Un alibi di scorta

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Io credo nell’assoluta autonomia del cinema; non solo, ma credo che sia molto difficile che un film veramente importante nasca da un libro. (Pietro Germi)

E viceversa, che un libro nasca da un film? Hai visto mai? Soprattutto se da un film non fatto.


Quando cadi da un’impalcatura e in quell’incidente un tuo compagno ci ha lasciato la pelle e te perdi l’uso delle gambe – e chissà se mai riprenderai a camminare –, se non hai la forza di ammazzarti… sopravvivi. Comunque. E t’esce fuori ’na forza inaspettata. Qualcosa che non pensavi di avere, qualcosa che ti fa superare lo schifo che senti dentro per tutti quei pezzi di merda che t’hanno rovinato la vita, prima, e preso per il culo, dopo. Dal più rozzo e ignorante al più colto e raffinato, ma tutti sempre e immancabilmente stronzi! Quando pensi che ti aspetti qualcosa dalla famiglia e dalle istituzioni, ti sbagli. Quando pensi che dopo aver passato una vita a schifare e prendere per il culo froci e travestiti finirai in mezzo a loro e di uno di quelli t’innamorerai, sei nel giusto. E anche senza gambe ti senti una persona intera. Quando te l’ammazzano sei un morto anche tu, un morto che vive per cercare l’assassino. Non te lo immagini, prima, non pensi di potercela fare, ma ogni volta rinasci e diventi un altro… e alla fine sei quasi meglio! Te ne sbatti i coglioni di tua moglie che non ti caca più, di tua figlia un po’ grassa e un po’ ritardata, di tuo figlio ormai grande, grosso e giuggiolone, che 7


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non ti dà più retta, che se ne frega di te e di quello che dici e non ha voglia di fare una mazza, perché dice che non vuole fare la fine da stronzo che hai fatto tu. Allora se non ti ammazzi sopravvivi… forse anche meglio. Ora io mi diverto pure. Quasi, la vita, la vedo meno triste. Senza l’uso delle gambe, uno cammina più spedito tra le merde che lo circondano. Tiè! Ci faccio pure l’ironia da me medesimo sulla disgrazia, commissà! Pensi che il mio incidente sul lavoro l’hanno chiamato disgrazia… ’tacciloro! Però, me scusi commissà, ma perché vuole sapere tutte ’ste cose che, insomma, non c’entrano niente col fatto stesso precipuo… Non ho capito, scusi: ah, già, mi perdoni, questo lo decide lei. Me pare giusto. Ma devo comincià a raccontà da così lontano? E perché? Perché c’è un tentato omicidio… un’aggressione, e poi io? E poi io che cosa, me perdoni, non ho capito… Ah! Sò pure indagato? Ma dimme te, dopo tutto quello che ho patito! Comunque, se lei ritiene, va bene… Ah, non è lei che ritiene, è la prassi, la regola. Vabbe’, vabbe’, d’accordo. Capirai… prassi! No, niente, parlavo fra me medesimo! E qui il commissario, che pure me sa che io non je stavo proprio antipatico, si stava quasi per incazzare, allora senza indugio iniziai fluido a dipanà il racconto… Forse ha ragione lei… tutto parte da lì, se non 8


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me fosse successo di cadere dall’impalcatura non avrei mai incontrato Gaby. Ma lo sa che come racconto il fatto, come dico che sono caduto da un’impalcatura in un cantiere, tutti me fanno: «Sei operaio?». «No, geometra» rispondo io, e tutti me dicono: «E come mai sei caduto?». «Ma perché i geometri non cascano?». Com’è successo me chiede, e come doveva succede… È stata tutta colpa di quel telone commissà, sì il megacartellone pubblicitario! Deve sapere – scusi, ha ragione, lei non deve sapere, sono io che je lo dico e je lo faccio sapere, quindi dopo che l’ho detto… lei lo sa! Dunque… i proprietari dei palazzi approfittano delle impalcature allestite, per vendere spazi pubblicitari straordinari, unici, che così si creano. Fittizi, insomma, dove prima non c’era niente. In posti impensati. Si figuri che il nostro l’hanno appeso sul ponteggio che avevamo tirato su per restaurare la facciata della chiesa! Sa quella chiesetta davanti a Palazzo Chigi? No, dico… in una delle piazze più ambite de Roma! Se pò dì ambite? Ambite, commissà, eh! eh! Je pare ’na malattia? Dice che ciai? L’ambite! Il presidente del consiglio cià l’ambite. Come dice scusi? Che non è il solo! Verissimo. Ma non devo divagare, scusi. Sa, io da quando ho preso la botta, che sò caduto… divago, me chiamano il “dottor Divago”. ’Sto spazio nella piazza ambita era ambito un frego pure lui! Anche se sarebbe durato per il tempo dei lavori del cantiere. Lo spazio che si è creato co’ ’sta pensata si affitta ai privati. Così ’sti paraculoni prendono i soldi pubblici per il restauro e i soldi privati 9


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dalla pubblicità. Ma a noi ce fanno sempre lavorare quasi gratis, di corsa e con poca sicurezza. Ecco perché quando abbiamo tirato su il ponteggio ce davano de prescia e non annavano tanto pel sottile! E invece – adesso che ce ripenso… – appena finito e montato il telo pubblicitario, calma assoluta. Se procedeva a rilento, non annava mai bene niente di quello che facevamo e spesso ricominciavamo da capo. Capito? Era pe’ finì più tardi possibile, anzi possibilmente mai! Ponteggi appositamente fatti, agghindati da megacartelloni pubblicitari, montati lì pe’ tempi infiniti. Ma lo sa che spesso e volentieri, alla rimozione dei ponteggi, in certi casi, se sò accorti che alcune ditte non avevano fatto un beneamato? Le facciate non erano state minimamente toccate. I palazzi erano semplicemente delle pareti per guadagna’ un po’ di soldi. E noi pe’ ’sto schifo ciavemo avuto un morto e un invalido che s’è salvato per miracolo. Ma lo sa qual è il busilli? Che poi è una di quelle cose tipiche italiane, che tutti lo sanno e fanno finta di non saperlo. Quella sciogherl fotografata sopra al megacartellone, come chi? A commissà… quella molto chiacchierata che stava su tutti i giornali e che presentava tutti quei programmi in tv. Insomma quella, pare che fosse la trombante favorita del primo minist… Come devo dire, scusi? La compagna? Eh no, commissà, compagna no, non la posso chiamà così! Diciamo concubina? No! Nemmanco. L’amante? Nun je corrisponde. C’è una bella differenza, una volta all’amante je aprivano ’na pellicceria, mica je facevano fà le presentatrici o le 10


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sciogherl! O peggio le ministre! Escort ‘o posso dì? Dice de no?… È sputtanato! Ah! Ah! Bella questa, commissà! Ammazza, ahò, è forte il commissario Lamberti, è uno che me piace, un tipo cazzuto, me ricorda l’ingegner Magni, quello dei calcoli dei ponteggi, che abita vicino a casa mia, al rione Monti. Vabbe’, dico fidanzata, d’accordo? Però è un linguaggio da verbale commissà, e non rende l’idea. Non c’è bisogno dice lei, l’idea è chiara, insomma è… era la donna di questo… diciamo noto uomo politico, di governo, e lui se la ingroppava, no? Me perdoni, m’è scappato! Però mi scusi commissà, è così! Ripeto. Tutti lo sanno ma nessuno lo dice! Non metta a verbale. Grazie. Insomma, ’sta colei non poteva stare un minuto di più esposta su quel megacartellone pubblicitario, pensi otto per tredici, con quel coso enorme davanti alla bocca in quel modo! Come che coso? Er coso, daje! Lo sa benissimo! Però vole che je lo ridico io. Mo’ ciarivo commissà! J’avevano fatto un dente nero, così la zoccol… la sciogherl mi scusi, sorrideva con un dente nero e… un cazzone enorme, con le ali, davanti alla bocca. Insomma, pareva che stava a “parlà al microfono”, come si suol dirsi. Che me sa che era anche un messaggio, manco tanto cifrato, sa ce vò poco pe’ capì, dopo tutto il casino ch’è successo. Era un avvertimento all’inquilino del palazzo di fronte, al capo del… se semo capiti, no? Volava l’uccello Padulo, a lei all’altezza della bocca e a lui 11


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all’altezza del culo! Non pensa che sia così commissà? Come dice? Il commissario Lamberti pensa solo al caso suo e non al caso degli altri? Ah! Ah! Lei si fa i casi suoi! E che ne so io chi sò stati commissà? Se sò arrampicati, hanno fatto ’sto graffito enorme, pure bene devo dì, proprio bravi! Dev’esse stato un commando: ’na specie de greenpis de lo sputtanamento, però si sono incazzati con noi come se fosse stata colpa nostra. Mica l’avevamo disegnato noi. E poi tutta ’sta canizza… Ma, capisco fosse stata la reclame de un dentifricio, ma de un telefonino! Non sia mai! Tutti in subbuglio. Nun je dico! In cantiere un acciaccapisto che nun s’era mai visto. «Increscioso, rimuovere immediatamente» diceva un tizio dai modi bruschi, autoritario, e poi si sentivano commenti, mormorii: «È un attacco politico della peggior specie… Tutte le tv del mondo… uno sputtanamento» diceva uno. «Uno più, uno meno» rispondeva l’altro. «Eh, va bene, ma proprio qui davanti!». «Il sorriso della nostra compagnia dev’essere un sorriso a ventiquattro denti!» diceva il responsabile della campagna pubblicitaria, che pensava ai cazzi suoi e non a quelli politici. Era venuto con quelli della ditta di affissioni e quelli della sua società. C’erano polizia, carabinieri, digos, non digos, ministero dell’interno e dell’esterno, insomma tutti, anche i vigili urbani… che arivano sempre quanno non servono. E ovviamente tutti i dirigenti della ditta nostra, il parroco della chiesa, e anche un monsignore: «La chiesa non può restare avvolta un minuto di più da quella sconcezza!». C’era un rap12


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presentante del governo, un altro della Santa Sede, mancava solo un rappresentante dell’Onu. «Bisogna rimuovere subito!». Eravamo nella piazza, ambita, davanti alla sede del governo. «Per noi è un danno d’immagine ed economico enorme, qui ogni giorno stimiamo duecentomila contatti visivi» incalzava l’altro socio di Holding Advertising, la società pubblicitaria che aveva avuto il permesso dal comune. L’altro socio de ’sto socio, indovini chi era? Manco a farlo apposta era il figlio del fratello del primo ministro, il quale fratello era deputato pure lui e aveva fatto ottené al figlio il permesso dal comune. Il rampollo aveva poi ottenuto i soldi dalla ditta dei telefonini che ciaveva come testimone la ganza dello zio primo ministro, il faccione della quale sorrideva sul cartellone davanti alla chiesa. Con una parte dei soldi ottenuti dallo sponsor je restaurava la facciata aggratis. Il triangolo era perfetto. Il padre, il figlio e la stinca de santo! Insomma una famiglia di cartello, diciamo così, anzi de cartellone. Presto, ce diceva l’ingegnere capo, dovete fare presto, come se fosse ’na novità pe’ noi. Sempre dovemo fa presto e lavorà de corsa. Bisognava sostituire un pezzo del telone… La mattina, appena aperto il cantiere, erano venuti quelli del telone della pubblicità… Allora, stacca il pezzo col graffito incriminato e riappendi quello bono. Alla fine, dopo due ore di lavoro, se sente la socia, l’“architetta isterica” che urla… Commissà, scusi, non è omo… omofobia, è che a quello j’è uscita ’na vocina da frocio così evidente che m’è venuto naturale… E poi quello ce urlava, ce offendeva… 13


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Mo’, gay o non gay, se uno è stronzo è stronzo. Ho detto architetta, m’è scappato, ma più che gay era maleducato e stronzo, ripeto. Perché un gay a me non me dà fastidio, sì vabbe’ lo posso sfotte, ma un maleducato sì e pure parecchio! Apro una parentesi. Come dice? Sì, sì, dopo je la richiudo, ma lo sa che non capisco quando me parla sul serio e quanno scherza? Sa l’architetto come s’è intrufolato nel giro? E come è diventato amico inseparabile del figlio dell’onorevole? Col solito sistema, recentemente venuto a galla in questo paese e di cui tanto si parla nelle cronache. La gnocca! Lo so che non je dico niente di nuovo, ma è la realtà commissà, mica posso esse originale pe’ fà contento a lei! Quando andai a casa sua, dell’architetto no? – a dì la verità ce sò andato più di una volta, per via di quel calcolo che bisognava presentà per il megacartellone e che loro s’erano sbagliati a fare – ebbi modo di notare un certo movimento. Poi, siccome che certe volte me diceva un orario e invece me toccava aspettallo sotto al portone, me mettevo a chiacchierà col portiere Giorno. No, non se chiama Giorno, si chiama Luigi, Giorno ce l’ho soprannominato io per via che quando saluta non dice buongiorno, ma …’giorno, co’ la “o” un po’ aperta e strascicata. Quindi, come lei può ben arguire… Che fa, se meravija? Ah! Perché ho detto arguire… da me se lo deve aspettà, io ogni tanto parlo “ciovile”… e depisto! Modestamente commissà, me viene così, non sembra ma io sò un ragazzo acculturato, mica come quelli de oggi che se crogiolano nell’ignoranza… Quasi quasi “crogiolano” 14


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è meglio di “arguire”! Mi scusi, sì, sì, non divago. Dicevo: come lei può facilmente immaginare, parlando col portiere, una chiacchiera oggi una chiacchiera domani, sono venuto a sapere tanti particolari. Insomma Tangentopa ha colpito ancora! L’architetto – che ho scoperto che ce fà ma nun c’è… nel senso che non è gay pe’ natura, pure io me lo credevo, ma pe’ convenienza. Me l’ha detto Giorno, perché dice che così lavora meglio nell’ambiente, ed è amico del figlio dell’onorevole dai tempi dell’università. L’architetto cià un bel giro de gnocche pronte a tutto meno che a lavorare… anche giovani universitarie… e le porta all’amico imbranato ma di famiglia buona, così con una fava… una… ma che dico, pure de più… prende due piccioni. Qualche fidanzata del figlio è piaciuta pure al padre onorevole e poi pure allo zio primo ministro, un classico commissà, e il cerchio s’è chiuso. Lei mi dirà che è uno schifo usà le donne come merce di scambio. Ah, manco questo me dice? Si capisce, ha ragione lei… se c’è chi se vende ce dev’esse pure qualcuno che compra, e viceversa! Ammazza commissà, che logica stringente, ’sto mestiere l’ha reso proprio cinico! Ma quale cinico e cinico, dice lei? Da che mondo è mondo è così, ed è inutile stare a fare tante storie… tutto ’sto teatrino! Bella commissà, ’sto pensiero che ha detto è chiaro e veritiero. Poi dicono che non è vero che tira più un pelo di… Commissà, oggi muove un giro d’affari che fa alzare il Pil. Dice non solo quello? Ah! Ah! Bona questa! Anche a lei je vengono così eh? Ri15


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tornando a noi, dopo una maratona di tre giorni a casa dell’ingegner Magni per corregge i calcoli del progetto del megacartellone, appena ebbimo… scusi, appena abbiamo terminato, era sul tardi, io arrotolai tutto e andai a casa dell’architetto. Abitava in una bella zona di Roma, di quelle che tu non pensi neanche che esistano, infatti per noi, gente che “nonconosciamonessuno”, non esistono. Cià fatto caso commissà, in Italia quando ciabbiamo un problema… ospedale, ufficio, scuola, lavoro, la prima cosa che ce viè in mente è vedé se in quel posto che c’interessa conosciamo qualcuno. Poi semmai, si cerca de seguì la trafila normale, ma è come ’na jattura, perché sapemo come vanno le cose. E io dopo la botta dell’incidente nun sa quante volte me sò trovato a dillo!! E quante volte “nonconoscevonessuno” e le cose sò annate pe’ le lunghe… a cazzo di cane. Se vive male in un paese dove devi conosce qualcuno… Vabbe’, basta con i pistolotti. Però, scusi commissà, ma se me fa condì il racconto con qualche pensiero mica è peccato, no? Me pare meno un interrogatorio… No, no commissà, non s’arrabbi, ma quali pasticcini per il tè, mo’ vado avanti tutto d’un fiato. Vò sapé dove abitava l’architetto? In un bel posto che uno manco se lo immagina… È la Roma segreta… che riserva delle sorprese! Uno cammina, no? C’è una strada, il traffico, le case, tutto normale, poi svolti una stradina, sali un pochetto e all’improvviso te pare de stà in campagna. Sa quella zona dietro la galleria d’arte moderna? Insomma, arrivai e citofonai a Giorno perché il portone era chiuso. Dalla ghiera 16


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ottonata e lucida uscì una specie di ronzio pernacchioso che copriva la voce. «Giorno? Sò Pietro, me apri?». «A quest’ora… Sò le due de notte… passa da dietro che qui è tutto chiuso e poi ho dato la cera». «Dà pure ’na sistemata ar citofono… Un condominio così ricco…». «Questi cianno le saccocce a lumaca». Mentre sto per bussare, il portoncino di servizio si apre, di colpo si accende un faretto da sopra l’ingresso e una lama di luce illumina di taglio una sventola da sturbo, tutta smaltata, che sta uscendo. Mi guarda e… per un attimo c’è un contatto visivo, dettaglio occhi contro occhi. Pareva de stà in un film d’a Wertmüller, sento ’na vampata nel cervello e me s’entorcina lo stomaco… Bella! Viso perfetto, carnagione avorio, occhi neri, intensi, espressivi. Ho sentito un’attrazione, come je posso dì, misteriosa, sa quando uno pensa: “Eccolo là, il colpo di fulmine, l’incontro della vita!”. Che poi ti metti a fantasticà, anche colei è rimasta colpita da me medesimo, ci rivedremo, perderà la testa per me, e ci sarà uno scatenamento di amore e passione… scopate furiose… memorabili… E poi invece niente, no? Difatti lei scivola via. A me il collo me se gira d’istinto, la capoccia di concerto, l’occhio si prolunga in un movimento periscopico mentre nel contempo faccio un bel respiro, tipo quello de’e lastre, per assorbire tutta la scia d’aria profumata lasciata da lei. La magnifica visione sale in macchina. Da dietro la figura è perfetta: gamba dritta, culo alto, un bel personale, come se diceva 17


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’na volta, adesso si dice linea. Ecco… una bella linea… tipo yogurt… “vita snella”! Poi la fata si gira per salire in macchina e la vedo da davanti, tette concrete, coscia lunga. Anvedi ahò, per un attimo je s’apre il soprabito e vedo lo spacco della gonna sulla coscia. Poi, mentre esalo un «Ammazza che gnocca!», arriva Luigi a rompeme l’incanto, e non solo quello! «Ah, non c’è che dire, gnocca è gnocca. Solo che cià ’a sorpresa!». «Che sorpresa?» faccio io, che certe volte – sarà la botta – sò un po’ ritardato. «Er pendolo». «Er che?». «È un travestitoo… Sveja!» strascica beffardo e soddisfatto quel disgraziato de Giorno. «Ma che stai a dì, guarda che io quelli li conosco bene, quando annamo a mignotte co’ l’amici poi passamo sempre dai travestiti a fasse quattro risate e a pijalli per ’culo…». «Fidati, è stata all’attico, dall’architetto. Che a lui e all’amichetto suo gli piacciono le acrobazie… C’è un movimento lì che lèvate!» mi fa allusivo Giorno e io di rimando: «Il pericolo è il mio mestiere, io lì vado. Speriamo che ce scappa qualcosa pure pe’ me!». «Ma non me dire che pure a te t’incuriosisce!» «E anche se fosse? Non lo sai che il 44% della popolazione maschile è frocia?» je faccio io, muovendo la manina a checca… «Seh! Te va sempre de scherzà, vedi troppa televisione!». 18


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Arrivato su, sona, sona, sona – scusi… “suona”, “suona”, “suona” – mi venne ad aprire il dottore, come chiamano il figlio dell’onorevole. Me pareva un po’ congestionato, e mi fa, dice: «Un momento, aspetta qui!», che io fra de me pensai: “Come aspetta qui ?, che avemo mai magnato pasta e facioli assieme?”. Mi perdoni la frase idiomatica, intendevo dire: perché mai s’era preso tutta ’sta confidenza? Mentre stavo nel salottino, sentii uno sciame di ragazze che uscivano ridendo. Doveva esse ’na mappata de escort… oramai non è manco più ’na novità! Dopo un po’ è arrivato l’architetto, che tutto infastidito mi fa, dice: «Avevamo l’appuntamento domani mattina, cosa le salta in mente di venire a quest’ora? Anche quel cretino di Luigi, che l’ha fatta salire…». «Scusi, ma me l’ha detto lei che era ’na cosa urgente, e de venì qui appena terminato il lavoro con i calcoli esatti. Deve firmare il progetto, domani mattina scade il termine, dev’esse consegnato». Ritornando a casa, ripensai alla magica visione e, mi deve scusà commissà, pe’ similitudine anche a mia moglie che mi aspettava. Certo l’accostamento non è casuale, secondo lei fu un riflesso condizionato nella formazione del pensiero? O no? Ah no? Dice che era solo il tira-tira… È che, come le ho già detto, con mia moglie il rapporto era logoro! Certo, si capisce, quanto cià ragione a dire così! Quando si tratta di argomenti tosti… Ah, ha detto tristi, scusi non avevo…! Lei è separato? Sì? Proprio per questo motivo? Ah, non solo per questo, e poi non era lei che ce l’aveva ’a stanca ma 19


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sua moglie? ’Azzo commissà, me dispiace di avé inavvertitamente toccato un tasto delicato. Capirai, certo che uno si ricorda, questi sono argomenti che rimangono impressi. Però vede, scusi se me permetto, secondo me la stanchezza nei sentimenti è sempre reciproca. Non nel suo caso!? Sia sincero co’ me commissà, anche lei s’era stancato un pochettino… Assolutamente no, dice lei! Ci sono altri fattori! Vabbe’ mi scusi commissà, non s’inquieti, non s’in-quie-ti! Ha capito mo’ perché certe volte me viè da parlà romano? Non se rovini, non insisto! Nel mio caso però si siamo stancati entrambi ambedue! Mica solo io, pure mi’ moje! Anche certe mogli però, mo’ non so la sua… ma ce la mettono tutta… La mia fa parte di quelle che si lasciano andare, che sbracano e non si riprendono più. Diventano biocche pure fisicamente. Ah, la sua è rimasta tale e quale, beato a lei, che fortuna! Pensano solo alla spesa, a cucinare per i figli, alla casa, che per carità è già una gran cosa. «Ma pure un minimo di tira-tira, inter nos, non guasterebbe» je dico io, invece mia moglie Cosima a queste cose non je dà importanza, e così uno s’adagia. Mi’ moje s’è proprio sdraiata! Non esce e quindi non si trucca, non si veste. Anche perché dice: «Non m’entra niente! E pensà che quando ce siamo sposati ero quasi secca». «Be’, secca proprio non direi…» je faccio io. «Eri ’na bella graffiona, insomma bella tracagnotta, bonazza!». Dopo la botta che ho preso, Cosima ha conclamato uno stato d’animo che già incubava da prima, che già aveva latente. A dire il vero il nostro rap20


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porto, finito l’idillio dei primi mesi, consumata l’attrazione dovuta a curiosità reciproca, ha cominciato a zoppicà e poi è entrato nella fase di stanca. Con l’arrivo di Mainardo, nostro figlio, i rapporti si sono complicati pure di più, anche quelli fisici, anzi soprattutto quelli, che poi con la nascita della seconda, Menodora, si sono proprio bloccati. Mentre lei era incinta mi scacciava, mi ha sempre rifiutato. M’ha tenuto a stecchetto per tutto quel periodo. Io ero ancora in fase luna di miele, diciamo, e lei mi sfotteva: «E quanto te dura ’sta luna… Sò du’ anni che semo sposati!». Perché noi avemo fatto la doppietta. Che vordì? Commissà, è quando nato il primo figlio ne viene un altro subito dopo. Era un peccato se sentivo attrazione per lei? Me sentivo un bollore addosso, avevo le mie esigenze, di cui lei non s’è mai curata. Poi, dopo un annetto che era nata Menodora, se vede che j’erano passate tutte quelle fisime che ciaveva, ha ricominciato a cercarmi. Non ciaveva più paure, non ciaveva più mal di testa, solo che nel frattempo essendosi lei lasciata andare – dopo il secondo parto, ma pure da prima se la vogliamo dì tutta – a me me tirava de meno. Lo so che non è espressione elegante ma è la verità. Però lei nel cibo non si negava niente, mai! pora cicia! Capisce commissà che con siffatta dieta dopo un anno me pareva un’altra da quella che m’ero sposato! Era un tantinello cambiata, per così dire. Io cercavo di fargli capire, con garbo, che per certe cose ci vuole atmosfera, un minimo di stimolo, di eccitazione, soprattutto per un maschietto. Je dicevo: «Non non si può così di botto, tiri su er ca21


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micione e vai. Datte una sistemata, nun te poi proporre così spoetizzante, dimodoché quanno che stiamo insieme c’è quel minimo di carica erotica». Per questo io non è che facessi lo stravede, non so se mi spiego. Non me spiego? Mi traduco: non è che io dessi… diedi… insomma facessi prestazioni strabilianti. Era una prestazione sindacale. Facevo, come si suol dire, il mio dovere. Vede? «Dovere», che brutta parola in certi casi, eh? Per questo motivo, dopo qualche tempo, quando io e “lui” entrammo nella fase di stanca, proprio “lui” in svariate occasioni se rifiutò de brutto. Assente giustificato. Non je dico pe’ ’sto motivo le discussioni, i sospetti e le gelosie che intervennero tra de noi! «Lo sai come si dice al mio paese? Gallina che non becca ha già beccato, se non tieni voja co’ me è perché sei stato co’ qualche zoccola!» mi rimbrottò Cosima co’ un proverbio del paese suo, perché essa è di un paesino del basso Lazio orientale. «Non ti sfiora nemmeno l’idea che forse non curi abbastanza il tuo aspetto, che non fai il minimo sforzo per renderti gradevole? Continui a mangiare, mangiare…». «Ah! Così me ami? Se una ha qualche chilo de troppo finisce tutto?». «Ma quale qualche chilo de troppo, avemo dovuto rinforzà il letto!». «Che marito che ciò, non fa il suo dovere perché non lo intrigo, che te devo fà, la lappedenze?». Che io la prima volta non avevo manco capito, me l’ha dovuto mimare, “la lappedenze”? A quel punto sò sbottato a ride, m’è scappato un «Sei ridi22


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cola!». S’è messa a urlare, e nella rabbia m’ha rinfacciato tutto, che io qua che io là, che non stavo mai a casa, che andavo al cinema. «Sempre stù cinema, ma chi ci crede? Com’è stù cinema? Bionda, mora?». «Ma smettila… Il mio dovere dice! Anche tu hai un dovere, curare te stessa e la tua persona, non solo per te medesima, ma anche per me medesimo! Perché pure un po’ di decoro personale, per piacere all’altro, è un segno d’affetto. Io non dico che sò un adone, ma insomma penso di essere piacente, allora dico pure tu non mollà, tienite su, fai quasi cento chili! Io sò tuo marito, non la tua cavia». Co’ ’sta frase ho peggiorato la situazione, tanto che è partita violentemente al contrattacco. «Ti lamenti tanto di me, ma anche io tengo da dire su de te, sappi che fai l’amore senza mai un’invenzione. Sì, monotono, la solita scopatina sempre allo stesso modo, da quando te conosco: stessa posizione. Mai una volta de sponda, dico pe’ dì, o da dietro, manco ’na vorta!». «Da dietro come, scusa, cioè, famme capì». «E non me dire che fai così mo’ perché non t’ispiro, perché hai sempre scopato così, anche i primi tempi, come un ragioniere!». Perché ragioniere, se io sò geometra! Forse voleva dire come un diplomato, cioè senza la fantasia del laureato! Infatti concluse la sua sfuriata con un «Lo fai senza fandasia!». Quel “fandasia” detto con la “d” al posto della “t”, in quel momento lì mi diede un fastidio… Mi sembrò troppo. Da quel momento la “d” al posto della “t” non l’ho sopportata più, e lei con essa. 23


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