Grey's Anatomy

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«Serial Cult»

Grey’s Anatomy


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Collana originale diretta da Jean-Baptiste Jeangène Vilmer e Claire Sécail Edizioni italiane dei volumi curate da Alessio Billi

Trasmesse sugli schermi televisivi o commercializzate in DVD, le serie televisive prodotte negli ultimi tempi hanno conosciuto un successo di critica e di pubblico senza precedenti, giustificando quell’idea di quality television che caratterizza il rinnovamento dei programmi televisivi americani dopo gli anni Ottanta. Forgiando «comunità» specifiche di telespettatori, esse generano un proprio universo culturale e sono in grado di esportare da un continente all’altro i loro valori fondanti. La presente collana si pone come obiettivo quello di analizzare tali oggetti culturali, approfondire le ragioni della loro prosperità e suggerirne nuove chiavi interpretative.


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Laurent Juillier e Barbara Laborde

Grey’s Anatomy Dal cuore alla care

puf

GREMESE


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Titolo originale: Grey’s Anatomy – Du cœur au care © Presses Universitaires de France, 2012 Traduzione dal francese: Rosalita Leghissa Stampa: Grafiche del Liri – Isola del Liri ( Fr) 2013 © GREMESE New Books s.r.l. – Roma www.gremese.com Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualunque modo e con qualunque mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978-88-8440-766-5


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INDICE Prologo. Una fiction votiva . . . . . . . . .

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1. Tutto ciò che ti capita mi riguarda . . . . Le etiche della care: un rapido esame . . Un’antropologia della vulnerabilità . . .

19 22 29

2. La cura degli altri è un fatto di genere? . Sympathy for the Devil . . . . . . . . . . Alla ricerca della superwoman . . . . . . Uomini-canguro e uomini-sandwich . .

39 42 51 61

3. Lo sfondo della forma . . . . . . . . . Life is beautiful . . . . . . . . . . . . . . Scenografie: mettere in primo piano lo sfondo . . . . . . . . . . . . . . . . . «Che consigli gli dareste per aiutarlo?»

. .

69 73

. .

80 84

. . . . . . . . .

93 98 105

. . .

111

Epilogo. All you need is love . . . . . . . .

125

Elenco dei personaggi principali . . . . . .

133

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . .

137

Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . .

140

4. Come far durare a lungo una serie? Il bambino, agente della variazione Una femminilizzazione della care . Cambiare un po’, molto, moltissimo, per niente . . . . . . . . . . . . . . .


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«Io tengo a te, io tengo a te, io tengo a te, io tengo a te.» (Izzie a Karev; S5E5)


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GREY’S ANATOMY Carta d’identità Titolo originale: Grey’s Anatomy Paese di origine: Stati Uniti Ideazione: Shonda Rhimes Prima messa in onda: ABC, 2005 Prima messa in onda in Italia : Fox Life, 2005 Numero delle stagioni: 9 (in corso) Diffusione nel paese d’origine: 2005 – … Genere: serie medical/commedia romantica Cast: Ellen Pompeo (Meredith Grey), Sandra Oh (Cristina Yang), Katherine Heigl (Isobel “Izzie” Stevens), Justin Chambers (Alex Karev), T. R. Knight (George O’Malley), Chandra Wilson (Miranda Bailey), James Pickens Jr. (Richard Webber), Kate Walsh (Addison Montgomery), Sara Ramirez (Calliope “Callie” Torres), Eric Dane (Mark Sloan), ecc. Sinossi: Grey’s Anatomy mette in scena le vicende quotidiane di un’équipe medica all’interno di un ospedale di Seattle. La serie – che ruota attorno a Meredith, specializzanda di chirurgia – segue le prestazioni mediche dei titolari e dei tirocinanti, i loro dubbi e le loro esitazioni quando curano i pazienti, ma anche le sconfitte che li pongono davanti alla morte. A questa complessa attività professionale si mescolano le incertezze della vita intima e sentimentale, che creano fra i vari personaggi legami personali e professionali.


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Prologo UNA FICTION VOTIVA


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Grey’s Anatomy, tre le serie televisive più viste anche in Italia, non appartiene semplicemente al genere medical. Fa parte anche delle fiction di formazione. Persegue, come altre serie americane di successo, il progetto che i romantici tedeschi indicavano col nome di Bildungsroman, il romanzo di formazione che rappresentava un protagonista desideroso di imparare e di migliorarsi, e che si rivolgeva a un lettore nella medesima disposizione d’animo. Le fiction non hanno avuto sempre questa ambizione; secondo l’ormai classica analisi di Mikhaïl Bakhtine, il Bildungsroman ha fatto la propria comparsa nella storia della letteratura al termine di un lungo processo di maturazione, a partire da Rabelais fino a Goethe, passando per Rousseau1. Agli scrittori erano stati necessari secoli per abbandonare il protagonista sovrumano che viveva incre-

1

M. Bakhtine [1984].

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dibili peripezie in un mondo immobile e stereotipato, a favore di personaggi normali, alle prese con avvenimenti del quotidiano in un mondo in evoluzione. E ai lettori erano stati necessari secoli per accettare l’idea di percorrere un tratto di strada con protagonisti che venivano modificati dalle loro esperienze, e non più con eroi dotati di virtù predeterminate che le circostanze dovevano solo verificare. Questo non significa che le precedenti forme di fiction narrativa siano ormai scomparse: gli avvenimenti fantastici che piovono sul capo di Superman o di Harry Potter continuano a confermare come avessimo ragione a pensarli programmati fin dalla nascita per essere sbalorditivi. Ma ormai gli eroi che hanno esitazioni, si ingannano, ricevono una bella lezione, rinsaviscono e migliorano, coabitano con i loro omologhi sovrumani. Certamente si può contestare questa scorciatoia che passa direttamente dal Bildungsroman alle serie televisive americane. Fra i due estremi si insinua il cinema, soprattutto con le «lezioni di vita» (life lessons) dell’età d’oro hollywoodiana 2 . Forse non è un caso che questi film siano stati concepiti nel «Nuovo Mondo», da persone di immigrazione più o meno recente. La loro stessa riuscita sociale le confermava nell’idea che è possibile cambiare, senza dunque che i condizionamenti che pesano su di noi alla nascita ci vincolino a un per-

2

L. Jullier & J.-M. Leveratto [2008].

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corso predeterminato. Billy Wilder, per esempio, uno dei più famosi fornitori di life lessons del periodo d’oro del cinema, aveva cominciato come fattorino e taxi boy nella Berlino degli anni Venti. Per motivi complessi, nel corso degli anni Sessanta, la fiaccola delle narrazioni scritte con questo genere di orientamento è passata dal cinema alla televisione. Telefilm, telenovele, saghe, soap opere e serie hanno ripreso in proprio la struttura e le caratteristiche del romanzo di formazione e sono loro, ora, a indirizzare agli spettatori esperimenti mentali paragonabili a quelli di cui si serve la filosofia morale. Attraverso le avventure dei loro personaggi propongono possibili risposte alla domanda: «Che genere di persona vorrei essere?», declinazione meno tecnica e più accessibile al non-professionista rispetto a «Come devo vivere?». Proprio come i romanzi, «ci parlano, ci invitano a immaginare relazioni possibili fra le nostre situazioni e quelle dei protagonisti» e ci sussurrano all’orecchio che «buona parte di ciò che è moralmente rilevante è generalizzabile: ciò che noi apprendiamo dalla situazione di un certo personaggio ci aiuta a comprendere la nostra»3. Creata nel 2003 da Shonda Rhimes, una sceneggiatrice nera americana allora trentatreenne, la serie di Grey’s Anatomy ci propone dunque di trarre dagli episodi che la compongono un modello

3

M. Nussbaum [2010], pag. 147.

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di condotta applicabile nella vita di ogni giorno. Dalle inquadrature di Seattle, ripresa dall’elicottero, alla voce fuori campo che annuncia il tema della settimana sotto forma di «morale della storia», passando attraverso canzoni pop i cui testi commentano le situazioni, tutto ci esorta a ricondurre a noi stessi ciò che succede ai personaggi, soprattutto per ciò che riguarda il loro modo di comportarsi di fronte alle preoccupazioni quotidiane, al di là della specificità dei loro problemi professionali e del contesto americano. La caratteristica di fiction di formazione emerge con tutta evidenza: i protagonisti sono specializzandi di chirurgia; arrivano là, al Seattle Grace Hospital, per formarsi. Non che i loro colleghi anziani siano già formati una volta per tutte: i professori che insegnano l’arte della medicina sono inclini, perlomeno quanto i protagonisti, a modificarsi sotto l’effetto delle esperienze che vivono e che mettono in crisi le loro certezze. Oltre a contribuire alla nostra formazione, Grey’s cerca anche di trasformarci. Sarebbe fuori luogo parlare di «militanza e propaganda», le anime dannate della comunicazione. Piuttosto, la tentazione potrebbe essere quella di tirare in ballo valori «terapeutici», come si fa in filosofia morale per definire il progetto di individuare il tipo di persona che si vorrebbe essere4, tanto più che la

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M. Jouan [2008], pag. 8.

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storia si svolge in un contesto medico, ma forse è ancora un po’ eccessivo. Quanto a «prescrizione», per riprendere un termine che Richard Hare riservava a certi romanzi, la scelta sarebbe ancora esagerata, nonostante le connotazioni mediche. Ci troviamo piuttosto di fronte a una fiction votiva, un racconto narrativo che esprime il voto di migliorarci puntando sulle virtù performative del linguaggio audiovisivo, vale a dire sulla sua capacità di trasformare il dire mostrandolo nel fare. Un racconto che induce semplicemente nel destinatario della narrazione il desiderio di compiere a propria volta le azioni che riescono ai personaggi o, se è troppo tardi per intervenire, gli fa rileggere sotto una nuova luce ciò che ha appena vissuto. I romantici tedeschi avevano considerato anche questa possibilità, e non avevano limitato la formazione all’apprendimento. È famoso il brano in cui Rainer Maria Rilke, contemplando una statua dell’antica Grecia, la «sente» in qualche modo dirgli: «Devi cambiar vita». Le pene d’amore di Derek e Meredith possono avere lo stesso impatto di un efebo scolpito da Policleto? Gli spettatori di Grey’s Anatomy possiedono la sensibilità, l’attitudine a entrare nello spirito dell’opera e anche la disponibilità al possibile cambiamento di sé che manifestava R. M. Rilke? Ebbene sì, molti di loro sì. Questa è comunque l’opinione del Time che, il 3 maggio 2007, classificava Shonda Rhimes fra i «100 uomini e donne il cui talento o esempio morale trasforma il mondo». 15


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E dunque Grey’s Anatomy è una serie medica, ma tutti i suoi spettatori non sono medici, né malati gravi, né soggetti alla Schadenfreude, quel piacere crudele che si origina nel contemplare le sofferenze altrui (perché nel Seattle Grace Hospital si soffre, e molto). Vista da lontano, Grey’s non è che una serie americana fra tante altre, poco celebrata dalla critica e poco studiata in ambiente accademico (mentre esistono centinaia di testi eruditi su Star Trek, Dallas, Sex and the City, Buffy, X-Files o Lost). Se si è guadagnata la sua popolarità al di fuori delle celebrazioni accademiche forse è perché, sotto le spoglie dell’appartenenza a un genere banale come quello delle serie medico-sentimentali, tratta di una questione importante che si ripresenta in modo ossessivo in tutte le puntate e coinvolge contemporaneamente sia il versante medico che quello sentimentale delle vicende: l’attenzione per gli altri. Certo, anche altre possono essere le ragioni per questo successo, l’eccellenza degli attori prima di tutto, ma la ragione che ci ha spinto a dedicarle il presente lavoro è la posizione privilegiata, votiva nel vero senso della parola, che la serie attribuisce alla problematica appena accennata. Per far ricorso a formule che grandi intellettuali hanno riservato a grandi opere ben più legittimate, si potrebbe dire che Grey’s Anatomy «[ci] spalanca un mondo» (P. Ricœur), in cui la sollecitudine è fonte di equilibrio e «mi fa incontrare una verità» che mi si presenta come una «rivelazione» (H.-G. Gardamer), 16


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quella dell’attenzione agli altri come forma di realizzazione di sé. Per inserire nel novero delle priorità, presso gli spettatori assidui, la determinazione a prendersi cura degli altri, Grey’s fa ricorso in primo luogo alla vocazione tradizionale del melodramma a farci «imparare a cadere»5. In questo genere di opere, in effetti, il peggio può sempre accadere, non per spaventarci o per deprimerci, ma per convincerci ad attribuire maggiore importanza ai momenti felici: finora li abbiamo sciupati perché non brillavano di luci sfolgoranti, ma non commetteremo più l’errore sapendo cosa ci può cadere addosso da un momento all’altro. Il melodramma, come la poesia tragica, mostra anche che «ciò che capita per caso alle persone può assumere un’importanza notevole per la qualità morale delle loro esistenze» e racconta storie in cui «eventi infausti si abbattono su individui buoni, ma non invulnerabili». Un aspetto, sia ben chiaro, spesso assai criticato in tali storie, per opporvi piuttosto la convinzione secondo la quale «nessun male può colpire un uomo che fa il bene, [perché] la sola cosa veramente importante è la sua virtù», convinzione la quale porta a pensare che «non si può credere che racconti di sconvolgimento del desti-

5

Learning to Fall è il titolo di una novella di Ann Beattie pubblicata nel 1979 e studiata da M. Nussbaum, op. cit., pag. 406-419.

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no rivestano un’importanza etica profonda»6. Ma Grey’s, come molte altre storie ben più rinomate e prestigiose prima di lei, si ostina a dimostrare il contrario. Resta da vedere come lo fa, e questo è appunto ciò che questo libro si propone di approfondire. Nella prima metà ci spingeremo al cuore del voto espresso dalla serie, la care (cap. 1) e i problemi di genere a esso collegati (cap. 2). Nella seconda parte vedremo quali mezzi formali la serie utilizza per far crescere dentro di noi il desiderio di fare ciò che i suoi protagonisti fanno in materia di attenzione per gli altri (cap. 3), malgrado tutti i problemi di usura cui vanno incontro le serie televisive di lunga durata (cap. 4).

6

M. Nussbaum, op. cit., pag. 35-36, allusione all’Apologia di Socrate di Platone.

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1 TUTTO CIÒ CHE TI CAPITA MI RIGUARDA


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L’attenzione verso gli altri come realizzazione di sé, niente di veramente nuovo, si dirà. Un gran numero di fiction, per non parlare di codici religiosi o di diritto, fa già appello alla cura degli altri, dall’esortazione ad amarsi l’un l’altro al reato di omissione di soccorso a una persona in pericolo, quando addirittura non prescrivono un ordo amoris. Esistono anche serie televisive americane degli anni Sessanta scopertamente costruite come fiction di formazione (Io e i miei tre figli, Tre nipoti e un maggiordomo, ecc.) che raccomandano appunto le virtù di tale sollecitudine per il prossimo. Ma Grey’s Anatomy, oltre a farlo in modo molto più sistematico, ha questo di particolare, il fatto cioè di coincidere con lo sviluppo di una certa branca della filosofia morale alla svolta del terzo millennio, quella delle «etiche della care». Tale diffusione ha inizio con i lavori di Carol Gilligan, soprattutto con la sua critica femminista alla visione iperrazionalista dello sviluppo del senso morale nel bambino che, sino ad allora, dominava nel 21


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campo della psicologia1. Si tratta solo di annotare una coincidenza: lo scopo qui non è quello di fare della filmosophy, come dicono oltreoceano, vale a dire spiegare determinate concezioni analizzando dei film e, come se non bastasse, giustificare le scelte artistiche di una serie televisiva mostrando la loro riconducibilità alla logica di una dottrina. Queste strade, già ampiamente percorse da altri, sembrano poco feconde, posto che le filosofie non hanno bisogno dei film per accrescere la credibilità delle loro teorie, né gli sceneggiatori hollywoodiani hanno bisogno di dottrine per scrivere delle storie. Avanziamo semplicemente l’ipotesi che una certa idea si sviluppi nello spazio pubblico contemporaneamente sotto forma di concezione da un lato e di narrazione audiovisiva dall’altro. Prima di spingerci oltre, ci sembra necessario tracciare a grandi linee i presupposti teorici di questa branca delle etiche della care, poiché, da quando essa ha fatto la sua comparsa nello spazio della discussione pubblica, i media raramente le hanno reso giustizia.

LE ETICHE DELLA CARE: UN RAPIDO ESAME

Tanto per cominciare, la traduzione di care non è delle più facili. «Cura degli altri» non rende per-

1

C. Gilligan [2008].

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fettamente il significato dell’originale anglosassone, che resta in realtà «indissociabile da tutto un cluster di termini costituenti un gioco linguistico particolare: attenzione, cura, importanza, significato, rassicurazione»2. Il monologo di Izzie, posto come esergo di questo libro, comincia con «I care about you». Noi l’abbiamo tradotto con «Io tengo a te». Ma sarebbero andate bene anche altre frasi, ogni volta esprimenti in modo leggermente diverso la dichiarazione: «Puoi contare su di me… Sei importante per me… Mi prendo cura di te… Sono qui per te… Sono qui se hai bisogno di me… Conti molto per me… Tutto quello che ti capita mi riguarda…». In secondo luogo, si dovrebbe parlare delle etiche della care. Sono identificabili due tendenze in questo movimento di pensiero3. La prima, sull’onda di C. Gilligan, corrisponde in effetti a un certo atteggiamento morale, tradizionalmente squalificato, spesso subìto dalle donne, benché non sia affatto femminile di per sé. C. Gilligan si è ispirata ai lavori della psicanalista Nancy Chodorow che sviluppano l’idea secondo cui il rapporto con la nozione di legame interpersonale non può essere lo stesso indipendentemente dal rapporto col sesso del soggetto, dal momento che il genitore che dà il nutrimento è di sesso femminile. E ciò non solo perché la donna è l’unica a poter allattare: la 2 3

S. Laugier [2011], pag. 320. Per una presentazione in tal senso, si veda M. Garrau [2008].

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