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Piccola biblioteca delle arti La lettura veloce e creativa
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PICCOLA BIBLIOTECA DELLE ARTI Collana di testi e strumenti per la scuola e l’università
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Maurizio Barbarisi
LA LETTURA VELOCE E CREATIVA Come imparare a leggere (e ricordare) di pi첫 e meglio
GREMESE
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Immagine di copertina: © sabri deniz kizil – Fotolia.com Stampa: La Moderna – Roma Copyright GREMESE 2012 © New Books s.r.l. – Roma www.gremese.com Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualsiasi modo o con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978-88-8440-704-7
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A mia figlia Giorgia perchÊ le sue letture l’aiutino nella comprensione della vita e perchÊ la vita le consenta di comprendere meglio le sue letture.
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Quel che si scrive con fatica, si legge con facilitĂ . Zukovskij Vasilij Andreevic
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Sommario Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Storia della lettura . . . . . . . . . . . . . . . . . Signore e Signori‌ il lettore . . . . . . . . . . . I diritti e i principi nella lettura . . . . . . . . . PerchÊ si legge? . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il piacere insegnato del leggere . . . . . . . . . Il tempo per leggere e la lettura parallela . . . . Il tempo del leggere: la prelettura e la lettura orientativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il tempo del leggere: la lettura veloce . . . . . . Il luogo ideale per leggere . . . . . . . . . . . . La scelta del libro . . . . . . . . . . . . . . . . . Liberare la mente per favorire l’apprendimento Come si legge un libro: i livelli di lettura e la memorizzazione . . . . . . . . . . . . . . Come si legge un libro: in pratica, per potenziare la memoria . . . . . . . . . . La ripartenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La lettura ad alta voce . . . . . . . . . . . . . . . La rilettura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L’appuntuario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I gruppi di lettura . . . . . . . . . . . . . . . . .
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La biblioterapia . . . . . La biblioteca domestica . Il BookCrossing . . . . . Leggere online . . . . . . In conclusione . . . . . . Riferimenti bibliografici .
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Introduzione
Leggere è uno dei piaceri della vita: una soddisfazione sottile, non solo intellettuale e, anche per questo, non meno intenso di altri piaceri. Ogni volta che mi accingo a scrivere un manuale di questo tipo, mi faccio sempre le stesse domande: non ce ne saranno già troppi di libri su tale argomento? Si sente davvero il bisogno di un altro? Che cosa può mai importare alla gente che gli si dica come leggere e come farlo meglio? Tutti, in fondo, sono capaci a leggere, fin quasi dalla tenera età. Per rispondere a queste domande inizierò con il ricordare che, almeno in Italia, si scrive molto di più di quanto non si legga. Ciò significa che ci sono molti più scrittori, che si vogliono far leggere, di lettori che potranno leggere quello che è stato scritto. Indubbiamente è un paradosso! Con il progredire dei media la situazione non è migliorata, anzi, se solo fosse possibile, è peggiorata. Per esempio, sul web si legge in modo non sequenziale, saltando da un argomento all’altro e, soprattutto, in modalità audiovisive, nelle quali si utilizzano poche e immediate competenze cognitive. Non è raro, infatti, che uno studente, per svolgere un determinato lavoro o compito, esegua le ricerche su internet piuttosto che in biblioteca, affidandosi, perciò, a un motore di ricerca web che non scrutina dati testuali, ma solo filmati o immagini stati-
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che… perché leggere rimane pur sempre un’attività macchinosa e comunque non immediata. Un altro paradosso è che, nonostante la lamentata penuria di lettori, i libri in circolazione rimangono sempre tanti, verrebbe quasi da dire troppi, e la produzione è pure in crescita. Una sorta di meraviglia a occhi aperti, che provo fin da quando ero bambino, è la constatazione (amara) di quanti libri ci siano sul mercato e di quanto poco, in fondo, sia il tempo a disposizione per poterli leggere. Quel che è peggio è avere la certezza che non riuscirò mai a leggerli tutti, neppure quelli reperibili in una modesta libreria, e neanche se non facessi altro nella vita, magari saltando pure i pasti e i sonni. È per questo che, a differenza dei miei coetanei che preferivano sognare di rimanere chiusi in una pasticceria o in negozio di videogiochi, ho spesso sognato di ritrovarmi intrappolato per il weekend all’interno di una libreria. Avrei cercato, pur tra i morsi della fame, di diminuire il gap tra quanto avevo letto e quanto era stato scritto, nonostante la convinzione che non vi sarei mai riuscito, se non per una minima e insignificante parte. È anche vero, però, che leggere non è indispensabile: molti vivono benissimo senza, e lo sappiamo, così come possono vivere senza tutte quelle altre attività non essenziali all’esistenza e che pure toccano la sfera intellettiva e spirituale dell’uomo. Conosco molte persone degnissime, “acculturate”, come si usa dire oggi, che non prenderebbero mai un romanzo in mano per leggerlo effettivamente e, se lo hanno fatto, si è trattato di una scelta contingente, dettata dalla voglia estemporanea di scorrere distrattamente un libro, diventato magari famoso per la programmazione del film da cui è stato tratto o per qualche altra esigenza sociale.
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INTRODUZIONE
C’è poi, persino, chi non legge affatto, adducendo a pretesto il vecchio assioma “la lettura è per gli ignoranti”: se legge solo chi non sa, e se lo fa per emulare gli intellettuali, si evince che leggendo diventerà, dopo aver imparato, odioso e saccente come i più “saputi”, per cui tanto vale rimanere ignoranti, che costa meno fatica e rende più simpatici. Il che mi ricorda molto da vicino quegli aristocratici del Settecento i quali non si lavavano, perché, sostenevano, che fossero solo i poveri ad averne bisogno, in quanto, lavorando, sudavano e, non potendo permettersi il lusso di comprare costosi profumi “coprenti”, dovevano necessariamente lavarsi. Mi sono sentito dire che i romanzi, in particolare quelli stranieri, non meritano di essere letti, neppure se fondamentali per la crescita culturale di un individuo, perché la traduzione “tradisce” fatalmente il messaggio dell’autore; quindi, sarebbe come leggere qualcosa di contraffatto. Forse, e in alcuni casi è anche vero. Allora, che dire della letteratura italiana e dei grandi romanzi nostrani? Non sono almeno loro meritevoli di attenzione, giacché non devono essere tradotti? Se così stanno le cose, e cioè se le persone disposte a scrivere sono molto più numerose di quelle disposte a leggere, o se comunque si ritiene che leggere non sia poi così importante, sembrerà allora persino un controsenso, un manuale come questo, che tratta del modo migliore per leggere. Virginia Woolf (Ore in biblioteca e altri saggi) ebbe a dire che l’unico consiglio che una persona può dare a un’altra in merito alla lettura è, in verità, quello di non accettare consigli. In linea teorica e a voler rimanere alla superficie delle cose, questa asserzione potrebbe anche essere vera, in
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quanto, di primo acchito, è giusto che siano la spontaneità e la naturalezza ad avere il sopravvento. A ben vedere, quando la lettura si fa seria, quando si desidera estrarre il massimo dal testo, si può pure pretendere di più da essa, e lo si può esigere non tanto su sollecitazione di altri, quanto di se stessi. Inoltre, se è vero che si scrive di più di quanto non si legga, come si è più volte detto, potrebbe anche voler dire che “non si legge bene come si dovrebbe”, che non si trae dalla lettura quella soddisfazione che si ottiene in altre circostanze gratificanti, magari guardando un buon film o facendo una passeggiata. Forse, il problema non è solo quello che nel nostro paese manca la cultura del leggere, può darsi piuttosto che non ci sia, invece, l’attitudine o l’abitudine al “buon leggere”. Se la gente si divertisse di più durante la lettura, la preferirebbe sicuramente a un film (oltretutto scadente) o al navigare senza meta su internet. Ecco, allora, che già posso superare i miei dubbi iniziali. Di manuali sul buon leggere non ce ne sono poi molti, e quei pochi sono perlopiù obsoleti o non proprio pertinenti, in quanto costituiscono una specie di amarcord di letture individuali di formazione, condite di considerazioni aneddotiche che spesso c’entrano poco o nulla con una metodica del buon leggere. Ci si scambiano commenti sulla lettura, si fa esegesi del testo, si critica questo e quell’autore, ma non si dice come affinare, in via pratica, lo strumento del leggere. Ci sono invece molti manuali del “buon scrivere” (uno l’ho scritto persino io – Corso di BlogWriting, appunti in tema di scrittura creativa per blog letterari), il che conferma quanto ho appena sostenuto: ci sono più trattati di scrittura piuttosto che di lettura, come se fosse possibile scrivere senza aver letto… e anche molto. Questo stato di
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cose evidenzierebbe di per sé anche l’assunto che scrivere è più difficile che leggere. In parte è vero, ma non comunque nella proporzione che emerge dalla constatazione di quanto poco materiale sia rinvenibile sull’argomento, e non solo nelle biblioteche, ma anche in rete. È necessario, inoltre, superare il facile equivoco che leggere sia semplice. In fondo, si dirà, si tratta di un’attività naturale, appresa fin da piccoli, forse per semplice curiosità, se non per necessità. Si impara a riconoscere fin dall’infanzia le varie lettere dell’alfabeto, a compitarle e, voilà, si sa legge. Che cos’altro ci può essere di più? Anche mangiare o camminare sono attività connaturate. Ci si mette in piedi dalla posizione “a gattoni” e si prova a fare i primi passi, sino a che si va spediti senza più sbandare o cadere. Mettere però i piedi correttamente uno davanti all’altro, raggiungere un buon equilibrio ortostatico, fare in modo che la postura di tutto il corpo sia giusta, godersi quindi la passeggiata, magari soffermandosi anche a guardare quello che attrae la nostra attenzione, o addirittura correre per gioco o per sport, è tutt’altra cosa. Leggere bene, dunque, può anche non essere complicato quanto scrivere, ma certamente la tecnica che supporta questa attività può essere migliorata. E il piacere che se ne può trarre essere enormemente accresciuto. A scuola si leggono più che altro libri imposti (alludo ai testi didattici e, soprattutto, a quelli complementari di letteratura) senza avere prima acquisito alcuna tecnica di base, e non tanto per una lettura meccanica, perché questa si apprende pressoché subito, all’asilo o in prima elementare, come sappiamo, quanto per imparare a godere del contenuto esposto, per andare alla scoperta di quello che l’autore ha voluto raccontarci. Ancora più sovente la
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lettura di testi, non propriamente scolastici, è lasciata alla sollecitazione del singolo, volenteroso, insegnante (o genitore), sempre se, a sua volta, è un appassionato di libri. Ma più spesso i maestri (e i genitori) si limitano a incentivare la lettura attraverso le solite formalità: il prestito della biblioteca (quando poi all’interno degli istituti ce ne sia una) o l’acquisto di volumi da leggere a integrazione di quelli scolastici. Però, il gusto della lettura in sé, a prescindere dalle indicazioni di quello che è meglio leggere, come approccio intimo al testo, non viene trasmesso da nessuno, rinviandone l’esperienza alla capacità e all’individuale sensibilità dello studente. Basterebbe, magari, anche solo l’esempio personale, una sorta di contagio da parte dell’insegnante a sua volta appassionato di lettura. Sarebbe sufficiente comunicare agli allievi (anche attraverso una semplice lettura ad alta voce) le proprie emozioni, il proprio trasporto, il proprio entusiasmo. In fondo si impara per imitazione, soprattutto nella prima infanzia. E questo perché si dà per scontato che tutti “sappiano leggere”, temendo persino di diventare offensivi mettendolo in dubbio. Quasi mai la scuola (ma anche i genitori sono latitanti su queste tematiche) dà indicazioni utili su “come” leggere per trasmettere il “sale” della lettura, vale a dire la passione o almeno il desiderio. Sicché per molti studenti si viene a verificare fin dall’inizio uno scollamento tra il leggere e il piacere di farlo; e la lettura è vissuta come momento impositivo, quindi, come qualcosa in più, che non gli appartiene; quando, invece, dovrebbe essere un momento interiore di svago e di crescita emotiva e intellettuale. Rimane quindi estranea al giovane la preziosa utilità del leggere come strumento primario dell’apprendere, al
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fine non tanto e non solo di poter scrivere e parlare bene, ma anche in vista della strutturazione del sé attraverso il confronto e il rapporto con il vissuto, romanzato o meno, di altri. È da questa “distanza intellettuale”, dal pensare a sé in relazione all’altro, che nasce la consapevolezza della propria personalità e il suo lento arricchimento nel tempo, quale base per costruire il sé di domani. Se è vero che leggere non dovrebbe mai essere, allora, il risultato di un obbligo eteroindotto, molto può essere fatto sul versante educazionale, sia in famiglia che a scuola. Jean Jacques Rousseau, da buon pedagogista, quando si pose il problema di insegnare a leggere, ben presto capì che non era tanto importante la metodica, quanto la trasmissione dell’amore per la lettura. Occorre prendere in esame i molteplici aspetti del leggere, del come farlo nel migliore dei modi, per trarre dal testo i maggiori vantaggi possibili. Ci sono molte vie per potere apprezzare una sana lettura, pur essendo e rimanendo un’attività personale, e una metodica di supporto affina anche le competenze individuali. Ecco allora la ragione di questo manuale, un aiuto per andare sotto la superficie del testo, facendo comprendere che esso (e con lui l’autore) dice molto di più di quello che in apparenza è scritto, perché in realtà il testo è un insieme di “segni irrelati e vivi”, in collegamento continuo non solo con chi l’ha scritto, ma anche con chi lo legge. Il libro continua a parlarci e a crearci suggestioni (e perché no, a influenzarci) anche molto tempo dopo che è stato scritto e letto, perché non si rivolge solo alla nostra mente, ma all’insieme di noi stessi. Dunque, in questa Guida alla lettura veloce parlerò indubbiamente di libri, ma lo farò dalla parte del lettore (side reading piuttosto che side writing), di chi cioè viene a
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contatto con un testo letterario per assolvere le funzionalità proprie della lettura. Tratterò anche del “perché” leggere, del “tempo di qualità” da dedicare alla lettura, del “dove” leggere, persino di come scegliere un libro (per leggerlo meglio e con profitto) e tanto altro. Tengo a precisare, inoltre, che parlerò in prevalenza di lettura on page, come si usa dire, e non di lettura on line: vale a dire di lettura su testo cartaceo, anziché di lettura su monitor del computer, come avviene nell’ipotesi della navigazione su internet. Questo libro, dunque, ha le seguenti finalità: parlare della lettura, della buona lettura in particolare, e di quanto si dovrebbe sapere in materia, per renderla più gratificante e utile in sé: saranno proposti metodi, tecniche e strategie per renderla un’attività efficace e creativa a tutti i livelli. Non quindi un libro su cosa leggere o su cosa si è letto, ma di come leggerlo e su come farlo in modo proficuo. Dal punto di vista metodologico il manuale si rivolge, quindi, a tutti i lettori che sentono la necessità di ottenere di più da quanto leggono. In alcuni casi sono offerti consigli che potrebbero essere ritenuti banali. Me ne scuso sin da ora, ma sono dettati dalla mia esperienza personale, maturata sul campo di appassionato lettore, e sono quindi frutto delle “vittorie” sulle piccole e grandi difficoltà incontrate in tutti questi anni. Infine, ci tengo a ricordare che questo testo non vuole essere cattedratico e dotto, ma essenzialmente pratico, perché rivolto a chi vuole migliorare le proprie capacità, incrementare la voglia di leggere, e desidera avere un riferimento concreto in questa soddisfacente attività intellettiva.
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Storia della lettura
Roland Barthes (Orale e scritto) ha avuto modo di evidenziare che l’uomo ha imparato a leggere prima ancora che a scrivere. E questo perché dovette imparare immediatamente a distinguere i segni: per esempio, selezionare le impronte delle belve dalle quali scappare da quelle degli animali di cui si poteva nutrire; apprendere a orientarsi con le stelle e a interpretare tutti i simboli che potevano garantirgli la sopravvivenza in un mondo all’apparenza ostile. La lettura non è, dunque, una conseguenza alla scrittura, come si potrebbe intuitivamente credere, ma ne è parte, la comprende, trovandosi a metà strada tra oralità e grafica. Si legge, quindi, a prescindere dalla scrittura testuale, e lo si fa per tanti motivi tra cui, e soprattutto, per decrittare il mondo, renderlo comprensibile, abitabile e, perché no, simile a noi. La lettura ha una sua valenza indipendente, anche se, come lo scrittore non può prescindere dal lettore, così il lettore non può fare a meno dello scrittore. Vi è una stretta e continua corrispondenza osmotica tra questi due operatori che non si interrompe né con la scrittura, né con la lettura. Tuttavia l’una è ontologicamente a sé stante dall’altra e ha una sua intrinseca specificità. Pensare quindi alla lettura come a un’attività priva di una propria autonomia, o meramente complementare alla scrittura, è un approccio incompleto oltre che erroneo.
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LA LETTURA VELOCE E CREATIVA
Pur nella separazione tra le due attività, e tuttavia nella reciproca mutualità (non si scrive perché nessuno legga e non si legge se nessuno ha scritto), rimane arduo seguire le tracce della storia della lettura in modo disgiunto dal libro o dalle biblioteche. Succede, per vero, che esiste il libro in sé, come ponte tra lo scrittore e il destinatario del libro stesso (il lettore), ma mentre dello scrittore è più facile che resti notizia attraverso la sua opera, altrettanto non può dirsi del lettore che rimane una figura indistinta, per di più anonima, come un’ombra sullo sfondo della storia della letteratura. Il lettore c’è, ma si agita dietro le quinte della scrittura come entità indispensabile, non secondaria, tuttavia intangibile. Allora, ecco che la storia del libro diventa anche, di riflesso, la storia inscindibile del lettore: vicende sovrapponibili sino a divenire più variegate e, in epoca più recente, sempre più distinguibili. Intanto, bisogna ricordare che con il termine libro si indica più propriamente la parte interna degli alberi (liber), che in alcune piante (platano, tiglio, olmo) può assumere la consistenza di una specie di pellicola. Gli antichi, inizialmente, utilizzavano questo materiale essiccato come supporto per la scrittura, creando così un legame indissolubile tra natura e letteratura. Ai giorni nostri, per libro s’intende, per traslato, la raccolta di fogli (tutti di una unica dimensione al suo interno) che recano, a stampa, un’opera dell’ingegno, ovvero notizie e informazioni su un dato argomento. L’invenzione della stampa, risalente a Gutenberg con l’adozione dei caratteri mobili, costituisce per la storia del libro un fondamentale spartiacque: vi è una fase anteriore all’invenzione stessa – secondo cui il libro poteva avere due forme, il volumen, vale a dire il rotolo, e il codex,
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cioè il codice – e una posteriore, quando la forma divenne solo quella del codice, composto da fogli riuniti tra loro in quaderni o quinterni. La stampa consentì non solo di imporre lo standard del codex a detrimento del volumen (quanto meno per la praticità di avere più fogli stampabili con la macchina piuttosto che un unico foglio), ma anche di superare l’unicità dell’esemplare dando la possibilità di poter tirare più copie di una sola opera, tutte uguali fra loro. Il libro, sotto forma di codex stampato, poteva inoltre fare a meno dell’amanuense, l’incaricato della copiatura, operazione che richiedeva tempi lunghi di esecuzione (la media era costituita da una dozzina di pagine al giorno, nonostante i monaci amanuensi fossero dispensati da alcune preghiere giornaliere per non dover interrompere il loro lavoro durante le ore di luce solare). La copiatura, se a regola d’arte, rendeva, da una parte, prezioso il libro (perché, com’è facile comprendere, ogni “copia” era in realtà un’opera unica), dall’altra ne impediva la duplicazione (si pensi anche solo all’opera dei miniaturisti che impreziosivano le pagine con raffigurazioni riccamente colorate adornando il capolettera di ogni capitolo) e di conseguenza più difficile la sua diffusione. La lettura a stampa diveniva, inoltre, più agevole per la maggiore riconoscibilità dei caratteri “oggettivi” rispetto alla grafia personale del singolo copiatore, azzerando contemporaneamente gli errori di trascrizione, sempre possibili da parte dell’amanuense. Infine, il libro stampato ebbe il pregio di abbattere notevolmente i costi di produzione oltre che far sì che fosse trasportabile con maggiore facilità, favorendone la veicolazione e la penetrazione sui mercati, durante i viaggi e gli spostamenti dei mercanti, e la divulgazione delle idee in esso contenute.
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E se la stampa più antica (soprattutto quella tedesca) faceva uso di caratteri gotici (con un effetto “impastato” delle lettere che ne rendevano più faticosa la riconoscibilità, soprattutto a un occhio non allenato), in Italia venivano privilegiati i caratteri romani, umanistici, maggiormente rotondi, aggraziati e ben delimitati gli uni dagli altri. Con Manuzio, si approdò al corsivo e, in genere, a una maggiore leggibilità. Mentre nel XV e XVI secolo le biblioteche erano prevalentemente ecclesiastiche o di Corte, nel Seicento sorgono quelle universitarie, dove si fa strada il nuovo concetto che la biblioteca non è più un luogo di mera conservazione dei libri, ma anche un centro di studi. Diventano così importanti, in questo periodo e per queste finalità, l’Ambrosiana a Milano, la Forteguerriana a Pistoia, la Mediceo-Laurenziana, la Riccardiana, la Magliabechiana e la Marucelliana a Firenze, nonché l’Alessandrina e l’Angelica a Roma. Nel Settecento, l’Illuminismo italiano, segno di rinnovamento culturale e di preparazione a quel crogiuolo intellettuale che sfocerà nel Romanticismo del secolo successivo, vede la nascita al centro nord di diverse riviste letterarie. È della seconda metà del Settecento la cosiddetta “rivoluzione della lettura” secondo cui al “lettore intensivo”, cioè a colui che, avendo a disposizione un numero limitato di libri, riusciva a memorizzarli (e si trattava perlopiù di testi sacri), si sostituisce il cosiddetto “lettore estensivo”, quello che leggeva per il piacere di farlo, dirottandosi su ogni genere letterario, dal romanzo alle riviste, dal libro scientifico alle letture meno impegnate. Sull’onda di questa “estensività” anche in Italia si sente la necessità di instaurare rapporti comunicativi con il lettore attraverso i cabinets littéraires il cui fulgido esempio fu
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STORIA DELLA LETTURA
il Gabinetto Scientifico e Letterario di Giovan Pietro Vieusseux, Firenze 1819, dove oltre alla lettura dei giornali (in particolare di quelli stranieri per soddisfare la maggior parte dei frequentatori) si praticava la “lettura piacevole”, con prestito di libri di vario genere: narrativo, di attualità o di carattere scientifico. Occorre però tener conto che nel 1861, anno dell’unificazione italiana, il tasso di analfabetismo era ancora molto elevato (la media era del 74 per cento con punte quasi del 90 per cento in Sardegna). A questo si deve aggiungere il problema che la maggior parte degli italiani, il 99 per cento, parlava il proprio dialetto. In altre parole, i libri già non erano tanti né a buon mercato, e se capitavano in mano, per esempio, a un campano, capace di leggere solo meccanicamente, non poteva certo capirlo, proprio perché scritto in italiano. Questi dati negativi costituivano un serio ostacolo pressoché insormontabile per la diffusione della lettura. Non ci si deve pertanto meravigliare che la frequentazione delle biblioteche fosse scarsa o nulla, anche perché erano vissute più come luoghi museali da visitare che come centri culturali cui attingere. Oltretutto, mancavano i fondi per gestire le biblioteche e renderle fruibili – almeno come lo sono oggi –, impiegandovi personale qualificato che se ne occupasse. Comunque, dopo l’unità d’Italia si assiste alla nascita di una nuova forma di biblioteca, la “biblioteca popolare”, non più rivolta esclusivamente alle élites, ma aperta a tutti, pur di promuovere la cultura italiana educando gli strati più bassi della popolazione. La biblioteca popolare ebbe il grande merito di smitizzare il libro, indirizzando l’interesse verso una cultura eterogenea che non fosse solo confessionale, vale a dire volta a un’informazione diversa da quella meramente religiosa. La prima biblioteca popolare, fondata a Prato nel
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LA LETTURA VELOCE E CREATIVA
1861, è il primo esperimento di una tale struttura nata con finanziamenti privati, quelli delle associazioni di lettori. Agli inizi del Novecento, dietro impulso di Filippo Turati, il padre del socialismo, che ne assunse la presidenza, e di Ettore Fabietti (la direzione), la biblioteca popolare aprì le porte anche alla piccola borghesia, alle classi operaie, agli studenti. Lo scoppio del primo conflitto mondiale peggiorò le cose, se mai fosse stato possibile. Anche l’editoria conobbe la profonda stasi del momento. Le aziende solide, con un valido programma, erano poche, mentre la maggior parte delle imprese si organizzava come poteva. Con l’avvento del fascismo si avviò un piano di risanamento delle biblioteche governative, con l’aumento dei fondi in dotazione. La gestione fu centralizzata e statalizzata per poter meglio perseguire il controllo propagandistico sulla cultura e la società. Ne fu prova il numero dei lettori che rimase pressoché invariato, poiché i problemi che assillavano il funzionamento delle biblioteche rimasero irrisolti. Il regime cercò in particolare di agire sulle biblioteche popolari, viste come sistema diretto di propaganda del partito presso i ceti più bassi. Fu quindi centralizzato anche in questo campo il controllo avviando un piano per istituire biblioteche anche dove non c’erano. Negli anni Trenta, cinema e radio (per la televisione bisognerà aspettare il 1954) creano le basi per unificare la lingua italiana, per quanto l’editoria segni ancora il passo stampando pochi libri e per di più troppo costosi. Sempre negli anni Trenta, all’editoria ufficiale si affianca e prende vigore un’editoria popolare che riesce a sfuggire al controllo del regime. È il momento della pubblicazione dei “gialli”, dei romanzi “rosa” e dei settimanali di attualità e varietà. La situazione però precipita nuovamente con il secondo conflitto mondiale.
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STORIA DELLA LETTURA
La seconda guerra mondiale evidenziò, da un lato, una situazione disastrosa per le biblioteche governative, dall’altro si assistette alla rinascita dell’editoria soprattutto di periodici, quotidiani e di libri stranieri (in particolare americani). Si registra un nuovo fermento anche in fatto di lettura, tanto che le biblioteche circolanti, comunali, aziendali o dei dopolavoro, sono notevolmente frequentate. In ogni strato della popolazione (dalla media borghesia alle classi operaie) c’è un risveglio culturale sensibile (che spazia dalla cultura anglosassone alla fantascienza). Negli anni Cinquanta, viene rilanciata l’idea di creare biblioteche pubbliche, però sul modello americano, con superamento di quelle popolari, viste pur sempre come classiste o come risposta di rivendicazioni operaie. La biblioteca doveva diventare un luogo per tutti, democratica, volta alle necessità culturali di chiunque: un servizio davvero pubblico piuttosto che un qualcosa che nascesse come esigenza di una determinata classe. L’iniziativa si scontrò con le resistenze statali accentratrici, che vivevano con una certa diffidenza questa visione troppo libera della cultura.
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