manuale di doping e antidoping

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Luca Fiormonte

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Marco Ferrante

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DOPING e ANTIDOPING TUTTO QUELLO CHE BISOGNA SAPERE PER NON INCORRERE IN SQUALIFICHE E VIOLAZIONI DELLE NORMATIVE ANTIDOPING VIGENTI IN ITALIA E NEL MONDO


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RINGRAZIAMENTI Per il loro contributo, grazie ad Alessandra Costanza, Federica Giordano, Letizia Lombardi, Alessandro Patrizi, Carmine Bruni.

Copertina: Patrizia Marrocco Foto di copertina: Fotolia © Dundanim Fotocomposizione: Romano Bottini – Roma Stampa: La Moderna – Roma Copyright L’AIRONE 2011 © E.G.E. s.r.l – Roma www.gremese.com Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN: 978-88-6442-110-0


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SOMMARIO PARTE PRIMA CAPITOLO 1 PRINCIPI GENERALI 1. Cenni storici del fenomeno doping: dall’epoca antica alla World Anti-Doping Agency (WADA) ............................................................................ 2. Le definizioni di doping .......................................................................................... 3. Lista delle sostanze e dei metodi proibiti .............................................................. 4. L’esenzione ai fini terapeutici .................................................................................. 5. I controlli antidoping: programmazione e attuazione ........................................

8 10 18 19 20

CAPITOLO 2 LE FONTI DELL’ORDINAMENTO SPORTIVO 1. Il Programma Mondiale Antidoping ..................................................................... 2. Il Codice WADA ........................................................................................................ 2.1 Principi generali ................................................................................................... 2.2 Attuazione delle norme sulle violazioni del Regolamento Antidoping ............... 3. Le Norme Sportive Antidoping (NSA) del CONI ............................................... 3.1 Sanzioni per non tesserati ....................................................................................

37 41 41 44 49 55

CAPITOLO 3 LE FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE 1. Il Consiglio d’Europa e la Convenzione Antidoping del 16.11.1989 ................. 58 2. La Convenzione Antidoping dell’UNESCO ......................................................... 61

CAPITOLO 4 LE FONTI DELL’ORDINAMENTO ITALIANO 1. La legge 376 del 14 dicembre 2000 ......................................................................... 65 2. Potestà normativa regionale in materia di doping .............................................. 73

CAPITOLO 5 LE STRUTTURE SPORTIVE NAZIONALI ANTIDOPING 1. Il CONI-NADO ......................................................................................................... 1.1 Il Comitato per i Controlli Antidoping (CCA) .................................................... 1.2 Il Comitato per le Esenzioni ai Fini Terapeutici (CEFT) ..................................... 1.3 L’Ufficio di Procura Antidoping (UPA) ............................................................... 1.4 Il Tribunale Nazionale Antidoping (TNA) ..........................................................

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Sommario

PARTE SECONDA IL PROCESSO SPORTIVO IN MATERIA DI DOPING

CAPITOLO 6 FASE INTRODUTTIVA AL GIUDIZIO E FASE ISTRUTTORIA 1. 2. 3. 4.

Attivazione del procedimento e prescrizione ..................................................... Sospensione cautelare dell’attività sportiva e sua impugnativa ..................... L’archiviazione ......................................................................................................... Il deferimento ..........................................................................................................

82 83 85 85

CAPITOLO 7 FASE DIBATTIMENTALE 1. Procedimento dinanzi all’Organismo Giudicante di primo grado ................. 86 2. Udienza di trattazione ............................................................................................ 87 3. La prova .................................................................................................................... 88 3.1 Nessuna colpa o negligenza: annullamento della sanzione ................................ 92 3.2 Assenza di colpa o negligenza significativa: riduzione della sanzione .............. 93 3.3 Annullamento o riduzione della squalifica per sostanze specificate .................. 94 3.4 Ammissione di una violazione prima della notifica del prelievo ........................ 95 3.5 Collaborazione fattiva alla scoperta o all’accertamento di violazioni del Regolamento Antidoping .............................................................................. 96 3.6 Circostanze aggravanti che prolungano la squalifica ......................................... 97 3.7 Reiterate violazioni ............................................................................................. 98 4. La decisione .............................................................................................................. 98 4.1 Inizio del periodo di squalifica ............................................................................ 99 5. Gli effetti della sentenza ......................................................................................... 100 6. Le sanzioni economiche ......................................................................................... 103 7. Conseguenze per le squadre ................................................................................. 103

CAPITOLO 8 LE IMPUGNAZIONI 1. 2. 3. 4. 5.

Riesame delle decisioni del CEFT ........................................................................ Impugnativa contro il provvedimento di sospensione cautelare .................... Fase di appello ......................................................................................................... Il giudizio di revisione. Differenze con la sospensione ..................................... Procedimento per la sospensione dei provvedimenti di squalifica ................

104 105 105 106 107

APPENDICE NORMATIVA 1. 2. 3. 4.

Codice Mondiale Antidoping 2009 ....................................................................... Convenzione Antidoping – Strasburgo 1989 ...................................................... Convenzione Internazionale contro il doping nello sport UNESCO 2005 ..... Norme Sportive Antidoping – CONI 2011 ..........................................................

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CAPITOLO 1 PRINCIPI GENERALI 1. Cenni storici del fenomeno doping: dall’epoca antica alla World AntiDoping Agency (WADA); 2. Le definizioni di doping; 3. Lista delle sostanze e dei metodi proibiti; 4. L’esenzione ai fini terapeutici; 5. I controlli antidoping: programmazione e attuazione.

1. CENNI STORICI DEL FENOMENO DOPING: DALL’EPOCA ANTICA ALLA WORLD ANTI-DOPING AGENCY (WADA) La pratica e l’assunzione di sostante dopanti risalgono all’epoca preromana. Ne abbiamo tracce dai tempi dell’antica Grecia e dell’antica Roma, che possono confermare come, in quel tempo, si usassero per stimolare e accrescere la prestazione e, principalmente, per assuefarsi al dolore fisico. Questo probabilmente lascia presupporre che avessero mutuato dai loro domini in Oriente – o durante i Giochi Istmici – alcuni preparati di erbe volti a una più lunga e migliore sopportazione del dolore e della fatica fisica, necessari soprattutto per resistere alle dure battaglie alle quali andavano incontro gli eserciti. Per lunghissimo tempo – fino al secolo scorso – non c’è stata una normativa di riferimento capace di disciplinare uniformemente tale settore, neppure all’interno delle singole Federazioni Sportive Internazionali. Pertanto, solo a seguito dei primi tragici eventi di morte, che videro protagonisti atleti dopati, i singoli Stati nonché le Federazioni Nazionali e Internazionali iniziarono, sebbene timidamente, a conformare e prendere provvedimenti per armonizzare la normativa in materia. Dal punto di vista storico, nel 1928 la Intenational Amateur Atlhetic Federation (IAAF) introdusse, per la prima volta, dei test antidoping (anche se non obbligatori). Bisogna, però, arrivare alle Olimpiadi di Roma del 1960, in cui morì il ciclista Knud Enemark Jensen proprio a causa dell’utilizzo di sostanze dopanti, affinché, prima l’Union Cycliste Internationale (UCI) poi, nel 1966, la Federazione Internazionale di Calcio introducessero dei test antidoping più strutturati, seppure ancora volontari e non obbligatori. I primi test obbligatori furono introdotti alle Olimpiadi Invernali di Grenoble del 1968 e alle Olimpiadi di Città del Messico, sempre nel 1968. Quindi, alla fine degli anni Sessanta, ancora non esisteva una Normativa Antidoping uniforme e concretamente applicabile nel mondo dello sport. Neanche l’introduzione di tali test riuscì a frenare il fenomeno dell’assunzione di sostanze dopanti che, al contrario, andava assumendo proporzioni massicce preoccupanti. Nel 1974, la Federazione di Atletica Leggera aggiunse, alle liste di sostanze dopanti, gli anabolizzanti. Nel 1988, vi fu un altro caso eclatante: Ben Johnson, alle Olimpiadi di Seoul, vinse la finale dei cento metri piani stabilendo il nuovo record mondiale, ma fu


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poi trovato positivo allo stanatolo e venne quindi squalificato, con il conseguente annullamento della vittoria e del record. Il caso Johnson attirò l’attenzione del mondo intero sul problema del doping nello sport e sensibilizzò le autorità pubbliche e gli operatori sportivi ad attivarsi in modo concreto per combattere tale fenomeno, divenuto ormai di rilevanza sociale. Venne, quindi, organizzata una Conferenza Mondiale Antidoping per unificare le varie strutture antidoping internazionali. Nel 1998, al Tour de France, furono sequestrate delle elevate quantità di sostanze dopanti; ma, nonostante ciò, una normativa comune ancora non esisteva. Solo nel 1999, in occasione della prima Conferenza Mondiale Antidoping tenuta a Losanna, nella quale fu stilata la Dichiarazione di Losanna sul doping e fu prevista la creazione della World Anti-Doping Agency (WADA), si cominciarono a muovere i primi passi verso una Normativa Antidoping strutturata e concreta. Quindi, come notiamo, dopo oltre trentacinque anni dal primo caso eclatante di doping, ancora non vi è alcuna normativa europea o mondiale alla quale uniformarsi o attenersi. Ma è nella Conferenza Internazionale di Copenaghen del 3 marzo 2003 che vengono finalmente fissate le regole uniformi che avrebbero dato luogo alla redazione del primo Codice Mondiale Antidoping. In particolare, la Convenzione di Copenaghen costituisce un’intesa che i partecipanti alla stessa decisero di stilare e sottoscrivere con il precipuo intento di: a) suffragare il Codice Mondiale Antidoping adottato nella stessa riunione; b) sostenere e riconoscere il ruolo della WADA come agenzia di riferimento e di controllo nella lotta al doping; c) supportare la cooperazione tra autorità intergovernative per l’armonizzazione sia delle politiche antidoping e sia delle procedure in ambito sportivo. È, inoltre, importante far rilevare il preambolo al protocollo di Copenaghen redatto dai partecipanti, premesse che poi ritroveremo nell’analisi delle differenze tra Codice Antidoping Sportivo e Legge Penale Antidoping. Ebbene, i partecipanti alla conferenza, non solo (diremmo ovviamente) pongono come fondamento primario la tutela della salute ma, in particolare, sottolineano come il doping sminuisca i valori fondanti dello sport e che il ricorso ad agenti e metodi dopanti provocano conseguenze negative per il futuro delle attività sportive e violano il principio del fair play, rectius della correttezza nei comportamenti nell’ambito dell’attività sportiva. Infine, gli Stati partecipanti e sottoscrittori si impegnano anche finanziariamente a sostenere la lotta al doping, anche attraverso prelievi e controlli antidoping su campioni biologici. Il Codice Mondiale Antidoping, entrato in vigore in data 1 gennaio del 2004, è al primo posto nella gerarchia delle fonti. È, quindi, una normativa molto giovane, ciò nonostante si sente parlare di doping e di regolamenti antidoping già da moltissimi anni. Il problema per il legislatore era di riuscire a uniformare i vari statuti delle Federazioni secondo i principi della WADA. Lo strumento giuridico che riuscì a unire le singole Federazioni, nonché i singoli Stati, fu la Convenzione UNESCO: essendo la WADA un organo di dirit-


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to privato con sede a Losanna e quindi disciplinato dal diritto svizzero e non da quello internazionale, si stabilì che chiunque avesse voluto aderire alla Convezione UNESCO, avrebbe dovuto necessariamente uniformarsi e seguire anche il Codice WADA in essa inserito. A tal proposito, proprio nel Codice WADA, all’articolo 22.6, è espressamente statuito: “Nel caso in cui un governo non ratifichi, non accetti o non approvi la Convenzione UNESCO entro il primo gennaio 2010 o non rispetti in seguito la Convenzione UNESCO, esso sarà impossibilitato a presentare la propria candidatura per gli eventi sportivi, così come previsto agli articoli 20.1.8 (Comitato Internazionale Olimpico), 20.3.10 (Federazione Internazionale) e 20.6.6 (Organizzazione di Eventi Importanti) e potrebbero esservi conseguenze ulteriori, ad esempio: perdita di cariche e mandati all’interno della WADA; mancata idoneità o mancata accettazione di candidature a ospitare un qualsivoglia evento sportivo in un dato paese, cancellazione di eventi internazionali; conseguenze simboliche e altre conseguenze ai sensi della Carta Olimpica”. Tuttavia, i governi non possono essere vincolati in nessun modo a sottoscrivere accordi di diritto privato e, quindi, con una moral suasion si cerca di spingerli alla sottoscrizione della Dichiarazione di Copenaghen e di ratificare, adottare, approvare o aderire alla Convenzione UNESCO (il governo italiano, ad esempio, ha ratificato la Convenzione UNESCO il 26 novembre del 2007). In questo modo si è riusciti ad avere un’adesione globale di tutti gli Stati alla battaglia contro il doping: attraverso regole uniformi e programmi condivisi, che possano costituire una perfetta osmosi tra governo sportivo e governo statale. Solamente il 5 marzo del 2003, durante la seconda Conferenza Mondiale Antidoping, fu redatto e istituito il primo Codice Mondiale Antidoping che entrò, come detto, in vigore il primo gennaio del 2004. La ratio del Codice è appunto quella di uniformare la normativa internazionale, affinché a tutti gli atleti e in tutti i paesi, possa essere riservato e applicato lo stesso trattamento sanzionatorio in caso di riscontrata positività a sostanze dopanti. 2. LE DEFINIZIONI DI DOPING Ai fini dell’esatta individuazione della definizione di doping occorre, in via preliminare, evidenziare come nell’ordinamento italiano la lotta al doping sia disciplinata da una normativa a “doppio binario”: una statale e l’altra sportiva. Va da sé che, rispondendo le differenti regolamentazioni a esigenze e scopi diversi (promozione della salute individuale e collettiva immanente nella legge 376/2000 1; correttezza delle competizioni, agonismo, spettacolo in via prioritaria nelle norme sportive), anche la definizione di doping acquista, nei rispettivi ordinamenti, una differente connotazione e funzione. 1 “...il richiamo (insito) alle esigenze di tutela del bene salute, presidiato dall’articolo 32 Cost., costituisce dunque, ad un tempo, il nucleo essenziale dell’intero impianto normativo e la stessa ragione d’essere dell’intervento penale...”. (Cassazione, Sez. II – ord. 29 dicembre 2004 n. 49949)


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L’impostazione dell’ordinamento sportivo Nel dettaglio, per quanto concerne l’ordinamento sportivo interno, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), recependo la definizione di doping del Codice Mondiale Antidoping WADA, lo descrive come “il verificarsi di una o più violazioni del Codice Mondiale Antidoping come descritte dagli articoli dal 2.1 al 2.8”. Analizziamo nel dettaglio le violazioni: A) La presenza di una sostanza vietata o dei suoi metaboliti o marker nel campione biologico dell’atleta La violazione in commento costituisce una fattispecie di responsabilità oggettiva 2, in virtù della quale un atleta è responsabile per la sola presenza nel suo campione biologico di una sostanza vietata, indipendentemente dalla verifica degli elementi soggettivi del dolo o dalla colpa. Tuttavia tale profilo di responsabilità è attenuato nella vigente versione del Codice WADA, laddove viene riconosciuta all’atleta la possibilità di evitare o ridurre le sanzioni in caso di dimostrazione di avere agito in assenza di colpa o senza colpa significativa (articolo 10.5 “Annullamento o riduzione della squalifica per circostanze eccezionali”) o di non aver voluto migliorare la propria prestazione sportiva (articolo 10.4 “Annullamento o riduzione della squalifica per sostanze specificate in circostanze specifiche”). Per quanto concerne il regime probatorio, il legislatore WADA precisa come costituisca prova sufficiente della violazione la presenza di una sostanza vietata o dei suoi metaboliti o marker nel campione biologico A, nel caso in cui l’atleta rinunci al diritto di ottenere la revisione del suo campione biologico (infatti l’atleta ha la possibilità di richiedere una controanalisi su di un secondo campione biologico (B) a lui prelevato al momento del controllo 3; oppure, nel caso in cui il campione biologico B sia analizzato e confermi la presenza di una sostanza vietata o dei suoi metaboliti o marker riscontrati nel campione biologico A. B) Uso o tentato uso di una sostanza vietata o di un metodo proibito da parte di un atleta Come per la violazione che precede, anche tale fattispecie integra un regime di responsabilità oggettiva, non rilevando l’intento, la colpa, o la consapevolezza, né il successo o il fallimento dell’uso da parte dell’atleta: è sufficiente che la sostanza vietata o il metodo proibito siano stati usati o si sia tentato di usarli 4. 2 Vedi nota di commento all’articolo 2.1 del Codice WADA in cui si legge come l’applicazione del principio di responsabilità oggettiva rappresenti “il giusto equilibrio tra una rigorosa esecuzione delle norme antidoping a tutela di tutti gli atleti ‘puliti’ e il rispetto del principio di equità nei casi eccezionali in cui una sostanza vietata sia stata assunta dall’atleta senza alcuna colpa o negligenza o senza colpa o negligenza significativa da parte sua. È importante sottolineare che mentre le violazioni del regolamento antidoping sono definite in base al principio di responsabilità oggettiva, l’imposizione di un determinato periodo di squalifica non è affatto automatica. Il principio di responsabilità oggettiva specificato nel Codice è stato coerentemente confermato nelle decisioni del Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS)”. 3 Vedi successivo paragrafo 5. 4 Vedi nota di commento all’articolo 2.2.2 del Codice WADA: “Dimostrare il ‘tentativo di uso’ di una sostanza vietata richiede che venga comprovata l’intenzionalità dell’atleta. Il fatto che debba esservi una precisa


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L’uso o il tentato uso di una sostanza vietata o di un metodo proibito può essere provato attraverso qualsiasi mezzo affidabile. A differenza della prova richiesta per stabilire la violazione descritta al precedente punto A), l’uso può essere dimostrato tramite ammissioni dello stesso atleta, dichiarazioni testimoniali, prove documentali, conclusioni tratte da profili longitudinali o altre informazioni analitiche che non soddisfano altrimenti tutti i requisiti necessari per stabilire la “presenza” di una sostanza vietata ai sensi dell’articolo 2.1 5. La norma in commento introduce il rilevantissimo profilo del “metodo proibito”. La previsione è stata introdotta per evitare che gli atleti, al fine di non incorrere nelle ipotesi di positività dopo un controllo antidoping, usino sistemi scientifici e sofisticati che possano eludere i controlli antidoping effettuati dopo le gare sportive. Ecco allora che il legislatore WADA è stato costretto a introdurre il termine “metodo”, onnicomprensivo di qualsiasi alterazione del corpo, del sangue e, in generale, del fisico dell’atleta. Metodi come il trasporto dell’ossigeno nel sangue, l’uso dell’ozonoterapia, il cosiddetto lavaggio del sangue, tanto per citare alcune pratiche illecite, hanno infatti la possibilità di eludere i controlli antidoping in competizione, costituendo peraltro pratiche altamente invasive e lesive della salute dell’atleta. C) Rifiuto o omissione, senza giustificato motivo, di sottoporsi al prelievo dei campioni biologici previa notifica, in conformità con il vigente Regolamento Antidoping, o sottrarsi in altro modo al prelievo dei campioni biologici La violazione in commento – viene chiarito nella nota WADA 6 – contempla due ipotesi specifiche, variandone l’elemento soggettivo. Il rifiuto o l’omissione di un prelievo dei campioni può essere determinata da una precisa intenzionalità o da negligenza dell’atleta, mentre il “sottrarsi” al controllo presuppone necessariamente un preciso proposito doloso. D) Violazione delle condizioni previste per gli atleti che devono sottoporsi ai controlli fuori competizione, incluse la mancata presentazione di informazioni utili sulla reperibilità e la mancata esecuzione di test che si basano sullo standard internazionale per i controlli. Una combinazione di tre mancati controlli e/o di una mancata presentazione di informazioni entro un periodo di diciotto mesi, determinata dalle Organizzazioni Antidoping con competenza sull’atleta, costituirà violazione del Regolamento Antidoping Al fine di inquadrare la violazione all’esame, occorre richiamare l’articolo 14.3 del Codice Mondiale Antidoping, in virtù del quale gli atleti che sono stati intenzionalità per dimostrare l’esistenza di questa particolare violazione del regolamento antidoping non compromette il principio di responsabilità oggettiva stabilito per le violazioni dell’articolo 2.1 e per le violazioni dell’articolo 2.2 relativamente all’uso di una sostanza vietata o di un metodo proibito”. 5 Vedi nota di commento all’articolo 3.2 del Codice WADA. 6 Vedi nota di commento all’articolo 2.3 del Codice WADA.


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inseriti dalle rispettive Federazioni Sportive Internazionali o dalle Organizzazioni Nazionali Antidoping tra i nominativi sottoposti ai test fuori delle competizioni (RTP = Registered Testing Pool) (vedi paragrafo 5) sono tenuti a fornire informazioni precise e aggiornate in ordine alla loro reperibilità (vedi “Modulo Whereabouts”). Tali informazioni rimarranno immagazzinate in un database (ADAMS 7) e rese accessibili alle parti investite dell’autorità necessaria per effettuare i controlli. Lo standard internazionale per i controlli prevede le seguenti informazioni minime, richieste agli atleti: a) b) c) d) e) f) g) h) i) j) k)

Nome Sport/Disciplina Indirizzo postale Indirizzo dell’abitazione Numeri telefonici da contattare Indirizzo e-mail Orari e sedi degli allenamenti Stage di allenamento Itinerari di viaggio Programma di gara Disabilità, ove necessario, inclusa la necessità di coinvolgere eventuali terzi nel processo di notifica l) Il luogo in cui è garantita la presenza dell’atleta per sottoporsi al test antidoping nell’ambito di uno slot di un’ora al giorno (tra le 6.00 e le 23.00). Pertanto, un atleta facente parte dell’RTP, è tenuto a comunicare, dettagliatamente e ogni tre mesi, le informazioni sul luogo di permanenza del successivo trimestre, compresi il nome della località dove vivrà, si allenerà, gareggerà, in modo tale da poter sempre essere localizzato ai fini dei controlli nel corso di tale trimestre. L’atleta inserito nell’RTP è altresì tenuto a indicare nelle proprie informazioni sul luogo di permanenza, per ciascun giorno del trimestre successivo, uno specifico arco di tempo di sessanta minuti nel quale si renderà disponibile in un posto indicato per essere sottoposto a controlli. (Tale arco di tempo non limita in alcun modo l’obbligo dell’atleta a rendersi disponibile per i controlli sempre e ovunque). Tuttavia, qualora l’atleta non si rendesse disponibile per i controlli in tale luogo e nei sessanta minuti indicati, nonché nel luogo di permanenza al di fuori di tale periodo di tempo, senza avere aggiornato le informazioni, al fine di fornire un arco di tempo/luogo alternativo per quel giorno, tale inadempienza corrisponderà a un controllo mancato e costituirà un’inadempienza relativa alle informazioni sul luogo di permanenza con successiva applicazione dell’articolo 2.4 del Codice, che così dispone: “Violazione delle conVedi Codice WADA alla definizione di ADAMS (Antidoping Administration & Management System): È uno strumento web di gestione antidoping dei dati, utilizzato per la loro registrazione, l’immagazzinamento, la condivisione e la comunicazione, e progettato per assistere gli amministratori e la WADA stessa nelle loro operazioni, in armonia con la legislazione sulla protezione dei dati. 7


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dizioni previste per gli atleti che devono sottoporsi ai controlli fuori competizione, incluse la mancata presentazione di informazioni utili per la reperibilità e la mancata esecuzione di controlli che si basano sullo Standard Internazionale per i Controlli. Una combinazione di tre mancati controlli e/o di una mancata presentazione di informazioni entro un periodo di diciotto mesi, determinata dalle Organizzazioni Antidoping con competenza sull’atleta, costituirà violazione del Regolamento Antidoping”. Il periodo di diciotto mesi cui fa riferimento l’articolo sopra citato ha inizio a partire dalla data in cui l’atleta commette un’inadempienza sul luogo di permanenza, indipendentemente da qualsiasi campione effettivamente prelevatogli durante lo stesso periodo di diciotto mesi. Tuttavia, se un atleta che ha commesso una inadempienza sul luogo di permanenza, non ne commette altre due nell’arco di tempo di diciotto mesi a partire dalla prima, alla fine di tale periodo la prima inadempienza viene meno. Il CONI, recependo la previsione WADA, ha predisposto la procedura di whereabouts (reperibilità) nel Disciplinare di Controlli, allegato alle Norme Sportive Antidoping (NSA). Al punto 88 del Disciplinare si legge infatti che “a seguito della comunicazione di inclusione nell’RTP nazionale l’Atleta è tenuto a comunicare trimestralmente le informazioni relative al luogo di permanenza al CONI-NADO nei modi (informazioni obbligatorie/facoltative) e nelle forme di cui al modello F57 (Whereabouts Form) visionabile sul sito www.coni.it” 8. E) Manomissione o tentata manomissione in relazione a qualsiasi fase dei controlli antidoping La disposizione all’esame mira a salvaguardare la “catena di custodia” del controllo, ovvero il rispetto di tutte le formalità connesse alla filiera del controllo. Come specificato dalla nota di commento all’articolo del Codice WADA, viene proibito qualsiasi comportamento che turbi le procedure dei controlli antidoping, a prescindere che rientri formalmente nell’elenco dei metodi proibiti. A titolo esemplificativo ne vengono riportati alcuni: alterare i numeri identificativi su un modulo del prelievo antidoping; rompere il flacone B al momento delle analisi del campione B, oppure fornire informazioni fraudolente a un’Organizzazione Antidoping. F) Possesso di sostanze vietate e metodi proibiti La violazione in commento concerne il divieto di possesso di sostanze o metodi proibiti da parte dell’atleta o del personale di supporto, sia durante le competizioni, che fuori competizione. L’esclusione all’applicazione della violazione è la dimostrazione da parte dell’atleta o del personale di supporto di un possesso ai fini di uso terapeutico Nonostante il Codice WADA preveda e disciplini la trasmissione dei dati personali degli atleti presso il nuovo database ADAMS – gestito dalla WADA –, il CONI si astiene temporaneamente dall’utilizzare tale database fino a quando non verranno soddisfatte le garanzie minime previste dalla direttiva europea in materia nonché dal Decreto Legislativo196/2003. 8


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consentito dall’articolo 4.4 del Codice (uso terapeutico) o ad altro giustificato motivo 9. G) Traffico o tentato traffico di sostanze vietate o metodi proibiti Il traffico di sostanze dopanti costituisce una delle cause più gravi della proliferazione del fenomeno, favorita, peraltro, dalla multiforme – o in alcuni casi del tutto assente – legislazione in materia dei singoli paesi. Al fine di colmare tale grave lacuna, la Convenzione Internazionale dell’UNESCO contro il doping nello sport, entrata in vigore il primo febbraio 2007 (vedi capitolo 3, paragrafo 2) ha richiamato gli Stati firmatari sulla necessità di “limitare la produzione, la circolazione, l’importazione, la distribuzione e la vendita di dette sostanze e metodi”. In tale direzione la WADA ha avviato nel 2008 un’importante collaborazione con l’Interpol. La fattispecie in commento viene punita duramente dal legislatore WADA, che al riguardo prevede un periodo di squalifica da un minimo di quattro anni fino alla squalifica a vita. H) Somministrazione o tentata somministrazione a un atleta, durante le competizioni, di un qualsiasi metodo proibito o sostanza vietata, oppure somministrazione o tentata somministrazione a un atleta, fuori competizione, di un metodo proibito o di una sostanza vietata che siano proibiti fuori competizione o altrimenti fornire assistenza, incoraggiamento e aiuto, istigare, dissimulare o assicurare ogni altro tipo di complicità in riferimento a una qualsiasi violazione o tentata violazione del Regolamento Antidoping Il Codice WADA – si legge nella nota di commento alla fattispecie – non ritiene violazione il fatto che un atleta o altra persona lavori o collabori con il personale di supporto che stia scontando un periodo di squalifica, facendo tuttavia salva la facoltà delle singole Organizzazioni Sportive di proibire tali condotte Il CONI, come si dirà nel prosieguo, ha tipizzato tale condotta, ritenendola violazione del Regolamento Antidoping. I) Altre violazioni delle Norme Sportive Antidoping Il CONI, oltre a recepire le violazioni che precedono, ha introdotto nelle proprie norme ulteriori tre previsioni (vedi capitolo 2, paragrafo 3), che si riportano di seguito: – Qualsiasi violazione riferita alle fasi del controllo antidoping disposto dalla Commissione Ministeriale (CVD) di cui alla legge 376/2000. Le note di commento agli articoli 2.6.1 e 2.6.2, chiariscono, a titolo esemplificativo, come non potrebbe essere considerato “giustificato motivo” l’acquisto o il possesso di una sostanza vietata al fine di darla a un amico o a un parente, salvo in caso di circostanze mediche giustificabili in cui quella persona disponga di una prescrizione medica, ad esempio l’acquisto di insulina per un bambino diabetico. Di contro, un giustificato motivo includerebbe il caso del medico sociale che porti con sé sostanze vietate per la cura di situazioni acute e di emergenza. 9


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Manuale di Doping e Antidoping

– Avvalersi, o favorire in alcun modo, della consulenza o della prestazione di soggetti inibiti e/o squalificati per violazione del Codice Mondiale Antidoping WADA e delle presenti Norme Sportive Antidoping. – La mancata collaborazione di qualunque soggetto, anche non tesserato e/o di nazionalità straniera, per il rispetto delle NSA. L’impostazione dell’ordinamento statale Per quanto concerne l’ordinamento statale, il legislatore italiano ha disciplinato la materia con legge del 14 dicembre 2000, n. 376, rubricata come “Tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping”, richiamandosi espressamente alla tutela della salute individuale e collettiva (vedi capitolo 4, paragrafo 1). Ai fini che qui interessano, secondo la norma in commento, “costituiscono doping la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti” (articolo 1, comma 2). E ancora: “Ai fini della presente legge sono equiparate al doping la somministrazione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione di pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche, finalizzate e comunque idonee a modificare i risultati dei controlli sull’uso dei farmaci, delle sostanze e delle pratiche indicati nel comma 2” (articolo 1, comma 3). La nozione di doping è poi integrata dall’individuazione delle sostanze e delle pratiche mediche vietate, effettuata e periodicamente aggiornata dalla Commissione per la Vigilanza e il Controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, e approvate con decreto del ministero della Sanità, d’intesa con il ministro per i Beni e le Attività Culturali. A differenza di quanto previsto dall’Ordinamento Sportivo, per l’integrazione della fattispecie di doping è necessario il dolo specifico. Non è, infatti, sufficiente che il farmaco o la sostanza siano compresi nella lista delle sostanze e metodi proibiti, occorre altresì che la sostanza o il metodo proibito siano in concreto idonei a modificare le prestazioni, ovvero a mascherare in sede di controllo la pratica vietata, e che l’atleta persegua il precipuo scopo di “alterare le prestazioni”. In buona sostanza, mentre nell’Ordinamento Sportivo vige il regime della responsabilità oggettiva, in quello statale non c’è spazio per un’imputazione di tal fatta.


Doping e antidoping

26-10-2011

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Capitolo 1

SHEDA RIASSUNTIVA I L’elemento psicologico dell’illecito di doping ORDINAMENTO STATALE DOLO SPECIFICO ORDINAMENTO SPORTIVO RESPONSABILITÀ OGGETTIVA

SCHEDA RIASSUNTIVA 10 II Cosa s’intende per doping? 1. PRESENZA di sostanze proibite nel campione dell’atleta 2. USO o tentato uso di sostanze e metodi proibiti 3. RIFIUTO di sottoporsi al prelievo dei campioni biologici previa notifica 4. MANCATA presentazione dei whereabonuts ed esecuzione del controllo antidoping 5. MANOMISSIONE in relazione a qualsiasi fase dei controlli antidoping 6. POSSESSO di sostanze e metodi proibiti 7. TRAFFICO di sostanze o metodi proibiti 8. SOMMINISTRAZIONE o tentata somministrazione di sostanze o metodi proibiti a un atleta

10 Vedi Documento Informativo diramato dalla WADA: Anti-Doping, Important Facts and Highlights from WADA’s Athlete Guide – maggio 2010.


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