GĂŠrard Margeon
Le 100 parole del
VINO
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Il vino è la risposta della terra al sole… Margaret Fuller
PREFAZIONE
D
el vino – per coloro a cui interessa – si può discutere all’infinito. E senza quel minimo di curiosità e di informazione, il consumo tende a diventare puramente meccanico. Poiché, se l’appassionato si mostra come il detentore del savoir-vivre, vuol dire che ha capito che il vino è innanzitutto un prodotto del savoir-faire, l’erede di conoscenze ancestrali. L’ambizione di questo libro è quella di iniziare i lettori alla conoscenza di quest’arte che ho osservato durante la mia esperienza di sommelier. A differenza delle guide sul vino e di altre riviste specializzate, quest’opera non ha la pretesa di consigliare l’acquisto di un determinato vino di qualità, ma intende accompagnare il lettore in modo da farlo diventare un appassionato ancora più esperto, e da insegnargli a conoscere e a sviluppare il proprio gusto personale. In 100 parole, l’idea è di consentire a tutti di capire ciò che sta alla base del prodotto finito, e di conseguenza di insegnare a degustare, ossia a conoscere e a saper distinguere l’influenza del terreno, del vitigno, del clima, della vinificazione, del legno, della caraffa o del bicchiere. Ho voluto che questo testo fosse accessibile e, soprattutto, riutilizzabile. Il mio desiderio è anche quello di demolire alcuni preconcetti, spesso ampollosi quanto falsi, che si 5
Le 100 parole del Vino
hanno sul vino, e di precisare il senso di un vocabolario talvolta usato in modo non corretto. Giusto 100 parole, dunque, per invitare ognuno a definire poco a poco il proprio stile di vino, ad accettare di esplorare anche territori meno noti, talvolta meno piacevoli, per affinare la curiosità e degustare in modo semplice la grandissima diversità di cui questa bevanda è da sempre portatrice. L’asterisco* inserito alla destra di una parola indica che quel termine costituisce una voce a sé.
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45 SECONDI È esattamente questa la durata necessaria per elaborare a pieno e in modo definitivo, dopo averlo ingoiato o sputato, il proprio giudizio su un vino. Questa piccola operazione richiede certamente un po’ di esperienza da parte di un professionista del settore. Ma è raccomandata anche a un semplice appassionato che deve fare una scelta prima dell’acquisto. Prendersi 45 secondi di tempo è il modo più sicuro per evitare problemi successivi. Questo intervallo di tempo permette di certificare la grande qualità di un terroir, oppure di confermare un eventuale difetto, come il gusto di tappo*. A differenza delle caudalie* che definiscono il grado di intensità del sapore nella cavità orale, questa tappa di 45 secondi contribuisce a far valutare le componenti del vino. Ci si accorge effettivamente che alcuni difetti nascosti come l’ossidazione, il gusto di tappo, la presenza di un’amarezza persistente, e soprattutto il livello di zuccheri residui, compaiono solo dopo aver deglutito o sputato il vino, proprio nel momento in cui la sensazione vinosa scompare. Si scopre così una pesantezza persistente e collosa dovuta a un diverso tenore di zuccheri residui che accorciano la lunghezza in bocca. In questo modo si coglie meglio anche la specificità legata a nuove vinificazioni. Se non si presta attenzione fino alla fine a tutte le sensazioni, si possono avere dei ripensamenti, a volte quando è troppo tardi. 9
Acerbo
ACERBO È sicuramente il termine che ferisce maggiormente il viticoltore. Innanzitutto, bisogna precisare che il vino acerbo esiste, è ad esempio un fiore all’occhiello della produzione vitivinicola portoghese. Il vinho verde è prodotto a partire dai vitigni locali specifici del nord-est del paese. Il vinho verde esiste sia bianco che rosso. L’appassionato che non sempre ha a sua disposizione il vocabolario necessario per esprimere con precisione le proprie sensazioni, tende a prendere delle scorciatoie nel linguaggio. Il termine «acerbo» fa parte di quelle parole «trite e ritrite» che vengono utilizzate in modo improprio. Se esistono ancora viticoltori che si accollano il rischio di raccogliere le uve non giunte a maturazione* credendo di trasformarle in vino, allora forse il termine «acerbo» rimane adeguato, ma complessivamente i progressi dei mezzi tecnici e la tendenza mondiale verso vini molto zuccherini lasciano oggi poco spazio a questo tipo di eventualità. Non possono essere considerati «acerbi» i vini di quelle regioni tendenzialmente fresche che producono naturalmente tenori di acidità importanti malgrado la maturazione, così come non possono essere considerati tali i vini provenienti da vitigni precisi (bianchi o rossi) che per natura danno sempre una struttura «dinamica» al prodotto finito. Se vale lo stesso ragionamento per lo champagne – pur beneficiando, nella fase finale di affinamento*, dell’aggiunta di un liqueur d’expedition a base di vino di champagne più vecchio in cui viene incorporato lo zucchero di canna, in modo da addolcirne l’aspetto generale (si veda «Vino frizzante») –, è perché o lo champagne viene degustato troppo giovane (lo champagne è un grande vino da invecchiamento) o non ha subito la fermentazione* malolattica (trasformazione degli acidi malici in acidi lattici più teneri grazie all’ausilio di batteri speciali). Lo champagne richiede tempo prima di essere stappato. 10
Acidità
ACIDITÀ L’acidità designa quel gusto fresco prodotto dagli acidi organici naturalmente presenti nell’uva. L’acidità ha un potere importante nella percezione di un vino. Rafforza ed esalta gli aromi apportando al vino quel corpo e quella freschezza che gli consentono un buon invecchiamento*. Anche l’acidità (entro un certo limite) influisce positivamente sul colore, in quanto conferisce una brillantezza profonda e riflessi molto più vivaci. Un eccesso di acidità, al contrario, rischia di rendere il vino troppo nervoso e «sottile». In presenza di un eccesso di acidità al momento della vinificazione*, si può procedere a una «disacidificazione» per fermentazione* malolattica. Anche la mancanza di acidità in un vino, che si riscontra principalmente in zone piene di sole*, può costituire una seccatura per il viticoltore. Questi vini provenienti da regioni perennemente assolate, in cui la temperatura notturna trova grandi difficoltà a regolare gli eccessi diurni, possono necessitare di un’acidificazione. Tale acidificazione non conferirà la stessa sensazione che il palato prova in presenza di un’acidità naturale; infatti inasprisce la sensazione in bocca. In realtà occorre qualche tempo affinché gli acidi aggiunti si possano armonizzare con quelli naturali dell’uva. L’acido autorizzato per questa operazione è l’acido tartarico. È vietato per legge acidificare e dolcificare lo stesso vitigno. D’altronde, questi due interventi sono assolutamente incompatibili, in quanto l’acidificazione costituisce il rimedio per sopperire al clima caldo, mentre la dolcificazione* funge da palliativo alla scarsità del sole. Non è raro vedere certi degustatori professionisti interrogarsi davanti a un vino molto strutturato che presenta una certa acidità, visto che può provenire anche da un millesimo* che ne era sprovvisto; in tal caso possono sospet11
Acqua
tare che sia stato aggiunto acido tartarico. Ciò nonostante, se è vero che l’acidità è parte integrante di un vino, oggi questa tende a essere «truccata» davanti all’insistenza di una clientela internazionale sempre meno abituata a questo sapore. ACQUA L’acqua, che costituisce dal 70 all’85% del peso dell’uva, è indispensabile alla vigna quanto all’uomo; con la differenza che, mentre per l’uomo ha poche controindicazioni, il suo utilizzo è invece più regolamentato nella lavorazione della vigna. Perché parlare di acqua in un volume intitolato Le 100 parole del vino? Perché non può esistere vino senza acqua, ma, pur essendo indispensabile, l’acqua in materia di vino deve essere risparmiata e utilizzata con cognizione di causa. L’acqua è in rapporto permanente e diretto con il vino, ma in molti paesi a vocazione vinicola, come l’Italia e la Francia, è vietato innaffiare la vigna per mantenerne il ciclo vitale. L’acqua versata goccia a goccia è autorizzata solo durante il periodo della piantagione. È vietata per la produzione del frutto se quest’ultimo è destinato a essere vinificato. L’addetto alla piantagione deve, in primo luogo, decidere il luogo in cui piantare, così come scegliere la pianta e il portainnesto (radice*), che devono essere compatibili. Il metodo di coltivazione scelto tiene conto anche della geometria della piantagione. La vite è una pianta molto forte che, in caso di siccità, sa proteggersi da sola a scapito del frutto per assicurarsi la sopravvivenza. Una vigna piantata in riva al fiume o al mare si gioverà dell’igrometria circostante per vincere il caldo, e sarà protetta dal gelo (si veda «Rive»). Infatti, in alcune regioni soggette a quest’ultimo rischio, si abbandona, per quanto possibile, l’utilizzo dei «riscaldatori» molto 12
Affinamento
inquinanti che riscaldano l’aria bruciando ogni genere di combustibile a favore dell’aspersione di un manto di nebbiolina d’acqua, proveniente da un lago naturale o creato a tale scopo, nebbiolina che si va a depositare intorno all’uva, formando un guscio di ghiaccio e proteggendola. L’acqua, molto importante nella viticoltura, lo è anche nella vinificazione. Infatti, i lieviti* che hanno il compito di trasformare l’uva in vino hanno bisogno di una temperatura ideale. Si utilizza l’acqua per riscaldare o raffreddare i tini*, facendola circolare nelle apposite serpentine che li circondano. AFFINAMENTO Questo termine viene impiegato in ambito vitivinicolo per definire la fase che va dalla fine della fermentazione all’imbottigliamento*, fase durante la quale il vino giovane prende il nome di «vino*». L’affinamento raggruppa l’insieme delle attenzioni di cui il vino necessita prima di essere messo sul mercato. Esistono diversi tipi di affinamento in base ai diversi tipi di vino. Ma che si tratti di vini bianchi secchi o morbidi, di vini rossi leggeri o invecchiati, di vini frizzanti o rosati, tutti passeranno per questa tappa indispensabile alla loro formazione. In linea generale, si tratta di purificare il vino dalle impurità attraverso le operazioni di travaso (passaggio da un contenitore a un altro facendo attenzione a far aerare il vino in modo accurato), di iniziare il processo di invecchiamento, di far sviluppare gli aromi, di completare la struttura naturale del vino attraverso l’apporto di tannini* esterni come quelli della barrique di quercia*, ad esempio, oppure ancora di preparare l’assemblaggio* finale di tutti i tini* o di tutte le barrique di uno stesso appezzamento di terreno o di uno stesso lotto. 13
Agricoltura biologica
Affinare un vino richiede tempo, e può aver luogo solo all’interno di un contenitore appropriato. Si utilizzeranno più facilmente i tini in acciaio inox o in cemento per i vini da consumare subito, mentre il legno di quercia sarà maggiormente ricercato per i vini da invecchiamento. La capienza dei contenitori è adatta al potenziale del vino o a ciò che se ne vuole fare. Un vino ricco e denso richiederà un’importante quantità di ossigeno per sviluppare il proprio potenziale, verrà quindi affinato in un piccolo contenitore come la botte. Il vino che non possiede queste qualità sarà trasferito in un grande tino del quale verrà ricercato l’effetto massa. Si utilizza sempre più spesso legno di quercia per sopperire alla mancanza naturale di alcuni vini (si veda «Trucioli»). AGRICOLTURA BIOLOGICA L’Unione Europea attualmente non prevede una normativa sulla vinificazione e quindi sul vino biologico o da agricoltura biologica. Nel nostro paese, inoltre, non esiste un disciplinare di vinificazione* comune elaborato dai vitivinicoltori biologici, come è accaduto in Francia. Attualmente, quindi, in Italia l’unica definizione possibile è quella di “vino ottenuto (o prodotto) da uve da agricoltura biologica”. In generale, l’agricoltura biologica è un tipo di agricoltura che sfrutta la naturale fertilità del suolo favorendola con interventi limitati, promuove la biodiversità ed esclude l’utilizzo di organismi geneticamente modificati. I prodotti che nel nostro paese recano il logo dell’agricoltura biologica sono controllati da organismi accreditati come FederBio* e Demeter Italia*. Si veda anche «Bio».
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Alcol
ALCOL Non esiste vino senza alcol. I vini «a zero gradi» sono dei vini classici a cui è stato tolto l’alcol, ma un vino a zero gradazione alcolica non ha più diritto di chiamarsi «vino». Il viticoltore, l’enologo* o il sommelier* parlano di alcol acquisito e di alcol «potenziale» definito anche grado potenziale. L’alcol è il risultato della fermentazione*. Le uve mature sono costituite da più di 200 g di zuccheri naturali (non più di 220) che costituiscono un potenziale alcolico non ancora trasformato: si tratta del grado potenziale. Questi zuccheri trasformati in alcol tramite i lieviti* diventeranno alcol acquisito, quello non trasformato che rimane nel vino è l’alcol potenziale. Un vino che si definisce «secco*» non lo è mai in assoluto: può oscillare, in base alla regione di provenienza, tra 1 e 4 g di zuccheri residui in seguito alla fermentazione. L’uso dell’espressione alcol potenziale risulta valido soprattutto per i vini naturalmente ricchi di zuccheri residui, come i vini dolci, morbidi* o liquorosi. Per la vendita del Sauternes, bisogna aspettare che la gradazione potenziale minima sia di 20. Poiché occorrono 17 g circa di zucchero per ottenere 1° di alcol (per il vino bianco; 18 g per il rosso), questo vuol dire che i grappoli dovranno raggiungere un minimo di 340/350 g di zucchero naturale. Molti vini detti «secchi» che presentano 13 gradi di alcol acquisito appaiono «alcolici». Questo squilibrio è spesso conseguenza di un metodo di coltivazione sbagliato, o più semplicemente di errori durante la vinificazione*. Tuttavia alcuni millesimi* sono naturalmente ricchi di zuccheri e, perciò, «alcolici». Si noti che un vino dalla sensazione alcolica resta tale per tutta la sua esistenza. Il trattamento di questi vini necessita di attenzioni particolari. Si dovrà evitare la scaraffatura* in modo sistematico e si dovrà fare attenzione alla 15
Amarezza
temperatura che non dovrà superare i 18 °C per i rossi, né scendere al di sotto dei 10 per i bianchi. I vini dolci naturali, come il Moscato o il Brachetto, sono ottenuti con l’aggiunta di alcol neutro o di origine vitivinicola nel succo in fermentazione – in modo da anestetizzare i lieviti e conservare una certa quantità di zuccheri naturali – e si presentano talvolta alcolici quando sono giovani, poiché l’alcol naturale prodotto dalla fermentazione parziale non si è ancora unito del tutto all’alcol aggiunto. È questo il caso di alcuni vini provenienti dal sud della Francia come il Porto, il Banyuls o il Maury. Tali vini richiedono un po’ di pazienza prima di essere degustati. AMAREZZA A differenza dell’astringenza* che è una sensazione, l’amarezza è un sapore così come l’acidità*, il dolce e il salato. Alcune imprecisioni durante la vinificazione* possono apportare delle note amare dovute a malattie batteriche. Ma l’amarezza, quando non è dovuta a un difetto di coltivazione o di vinificazione, costituisce un sapore che bisogna imparare nuovamente ad apprezzare, poiché il suo ruolo non è trascurabile in relazione alla sensazione dissetante che può procurare. Sapore proveniente direttamente dai tannini* delle uve o dal legno delle botti*, essa costituisce una caratteristica importante dei vini, a patto di essere proporzionata, visto che un’accentuata sensazione vegetale guasterebbe in modo definitivo i sapori del terroir* e del frutto. La stessa sensazione si ha quando il vino sosta in una botte costruita con legno non sufficientemente essiccato. La ricerca di una maturazione* assoluta, che molto spesso si traduce in una sovramaturazione, ha fatto scomparire quasi del tutto le note amare. Ma sarebbe un peccato perdere del tutto un sapore così naturale. 16
Apogeo
APOGEO Per un appassionato di vino, la domanda più angosciante è: «Quando sarà pronto da bere il mio vino?». Il purista non si ritiene mai soddisfatto su questo punto: è sempre un po’ presto o un po’ tardi. Una persona ragionevole sa bene che capita piuttosto raramente di degustare un vino esattamente nel momento della sua assoluta pienezza. Le controetichette* apposte sulla parte posteriore della bottiglia dovrebbero indicare prima di tutto una stima del periodo migliore entro il quale consumare il vino. Purtroppo non è sempre così, ed esse preferiscono inondarci di frasi inutili e di storie improbabili. Allora, quand’è che un vino è buono? Innanzitutto quando il degustatore prova piacere*. Nel caso in cui un vino sia troppo giovane – come spesso accade –, esiste un modo per renderlo più piacevole. Lo si può preparare in anticipo facendo arieggiare il vino in bottiglia, o più semplicemente utilizzando dei bicchieri* di dimensioni importanti e pazientare qualche minuto, facendo attenzione a non servirlo troppo fresco. Una cosa è certa: è preferibile degustare* un vino molto giovane anziché troppo vecchio. Se l’apogeo è il momento più atteso nell’evoluzione di un vino, esso è altrettanto inafferrabile. Non siamo avvisati né della data precisa né della durata. L’apogeo può essere temporaneo o permanente. Generalmente l’apogeo è di breve durata per i vini che presentano una struttura debole, e può persistere tre, quattro, cinque anni o più per i vini d’eccezione. Tutti i vini, che siano bianchi*, rossi* o frizzanti, raggiungono il loro stato ottimale in un momento preciso, momento che sarà di gran lunga influenzato dalle condizioni di conservazione. Conservare un vino in condizioni ottimali per l’invecchiamento* garantisce allo stesso di raggiungere l’apogeo. I vini “viaggiatori”, quelli cioè che devono prendere l’aereo o la nave per arrivare nel luogo di consumazione, subiscono una 17
Assemblaggio
degradazione irreparabile, più o meno evidente in funzione della loro struttura. Un vino potente e complesso non sempre viaggia meglio di un vino leggero e discreto. L’appassionato competente all’altro capo del mondo sa che non troverà mai dalle sue parti lo stesso vino della cantina. ASSEMBLAGGIO L’assemblaggio consiste nel «mescolare» all’interno di una stessa botte* vini provenienti da vitigni* diversi, o vini provenienti dagli stessi appezzamenti di terreno, o vini con diverse denominazioni provenienti da regioni o paesi diversi. L’assemblaggio di più raccolti resta la specialità di quasi tutti gli champagne, senza tuttavia dimenticare una certa produzione di vini rossi internazionali che, pur essendo piuttosto accessibili, non sono meno interessanti. L’assemblaggio è assolutamente legale. Non si tratta di un aggiramento della legge né di una pratica fraudolenta. L’assemblaggio di vitigni diversi viene praticato dappertutto nel mondo. Una buona parte dei più grandi vini del pianeta sono frutto di assemblaggio. Il Bordeaux è forse l’archetipo internazionale del vino d’assemblaggio tratto da grandi vitigni e grandi terroirs. In Italia, ad esempio, tra i vini rossi prodotti con la tecnica dell’assemblaggio delle uve possiamo citare il Tignanello Toscana IGT, formato dall’80% di Sangiovese, dal 15% di Cabernet Sauvignon e dal 5% di Cabernet Franc. Questa pratica non si estende solo al vino rosso: molti grandi vini bianchi derivano dall’assemblaggio di diversi vitigni come l’Assisi DOC Bianco, composto dal Trebbiano (in percentuale variabile dal 50 al 70%) e dal Grechetto (in percentuale variabile dal 10 al 30%). Lo spumante Franciacorta DOCG è composto da Chardonnay (al 75%), Pinot Bianco (al 10%) e da Pinot Nero (al 15%). La maggioranza dei grandi vini effervescenti del pia18
Astringenza
neta, champagne in testa, fanno ricorso all’assemblaggio di uve nere e bianche per ottenere il loro colore rosato. Sono poche le regioni viticole che non possono, o non vogliono, ricorrere all’assemblaggio di diversi vitigni. Si trovano perlopiù nel nord dell’Europa vitivinicola. È il caso dell’Alsazia, di alcuni vigneti tedeschi o austriaci. L’emisfero Sud non è da meno, soprattutto con la Nuova Zelanda. La Borgogna è un’eccezione mondiale, in quanto deve i suoi vini bianchi e rossi all’utilizzo di due vitigni principali: lo Chardonnay per i vini bianchi e il Pinot Noir per i vini rossi, senza alcuna possibilità di assemblaggio con altri vitigni. L’immenso vantaggio dell’assemblaggio è quello di poter attenuare la debolezza di un vitigno causata da avversità climatiche, combinandolo alla ricchezza di un altro. L’assemblaggio permette così di «garantire» la qualità di alcuni millesimi. Ma in nome di questa garanzia si corre il rischio di una omologazione dei vini. ASTRINGENZA L’astringenza, spesso considerata oggigiorno come un difetto, è soprattutto espressione di alcuni vini giovani. Viene trasmessa dai tannini* e si attenua o scompare del tutto con il tempo. Si manifesta con una sensazione di secchezza sulla lingua e sulle gengive insieme alla «contrazione» delle mucose. L’astringenza non è un sapore nel senso vero e proprio del termine, bensì una sensazione. L’appassionato che oggi ricerca la comodità delle vinificazioni moderne, che tendono a conferire un’ossatura rotonda e gustosa, si trova piuttosto a disagio con la sensazione alquanto scomoda dell’astringenza prodotta dai tannini di particolari vitigni* quali il Cabernet, il Nebbiolo o il Sagrantino. Non si deve fare confusione tra l’astringenza trasmessa 19
Austerità
da vitigni naturalmente tannici e quella apportata da una raccolta non molto matura. A differenza dell’acidità*, che è un sapore percettibile per tutta la durata del vino, l’astringenza in un vino prodotto con uve perfettamente mature in linea di massima è temporanea: i vini con una composizione ricca e complessa vedono diminuire fortemente il proprio livello di astringenza con l’invecchiamento*. L’astringenza è dunque tanto più ricercata quanto necessaria alla buona evoluzione di alcuni grandi vini* nostrani prodotti a partire dal vitigno del Sangiovese. Attenzione a non confondere l’astringenza con l’amarezza*. AUSTERITÀ Né un vero difetto, in quanto probabilmente passeggera, né una qualità in sé, visto che potrebbe essere lo schermo dietro cui si nasconde una vera raffinatezza, l’austerità di un vino non gode di una grande stima. Diversi fattori distinti possono spiegare tale austerità. Può essere semplicemente la firma volontaria di un viticoltore legato ad alcune pratiche di coltivazione e vinificazione*. L’intera vendemmia, ad esempio, che consente di incorporare l’uva insieme al raspo durante la macerazione, blocca l’accesso istantaneo al vino. Sebbene talvolta sia l’espressione di una tradizione, l’austerità di un vino è più spesso legata a una bassa maturazione* delle uve, la quale apporta una buona dose di tannini* alle note vegetali. Un vino dall’aspetto austero non lo sarà obbligatoriamente per tutto il corso della sua vita, ma rischia di essere un vino «stretto» da giovane. I più grandi vini invecchiati possiedono naturalmente questo rigore, percepibili all’olfatto e al gusto. Il che può anche tradursi in una consistenza talmente stretta che la sensazione in bocca si potrà definire «ruvida». 20
Bicchiere
L’austerità può essere presente per tutta la durata del vino. Se si vuole evitare un vino di questo tipo, basta porre le domande giuste al proprio cantiniere o viticoltore. BICCHIERE Oggetto comune, spesso decorativo, il bicchiere è l’ultimo attore in grado di rivelare un vino. Se non è quello giusto, se è troppo grande o troppo striminzito, può avere un effetto negativo prima sulla percezione, poi sulla struttura di un vino. Al contrario, la percezione – e il piacere – è di dieci volte più grande se si usa il bicchiere adatto allo stile del vino che si vuole servire. L’appassionato abituato a gustare i vini prima di acquistarli deve fare attenzione a usare lo stesso bicchiere che metterà poi a tavola. In caso contrario, il rischio è di non ritrovare, quando la bottiglia verrà aperta a casa, le stesse sensazioni percepite durante la degustazione precedente all’acquisto. Generalmente il professionista utilizza bicchieri speciali, di forma più o meno complessa. Se questi si rivelano scomodi a tavola, non vanno bene per evidenziare le qualità così come i difetti del vino. Quando un enologo, un proprietario o un acquirente vuole assicurarsi il massimo potenziale da un vino, utilizza bicchieri che gli consentano di «tritare» il vino, di metterne a nudo la struttura. Il bicchiere del consumatore è meno tecnico e spesso più estetico. Attenzione a che questo fattore estetico non sia da ostacolo alla degustazione. Le marche prestigiose di cristallo propongono anche bicchieri di rara bellezza, ma che non sono sempre adatti a valorizzare i vini di oggi, né a soddisfare i desideri del consumatore: come si potrà sentire il vino, prima di gustarlo, in bicchieri troppo spessi o troppo pesanti, e soprattutto non sufficientemente curvi per raccogliere gli aromi? Al contrario, altre marche di21
Bio
spongono di una gamma tale che bisognerebbe utilizzare un bicchiere particolare per ogni tipo di vino. Senza scendere nei particolari, l’appassionato competente deve possedere almeno un bicchiere di forma oblunga, tipo oliva, con una capacità di 20-25 cl, da sottile a molto sottile (definito bicchiere universale). Verrà utilizzato sia per il vino bianco che per il vino rosso, sia per i vini giovani che per quelli vecchi, senza dimenticare i vini frizzanti. Ci si può accontentare di quest’unico bicchiere. Tuttavia, alcuni nettari richiedono talvolta una capacità superiore per esprimere tutta la loro misura. Altri due tipi di bicchieri – con una capacità compresa tra i 40 e i 70 cl – sono sufficienti a rispondere alle esigenze di tali vini: uno, abbastanza largo ma anche curvato nella parte superiore, che verrà utilizzato per i grandi vini bianchi e i vini rossi poco tannici; l’altro, dello stesso volume, ma di forma allungata (tipo oliva) che verrà usato per i grandi vini rossi potenti e tannici. I bicchieri possono essere di cristallo per l’estrema brillantezza e per l’effetto setoso al tatto, o semplicemente di una buona qualità di vetro, ma indipendentemente dal materiale devono essere sempre molto sottili. È garanzia di leggerezza e di un contatto più piacevole alle labbra. Bisognerà fare attenzione a lavarli sotto l’acqua corrente, cercando di evitare i detersivi. BIO Sebbene sia difficile addentrarsi nella fitta foresta delle certificazioni «bio», al giorno d’oggi è necessario avere una conoscenza almeno minima dei vari loghi che troviamo sempre più spesso sulle etichette*. Questi loghi garantiscono il rispetto di un capitolato di oneri e di particolari procedure regolamentate. Ma bisogna subito sottolineare che anche alcuni dei grandi pionieri di queste pratiche ri22
Bio
spettose, coloro che partecipano a questi esperimenti da più di venticinque anni, non sempre li espongono, preferendo non disperdersi tra la folla di coloro che «fanno prodotti bio» da poco e con capacità discutibili. I principali loghi che si incontrano sulle etichette italiane sono «FederBio*», «Demeter Italia*» e «Ecor». Provare un vino «bio» non lascia nessuno indifferente. Le prime reazioni sono nette, positive o negative che siano. Non essendo ancora preparate a decifrare questi vini, le nostre papille ci trasmettono subito una sensazione di sconcerto e inconsapevolezza. I vini «bio», se ben fatti, non rispettano i preliminari tradizionali dei vini classici. Il colore* può rivelarsi poco preciso o poco cristallino, conferendo una densità meno importante, soprattutto ai rossi. I bianchi risultano un po’ più intensi grazie ai toni gialli e dorati. Ma è soprattutto la tappa olfattiva e gustativa a stravolgere i criteri abituali. Questi vini esprimono naturalmente una maturazione* molto diversa, più gustosa e apparentemente più digeribile. Non si impongono con la forza in base alla ricchezza zuccherina o alcolica, bensì si presentano in un equilibrio inatteso di sapori e densità. Il loro profilo non è né piccante né pastoso, vanno controcorrente rispetto a tutti quei profili moderni che con la loro linearità vogliono sembrare «rassicuranti». L’aspetto di un vino rosso «bio» è deludente per la sua scarsità in fatto di colori, dandoci l’idea di un vino povero e leggero. I bianchi, al contrario, si vestono di colori più intensi e profondi, equiparabili alle sostanze ossidanti presenti in un vino classico. Se all’olfatto i bianchi restituiscono un aroma pieno e fruttato*, i rossi abbandonano sempre più spesso le note classiche dei frutti rossi in favore di aromi floreali. La gradazione alcolica, spesso inferiore alla media, è dovuta esclusivamente all’azione dei lieviti* naturali, visto che non sono autorizzati lieviti artificiali. Ma la sensazione più sorprendente è data dalla minera23
Boisé
lità*. A un appassionato non competente, la sensazione minerale è sconosciuta e per questo si traduce con quella di salato che si proverebbe prendendo una pietra e mettendosela in bocca. Talvolta si possono riscontrare la scarsa lunghezza in bocca e le sensazioni gustative un po’ corte. Un vino «bio» diventa, perciò, facilmente riconoscibile al gusto. L’Italia si classifica al primo posto per la produzione di vino biologico, con 34.000 ettari di superficie. Seguono la Francia (19.000 ettari), la Spagna (16.000 ettari), la Germania (2800 ettari) e l’Austria (2500 ettari). Acquistare e degustare un vino «bio» resta ancora, comunque, una scelta volontariamente alternativa. BOISÉ La maggior parte dei grandi vini* rossi e buona parte dei vini* bianchi viene conservata in botti (barrique, fusti, barili) di legno di quercia*. La Francia è rinomata per la produzione di botti di legno di quercia per l’affinamento* dei grandi vini. Quasi tutte le botti fabbricate nel mondo sono in quercia. Durante la fabbricazione della botte, le assi (doghe) che la compongono sono sottoposte a fuoco diretto per evitare che si rompano quando vengono piegate. Segue una breve tappa di bruciatura (detta di riscaldamento) per la rifinitura. È questo riscaldamento più o meno intenso della superficie interna a dare al vino quel sapore molto piacevole, quel «gusto di vaniglia», di pane grigliato o tostato. Ma è proprio in questa fase che tutti gli eccessi sono consentiti. Quando il vino acquista il sapore del legno, diventando boisé, la sensazione generale non ha più valore oggettivo. In base alle regioni, ai paesi, alle abitudini e soprattutto ai bisogni, l’influenza del legno occuperà di volta in volta uno spazio diverso. Se il vino è naturalmente bello ed equi24
Bottaio
librato*, se è fruttato* oppure vigoroso e robusto, se è portatore del messaggio profondo del terroir*, affinato* in botti di grandi qualità o da grandi bottai*, il legno non farà altro che apportargli beneficio, rendendolo ancora più complesso. Al contrario, se il suo naturale potenziale non gli permette di raggiungere tale complessità perché magari proviene da uve non molto mature o troppo diluite, applicare al vino lo stesso trattamento con il legno sarebbe inutile. Sono molti i vini volontariamente o involontariamente troppo boisé. Vengono prodotti tanto più facilmente quanto più il viticoltore riesca a versare, in piena legalità, dei trucioli di legno direttamente nel tino, evitando così l’oneroso investimento rappresentato da un parco di barrique. Questa procedura, del tutto regolamentare, permette alle regioni vinicole «penalizzate» di dare al proprio vino un profilo sofisticato a basso costo quando in realtà, tenendo conto del prezzo di una barrique, il vero vino boisé è molto caro da produrre. Un appassionato dovrebbe imparare a capire l’influenza che può avere l’affinamento sulla degustazione* (stesso discorso per il gusto di tappo*), onde evitare spiacevoli sorprese dopo alcuni anni di invecchiamento*. Non resta che affinare il palato! BOTTAIO Questa professione risale all’epoca gallica. All’inizio si chiamava carpentiere della botte, ed è solo nel XVIII secolo che è apparso il termine «bottaio». Si è portati a pensare che solo l’origine dei legni (in generale quello di quercia*) influisca sul sapore di un vino affinato nel fusto o in barrique, ignorando così la firma del maestro, con il suo savoir-faire e la sua destrezza. Prendete cinque bottai di diversa provenienza, chiedetegli di lavorare sullo stesso tipo di legno (stessa quercia della 25