondo delle startup, sia nelle università che con attività di incontro ad hoc. Ce ne sono moltissimi: mi viene in mente il #Break dove ogni mercoledì del mese vengono offerte lasagne e drinks. Ci sono andata solo un paio di volte - i portoghesi hanno una concezione di lasagna un po’ particolare… Però, immagina, eventi come questo sono in genere farciti di una vista mozzafiato sul castello di Sao Jorge e magari un bel tramonto rosa sulla testa. Molto viene organizzato settimanalmente: l’incubatore Startup Lisboa con i suoi talk sul lavoro in remoto, Second Home che è atterrata da Londra e offre ogni giorno occasioni di ritrovo, Beta-i con i suoi panel. E’ così che ti capita di incontrare giovanissimi entrepreneurs che vengono dalla Germania, UK, Spagna e sono ai primissimi inizi, in cerca di idee e giusti contatti. Insomma, il mio coinquilino tedesco ha fondato Startup Creator tra
India e Lisbona. Ecco, a Roma quanti co-working space ci sono? tre, quattro con Talent Garden che ha aperto da poco? Qui la lista è un po’ più lunga e dentro ci trovi nomi provenienti da tutto il mondo. Sono stata a Roma e Milano visitando qualche incubatore e, onestamente, non ho mai incontrato la vivacità cosmopolita del Portogallo che costruisce tutto un mondo attorno alle startup. Questo paese ha puntato molto su turismo, innovazione tecnologica e startups, facendone il punto di forza. Il Web Summit non è stato altro che il coronamento delle tre combinazioni. A Lisbona ci sono aiuti statali e finanziamenti ad hoc a favore delle startup? Certamente. Un sistema così rigoglioso non può crescere senza l’aiuto di un governo che ne stimola ogni fibra. L’Università Nova ha vinto un premio per miglior università a supporto dell’imprenditoria; Il Building Global Innovators è stato visto nascere proprio dalla collaborazione con un’altra università portoghese e il MIT; la Banca Montepio è una delle principali investitrici in molti dei progetti di incubatori e acceleratori. Può capitare di incontrare Joao Vasconcelos, Segretario di Stato per l’industria, ad ogni evento. Quell’uomo mette la faccia ovunque, l’ho personalmente incontrato un paio di volte al Landing.jobs Festival e a SecondHome. E questo, come puoi immaginare, regala un’immagine ben precisa dell’intero sistema. Quali sono le skill per una Startup di successo? Secondo me la skill che devi avere è quella di essere un po’ matto. In effetti, scherzi a parte, credo che devi avere un determinato carattere, abbastanza coraggioso per buttarti in ogni tipo di conversazione. La storia delle soft skills, tanto importante quanto le hard skills, qui si fa sentire. Saper fare networking, che implica saper capire come e con chi entrare e rimanere in contatto, diviene fondamentale. Altra cosa che indubbiamente è diventata essenziale è quel meraviglioso linguaggio chiamato informatico: puoi avere tutte le belle idee del mondo, ma ti servirà sempre il miglior developer su piazza. La startup di successo è quella che si saprà poi innovare. Credo serviranno persone che non hanno paura del cambiamento ma che anzi che ci sguazzino dentro. Il giorno che la tua azienda non si vorrà più innovare, diventerà probabilmente una grande azienda che, in un mondo liquido e sempre più veloce, sarà più soggetta a diventare obsoleta.
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economia Esiste una strategia per abbassare al minimo il rischio di fallimento? Abbassare il rischio di fallimento? Fallirai tutti i giorni, fallirai tante volte. Credo dipenda da questo se avrai successo, perché vorrà dire he avrai imparato. Se abbassi il rischio di fallimento abbassi il rischio di successo. Registra tutto, riguarda la tua storia, a volte dimenticala completamente per stravolgerla e innovarti. In Landing.jobs avete usato il metodo Lean Startup proposto da Eric Ries? Si, anche noi abbiamo usato questo metodo che poi in realtà diventa un’attitudine, uno stile di vita, una forma di pensare il lavoro. Come faresti ad esempio a portare avanti una startup con il Waterfall? Sei mesi per consegnare il progetto? Nel frattempo qualcun altro ha già fondato la stessa startup magari. A/B Testing, cosa è un MVP e il metodo Lean Startup vengono insegnati nelle università di Management. Poi come al solito tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Ma credo si tratti di conoscere una differente cultura del lavoro. Il fattore più importate per avere successo con una startup? Le persone! Indubbiamente. Le persone e come queste comunicano all’interno del team. Credo che quando sei sul punto di decidere con chi collaborare per far nascere l’idea o sul punto di assumere qualcuno, la prima cosa da considerare è che il progetto dipenderà molto da quelle persone. Il difficile poi sta nel comunicare in una forma strutturata ma che allo stesso tempo tiri fuori la voce di tutti. Vista la sua esperienza all’estero quali consigli si sente di dare ai giovani italiani che intendono creare o lavorare in una startup? La mia esperienza è molto fortunata. In poco tempo ho potuto apprendere molto. Se potessi dare qualche consiglio nel mio piccolo, gli direi: “Muovetevi!”. Mettete la faccia là fuori, parlate con le persone. Non pensate che sia facile creare una startup, c’è tanto da apprendere. In generale comunque, circondatevi delle persone giuste, che vi sappiano inspirare, motivare e aiutare. Progetti per il futuro? Curioso che questa intervista mi venga fatta proprio oggi. Sto infatti lavorando ad un progetto di Inhouse Expert Recruiting Guide per organizzazioni interculturali, che mi piacerebbe portare avanti in parallelo con la mia attività principale. Molti mi chiedono se voglio fondare una mia startup. Ma per il momento sono ancora troppo curiosa di apprendere, poi chissà, mai dire mai.. Vittorio Zenardi
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economia Alitalia e l’equivoco “stato vs mercato” Sembra davvero essere arrivato il momento delle verità per Alitalia. Il 25 aprile i dipendenti hanno respinto con un referendum il pre-accordo che era stato raggiunto tra la compagnia aerea e i sindacati, con la mediazione del governo, per definire i tagli e licenziamenti da attuare per rilanciare l’azienda. E adesso che succede? “La cosa più plausibile è che si vada verso un breve periodo di amministrazione straordinaria che si potrà concludere nel giro di sei mesi o con una vendita parziale o totale degli asset di Alitalia oppure con la liquidazione”, ha detto il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. E’ l’epilogo triste della compagnia di bandiera ma quella delle ultime ore è solo la cronaca di una fine annunciata segnata dagli errori della politica, dei sindacati, dei manager che si sono succeduti in plancia di comando. Ha scritto Oscar Giannino sul Messaggero: “Alitalia è stata soffocata dall’intreccio di cecità, immobilismo e clientele. La compagnia è stata privatizzata tardi e senza fusione con un partner”. Significa che non c’è stata una vera strategia aziendale per il rilancio e che i salvataggi messi in piedi da governi di centrodestra e di centrosinistra sono stati costosi e anche inutili. L’ennesimo intervento pubblico sembra impraticabile ma come scrive sulla Stampa Luigi Grassia “L’ipotesi che l’Alitalia, in quanto ex compagnia di bandiera, torni sotto l’ala protettiva dello Stato, è stata esclusa con tutte le parole e in tutti i modi possibili e immaginabili dal governo. Ma sotto sotto i lavoratori che hanno votato No ai nuovi sacrifici sono convinti che alla fine lo Stato interverrà, eccome, a salvare il salvabile coi soldi pubblici. È facile giurare e spergiurare che non esiste un piano B, ma se poi 12.500 persone mobilitano i parlamentari per parlare in tv e perorare la causa del posto di lavoro, è possibile che alla fine il muro ceda, soprattutto in vista delle elezioni”. In queste ore molti invocano soluzioni “di mercato”. Il governo vaglierà solo due alternative: vendita o fallimento. Ma cosa significa in concreto? Non ci sarà più una compagnia aerea con il tricolore italiano? Lo ha spiegato in maniera molto chiara al Giorno Andrea Giuricin, esperto di economia e trasporti e docente all’università di Milano Bicocca che in un paper per l’Istituto Bruno Leoni aveva elencato tutti i dati che spiegano il disastro Alitalia. Nessuna delle parti in causa può dirsi esente da responsabilità. Che il modello di business Alitalia non potesse stare in pedi era scolpito nei bilanci e nei numeri che descrivono l’andamento del mercato mondiale: “In un mercato estremamente concorrenziale come quello attuale che conta tanti operatori forti no, non ha più senso. Già oggi in Italia non è più il principale player. La storia insegna che se oggi scompare una delle compagnie in crisi non si ha alcuna ricaduta sui consumatori. In Ungheria, quando la compagnia Malev è fallita, Ryanair l’ha sostituita nel giro di una notte”. In sostanza da fine anni Novanta ad oggi il mercato aereo italiano è cresciuto costantemente, la quota di Alitalia è diminuita e i bilanci dal 2009 – dopo l’arrivo dei cosiddetti “capitani coraggiosi” con l’operazione Fenice – sono sempre stati in rosso. Non parliamo poi dello Stato, che dal 2008 ai nostri giorni ci ha rimesso oltre 6,1 miliardi di euro.
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economia Perché l’economia italiana si è fermata (E come può ripartire)
A distanza di poche ore sull’economia italiana si sono riversate statistiche tutt’altro che incoraggianti. Il nostro Paese veste la maglia nera in Europa con la crescita più bassa del Vecchio continente, superata perfino dalla malmessa Grecia. E’ questa l’istantanea scattata nel World Economic Outlook (Weo), il rapporto del Fondo monetario internazionale pubblicato in occasione degli incontri primaverili congiunti con la Banca mondiale. Un’istantanea che condanna l’Italia in ultima posizione non solo in Eurozona ma anche nell’Unione, con il Pil a +0,8% per il 2017 e il 2018 rispetto allo 0,9% del 2016. Ma quali sono le motivazioni di questa capacità di intercettare la ripresa globale. Sono tre le cause analizzate con cura da Andrea Montanino sulla Stampa. Primo, l’alto debito pubblico. Malgrado il consistente calo dei tassi di interesse dovuto alla politica monetaria accomodante della Banca centrale europea, il debito italiano in rapporto al prodotto interno lordo ha continuato a crescere. Secondo, lo stato del sistema bancario. Alti costi, bassa redditività e crediti incagliati trasmettono segnali ai mercati di un sistema ancora fragile e dove i problemi strutturali non sono stati risolti. Terzo, l’instabilità politica. A prescindere dal fatto che vi saranno o meno elezioni anticipate, l’Italia andrà al voto entro i prossimi 12 mesi in un contesto di forte incertezza sulla capacità dei partiti tradizionali e europeisti di riuscire a fornire un messaggio convincente all’elettorato. In più, la frammentazione che potrebbe derivare dal voto non garantirebbe la governabilità, proprio quando invece ci sarebbe bisogno di una leadership forte capace di dialogare con francesi e tedeschi sul futuro dell’Europa. Il risultato combinato di questi tre fattori ha portato a un deterioramento del ciclo economico italiano. Le criticità sono state illustrate dall’analisi dell’Istat, in vista del Def (Documento di economia e finanza), il testo con cui il governo illustra le aspettative sull’andamento economico dei prossimi anni. Nell’audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato il direttore del Dipartimento per la produzione statistica alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, Roberto Monducci sono state elencate cifre preoccupanti. L’11,9% degli italiani nel 2016, 7,2 milioni di persone, vive in famiglie che sperimentano condizioni “di grave deprivazione materiale”, l’Italia è tra i Paesi europei con il tasso di occupazione degli under 35 più basso in Europa, gli investimenti sono in calo per il settimo anno consecutivo. Se non si inverte questo trend negativo saremo destinati alla grande gelata economica.
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economia
Cos’è il cuneo fiscale e perché frena crescita e lavoro
Anche gli osservatori meno attenti delle vicende economiche del nostro Paese sanno che la crescita è frenata (anche) da un cuneo fiscale troppo elevato. Anche la Corte dei Conti è tornata sull’argomento con la presentazione del Rapporto 2017 sul coordinamento della finanza pubblica. Per i magistrati contabili è ancora pesante il fardello del Fisco e dei contributi, che di fatto si portano via metà delle retribuzioni, proprio mentre parte la stagione del pagamento delle tasse. Secondo il Rapporto, il cuneo fiscale è in Italia “di ben 10 punti” superiore a quello che si registra mediamente nel resto d’Europa: il 49% viene infatti prelevato “a titolo di contributi e di imposte”. Ancora più difficile la situazione delle Pmi: “Il total tax rate stimato per un’impresa di medie dimensioni, testimonia di un carico fiscale complessivo (societario, contributivo, per tasse e imposte indirette) che penalizza l’operatore italiano in misura (64,8 per cento) eccedente quasi 25 punti” quello che è dovuto dalle imprese europee in media”. Ma cos’è esattamente il cuneo fiscale? E’ la differenza tra quanto costa un dipendente al datore di lavoro e quanto riceve al netto lo stesso lavoratore, calcolata in percentuale del salario lordo. In parole povere è la differenza tra quanto un dipendente costa all’azienda (stipendio lordo) e quanto lo stesso dipendente incassa, netto, in busta paga. Essendo un indicatore percentuale che indica il rapporto tra tutte le imposte sul lavoro (dirette, indirette e contributi previdenziali) e il costo del lavoro complessivo, può essere determinato sia per i lavoratori dipendenti sia per i lavoratori autonomi o liberi professionisti. Il cuneo fiscale sul lavoro del lavoratore dipendente in Italia è costituito dall’Irpef aumentata dalle addizionali locali e contributi previdenziali. Per il lavoratore autonomo e per il libero professionista è costituito da Irpef aumentata dalle addizionali locali, contributi previdenziali e Iva.
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economia Outlet aperto a Pasqua, non è una guerra tra tradizione e consumi
Anche l’apertura di un outlet nel giorno di Pasqua può diventare motivo di divisione. Pochi giorni fa i lavoratori dell’outlet di Serravalle Scrivia (Alessandria) hanno annunciato che scenderanno in sciopero sabato 15 e domenica 16 aprile, per protestare contro l’apertura straordinaria prevista per i giorni di Pasqua e Santo Stefano (passando da 361 a 363 giorni di apertura all’anno), decisa dalla direzione del centro commerciale. Lavoratori e sindacati denunciano “le condizioni cui sono sottoposte le donne, le ragazze, gli uomini dell’outlet: orari di lavoro massacranti, contratti modesti, rapporti di lavoro precari, festivi non sempre pagati”. Il tema è condiviso da buona parte del mondo sindacale. A far sentire la propria voce anche Avvenire, il quotidiano della Cei che si è schierato contro l’apertura. “Se per difendere identità, fede, libertà dell’uomo occorre scioperare - ha scritto Francesco Riccardi - allora noi stiamo con i lavoratori che sciopereranno; se per farlo occorre dire un “no” netto e chiaro a una shopping experience nel giorno di Pasqua, siamo pronti alla resistenza passiva a questo scippo senza alcuna destrezza. E abbiamo la memoria lunga”. Sull’altra sponda, chi fa appello alla necessità di sfruttare tutte le occasioni buone per lavorare e sfuggire alla crisi dei consumi sfruttando proprio quei giorni in cui è previsto un aumento del flusso di visitatori italiani e stranieri. L’azienda americana proprietaria dell’outlet spiega che tutto viene attuato “nel rispetto della normativa in materia ed entro la cornice di liberalizzazione del cosiddetto Salva Italia” e che “la scelta di Serravalle Designer Outlet di rimanere aperto il giorno di Pasqua è assolutamente allineata a quelle di altri centri della zona”. Bisogna ricordare che nei paesi dell’Unione europea le norme lasciano libertà ai vari Stati membri sulle aperture dei negozi nei giorni di festa, a partire dalla domenica. L’unico vincolo, contenuto nella direttiva europea sull’orario di lavoro è quello di concedere al dipendente un giorno di riposo dopo sei di impiego, che però non necessariamente deve cadere in un festivo. Interessante l’iniziativa del Sole 24 Ore che ha creato la possibilità di votare con un sondaggio online sulla possibilità di aprire gli esercizi commerciali anche nella giornata di Pasqua.
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economia Startup: opportunità o rischio?
Da termine sconosciuto a parola di gran moda, che spesso però viene usata a sproposito. Complice la crisi, sempre più persone scelgono di mettersi in proprio per inseguire un sogno e migliorare la propria vita. Ma la passione non basta, per ridurre i rischi di un clamoroso fallimento servono competenze, preparazione e un approccio scientifico. Le startup sono nuove aziende configurate su un modello temporaneo o comunque come società di capitali alla ricerca di un business model ripetibile e scalabile. Anche se inizialmente il termine era usato solo per le imprese operanti nel settore informatico o nelle tecnologie dell’informazione, oggi viene impiegato in diversi ambiti. La situazione italiana Ad oggi in Italia sono nate 5943 startup innovative e crescono al ritmo di circa 100 nuove imprese al mese. Sono piccole imprese che creano opportunità, economia, ricchezza. Si concentrano per lo più nel Nord con un 55,9%, contro il 21,7% del Centro e il 22,5% di Sud e Isole. Il settore più rappresentato è l’Informatica (40%), seguito da R&S (29%) e Manifatturiero (18%). In media, hanno 18 mesi di vita, quattro soci, un dipendente. Il 95% ha almeno un individuo fra i soci, il 31% un’altra società fra i soci, il 51% almeno un venture capitalist. Gli investitori: i business angels I business angels, sono una particolare tipologia di investitori che affiancano le start-up contribuendo, soprattutto dal punto di vista finanziario, ad accrescere la capacità produttiva dell’azienda. Ottenere il supporto di questi investitori-manager esperti non è scontato perché, apportando capitali propri, i business angels devono valutare attentamente l’idea imprenditoriale individuandone le opportunità ma anche i possibili rischi. Italian Angels for Growth (IAG) Italian Angels for Growth è uno dei più grandi network di business angels italiani, composto da 129 soci provenienti da posizioni di vertice del mondo imprenditoriale, finanziario, industriale e delle professioni. Investe in startup fortemente innovative, per sostenere i migliori talenti imprenditoriali che il mercato può offrire e non limitandosi ad apportare capitali in azienda, ma assumendo anche un ruolo di “active investor”, dando consigli e aiutando la crescita del progetto con un’ottica strategica di medio-lungo termine. Per questo il processo di selezione è molto accurato e affidato ad un comitato che sceglie quindici nuovi progetti l’anno. I business angels IAG hanno la seguente distribuzione territoriale : il 50% (circa 165) in Lombardia, in particolare nell’area milanese. Seguono NordEst a quota 22 (soprattutto Udine), Emilia Romagna con 12 società (9 da Bologna), 8 realtà su Roma, 7 nel Centro-Nord e 9 nel Nord-Ovest. Principalmente sono manager (37%) e imprenditori (24%) ma provengono anche dal mondo della finanza (19%). Le loro competenze: Fintech, Manifatturiero/Industria, Internet, GDO, Elettronica, Moda e Lusso.
I settori più finanziati Internet, ICT e Industria 4.0, sono i settori operativi in cui le startup riescono maggiormente a ottenere i finanziamenti per partire: i dati sul venture capital italiano forniti da IAG dicono che solo l’1% delle nuove imprese innovative ottiene fondi. I soci IAG rappresentano il 3%-4% del valore degli investimenti venture capital in Italia, inclusi i fondi istituzionali, ma il loro operato è ben rappresentativo dei trend. Nel dettaglio. Internet (30%), ICT (14%) e Manifatturiero 4.0 (11%) sono i settori sul podio per finanziamento ricevuto. Seguono Mobile / Giochi e Intrattenimento (8%), Biotech e Farmaceutico (6%), Medicale (5%). L’importanza del Capitale umano Le persone sono un elemento determinante, da cui dipende la nascita, lo sviluppo e il futuro stesso di una startup. Va detto che non tutti hanno le caratteristiche per lavorarci per questo individuare le figure giuste non è facile. Servono competenze trasversali che spesso si acquisiscono sul campo, mettendosi in gioco. Dove le le procedure sono orizzontali e le roadmap vengono ridefinite continuamente, le soft skills diventano la priorità. Sarà quindi fondamentale creare un team che sappia adattarsi ai veloci e continui cambiamenti, pronto a reagire ai possibili momenti di frustrazione. Valutazione del rischio: il metodo Lean Startup Per individuare un percorso verso un business sostenibile, riducendo drasticamente tempi e costi, e, di conseguenza, la possibilità di fallire, si può utilizzare il metodo Lean Startup elaborato dal giovane imprenditore Eric Ries, nato nella Silicon Valley e diffuso tramite passaparola in tutto il mondo. Un sistema semplice ed efficace che trasforma il modo in cui i nuovi prodotti sono costruiti e lanciati. Conclusioni La visione fondamentale è che l’innovazione più efficiente è quella di cui c’è un reale bisogno da parte degli utenti. Tutto quello che non concorre a soddisfare velocemente un reale bisogno di mercato è uno spreco. In altre parole, l’errore maggiore è creare un prodotto che nessuno vuole, e che quindi non apporterebbe nessun miglioramento significativo al suo contesto di riferimento. Molto spesso le start up falliscono perché i membri del Team non seguono un processo scientifico e non hanno una vision chiara e diretta, sostenuta da un team diversificato e ben coeso. Inoltre nel nostro Paese sono tante le start up che, dopo aver ricevuto i primi soldi, vengono lasciate allo sbando e non riescono a superare i numerosi ostacoli che incontrano. Vittorio Zenardi
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economia Dobbiamo rassegnarci alla scomparsa della nostra privacy?
E’ dello scorso mese l’uscita del libro di Umberto Tasciotti dal titolo “La privacy esiste ancora?”, titolo quanto mai indicato, considerato che è difficile pensare ma soprattutto constatare, in pieno 2017, una concreta corrispondenza tra quanto previsto dall’attuale normativa e quanto poi avviene nella realtà della vita quotidiana. Con l’abolizione, infatti, del segreto bancario e la possibilità, da parte del fisco, di poter entrare in tutte le case degli italiani quando e come vuole la privacy si sostanzia, alla fine, alle sole fastidiose telefonate commerciali che ognuno di noi riceve tutti i giorni, nonostante i numeri telefonici privati e, anche qui, c’è sempre poco da fare sia pure in presenza di possibili iniziative che alla fine risultano, comunque, evanescenti. L’opera di Tasciotti (già autore di svariate pubblicazioni giuridiche), pubblicata da Aracne e presentata lo scorso 7 aprile presso la Camera dei Deputati, ben descrive la privacy e le falle che la stessa presenta, come anche lo stesso Garante ha rappresentato più volte, ma l’elemento che va sottolineato è quello di un’opera comprensibile da tutti e rivolta a tutti, anche ai non addetti ai lavori che vogliano, comunque, addentrarsi in una problematica che riguarda ognuno di noi.
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cinema Addio a Jonathan Demme, regista del Silenzio degli Innocenti
A 73 anni è morto Jonathan Demme, regista di capolavori come Il silenzio degli Innocenti, vincitore di cinque premi Oscar e Philadelphia. Una fonte vicino alla famiglia ha dato la notizia a Indiewire. Il regista si era ammalato di cancro all’esofago nel 2010 e dopo le cure era tornato in pubblico nel 2015 sia come presidente di Giuria alla Mostra del cinema di Venezia nella sezione Orizzonti sia come regista con il film rock Dove eravamo rimasti con Meryl Streep. E’ morto per le conseguenze della sua malattia a New York, dove era nato il 22 febbraio 1944. Figlio di un’attrice e un albergatore, si era avvicinato al mondo del cinema attraverso la casa di produzione di Roger Corman all’inizio degli anni Settanta. Debutta alla regia con ben tre titoli Fighting Mad, Crazy Mama e Femmine in gabbia. Nel 1987 è fuori concorso al Festival di Cannes con Qualcosa di travolgente con Melanie Griffith e Jeff Daniels. Il successo planetario arriva però con il thriller Il silenzio degli innocenti, con cui vince il premio Oscar per la regia nel 1991, film inserito dall’American Film Institute nella lista dei primi cento migliori della storia. Con Philadelphia, opera che narra la vicenda dell’avvocato gay Tom Hanks che malato di Aids fa causa al suo studio legale per essere stato licenziato, regala all’attore americano il suo primo Oscar e ne fa vincere uno anche a Bruce Springsteen per il brano Streets of Philadelphia. Demme ha attraversato i generi ed è stato anche un grande documentarista firmando sopratutto film musicali: Stop making sense, il film-concerto dedicato ai Talking Heads nel 1984 , Neil Young: Heart of Gold del 2006 e Neil Young: Trunk Show del 2009, il film dedicato alla musica di Enzo Avitabile e l’ultimo, lo scorso anno, dedicato a Justin Timberlake and The Tennessee Kids. Ho avuto la fortuna di conoscerlo nel 2013 alla Festa del Cinema di Roma dove presentava fuori concorso Fear of falling, una delle sue opere più poetiche, tratta dal testo teatrale Bygmester Solness di Henrik Ibsen. In quell’occasione rimasi colpito dai suoi occhietti vispi e sinceri, come da bambino dispettoso. Dopo la proiezione per festeggiare il 70° compleanno di Wallace Shawn, protagonista della pellicola, invitò tutta la sala a cantare in coro Happy Birthday. Era molto felice ed allegro, così vorrò ricordarlo sempre. Vittorio Zenardi
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cinema A Star is Born: Bradley Cooper esordisce alla regia, Lady Gaga protagonista Sono iniziate questo mese le riprese del remake di A Star is Born, film del 1937 diretto da William Wellman con Fredrick March e Janet Gaynor nella parte dei due protagonisti. Il progetto ereditato da Clint Eastwood, iniziale autore pensato per la pellicola vedrà Bradley Cooper nella duplice veste di regista e attore. La protagonista Lady Gaga, che ha preso il posto di Beyoncé parteciperà al film con il suo vero nome, Stefani Germanotta e curerà la colonna sonora. Esistono già due remake del film, uno del 1954 con Judy Garland e uno nel 1976 con Barbra Streisand nel ruolo che interpreterà Lady Gaga. Steve Morrow, responsabile del sound mixer, ha dichiarato che il film seguirà la linea del musical Les Misérables. La trama narra la storia di Jackson Maine, un cantante country in declino che scopre il talento naturale della giovane Ally, con la quale inizia un’appassionante storia d’amore. Ma quando lei comincia ad avere un successo oltre l’immaginabile, ecco che nascono i primi problemi in quanto Jackson viene oscurato dall’astro nascente. Nel cast di questa nuova versione di A Star Is Born saranno presenti anche Sam Elliott e Andrew Dice. Il film scritto dallo stesso Cooper con Will Fetters e Eric Roth, sarà prodotto dal regista con Todd Phillips (Una notte da leoni), attraverso la loro etichetta. Nelle sale dal 28 settembre 2018. Vittorio Zenardi
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cinema Nastri d’argento: ecco i corti vincitori Sono stati annunciati oggi, 20 Aprile 2017, i corti vincitori dell’edizione dei Nastri d’Argento 2017. Nicola Piovesan recentemente intervistato da Lo_ Speciale vince il Nastro d’Argento per il miglior corto animato con Life sucks! But at least I’ve got elbows, già diventato una serie web. Così ha deciso il Direttivo Nazionale dei Giornalisti Cinematografici (Sngci). Ecco la lista completa: MOBY DICK di Nicola Sorcinelli – miglior corto 2017 e dalla selezione 2017 LIFE SUCKS! BUT AT LEAST I’VE GOT ELBOWS di Nicola Piovesan PREMI SPECIALI Gabriele Mainetti per NINGYO e dalla selezione 2017 Chiara Caselli per MOLLY BLOOM Pivio per IT’S FINE AWAY Farnoosh Samadi e Ali Asgari per IL SILENZIO MENZIONI 2017 per l’attenzione al sociale e all’attualità LA VIAGGIATRICE di Davide Vigore LETTERA A MIA FIGLIA di Giuseppe Alessio Nuzzo NO BORDERS di Haider Rashid OVUNQUE PROTEGGI di Massimo Bondielli UOMO IN MARE di Emanuele Palamara e per l’animazione LO STEINWAY di Massimo Ottoni JOURNAL ANIME’ di Donato Sansone CINEMASTER di Studio Universal in collaborazione con il Sngci a Gianluca Santoni– Gionatan con la G V. Z.
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cinema Festival di Cannes 2017: svelato il programma ufficiale Oggi 13 aprile 2017 si è tenuta la conferenza stampa di presentazione della 70ª edizione del Festival di Cannes (dal 17 al 28 maggio 2017) che ha svelato le opere che concorreranno nelle varie sezioni. Ad aprire il Festival sarà Les Fantomes d’Ismaël di Arnaud Desplechin, con protagoniste Charlotte Gainsbourg e Marion Cotillard. Fuori concorso Takashi Miike, Kyoshi Kurosawa, John Cameron Mitchell, Mathieu Amalric, Laurent Cantet. Per l’Italia Sergio Castellitto con Fortunata scritto da Margaret Mazzantini con protagonisti Jasmine Trinca e Stefano Accorsi, e il primo lungometraggio di Annarita Zambrano, Après la guerre – Dopo la guerra, nella sezione Un Certain Regard. Presidente di Giuria l’eclettico regista spagnolo Pedro Almodóvar, mentre la madrina del Festival sarà Monica Bellucci. Ecco la selezione ufficiale: Concorso Loveless (Andrey Zvyagintsev) Good Time (Benny Safdie e Josh Safdie) You Were Never Really Here (Lynne Ramsay) L’amant double (François Ozon) Jupiter’s Moon (Kornél Mandruczo) A Gentle Creature (Sergei Loznitsa) The Killing of a Sacred Deer (Yorgos Lanthimos) Radiance (Naomi Kawase) The Day After (Hong Sang-soo) Le Redoutable (Michel Hazanavicius) Wonderstruck (Todd Haynes) Happy End (Michael Haneke) Rodin (Jacques Doillon) The Beguiled (Sofia Coppola) 120 Battements Par Minute (Robin Campillo) Okja (Bong Joon-ho) In the Fade (Fatih Akin) The Meyerowitz Stories (Noah Baumbach) Fuori concorso (titoli principali) Blade of the Immortal (Takashi Miike) How to Talk to Girls at Parties (John Cameron Mitchell) Visages, Villages (Agnès Varda) Les fantômes d’Ismaël (Arnaud Desplechin) – Film d’apertura Special Screenings (titoli principali) Clair’s Camera (Hong Sang-soo) Napalm (Claude Lanzmann) Promised Land (Eugene Jarecki) Sea Sorrow (Vanessa Redgrave) Demons in Paradise (Jude Ratman)
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Un Certain Regard (titoli principali) Barbara (Mathieu Amalric) – Apertura L’atelier (Laurent Cantet) Fortunata (Sergio Castellitto) Before We Vanish (Kiyoshi Kurosawa)
V. Z.
cinema Planetarium - Recensione
Sinossi Fine anni 30. Laura e Kate Barlow sono due sorelle americane che praticano sedute spiritiche. A Parigi, durante il loro tour europeo, incontrano André Korben, un rinomato produttore cinematografico francese. Visionario e controverso, Korben è il proprietario di uno dei più grandi studios della Francia, dove produce film utilizzando costose tecniche d’avanguardia. Benché scettico, Korben decide per gioco di sottoporsi ad una seduta spiritica privata con le due ragazze. Profondamente colpito da questa esperienza, offre alle sorelle ospitalità e stipula con loro un contratto allo scopo di compiere un ambizioso esperimento: dirigere il primo vero film sull’esistenza dei fantasmi. Ma Laura capisce ben presto che vi sono ragioni ben più oscure che legano Korben a loro… Recensione Planetarium è stato presentato all’interno della settima edizione di Rendez-vous, il Festival del nuovo cinema francese che si è svolto a Roma dal 5 al 9 aprile 2017. Il ruolo del produttore è liberamente ispirato al produttore ebreo Bernard Natan, nel film André Korben, interpretato da uno strepitoso Emmanuel Salinger. La pellicola, che Rebecca Zlotowski dirige con sofisticata eleganza, s’inserisce in quel cinema che andando oltre la semplice rappresentazione, si caratterizza per una sceneggiatura che cambiando spesso “direzione” provoca uno “smarrimento” nello spettatore. Come in una sorta di “mise en abyme”, si riesce ad entrare in connessione profonda con ciò che vediamo ma spesso si ha la sensazione che qualcosa sfugga. Uno slittamento di senso che ci fa intendere molto di più di quello che ci viene mostrato. La coerente ricostruzione storica, avvalendosi di una splendida scenografia e splendidi costumi, ci restituisce il ritratto di un’epoca non così lontana. Le due protagoniste Natalie Portman e Lily-Rose Depp che interpretano le due sorelle americane legate allo spiritismo realmente esistite (le sorelle Fox, n.d.r), convincono regalando intense emozioni. Una conferma per la Portman e una piacevole sorpresa per la Depp che evidentemente ha ereditato il talento familiare. Dopo la proiezione, Rebecca Zlotowski, venuta a Roma per presentare il film insieme a Louis Garrel, che nel film ha un piccolo ruolo, ha dichiarato: “Mentre stavo scrivendo la sceneggiatura con Robin Campillo notavo sempre più analogie con la Francia contemporanea, il periodo era quello tra i due attacchi terroristici. Ho cercato di filmare l’invisibile, rendere visibile la minaccia. Il mio cinema , a differenza di registi che cercano il caos tende invece a ripulire lo schermo, lavorando per sottrazioni. Per me il cinema è un modo per smettere di tenere tutto sotto controllo e abbandonarmi senza paura.” Planetarium sarà nelle sale italiane dal 13 Aprile 2017, distribuito da Officine UBU. Vittorio Zenardi
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cinema Nicola Piovesan: “ecco il mio piccolo Blade Runner”
Video intervista a Nicola Piovesan, regista indipendente veneziano che dopo i successi ottenuti con Of Your Wounds (Sulle tue Ferite), Deus in Machina e la recente vittoria ai Nastri d’Argento come miglior lavoro d’animazione per Life Sucks, sta girando il cortometraggio cyberpunk retro-futurista “Attack of the Cyber Octopuses” (L’Attacco dei Polpi Cibernetici). Il film è ispirato al capolavoro di William Gibson “Neuromante” e alle più intriganti pellicole di fantascienza degli anni Ottanta, come Blade Runner, Terminator, Fuga da New York, Aliens, Akira e via dicendo. La storia è ambientata a Neo-Berlin, nel 2079. Una città oscura e perennemente piovosa, gestita da grandi multinazionali, dove l’unico modo per gli abitanti di fuggire da quella realtà opprimente, è connettersi allo cyberspazio è farsi un “viaggio binario”, una sorta di droga cibernetica che frigge i neuroni ma che ti fa provare sensazioni straordinarie. Vittorio Zenardi
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cinema Le cose che verranno - L’avenir - Recensione
Sinossi Nathalie (Isabelle Huppert) insegna filosofia in un liceo di Parigi. Per lei la filosofia non è solo un lavoro, ma un vero e proprio stile di vita. Un tempo fervente sostenitrice di idee rivoluzionarie, ha convertito l’idealismo giovanile “nell’ambizione più modesta di insegnare ai giovani a pensare con le proprie teste” e non esita a proporre ai suoi studenti testi filosofici che stimolino il confronto e la discussione. Sposata, due figli, e una madre fragile che ha bisogno di continue attenzioni, Nathalie divide le sue giornate tra la famiglia e la sua dedizione al pensiero filosofico, in un contesto di apparente e rassicurante serenità. Ma un giorno, improvvisamente, il suo mondo viene completamente stravolto: suo marito le confessa di volerla lasciare per un’altra donna e Nathalie si ritrova, suo malgrado, a confrontarsi con un’inaspettata libertà. Con il pragmatismo che la contraddistingue, la complicità intellettuale di un ex studente e la compagnia di un gatto nero di nome Pandora, Nathalie deve ora reinventarsi una nuova vita. Recensione Mia Hansen-Løve firma per immagini una poesia che eleva la cultura come parte inscindibile dell’animo umano, la pone come unica panacea alle traversate della vita. La libertà tanto anelata, che passa necessariamente dal dolore, arriva inaspettata e ha un sapore completamente nuovo che inebria Nathalie. Per esprimere questo sentimento la Hansen-Løve realizza sinuosi movimenti di macchina che paiono come abbracciare la protagonista in una danza dove la colonna sonora s’incastra magistralmente. Quest’opera dimostra come il cinema, (certo cinema), sia vivo e reattivo, e riesca a guardare ai rapporti umani con grazia e sincerità. Un cinema che s’insinua nelle pieghe del quotidiano, con uno sguardo “puro”, che racconta ma non svela, procede (come la vita) per sbalzi, vuoti, incongruenze, dolori. Si possono raccontare lo stupore? La meraviglia? I moti dell’animo? Mia Hansen-Løve pare riuscirci, con indiscutibile eleganza formale filma l’interiorità in divenire dei suoi protagonisti e li accompagna con amore. Il soggetto, che prende spunto dalla sua biografia, è sviluppato in modo da non essere mai banale, il tempo pare essere quello necessario al completamento dell’azione e la fotografia naturalistica incanta quando riprende la splendida Bretagna, contraltare poetico di Nathalie. La sequenza della lezione che la professoressa fa all’aperto ai suoi studenti, una sorta di Colazione sull’erba, guarda ancora una volta all’arte, in questo caso pittorica, e pare rimandare al gusto impressionista con cui la regista ha scelto di girare. I libri, una specie di biblioteca dell’anima per Nathalie evidenziano l’eterna possibilità di ricominciare traendo forza dalle nostre passioni, avendo fiducia ne Le cose che verranno. Nelle sale italiane dal 20 aprile 2017 distribuito da Satine Film Distribuzione.
Vittorio Zenardi
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mondo Il voto francese certifica la crisi dei partiti tradizionali
Come in qualunque altro settore, in politica non bisogna generalizzare ma dopo il primo turno delle elezioni francesi non è azzardato dire che i partiti politici tradizionali sono in evidente difficoltà. Emmanuel Macron, candidato indipendente di centro, ha vinto il primo turno delle elezioni presidenziali in Francia, che si sono svolte ieri. Marine Le Pen, leader del partito di estrema destra Front National, è arrivata seconda. Macron ha preso il 23,8 per cento dei voti e Le Pen il 21,5 per cento: si sfideranno quindi nel secondo turno il prossimo 7 maggio. François Fillon, candidato del partito di centrodestra dei Repubblicani ha ottenuto il 19,9 per cento, Benoit Hamon, candidato del Partito Socialista ha preso il 6,3 per cento. Sconfitte clamorose per i due partiti che fanno parte delle due più grandi famiglie politiche europee. Scenario ormai consueto in Europa come hanno dimostrato l’ascesa del Movimento 5 Stelle in Italia e di Podemos in Spagna e i toni sempre più anti establishment e per un generico rinnovamento usato anche dai leader dei partiti tradizionali. Le Pen è espressione di una destra anti establishment e anti Ue, ha costruito la sua immagine attorno al rifiuto per l’establishment dei partiti tradizionali. A ben guardare Macron ha fatto qualcosa di molto simile. Ha una storia politica breve nel centrosinistra, ma evita le definizioni e dice di non essere “né di destra né di sinistra”: durante la campagna elettorale è stato definito “liberale di centrosinistra”, “centrista” e “moderato”. Macron (che è stato nel gabinetto di Hollande e ministro di Valls) si definisce un “progressista liberale” in economia, ma è di sinistra sulle questioni sociali: parla della libertà di praticare ognuno la propria religione in uno stato laico e dice che non bisogna cedere a coloro “che promuovono l’esclusione, l’odio o la chiusura in noi stessi”. Anche la scelta di difendere a spada tratta l’Unione europea e di affermare di volerla riformare per “proteggere” i francesi va in questa direzioni. E’ una scelta tattica: raccogliere i voti di che rifiuta i partiti tradizionali (soprattutto tra gi elettori più giovani) ma è lontano dalle idee della Le Pen. Intervistato dal Corriere della Sera, l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta (che a Parigi dirige la Scuola di affari internazionali Science Po) ha fotografato il messaggio che dalla Francia arriva a tutta l’Europa: “Il 7% di Hamon è un tracollo da cui i socialisti difficilmente si tireranno su. Mi auguro che la Spd vada bene, ma è una crisi profonda, che riguarda la sinistra e le sue organizzazioni politiche. La gente vota sempre più in una logica di utilità. Quando si è capito che aveva più chance Mélenchon, i francesi hanno lasciato perdere Hamon. I grandi partiti tradizionali sono finiti, perché l’elettorato è di una mobilità impressionante”.
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mondo
Perché si voterà in Gran Bretagna
Theresa May, primo ministro del Regno Unito, ha annunciato la sua intenzione di indire elezioni anticipate per il prossimo 8 giugno. E’ una conseguenza del voto sulla Brexit e delle perplessità dell’opinione pubblica sull’addio alla Ue. Alla base della decisione della May ci sono intuibili motivi di consenso. Un sondaggio pubblicato poco prima di Pasqua assegna ai Tories ben 21 punti percentuali di vantaggio sul Labour, 44 a 23 per cento, “il distacco più grande dell’ultimo decennio”, annota Ennio Franceschini su Repubblica. Ma il ritorno alle urne è soprattutto una conseguenza dell’esito del referendum dello scorso giugno che ha dato il via libera alla Brexit. Il premier vuole andare al voto per ottenere il mandato necessario a negoziare l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. La Bbc ha commentato a caldo: “May ha capito che non avrà mai una possibilità migliore di questa per sbaragliare i suoi avversari alle urne”. I conservatori intravedono la possibilità di aumentare considerevolmente la maggioranza alla camera dei Comuni di appena 12 seggi conquistata dall’ex premier David Cameron nelle elezioni di due anni fa. Secondo le proiezioni degli esperti, i conservatori potrebbero ora vincere una maggioranza di un centinaio di seggi, in virtù della quale ogni battaglia parlamentare sulla Brexit sarebbe vinta senza difficoltà. “Avevo sempre detto che ero contraria a elezioni anticipate”, dice May in un annuncio a sorpresa davanti al numero 10 di Downing Street, “ma ho cambiato idea con riluttanza”. E a fargliela cambiare, spiega, è stata “l’opposizione degli altri partiti”, laburisti, liberal-democratici e nazionalisti scozzesi, oltre che dei “membri non eletti dal popolo della camera dei Lord”, che hanno promesso di porre limiti e ostacoli al tipo di Brexit che il governo vuole ottenere nella trattativa con la Ue. “E io non intendo permettere ai miei avversari di indebolire la Brexit”. Una ghiotta occasione per May e per il suo partito che, però, per dare il via libera alle elezioni anticipate ha bisogno del voto favorevole dei due terzi della Camera. I laburisti hanno ripetuto negli scorsi mesi che non sarebbero stati contrari a un ricorso al voto anticipato. Bisogna vedere se l’emorragia di voti del partito guidato da James Corbyn darò loro la possibilità di mantenere la parola e di sancire il ritorno alle urne che potrebbe costargli una pesantissima sconfitta.
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mondo Occhio alle elezioni francesi per capire dove va l’Europa Gli occhi dell’Europa sono puntati sulla Francia per una tornata elettorale che potrebbe portare all’Eliseo candidati anti-sistema o “sovranisti” e infliggere all’Unione europea un colpo durissimo. Domenica 23 aprile undici candidati si sfideranno per la presidenza della seconda economia europea. I principali nomi per l’accesso al secondo turno del 7 maggio sono la candidata di destra radicale Marine Le Pen e il centrista Emmanuel Macron. Alle loro spalle François Fillon, candidato del principale partito di centrodestra e Jean-Luc Mélenchon (esponente della sinistra non socialista). Lo scenario è molto incerto e a rendere ancora più indecifrabile lo scenario c’è il dato record dell’astensione e dell’incertezza di molti elettori. Il 31% degli elettori sarebbe intenzionato verso il non voto. Una settimana prima del voto, solo il 68% degli elettori registrati (secondo un sondaggio IFOP) dice di essere certo di andare al seggio, una percentuale che è in aumento nelle ultime settimane e che suggerisce una bassa affluenza alle urne. Le elezioni presidenziali sono il momento cruciale della vita politica francese, con una partecipazione di solito molto elevata, intorno all’80%. Nel 2012, il 79,5% degli elettori è andata a votare al primo turno. L’unica eccezione fu nel 2002, quando la bassa affluenza (28,4%) favorì l’imprevisto passaggio al ballottaggio di Jean-Marie Le Pen, presidente del Front National, con l’esclusione a sorpresa del socialista Lionel Jospin. Una performance che Marine Le Pen vorrebbe ripetere quest’anno in circostanze analoghe. La campagna elettorale, contrassegnata da scandali e casi giudiziari non ha senz’altro contribuito ad accrescere il desiderio di partecipazione dell’elettorato. Le nuove candidature, come ad esempio quella di Emmanuel Macron, e un contesto politico inedito, con la possibilità di un ballottaggio tra estrema destra ed estrema sinistra, hanno confuso ulteriormente i riferimenti classici del voto dei francesi. Agli astensionisti recidivi, ai delusi del quinquennio socialista, si aggiunge quindi per l’appuntamento del 23 aprile un numero mai visto di indecisi che non si riconosce più nelle due opposte categorie destra-sinistra e potrebbe passare da uno schieramento all’altro nel giro di una notte. Secondo le ultime inchieste, tra il 30 e il 40% degli elettori di Macron e di Jean-Luc Mélenchon potrebbero cambiare ancora idea. Al contrario l’80% degli elettori di Marine Le Pen e di Francois Fillon sono certi del loro voto. Se c’è grande incertezza sul nome dei vincitori è, invece, molto facile, prevedere chi uscirà con le ossa rotte dalla contesa elettorale. Tra i principali, il Partito Socialista è, come previsto da molti, quello che avrà probabilmente i risultati peggiori. Il partito è al governo da cinque anni, dopo che nel 2012 riuscì a far eleggere presidente il suo candidato François Hollande. La sua presidenza, però, è stata dal punto di vista del consenso tra le peggiori della storia francese e oggi Hollande è il presidente della Repubblica con il consenso più basso dal dopoguerra ad oggi. Alle primarie del partito lo scorso novembre ha vinto a sorpresa Benoit Hamon, candidato dell’ala sinistra del partito che ha cercato di riportare il partito su posizioni di sinistra più tradizionale. Dopo il crollo dei suoi consensi l’ala moderata del partito ha dichiarato di appoggiare Macron e molti elettori di sinistra hanno preferito sostenere Mélenchon o addirittura Le Pen.
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mondo Terrorismo, tutti i nemici della Russia di Putin
La Russia sa da tempo di essere in guerra contro il terrorismo di matrice islamica. Secondo il Washington Post dal 1970 ad oggi più di 3.500 persone sarebbero morte in oltre 800 attacchi. Poi ci sono gli attentati che sono stati sventati ma che spiegano come il Cremlino sia in prima linea. A novembre de 2016 i servizi di sicurezza dell’Fsb, arrestarono dieci persone, che erano in contatto con i vertici dell’Isis, tra Mosca e San Pietroburgo e confiscarono armi da fuoco e quattro bombe. Per Mosca il pericolo si nasconde tra gli stati dell’Asia centrale, le ex sorelle povere della Russia ai tempi dell’Unione Sovietica. Sarebbe infatti nato a Osh, in Kirghizistan, il killer dell’attentato alla metropolitana di San Pietroburgo. L’intelligence russa segue gli indizi che indicano Jalilov Akbarzhon, un giovane di 22 anni, come probabile autore dell’esplosione che ha ucciso 11 persone e ferito altre 45. Ha scritto Daniele Raineri sul Foglio: “Per ora non c’è ancora alcuna rivendicazione per l’attentato alla metro di San Pietroburgo che lunedì all’una e mezza ha ucciso quattordici persone. Tuttavia, c’è una probabilità altissima che la strage sia opera di uno di questi due gruppi: lo Stato islamico oppure l’Emirato del Caucaso. Quest’ultimo è il rimasuglio della guerra dei separatisti ceceni negli anni Novanta, che poi si è calmata ma ha dato origine a una mutazione estremista molto violenta.” La Russia, agli occhi degli estremisti islamici, sconta la sua presenza in Siria. Secondo un report di OSINT Unit di ASRIE, associazione che fa riferimento alle ricerche del Central Asia Program della George Washington University, sarebbero circa 600 cittadini kirghisi che combattono tra le file dei gruppi jihadisti nello stato mediorentale falcidiato dalla guerra.
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tecnologia Internet of Things: applicazione e rischi Cosa intendiamo quando parliamo di “internet delle cose”? A cosa serve esattamente? Quali tutele per la nostra Privacy? Il termine Internet delle cose è un neologismo utilizzato per la prima volta nel 1999 da Kevin Ashton, ricercatore presso il MIT, Massachussets Institute of Technology. In ambito tecnologico serve a definire gli oggetti reali connessi ad internet che utilizzano la Rete per comunicare dati. Da alcuni studi emerge come molti italiani non sappiano di utilizzare dispositivi che si basano su questa nuova tecnologia. Il rapporto “Internet of Things: Smart Present o Smart Future?” presentato dalll’osservatorio IoT del politecnico di Milano, mette in evidenza come l’Internet delle cose si stia affermando nella nostra vita in ambiti di applicazione potenzialmente infiniti. Dalle auto che dialogano in tempo reale con la strada, per evitare incidenti e ottimizzare consumi, alle “case intelligenti” che regolano autonomamente termostati; videocamere; rilevatori di luminosità ed elettrodomestici. Il mondo che ci circonda, può praticamente essere dotato di una “identità elettronica” attraverso, per esempio, Rfid (Identificazione a radio frequenza) ed altre tecnologie (come il più noto il QR code). Tutto questo genererà nuovi problemi con cui dovremo confrontarci, sopratutto per quanto riguarda la nostra privacy,. Potrebbero, infatti, essere catturate informazioni circa la localizzazione, lo stato di salute e le abitudini di una persona. I dati infine, potrebbero essere condivisi con terzi, spesso nella totale inconsapevolezza del diretto interessato e fuori da ogni suo controllo. Sarà quindi fondamentale creare dispositivi che tutelino la privacy sin dalla fase di progettazione e prendere coscienza riguardo la nostra reale identità digitale, visto che molto spesso il limite tra mondo fisico e mondo digitale è labile. A questo riguardo viene in nostro aiuto il Garante della Privacy che ha affermato che “La possibilità per gli oggetti di “dialogare” ed interagire tra loro attraverso sensori, senza l’intervento umano e mediante reti di comunicazione elettronica, presenta indubbi vantaggi per la vita di tutti i giorni, ma anche rischi che è bene non sottovalutare. Occorre fare in modo che i produttori progettino sin dall’inizio i loro dispositivi con gli accorgimenti necessari per evitare che, ad esempio, l’utilizzo da remoto di un elettrodomestico diventi un veicolo per la diffusione di informazioni personali, come le scelte di consumo, che niente hanno a che vedere con i motivi che hanno portato a “connettere” quell’elettrodomestico.” Proprio in questi giorni c’è stato il parere favorevole delle Autorità europee per la protezione dei dati (Gruppo Articolo 29) sulla proposta di Regolamento della Commissione europea concernente il “rispetto della vita privata e la protezione dei dati personali nelle comunicazioni elettroniche all’interno dell’Unione Europea”, il cosiddetto “Regolamento ePrivacy”. Il Gruppo, oltre a manifestare un generale apprezzamento per le nuove misure, ha tuttavia espresso anche alcune perplessità su alcuni particolari aspetti. Tra questi, le regole che dovranno disciplinare il tracciamento dei terminali degli utenti attraverso reti wi-fi o bluetooth, come pure l’omesso, esplicito divieto per i fornitori di servizi di far ricorso ai cd. “tracking walls”, e cioè di imporre scelte del tipo “prendere o lasciare” che forzino gli utenti ad esprimere un consenso al tracciamento delle proprie attività on-line pur di accedere a contenuti determinati. Una cosa da tenere bene a mente è che la protezione dei dati sensibili dipende principalmente da noi. Essere consapevoli di cosa diamo in cambio quando acconsentiamo al trattamento dei nostri dati è il primo passo per tutelarci.
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Vittorio Zenardi
tecnologia Smart city: la realtà italiana
Le nostre «città intelligenti» coinvolgono 15 milioni di cittadini in 158 Comuni per un investimento totale di 3,7 miliardi di euro con 1.308 progetti all’attivo. Si trovano tutte al Centro-Nord con Milano, Bologna e Venezia in testa alla classifica generale City Rate 2016. Il concetto di Smart City è cambiato nel tempo, da termine utilizzato per descrivere l’adozione di innovazioni tecnologiche nelle città, ricopre oggi una visione più ampia che comprende capacità come quelle di garantire adeguati livelli di sicurezza, gestire i flussi migratori, attrarre finanziamenti per l’innovazione e ricerca. Per stilare il ICity Rate, ovvero il Rapporto annuale realizzato da ICity Lab che fotografa la situazione delle città italiane nel percorso di avvicinamento ai bisogni dei cittadini, vengono prese in considerazione sette aree tematiche: Economy, Living, Environment, People, Mobility, Governance e Legality. La città più tecnologica risulta essere Milano seguita da Bologna e da Venezia, che ha scalzato Firenze che si posiziona al quarto posto. Subito dopo troviamo Padova e Torino, seguite da Parma, Trento, Modena e Ravenna. Facile notare che nelle prime posizioni in classifica non troviamo nessuna città del Sud. Roma, infatti, si attesta al 21° posto nella classifica, Cagliari al 54° posto, Bari 65°, Palermo 86°, Napoli scende addirittura in 89° posizione, seguita solo da Catania (95°) e Reggio Calabria (104°). Si registra però un’interessante crescita in alcune città. Matera fa registrare un +12, Pescara un +5, mentre Siracusa guadagna ben 16 posizioni in un anno, andando a superare Palermo e Catania. Tra le città sul podio Milano eccelle nell’area Economy per il più alto valore aggiunto pro capite, la maggiore propensione a valorizzare le forme nuove di economia collaborativa e social innovation e la maggiore intensità brevettuale. Bologna conquista il secondo posto grazie sopratutto alle opportunità di lavoro offerte nel territorio provinciale, la presenza di servizi di cura dell’infanzia ed in generale una forte attrattività urbana. Venezia, la nuova entrata sul podio, deve l’ottimo posizionamento alle aree Mobilità (dove è 2°) ed agli importanti progressi nella dimensione People, ed Economy. Mentre Firenze, che ottiene la performance migliore nella dimensione People registra un peggioramento nelle aree legalità e ambiente. Una prima analisi non può che evidenziare il divario esistente tra Nord e Sud, con quest’ultimo che però dà segni costanti di reattività e ripresa. L’obbiettivo auspicabile è quello di avere in tempi brevi la stessa qualità dei servizi su tutto il territorio nazionale. Per far questo servono politiche lungimiranti ed una pianificazione strategica che sappia sfruttare tutte le potenzialità della rivoluzione digitale che stiamo vivendo. Un’ occasione da non perdere per un nuovo Rinascimento italiano.
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tecnologia
Smart working nella PA: serve un cambio di rotta Mentre il 30% delle imprese private ha realizzato progetti strutturati di smart working, con una crescita significativa rispetto al 2016, lo scenario all’interno della Pubblica Amministrazione appare meno roseo. Lo smart working combina l’uso sapiente dell’innovazione e sviluppa nuovi concetti di produttività individuale e di qualità della vita. Caratterizzato da una significativa flessibilità rispetto al tradizionale modello di lavoro, grazie alla digitalizzazione e alla dematerializzazione fa si che il lavoro non sia più associato allo spazio fisico dell’ufficio ma ad un concetto di tempo, creando nuove modalità di relazione e di interazione. La Pubblica Amministrazione è chiamata quindi ad indirizzare i suoi sforzi per cambiare i tradizionali concetti di fruizione del tempo e dello spazio, ancora ampiamente utilizzati, favorendo nuovi modelli di lavoro più efficaci ed efficienti. A questo proposito il disegno di legge sul “lavoro agile”, inizialmente proposto dal Governo e poi ulteriormente ampliato e migliorato dalla Commissione Lavoro del Senato, fa esplicito riferimento alla possibilità di applicazione dello smartworking ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche. Anche la riforma “Madia” della Pubblica Amministrazione all’art. 14, nel quadro della “Promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche”, chiede di adottare misure organizzative “per la sperimentazione di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa che permettano, entro tre anni, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano, di avvalersi di tali modalità, garantendo che i dipendenti che se ne avvalgono non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera.” Anche se queste misure permettono lo smart working nella PA, ad oggi i casi concreti sono davvero molto pochi. Come se non bastasse il recente pronunciamento della Consulta che, accogliendo parzialmente il ricorso della Regione Veneto, boccia alcuni dei principali decreti attuativi tra cui quello sulla dirigenza, sembra dimostrare una sostanziale difficoltà di introdurre cambiamenti importanti nell’organizzazione del lavoro all’interno del pubblico impiego. Non sarebbe, purtroppo, la prima volta che la spinta riformista dopo aver fatto proclami e indicato obiettivi, dimostri nella realtà la propria inefficacia. Un fallimento dovuto ad una scarsa propensione all’innovazione e ad una cultura burocratica dove è più importante la norma che il servizio al cittadino. Un peccato gravissimo perché una corretta attuazione dello smart working nella PA sarebbe un ottimo affare per i conti pubblici con un risparmio stimabile addirittura tra 1 e 3 miliardi di euro. Inoltre introducendo una nuova cultura, basata maggiormente sulla valutazione e la meritocrazia, lo smart working potrebbe favorire i corretti comportamenti dei dipendenti della PA, disincentivare l’assenteismo e sfavorire i soliti “furbetti” del cartellino.
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politica Perché i giornali parlano di una crisi di maggioranza che non c’è
Manovre parlamentari, da Prima Repubblica, direbbe qualcuno con la volontà di dare una connotazione tutta negativa. Così si potrebbe etichettare quanto successo il 5 aprile in Parlamento. La commissione Affari costituzionali del Senato ha eletto presidente Salvatore Torrisi, senatore di Alternativa Popolare che ha ricevuto 16 voti e ha battuto così il candidato del Partito Democratico e della maggioranza di governo Giorgio Pagliari, che si è fermato a 11 voti. La commissione Affari costituzionali del Senato è strategica poiché si occupa della presentazione delle leggi elettorali. La presidenza è considerata molto importante dalla maggioranza per riuscire a portare in aula in tempi brevi una nuova legge elettorale, ritenuta necessaria dopo gli interventi della Corte Costituzionale sull’Italicum. La reazione di Matteo Renzi e dei parlamentari a lui vicini è immediata e furente: “E’un patto della conservazione tra M5S e FI, Mdp e Ap per non cambiare la legge elettorale”, accusano. E a stretto giro i vertici Dem chiedono un incontro al premier Paolo Gentiloni e al presidente Sergio Mattarella per un chiarimento politico. Così non si può andare avanti, dicono i renziani. E anche Andrea Orlando osserva che l’episodio può portare al voto anticipato. In serata, dopo un colloquio con Gentiloni, Angelino Alfano chiede a Torrisi di dimettersi per permettere l’elezione del candidato Pd. Poi il premier vede i vertici Dem e garantisce il suo “impegno per la coesione della maggioranza”. Ma la tensione è alle stelle, anche tra i Dem. Dopo il referendum, ragionano i renziani, la legislatura si è sfilacciata, come dimostrano gli screzi con alfaniani e bersaniani, dal Def ai voucher, alla legge elettorale. A questo punto tra gli uomini vicini all’ex premier cresce la tentazione di sfidare i Cinque stelle per votare insieme in tempi brevi il Legalicum (cioè l’Italicum corretto, senza i capilista bloccati). A quel punto ci sarebbero le condizioni per chiudere la legislatura e andare al voto. Bisognerebbe, però, fare i contri con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Le solite ben informate “fonti del Colle hanno fatto breccia nel silenzio istituzionale ribadendo che il Quirinale non si intromette nelle dinamiche parlamentari e nei rapporti di forza tra i partiti della maggioranza. L’appuntamento con le urne è rimandato.
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politica Nuova stretta di Trump sui voli: «Più controlli anche per i cittadini Ue»
Secondo il Wall Street Journal e la Bloomber, l’Amministrazione Trump sta prendendo in esame misure drastiche nei confronti dei viaggiatori verso gli Usa che comprenderebbero anche i turisti provenienti da paesi amici come Germania e Francia. Per i due media, la autorità Usa potrebbero controllare i contenuti dei telefonini, dei social e dei conti bancari. Si parla anche di interrogatori sulle opinioni politiche. Nel mirino delle autorità ci sarebbero tutti e trentotto i paesi del «Visa Wiaver Program», i cui cittadini possono entrare negli Stati Uniti senza visto, quindi anche l’Italia, il Giappone e il Regno Unito. Potrebbe essere richiesto ai viaggiatori di consegnare i loro cellulari ai funzionari governativi Usa per un esame dei siti visitati, contatti telefonici o anche per conoscere le password dei social ed avere accesso ad informazioni private. Il responsabile per la sicurezza interna John Kelly sulla misura prospettata aveva anticipato la filosofia a febbraio: «Se non vorranno dare le informazioni non entrano», aveva detto in una audizione parlamentare. Immediatamente si sono sollevate le critiche delle organizzazioni per i diritti civili Usa, secondo cui si lederebbero i diritti fondamentali dei cittadini.
Addio a Giovanni Sartori, il politologo anticonvenzionale Giovanni Sartori è morto a 92 anni. Noto al pubblico più generale soprattutto come editorialista del Corriere della Sera e opinionista televisivo, nonché inventore di neologismi poi diventati di uso giornalistico e politico comune come “Mattarellum” e “Porcellum”, Sartori era il più importante scienziato politico italiano e uno dei più importanti al mondo, autore di testi sulla democrazia e i partiti studiati ancora oggi nelle università di mezzo mondo. Nato a Firenze nel 1924, Sartori si laureò a Firenze in Scienze Politiche nel 1943; all’università di Firenze cominciò a insegnare dalla seconda metà degli anni Cinquanta, fino a diventare preside tra il 1969 e il 1971. Nel corso della sua carriera, Sartori ha ricevuto otto lauree honoris causa e il premio Principe delle Asturie, il più importante per le scienze sociali. Ha donato moltissimi libri alla biblioteca del Senato, che nel 2016 gli ha dedicato una sala.
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arte Guercino a Piacenza: un nuovo spettacolare punto di vista sulle sue opere
Giovanni Francesco Barbieri, artista del Seicento consegnato alla storia con il soprannome di Guercino per il suo strabismo, è il protagonista delle iniziative che uniranno in un unico percorso due luoghi simbolo della città di Piacenza: il Duomo e Palazzo Farnese. Per l’occasione si potrà salire in quota all’interno della cupola della Cattedrale per vedere gli affreschi da vicino ed essere così a tu per tu con Il Sacro e il Profano. Un ciclo meraviglioso, dipinto tra il maggio del 1626 e il novembre del 1927, quando il pittore emiliano venne chiamato a Piacenza dal Vescovo Linati per sostituire, a causa della prematura morte, Pier Francesco Mazzuchelli detto il Morazzone, che aveva terminato solo due delle otto vele. Sei sono quindi le vele decorate dal Guercino; sei possenti profeti, otto lunette con Storie della Vita di Cristo e le Sibille. Si parte dalla navata laterale sinistra, dove si accede attraverso una serie di strette scale grazie alle quali si può raggiungere la base del campanile per poi continuare nel sottotetto della navata nord. Dopo aver attraversato tutto il matroneo, e aver goduto di un primo affaccio all’interno della Cattedrale, si supera un breve tratto di scala a chiocciola per raggiungere il sottotetto del matroneo e quello della navata centrale. Qui, una nuova stanza in legno che sormonta le volte ospita un monitor touch screen che consente una navigazione virtuale della cupola, con contenuti che ne facilitano la comprensione. Sulla destra si apre un lungo corridoio che, attraversando tutta la navata centrale, conduce alla facciata. Tornando indietro ci si può sporgere dalla galleria interna della cupola. Uno sguardo mozzafiato per una visione ravvicinata degli affreschi e una percezione dall’alto dell’imponente mole della Cattedrale. A Palazzo Farnese, sede dei musei civici piacentini, si potranno invece ammirare una selezione di venti opere, in prevalenza pale da altare e una significativa rappresentanza di quadri a soggetto profano che consentiranno di apprezzare la straordinaria maestria del Guercino e le prerogative messe a punto prima e dopo l’impresa piacentina.
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