I Flap
HELP!
VINCENZO OLIVA
HELP! TUTTE LE CANZONI E GLI ALBUM CHE I BEATLES HANNO REALIZZATO CON ALTRI MUSICISTI
GREMESE
Collana “I Flap”
Questo libro è dedicato a: Antonio, Adriana e Roberto, i miei figli che in realtà sono i miei migliori amici. Ed è dedicato a Maria, un’amica che tanto tempo fa è diventata mia moglie. Loro mi hanno aiutato, supportato e sopportato nella mia passione per la musica, tanto da restarne coinvolti.
RINGRAZIAMENTI Un grazie speciale va ad Antonio Oliva, Adriana Oliva e Roberto Oliva, i quali mi hanno dato un valido ed importante contributo nella stesura di questo libro. Ognuno di essi ha collaborato a modo suo. Desidero ringraziare inoltre alcuni amici con i quali ho condiviso la passione per la musica in generale e per i Beatles in particolare: Stefano Oliva, Tonino Verde, Mauro Teti, Andrea Pisapia, Riccardo Russino, Luciano La Bollita, Rossella Oliva, Sergio Spagnuolo; “Mr. Apple” Cristiano Cortellazzi, che ha in comune con me la passione per le “collaborazioni dei Beatles” ed ha fornito preziosi particolari sui dischi incisi agli “Apple Studios”; Antonio e Filomena, i miei “revisori” personali. Un “beatle-saluto” a tutti gli amici della Beatles Community www.Fab4.com e all’Associazione Beatles e Dintorni. Copertina: Patrizia Marrocco Foto di copertina: Robert Whitaker, 1964 Stampa: ??? Copyright GREMESE 2011 © E.G.E. s.r.l. – Roma www©gremese.com Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978-88-8440-695-8
SOMMARIO Prefazione 9 Introduzione: I Beatles e la Apple 13 Ma chi erano mai questi Beatles? 13 L’avventura della Apple 23 Le collaborazioni con altri artisti 32 Prologo: The Songs Lennon & McCartney Gave Away 32 John Lennon/Winston O’Boogie 33 Paul McCartney/Paul Ramon 71 George Harrison/Hari Georgeson 160 Ringo Starr/Richie Snare 233 Figli d’arte 288 Epilogo: Come and Get It – The Best of Apple 290 Dear Friend, What’s the Time? 293 A Beatle for a Beatle 293 John e Paul: A Toot and a Snore in Seventy-Four 298 You Know My Name (It’s not Beatles) 303 Lord Sitar 303 Masked Marauders 304 Peter Cook & Roger Moore: L.S. Bumble Bee 306 The Fut: Have You Heard the Word 307 Klaatu 308 Appendici 311 Pseudonimi 311 Discografia delle partecipazioni 313 Registrazioni agli Apple Studios 330 Indice delle partecipazioni (cronologico) 332 Indice delle partecipazioni (alfabetico) 338 Indice dei nomi 342 Bibliografia 350
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DECALOGO DI UN FAN DEI BEATLES
Un fan inizia con la ricerca e l’ascolto di tutte le canzoni incise dai Beatles. Dopo aver scandagliato le incisioni ufficiali, di solito il fan dei Beatles passa alla produzione solista di John Lennon. Poi a quella di Paul McCartney… …di George Harrison… …e infine di Ringo Starr. Le apprezza e subito dopo torna ai Beatles per concentrarsi sull’analisi delle versioni stereo e mono dei loro album. Resta sorpreso e si mette in cerca di nuove esperienze. Trova vinili particolari, le edizioni natalizie esclusive per i fan e le edizioni differenti degli album. Poi passa ai bootlegs e cerca di districarsi in un infinito mare magnum, consumando sul piatto del giradischi tonnellate di vinile alla ricerca di inediti, out takes, rarità, demo, covers, dialoghi, interviste e chissà cos’altro. Lentamente si sposta dai Beatles ai loro dintorni. E cos’altro gli resta da fare, se non provare a reperire i dischi citati in queste pagine?
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PREFAZIONE Mi trovavo in un megastore alcuni giorni fa, nel reparto libri, quando un vociare di ragazzini attirò la mia attenzione. Era una scolaresca in “perlustrazione”, con l’insegnante che esortava gli alunni, probabilmente di una scuola elementare, a consultare e a scegliere i libri. «Ehi», disse un bambino dall’espressione sveglia, «guarda, i Beatles!», indicando un grosso volume illustrato a colori. E poi: «Chissà se ci sono pure i manga?». Tutti sanno chi erano i Beatles. Ma, che cosa sono oggi? Che rappresentano per un ragazzino in cerca di fumetti giapponesi? Un’icona? Una leggenda del XX secolo? Un videogame del nuovo millennio? Una cosa è certa: l’inchiostro che si è consumato per parlare di loro è molto, decisamente troppo, se solo si pensa al numero di libri che settimanalmente escono nel mondo, dalle discografie alle biografie, analisi dei testi, analisi della musica, spartiti, saggi filosofici e divagazioni sociali. In pratica, di tutto. Questo, invece, non è un ennesimo libro sui Beatles. È un libro “intorno ai Beatles”. Insieme o da soli, John, Paul, George e Ringo sono stati spesso ospiti in realizzazioni di altri artisti, a volte come autori o musicisti, altre semplicemente come produttori; e la bibliografia che tratta tale aspetto è decisamente scarsa, in Italia addirittura inesistente. E questa è una lacuna che va colmata. I Beatles, specialmente nella parte centrale della loro carriera, erano sempre stati molto aperti a ogni genere di esperienza musicale e, con il gusto che ha contraddistinto quasi tutte le loro produzioni, hanno collaborato con un numero sorprendente di artisti dei più svariati generi musicali, a volte anche molto lontani da loro, spaziando così dal rock’n’roll al country, dal jazz-rock al pop, dal blues al folk alla classica. Almeno negli anni Sessanta e Settanta, il primato in questo particolare settore è senza dubbio da spartire tra George e Ringo, con Paul che segue a ruota, per chiudere con John, più restio e diffidente. Ma se volessimo rimanere nel decennio in cui i Beatles erano insieme, McCartney fu il più attento ricercatore di diverse esperienze musicali, forse anche perché era l’unico residente nella London Central (a Cavendish Avenue, pochi isolati da Abbey Road). Ecco allora lo scopo del presente libro, che va considerato come un viaggio 9
HELP! cronologico in questo particolare ambito della musica dei Beatles, alla scoperta di un mondo poco conosciuto e spesso meno considerato, ma ugualmente importante per gli appassionati (o, per dirla in altro modo, per i “completisti”). Inoltre, per i neofiti, può essere un mondo che riserva curiosità inaspettate e gradite sorprese. C’è di tutto: si potranno scoprire o riscoprire artisti già noti al grande pubblico o bizzarri personaggi sconosciuti – almeno qui in Italia – assieme a stelle, stelline e meteore che il tempo ha messo da parte. Una panoramica di album “con i Beatles”, ma non “dei Beatles”, pubblicati in oltre cinquant’anni. Per trattare diffusamente e con precisione da specialista appassionato una materia così vasta, ho fatto ricorso alla seguente suddivisione: in una prima parte ho trattato del contributo dei Beatles come autori, poi come musicisti e come produttori, sottolineando sempre sotto quali pseudonimi si nascondeva l’uno o l’altro del celebre quartetto. Ho ripartito il tutto in quattro capitoli, uno per ogni componente dei Beatles, e mi sono peritato di seguire un ordine cronologico per facilitare la consultazione. Nei “Beatles come autori” ho focalizzato l’attenzione sulle canzoni composte per o con altri. Siamo agli albori degli anni Sessanta: già Lennon e McCartney avevano iniziato a farsi conoscere come buoni compositori e molti loro colleghi, in primis gli altri artisti della scuderia di Brian Epstein, cercavano di avere qualcuno dei Beatles nelle loro incisioni, così da associare la propria immagine con quella della “next big thing”. Alcune canzoni – che i due davano via – erano state scartate da loro stessi o dal management, perché non ritenute all’altezza, altre invece erano state scritte appositamente per destinarle diversamente. Le miriadi di cover, intese nel senso stretto del termine, non sono prese qui in considerazione, a meno che la versione in esame non sia stata pubblicata prima di quella degli autori, cosa che la trasformerebbe automaticamente in una canzone data ad altri. La tipologia dei “Beatles come musicisti” è il nocciolo del libro. Uno o più componenti dei Beatles è ospite come sessionman (strumentista o vocalist) in album altrui. È spesso il caso, soprattutto negli anni Settanta, di scambi di favori con amici e turnisti di professione i quali, avendo suonato negli album di un Beatle, chiedevano di essere ricambiati quando arrivava il momento di pubblicare il proprio. Nei “Beatles come produttori” ho esaminato i casi in cui essi curavano la produzione e gli arrangiamenti di dischi altrui, tra i quali molti degli artisti ingaggiati per la Apple. Per completezza, occorre precisare che ho scelto di menzionare – sottolineandone però l’improbabilità – anche alcuni dischi incisi in studio alla presenza di uno dei Beatles, sebbene non avessero preso parte attiva alle registrazioni: una manciata di album in cui all’epoca fu ventilata la presenza di uno dei Beatles, senza che la cosa fosse stata in seguito realmente accertata; gli album con le opere classiche di Paul McCartney, in quanto eseguite da cori 10
PREFAZIONE e orchestre; alcune collaborazioni progettate ma poi non realizzate, le cui testimonianze sonore esistono ma non sono mai state pubblicate, né sul mercato ufficiale né su quello clandestino. Dunque questi aspetti della carriera di John, Paul, George e Ringo sono più ampi di quanto si possa credere, e sono stati spesso sottovalutati o ingiustamente ignorati. A volte, per motivi discografici, il nome non poteva comparire su dischi di case diverse da quella di appartenenza: ed ecco allora che la fantasia si sbizzarriva alla ricerca dei più svariati (e spesso divertenti) nomi falsi. In verità, la prima volta che i Beatles si servirono di pseudonimi fu all’inizio della loro avventura musicale. Nel 1960, dopo essere stati Johnny and The Moondogs, intrapresero un breve tour in Scozia come Silver Beatles. John diventò per l’occasione Johnny Silver, in omaggio a Long John Silver dell’Isola del tesoro, Paul si chiamò Paul Ramon, che a lui suonava esotico e romantico, George scelse Carl Harrison, in onore del suo idolo Carl Perkins. Con loro c’era anche Stuart Sutcliffe, che in realtà preferiva fare il pittore e adottò il nome Stu De Stijl. Paul sarebbe tornato a utilizzare lo stesso nome alla fine degli anni Sessanta in una delle sue collaborazioni nascoste. Curiosità: questo stesso pseudonimo, a metà anni Settanta, avrebbe ispirato il nome dei Ramones. Infatti la band americana lo scelse dopo aver letto l’aneddoto di Paul McCartney/Paul Ramon. Ci ha svelato Geoff Emerick, l’ingegnere del suono di Abbey Road, che nei primi anni Sessanta i Beatles prenotavano gli studi a nome “The Dakotas”, allo scopo di sviare i fan perennemente in agguato. E così, per vezzo o per necessità, l’usanza dei nomignoli tornò in auge in occasione di alcune partecipazioni in dischi altrui. Chi si nasconde dietro Apollo C. Vermouth, Dr. Winston O’Boogie, Hari Georgeson, English Richie, l’Angelo Misterioso, John O’Cean, Son of Harry, Richie Snare? A completamento del testo vi sono dei capitoli extra. Il primo riguarda “I Beatles per i Beatles”: tutte le occasioni in cui, dopo lo scioglimento, uno dei Beatles ha partecipato a incisioni di un altro Beatle, con uno sguardo particolare all’unica session che ha visto assieme John Lennon e Paul McCartney dopo il 1970. Il secondo tratta delle curiose circostanze in cui alcuni dischi sono stati erroneamente scambiati per incisioni segrete dei Beatles. Desidero infine sottolineare che ho altresì analizzato fonti ufficiali e ufficiose: innanzitutto, la gran quantità di interviste e notizie apparse negli anni su riviste specializzate quali Rolling Stone, Melody Maker, Ciao 2001. Poi alcuni testi: fino agli anni Novanta, il riferimento universale in questo particolare settore era il libro Recordings of John, Paul, George & Ringo, paragrafo “Beatles for Others”, di A. Guzek e C. Mattoon. Datato 1977, si basava soprattutto su articoli apparsi all’epoca delle registrazioni su Rolling Stone, Melody Maker o sulle “fanzine” come il Beatles Monthly, il Beatles Book e altre. 11
HELP! Nel 1998 Kristofer Engelhardt lo ha reso obsoleto con la pubblicazione in America di Beatles Undercover, dopo avere setacciato a destra e a manca, e in alcuni casi intervistato i protagonisti in persona. Il suo libro ha contribuito anche a smentire alcune partecipazioni date per certe fino ad allora, nonché a portarne alla luce di nuove. Eppure, alcuni casi sono rimasti irrisolti. Con l’avvento di internet sono sbucati dal nulla diversi siti specializzati, ma come sempre accade in questi casi, l’attendibilità non è garantita. Ad esempio, vanno citati “letmetakeyoudown” e il “B.T.C.P. (Beatles Total Collaborations Project)” che includono qualunque cosa avesse a che fare con uno dei Beatles, compresa l’eventualità che si tratti solo di voci, leggende o partecipazioni in senso molto lato. Altri, invece, riportano esclusivamente le collaborazioni ufficiali, quindi solo se accreditate sui dischi o sulle ristampe in cd. Ma in questo caso sono state automaticamente escluse le apparizioni sotto falso nome o non accreditate seppur universalmente riconosciute perfino dai protagonisti. Nel 2009 Kristofer Engelhardt ha pubblicato una nuova edizione, Beatles Deeper Undercover, ancora più aggiornata e precisa. Tutto ciò è però sempre rigorosamente in lingua inglese e puntualmente ignorato dall’editoria italiana, se si eccettua Paul McCartney 1970-2003. Dischi e misteri dopo i Beatles di Russino, Guffanti e Oliva (il sottoscritto) che tratta l’argomento limitatamente a McCartney. Lungi dall’essere un’opera definitiva, nel presente volume ho cercato di raccogliere tutto il materiale disponibile, attraverso molti anni di avide ricerche, in modo da far luce su fatti veri o presunti. Al termine di questa lettura viene la parte più affascinante, seppur difficoltosa e dispendiosa: quella di cercare di procurarsi i dischi e le canzoni citate. Con un po’ di fatica (in alcuni casi tanta) ci si può riuscire. Un’ultima precisazione: molti dei personaggi che si incontreranno in queste pagine oggi non ci sono più. Ho deliberatamente scelto di non riportare anni di nascita o di morte per non trasformare il volume in uno sterile elenco di date. Per quello c’è Wikipedia.
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INTRODUZIONE: I BEATLES E LA APPLE Ma chi erano mai questi Beatles? A metà del secolo scorso «Liverpool era un po’ sbocconcellata», per citare Ringo Starr nel cartone animato Yellow Submarine. Niente a che vedere con la graziosa cittadina come si presenta oggi agli occhi di quei turisti che ogni estate la invadono per celebrarne i figli più famosi. Ovviamente l’aggettivo “grazioso” è riservato al centro della città, un’isola pedonale ordinata e pulita, pullulante di negozi di souvenir, alberghi e centri commerciali, che da Paradise Street si estende fino all’Albert Dock – dove è stato istituito il museo Beatles Story –, passando per Matthew Street. Qui è tutto un susseguirsi di pub e locali che accolgono soltanto due tipologie di fan: quelli sportivi, che seguono le sorti del Liverpool F.C., la squadra di football più titolata del Regno Unito – oggi lievemente in ribasso –, e quelli dei Beatles. Lo storico Cavern (1957), in parte demolito, ha riaperto i battenti nel 1984, clone della sede originale e oggi etichettato come il “pub più famoso del mondo”, dove sera dopo sera, per tutto l’anno, si beve birra, si canta e si balla al ritmo delle canzoni che hanno contribuito alla elezione di Liverpool come Capitale europea del 2008. Oltre alla squadra di calcio e ai Beatles, l’altro orgoglio della città è il fiume Mersey, che dai monti Pennini attraversa la periferia di Manchester, passa per il centro di Liverpool e sbocca nel grigio mare d’Irlanda. La sua presenza per gli Scousers è così importante che da qui è derivato il nome dell’intero movimento musicale, nato da quelle parti all’inizio degli anni Sessanta, il Mersey Sound. A quei tempi Liverpool, fredda città portuale del nord dell’Inghilterra, a trecento chilometri da Londra, non offriva molto. Le tracce della guerra erano ancora sotto gli occhi di tutti; in una delle canzoni popolari più famose, In My Liverpool Home, c’è tutto, dal disastro provocato dai bombardamenti tedeschi alla disoccupazione, alla miseria, fino all’orgoglio del liverpudlian: Sono nato laggiù nei Docks, dove la religione è cattolica e il lavoro una rarità; sono esperto nel rubare e la notte dormo sotto un vecchio cappotto. Negli anni Quaranta il mondo impazzì, il signor Hitler ci gettò addosso tutto quello che aveva e quando la polvere e il fumo si alzarono, un vecchio ringraziò Dio perché il Pier Head stava ancora là. A casa mia a Liverpool parliamo con un accento estremamente raro, ci incontriamo sotto una 13
HELP! statua estremamente spoglia, però se vi serve una cattedrale ne abbiamo una in più… Gli adolescenti non avevano molti altri interessi oltre alla musica. In particolare impazzivano per lo “skiffle”, un miscuglio di contaminazioni della musica popolare con radici country, folk e jazz, e qualche venatura di blues. Lo skiffle nacque sulle rive del Mersey proprio come una sorta di blues bianco, laddove il Mersey era il Mississippi locale: una musica che poteva essere suonata da chiunque con strumenti fatti in casa, come il “washboard”, lo “jugs”, il “tea chest bass”, il “cigar-box fiddle”, il “musical saw”, che non erano altro che l’asse da lavare per le percussioni, il manico della scopa con rudimentali corde per fare il basso, il contenitore del tè come grancassa e così via. Nei casi più sofisticati, appariva qualche chitarra sgangherata o addirittura il banjo. Spesso i marinai americani che sbarcavano da quelle parti si portavano dietro i primi 45 giri di rock’n’roll, Chuck Berry, Buddy Holly, Little Richard o Elvis Presley che, comunque, finivano nelle mani dei ragazzini locali. In questo panorama apparvero i Quarrymen. John Lennon, spirito ribelle e spiccato senso artistico, aveva messo su un piccolo “complesso”, costringendo i suoi compagni a seguirlo in improbabili esibizioni. Il 6 luglio 1957, data ormai entrata nella storia della musica, John conobbe il quindicenne Paul McCartney alla festa della chiesa di St. Peter a Woolton. La sua perizia e “professionalità” nel cantare le parole esatte delle canzoni colpirono a tal punto il leader dei Quarrymen che, seduta stante, Paul fu accolto nel gruppo. Con l’avvento di George Harrison nacque il nucleo originale dei Beatles. Stuart Sutcliffe, un amico e collega della scuola d’arte, fu convinto (o costretto) da John a comprare e suonare il basso. Riuscirono a ottenere un ingaggio per una breve tournée in Scozia come gruppo di spalla di Johnny Gentle, e al ritorno accolsero nel gruppo Pete Best, uno dei pochi ragazzi che possedevano una “vera” batteria. Dal vecchio skiffle al Mersey Beat, in pratica dai Quarrymen ai Silver Beatles (poi Beatles), il passaggio fu piuttosto rapido. La gavetta era durissima, ma il consenso che i cinque si guadagnavano con le esibizioni al Cavern li portò ad Amburgo, dove i locali come l’Indra, il Bambi Kino e lo Star Club accoglievano a braccia aperte decine di gruppi e cantanti inglesi. Tra questi c’era Tony Sheridan, un rocker alla Elvis, il quale nel 1961 incise una manciata di cover di vecchi brani per la Polydor, servendosi dei Beatles come gruppo di accompagnamento. Cuoio, stivaletti, birra e coca, da veri punk ante litteram, notte dopo notte i Beatles si fecero le ossa maturando un’esperienza importantissima dal lato umano e professionale. Il repertorio era basato su cover di standard e classici del rock’n’roll, oltre a qualche timido brano originale composto da John e Paul. Sutcliffe restò in Germania, dove sarebbe morto di lì a poco per emorragia cerebrale. Al ritorno dal terzo tour ad Amburgo, la popolarità della band giunse all’attenzione di Brian Epstein, titolare di un negozio di dischi ed elettrodomestici, quando gli fu chiesto un 45 giri con My Bonnie, incisa da uno sconosciuto gruppo proveniente dalla Germania. Incuriosito, Epstein li scovò giù al Cavern e si propose come 14
INTRODUZIONE: I BEATLES E LA APPLE manager. I Beatles continuarono a suonare al Cavern in centinaia di serate, finché Epstein riuscì a ottenere per loro la prima audizione seria, da parte della Decca. Dopo un viaggio estenuante, ammassati assieme agli strumenti a bordo di un furgone, John, Paul, George e Pete arrivarono finalmente a Londra, giusto in tempo per trascorrere la sera di Capodanno in una Trafalgar Square coperta di neve. Il mattino del primo gennaio 1962 eseguirono un repertorio discutibilmente scelto da Epstein, con strumenti forniti dalla casa discografica, davanti a un personale in camice bianco che li ascoltava con scetticismo. Furono impietosamente scartati perché «i gruppi chitarristici erano ormai sorpassati». Più verosimilmente furono snobbati perché venivano dal nord e, scritturandoli, si sarebbero presentate difficoltà logistiche altrimenti inesistenti con i gruppi locali: gli furono preferiti i londinesi Tremeloes, audizionati lo stesso giorno. Epstein, deluso, riuscì a ottenere il nastro del provino e a farsene stampare a proprie spese una lacca presso il negozio della HMV, la famosa His Master Voice di Oxford Street, dove gli fu suggerito di rivolgersi alla EMI. Il contratto arrivò dopo un anno e mezzo, quando George Martin, responsabile dell’etichetta Parlophone, fu incaricato dai dirigenti della EMI di occuparsi dei Beatles. Alla vigilia dell’incisione del primo singolo, Love Me Do, Pete Best venne sostituito da Ringo Starr, ex batterista degli Hurricanes di Rory Storm della scena del Merseybeat. Love Me Do si affacciò timidamente nelle classifiche anche grazie al valido aiuto di Brian Eptsein (non dimentichiamo che lui era proprietario di un negozio di dischi). Il secondo 45 giri fu Please Please Me, che Lennon si ostinò a voler incidere in luogo della How Do You Do It che aveva scelto Martin. Il primo album, costituito da cover e da pezzi originali, venne registrato ad Abbey Road l’11 febbraio del 1963 in una massacrante maratona di quindici ore. A notte inoltrata era rimasto lo spazio e il tempo per un altro brano, ma la voce di Lennon era oramai andata. Latte e menta lo aiutarono a sparare le ultime cartucce per lo scempio definitivo delle sue corde vocali in una sola, violenta take: una Twist and Shout così non la si sarebbe più ascoltata. La canzone fu inserita a chiusura del disco, mentre in apertura c’era la roboante I Saw Her Standing There di Paul McCartney. Il suono fresco e aggressivo portò un vento di novità che presto sarebbe diventato un tornado. Il secondo album, With the Beatles, seguì a ruota ripercorrendo lo stesso schema del primo. I singoli del calibro di She Loves You, From Me to You e I Want to Hold Your Hand fecero il resto: l’Inghilterra, l’Europa, poi l’America, infine il mondo intero furono conquistati. In soli otto anni e una produzione impressionante, i Beatles avrebbero preso per mano il rock’n’roll degli esordi e lo avrebbero condotto nel loro percorso più logico attraverso il beat, il pop e infine il rock. Con loro, la musica dei giovani non sarebbe stata più riservata a un pubblico di soli adolescenti, e nel corso del decennio la sbalorditiva influenza dei Beatles avrebbe toccato anche diversi campi extra musicali. 15
HELP! Nel biennio 1963-1964 Lennon e McCartney raggiunsero un livello di prolificità altissimo, aiutando in maniera cospicua anche gli altri artisti che si erano affidati a Epstein: è qui che cronologicamente si colloca l’origine di questo libro. A Hard Day’s Night, disco e film del 1964, li vide impegnati per la prima volta con tutte canzoni originali, una serie incredibile di hit che vanno dalla titletrack a Can’t Buy Me Love e And I Love Her, antesignana della ballata alla McCartney. Alla fine dell’anno i Beatles, seppur esausti e scarichi sia fisicamente che creativamente dopo mesi di attività frenetica, riuscirono a restare nella media di due album all’anno, pubblicando il sottovalutato Beatles for Sale. L’album, sebbene completato grazie al ricorso ad alcune cover, contiene gemme del calibro di I’m A Loser, I’ll Follow the Sun, No Reply, Baby’s in Black e Eight Days a Week, canzoni che, da sole, con gli standard di oggi, varrebbero un’intera carriera. Lo stesso discorso vale per Help!, uscito l’anno successivo abbinato al film omonimo: è inimmaginabile pensare che oggi esca un album con brani quali Help!, Ticket to Ride, You’ve Got to Hide Your Love Away e, per finire, Yesterday. Il 1965 chiuse il primo periodo dei Beatles, quello più legato al beat. In quell’anno la Regina conferì ai quattro l’Ordine dell’Impero britannico. In estate si esibirono davanti ad oltre cinquantamila persone allo Shea Stadium di New York, in quello che fu il primo concerto rock in uno stadio. Da allora in avanti i Beatles, ormai osannati e imitati dovunque, si sarebbero dedicati con più attenzione al lavoro di studio. Il risultato fu sorprendente: Rubber Soul e Revolver sono capolavori di maturità, infarciti di sonorità inedite e prime influenze indiane, in più accompagnati da singoli quali Day Tripper, We Can Work It Out, Rain e Paperback Writer. Iniziarono le sperimentazioni di studio e le esplorazioni musicali che portarono il gruppo a sfruttare tutte le risorse tecniche che avevano a disposizione all’epoca. E giunse così la decisione di abbandonare l’attività live: non si poteva cantare una Eleanor Rigby nell’assordante delirio delle fan, e nondimeno con le attrezzature del 1966 non sarebbe stato possibile riprodurre una Tomorrow never Knows. L’ultimo concerto fu quello del Candlestick Park di San Francisco nell’agosto del 1966. Era finito un incubo ed era cambiata un’epoca. Addio beat e canzoncine zuccherose, addio frangette e yè yè, addio vecchi Beatles. Nell’aria del 1967 c’era profumo di nuovo, un profumo di fiori. “Flower Power”, “Swinging London”, “Summer of Love” sono tutti termini che sbocciarono in quei mesi e oggi entrati nell’immaginario collettivo. E contemporaneamente alle sperimentazioni musicali, i Beatles si dedicarono con altrettanta passione alla sperimentazione di nuove sostanze quali l’LSD e le droghe sintetiche che “aprivano la mente”. Anticipato da quello che è considerato il più grande singolo di tutti i tempi con Penny Lane e Strawberry Fields forever, due splendidi acquerelli dedicati a Li16
INTRODUZIONE: I BEATLES E LA APPLE verpool, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band fece il suo devastante ingresso nel mondo la mattina del primo giugno 1967. La copertina caleidoscopica con gli stralunati testi stampati sul retro, il concetto uniforme delle canzoni e dei suoni, l’epico finale di A Day in the Life, apocalittico epitaffio seguito da sberleffi e ultrasuoni: tutto questo contribuì a fare dell’album non una pietra miliare, ma la pietra miliare del rock. Nella gran parte dei sondaggi effettuati allo scopo di definire, ove mai fosse possibile, il migliore o il più importante album di tutti i tempi, il Pepper è sempre al primo posto. Ed è a questo punto che, secondo molti, la musica rock diventa adulta. Il critico letterario Guy Aston affermò che «grazie a quell’album i Beatles riuscirono a conferire credibilità alla musica pop e a farne qualcosa che andava trattata con serietà come qualsiasi altra espressione artistica». Dopo Sgt. Pepper niente più sarebbe stato come prima nel mondo musicale. Molti gruppi coevi avrebbero seguito il suo esempio, e alcuni ne sarebbero usciti con le ossa rotte. Con un colpo di genio i Beatles si erano trasformati in santoni rappresentati dalla Banda del Club dei Cuori Solitari: la guida spirituale di un pubblico visionario costituito da personaggi famosi del passato e del presente, tra cui gli stessi Beatles con giacca, cravatta e caschetto. Sono stati scritti interi trattati soltanto sulla genesi della copertina, con il suo collage di nomi famosi che avrebbe creato una schiera di imitatori senza paragoni. A tal proposito, non tutti sanno che tra i personaggi ci sono anche Sophia Loren e Marcello Mastroianni, i quali però vennero coperti nella fase di montaggio finale dalle statue di cera dei Beatles (per l’esattezza, la Loren si trova dietro John e George, e Mastroianni dietro Ringo e Paul. Il cappello di Mastroianni spunta ancora sotto il mento di Marlon Brando). Il clamore suscitato da quell’album non si era ancora affievolito quando i Beatles sferrarono un altro colpo: All You Need Is Love eseguita negli studi della EMI e trasmessa in mondovisione li confermò leader del loro tempo. Quale sarebbe stato il passo successivo? Magical Mystery Tour, il film con il quale i Beatles onoravano il contratto che li legava ai progetti cinematografici, venne trasmesso nel 1967 il giorno del “Boxing Day”, da noi Santo Stefano. Mentre i tradizionali inglesi si apprestavano a scartare i tradizionali regali di Natale davanti a una tavola tradizionalmente imbandita, nelle tv in bianco e nero apparvero i quattro Beatles che, accompagnati da nani e spogliarelliste, giravano per le campagne inglesi su un variopinto bus, mentre i loro alter ego, travestiti da Mago Merlino, erano indaffarati in improbabili sortilegi. Fu il primo fiasco di pubblico e la critica sentenziò: «I Beatles sono finiti». In realtà il film, concepito a colori ma trasmesso in bianco e nero, non era brutto ma semplicemente era troppo avanti per l’epoca. Il tempo avrebbe infatti reso giustizia al suo surrealismo e soprattutto alla musica in esso contenuta, basti citare canzoni come I Am the Walrus, The Fool on the Hill e Hello Goodbye. Il 1968 vide la nascita della Apple, l’etichetta creata dai Beatles per dare vi17
HELP! ta a molteplici aspetti artistici. Il primo disco pubblicato con il nuovo marchio fu Hey Jude con Revolution sul lato B, al quale seguirono i progetti di Mary Hopkin e di Jackie Lomax. Questo fu un anno chiave: mentre il mondo cambiava, i Beatles, che erano stati tra i propulsori e gli artefici dei fermenti artistici, si rifugiarono in India, dove, trascinati da George, si dedicarono anima e corpo alla filosofia del posto. La meditazione trascendentale e l’infatuazione per la cultura orientale li portarono alle pendici dell’Himalaya per un corso di “rigenerazione spirituale” con il Maharishi Mahesh Yogi. Con loro c’erano anche altri artisti, tra cui Donovan, Mike Love dei Beach Boys e l’attrice Mia Farrow. Nel fiume Gange ritrovarono l’ispirazione per nuova musica, e le numerose canzoni concepite durante il soggiorno andarono a costituire il nuovo album, il doppio The Beatles universalmente noto come White Album, un compendio della storia del rock che includeva folk, pop, blues, country e avanguardia con echi di vaudeville, underground e musica classica. In particolare, vanno ricordate Dear Prudence, scritta da Lennon per Prudence Farrow, sorella di Mia, e Sexy Sadie, amara dedica al guru. Un’altra canzone, Child of Nature, sarebbe diventata la Jealous Guy pubblicata qualche anno dopo da John. L’unico documento filmato esistente dei Beatles in India fu il reportage effettuato dalla televisione italiana per lo speciale Tv7, in cui i quattro cantano Hare Krishna in riva al Gange. Ringo restò in India due settimane, Paul resistette per un mese, George e John tre. Al ritorno a Londra si resero conto che al posto dei ragazzini arrivati appena sei anni prima a bordo di un furgone scassato, c’erano quattro uomini famosi, ricchi e, soprattutto, molto diversi tra loro. Il biennio seguente li avrebbe visti impegnati in altri progetti, tra cui le produzioni per gli artisti messi sotto contratto dalla Apple; ma all’inizio del 1969 decisero di tornare al passato, sebbene fosse defluita tanta acqua sotto i ponti di Liverpool. Interessi diversi, vite private agli antipodi e gusti musicali ormai inconciliabili portarono i primi dissapori. Mentre usciva Yellow Submarine, colonna sonora del film a cartoni, nel gennaio del 1969 iniziarono le riprese di Get back, quello che doveva essere un tentativo di ricominciare da zero e che invece diventò un lento ma graduale sfacelo. Negli studi di Twickenham, ripresi dalle telecamere fin dalle otto del mattino, si svilupparono attriti irreversibili. John, accompagnato come un’ombra da Yoko, si mostrava completamente disinteressato a qualsiasi cosa riguardasse il gruppo; Ringo sbuffava ma assecondava; George covava rancore e frustrazione per non potersi esprimere come avrebbe voluto; mentre il solo Paul cercava di tenere unita la baracca e di fare da guida, ottenendo il risultato di peggiorare le cose. Di quel mese di reclusione e del rapido trasloco negli studi della Apple restarono centinaia di ore di nastri e un ultimo, indimenticabile concerto sul tetto: il pomeriggio del 30 gennaio del 1969 i Beatles diedero vita a una estemporanea (oggi leggendaria) esibizione tra i comignoli di 18
INTRODUZIONE: I BEATLES E LA APPLE Savile Row, per i passanti col naso in su e alcuni bobbies poco accondiscendenti. Il progetto Get back fu accantonato e poi ripescato per essere rimaneggiato da Phil Spector. Sia il film che l’album, diventato Let It Be, uscirono solo nel 1970, diversi mesi dopo l’ultimo vero lavoro collettivo. Forse consapevoli che sarebbe stato l’ultimo capolavoro, i Beatles richiamarono George Martin promettendogli la disciplina dei vecchi tempi per realizzare Abbey Road. Ritenuto da molti il più bell’album dei Beatles, certamente quello che ha venduto di più, Abbey Road avrebbe dovuto chiamarsi Everest, dal nome della marca di sigarette fumata dal tecnico del suono. Ma l’idea di volare fino in Tibet per scattare la foto di copertina non entusiasmò nessuno. L’8 agosto, alle dieci del mattino, John, Ringo, Paul e George si disposero in fila indiana e attraversarono, forse per l’ultima volta tutti issieme, le strisce pedonali di Abbey Road, e così battezzarono l’album. Come Together, Something, Oh Darling, Here Comes the Sun e il lungo Medley della seconda facciata sono tra i momenti più alti dell’intera storia dei Beatles: E alla fine l’amore che dai è uguale all’amore che ricevi. L’avvento di Allen Klein alla Apple fu letale per i Beatles. Fortemente sostenuto da Lennon, malgrado i vani tentativi di metterlo in guardia effettuati da Mick Jagger, Klein riuscì a ottenere un contratto manageriale incredibilmente vantaggioso. George e Ringo appoggiarono John e isolarono Paul, il quale propendeva per il suocero, l’avvocato John Eastman, che aveva ben altre credenziali rispetto a Klein. La storia finì in tribunale. Travolti da liti, interferenze, carte bollate, malintesi e ripicche, i Beatles si sciolsero ufficialmente nell’aprile del 1970. In questo panorama fu chiamato Spector a ripulire il cospicuo ma incasinato materiale registrato per Get back, cosa che creò ulteriori dissidi e malumori. Ne venne fuori Let It Be, un album zeppo di momenti indimenticabili (Two of Us, Across the Universe, Let It Be, The Long and Winding Road), ma che fu anche causa della rottura definitiva, per la concomitanza della sua data di uscita con quella dei primi lavori solisti di Ringo e Paul; quest’ultimo non trovò di meglio che utilizzare come pretesto la manomissione da parte di Spector della sua The Long and Winding Road, e troncò ogni rapporto con gli ex amici. In realtà era semplicemente stufo di cercare di mantenere a galla una barca che stava affondando tra il disinteresse della ciurma. I più cinici si consolarono al pensiero di avere non più uno, bensì quattro album dei Beatles ogni anno. In effetti, almeno all’inizio, fu quasi così. Con l’insuperabile All Things Must Pass George sfoderò in un colpo solo tutto ciò che aveva dentro e che non gli era stato possibile tirar fuori con i Beatles. John urlò al mondo la sua rabbia repressa in Plastic Ono Band e la ribadì, seppur addolcita, l’anno successivo con Imagine. Paul confezionò McCartney, inciso completamente da solo nello studio di Cavendish Avenue, e poco dopo Ram, acclamati dal pubblico ma criticati dalla stampa, solo per essere rivalutati 19
HELP! negli anni (entrambi, ma soprattutto il secondo, figurano sempre tra i migliori album solisti di McCartney). Ringo, dopo i primi, inevitabili stenti con dischi dedicati ai vecchi standard amati dai genitori (Sentimental Journey) e al country di Nashville (Beaucops of Blues), trovò la formula giusta con i singoli Back off Boogaloo e It Don’t Come Easy. Il 1973 fu l’annus mirabilis dell’en plein di Mind Games, Living in the Material World, Ringo e Band on the Run. Tutti e quattro erano ancora in grado di regalare ottima musica e anche qualche capolavoro che si reggeva da solo, senza il sostegno della leggenda Beatles. Sarebbero poi arrivati Walls and Bridges, Venus and Mars, George Harrison, London Town, tutti buoni dischi, ma non apprezzati come avrebbero dovuto. Ai tempi, i Beatles non erano ancora assurti a icone intoccabili e non lo sarebbero stati fino alla fine degli anni Ottanta. I nuovi eroi del progressive e poi quelli del punk spazzarono via i “vecchi”, per i quali sembrava non ci fosse più spazio. A metà dei Settanta, il solo Paul conobbe un nuovo successo con i Wings, mentre gli altri tre, dopo essere stati costretti dagli eventi a ricredersi sull’affidabilità di Allen Klein, si ritrovarono in un periodo di stallo della loro vita. George era in continua polemica con la critica musicale e sembrava avere smarrito l’ispirazione; Ringo si impelagò tra dischi mediocri e abusi etilici; John, dal canto suo, nel 1973 aveva lasciato Yoko ed era partito per il famigerato Lost Weekend di Los Angeles, assieme alla segretaria May Pang. Dopo il successo del film American Graffiti e del telefilm Happy Days, il rock’n’roll degli anni Cinquanta stava conoscendo una nuova popolarità e, sull’onda del revival, Lennon aveva deciso di soddisfare il suo atavico desiderio di incidere un intero album di cover. A questo punto restò incastrato in quelle che sono tra le più bizzarre e burrascose sessions del rock. E come se non bastasse, contemporaneamente decise di produrre l’album dell’amico Harry Nilsson e di aiutarlo nelle incisioni. Tutti i compagni delle assurde notti californiane e gli altri sessionmen che gravitavano nell’area di Los Angeles giunsero in studio armati di tutto tranne che di professionalità. In più a produrre Rock’n’Roll fu chiamato Phil Spector, il quale arrivò armato per davvero. Trascorsero mesi di follia prima che Spector sparisse con i nastri. L’aspetto positivo è che, durante la lavorazione dell’album di Nilsson, ci fu l’unica occasione in cui John e Paul si ritrovarono in uno studio dopo la fine dei Beatles. Accadde il 28 marzo 1974 ai Burbank Studios. Poco tempo dopo Lennon decise di tornare a New York, dove incise un album schietto e a tratti magnifico come Walls and Bridges. Al biennio 1974-1975 risalgono le sue collaborazioni con David Bowie ed Elton John. Grazie a Elton si esibì, per l’ultima volta dal vivo, al Madison Square Garden la sera in cui tornò con Yoko. Il progetto Rock’n’Roll fu ripreso allorché la Capitol riuscì a riavere i nastri di Spector, previo il versamento di ben novantamila dollari dell’epoca. John richiamò i musicisti che avevano col20
INTRODUZIONE: I BEATLES E LA APPLE laborato a Walls and Bridges e completò l’album, che uscì nel 1975 e fu l’ultimo di Lennon prima del ritiro dalle scene che sarebbe durato cinque anni. Come diversi altri personaggi che si incontrano in questo libro, due dei Beatles ci hanno lasciato: l’uno è stato portato via da un imbecille psicopatico nel 1980, l’altro da un male incurabile nel 2001. John aveva appena siglato il suo spettacolare ritorno con Double Fantasy e aveva addirittura programmato un tour, ma evidentemente non doveva andare così. Gli anni Ottanta si aprirono con McCartney II, uscito come prosieguo del McCartney di dieci anni prima, ancora inciso senza il supporto di altri musicisti. Di quel decennio vanno ricordati gli ottimi Tug of War di Paul e Cloud Nine di Harrison, con un occhio di riguardo ai vituperati Stop and Smell the Roses di Ringo, Gone Troppo di George e Pipes of Peace di Paul. Choba B CCCP, il Rock’n’Roll di McCartney, fu pubblicato inizialmente solo per il mercato sovietico. Ma in questo decennio è stato Harrison a regalare ai fan la sorpresa più bella con la creazione dei Traveling Wilburys: progetto che in un libro che tratta di collaborazioni merita il podio. Gli anni Novanta furono importanti soprattutto perché videro il ritorno dal vivo sia di Paul, che di George e di Ringo, i quali finalmente si decisero a riprendere e riproporre le proprie composizioni degli anni dei Beatles. Avevano fatto pace con il passato. «È assurdo che chiunque possa suonare dal vivo Hey Jude, mentre io che l’ho scritta non l’ho mai fatto!», disse McCartney, il quale nel 1989, con i Wings ormai alle spalle, iniziò a girare il mondo con concerti sold out che continuano ancora oggi. Nel dicembre del 1991 George intraprese un breve ma applauditissimo tour in Giappone con Eric Clapton, con una chiusura spettacolare alla Royal Albert Hall nell’aprile 1992, accompagnato nel bis da Ringo, Gary Moore e Joe Walsh. Ringo scoprì la formula della All-Starr Band, una band intercambiabile formata da personaggi illustri che si alternano nelle varie edizioni, con cui da oltre venti anni riscuote applausi. In quel decennio Paul confezionò anche un ottimo Off the Ground e un solo altro capolavoro, Flaming Pie; di Ringo vanno citati Time Takes Time e Vertical Man, uno dei suoi album migliori, in cui fu ancora una volta “aiutato dagli amici”. Ma la notizia più succosa per i fan fu il megaprogetto Anthology con Free as a Bird e Real Love, gli inediti di John forniti da Yoko e incisi da Paul, George e Ringo con George Martin e Jeff Lynne, pubblicati assieme a nastri e filmati inediti. Del nuovo secolo vanno ricordati alcuni album di Paul, come l’ottimo Driving Rain, Chaos and Creation in the Backyard ed Electric Arguments (quest’ultimo accreditato all’alter ego Fireman); Ringo si mostra in gran forma dividendosi tra le varie edizioni della All Starr Band e buoni dischi: Liverpool 8, con la splendida title-track che trae il nome dalla zona in cui era ubicata la sua casa natale di Liverpool, e Y Not; una menzione particolare la merita Brainwashed, l’attesissimo lavoro di Harrison, uscito purtroppo postumo. 21
HELP! Ma sono sempre i Beatles come gruppo a fare notizia: la loro fama subisce addirittura un’impennata, ove mai ce ne fosse bisogno, quando viene rimasterizzato e ristampato l’intero catalogo, comprese le versioni mono dei loro album, in una mastodontica operazione che vede la luce lo stesso giorno della nascita di un videogioco a loro dedicato, The Beatles Rock Band, che li trasforma definitivamente in un prodotto multimediatico adatto a tutte le generazioni. È il 9 settembre del 2009 (9.09.09). Tutti nove, come il numero ricorrente nella vita di John Lennon. Oggi Liverpool non è più “sbocconcellata”, forse anche grazie ai Beatles. Il suo aeroporto è stato intitolato a John Lennon nel 2002. In quell’occasione Ringo commentò: «Sono contento, è giusto così. Spero che un giorno a me riservino un deposito bagagli». A questo punto, mi piace ripensare e divulgare un’oscura novella pubblicata tanti anni fa da una rivista inglese, ai tempi delle offerte galattiche per una reunion dei Beatles che non avvenne mai. Si intitolava Un viaggio dei Beatles né magico né misterioso. «In un freddo mattino inglese, uno dei tanti, Paul McCartney viene rapito da due sconosciuti mentre si trova nella sua fattoria scozzese. La stessa sorte tocca a John Lennon, una sera a New York, mentre sta rincasando: un individuo armato lo blocca nell’ascensore. A Los Angeles, George Harrison e Ringo Starr stanno uscendo da un ristorante, quando tre uomini si avvicinano e porgono loro un volantino con su scritto: “State calmi, ci sono due pistole puntate. Seguiteci”. Le quattro vittime vengono fatte salire su un’auto e dopate con delle siringhe. «John, Paul, George e Ringo si risvegliano in una stanza buia e si guardano con stupore; sono perplessi. Uno sconosciuto armato entra e annuncia che il giorno seguente ci sarà un concerto… dei Beatles. Qualunque tentativo di ribellione viene presto represso. Dovranno fare almeno un’ora, una quindicina di canzoni da provare velocemente in gran segreto e poi saranno liberi. La notizia è già sui giornali di mezzo mondo: “I Beatles ritornano per un unico concerto al Superdome di New Orleans. Sono stati venduti già centomila biglietti e l’incasso sarà devoluto in beneficenza”. «John, il più restio, propone di chiudere la faccenda e di fare una versione di un’ora di Cold Turkey. Paul suggerisce che, poiché gli hanno detto che i rapitori hanno anche Linda e i figli, oltre a Yoko, sarebbe meglio obbedire. George è perplesso. Ringo, rassegnato, la mette sullo scherzo: “Benvenuti allo show di un solo giorno!”. Un accenno di rissa tra John e Paul, poi il buonsenso prevale. Nella stanza accanto gli strumenti per le prove sono già pronti. «Un mare di folla urlante accoglie le sagome dei quattro Beatles che salgono sul palco e imbracciano gli strumenti. Two of Us è la prima canzone, poi Across the Universe, I Me Mine e altre meno note. One After 909, una tra le prime scritte da John e Paul, ma pubblicata solo nel 1970, riporta indietro il tempo. Improvvisamente, come d’incanto, nella mente e nei cuori dei Beatles torna22
INTRODUZIONE: I BEATLES E LA APPLE no il Cavern, Amburgo, lo Shea Stadium, ed ecco allora Help!, Day Tripper, Girl, Yellow Submarine, e poi i pezzi da novanta Let It Be, Yesterday, Strawberry Fields Forever, Something, Penny Lane, Hey Jude. Prendi una canzone triste e rendila migliore chiude un concerto fiume di quasi quattro ore, tra le lacrime di gioia delle centomila persone. «Quella stessa notte, nel camerino, un uomo consegna una busta contenente tre assegni con cifre stratosferiche e una lettera: “Spero che non mi odierete. Era l’unico modo per farlo. Le pistole erano scariche e i rapitori erano degli attori da me assoldati. Ho dovuto pagare tutto, dagli aerei allo stadio, così sapete che non l’ho fatto per soldi. L’ho fatto per amore. Ho sempre amato i Beatles. Vostro Ringo”». E magari avremmo avuto anche un White Album Volume Two.
L’avventura della Apple Il 14 maggio del 1968 John e Paul annunciarono, in una conferenza stampa organizzata a New York, la creazione della Apple Corps: «Una sorta di comunismo occidentale gestita da gente libera per gente libera che non sopporta gli uomini in grigio». Il logo con la leggendaria mela verde fu ispirato dalle famose opere di René Magritte e realizzato dall’irlandese Gene Mahon, il quale aveva lavorato alla grafica di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Il concetto di fondo era quello di creare una società con una casa discografica privata che finanziasse e promuovesse i nuovi talenti e le avanguardie artistiche. L’idea era nata allorquando i contabili consigliarono ai Beatles di investire i propri guadagni per evitare che fossero assorbiti dal fisco. Dopo una prima sede provvisoria messa su a Wigmore Street, i Beatles acquistarono un antico edificio al numero 3 di Savile Row, nel cuore di Londra, tra Regent Street e Piccadilly Circus, e la elessero a proprio quartier generale. Chiunque poteva inviare nastri o presentarsi per un provino; e fu organizzata una campagna pubblicitaria che recitava: «Quest’uomo ha talento. Un giorno ha inviato un demo alla Apple e oggi possiede una Bentley...». Concepita come una sorta di battaglia contro l’industria conservativa britannica, la Apple Corps venne suddivisa in diversi rami: la Apple Music (che comprendeva la Zapple, una specie di outlet a cui erano destinate opere di avanguardia), la Apple Films, la Apple Electronics, la Apple Publishing e la Apple Boutique. Inoltre a Savile Row furono costruiti, in quasi tre anni di lavori, gli Apple Studios, modellati sulla falsariga dello Studio 2 di Abbey Road. Ognuno dei Beatles aveva la facoltà di scegliere gli artisti da scritturare, ma anche gli uomini più fidati, tra cui Derek Taylor, Peter Asher, Mal Evans, Peter Brown e il presidente Ron Kass, potevano proporre contratti, seguendo la regola non scritta che sarebbe stato necessario il parere positivo di almeno due dei Beatles. La nascita della Apple definì una nuova epoca per loro quattro, 23
HELP! che affrontarono l’esperienza carichi di entusiasmo. Ma in generale la gestione fu molto libera e piuttosto allegra, più che altro improntata sul concetto di “naivete”: semplicità e spontaneità artistica. Questo fece sì che nel giro di qualche anno la casa discografica si trovasse in pieno caos. Nel biennio 1968-1969 a Savile Row sembrò tenersi un party ininterrotto, con ogni genere di fabbisogno gratuito a disposizione di tutti i dipendenti. Esistono due libri dagli emblematici titoli che descrivono alla perfezione l’atmosfera che regnava alla Apple. Il primo è The Longest Cocktail Party, pubblicato nel 1973 da Richard DiLello, giovane studente americano assunto da Derek Taylor, registrato all’ufficio immigrazione come “house hippy” ma ufficialmente addetto alla rassegna stampa e ai rapporti con i clienti. Il secondo, uscito nel 2009 con il titolo Miss O’Dell: My Hard Days and Long Nights with the Beatles, the Stones, Dylan and the Women They Loved, è l’autobiografia di Chris O’Dell, anche lei un’americana arrivata a Londra con uno zaino e cento dollari ricavati dalla vendita della sua collezione di dischi (tra cui molti dei Beatles), assunta come segretaria e diventata assistente di Asher. Entrambi raccontano diversi episodi circa la peculiarità di alcuni personaggi che bazzicarono nella sede della Apple. L’ingresso degli uffici di Savile Row era quasi sempre occupato da sconosciuti che stazionavano sulle scale: c’erano aspiranti poeti, improbabili cineasti e presunti musicisti, ognuno con un proprio progetto da sottoporre ai Beatles. Ci fu il periodo “Emily’s Family”, quando si stabilì alla Apple una famiglia di hippy “peace&love” arrivati dall’America con lo scopo di convincere John e Yoko ad accompagnarli in un viaggio-vacanza alle isole Fiji. La signora Emily gironzolava seminuda per gli uffici, quasi sempre con un poppante attaccato al seno e un’altra ragazzina che giocava indisturbata per i vari locali, senza che nessuno osasse metterli alla porta. L’ospitalità era sacra, anzi addirittura venne concesso loro l’uso del quarto piano dell’immobile e l’utilizzo della cucina. Un altro personaggio che per un po’ frequentò con assiduità Savile Row era Stocky, un junkie americano che si piazzò nell’ufficio di Derek Taylor e vi rimase per due mesi, abbarbicato su un armadietto a dipingere graffiti di organi genitali. A un certo punto arrivarono da Los Angeles perfino gli Hell’s Angels con le Harley Davidson e un mare di pretese: restarono a bivaccare nella hall per oltre una settimana, cosa che destò grande preoccupazione negli antichi commercianti di Savile Row. A carico della Apple furono fatturate addirittura le spese per il trasporto aereo delle motociclette. Il disastro che avrebbero combinato ad Altamont durante il famigerato concerto dei Rolling Stones del dicembre del 1969 era ancora di là da venire, ma gli Angels si erano già guadagnati la loro più che meritata triste fama. Erano arrivati a Londra in dodici, diretti in Cecoslovacchia e avevano deciso di fare una tappa alla Apple, approfittando delle comodità che la “casa degli hippy” avrebbe potuto offrire. Gli Angels «emanarono onde di terrore», per 24
INTRODUZIONE: I BEATLES E LA APPLE dirla con DiLello, fin da quando varcarono la soglia. Quando Taylor, nel tentativo di tenerli buoni, cercò di dar loro il benvenuto e di spiegare come stavano le cose con le sue consuete maniere “british”, Frisco Pete, il capo, esclamò torvo: «Birra!». Durante il party della vigilia di Natale del 1968, con John e Yoko graziosamente vestiti da Babbo Natale, ci fu una rissa che convinse definitivamente il personale della Apple a sbarazzarsi di loro. George Harrison, il quale era stato il primo ad aver conosciuto gli Angels a San Francisco ed era stato, in un certo senso, l’involontario tramite di quella indesiderata visita, si assunse l’incarico di dar loro il benservito. DiLello ha ricordato così quel giorno: «“Entro stasera ve ne andrete via di qui, vero?”. Silenzio imbarazzante. L’aria si fece pesante. Uno dei motociclisti bofonchiò: “Ma allora tu sei con noi o no?”. La cosmica risposta di George fu questa: “Yin e Yang, testa e coda, sì e no”». Quella stessa sera, la sala di cui i dodici Angels si erano impadroniti era vuota. Tra i personaggi demenziali che frequentarono la Apple in quegli anni non c’erano soltanto avventori o ospiti indesiderati, ma anche dipendenti. Alexis Mardas era arrivato a Londra da Atene e, una volta conosciuto John Lennon tramite Brian Jones, riuscì a guadagnarsi la sua ammirazione grazie a un marchingegno battezzato “Nothing Box”, una scatola con delle luci a intermittenza colorate e luccicanti che John amava fissare per ore sotto l’effetto dell’acido. Da allora fu Magic Alex, assunto come responsabile della Apple Electronics e installatosi in un laboratorio nel seminterrato della Apple con lo scopo di inventare e costruire mirabilie elettroniche, tra cui un disco volante. Il tanto atteso studio futuristico a 72 piste, impensabile per quei tempi ma di cui lui aveva assicurato la riuscita, vide la luce, dopo un tempo che parve interminabile, sotto forma di una stanza con 16 altoparlanti attaccati alle pareti. È stato stimato che le invenzioni e le idee di Magic Alex costarono ai Beatles circa trecentomila sterline, che rapportate a oggi equivarrebbero a oltre tre milioni di sterline. A questo colorato panorama si aggiunsero le Apple Scruffs, come George aveva battezzato il gruppo delle fan che in pratica viveva alternativamente tra gli studi di Abbey Road e Savile Row, nella speranza di incontrare uno dei Beatles. Addirittura Harrison decise di dedicare loro una canzone dell’album All Things Must Pass. Una delle ragazze più assidue, Carol Bedford, era innamorata di George e avrebbe raccontato le sue avventure nel libro che pubblicò nel 1984, Waiting for the Beatles (An Apple Scruffs Story). A proposito della canzone di Harrison, ricorda: «Alle sei di mattina Mal Evans uscì dagli studi e disse che George voleva vederci. Incredule, entrammo timidamente nella reception, dove Evans ci indicò la sala di controllo. Una volta nello studio, scorgemmo George seduto dietro la porta, con un atteggiamento imbarazzato e lo sguardo basso. Noi eravamo in cinque, tutte spaventate non sapendo il motivo per cui ci aveva chiamato. Pensavamo di aver fatto qualcosa di offensivo nei 25
HELP! suoi confronti, quando George, a bassa voce, ordinò a Mal di far partire il nastro. La canzone iniziò: Vi ho guardate sedute là con i passanti che vi fissavano come se non aveste un posto dove andare. Siete state qui per anni e avete visto i miei sorrisi e le mie lacrime, e mi siete rimaste nella mente. Nella nebbia e sotto la pioggia, nel piacere e nel dolore, ve ne state fuori alla porta con i vostri fiori in mano, e mentre gli anni passano, il vostro amore mi dimostra che, malgrado tutto il tempo e lo spazio che c’è fra noi, saremo per sempre insieme. Io vi amo, mie Apple Scruffs. Restammo impietrite. Era la più bella cosa che un Beatle avesse mai fatto per noi: la nostra canzone. Ed era così bella, con quell’armonica allegra e le parole sincere. Noi stavamo davvero lì con i fiori in mano, e i nostri fiori appassivano sempre, per il gran tempo che aspettavamo. George aveva visto e capito tutto e la canzone era il suo modo di ringraziarci e di accettarci. Quando finì, rimanemmo silenziose e incredule. Ci risvegliammo da quello che sembrava un sogno solo quando lui si alzò e si diresse verso la porta. Io gli urlai: “George, grazie!”, e lui: “Sono contento che vi piaccia”, e uscì dalla stanza. Quella mattina corremmo a casa per preparare un regalo per George». La Apple Boutique, che era stato uno dei primi progetti a vedere la luce, nel dicembre del 1967, fu anche il primo a chiudere i battenti nel luglio del 1968. Era stata aperta al 94 di Baker Street, in un elegante edificio georgiano che i Beatles avevano acquistato qualche tempo prima e dove aveva sede la Apple Publishing, il ramo aziendale che si occupava dei diritti di pubblicazioni musicali. Inizialmente, della gestione della boutique, intesa come vendita al dettaglio, furono incaricati Pete Shotton, amico d’infanzia di John Lennon, e Jenny Boyd, cognata di George Harrison. La facciata del prestigioso immobile fu decorata con un gigantesco affresco psichedelico dagli artisti olandesi appartenenti al gruppo The Fool, gli ideatori della Rolls Royce psichedelica di John e della busta interna di Sgt. Pepper, ai quali fu dato un budget illimitato. Il disappunto dei tradizionalisti abitanti di Baker Street costrinse il Comune a ordinare la «cancellazione immediata del dipinto con vernice bianca». Gli affari non andarono mai a gonfie vele e le ragioni della repentina chiusura della boutique non furono mai spiegate con esattezza, ma probabilmente furono gli stessi Beatles a esserne stufi. Una sera, dopo l’orario di chiusura, tutti e quattro, accompagnati da mogli e fidanzate e da Neil Aspinall, si chiusero all’interno del negozio e scelsero alcuni capi da portare via. Pare che il solo Ringo sia rimasto a bocca asciutta, non avendo trovato niente della sua taglia. Il mattino successivo vennero spalancate le porte e tutti i passanti furono invitati a entrare e prendere gratuitamente tutta la merce che desideravano, dai capi preziosi alle sete indiane che ancora adornavano l’interno del negozio. In poche ore furono regalati indumenti e oggetti per un valore di oltre diecimila sterline. Era solo il 1968 e molti già interpretarono la chiusura della Apple Boutique come l’inizio della fine. 26
INTRODUZIONE: I BEATLES E LA APPLE Il “sogno hippy gestito da hippy” svanì definitivamente quando Allen Klein, un uomo in grigio venuto da New York e assunto nel 1970 per mettere ordine, effettuò tagli e licenziamenti a raffica nel tentativo di limitare le spese e dare una parvenza di efficienza all’azienda. Con l’addio ai personaggi improbabili e a molti dipendenti storici, la Apple assunse i connotati di una società seria, forse più efficiente e, soprattutto, senza sprechi. Però diventò triste, e si sarebbe presto disintegrata, malgrado fossero stati aperti uffici anche a New York e a Los Angeles. Dal lato più strettamente musicale, tra le tonnellate di nastri che arrivarono e che restarono inascoltati nei depositi, la Apple produsse, a parte i Beatles, molti artisti validi e tanta buona musica. Tra coloro i quali andarono vicini a incidere per la Apple, c’erano molti nomi che sarebbero poi emersi altrove. I Pogo erano un gruppo americano di country-rock che chiesero un’audizione per un contratto. Tutto ciò che ottennero fu il suggerimento da parte di Lennon a cambiare il nome in Poco, con cui avrebbero sfondato qualche mese dopo. Gli Yes furono scoperti in un pub e invitati a incidere un demo, prima ascoltato e poi subito dimenticato da Lennon. Crosby Stills & Nash furono approvati da Harrison ma non firmarono per disaccordi economici. Anche Gilbert O’Sullivan, i Supertramp, i Fleetwood Mac e i Queen furono molto vicini a un contratto con la Apple. Singolare e allo stesso tempo emblematica è la storia del trio americano Mortimer. Il gruppo aveva inciso un album per la Philips e, quando Lennon e McCartney si recarono a New York per presentare la nascita della Apple, riuscì a far recapitare loro una copia del disco. Poco tempo dopo i tre andarono a Londra e si presentarono alla Apple, dove furono invitati a improvvisare un provino. Evidentemente John aveva lasciato istruzioni precise. Mentre eseguivano con le chitarre acustiche la canzone Life’s Sweet Music, entrò George Harrison, ne canticchiò il motivo e disse: «Scritturateli». Vennero incise delle nuove canzoni, tra cui una cover di Two of Us, ma quando tutto era pronto per la pubblicazione dell’album, ci fu l’avvento di Allen Klein e il progettò saltò. L’acetato è ancora negli archivi Apple. John Beland è un altro artista cui la Apple fece un contratto, ma che non riuscì a pubblicare alcunché. Nel 1973 aveva proposto a Tony King, uno dei nuovi responsabili dell’azienda, un nastro con Banjo Man. Era questa una sua canzone che, parole sue, «stava a metà tra i Beatles e i primissimi Bee Gees» e fu Ringo a contattarlo telefonicamente per invitarlo a firmare con la Apple. Ma oramai era troppo tardi: la società era già in declino e Beland era arrivato fuori tempo massimo. Aveva appena terminato le sovraincisioni per la sua canzone, quando fu informato con un telegramma che tutto era stato congelato a causa dei problemi legali che assillavano la Apple. Anche gli studi di registrazione ebbero i loro momenti di gloria. Furono progettati nel 1968 e utilizzati fin dal 1969, all’epoca delle riprese per il film Let It Be. Vennero completati solo nel 1971 con una spesa di circa un milione e mezzo di dollari, con i Beatles ormai sciolti, e furono messi a disposizione an27
HELP! che di artisti esterni. Essendo considerati tra gli studi più all’avanguardia d’Europa, se ne servirono molti grandi nomi, tra cui Harry Nilsson, Roger Daltrey, Alex Harvey, Leo Sayer, Wishbone Ash, le Fanny, Lord e Ashton, Nicky Hopkins, i Nazareth, Don Nix, Linda Lewis, Vivian Stanshall, gli Stealers Wheel, Jack Jones, Gary Wright, Bobby Hatfield, Linda Lewis e Tony Hazzard. Spiccano anche alcuni nomi “esotici”: i tedeschi Eulenspygel e i siciliani La Bionda. Il primo album inciso nei nuovi studi di Savile Row, che furono inaugurati nel 1971, fu Brother dei fratelli Lon & Derrek Van Eaton. Tony Hazzard fece un omaggio particolare: vi incise il suo album nel 1973, in cui inserì una canzone appena composta dal titolo Paul McCartney. Nello stesso anno Roger Daltrey andò oltre quando effettuò negli studi della Apple il mixaggio del suo album Daltrey. In quella occasione chiese, e ottenne, il permesso di registrare la voce per il brano di apertura del disco, One Man Band, sul tetto dell’edificio, procurandosi il medesimo effetto sonoro del concerto dei Beatles del 30 gennaio del 1969. Gli ultimi album a essere incisi negli studi furono quelli dei Kilburn & The Highroads, un gruppo da pub guidato da Ian Dury, che di lì a poco sarebbe esploso nell’ambito della rivoluzione punk, e Head First, il disco dei Badfinger concepito per la Apple ma che poi sarebbe uscito per la Warner. Entrambi vennero registrati alla fine del 1974. Purtroppo la soddisfazione di avere finalmente realizzato i propri studi privati fu mitigata dalla consapevolezza dell’amara realtà: quando essi furono inaugurati, i Beatles già non esistevano più, e Paul, che aveva citato in giudizio gli altri tre per la vicenda Allen Klein, li avrebbe utilizzati in pochissime occasioni. Almeno agli inizi, l’impegno con cui i quattro Beatles aiutarono gli artisti in cui credevano fu indiscutibile, anche se non sempre i prodotti vennero poi supportati da un’adeguata campagna pubblicitaria. Nei primi tempi, fino all’arrivo di Klein, il più attivo e partecipe fu McCartney. A lui si devono Mary Hopkin, James Taylor, la Black Dyke Mills Band, almeno in parte i Badfinger e il duo Drew & Dy, che però sciolse il contratto senza aver pubblicato niente. Da un punto di vista commerciale, i Badfinger e la Hopkin sono stati gli artisti più vantaggiosi per la Apple e gli unici a guadagnare un disco d’oro (oltre ai Beatles). McCartney fu tanto attivo all’inizio, quanto assente dopo il dicembre del 1969, anno della clamorosa lite che lo portò ad allontanarsi drasticamente. Non a caso, nel 1972 sia i Badfinger che la Hopkin avrebbero lasciato al Apple. Fino a quando mille altri impegni, primo fra tutti il concerto per il Bangladesh, lo costrinsero a rallentare, Harrison fu forse quello che portò il maggior numero di artisti di valore: Jackie Lomax, Billy Preston, Ravi Shankar, Brute Force, Doris Troy, i Radha Krishna Temple, Lon & Derrek Van Eaton, i Sundown Playboys; prendendosi inoltre cura delle incisioni del vendutissimo terzo album dei Badfinger e del singolo di Ronnie Spector. 28
INTRODUZIONE: I BEATLES E LA APPLE Lennon meriterebbe un discorso a parte: emblematica è la sua famosa affermazione, secondo cui la Apple era come giocare a Monopoli con i soldi veri! Yoko Ono con i suoi costosi album avanguardistici, David Peel con il suo provocatorio street rock e l’anonimo Bill Elliot con un singolo pubblicato per sostenere le spese legali di una rivista underground portarono più spese che introiti. Gli Elephant’s Memory Band andarono un poco meglio, ma furono un’altra dimostrazione che Lennon scritturava gli artisti a cui era interessato lui, senza badare alla reazione del pubblico. A John si devono anche gli ingaggi degli Hot Chocolate Band e di John Tavener. Quest’ultimo fu forse il musicista più prestigioso prodotto dalla Apple, assieme ai jazzisti del Modern Jazz Quartet. Tavener fu preso da Lennon, il quale poi incaricò Ringo di curarne le uscite. Ringo, dal canto suo, oltre a suonare nella gran parte dei dischi dei nomi citati, fu responsabile dei contratti di Chris Hodge ed, in parte, dei Trash. Nel 1972 Ringo produsse per la Apple Films Born to Boogie, un documentario su Marc Bolan, e nel 1974 curò Son of Dracula con Harry Nilsson. Da allora questo ramo dell’azienda finì per essere noto come “l’hobby di Ringo”, dal momento che gli altri se ne disinteressavano completamente. Altre produzioni di cui la Apple Films è responsabile sono Magical Mystery Tour e Yellow Submarine dei Beatles, The Concert for Bangladesh e un altro lungometraggio, Raga, documentario su Ravi Shankar del 1971 con un cameo di Harrison, il quale fece anche da produttore. George fu produttore esecutivo anche di Little Malcolm and His Struggle Against the Eunuchs. Per restare in campo cinematografico, durante l’egemonia di Allen Klein furono pubblicati due dischi di colonne sonore con le musiche di Come Together (nulla a che vedere con la canzone dei Beatles) e El Topo, due film prodotti dalla Abkco Films, la casa produttrice cinematografica che Klein aveva fondato a New York. Di lì a poco avrebbe messo su anche la Abkco Records ma, nel frattempo, già che c’era, sfruttava la Apple per i suoi scopi. Della Apple Music faceva parte anche la Zapple, alla quale erano destinate le opere d’avanguardia non facilmente commerciabili. In particolare colpisce l’idea, partorita oltre quaranta anni fa dalle menti di John e Paul, di fare della Zapple una “spoken word label”, un’etichetta che pubblicasse dischi parlati, praticamente gli audio-books che oggi spopolano sul mercato. Della direzione della Zapple fu incaricato Barry Miles, amico di Paul e gestore della Indica Gallery. Tra i nomi che avrebbero dovuto incidere le loro opere e i loro versi con il marchio Zapple c’erano Lenny Bruce, Allen Ginsberg e Richard Brautigan. Ginsberg incise Holy Soul & Jelly Roll e Brautigan registrò Listening to Richard Brautigan, ma nessuno dei due progetti fu portato a termine e i loro dischi avrebbero visto la luce anni dopo con altre case discografiche. Gli unici due dischi che uscirono per la Zapple furono Electronic Sounds di Harrison e Life With the Lions di Lennon, peraltro piuttosto lontani dal concetto originario. La Apple, che potenzialmente sarebbe potuta diventare la più importante 29
HELP! etichetta degli anni Settanta, restò attiva solo fino al 1974, almeno per quanto riguarda le produzioni del settore musicale. I dischi solisti dei Beatles continuarono a uscire per la Apple fino al 1976, quando il gruppo fu dichiarato legalmente disciolto. L’etichetta non esisteva più, ma fu deciso che la società non fosse del tutto cancellata. Quell’anno gli studi furono chiusi, l’edificio fu venduto e lo storico portone del numero 3 di Savile Row, che stava in cima agli scalini dove un tempo si assiepavano le Apple Scruffs, apparve, completo di graffiti, sulla retrocopertina di un album di Ringo (Ringo’s Rotogravure), prima di essere smontato e fatto trasportare nella casa di Lennon. Per quanto riguarda i Beatles, George fondò la Dark Horse e firmò con la A&M per la distribuzione dei dischi, Ringo creò la Ring O’ Records e passò alla Polydor per l’Europa e all’Atlantic per gli USA, Paul rinnovò con la EMI e John decise di non firmare per nessuno e di non fare più dischi (nel 1980 avrebbe siglato un accordo con la Geffen). Nel corso degli anni la Apple ha attraversato diverse aggrovigliate vicissitudini legali, tra cui una causa contro Allen Klein, il cui contratto era scaduto nel 1973, una contro la EMI, e un altro paio contro la Apple Computer. Quest’ultima, relativa all’utilizzo non autorizzato del marchio, fu vinta con l’accordo della condivione del nome e un sostanzioso conguaglio (circa trenta milioni di dollari) a favore della Apple Corps, che conservò il diritto di servirsi del nome. La Apple Computer avrebbe potuto invece utilizzarlo per tutte le iniziative all’infuori di quelle legate alla musica. Per quanto riguarda Klein, finì in galera nel 1980 a seguito di condanne per truffa ed evasione fiscale. Dopo oltre un decennio di anonimato, la Apple tornò in auge alla fine degli anni Ottanta. Grazie all’accordo con la Capitol, ottenne il controllo totale sulla ristampa in cd degli album dei Beatles e di qualunque iniziativa legata a loro: tutti i prodotti Beatles sarebbero per sempre usciti con quella piccola, epica mela verde. Nel biennio 1991-1993 la Apple decise di ristampare, sia in cd che in vinile, anche molti dei vecchi dischi degli altri artisti e pubblicò, per la prima volta dal 1974, un nuovo prodotto, The Best of Badfinger, assieme a una versione aggiornata di Those Were the Days, una raccolta di Mary Hopkin del 1972. L’attività era ripresa: seguì la pubblicazione di materiale inedito dei Beatles con The Beatles at the BBC del 1994, che fece da apripista alla definitiva consacrazione del 1995-1996 con il trionfo del faraonico progetto Anthology con dischi, libri, video e gadget, che contribuì a riportare in vita anche la Apple Films. Nel 1999 ci fu la colonna sonora riveduta e corretta del film Yellow Submarine, al quale seguirono la raccolta One del 2000, con oltre trenta milioni di copie vendute e il pluripremiato Love del 2005. L’ altro picco è del 2009: le rimasterizzazioni in cofanetto dell’intero catalogo dei Beatles in versione mono e stereo e il colossale accordo con la Harmony-MTV Games per il videogioco Beatles Rock Band. 30
INTRODUZIONE: I BEATLES E LA APPLE Liam Gallagher è stato il primo ad avere l’idea di un film sulla Apple, quando ha intrapreso la produzione di The Longest Cocktail Party, basato sul best-seller di Richard DiLello. Oggi la Apple Corps, più attiva che mai, ha sede al numero 27 della prestigiosa Ovington Square ed è una leggenda.
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